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l'AFRICA nella STAMPA

Date post: 20-Jan-2017
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l'AFRICA nella STAMPA Source: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, Anno 5, No. 7 (Luglio 1950), pp. 150-152 Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40755943 . Accessed: 14/06/2014 05:16 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente. http://www.jstor.org This content downloaded from 185.44.78.129 on Sat, 14 Jun 2014 05:16:37 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions
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l'AFRICA nella STAMPASource: Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africae l’Oriente, Anno 5, No. 7 (Luglio 1950), pp. 150-152Published by: Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO)Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40755943 .

Accessed: 14/06/2014 05:16

Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at .http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp

.JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range ofcontent in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new formsof scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected].

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Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente (IsIAO) is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extendaccess to Africa: Rivista trimestrale di studi e documentazione dell’Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente.

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RAZZE IN RECINTO OVVERO LA MENTALITA' K

II territorio dell'Unione Sud-Africana sarà diviso da palizzate, entro le quali staranno rinchiuse le varie razze.

Un articolo di Augusto Guerriero su « II Mondo » del Io luglio dice molto bene la perplessità e quasi l'incredu- lità di ogni spirito latino di fronte a certi fenomeni, come quello del- r« Apartheid », che rivelano con cru- dezza spietata non solo una situazio- ne di fatto, ma anche una partico- lare mentalità: la mentalità che chiameremo «K»: quella K che ri- fiuta di addolcirsi nella C della più duttile mentalità britannica. La K di Klu Klux Klan e di Afrikaner.

Poiché, se il problema della convi- venza dei tre grandi gruppi di razze (bianco, asiatico e africano) sui ter- ritori africani si pone dovunque con aspetti analoghi, ben( diversa è la soluzione che si cerca da parte del- l'afrikaner nel Sud-Africa, dell'ingle- se nel Kenya e dell'italiano in So- malia.

Che cosa significhi o implichi il progetto che va sotto il nome di « Apartheid » è abbastanza noto. Si- gnifica abolizione della formale rap- presentanza indigena nel Parlamento sud-africano (tre rappresentanti, che per legge dovevano essere bianchi); esclusione dei nativi da qualsiasì at- tività economica qualificata; segrega- zione dei nativi in « territori riser- vati », dai quali essi potranno usci- re solo se richiesti dai datori di la- voro bianchi. Ogni città e ogni vil- laggio del paese saranno divisi in tre zone razziali: bianchi, negri e colo- rati (le varie specie di meticci). Tut- to il territorio coltivabile sarà diviso nello stesso modo. Nessuno potrà ri- siedere, acquistare proprietà o con- durre una attività economica in una zona che non sia assegnata al suo gruppo razziale. Agli europei sa- rà proibito vivere in aree assegnate agli africani, agli africani sarà proi- bito vivere in aree assegnate ai colo- rati, e così di seguito. Entro questa tripartizione, ci sono altre sottoripar- tizioni o suddivisioni, cosicché, nei confini d'una zona assegnata agli afri- cani, un basuto non potrà vivere nel- l'area riservata ai xosa o agli zulù; e un'area assegnata ai colorati del Capo sarà chiusa agli indiani e ai malesi.

Tuttavia, poiché gli europei hanno servi non europei, questi ultimi po- tranno vivere sulla proprietà dei loro datori di lavoro con uno speciale per- messo del Ministero dell'Interno. La stessa concessione sarà fatta ai mi-

natori negri o colorati che vivono in- torno alle officine.

Si noti, infine, che questo Bill non è che il primo di una serie di prov- vedimenti e di leggi diretti a « assi- curare il Sud-Africa alle razze bian- che » e a garantire la purezza delle razze bianche nel Sud- Africa.

Ciò premesso, vediamo il commento pensoso che della situazione e del Bill fa Augusto Guerriero, esprimendo ad un tempo l'ansia dell'europeo e la sensibilità e le riserve critiche del latino.

(e E' facile criticare questa politica e queste leggi. Ma' noi europei, abituati a vivere da bianchi fra i bianchi, non riu- sciremo mai a renderci conto dello stato d'animo, della "angoscia razziale" di una popolazione bianca, che viva ira una po- polazione di colore assai più numerosa e più prolifica. Si può discutere quanto si vuole e finché si vuole sulla eguaglian- za delle razze, si può declamare quanto si vuole contro il pregiudizio razziale, ma il fatto è che ben difficilmente un padre bianco acconsentirà a dare la figlia in moglie ad un cafro, a uno zulù, a un ottentotto. Questo per quanto riguarda il problema psicologico o, meglio, il pro- blema dell'istinto razziale. Voi, vi è un problema politico, che credo sia vera- mente insolubile, se non si deroga al li- beralismo e alla democrazia. Come si può assicurare alla civiltà bianca un paese dove la popolazione bianca non è che un quinto del totale? Un esempio: il diritto elettorale. Nel Sud-Africa, ci sono 8 milioni di negri bantù {cafri); 800 mi- la « colorati » , cioè meticci discendenti da schiavi importati dagli olandesi al Capo; 300 mila indiani; e 2 milioni 250 mila bianchi. La democrazia e il libera- lismo vorrebbero che a tutti si rico- noscesse^ gli stessi diritti elettorali. Ma se si facesse così, non ci sarebbe neppure un bianco in Variamento; la minoranza bianca sarebbe governata dai cafri, e la civiltà bianca sarebbe condannata a spa- rire... Il democratico e liberale generale Smuts e il suo partito promettevano una graduale emancipazione delle razze di co- lore sulla base degli stessi princìpi, che sono accettati dall'Inghilterra nelle sue colonie. Si sarebbe dovuti giungere a po- co a poco, in un avvenne remoto, s'in- tende, alla eguaglianza delle razze... ».

<( Ma nel Sud-Àfrica, il giorno in cui si arrivasse all'eguaglianza delle razze, sa- rebbe finita per i bianchi... Questo non significa affatto approvare la politica del- l}" Apartheid". Tutt 'altro. Essa è eccessi- va, è crudele, è pericolosa per il Sud- Africa e per il Commonwealth.

E' eccessiva e crudele. Si capisce che si vieti il matrimonio fra bianchi e ne- gri. E si capisce che si vieti la coabita- zione. Ma non si può giustificare un si- stema di divisione e suddivisione del ter- ritorio che renderà difficile ai bianchi

procurarsi la mano d'opera e ai negri trovar lavoro e procurarsi da vivere, con- finerà i negri su un territorio assoluta- mente insufficiente, e creerà infiniti osta- coli a tutta la vita economica del paese. Si giustifica il fatto che si vieti alle donne bianche di andare a letto con i cafri o con gli zulù. E non preoccupa il fatto che tre bianchi di pochi scrupoli non possano più farsi eleggere deputati ecci- tando i negri contro i bianchi o predi- cando il comunismo ai negri. Quello che preoccupa seriamente, quello che offen- de profondamente i nostri sentimenti uma- ni e cristiani, è che questo sistema di divione e suddivisione del territorio fra le razze, condannerà milioni di esseri umani a nyorire di fame.

« La "Apartheid " è pericolosa per il Commonwealth, in quanto scuote quei legami di solidarietà che ancora tengono insieme le varie parti di esso. L'India e il Pakistan sono insorti indignati contro il Group Areas Bill, in difesa dei tre- centomila indiani che risiedono nel Sud- Africa. E' un po' paradossale il fatto che l'India protesti e si indigni per la posi- zione che viene fatta ai suoi emigrati nel Sud- Africa, quando essa stessa ha da 45 a 50 milioni di "intoccabili". E' vero che l'intoccabilità, qualche anno fa, è stata abolita. Ma sulla carta; e sono sicuro che ancora oggi gli "intoccabili" in India non stanno meglio degli indiani nel Sud- Africa. Alle proteste dell'India e del Pakistan, il governo del Sud-Africa ri- sponde che il Group Areas Bill riguarda i suoi affari interni e che non è ammis- sibile l'intervento di governi stranieri nei suoi affari interni. Ma se è vero che l'In- dia e il Pakistan non possono intervenire negli affari interni del Sud-Africa, è an- che vero che essi possono trascinare il governo del Sud Africa davanti al foro delle Nazioni Unite per "violazione dei diritti umani". Si può immaginare quale straordinaria occasione una siffatta di- scussione offrirebbe alla propaganda co- munista fra le popolazioni di colore » .

Infine il Guerriero rileva come la politica dell'« Apartheid », intesa, in seconda istanza, ad abbattere e a sradicare il comunismo, esasperi quella situazione stessa, dalla quale la propaganda comunista trae ali- mento. Comunque si configuri il co- munismo in Africa, sta di fatto che esso colora di sé una situazione de- licatissima, che l'europeo deve af- frontare con grande saggezza. Pino a qual punto, ad esempio, era pre- vedibile e previsto il recente sciopero dei salariati indigeni del Kenya, che ha costretto gli inglesi a rifarsi da sé il letto e a pulirsi da sé le scarpe? E non ha importanza il fatto che gli scioperanti non sapessero perché scioperavano; ha molta importanza, invece, il fatto che scioperassero, pur non sapendo perché scioperavano.

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AFPRICA _____________^ 151

Non facile, dunque, il problema che si pone alla sensibilità europea.

S. G.

LE INCOGNITE DEL PUNTO 4

Via via che il Punto 4 esce dalla nebulosa originaria, si rendono visibili le gravi incognite che esso comporta nei riguardi dell'Eurafri- ca. Le preoccupazioni francesi sono, almeno in parte, le preoccupazioni dell'Europa.

Un acute articolo di Paul Henry nel numero di giugno-luglio di quella rivista di studio e di battaglia che è « Politique Etrangère », esponendo l'atteggiamento critico francese nei confronti del Punto 4, mette in luce le incognite contenute nella sua ap- plicazione pratica ed i pericoli - po- litici ed economici ad un tempo - che essa cova in seno, accanto agli incommensurabili vantaggi.

Premesso che l'assistenza america- na in Africa è non solo necessaria, ma urgente, Paul Henry si pone una serie di domande:

Che cosa si intende per aiuto tec- nico? Assistenza tecnica secondo le formule del Piano Marshall (invio di tecnici metropolitani nei territori co- loniali) oppure preparazione di tec- nici negli Stati Uniti o in centri scientifici europei? Oppure formula- zione di nuovi principi di sviluppo economico?

Che cosa si intende per assistenza finanziaria? Assistenza sul piano internazionale, nel quadro di prestiti a lunga scadenza, quali ne potrebbe concedere una banca internazionale? O prestiti governativi propriamente detti? O finanziamento massicc'o di capitale americano nei territori ol- tremare?

E a favore di chi questa assisten- za? Della madrepatria? O del com- plesso madrepatria-territori oltrema- re? O dei singoli territori oltre mare?

E a beneficio di chi? Di una del- le entità anzidette oppure soltanto de- gli Stati Uniti?

Per necessità di chiarezza, queste brusche domande è indispensabile porsele.

In secondo luogo occorre fare un esame comparativo fra il Punto 4 ed il Piano Marshall, dal quale il pri- mo è, in ultima analisi, scaturito. Ne è scaturito come visione americana, o occidentale, dei problemi posti dai progetti presentati dai singoli paesi coloniali europei all'E.CA., cioè nel quadro del Piano Marshall.

Il Piano Marshall s'è posto natu- ralmente il problema dello sviluppo dei territori oltremare come proble- ma sussidiario a quello del risana- mento economico europeo, cioè sotto lo aspetto del contributo che tale svi- luppo potrà portare alla prosperità dell'Europa occidentale; ed in tal senso 1'E.C.A. ha invitato i paesi co- loniali europei a presentare i loro progetti di sviluppo dei territori afri- cani. I/E.C.A., doveva limitarsi a da- re il suo aiuto in dollari Marshall al- la realizzazione di questi progetti.

Ma dall'esame dei progetti europei è emerso un tema che interessa di- rettamente l'E.CA. in quanto organi-

smo americano: lo sviluppo di deter- minate produzioni minerali o, in al- tre parole, delle materie strategiche.

Infatti, nel biennio 1948-49, la sola sezione dell'E.C.A. che si è occupata dei territori oltremare è stata quella che studiava le materie strategiche: in altri termini, l'E.CA. in tanto si è interessata dei territori oltremare in quanto essi offrissero materie strate- giche.

Dall'interesse per le materie strate- giche a quello per lo sviluppo intrin- seco dei territori oltremare, il passo è breve ed inevitabile.

Si è usciti così dall'esame dei pro- blemi dei territori oltremare sotto il profilo della ricostruzione economica europea, per passare all'esame di que- gli stessi problemi sotto il profilo di più vasti interessi, occidentali in ge- nere, americani in ispecie.

La cosa, tuttavia, non si pone in termini così semplici. Alle preoccu- pazioni americane d'ordine generico nei riguardi del continente africa- no si sono sommate, in eguai misura, preoccupazioni d'ordine tecnico (di tecnica finanziaria e di tecnica eco- nomica). Sta di fatto che questi due diversi ordini di preoccupazioni han- no coinciso nel richiamare la politi- ca americana ad una più diretta con- siderazione del problema africano.

Ricordiamo le delusioni incontrate dagli Stati Uniti nei suoi progetti asiatici, e ammettiamo senz'altro che il continente nel quale essi possono sperare di non subire delusioni ana- loghe e di realizzare, con un impie- go di fondi relativamente modesto, importanti sviluppi economici e im- portanti obiettivi strategici è l'Africa.

La quale Africa, per la sua rare- fazione demografica, consente il rag- giungimento di un livello di vita de- cente con un impiego ragionevole di denaro ed offre al tempo stesso va- ste regioni nelle quali l'applicazione tecnica dei mezzi moderni è suscetti- bile di dare risultati straordinari, pa- ragonabili forse a quelli che, in altri tempi, furono raggiunti in Australia 0 nell'Ovest americano.

Nessuna meraviglia, quindi che nel preciso istante in cui l'E.CA. s'ac- cinge ad esaminare i progetti euro- pei per lo sviluppo dei territoñ ol- tremare, il Dipartimento di Stato e 1 settori americani informati abbia- no cominciato a manifestare tanto interesse per l'Africa e ne siano usci- te le linee fondamentali del Punto 4.

Manca tuttavia agli americani, os- serva Paul Henry, una visione abba- stanza precisa dell'Africa. Per l'opi- nione americana « Africa » è un con- cetto unico, è la nozione di « territo- rio arretrato ».

L'opinione americana ignora che esiste più di un'Africa. Esistono per- lomeno due Afriche: quella che Paul Henry (francese) chiama semplice- mente del Nord, anche se si estende dal nord all'est, e dall'est al sud, e quella che egli chiama Nera.

Nell'Africa cosidetta del Nord, la colonizzazione europea è estremamen- te importante; in quella Nera la co- lonizzazione europea si manifesta in forma amministrativa e tecnica (eco- nomica in senso lato), ma non con l'immissione di importanti nuclei di popolazione

Nell'Africa cosidetta del Nord, l'as- sistenza tecnica americana prende immediatamente un carattere semi- politico e non può ignorare le rea- zioni dei nuclei europei nei confronti di un'eventuale emancipazione delle popolazioni locali e dell'introduzione della tecnica americana. In essa, inoltre, vive una economia moderna, già salda nella sua struttura, che può, con la sola assistenza finanziaria, giungere a risultati concreti.

Nell'Africa Nera, all'incontro, dove non si pone il problema della popo- lazione europea, i quadri economici e tecnici sono insufficienti e l'ammi- nistrazione è preoccupata dei proble- mi tradizionali (che in un paese pri- mitivo conservano tutta la loro pre- ponderante importanza), cosicché la assistenza tecnica urta contro un al- tro ordine di ostacoli.

A questo punto, osserva Paul Hen- ry, bisogna affrontare anche, con la massima franchezza, il fattore « emo- ti » del problema africano; cioè, fuor d'ogni perifrasi, il problema politico.

L'americano è portato ad un ra- gionamento piuttosto semplicistico : la torta è piccola, e ciò acuisce i con- trasti razziali: ingrandiamola, e i contrasti scompariranno.

Prendiamo, a questo proposito, il problema della industrializzazione dei territori arretrati. Osserviamo anzi- tutto che questa industrializzazione è con ogni probabilità in contrasto con il piano di risanamento econo- mico dell'Europa, in quanto è desti- nata ad assorbire per le proprie ne- cessità quelle materie prime che og- gi alimentano l'attività industriale europea. Ma sopratutto osserviamo - è sempre Paul Henry che parla - che, quando i nazionalisti chiedo- no l'industrializzazione, la chiedono perché la considerano come la chiave dell'indipendenza e dell'emancipazio- ne nazionali. E ciò l'America ha po- tuto constatare a sue spese in Asia.

Prendiamo poi, sempre a questo proposito, il problema delle correnti commerciali. Il quesito si pone in que- sti termini: si deve, sul piano dello sviluppo delle materie prime, inco- raggiare il commercio tradizionale Europa- Africa? o si deve invece mo- dificare le correnti commerciali tra- dizionali, stabilendo il cosidetto « commercio triangolare », nel senso che l'Africa venda nella zona del dol- laro e l'Europa benefichi di questi dollari?

Questa seconda soluzione presup- pone, più che non la prima, l'unione politica dell'Africa con l'Europa, poi- ché è assurdo immaginare un'Africa emancipata dal gioco europeo, che tuttavia si presti a far da « produt- trice di dollari» per l'Europa.

C'è poi un altro grave problema. E' opportuno, è desiderabile procede- re allo sviluppo dei territori arretrati « per sé stessi? » O non si deve piut- tosto mirare al loro sviluppo nel qua- dro degli interessi occidentali?

Il problema è grave, poiché si può ragionevolmente pensare che presto i territori sviluppati « per se stessi » si volgerebbero verso un altro punto cardinale, se è vero che ogni indu- strializzazione « politica » rischia di non potersi reggere, se non nel qua-

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152 _____ AFFRICA

dro di un regime politico basato sul- l'autorità e la dittatura.

Quindi, conclude l'autore, noi dob- biamo saper dire chiaramente agli americani che il problema non consi- ste soltanto nello stabilire se noi eu- ropei abbiamo o non abbiamo tecnica- mente e finanziariamente bisogno di loro in Africa (e non c'è dubbio che abbiamo bisogno di loro), ma anche e sopratutto nell'esaminare come si possa mantenere l'Africa nel quadro del mondo occidentale. Come può l'Europa, e in particolare

la Francia, dimostrare all'opinione americana la necessità economica e politica che l'Africa rimanga legata all'Europa? Non certo dandole l'im- pressione d'essere ansiosa, da un lato, di ottenere l'aiuto americano, e di es- sere, dall'altro, reticente ad impie- garlo. Bensì dando prova della mas- sima efficienza economica. Questo è il problema che l'Europa coloniale de- ve affrontare risolutamente, anche se, in quella parte d'Africa che è stata definita Nera, dove i quadri tecnici ed amministrativi sono insufficienti, esso è particolarmente difficile. Si tratta, cioè, non di respingere aprio- risticamente l'ingerenza americana diretta ma di non fornirle i motivi per intervenire.

S. G.

EMIGRAZIONE.

Si impongono veri e propri «trat- tati di emigrazione », che abbiano l'importanza e l'imponenza dei trattati di pace.

In un serio e appassionato esame dei problemi dell'emigrazione, spe- cie verso l'Africa e l'America Lati- na, Alberto Marinelli scrive (Italia- ni nel Mondo, 10 luglio 1950) :

« Sono decisamente finiti i tempi della libera emigrazione, quando l'u- mile nostro contadino si metteva da' solo per il mondo e bene o male andava ad inserirsi nella vita di al- tri popoli. Anche la tipica emigra- zione di questi ultimi quattro-cin- que anni, emigrazione in gran parte di piccoli gruppi di operai, di spe- cialisti, di medio ceto senza me- stiere, di magnifici tecnici frammisti a gente illusa ed a materiale scaden- te, è destinata ad esaurirsi ben pre- sto. Comunque non è il piccolo grup- po, anche moltiplicato con le chia- mate familiari ed i contratti privati, che potrà mai costituire quella emi- grazione di massa, di popolamento, di colonizzazione di cui ha bisogno l'Italia. Noi rimaniamo un popolo nella maggioranza di agricoltori ed è nell'agricoltura che la disoccupazione è più acuta e il bisogno di terre più sentito. Ma finora sulle vie della emi- grazione è mancato quasi del tutto il nostro contadino. Né l'agricoltore italiano può avviarsi avventurosa- mente e senza protezione in conti- nenti vasti e sprovveduti come l'Ame- rica Latina e l'Africa.

Si impongono ampi accordi tra gli

Stati partecipi dell'intercambio mi- gratorio, accordi che contemplino pia- ni di vasto respiro, che organizzino e pianifichino pur lasciando libero movimento a tutte le sane iniziative private. Nel campo della emigrazione è più valido che mai quel principio di equilibrio tra libertà e disciplina economica che attualmente ispira la politica dei governi più saggi e più capaci. Occorre organizzare e pia- nificare tra gli Stati, come nel seno di ogni Stato, conciliando le linee del programmi internazionali, atti ad avviare, inquadrare e dare impulso ed alimento al movimento migratorio, con le sempre lusinghiere possibilità dei privati operatori economici.

Si impongono in una parola veri e propri trattati di emigrazione che ab- biano l'importanza e l'imponenza sto- rica dei trattati di pace. Giacché sol- tanto con trattati di emigrazione e di lavoro potrà evitarsi la necessità di firmare altri trattati di pace oltre i vecchi, potrà impedirsi lo sviluppo di altri germi di guerra ».

SOMALIA - FIERA PERMANENTE.

Allorché si saranno realizzati il pia- no di stabilità monetaria e il pro- gramma di valorizzazione agraria, la Somalia diventerà una specie di fiera campionaria permanente del- l'industria italiana per l'Africa ed il Medio ed Estremo Oriente.

Da un articolo di Francesco Valo- ri, apparso su Organizzazione Indu- striale del 22 giugno, stralciamo la conclusione:

« E' bene notare che lo sviluppo del programma di valorizzazione a- graria e l'effettuazione del piano di stabilità monetaria, porteranno un notevole aumento anche nel campo delle esportazioni, che sono oggi co- stituite principalmente da prodotti derivanti dal bestiame; pelli sec che e salate, burro indigeno, cuoio, pelletterie costituiscono il nucleo più importante delle merci che vengono dirette dalla Somalia ai paesi stra- nieri. Ad esse va aggiunto l'incenso, che cresce spontaneo nell'interno della Migiurtinia, il granoturco, i se- mi di sesamo, i rottami metallici, le pelli da pelliccia e qualche altro ge- nere di minore importanza. Negli ultimi due anni si è avuta

anche una ripresa delle esportazioni di olio di sesamo.

« Se si da uno sguardo alle cifre delle esportazioni e delle importa- zioni negli anni dal 1945 al 1947 si vede che il saldo passivo, che era di quasi 19 milioni di scellini si è an- dato riducendo a poco più di tre mi- lioni. Tale miglioramento è dovuto da un lato all'aumentata diminuzione delle importazioni, in conseguenza del diminuito numero di truppe stan- ziate in Somalia.

Per quanto riguarda in modo par- ticolare i rapporti con l'Italia essa

ha esportato in Somalia fibre tes- sili artificiali, importandone in cam- bio, per ora, quasi soltanto banane. Ma è ovvio che il volume dei traffici tra i due paesi è destinato ad aumen- tare considerevolmente. La stessa e- secuzione dei piani di valorizzazio- ne della Somalia richiede la impor- tazione di materiali di ogni sorta, dalle macchine agricole ai sieri per la vaccinazione del bestiame. D'altra parte la Somalia dovrà attraversare quel periodo di industrializzazione che è oggi tipico della maggior par- te dei paesi dell'Africa e dell'Orien- te, ed anche per questa il lavoro ita- liano e la importazione di merci e di prodotti italiani saranno assolu- tamente necessari. La Somalia non è l'Eldorado mitico né la terra del- l'oro della favola, ma è un paese che può divenire un buon mercato per le merci italiane, e una specie di fiera campionaria permanente at- traverso la quale l'industria italiana potrà farsi conoscere nell'Africa e nell'Oriente Medio ed Esterno, con cui la Somalia ha avuto in passato tanti e tanto attivi traffici.

ARCHEOLOGIA E ETNOGRAFIA.

Rinascono gli studi africani anche nel campo dell'archeologia e del- l'etnografia.

E' uscito il primo di una serie di « Quaderni di Archeologia della Libia », edito a cura dell'Ufficio Stu- di del Ministero dell'Africa Italiana. Esso raccoglie interessanti articoli di Giacomo Caputo su alcune sculture rinvenute nel Foro di Sabratha, di Renato Bartoccini sulla Curia della stessa città e di Salvatore Aurigem- ma sulla genealogia dell'Imperatore Severo.

I «Quaderni» si propongono di pubblicare studi inediti di archeo- logi italiani sulla Libia, che non po- terono trovare posto sulla rivista «Africa Italiana» (cessata nel 1941).

Con il quarto fascicolo, apparso recentemente, la Rivista di Etnogra- fia, egregiamente diretta dal dott. Giovanni Tucci, ha concluso il suo terzo anno di vita, realizzando il pro- gramma con il quale è sorta: quello di essere una palestra di libere di- scussioni, non limitate da temi o da particolari concezioni ideologiche. La rivista, che non s'appoggia ad alcun ente o istituto, ha riunito attorno a sé un eletto manipolo di studiosi; co- me Battaglia, Cocchiara, Corso, Fran- colini, Leicht, Niceforo.

II fascicolo testé uscito contiene due articoli che riguardano l'Africa: La musica negra e gli studi di afro- americanistica di M. Vairo, e Massi- me sentenze e proverbi libici di G. NarduccJ. Segnaliamo inoltre le con- suete rubriche Notiziario e Bibliogra- fia, nelle quali è seguito il movimen- to scientifico internazionale.

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