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L’Osservatore Romano · cristianesimo stesso. A volte le loro paure in- ... la storia e alcun...

Date post: 22-Jan-2020
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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 2 maggio 2019 anno LXXII, numero 18 (3.992) In crescita la popolazione cattolica nel mondo
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Page 1: L’Osservatore Romano · cristianesimo stesso. A volte le loro paure in- ... la storia e alcun rispetto della consuetudine ora gli fanno violenza. È già accaduto prima. Vedremo

L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 2 maggio 2019anno LXXII, numero 18 (3.992)

In crescita la popolazionecattolica nel mondo

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L’Osservatore Romanogiovedì 2 maggio 2019il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAD irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

Marilynne Robinson, classe 1943, è oggi una del-le più quotate e premiate scrittrici statunitensi,con il romanzo Gilead ha vinto il NationalBook Critics Circle Award nel 2004 e il Pulit-zer Prize l’anno successivo, riconoscimenti me-ritati: Gilead è un grande romanzo, un inno al-la vita, alla fede e alla bellezza del mondo («Èun pianeta interessante, il nostro. Merita tuttal’attenzione che gli puoi dedicare» afferma ilprotagonista). L’opposto della fede per la Ro-binson è la paura; a questo sentimento ha de-dicato un lungo articolo nel 2005 sulla «NewYork Review of Books» intitolato semplice-mente Fe a r in cui ha affermato il paradossoper cui l’America da una parte è un paese cri-stiano, dall’altra che oggi è piena di paura, unsentimento che non è e non può essere un’abi-tudine mentale cristiana. Le abbiamo chiestodi provare a spiegare il suo paradosso e non siè tirata indietro, parlando con molta calma ealtrettanta franchezza.

«La parola “cristiano” può essere utilizzatain molte accezioni. C’è ad esempio il cristiane-simo culturale, che osserva le abitudini dellafede, ne sostiene le istituzioni e parla usando isuoi termini. Le persone che sono profonda-mente legate alle sue tradizioni e che l’abbrac-ciano fortemente come identità possono sentir-si vincolate dai suoi insegnamenti, oppure no.Accogliere lo straniero, amare il nemico, por-gere l’altra guancia o prestare senza pensare aciò che si avrà in cambio sono tutti atti checomportano un rischio. Vanno tutti contro gliistinti di autoprotezione, che in genere sonoconsiderati buonsenso dalle società, compresequelle che si definiscono cristiane. L’assicura-zione che accompagna tali comandamenti èche, osservandoli, compiacciamo Dio. Se cre-diamo nella realtà del Dio della nostra fede,ciò dovrebbe essere una speranza e una ricom-

pensa in grado di prevalere su ogni altra con-siderazione. Essere capaci del coraggio al qua-le Gesù ci chiama significa essere cristiani inspirito e verità, e non semplicemente per iden-tità o lealtà. Le persone a volte sono una cosa,a volte l’altra. Ma fede è un’altra parola percoraggio, e dove domina la paura manca la fe-de».

Cosa è successo al grande paese cristiano degliStati Uniti?

Storicamente, di tanto in tanto le societàche si definiscono cristiane sono vinte dallapaura e reagiscono in modo violento e irrazio-nale, ritenendo di difendersi contro la strego-neria, l’eresia o il cripto-giudaismo, per esem-pio. È questo il genere di paura che oggi sem-bra crescere in mezzo a noi. Alcuni politici,con le loro coorti e i loro simpatizzanti — e al-cuni leader religiosi — hanno suscitato sospet-to e risentimento nei confronti di minacce enemici immaginati che considerano ostili alcristianesimo stesso. A volte le loro paure in-coraggiano crimini contro gruppi che conside-rano una minaccia per il loro paese, la razza ola civiltà, cancellando ogni insegnamento diGesù che vieta l’odio e la violenza. Non perce-piscono l’ironia — parola troppo buona — p er-ché si considerano difensori della fede. Lapaura diventa la loro religione.

Nello stesso articolo lei riflette sulla paura e l’as-socia alla mancanza di fede e scrive: «Quanti di-menticano Dio, sola certezza della nostra sicurez-za, in qualunque modo si voglia definire questaparola, possono essere riconosciuti dal fatto chedanno risposte irrazionali a timori irrazionali».La fede può essere una risposta alla tentazionesempre presente della paura?

Sì, la fede sarebbe la risposta, quando è rea-le. Laddove esiste davvero, crea integrità negliindividui, una profonda lealtà verso Cristo chesi realizza nell’obbedienza a Lui e nell’abbrac-ciare la promessa di una realtà ultima, in cuitutte le nostre paure e i risentimenti nonavranno spazio.

La paura genera altra paura, eppure sembra esse-re un bel luogo in cui crogiolarsi; qual è il benefi-cio che la paura offre al cuore dell’uomo?

La paura è uno stimolante, come tutti bensappiamo. Può offrire una narrativa moltodrammatica per strutturare la vita più comune:«ci sono persone che minacciano tutto ciò chemi è caro!». Questo può consentire alle perso-ne di identificarsi in modo appassionato con laparte degli angeli, per così dire, senza lasciare

Un antidotoal marketingdel rancore

#intervista

di ANDREA MONDA

A colloquiocon la scrittricestatunitenseMa r i l y n n eRobinson

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la comodità del proprio salotto. Può dare lorouna squadra della quale far parte, un’identità,sempre senza esigere niente da loro. È un’ecci-tazione facile, come un film horror, ma nellaforma peggiore diventa una patologia.

Nel saggio «When I Was A Child I Read Boo-ks» lei mette in relazione due termini, “immagina-zione” e “comunità” e scrive che il fondamento del-la comunità si trova in un amore immaginativoper persone che non conosciamo affatto o conoscia-mo appena. Nel saggio «Ortodossia» Chestertonafferma che «La leggenda è fatta generalmentemaggioranza, sana, degli abitanti di un villaggio;il libro è scritto, generalmente da quello, fra gliabitanti del villaggio, che è matto (...) Tradizionesignifica dare il voto alla più oscura di tutte leclassi, quella dei nostri avi. È la democrazia deimorti». Per Papa Francesco è il racconto il fon-damento del popolo, perché il popolo non è un fat-to sociologico ma una realtà mitica. Forse è questoquello che manca oggi alla società occidentale,una grande narrazione?

guerra tribale, quando invece la democrazia,nella sua essenza e nel suo spirito, è amore eidentificazione immaginativi nei riguardi diuna comunità con la quale, sovente e per mol-ti aspetti, ci si potrebbe trovare in profondodisaccordo. Penso che questo marketing delrancore sia davvero una minaccia per la comu-nità. Le persone devono essere sensibilizzate alfacile cinismo che intende privarle della spe-ranza e della dignità e così privare la comunitàdel milione di benefici che giungono dal soste-nere una convivenza pacifica e feconda.

Le parole della scrittrice appaiono cupe,drammatiche ma si avverte anche una fiducianascosta, una serenità di fondo che porta laRobinson a credere che tutto questo «sia unafebbre passeggera», la stessa fede che ritrovia-mo nelle parole del protagonista del suo ro-manzo più famoso: «Il mio periodo buio, co-me lo chiamo, il periodo della mia solitudine,

La nostra comunità nazionale sta vivendotensioni come non ne ho mai viste prima.Queste rotture hanno messo in luce fino a chepunto l’America è “una democrazia dei morti”.Washington, Jefferson, Madison, Marshall,Lincoln, eccetera sono tutti politicamente atti-vi al presente, e lo sono in modo considerevo-le per essere dei gentiluomini deceduti cosìtanto tempo fa. Che abbiano loro l’ultima pa-rola, che i problemi importanti vengano risoltiin un modo abbastanza soddisfacente per loro,è una questione di primaria importanza. Cihanno lasciato un mito valido e duraturo. Per-sone che sembrano non avere alcun senso del-la storia e alcun rispetto della consuetudineora gli fanno violenza. È già accaduto prima.Vedremo quanto continuerà a essere potente lanostra realtà mitica. Molti di noi l’amano pro-fondamente.

Il senso della gratitudine permea ogni pagina delsuo romanzo «Gilead» in cui troviamo questa af-fermazione: «Secondo me l’esistenza è la cosa piùstraordinaria che si possa immaginare», eppureoggi secondo lei la comunità è messa a rischio dal“marketing del rancore”, a cosa si riferisce?

Mi riferisco al fatto che il rancore ha tra-sformato il dibattito pubblico in una sorta di

è durato la maggior parte della mia vita (...)Adesso che ci ripenso, mi dico che in tuttoquel buio si stava preparando un miracolo.Perciò ho ragione a ricordarlo come un perio-do benedetto, e a ricordare me stesso in fidu-ciosa attesa, anche se non avevo la più pallidaidea di cosa stessi aspettando».

L’ultima domanda è allora su Gilead, se puòessere definito un inno alla misericordia: «Difatto preferirei parlare di grazia. Misericordiaimplica una disparità: si mostra misericordia aun peccatore, a un criminale, a chi è in pover-tà. La grazia è un effetto dell’amore che puòessere manifestato a chiunque in qualunquemomento, anche, ovviamente, ai peccatori, aicriminali e ai poveri, ai fratelli e agli stranieri.E chiunque di loro può manifestare grazia neituoi confronti, poiché la grazia non richiedenient’altro che una piccola cortesia, una parolagentile. La capacità alla grazia è un dono uni-versale che cresce nella misura in cui viene spe-so. Il suo tratto caratteristico è che non imponealcuna condizione, men che meno la penitenza.Ripaga se stessa, arricchisce chi la dona di unsentimento di libertà, poiché è spesso improv-visata, l’impulso del momento. Ed è sempreespressione di una profonda buona volontà chealtrimenti rimarrebbe inespressa».

#intervista

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La seguente conversazione tra la scrittrice Mari-lynne Robinson e il teologo Rowan Williamssi è svolta al Wheaton College in Illinois ed èstata moderata da Christina Bieber Lake eVincent Bacote, della facoltà di Wheaton.Pubblicata sul sito della rivista «The ChristianCentury», fa parte di una conferenza sulla rile-vanza teologica del lavoro di Robinson.

Entrambi avete scritto o parlato di come il lavorodi immaginazione, in particolare la fiction, offrauna visione del divino. Come articolereste taleconvinzione?

RO WA N WILLIAMS: La gente spesso pensache immaginazione significhi inventare le cose.Chi scrive — anche in piccolo come faccio io —sa che c’è sempre un elemento di vera scopertanel lavoro della fantasia. Mentre lavori generinuove domande, nuovi stimoli. Con grandesollievo del mondo io non ho mai scritto unromanzo, però scrivo poesie; e l’esperienza discrivere una poesia è molto spesso quel sensoper cui senti parzialmente qualcosa e sai chedevi lavorarci su, sai che devi lasciare che sidispieghi; non sai bene in che direzione staandando, e a volte finisce dove non pensaviaffatto che sarebbe andata. Tutto questo mi fapensare che l’immaginazione sia in realtà unafacoltà in noi che scopre qualcosa.

MA R I LY N N E ROBINSON: È proprio così. Unadelle cose interessanti, quando ti dedichi ascrivere un romanzo, è con quanta forza le vo-ci diventano reali per te, sicché se attribuisci auna persona nel romanzo una parola o unafrase che lei non userebbe, risuona in modospiacevole nella tua mente e devi tornare in-dietro per aggiustarla. Man mano che la storiasi realizza perdi delle opzioni.

In che modo la Chiesa può essere più aperta aipoteri trasformativi delle arti?

ROBINSON: La letteratura è, nel senso eti-mologico stretto della parola, sovversiva. Vuo-le che tu rifletta su una cosa in maniera diver-sa da come faresti altrimenti. Lo stesso valeper la poesia. E a volte le persone che si abbo-nano in modo programmatico alla bontà sonoresistenti alla sorpresa. In tal senso il cristiane-simo è sovversivo. Cristo si è fatto schiavo.Questo mina gli assunti culturali su ciò che èprezioso, su quelle che sono le gerarchie. L’ar-te riproduce questo grande capovolgimentoquando è arte buona.

WILLIAMS: Ritengo che questo spieghi an-che perché è molto difficile per la Chiesa com-missionare o controllare l’arte. Alcuni l’a f f ro n -tano così: “Bene, l’arte ovviamente è molto im-portante: circondiamoci di qualche artista cri-stiano”. È molto più una questione della Chie-sa che coltiva in tal modo menti e cuori umanitridimensionali e di persone colpite da quellapienezza sovversiva che è la grazia. Riguarda

l’essere ospitale della Chiesa verso voci difficilie immagini difficili.

Siete entrambi molto interessati al linguaggio,questa particolare indicazione del nostro essereumani. Quali sono i principali motivi del degradodel linguaggio nel discorso pubblico, e in che modoquesto degrado influisce su di noi?

ROBINSON: Trovo che le persone siano dav-vero toccate da un buon linguaggio. Una dellecose che addolora è che ci trattiamo reciproca-mente con sufficienza. È una cosa che mipreoccupa da sempre. Quando Abramo Lin-coln — un uomo in pratica totalmente privo diistruzione — voleva parlare alla gente, lo face-va con un grado di raffinatezza straordinariosecondo tutti gli standard, perché aveva rispet-to per le persone alle quali parlava. Chi trat-tiamo con sufficienza? In che modo abbiamopermesso a noi stessi di avere concezioni tantonegative delle persone in generale? La demo-crazia non può sopravvivere se continuiamo ascendere al livello in cui non diamo buona in-formazione, in cui non articoliamo le cose conla sensibilità con cui andrebbero articolate sedevono avere un senso.

WILLIAMS: Sono perfettamente d’a c c o rd o .Al momento sembrano esserci tendenze moltodiverse, piuttosto contraddittorie. Da un latoc’è quella che potremmo definire l’imp ostazio-ne pubblicitaria di default: devo venderti que-sto, per cui quello che devo fare è manipolarele tue reazioni. Devo sapere quali tasti preme-re. Questa è l’immagine funzionale del lin-guaggio. Dall’altro, stranamente — ma natural-mente non troppo, se si pensa di avere tutte leragioni per essere sospettosi — c’è un approc-cio di grande sospetto al linguaggio: «Dunque

La letteratura è sovversivaCome il Vangelo

C o n v e rs a z i o n etra Marilynne

Robinsone il teologo Rowan

Williamsal Wheaton

Collegein Illinois

#culture

Rowan Williams

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che cosa stanno cercando di dire veramente?Come mi stanno fregando, in realtà?». C’è unmisto di manipolazione da un lato e di cini-smo dall’altro. È la tempesta perfetta perquanto riguarda un sano linguaggio, e a lungoandare è letale per la democrazia. È questo acreare una popolazione passiva e risentita.

ROBINSON: Storicamente ci sono stati deimomenti in cui abbiamo realizzato buoneazioni democratiche, creato cose positive sullequali ancora campiamo, anche se in alcuni casisembriamo aver dimenticato a che cosa servi-vano. Le domande per un cittadino democrati-co sono: «Che tipo di mondo voglio creareper le persone che mi circondano? In qualerealtà voglio che vivano le persone che io defi-nisco la mia comunità? Come posso creare isti-tuzioni o sostenere tradizioni che di fatto libe-rano e fanno aumentare la gente intorno ame?». Torniamo al discorso della solidarietà.Se provi disprezzo per la gente in generale, senon hai alcuna aspirazione articolata per il suobenessere, alcun interesse a proteggere la suadignità, allora tanto per cominciare non creibuone istituzioni e tradizioni. Ed è questa unadelle cose estremamente negative che stiamopermettendo che accadano.

Dedicarsi alla narrativa esige tempo, attenzione epazienza. Viviamo in una società molto distratta.Come possiamo aiutare le persone a dare valore alprendersi del tempo per dedicarsi alle operedell’immaginazione, dove possono vivere le espe-rienze che descrivete?

WILLIAMS: Abbiamo bisogno di una serie didiscipline del prendersi il tempo. Dobbiamoincoraggiarci gli uni gli altri — incoraggiare lagenerazione emergente — a dedicarsi magariun po’ più al giardinaggio o alla cucina. E al-lora forse salveremo il mondo attraverso ilgiardinaggio e la cucina, nel senso che ci sonoalcune cose che sono belle solo se dedichi lorodel tempo. Poiché tendiamo a pensare “primaè, meglio è”, non capiamo che il bello di que-sta attività è proprio il tempo che richiede. Sitratta in qualche modo di ricollegarci alla no-stra corporeità. Purtroppo al presente abbiamoi doni piuttosto ambigui dei social media edella comunicazione elettronica, che hannoprivilegiato l’interazione veloce. Come tuttiben sappiamo, su ogni computer dovrebbe es-serci il tasto “lascialo fino a domani” da pre-mere al posto del tasto “invia”.

ROBINSON: Leggendo la scienza relativa aqueste cose, si scopre che gli umani sono infi-nitamente complessi. La complessità di ogniessere umano è talmente grande da assicurareche sia un essere umano unico. Dio ha creatoun solo te, e spetta a te scoprire che cos’èquella creazione. Che cosa ha creato? Chi seitu? Di che cosa sei capace? Una delle cose chemi piace pensare è che Dio conosce i nostrisogni. Noi dormiamo, probabilmente non li ri-cordiamo, ma Dio li conosce. Nel flusso delpensiero umano c’è una bellezza alla quale tupuoi collaborare e alla quale collabora la tuacultura, ma è una bellezza singolare. Anche setu scrivessi la miglior poesia del mondo, co-munque non riusciresti a comunicare sufficien-temente con nessun altro. È solo tra te e Dio.È uno splendido privilegio. Se ci rifletti su nelcontesto dell’universo, è un privilegio letteral-mente strabiliante. Gran parte di ciò che lepersone devono fare è divertirsi. Divertirsi aessere se stessi, divertirsi a scoprire quali capa-cità hanno, che cosa amano guardare, che cosaamano assaporare. Essere se stessi in modounico ed essere stupendamente attrezzati a es-sere se stessi, non nel senso stretto individuale,ma nel senso che Dio sa: è questa l’esp erienzamistica più alta. Non esige altro che essere ri-spettosamente attento verso te stesso.

Pensate che la fiction e l’arte del racconto ci inse-gnino questo?

ROBINSON: Penso di sì. I romanzi miglioriun po’ di più. I romanzi inferiori un po’ me-no.

WILLIAMS: Penso che sia così. Finito unbuon romanzo, qualunque sia stato l’a rg o m e n -to, mi ritrovo a pensare che ci sono più cosein me e più cose negli altri di quelle che avevonotato fino ad allora. Provo la sensazione chenel mondo ci sia altro, la sensazione diun’apertura a una sorta di profondità che nonposso possedere o della quale non posso veni-re a capo.

Il romanzo «Gilead» ci presenta la vita nellasua ordinarietà. Ma nella nostra cultura ossessio-nata dalla celebrità c’è quasi disprezzo per l’o rd i -nario. Potreste aiutarci a riflettere su come dedi-care più attenzione all’ordinarietà e dare più valo-re alla vita ordinaria?

WILLIAMS: È un’altra versione della doman-da precedente sul tempo. A volte vogliamo ilsenso immediato del g l a m o u r, della gratifica-zione o della tragedia. Non riusciamo a capireche il prosaico, il quotidiano, si accumula sem-pre verso la gloria, perché vogliamo la gloriaadesso, vogliamo la rivincita. Penso ad Agosti-no, nelle Confessioni, che di fatto dice: «Il pro-blema non è che Dio non è qui. Il problema èche io non sono qui». In questo momento so-no ovunque ma non qui, in questo ambienteparticolare prosaico, ordinario, fisico. Partedella funzione di un’arte davvero efficace è difarci rallentare e condurci a quella particolari-tà.

ROBINSON: Quando penso all’ordinario — ea quanto pare questa è una parola che usomolto — penso allo strano miracolo della pro-pria individualità. Dopo essere stata lontanada casa per un po’ di tempo, al mattino scen-do e metto insieme quella che considero la co-lazione perfetta, che ha molto a che vederecon il pane tostato e il burro. Combinare ilsenso dell’ordinario e dell’abituale con il sacra-mentale: è una cosa fortemente presente nellamia mente. Convinciamo noi stessi delle cose,per esempio che c’interessa una celebrità. Po-chissime persone al di sopra dei quattordicianni si identificano davvero con una celebrità.Ma queste sono distrazioni, sono gli oggettiscintillanti. Ci vengono dette cose tipo: “c’in-teressano le celebrità”, e questo ci porta a pre-stare maggiore attenzione alle riviste alla cassadel negozio di alimentari. Ma in termini di co-me le persone effettivamente vivono e che cosasentono, è: “Come me la cavo con i miei bam-bini? Come affronto un problema che sembra

L’immagine di copertinadi un’edizione italianadi «Gilead»

#culture

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un problema incombente che richiederà tuttala comprensione che riuscirò a mettere insie-me?”. Penso che sia a questo livello che vive lagente e forse traggo un certo sollievo dal fattoche c’è una copertina sempre nuova sulle rivi-ste.

WILLIAMS: Secondo me questo è collegatoal fatto che le persone sono spesso più genero-se e più libere di quanto venga loro ricono-sciuto dai media.

ROBINSON: Assolutamente.

Esistono abitudini o pratiche spirituali che laChiesa dovrebbe impegnarsi a insegnarci meglio avivere, pratiche e abitudini che abbiamo evitato ealle quali faremmo bene a ritornare?

WILLIAMS: Riguarda di nuovo il ritmo, no?Abbiamo perso il senso del creare un ritmo nelnostro incontro quotidiano con Dio. A voltepensiamo che il vero incontro con Dio debbaessere eccezionale, eccitante, diverso, dramma-tico, e non pensiamo ad esso come a un sem-plice essere presenti, ovvero a un semplice es-sere presenti nel senso di aprire la Bibbia, reci-tare un Salmo. Semplicemente essere presentinella quiete che dedichiamo a Dio. Abbiamobisogno di formazione in queste cose. Abbia-mo bisogno di incoraggiamento per svilupparequeste abitudini, anche se sono terribilmentesemplici.

ROBINSON: Trovo che molte Chiese prote-stanti provino imbarazzo per cose che sonotradizionali. C’è la sensazione che quando lecose generazionalmente invecchiano, perdonod’importanza. Il caos creato in molte Chieseda questa ansia è ben noto. Una tra le cosepiù importanti che le Chiese devono dire allepersone è che esse fanno parte del flussodell’umanità, che se si ascolta attentamente sipuò sentire qualcosa che è stato detto 500 annifa e lo si percepisce come vero nel midollodelle proprie ossa. Non occorre rottamare glisplendidi inni e le splendide articolazioni.Non si tratta solo del fatto che questo com-porta una grande perdita, ma è anche una sor-ta di falsa rappresentazione di ciò che siamo,ovvero di ciò che chiunque di noi è, ossia unmembro di una generazione che avrà una sto-ria e passerà e che sarà sostituita da altre gene-razioni per le quali varranno tutte le stesse co-se.

Ogni famiglia, ogni paese ha una storia complica-ta; non esiste una storia facile. Come possiamo ri-cordare il bene, senza essere troppo selettivi riguar-do alle cose importanti e dimenticare quelle nega-tive, ma anche senza permettere alle dimensioninegative della storia di portarci a provare disprez-zo per la storia?

WILLIAMS: «La verità vi farà liberi», ha det-to qualcuno. E accettare la verità della storiamista che tutti noi abbiamo come comunità eindividui è una chiave anche solo per crescere.Significa che guardo al mio io passato e pen-so: “Come posso aver pensato ciò? Come pos-so aver fatto questo?”. Ma l’ho fatto ed è partedi me, ed è parte di ciò che Dio vede, ed èparte di ciò con cui Dio lavora. Solo se vieneportato alla luce è possibile lavorarci piena-mente. E lo stesso vale se guardiamo indietro.Invece di dire semplicemente: “Come possonoaver pensato ciò? Come possono aver fattoquello in un’epoca passata?” — di essere sprez-zanti verso il passato — dovremmo dire: “Bene,come me erano persone con prospettive par-ziali, una comprensione parziale, e hanno fattodel loro meglio e l’hanno fatto male comeme”. E portando questo alla luce e riconoscen-do questo su di loro e con loro: penso che siacosì che possiamo vivere effettivamente nellacomunione dei santi. Siamo grandi snob cro-nologici, no? Amiamo pensare quanto erano

stupidi coloro che ci hanno preceduto, senzarenderci conto che questo, ovviamente, signifi-ca che chi verrà dopo di noi ci considererà al-trettanto stupidi.

ROBINSON: Dobbiamo guardare di più a ciòche ha un valore davvero inequivocabile traquello che abbiamo ricevuto. I fondatori delWheaton College e di chissà quanti altri colle-ge sono gli abolizionisti. Era un movimentomolto esteso, mentre ora è dimenticato. Tutta-

via, ognuno di noi si sente fortunato a trovarsiin un luogo simile e a sapere che ci sono postianaloghi in tutto il paese. Le persone hannocreato questi luoghi intenzionalmente. Li han-no creati con intenzioni che erano forse più al-te delle nostre. Le loro intenzioni hanno soste-nuto queste istituzioni e noi viviamo in esse.Abbiamo la tendenza a dire di un personaggiodel passato: “Beh, sembrava una persona mol-to idealista, ma di fatto...”. È come se il “madi fatto” cancellasse il “era una persona brava,produttiva in quel ruolo nella sua vita”. Siamobrutali. Dobbiamo tutti sperare che Dio siamolto più gentile di quanto siamo noi, e smet-tere di essere tanto ansiosi di scovare le cosepiù negative che si possano dire di una perso-na, e avere la buona grazia di riconoscere checi sono state date cose straordinarie. Smetteredi cercare modi per sottovalutare. Essere con-sapevoli, essere decisi nell’apprezzare ciò che èchiaramente buono e ricordare sempre che èbuono secondo il disegno di qualcuno, comeconseguenza di una qualsiasi quantità di colla-borazione. Abbiamo l’abitudine di pensare chesolo il cinismo sia onesto, e questa è una ceci-tà terribile.

Se poteste tornare al vostro io ventenne e darviun consiglio che si applicasse ad esso, che cosa di-re s t e ?

ROBINSON: Ero una ventenne davvero noio-sa. Fondamentalmente rimanevo nella miastanza al college e leggevo libri. Onestamente,non riesco a rammaricarmene nemmeno perun istante.

WILLIAMS: Penso che probabilmente direi almio io ventenne: “Sii meno ansioso, più gra-to”. Essere grato: penso che probabilmente siaquesto il principio di ogni saggezza. Non sonocerto che a vent’anni fossi abbastanza gratoper il mondo in cui vivevo e le persone concui stavo.

#culture

Clay Roderyillustrazione per «The Atlantic»

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«Aguardarla, questa cittadina non è che un grap-polo di case raccolte lungo poche strade, unapiccola schiera di edifici di mattoni con nego-zi, un silo per cereali e un serbatoio idrico conla scritta “Gilead” sul fusto, e l’ufficio postalee le scuole e i campi da gioco e la vecchia sta-zione ferroviaria, che ormai è bell’e copertad’erbacce. Ma che aspetto aveva la Galilea?L’aspetto di un posto non ci dice un granche».

Gilead è una piccola città dello stato delloIowa nel centro degli Stati Uniti, come diconogli americani, in the middle of nowhere ed è il ti-tolo del romanzo di maggior successo dellascrittrice Marilynne Robinson che ha vinto ilPremio Pulitzer inaugurando una “saga” conun seguito, Casa, e un terzo episodio, Lila,tutti ambientati nella stessa tranquilla cittadi-na. In questo sfondo apparentemente poco si-gnificativo, proprio come la Galilea polverosaperiferia ai margini dell’impero romano, sisvolge la vicenda raccontata che vede protago-nista John Ames, il pastore protestante di Gi-lead. È un uomo anziano che in tarda età haricevuto il dono di un figlio e a questo ragaz-zo scrive una lunga lettera-testamento checoincide con il romanzo stesso.

La Robinson con Gilead si muove negli am-bienti e nelle atmosfere dei racconti di Flanne-ry O’Connor, la narratrice cattolica morta pre-maturamente nel 1964: predicatori protestantinelle desolate regioni degli stati del centro-suddegli Stati Uniti durante gli anni Cinquanta,ma gli effetti sono molto diversi. C’è una mitedolcezza e uno spirito contemplativo nel ro-manzo della Robinson perché, scrive: «È unpianeta interessante, il nostro. Merita tuttal’attenzione che gli puoi dedicare», una dol-cezza che manca del tutto ai ruvidi raccontibrevi e pieni di colpi di scena della O’C o n n o r,anche se in fondo tutte e due le scrittrici rac-contano la drammatica lotta tra Bene e Maleche si svolge nel turbolento paesaggio del cuo-re umano. «Ogni storia, anche un romanzac-cio o una novelletta da quattro soldi» ha scrit-to G.K. Chesterton, «ha qualche cosa che ap-partiene all’universo. Ogni storia, per quantobreve, comincia con la creazione e termina conil giudizio finale». Viene in mente il capolavo-ro di Terrence Malick, L’albero della vita, unarivisitazione del racconto di Giobbe ambienta-to in un piccolo paese del Texas dentro peròuna cornice che parte dalla Genesi e arrivaall’Ap o c a l i s s e .

Quando ho finito di leggere Gilead ho ri-pensato all’affermazione di Andrej Tarkovskij

«L’arte esiste perché il mondo è imperfetto.L’arte sarebbe inutile se il mondo fosse perfet-to». Quello della Robinson è uno sguardo dichi vede il mondo imperfetto, ma senza la se-verità del giudice quanto piuttosto con la dol-cezza di chi è stato ammaestrato dalle ferite diquesta vita imperfetta. L’esperienza della lettu-ra di questo romanzo assomiglia a una lunga“riabilitazione alla vita”, che poi è la stessaesperienza che vive il protagonista, JohnAmes: un percorso di lenta, faticosa, guarigio-ne dal rischio dell’aridità, del rimorso, del rim-pianto e dell’incapacità a perdonare e perdo-narsi. In una lettera del 1944 lo scrittore ingle-se J.R.R. Tolkien afferma che l’uomo può es-sere redento in ossequio alla natura, da un rac-conto, un racconto commovente. Ed è la com-mozione il sentimento che prova il lettore diGilead: qualcosa lo ha commosso, “mosso in-sieme” all’autore e ai suoi personaggi condu-cendolo non sa bene dove, ma alla fine, purcontando le ferite dovute alle asperità del per-corso, in una condizione più lieta, più ricca disperanza, una speranza fondata sul riconosci-mento di essere amato da qualcuno, amato dipiù, e gratuitamente.

Gratuità da cui nasce gratitudine. Scrive alfiglio il padre-pastore John Ames: «Non avreimai immaginato di avere una moglie né tantomeno di vederla adorare un figlio mio. Questofatto mi sorprende ancora ogni volta che cipenso. Sto scrivendo questo anche per dirtiche se mai ti chiederai che cosa hai fatto nellavita, e prima o poi tutti se lo chiedono, ebbe-ne, sei stato la grazia di Dio per me, un mira-colo, anzi più di un miracolo. Forse non ti ri-cordi bene di me, e forse non ti sembrerà unagran cosa essere stato il bravo figlio di un vec-chio in una misera cittadina da cui sicuramentete ne andrai. Se solo riuscissi a trovare le paro-le per dirlo. Al sole, i capelli di un bambinosono pieni di riflessi (...) Tutto questo va be-nissimo, ma io ti amo soprattutto perché esisti.Secondo me l’esistenza è la cosa più straordi-naria che si possa immaginare».

La contemplazione estatica della bellezzadel mondo visto come dono gratuito non siesaurisce in se stessa, ma genera azione, susci-ta il senso della responsabilità: «Adesso, nellamia attuale condizione, adesso che sono inprocinto di lasciare questo mondo, mi rendoconto che non c’è nulla di più straordinario diun viso umano. Ha a che fare con l’incarna-zione. Quando hai visto un bambino e lo haitenuto in braccio ti senti obbligato nei suoiconfronti. Ogni volto umano esige qualcosa date, perché non puoi fare a meno di capire lasua unicità, il suo coraggio e la sua solitudine.E questo è ancora più vero nel caso del viso diun neonato. Considero quest’esperienza unasorta di visione, altrettanto mistica di tante al-tre. (...) Questa è una cosa importante, che hodetto a molte persone, e che mio padre disse ame, come il suo a lui. Quando incontri un’al-tra persona, quando hai a che fare con unapersona qualsiasi, è come se ti venisse postauna domanda. Allora devi pensare: Che cosami chiede il Signore in questo momento, inquesta situazione?».

Questa è la domanda sottesa a questo libro,ma forse a tutti i grandi romanzi della lettera-tura.

Quella lottafra bene e maleche divampanel cuore

Fe d ee immaginazione:Ma r y l i n n eRobinson

#culture

di ANDREA MONDA

Robinson ritrattada Ryan McAmis(«New Statesman», 2018)

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8#scaffale

NNovant’anni di vita alle spalle, e davanti a sél’immortalità letteraria, devono essere pensieritormentosi per uno scrittore come Milan Kun-dera. Considerato da molti il più grande ro-manziere vivente, benché la sua produzionesia andata rarefacendosi, sempre più lontanadalla memorabile vena narrativa dei libri fa-mosi, sempre più prigioniera delle sue senten-ziose costruzioni filosofiche, Kundera comin-cia ad apparirci un po’ icona di se stesso, mo-dello di artista scontroso, aristocratico, refrat-tario alla pubblicità quanto, dall’altra partedell’oceano, lo è stato Salinger.

Tuttavia i temi dello scrittore ceco continua-no a parlarci e interrogarci. La censura totali-taria, gli scherzi della memoria, le volgarità delpresente, e soprattutto il mistero del rapportofra uomo e donna ci vengono riproposti aogni nuova lettura delle sue opere. Oggi, alcompimento del novantesimo compleanno,uno di essi merita particolare attenzione: quel-lo dell’immortalità. Kundera ha intitolato cosìuno dei suoi famosi saggi-romanzi, dove inda-ga da una prospettiva esclusivamente laica, edunque terrena, la inesauribile ricerca umanadi qualcosa che permetta di sopravvivere a sestessi.

Ne L’immortalità Kundera si sforza di darforma al concetto, fuggevolmente, cogliendolonel gesto di una donna anziana che per un at-timo appare ancora giovane, o nella fantasiache suscita in lui il nome di una sconosciuta.Ma molto più diffusamente il pensiero dell’im-mortalità gli si presenta sotto forma di proie-

cinata del decesso accentua in forma ossessivail desiderio di sopravvivenza.

Più avanti, osserva, si prospetta una terzastagione finale dell’esistenza, in cui insiemeall’affievolirsi delle forze fisiche le ambizionidi immortalità si estinguono, e allora ci si ac-contenta di ammirare in silenzio l’incanto del-la natura: un’alba o le fronde rigogliose di unpioppo. È quest’ultima, evidentemente, la fasedella vita che oggi attraversa Kundera, e nonsappiamo quali pensieri susciti in lui. Proba-bilmente riflette sulle varie definizioni che hadato in passato ai vari tipi di gloria postuma.La “piccola immortalità” di chi si accontentad’essere ricordato da familiari e amici; quella“grande” riservata ad artisti e condottieri;quella “ridicola” che perseguita le vittime diincidenti banali (come Robert Musil che morìfacendo ginnastica in camera sua). O quella“casuale”, legata a una coincidenza imprevedi-bile, che a suo tempo gli ispirò la trama de Loscherzo. O magari l’immortalità “a breve sca-

Charles Paul Landon, «Dedalolancia il figlio Icaro» (1799)

L’insostenibileleggerezza dei novanta

di DARIOFERTILIO

zione narcisistica nel futuro, di gloria letterariapostuma, magari paragonabile a quelle diGoethe e di Hemingway (che lui immagina in-contrarsi in un ipotetico aldilà). Questo temaevidentemente perseguita Kundera, dal mo-mento che sente la necessità di fissarlo — ladefinizione è sua — al “quadrante della vita”.C’è un periodo, afferma, in cui la morte è unpensiero troppo lontano per destare interesse;seguito da un altro in cui la prospettiva ravvi-

denza”, dovuta alla fragilità della memoria edei sentimenti, come ne Il libro del riso e del-l’oblio. Quale che sia tra queste la sua predilet-ta, non può che rimandare all’altra, radicale eassoluta, metafisica, sempre sfiorata e mai af-frontata a fondo nelle sue opere. Ma senza laquale anche il mito dell’abbandono spensiera-to al presente per coglierne l’attimo fuggentegli si rivela come un’illusione: L’insostenibileleggerezza dell’e s s e re .

Il compleannodi Milan Kundera

e il temadell’immortalità

nello scrittore ceco

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Vi do il benvenuto e ringrazio il Presidente perle cortesi parole con cui ha introdotto questoincontro. Vi ringrazio anche per la generosaofferta che avete fatto alla Elemosineria Apo-stolica, quale contributo per sovvenire ai tantibisognosi. Questo mi dà lo spunto per iniziareil mio colloquio con voi da questa prospettiva.

Il nostro tempo si caratterizza per lo svilup-po sempre più rapido di sofisticate tecnologiee per il progresso della ricerca scientifica neipiù diversi ambiti. Questo potrebbe lasciarsupporre che la scienza, la tecnica e la liberainiziativa dei singoli siano in grado di dare ef-ficace risposta alle diverse necessità della per-sona e della società e di impedire il sorgere diogni marginalità, dando vita a una società ar-moniosa, priva di sacche di povertà e di esclu-sione.

La realtà invece rimane più complessa.All’aumento delle opportunità fa riscontro unparallelo aumento di bisogni da soddisfare, dicampi in cui intervenire con sollecitudine, diproblematiche che meritano considerazione,con l’impiego di ingenti energie e risorse perl’individuazione di possibili soluzioni.

Accanto ai benefici e ai positivi sviluppi chesi registrano in diversi settori, rimangono — eanzi a volte aumentano — squilibri e margina-lità, che hanno bisogno dell’impegno intelli-gente e solidale di tutti per essere adeguata-mente affrontati. Si richiede, a tale scopo, sial’opera di gruppi e associazioni della societàcivile, sia la consapevole e costante azione deidifferenti livelli nei quali si costituiscono ipubblici poteri.

Le Province sono espressione di uno di que-sti livelli nei quali si strutturano i pubblici po-teri, e sono cariche di storia. Esse infatti na-scono dall’aggregazione di territori con un tes-suto storico e culturale omogeneo, che ne spie-ga la longevità e l’idoneità a rappresentare unnecessario polo amministrativo, pur nel mutaredelle caratteristiche, dei poteri specifici e an-che delle diverse modalità di scelta dei suoiamministratori. Esse, promuovendo la tuteladelle istanze locali presso il Governo, il Parla-mento e le forze economiche e sociali, costitui-scono un elemento di raccordo e di stimoloper una più incisiva azione a favore dei biso-gni più avvertiti dalle comunità locali.

Gli ambiti nei quali attualmente le Provincein Italia dispiegano le loro competenze sonoprincipalmente quello della cura degli inter-venti a difesa del suolo e del consolidamentodelle aree a rischio, quello della viabilità diuna capillare rete stradale che collega tra loropiccoli e piccolissimi centri con le città piùgrandi, e quello della gestione delle scuole se-condarie superiori, assicurandone sicurezza efunzionalità. Si tratta, a ben vedere, di compitiche, pur esplicandosi in settori distinti, si pre-figgono in definitiva il medesimo fine: assicu-rare che le condizioni ambientali del territorio

come quelle delle strade e delle scuole non sideteriorino per trascuratezza, per mancanzadella necessaria manutenzione, per indolenzanell’adottare i provvedimenti indispensabili adevitare il degrado ambientale o strutturale ed ipericoli che a questo sono connessi.

Questa complessiva azione presuppone unacapacità progettuale, un costante impegno eun’adeguata disponibilità delle risorse necessa-rie ad espletarne regolarmente i compiti. Tut-tavia, affinché questo possa realizzarsi, occorrepromuovere e diffondere una più acuta e con-sapevole sensibilità ambientale. Occorre chesia sempre più avvertita, tanto dai singoli citta-dini quanto dai loro rappresentanti nelle istitu-zioni, l’importanza della cura della casa comu-ne intesa in tutti i suoi risvolti.

Ciò consentirà anche di individuare maggio-ri mezzi da destinare alla cura del territorio ealla manutenzione degli edifici, vedendo inquesto non tanto un onere da sopportare, mapiuttosto un’occasione di sviluppo concreta ereale. Per un effettivo miglioramento dellaqualità della vita, per evitare possibili drammie i loro enormi costi umani ed economici, con-seguenza dell’incuria o di imprevidenza, e perassicurare durature prospettive di sviluppo so-stenibile, è necessario considerare l’opera dimanutenzione e di messa in sicurezza dellescuole, delle strade e dell’ambiente come unadelle questioni centrali alle quali riservare tuttal’attenzione che merita e richiede.

Le Province, proprio per la loro lunga sto-ria, per la tendenziale omogeneità dei loro ri-spettivi territori e per il profilo delle compe-tenze di cui dispongono, sono particolarmenteconsapevoli di tutto questo.

Voi ben sapete la rilevanza che assume peril bene comune l’implementazione di progettie di politiche che, anziché favorire l’abbando-no o il saccheggio del territorio, sono finaliz-zate a una sua attenta cura e a metterne in lu-ce potenzialità e specifiche caratteristiche, sen-za tuttavia dare il via a stravolgimenti ambien-tali o allo sfruttamento indiscriminato di risor-se paesaggistiche e storico-ambientali. Voi benconoscete l’importanza di scuole e strade sicu-re per il regolare procedere della vita civile ecome indispensabile sfondo di ogni ordinatosviluppo. Voi conoscete quanto consistentepossa essere il risparmio e il conseguente van-taggio economico per una comunità se essatrova la saggezza di investire denaro e risorseumane per prevenire dissesti, disfunzioni e de-grado. Non posso perciò che augurare a tuttivoi di proseguire con coraggio e determinazio-ne nel vostro lavoro, in modo da fare delleProvince un presidio e un centro propulsore diuna mentalità che sappia porsi l’obiettivo diuno sviluppo veramente sostenibile, inserendo-si in armonia nell’immensa rete di relazioni edi realizzazioni create dalla natura, dalla sto-ria, dal lavoro e dall’ingegno delle generazioniche ci hanno preceduto.

Per uno svilupposostenibile

Ai presidentidell’Unione

Province d’Italia

#francesco

«Occorre promuovere e diffondereuna più acuta e consapevolesensibilità ambientale».È la raccomandazione rivoltada Papa Francesco ai presidentidell’Unione Province d’Italiaricevuti in udienza nella SalaClementina la mattinadi sabato 27 aprile

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La vostra riflessione si è sviluppata attorno adue parole: Bibbia e vita. Anch’io vorrei dirviqualcosa su questo binomio inscindibile. «Laparola di Dio è viva» (Eb 4, 12): non muore enemmeno invecchia, rimane per sempre (cfr. 1Pt 1, 25). Resta giovane al cospetto di tutto ciòche passa (cfr. Mt 24, 35) e preserva chi lamette in pratica dall’invecchiamento interiore.È viva e dà vita. È importante ricordare che loSpirito Santo, il Vivificatore, ama operare at-traverso la Scrittura. La Parola porta infatti nelmondo il respiro di Dio, infonde nel cuore ilcalore del Signore. Tutti i contributi accademi-ci, i volumi che si pubblicano sono e non pos-sono che essere al servizio di questo. Sono co-me legna che, faticosamente raccolta e assem-blata, serve a riscaldare. Ma come la legnanon produce calore da sé, così nemmeno i mi-gliori studi; serve il fuoco, occorre lo Spiritoperché la Bibbia arda nel cuore e diventi vita.Allora la buona legna può essere utile per ali-mentare questo fuoco. Ma la Bibbia non è unabella raccolta di libri sacri da studiare, è P a ro -la di vita da seminare, dono che il Risortochiede di accogliere e distribuire perché ci siavita nel suo nome (cfr. Gv 20, 31).

Nella Chiesa la Parola è un’insostituibileiniezione di vita. Per questo sono fondamentalile omelie. La predicazione non è un eserciziodi retorica e nemmeno un insieme di sapientinozioni umane: sarebbe solo legna. È invececondivisione dello Spirito (cfr. 1 Cor 2, 4), del-la Parola divina che ha toccato il cuore delpredicatore, il quale comunica quel calore,quella unzione. Tante parole affluiscono quoti-dianamente alle nostre orecchie, trasmettendoinformazioni e dando molteplici input; tante,forse troppe, al punto da superare spesso lanostra capacità di accoglierle. Ma non possia-mo rinunciare alla Parola di Gesù, all’unicaParola di vita eterna (cfr. Gv 6, 68), di cui ab-biamo bisogno ogni giorno. Sarebbe bello ve-der fiorire «una nuova stagione di più grandeamore per la sacra Scrittura da parte di tutti imembri del Popolo di Dio, cosicché… si ap-profondisca il rapporto con la persona stessadi Gesù» (Verbum Domini, 72). Sarebbe belloche la Parola di Dio diventasse «sempre più ilcuore di ogni attività ecclesiale» (Evangeliigaudium, 174); il cuore pulsante, che vitalizzale membra del Corpo. È desiderio dello Spiri-to plasmarci come Chiesa “f o r m a t o - Pa ro l a ”:una Chiesa che non parli da sé o di sé, ma cheabbia nel cuore e sulle labbra il Signore, chequotidianamente attinge dalla sua Parola. Latentazione è invece sempre quella di annuncia-re noi stessi e di parlare delle nostre dinami-che, ma così non si trasmette al mondo la vita.

La Parola dà vita a ciascun credente inse-gnando a r i n u n c i a re a sé stessi per a n n u n c i a reLui. In questo senso agisce come una spadatagliente che, entrando in profondità, discernepensieri e sentimenti, porta alla luce la verità,ferisce per risanare (cfr. Eb 4, 12; Gb 5, 18). LaParola porta a vivere in modo pasquale: comeseme che morendo dà vita, come uva che at-traverso il torchio dà vino, come olive chedanno olio dopo essere passate nel frantoio.Così, provocando radicali doni di vita, la Pa-rola vivifica. Non lascia tranquilli, mette in di-scussione. Una Chiesa che vive nell’ascoltodella Parola non è mai paga delle proprie sicu-rezze. È docile alla novità imprevedibile delloSpirito. Non si stanca di annunciare, non cedealla delusione, non si arrende nel promuoverea ogni livello la comunione, perché la Parolachiama all’unità e invita ciascuno ad ascoltarel’altro, superando i propri particolarismi.

La Chiesa che si nutre della Parola, dunque,vive per a n n u n c i a re la Parola. Non si parla ad-dosso, ma si cala nelle strade del mondo: nonperché le piacciano o siano agevoli, ma perchésono i luoghi dell’annuncio. Una Chiesa fede-le alla Parola non risparmia il fiato nel procla-mare il kerigma e non si aspetta di essere ap-

prezzata. La Parola divina, che esce dal Padree si riversa nel mondo, la spinge fino agliestremi confini della terra. La Bibbia è il suomiglior vaccino contro la chiusura e l’auto con-servazione. È Parola di Dio, non nostra, e cidistoglie dallo stare al centro, ci preservadall’autosufficienza e dal trionfalismo, ci chia-ma continuamente a uscire da noi stessi. LaParola di Dio possiede una forza centrifuga,non centripeta: non fa ripiegare all’interno, maspinge all’esterno, verso chi non ha ancoraraggiunto. Non assicura tiepidi conforti, per-ché è fuoco e vento: è Spirito che incendia ilcuore e sposta gli orizzonti, dilatandoli con lasua creatività.

Bibbia e vita: impegniamoci perché questedue parole si abbraccino, perché mai una stiasenza l’altra. Vorrei concludere come ho inizia-to, con un’espressione dell’Apostolo Paolo, cheverso il termine di una lettera scrive: «Per ilresto fratelli, pregate». Come lui, anch’io chie-do a voi di pregare. Ma san Paolo specifica ilmotivo della preghiera: «Perché la parola delSignore corra» (2 Ts 3, 1). Preghiamo e diamo-

ci da fare perché la Bibbia non resti in biblio-teca tra tanti libri che ne parlano, ma corraper le strade del mondo e si attendi dove lagente vive. Vi auguro di essere buoni portatoridella Parola, con lo stesso entusiasmo che leg-giamo in questi giorni nei racconti pasquali,dove tutti corrono: le donne, Pietro, Giovanni,i due di Emmaus… Corrono per incontrare eannunciare la Parola viva. Ve lo auguro dicuore, ringraziandovi per tutto quello che fate.

Parola vivache dà vita

Il discorsoalla Federazionebiblica cattolica

#francesco

Da 68 paesi

«La Parola di Dio ispiraguida e anima veramente lanostra vita?». È questa ladomanda fondamentaleposta alla base delcongresso biblicointernazionale convocato nelcinquantesimo anniversariodella fondazione dellaFederazione biblica cattolica(Fbc), i cui duecentopartecipanti provenienti da68 paesi nel mondo sonostati ricevuti da Francescovenerdì mattina, 26 aprile,nella Sala Clementina. Nelsalutarlo a nome loro, ilcardinale Tagle, presidentedella Fbc, ha cosìsintetizzato il tema delcongresso ispiratodall’esortazione apostolicapostsinodale Verbum Domini,e dalla costituzioneconciliare Dei Verbum: «LaParola di Dio ispira, guidae anima veramente la nostralettura del mondocontemporaneo, i nostriprogrammi di formazione,le nostre priorità pastorali?E ancora: le nostre strategie,l’uso che facciamo dellerisorse finanziarie, il nostroimpegno a rinnovarepolitiche e strutture, lanostra presenzamissionaria?». Ha aggiuntoil porporato: «Se la paroladi Dio non ispira tuttequeste azioni ecclesiali,allora cosa e chi le ispira?».È «lo Spirito di Gesù,parola di Dio fatta carne»,ha risposto, che «deveispirare tutto il nostrocammino pastorale e lanostra missione».

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Saluto tutti con affetto e in modo speciale voipersone sorde, i vostri famigliari e gli amicipresenti. Ringrazio la Presidente per le parolecon cui ha introdotto il nostro incontro.

Da alcuni anni la vostra Federazione aggre-ga alcune Associazioni che, sul territorio italia-no, si dedicano ad affrontare la cultura delloscarto, favorendo in tutti gli ambienti unamaggiore inclusione. Tale opera è necessaria,per assicurare migliore qualità di vita alla per-sona sorda e il superamento di questa disabili-tà valorizzando tutte le dimensioni, compresaquella spirituale, in una visione integraledell’uomo.

Le persone sorde vivono inevitabilmenteuna condizione di fragilità; e questo fa partedella vita e si può accettare positivamente. Ciòche invece non va bene è che esse, come tantealtre persone con capacità differenti e le lorofamiglie, vivono spesso situazioni di pregiudi-zio, a volte anche nelle comunità cristiane, cosìcome ha ricordato anche la Presidente. Le cit-tà, i paesi e le parrocchie, con i loro rispettiviservizi, sono chiamati a superare sempre più lebarriere che non permettono di cogliere la po-tenzialità della vostra presenza attiva, andandooltre il vostro deficit. Voi invece ci insegnateche solo abitando il limite e la fragilità si puòessere costruttori, insieme ai responsabili e atutti i membri della comunità civile e di quellaecclesiale, della cultura dell’incontro, in oppo-sizione all’indifferenza diffusa. Così si può mi-gliorare la società e la comunità e offrire anche

alle persone sorde una pienezza esistenzialeche tenga conto di tutti gli aspetti della vitanelle sue diverse fasi.

Più che mai nel contesto culturale e socialeodierno anche voi sordi siete un dono nellaChiesa: «In virtù del Battesimo ricevuto, ognimembro del Popolo di Dio è diventato disce-polo missionario. Ciascun battezzato, qualun-que sia la sua funzione nella Chiesa e il gradodi istruzione della sua fede, è un soggetto atti-

vo di evangelizzazione» (Esort. ap. Evangeliigaudium, 120). Pertanto, anche la presenza dipersone sorde tra gli operatori pastorali, natu-ralmente formate secondo le loro inclinazioni ecapacità, può realmente rappresentare una ri-sorsa e un’occasione di evangelizzazione. Au-spico vivamente che anche voi, sia come singo-le persone sia a livello associativo, possiatepartecipare in modo sempre più pieno alla vitadelle vostre comunità ecclesiali. Potrete così ri-scoprire e mettere a frutto i talenti che il Si-gnore vi ha donato, a beneficio delle famigliee di tutto il popolo di Dio.

La presenza di Dio non si percepisce con leorecchie, ma con la fede; pertanto vi incorag-gio a ravvivare la vostra fede per avvertiresempre più la vicinanza di Dio, la cui voce ri-suona nel cuore di ciascuno, e tutti la possonosentire. Potrete così aiutare quanti non “sento-no” la voce di Dio ad essere più attenti ad es-sa. Questo è un significativo contributo che lepersone sorde possono dare alla vitalità dellaChiesa.

Penso alle tante persone sorde in Italia e nelmondo. Specialmente a quelle che vivono incondizioni di emarginazione e di miseria. Pre-go per loro. E prego per voi perché possiateportare il vostro peculiare contributo nella so-cietà, essendo capaci di uno sguardo profetico,capaci di accompagnare processi di condivisio-ne e di inclusione, capaci di cooperare alla ri-voluzione della tenerezza e della prossimità.Anche nella Chiesa è necessaria la vostra pre-senza per contribuire a costruire comunità chesiano case accoglienti e aperte a tutti, a partiredagli ultimi.

Grazie per questa vostra gradita visita; vi in-coraggio a proseguire con gioia il vostro cam-mino e, mentre vi chiedo per favore di pregareper me, di cuore imparto la Benedizione apo-stolica.

No a barrieree pregiudizi

«Barriere» e «pregiudizi», ancheall’interno delle comunitàcristiane, condizionano spessola vita delle persone non udenti.Lo ha denunciato il Paparicevendo giovedì mattina,25 aprile, nella Sala Clementina,i membri della Federazioneitaliana associazioni sordi (Fias).

Alla Federazioneitalianaassociazioni sordi

#francesco

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il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 2 maggio 2019

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Il “b o om” africano

Le informazioni sviluppatein queste pagine sonofinalizzate a fornireun’analisi quantitativa digrande sintesi dei fenomeniche hanno riguardato laChiesa cattolica nel periodo2010-2017, con particolareriferimento alladistribuzione territoriale deicattolici battezzati nelmondo, all’evoluzionedell’offerta di servizipastorali, allaconcentrazione delle diversecategorie di operatoripastorali sul territorio e allepotenzialità di rinnovodell’attività pastorale daparte dei seminaristimaggiori.La popolazione cattolicamondiale è cresciuta fra il2010 e il 2017 del 9,8 percento, passando da circa1.196 milioni nel 2010 a 1.313milioni nel 2017. Questoincremento è da ascriversi inmaniera differenziata allediverse situazionicontinentali. Si registranotassi di crescita superiori aldato mondiale in Africa(26,1%), in Asia (12,2%) e inOceania (12,4%), mentrenelle altre due ripartizionigeografiche i tassi divariazione sono compresi trail valore minimo di +0,3%dell’Europa e quello di +8,8per cento dell’America.Nel rapporto tra il 2017 e il2016, indici positivi deltasso di crescita dei cattolicicaratterizzano tutte leripartizioni territoriali:rispetto al dato mondialedell’1,1 per cento, i tassi divariazione in Africa e inAsia raggiungonorispettivamente il 2,5% el’1,5%; l’Europa è il solocontinente ad avere untrend quasi nullo (0,1%)mentre per l’America il tassodi crescita (0,96%) si attestaal di sotto di quellomondiale.

LIn crescita la popolazione

cattolica mondiale

Un’analisiquantitativadella realtà

della Chiesatra il 2010

e il 2017

Domenica delle palme in India (Ap)

#copertina

a distribuzione dei cattolici fra i conti-nenti differisce nel 2017 notevolmente daquella della popolazione. L’Americamantiene quanto a popolazione, un’inci-denza sul totale planetario pari al 13,5%;di contro i cattolici raggiungono il48,5%. In Asia l’incidenza dei cattolici èdell’11,1%, ma essa è notevolmente infe-riore a quella che il continente ha perquanto riguarda la popolazione mondia-le (59,8%). L’Europa ha un peso per lapopolazione inferiore di quasi quattropunti percentuali a quello dell’America,ma la sua incidenza nel mondo cattolicoè quasi la metà di quella dei paesi ame-ricani (21,8%). Tanto per i paesi africaniquanto per quelli oceanici il peso dellapopolazione sul totale mondiale è pocodissimile da quello dei cattolici (17% e0,8%, rispettivamente per l’Africa eO ceania).

Di particolare interesse appare la let-tura dei dati per continente del numerorelativo dei cattolici rispetto alla popola-zione. Questi valori evidenziano al 2017,ma quelli dell’anno precedente risultanosostanzialmente simili, come la presenzadei cattolici sia differenziata nelle variearee geografiche: si va da un 63,8% dicattolici presenti nella popolazionedell’America, al 39,7% in quella europea,fino al 3,3% in quella asiatica. Risulta diqualche rilievo sottolineare come l’a re aamericana sia in sé molto differenziata:se nel Nord America la percentuale dicattolici è solo del 24,7%, in quella Cen-tro Continentale e Antille (84,6%) e inquella del Sud (86,6%) la presenza dicattolici appare ben più cospicua.

Il risultato complessivo di queste di-namiche differenziate, sia per quanto ri-guarda gli aspetti demografici che la dif-fusione relativa di cattolici, conferma,per l’arco temporale considerato, l’a c c re -sciuto peso del continente africano (i cuicattolici salgono dal 15,5% a quasi il17,8% di quelli mondiali) e il netto calodi quello europeo, per il quale la per-centuale è scesa dal 23,8% del 2010 ameno del 22% del 2017. Per l’America sipuò parlare di consolidamento in positi-vo: ormai quasi la metà dei cattolici nelmondo appartiene a quel continente.

In linea con l’evoluzione geograficadella presenza di cattolici nel mondo, siregistra un adeguamento delle struttureterritoriali della Chiesa necessarie all’ef-fettiva fruizione dell’offerta dei servizipastorali. Quanto appena detto trovaconferma nella distribuzione geograficadelle circoscrizioni ecclesiastiche passateda 2.966 nel 2010 a 3.017 nel 2017, conun incremento di 1,7%. Nel dettaglio, ilmaggior aumento si registra in Africa(da 525 a 541 unità, pari al 3%), seguitoda Asia con un aumento attorno al2,3%, mentre in Europa il numero dellecircoscrizioni ecclesiastiche (759 unitànel 2017) è cresciuto di appena 1,2%.

Oltre alle strutture necessarie alla frui-zione dei servizi pastorali, si può oraanalizzare la dinamica di alcune forze diapostolato, nell’ordine vescovi, sacerdoti,diaconi permanenti, religiosi professi

non sacerdoti, religiose professe, membridi istituti secolari, missionari laici e cate-chisti. Il complesso di tali operatori am-monta a fine 2017 a 4.666.073 unità, conun calo di poco meno del 2% rispetto al2010. La ripartizione tra le diverse com-ponenti è abbastanza difforme da conti-nente a continente. Nella media mon-diale, il rapporto percentuale tra l’insie-me dei chierici e il totale delle forze diapostolato risulta alla fine del 2017 del10%, con i valori inferiori in Africa(6,4%) e in America (8,4%) mentre con ivalori superiori in Europa (19,3%) e inOceania (18,2%). In Asia la percentualeè prossima a quella mondiale (10,4%).

Il numero dei vescovi nel mondo, trail 2010 e il 2017, è aumentato del 5,6%,passando da 5.104 a 5.389 unità, con unincremento marcato in America (6,7%),mentre in Africa (3,6%) e in Europa(5,2%) i valori si collocano sotto la me-dia. A fronte di tali dinamiche differen-ziate la distribuzione dei vescovi percontinente è rimasta sostanzialmente sta-bile nell’arco temporale considerato, conuna maggiore concentrazione sul totalein America e in Europa, che da sole rap-presentano quasi il 70 per cento. InAfrica, dove la presenza di vescovi è an-data aumentando in modo contenuto, laquota dei vescovi sul totale mondialescende dal 13,7% nel 2010 al 13,4% nel2 0 1 7.

Il numero complessivo dei sacerdotisecolari e religiosi è alla fine del 2017 pa-

ri a 414.582. Rispetto all’anno preceden-te, quando il numero dei sacerdoti risul-tò di 414.969, vi è stato un calo di 387unità. Questo vale a livello planetario inquanto per i singoli continenti le dina-miche sono differenziate. A fronte di si-gnificativi incrementi per l’Africa e perl’Asia, dove si registra un +2,6% e un+2,2%, rispettivamente, e a una quasistazionarietà per l’America, si pone l’Eu-ropa con un calo dell’1,7% e l’O ceaniacon un -2,1%.

Da un esame di più lungo periodoemerge in maniera netta l’evoluzione diquesto fenomeno.

A partire dal 2010 la consistenza deisacerdoti ha presentato nel contestomondiale delle sostanziali variazioni: si èosservata cioè dapprima una crescita cheha toccato il massimo nel 2014 (e rispet-to al quale il valore iniziale del 2010 erainferiore dello 0,86%) e poi un costantecalo che nel 2017 fa raggiungere un valo-re inferiore dello 0,3% rispetto alla pun-ta più alta. Da una tale descrizione sem-brerebbe si stia attraversando un perio-do di crisi e che la popolazione sacerdo-tale dell’ultimo triennio sia caratterizzatada un trend di lenta decrescita inaugura-to nel 2014. Tuttavia una prima somma-ria analisi territoriale svolta a livello di

subcontinenti mostra che i comporta-menti locali sono profondamente diffe-renziati tra loro, sicché l’evoluzione dellapopolazione sacerdotale nel mondo pre-sa da sola cela una realtà multiforme edensa di significato. Già, infatti, se siconsidera a parte la sola Africa si rilevache nel periodo considerato il numerodei sacerdoti è andato via via semprecrescendo, realizzando tra il 2010 e il2017 un incremento di 23,7%, essendo ilnumero dei sacerdoti passato da 37.527nel 2010 a 46.421 nel 2017.

L’America per tutto il periodo si man-tiene pressoché stazionaria, ma passandoalle varie partizioni del continente si no-tano stridenti disparità: nell’America delNord si assiste a una continua decrescitache si concreta in un calo del 9%.Nell’America Centro Continentale, nelleAntille e in quella Meridionale, l’anda-mento è immune da crisi ed è costante-mente crescente, in modo tale che per itre subcontinenti i valori del 2017 supe-rano rispettivamente di 7,2%, di 10,6% edi 5,3% i valori iniziali. Nel Mediooriente l’andamento ha seguito fino al2017 una chiara decrescita; viceversa nel-la rimanente Asia Sud Orientale enell’intero periodo di osservazione, si as-siste a una crescita costante e significati-va che porta il 2017 a un livello superio-re di 19% rispetto a quello del 2010.Aspetti simili all’America del Nord si ri-scontrano in Europa e in Oceania. Nellaprima il calo per tutto il periodo è stato

dell’8,7% e per l’Oceania il dato del 2017è inferiore di 4% rispetto a quello del2010.

Una variabilità ancora più marcataemerge se si opera la distinzione tra sa-cerdoti diocesani e sacerdoti religiosi.Mentre il numero dei primi nel pianetaè passato da 277.009 nel 2010 a 281.810nel 2017, manifestando quindi una cre-scita dell’1,7%, quello dei sacerdoti reli-giosi appare in costante declino: erano,infatti, 135.227 nel 2010, scendono a132.772 sette anni più tardi.

La popolazione dei diaconi perma-nenti, sia diocesani che religiosi, conti-nua a mostrare un trend di crescita ele-vato anche nel 2017: il numero, infatti,aumenta in questo anno dell’1,3% rispet-to al dato del 2016. I diaconi costitui-scono il gruppo di operatori pastorali inpiù forte evoluzione nel corso del tem-po: 39.564 nel 2010 raggiungono le46.894 unità nel 2017, con una variazio-ne relativa di +18,5%. Se l’aumento si èmanifestato ovunque, tuttavia, i ritmi diaccrescimento permangono diversi fra levarie aree continentali: in Europa il loroaumento è significativo, essendo passatiin sette anni da 13.151 a 14.819. Anche inAmerica la dinamica è sostenuta: nel2010 questo continente ne contava25.441, mentre nel 2017 il numero sale a30.813 unità. Si sottolinea che questa fi-gura di operatori è fortemente concen-trata e polarizzata dal punto di vista ter-ritoriale. In America (specialmente quel-la del Nord) e in Europa si concentranel 2017 oltre il 97% dei diaconi mondia-li, mentre è scarsa la presenza in Africa,in Asia e in Oceania: questi continentirappresentano insieme appena il 3% del-la consistenza globale. Nonostante laforte espansione nel corso del tempo ditale categoria di operatori pastorali, laloro opera di coadiuvare i sacerdotinell’espletamento dell’esercizio a favoredei fedeli cattolici presenti sul territoriorimane ancora contenuta. Nel mondo ladistribuzione dei diaconi ogni 100 sacer-doti presenti, infatti, è appena pari a11,3% nel 2017 e va da un minimo di 1diacono per 100 sacerdoti in Africa e inAsia a un massimo di 25 in America acausa della fortissima presenza dei dia-coni soprattutto nell’America del Nord.Per le altre aree il rapporto assume valo-re intermedio: 8,5% in Europa e 9,8% inO ceania.

Il gruppo dei religiosi professi non sa-cerdoti è andato riducendosi del 5,7%tra il 2010 e il 2017, essendo passati da54.665 a 51.535 unità. Il trend decrescen-te è comune ai vari continenti con l’ec-cezione di Asia e Africa dove si osserva-no variazioni di +16,6% e di +2,5%, ri-spettivamente. Nel 2017 il peso dei reli-giosi professi in questi due continentirappresenta complessivamente una quo-ta di oltre il 40% del totale (da menodel 35% nel 2010), superando così lapercentuale presente in America (28%).L’Europa (con una variazione di -15,9%nel periodo) risulta essere sempre il con-tinente con il maggior numero di profes-si non sacerdoti (14.865 unità nel 2017)

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con un peso relativo minore di quello riscon-trato all’inizio del periodo.

Le religiose professe rappresentano nel 2017complessivamente un gruppo di 648.910 unità,per il 35,7% presenti in Europa, seguitedall’Asia che raggiunge quasi le 173 mila unitàe dall’America che conta oltre 163 mila consa-crate. Rispetto al 2010, il gruppo registra a li-vello mondiale una flessione del 10,1%. Il caloriguarda tre continenti (America, Europa eOceania), con variazioni negative anche di ri-lievo (16,3% in America, 19,1% in Europa e19,4% in Oceania). In Africa e in Asia, invece,l’aumento è sostenuto, superiore all’11,5% peril primo e al 4,6% per il secondo. La crisi chenel corso degli anni ha interessato le religioseprofesse non accenna, quindi, ad attenuarsi edè utile notare, come risultato finale di questedinamiche territoriali differenziate, che la fra-zione delle religiose in Africa e in Asia sul to-tale mondiale passa dal 32,1 al 38,1 per cento,a discapito dell’Europa e dell’America la cuiincidenza si riduce nell’insieme dal 66,7% al60,8%.

Non è privo di interesse considerare le va-riazioni di altre categorie di operatori pastora-li, pure attive nell’azione di catechesi dellaChiesa Cattolica: in modo specifico, i membridegli Istituti secolari, i missionari laici e i cate-chisti.

I membri degli Istituti secolari (maschili efemminili) costituiscono la realtà numerica-mente meno significativa. Essi presentano unandamento complessivo in declino, con un ca-lo del 15,5% essendo il numero passato da26.800 nel 2010 a 22.642 nel 2017. Tale risulta-to si va a determinare nonostante l’unico con-tinente che abbia presentato, oltre l’America,una variazione negativa, sia stato quello euro-peo. L’Europa, infatti, che nel 2010 concentra-va circa il 67% del totale mondiale, rappresen-ta nel 2017 ancora una quota del 61% circa, de-terminando così il segno del bilancio globale.

Il numero dei missionari laici è, invece, pas-sato dalle 335.502 unità nel 2010 alle 355.800nel 2017, con un incremento di 6,1% in setteanni. Particolarmente significativo è il risultatodi questa categoria di operatori pastorali inEuropa, dove la consistenza dei missionari lai-ci è aumentata dell’80,4%, superando le 11 mi-la unità a fine periodo. Nonostante tale svi-luppo, tuttavia, il fenomeno dei missionari lai-ci rimane una tradizione quasi esclusivamenteamericana, con una percentuale di 86,2% deltotale mondiale a fine 2017 (sostanzialmentestabile dal 90% di sette anni prima).

I catechisti, infine, costituiscono la realtànumericamente più significativa, con una con-sistenza di oltre 3,12 milioni di unità a fine2017. Asia e Africa mostrano una dinamicaevolutiva vivace, con tassi di crescita significa-tivi, mentre Europa e America registrano unaleggera flessione. Anche per questo gruppo, siosserva una concentrazione relativamente pre-valente nel continente americano, con la pre-senza di quasi 1,8 milioni di catechisti a fine2017, corrispondenti a poco meno del 57%mondiale.

Dopo un periodo di costante e sostenutoaumento del numero delle vocazioni sacerdo-tali, che ha avuto il momento di maggiore cre-scita nel 2011, successivamente prende l’avviouna lenta ma continua discesa che riporta ildato del 2017 a un valore pari al 96,9% diquello del 2010. I candidati al sacerdozio nelpianeta passano da 118.990 nel 2010, a 120.616nel 2011, a 120.051 nel 2012, a 118.251 nel 2013,a 116.939 nel 2014, a 116.843 nel 2015, a 116.160nel 2016 e a 115.328 nel 2017, con un calo del3,1% nell’intero periodo dal 2010. Le diversitàgeografiche risultano assai marcate. Mentre in

Africa e in Asia, ma in special modo nel primocontinente, gli andamenti si mostrano rilevanti(+16,1% in Africa e +1,2% in Asia), in Europa ein America si registrano rispettivamente dimi-nuzioni del 16,3 e 13,5 per cento. Anche il ruo-lo dei continenti alla crescita potenziale delrinnovo delle compagini sacerdotali cambianel corso del periodo osservato. Con riferi-mento all’anno 2010 si osserva che l’E u ro p acontribuiva per il 17,3% al totale mondiale,l’America per il 30,7%, l’Asia per il 28,5% el’Africa per il 22,6%. Sette anni più tardi ilcontributo americano scende al 27,3%, quelloeuropeo al 14,9%, mentre l’Asia sale al 29,8% el’Africa al 27,1%.

Al termine dell’analisi quantitativa, condottasia in termini di consistenza che di variazioni,si possono evidenziare i principali cambiamen-ti che hanno coinvolto la Chiesa cattolica nelperiodo 2010-2017.

In breve, nel periodo considerato, il numerodei cattolici battezzati nel mondo è aumentatoin maniera significativa, accompagnato dallamaggiore diffusione delle circoscrizioni eccle-siastiche. Prosegue in questi anni una crescen-te dicotomia tra le dinamiche dei continentiemergenti, Africa e Asia, e quella dell’E u ro p a ,che sta progressivamente perdendo centralitàquale modello di riferimento, in coerenza congli sviluppi demografici di fondo. L’America,complessivamente, mantiene una posizione in-termedia, mentre l’Oceania, demograficamentemeno rilevante, sembra costituire una realtà asé stante.

Quanto all’evoluzione dei vari operatori pa-storali si osserva che, a livello planetario econtinentale, soltanto i vescovi, i diaconi per-manenti e i missionari laici presentano una di-namica sempre positiva. Le altre categorie dioperatori sono in calo, meno rilevante per i sa-cerdoti e molto più accentuata per i religiosinon sacerdoti e le religiose professe. Tra i con-tinenti, spicca la vitalità dell’Africa e dell’Asia,gli unici due per i quali tutte le categorie dioperatori pastorali presentano una crescita perdi più molto marcata. In Europa appaionoparticolarmente vistosi i cali dei religiosi nonsacerdoti, delle religiose professe e anche deisacerdoti. Una flessione simile a quella euro-pea è evidenziata dall’America, che comunqueè riuscita a garantire un lieve incremento nelnumero dei vescovi, dei sacerdoti diocesani,dei diaconi permanenti e dei missionari laici.

Si può sottolineare, in definitiva, che a fron-te della contrazione numerica di alcune cate-gorie di operatori pastorali, e cioè i sacerdoti, ireligiosi non sacerdoti, le religiose professe e imembri di istituti secolari, a livello planetario,risultano in crescita i diaconi permanenti, imissionari laici e i catechisti. Tali tendenze,dunque, evidenziano come si siano manifesta-te, in questi ultimi anni, delle scelte differen-ziate nel campo degli operatori pastorali e chesia in corso un riequilibrio delle varie categoriedi operatori con fenomeni importanti di modi-fica delle preferenze e delle motivazioninell’attuazione della missione pastorale. Si puònotare, ad esempio, nel caso dei diaconi per-manenti, dei catechisti e dei missionari laici,che il maggior incremento in termini assoluti erelativi si è verificato in Europa e in America, icontinenti meno attivi per quanto riguarda losviluppo di altre categorie di operatori pasto-rali.

Il numero dei candidati al sacerdozio sem-bra consolidarsi su un trend di lenta ma gra-duale contrazione: tra il 2010 e il 2017 i semi-naristi maggiori sono globalmente diminuitidel 3,1%. Il quadro dei flussi continentali ap-pare soddisfacente nella Chiesa africana e asia-tica, mentre in Europa e in America la diminu-zione appare molto evidente.

#copertina

Il comitatodi direzionedi «Donne ChiesaMondo»

L’Osservatore Romano hareso noto che l’insertomensile “Donne ChiesaMondo” uscirà regolarmentenel mese di maggio. Si ècostituito infatti unComitato di Direzioneformato dai seguentimembri: Francesca BuglianiKnox, Elena Buia Rutt,Yvonne Dohna Schlobitten,Chiara Giaccardi, ShahrzadHoushmand Zadeh, Amy-Jill Levine, MartaRodríguez Díaz, GiorgiaSalatiello, Carola Susani,Rita Pinci (coordinatrice).In redazione: GiuliaGaleotti, Silvia Guidi,Valeria Pendenza, SilvinaP é re z .

D ichiarazionedella coordinatriceRita Pinci

Sono felice di questoincarico, è una cosa che nonmi aspettavo e inizialmentesono rimasta sorpresa dallaproposta del direttore deL’Osservatore Romano,Andrea Monda. Sia perchéha pensato a me. Sia per latotale libertà che haassicurato a me e alComitato di Direzione.Seguo fin dall’inizio DonneChiesa Mondo e ritengo chela Chiesa abbia bisognodello sguardo e della vocedelle donne cherappresentano più dellametà dei fedeli. Non sonouna teologa, una storicadella Chiesa, una esperta diquestioni vaticane. Sonouna giornalista, sono unapersona credente. Mi vienechiesto di mettere la miaesperienza a disposizione diuna comunità e di ungiornale che ho letto semprecon interesse, e credo cheper me sia una grandeopportunità umana, primache professionale, poteraderire a questo progetto. Ilmio contributo saràprincipalmente quello dicoordinare il Comitato diDirezione nel suo lavoro chesarà svolto in modocollegiale e in spirito dicondivisione dei diversitalenti e competenze delledonne che vi partecipano econ le quali sono orgogliosadi condividere questo trattodi strada nel solco di unpercorso che per me èiniziato prima ancora diquello professionale, neiprimi anni di università,quando ho cominciato acondividere alcunefondamentali tematiche delmovimento delle donne.

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SAccendere stellenella notte

ono molto contento di accogliervi in occasionedel vostro pellegrinaggio a Roma. Ringrazio ilvostro Vescovo, Mons. Souchu, per le sue pa-role. Vi saluto con affetto e, attraverso di voi,esprimo la mia vicinanza spirituale ai giovani ea tutti i fedeli della Diocesi di Aire e Dax.

Rendo grazie a Dio per l’iniziativa dei re-sponsabili della pastorale giovanile che, conl’appoggio del vostro Vescovo, vi hanno pro-posto di vivere queste “Giornate della Gioven-tù delle Landes”. È una bella occasione che viè offerta per ravvivare in voi il dono della fede,qui, a Roma, presso gli apostoli Pietro e Paoloe tutti quei testimoni, tra i quali alcuni giova-ni, che hanno subito il martirio per aver sceltodi rimanere fedeli a Gesù Cristo. Questo è an-cora più importante perché parecchie personepensano che oggi è più difficile dirsi cristiani evivere la fede in Cristo. E voi fate di sicurol’esperienza di queste difficoltà, che diventanoa volte delle prove. In effetti, il contesto attua-le non è facile, anche a causa della dolorosa ecomplessa questione degli abusi commessi damembri della Chiesa. Tuttavia, vorrei ripeterviche oggi non è più difficile che in altre epochedella Chiesa: è solamente diverso, ma non è

più difficile. Perciò, approfittate di questo pel-legrinaggio per riscoprire che la Chiesa, di cuisiete membri, «cammina da duemila anni, con-dividendo le gioie e le speranze, le tristezze ele angosce degli uomini. E cammina cosìcom’è, senza ricorrere ad alcuna chirurgia este-tica» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 101).Infatti, guardando voi, riconosco l’opera delSignore Gesù che non abbandona la sua Chie-sa e che le permette, grazie alla vostra giovi-

nezza, al vostro entusiasmo e ai talenti che Luivi ha affidato, di rinnovarsi e di ringiovanirenelle varie fasi della sua lunga storia.

Cari amici, con l’aiuto e il sostegno dei vo-stri Pastori, dei vostri fratelli e sorelle maggiorinella fede, e con l’esempio dei santi che hannoaffrontato le difficoltà proprie dei loro tempi,vi incoraggio a restare uniti al Signore Gesùmediante l’ascolto della Parola, la pratica sa-cramentale, la vita fraterna e il servizio agli al-tri. Nella Chiesa, santa e composta di peccato-ri, possiate riconoscere qual è quella parola,quel messaggio di Gesù che Dio vuole rivolge-re al mondo attraverso la vostra vita in ciò cheessa ha di unico (cfr Esort. ap. Gaudete etexsultate, 24). Ad immagine dell’albero emble-matico della vostra regione, il pino delle Lan-des, che ha permesso di risanare zone paludo-se, radicatevi nell’amore di Dio per far sì che,là dove vivete, la Chiesa sia amata. Sì, lasciate-vi trasformare e rinnovare dallo Spirito Santoper portare Cristo in ogni ambiente e testimo-niare la gioia e la giovinezza del Vangelo! E,sull’esempio di San Vincenzo de Paoli, landesecome voi, rendete visibile l’amore di cui Dio viha colmati, amando “con la forza delle bracciae il sudore della fronte”! In questo senso siatesempre costruttori di ponti tra le persone, cer-cando di far crescere una cultura dell’incontro edel dialogo, per contribuire all’avvento di un’au-tentica fraternità umana. Con la vostra attenzio-ne ai piccoli e ai poveri, potete accendere stel-le nella notte di quanti, in diversi modi, sonoprovati. Potete manifestare, coi gesti e le paro-le, che «Dio è sempre novità, [...] [e che] ciconduce là dove si trova l’umanità più ferita edove gli esseri umani, al di sotto dell’a p p a re n -za della superficialità e del conformismo, con-tinuano a cercare la risposta alla domanda sulsenso della vita» (ibid., 135). Conto su di voi.La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, dellevostre intuizioni, della vostra fede, del vostrocoraggio!

Con questa speranza, vi affido al Signore,per intercessione della Vergine Maria, la Ma-donna di Buglose, e di San Vincenzo de Paoli.Do la Benedizione Apostolica a voi e a tutti ifedeli della Diocesi di Aire e Dax. E, per favo-re, pregate per me come io prego per voi!Grazie.

A pellegrinidella diocesif ra n c e s edi Aire et Dax

«Con la vostra attenzioneai piccoli e ai poveri, poteteaccendere stelle nella nottedi quanti, in diversi modi,sono provati». È l’invito rivoltodal Papa ai giovani della diocesifrancese di Aire et Dax,ricevuti in udienzanella mattinadi giovedì 25 aprile,nella Sala del Concistoro.

#giovani

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GIOVEDÌ 25Udienza al presidente della Repubblica di Let-tonia, Raimonds Vējonis. Nel corso dei collo-qui, è stato espresso apprezzamento per i buo-ni rapporti bilaterali, ricordando il viaggio delPapa nel centenario dell’indipendenza (2018).Quindi sono stati trattati temi relativi alla si-tuazione sociale e religiosa del paese. Nel pro-sieguo della conversazione sono stati passati inrassegna temi di carattere internazionale: pacee sicurezza nella regione, prospettive per il fu-turo del progetto europeo e tutela ambientale.

VENERDÌ 26Ricevuto il presidente di turno della Presi-

denza collegiale della Bosnia ed Erzegovina,Milorad Dodik. Nel corso dei colloqui ci si è

soffermati sulle buone relazioni bilaterali e sul-la presenza della comunità cattolica in Bosniaed Erzegovina, e si è parlato della situazionedel paese e delle sfide economiche e socialiche affronta. È stata ribadita l’esigenza di ga-rantire l’effettiva parità dei popoli costituenti ela riconciliazione tra loro, sottolineando l’im-portanza del dialogo e del mutuo rispetto an-che in ambito istituzionale, per il superamen-to delle divisioni e il conseguimento della pa-ce. Ci si è soffermati, infine, su temi di comu-ne interesse riguardanti l’ambito internaziona-le, con particolare riferimento alle prospettivedi allargamento dell’Unione europea ai Balca-ni occidentali.

SA B AT O 27La signora Amal Mussa Hussain Al-Rubaye,

nuovo ambasciatore della Repubblica del-l’Iraq, ha presentato le lettere con cui è stataaccreditata presso la Santa Sede.

DOMENICA 28Un duplice appello per i profughi che si

trovano nei centri di detenzione in Libia e per

Se i nostri cuori si aprono alla misericordiae suggelliamo il perdono con un abbraccio fraterno,

proclamiamo davanti al mondo che è possibilevincere il male con il bene. #DivinaMisericordia

(@Pontifex_it, 28 aprile)

Profughi in un centro di raccoltaa Zawya (Ap)

”Regina caeli

in piazza San Pietro

Ai parrucchieri italiani

le vittime delle recenti alluvioni in Sud Africaè stato lanciato del Papa al termine del Reginacaeli recitato a mezzogiorno con i fedeli inpiazza San Pietro. «Vi invito a unirvi alla miapreghiera per i profughi che si trovano neicentri di detenzione in Libia, la cui situazione,già molto grave, è resa ancora più pericolosadal conflitto in corso» ha scandito il Ponteficedopo la preghiera mariana, auspicando che«specialmente le donne, i bambini e i malatipossano essere al più presto evacuati attraversocorridoi umanitari». Poi il pensiero è andato a«quanti hanno perso la vita o hanno subitogravi danni per le recenti alluvioni» in SudAfrica. «Anche a questi nostri fratelli — hadetto — non manchi la nostra solidarietà e ilconcreto sostegno della comunità internazio-nale». In precedenza il Pontefice aveva com-mentato il Vangelo della seconda di Pasqua,che narra l’apparizione del risorto ai discepolinel Cenacolo.

LUNEDÌ 29Un invito a esercitare la professione «con

stile cristiano, trattando i clienti con gentilezzae cortesia, e offrendo sempre una parola buo-na e di incoraggiamento, evitando di cederealla tentazione del chiacchiericcio» è stato ri-volto dal Papa a parrucchieri, acconciatori edestetiste dei Comitati di San Martino de’ Por-res, ricevuti nella Sala Clementina. In prece-denza il Papa aveva ricevuto il presidente dellaRepubblica del Togo, Faure Essozimna Gnas-singbé. Nel corso dei colloqui, sono state evi-denziate le buone relazioni esistenti tra la San-ta Sede e il Togo, nonché le prospettive di unloro ulteriore consolidamento. In tale contesto,ci si è soffermati sulla situazione attuale delpaese, sottolineando il contributo della Chiesacattolica allo sviluppo integrale del popolo to-golese, specialmente attraverso il suo impegnonell’ambito educativo e sanitario. Infine, sonostate discusse alcune sfide specifiche dei paesidell’Africa occidentale e sub-sahariana, rilevan-do la necessità degli sforzi comuni a livello re-gionale e internazionale in favore della sicurez-za, della stabilità e della pace.

#7giorniconilpapa

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MARTEDÌ 30Il protagonista

Possiamo rinascere «da quel poco che siamo»,dalla «nostra esistenza peccatrice» solamentecon «l’aiuto della stessa forza che ha fatto ri-sorgere il Signore: con la forza di Dio» e perquesto «il Signore ci ha inviato lo Spirito San-to». Da soli non ce la possiamo fare. Lo ricor-da Papa Francesco nell’omelia della messa ce-lebrata a Casa Santa Marta la mattina di mar-tedì 30 aprile, tutta incentrata sulla risposta diGesù a Nicodemo — proposta dal Vangelo dioggi (Gv 3, 7-15) — che domandava come que-sto potesse accadere. Una domanda che anchenoi facciamo. Gesù parla di «rinascere dall’al-to» e il Papa traccia questo legame fra la Pa-squa e il messaggio di rinascere. Il messaggiodella risurrezione del Signore è «questo donodello Spirito Santo», ricorda, e, infatti, nellaprima apparizione di Gesù agli apostoli, lastessa domenica della Risurrezione, dice loro:«Ricevete lo Spirito Santo». «Questa è la for-za! Noi non possiamo nulla senza lo Spirito»,spiega il Papa ricordando che la vita cristiananon è soltanto comportarsi bene, fare questo,non fare quell’altro. «Noi possiamo fare que-sto», possiamo anche scrivere la nostra vitacon «calligrafia inglese», ma la vita cristianarinasce dallo Spirito e quindi bisogna fargliposto: «È lo Spirito che ci fa risorgere dai no-stri limiti, dalle nostre morti, perché noi abbia-mo tante, tante necrosi nella nostra vita,nell’anima. Il messaggio della risurrezione èquesto di Gesù a Nicodemo: bisogna rinasce-re. Ma come mai lascia posto allo Spirito?Una vita cristiana, che si dice cristiana, chenon lascia posto allo Spirito e non si lasciaportare avanti dallo Spirto è una vita pagana,travestita da cristiana. Lo Spirito è il protago-nista della vita cristiana, lo Spirito — lo SpiritoSanto — che è con noi, ci accompagna, ci tra-sforma, vince con noi. Nessuno è mai salito alcielo, se non Colui che è disceso dal cielo, cioèGesù. Lui è disceso dal cielo. E Lui, nel mo-mento della risurrezione, ci dice: “Ricevete loSpirito Santo”, sarà il compagno di vita, di vi-ta cristiana».

Non può, dunque, esserci una vita cristianasenza lo Spirito Santo, che è «il compagno diogni giorno», dono del Padre, dono di Gesù.

Chiediamo al Signore che ci dia questa con-sapevolezza che non si può essere cristianisenza camminare con lo Spirito Santo, senzaagire con lo Spirito Santo, senza lasciare chelo Spirito Santo sia il protagonista della nostravita.

Bisogna, quindi domandarsi quale sia il suoposto nella nostra vita, «perché — ribadisce —tu non puoi camminare in una vita cristianasenza lo Spirito Santo». Bisogna chiedere alSignore la grazia di capire questo messaggio:«il nostro compagno di cammino è lo SpiritoSanto». (debora donnini)

Nella festa liturgica di santa Caterina da Siena, PapaFrancesco ha rivolto alla patrona dell’Italia e dell’E u ro p a ,una preghiera particolare, affinché «aiuti l’unitàdella Chiesa», «aiuti l’Italia in questo momento difficile»e «aiuti l’unità dell’Europa». Con questa intenzioneil Pontefice, nella mattina di lunedì 29 aprile, ha celebratola messa nella Casa Santa Marta. Santa Caterina, ha dettoFrancesco all’inizio del rito, «ha lavorato tanto per l’unitàdella Chiesa: pregava tanto, lavorava tanto».

#santamarta

L’omeliadel Pontefice

Crijn Hendricksz Volmarijn«Gesù e Nicodemo»

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di ANGELO BECCIU

«QIn difesa dei debolinel solco del concilio

uesto è il giorno che ha fatto il Signore, ralle-griamoci ed esultiamo».

Cari fratelli e sorelle, l’invito che la Liturgiaci rinnova incessantemente in questo tempopasquale, trova oggi in noi, raccolti nel solen-ne rito della beatificazione di quattro martiri,una risposta particolarmente pronta e gioiosa.Ci rallegriamo ed esultiamo nel Signore per ildono dei nuovi beati. Sono essi uomini, chehanno reso coraggiosamente la loro testimo-nianza a Cristo, meritando di essere propostidalla Chiesa all’ammirazione e all’imitazionedi tutti i fedeli. Ciascuno di loro può ripeterele parole del Libro dell’Apocalisse, proclamatenella prima Lettura: «Si è compiuta la salvez-za, la forza del nostro Dio e la potenza delsuo Cristo» (Ap o c a l i s s e 12, 10): la potenza delCristo risorto, che, nel succedersi dei secoli,per mezzo del suo Spirito continua a vivere ea operare nei credenti, per sospingerli verso lapiena attuazione del messaggio evangelico.

chi mesi in Argentina, guardava con sospettoogni forma di difesa della giustizia sociale. Iquattro beati conducevano una pastorale aper-ta alle nuove sfide pastorali; attenta alla pro-mozione delle fasce più deboli, alla difesa del-la loro dignità e alla formazione delle coscien-ze, nel quadro della Dottrina sociale dellaChiesa. Tutto ciò, nell’intento di offrire rimedialle molteplici problematiche sociali.

rio. La Chiesa è oggi lieta di riconoscere cheEnrique Ángel Angelelli Carletti, vescovo diLa Rioja, Carlos de Dios Murias, francescanoconventuale, Gabriel Longueville, sacerdotemissionario fidei donum, e il catechista Wence-slao Pedernera, padre di famiglia, sono statiinsultati e perseguitati per causa di Gesù edella giustizia evangelica (cfr. Ma t t e o 5, 10-11),e hanno conseguito una «grande ricompensanei cieli» (Ma t t e o 5, 12). «Beati voi!» (Ma t t e o5, 11; 1 Lettera di Pietro 3, 13). Come potremmonon sentire rivolto ai quattro nostri beati que-sto suggestivo attestato di encomio? Essi furo-no fedeli testimoni del Vangelo e rimasero sal-di nel loro amore a Cristo e alla sua Chiesa acosto di sofferenze e del sacrificio estremo del-la vita. Furono uccisi nel 1976, durante il pe-riodo della dittatura militare, segnato da unclima politico e sociale incandescente, che eb-be anche dei chiari risvolti di persecuzione re-ligiosa. Il regime dittatoriale, in vigore da po-

A La Riojaelevati agli onori

degli altariil vescovo Angelelli

Carletti e trecompagni martiri

Nella mattina di sabato 27aprile, il cardinale prefettodella Congregazione delle causedei santi ha celebrato nel parcocittadino di La Rioja,in Argentina, a nome di PapaFrancesco, la messa perla beatificazione del vescovoEnrique Ángel Angelelli Carlettie di tre compagni martiri.Di seguito l’omelia pronunciatadal porporato.

#beatificazione

Consapevoli di ciò, i nuovi beati hannosempre contato sull’aiuto di Dio anche quan-do hanno dovuto «soffrire per la giustizia» (1Lettera di Pietro 3, 14), così da trovarsi semprepronti a rispondere a chiunque domandasseragione della speranza posta in loro (cfr. 1 Let-tera di Pietro 3, 15). Hanno offerto se stessi aDio e al prossimo nell’eroica testimonianza cri-stiana, che ebbe il suo coronamento nel marti-

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Si tratta di un’opera di formazione nella fe-de, di un forte impegno religioso e sociale, an-corato al Vangelo, in favore dei più poveri esfruttati, e attuato alla luce della svolta delconcilio ecumenico Vaticano II, nel vivo desi-derio di attuare i dettami conciliari. Potremmodefinirli, in un certo senso, come “martiri deidecreti conciliari”.

Furono uccisi a motivo della loro premurosaattività di promozione della giustizia cristiana.Infatti, in quell’epoca, l’impegno per una giu-stizia sociale e per promuovere la dignità dellapersona umana era ostacolato con tutte le for-ze dalle autorità civili. Ufficialmente il poterepolitico si professava rispettoso, anzi addirittu-ra difensore, della religione cristiana, e miravaa strumentalizzarla, pretendendo un atteggia-mento supino da parte del clero e passivo daparte dei fedeli, invitati con la forza a esterna-re la loro fede solo in manifestazioni liturgichee di culto. Ma i nuovi beati si sforzarono dioperare per una fede che incidesse anche nellavita; affinché il Vangelo diventasse fermentonella società di una umanità nuova fondatasulla giustizia, sulla solidarietà, sull’uguaglian-za.

Il beato Enrique Ángel Angelelli Carletti èstato un pastore coraggioso e zelante che ap-pena giunto a La Rioja si adoperò con grandezelo a soccorrere la popolazione molto poverae vittima di ingiustizie. Il cardine del suo ser-vizio episcopale sta nell’azione sociale in favo-re dei più bisognosi e sfruttati, come anche nelvalorizzare la pietà popolare come antidotoall’oppressione. Icona del buon pastore, fu in-namorato di Cristo e del prossimo, pronto adare la vita per i fratelli. I sacerdoti Carlos deDios Murias e Gabriel Longueville sono staticapaci di cogliere e rispondere alle sfidedell’evangelizzazione declinate nella prossimitàverso le fasce più disagiate della popolazione.Il primo, religioso francescano, si distinse perspirito di preghiera e reale distacco dai benimateriali; il secondo uomo dell’Eucaristia.Wenceslao Pedernera, catechista e membro at-tivo del movimento cattolico rurale, si dedicòcon passione a una generosa attività socialealimentata dalla fede. Umile e caritatevole contutti.

Questi quattro beati sono modelli di vitacristiana. L’esempio del vescovo insegna ai pa-stori di oggi a esercitare il ministero con ar-dente carità, essendo forti nella fede di frontealle difficoltà. I due sacerdoti esortano i pretidi oggi a essere assidui nella preghiera e trova-re nell’incontro con Gesù e nell’amore verso diLui la forza per non risparmiarsi mai nel mini-stero sacerdotale: non scendere a compromessi,rimanere fedeli a ogni costo alla missionepronti ad abbracciare la croce. Il padre di fa-miglia insegna ai laici a distinguersi per la tra-sparenza della fede, lasciandosi guidare da es-sa nelle decisioni più importanti della vita.

Vissero e morirono per amore. Il significatodei martiri oggi sta nel fatto che la loro testi-monianza vanifica la pretesa di vivere egoisti-camente o di costruire un modello di societàchiusa e senza riferimento ai valori morali espirituali. I martiri esortano noi e le future ge-nerazioni ad aprire il cuore a Dio e ai fratelli,a essere araldi di pace, operatori di giustizia,testimoni di solidarietà, nonostante le incom-prensioni, le prove e le fatiche. I quattro mar-tiri di questa diocesi, che oggi contempliamonella loro beatitudine, ci ricordano che «È me-glio, infatti, se così vuole Dio, soffrire operan-do il bene che facendo il male» (1 Lettera diP i e t ro 3, 17), come ci ha ricordato l’ap ostoloPietro nella seconda lettura. Noi li ammiriamoper il loro coraggio. Li ringraziamo per la lorofedeltà in circostanze difficili, una fedeltà cheè più di un esempio: è un’eredità per questadiocesi e per l’intero popolo argentino e unaresponsabilità che va vissuta in ogni epoca.L’esempio e la preghiera di questi quattro bea-ti ci aiutino a essere sempre più uomini di fe-de, testimoni del Vangelo, costruttori di comu-nità, promotori di una Chiesa impegnata a te-stimoniare il Vangelo in ogni ambito della so-cietà, innalzando ponti e abbattendo i muridell’indifferenza. Affidiamo alla loro interces-sione questa città e tutta la nazione: le suesperanze e le sue gioie, le sue necessità e diffi-coltà. Che ognuno possa gioire dell’onore of-ferto a questi testimoni della fede. Dio li hasostenuti nelle sofferenze, ha offerto loro ilconforto e la corona della vittoria. Possa il Si-gnore sostenere, con la forza dello SpiritoSanto, coloro che oggi operano per l’autenticoprogresso e per la costruzione della civiltàdell’a m o re .

Beato Enrique Ángel Angelelli Carletti e trecompagni martiri, pregate per noi!

Il vescovo Angelelli Carlettiin una foto dell’a rc h i v i o

della cattedrale di La Rioja

#beatificazione

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Proseguiamo nella catechesi sul “Padre no-s t ro ”, arrivando ormai alla penultima invoca-zione: «Non abbandonarci alla tentazione»(Mt 6, 13). Un’altra versione dice: «Non la-sciare che cadiamo in tentazione». Il “Pa d ren o s t ro ” incomincia in maniera serena: ci fa de-siderare che il grande progetto di Dio si possacompiere in mezzo a noi. Poi getta uno sguar-do sulla vita, e ci fa domandare ciò di cui ab-biamo bisogno ogni giorno: il «pane quotidia-no». Poi la preghiera si rivolge alle nostre re-lazioni interpersonali, spesso inquinatedall’egoismo: chiediamo il perdono e ci impe-gniamo a darlo. Ma è con questa penultimainvocazione che il nostro dialogo con il Padreceleste entra, per così dire, nel vivo del dram-ma, cioè sul terreno del confronto tra la nostralibertà e le insidie del maligno.

Come è noto, l’espressione originale grecacontenuta nei Vangeli è difficile da rendere inmaniera esatta, e tutte le traduzioni modernesono un po’ zoppicanti. Su un elemento peròpossiamo convergere in maniera unanime: co-munque si comprenda il testo, dobbiamoescludere che sia Dio il protagonista delle ten-tazioni che incombono sul cammino dell’uo-mo. Come se Dio stesse in agguato per tende-re insidie e tranelli ai suoi figli. Un’i n t e r p re t a -zione di questo genere contrasta anzitutto conil testo stesso, ed è lontana dall’immagine diDio che Gesù ci ha rivelato. Non dimentichia-mo: il “Padre nostro” incomincia con “Pa d re ”.E un padre non fa dei tranelli ai figli. I cristia-ni non hanno a che fare con un Dio invidioso,in competizione con l’uomo, o che si diverte ametterlo alla prova. Queste sono le immaginidi tante divinità pagane. Leggiamo nella Let-tera di Giacomo apostolo: «Nessuno, quandoè tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perchéDio non può essere tentato al male ed eglinon tenta nessuno» (1, 13). Semmai il contra-rio: il Padre non è l’autore del male, a nessunfiglio che chiede un pesce dà una serpe (cfr.Lc 11, 11) — come Gesù insegna — e quando ilmale si affaccia nella vita dell’uomo, combatte

al suo fianco, perché possa esserne liberato.Un Dio che sempre combatte per noi, noncontro di noi. È il Padre! È in questo sensoche noi preghiamo il “Padre nostro”.

Questi due momenti — la prova e la tenta-zione — sono stati misteriosamente presentinella vita di Gesù stesso. In questa esperienzail Figlio di Dio si è fatto completamente no-stro fratello, in una maniera che sfiora quasi loscandalo. E sono proprio questi brani evange-lici a dimostrarci che le invocazioni più diffici-li del “Padre nostro”, quelle che chiudono iltesto, sono già state esaudite: Dio non ci halasciato soli, ma in Gesù Egli si manifesta co-me il “D io-con-noi” fino alle estreme conse-guenze. È con noi quando ci dà la vita, è connoi durante la vita, è con noi nella gioia, è connoi nelle prove, è con noi nelle tristezze, è connoi nelle sconfitte, quando noi pecchiamo, masempre è con noi, perché è Padre e non puòa b b a n d o n a rc i .

Se siamo tentati di compiere il male, negan-do la fraternità con gli altri e desiderando unpotere assoluto su tutto e tutti, Gesù ha giàcombattuto per noi questa tentazione: lo atte-stano le prime pagine dei Vangeli. Subito do-po aver ricevuto il battesimo da Giovanni, inmezzo alla folla dei peccatori, Gesù si ritiranel deserto e viene tentato da Satana. Inco-mincia così la vita pubblica di Gesù, con latentazione che viene da Satana. Satana erapresente. Tanta gente dice: «Ma perché parla-re del diavolo che è una cosa antica? Il diavo-lo non esiste». Ma guarda che cosa ti insegnail Vangelo: Gesù si è confrontato con il diavo-lo, è stato tentato da Satana. Ma Gesù respin-ge ogni tentazione ed esce vittorioso. Il Van-gelo di Matteo ha una nota interessante chechiude il duello tra Gesù e il Nemico: «Allorail diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli siavvicinarono e lo servivano» (4, 11).

Ma anche nel tempo della prova supremaDio non ci lascia soli. Quando Gesù si ritira apregare nel Getsemani, il suo cuore viene inva-so da un’angoscia indicibile — così dice ai di-

scepoli — ed Egli sperimenta la solitudine el’abbandono. Solo, con la responsabilità ditutti i peccati del mondo sulle spalle; solo, conun’angoscia indicibile. La prova è tanto lace-rante che capita qualcosa di inaspettato. Gesùnon mendica mai amore per sé stesso, eppurein quella notte sente la sua anima triste finoalla morte, e allora chiede la vicinanza dei suoiamici: «Restate qui e vegliate con me!» (Mt26, 38). Come sappiamo, i discepoli, appesan-

Non è Dioche tenta l’uomo

P ro s e g u o n ole udienze generali

sulla preghieradel “Padre nostro”

#catechesi

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titi da un torpore causato dalla paura, si ad-dormentarono. Nel tempo dell’agonia, Diochiede all’uomo di non abbandonarlo, e l’uo-mo invece dorme. Nel tempo in cui l’uomoconosce la sua prova, Dio invece veglia. Neimomenti più brutti della nostra vita, nei mo-menti più sofferenti, nei momenti più ango-scianti, Dio veglia con noi, Dio lotta con noi,è sempre vicino a noi. Perché? Perché è Padre.Così abbiamo incominciato la preghiera: “Pa -dre nostro”. E un padre non abbandona i suoifigli. Quella notte di dolore di Gesù, e di lottasono l’ultimo sigillo dell’Incarnazione: Dioscende a trovarci nei nostri abissi e nei travagli

che costellano la storia. È il nostro confortonell’ora della prova: sapere che quella valle, daquando Gesù l’ha attraversata, non è più deso-lata, ma è benedetta dalla presenza del Figliodi Dio. Lui non ci abbandonerà mai!

Allontana dunque da noi, o Dio, il tempodella prova e della tentazione. Ma quando ar-riverà per noi questo tempo, Padre nostro, mo-straci che non siamo soli. Tu sei il Padre. Mo-straci che il Cristo ha già preso su di sé ancheil peso di quella croce. Mostraci che Gesù e cichiama a portarla con Lui, abbandonandoci fi-duciosi al tuo amore di Padre. Grazie.

La disoccupazione tragedia mondiale«Oggi celebriamo la memoria di san Giuseppelavoratore, patrono della Chiesa universale...L’umile lavoratore di Nazareth, ci orienti versoCristo, sostenga il sacrificio di coloro che operano ilbene e interceda per quanti hanno perso il lavoro onon riescono a trovarlo. Preghiamo specialmenteper coloro che non hanno lavoro, che è unatragedia mondiale di questi tempi». Lo ha detto ilPapa al termine dell’udienza generale del 1° maggioin piazza San Pietro.Dopo la catechesi sul “Padre nostro” il Pontefice hasalutato i vari gruppi di fedeli presenti e a quelliitaliani ha ricordato la figura di san Giuseppe. Traquanti erano ad ascoltare le sue parole, ancheAboubakar Soumahoro: è un italiano nato in Costad’Avorio che a Napoli ha fatto il bracciante e ilmuratore “malpagato” ma si è laureato in sociologiae si è ritrovato a fare il sindacalista “per vocazione”.A Francesco ha presentato la moglie Liliane, inattesa del loro primo figlio, e il proprio libroUmanità in rivolta - La nostra lotta per il lavoro e il dirittoalla felicità. Con lui il direttore del settimanale«L’Espresso» Marco Damilano. «Vivere la giornatadel primo maggio con il Papa ha un significatospeciale — afferma Soumahoro — ed è ancheun’opportunità per rilanciare l’urgenza di un nuovoparadigma economico, tante volte proposto proprioda Francesco, che metta al centro la persona umanae ponga un freno all'impoverimento dellecoscienze». Un primo maggio, insomma, «da viverecon una particolare attenzione alle donne e agliuomini che non riescono a far fronte ai bisogniprimari delle loro famiglie».Da buon sindacalista, Soumahoro va dritto al sodo:«Sapete cosa non deve mai fare un pugile? Nondeve mai abbassare la guardia. E, più importanteancora, non deve farsi mettere all’angolo. Nelmomento in cui sei all’angolo, puoi nascondere lafaccia tra i guantoni o provare a schivare, ma prendicosì tanti colpi che in pochi secondi finisci al

tappeto. Non sono mai stato un pugile e non homai desiderato di esserlo. Però ho capito di esseresu un ring. Non da solo. Insieme a me, prima dime, in tanti, al nostro arrivo in Italia, siamo statimessi in un angolo. Costretti a subire ingiustizie ediscriminazioni, molte volte da chi, da figlio onipote di emigranti, non andava solo contro di noi,ma contro il proprio passato e la propria memoria».E con questo stile Aboubakar difende i diritti deilavoratori, girando incessantemente l’Italia.Martedì mattina aveva partecipato alla Messacelebrata dal Papa nella cappella di Santa Marta emercoledì mattina ha voluto essere in mezzo allagente in piazza San Pietro. Con il marito e i suoidue figli. Mary Keitany è la numero 1 al mondonella maratona: kenyana, ha vinto quattro voltesulle mitiche strade di New York e tre volte suquelle di Londra. Record da capogiro. Ma ilsuccesso più grande è sicuramente l’impegno tenace,“da maratoneta” appunto, per restituire dignità esperanza alla gente delle zone più povere del suopaese, costruendo scuole e chiese che siano «puntidi riferimento e di educazione per uno sviluppointegrale soprattutto dei bambini».«Ho voluto incontrare il Papa con la mia famigliaperché la mia fede è anche la mia vita di donna, dimamma, di atleta» confida la campionessa. Già, lafamiglia: per costruirla con il marito Charles Koech,anche lui forte mezzofondista, Mary non ha esitatoa rinunciare a Olimpiadi e Mondiali per esseremamma nel pieno dell’attività agonistica: e cosìsono nati Jared, che tra poco compie 11 anni, eSamantha che di anni ne ha 6. E ora la Keitany èpronta, con la concretezza degli sportivi che non siperdono in chiacchiere, a vincere altre grandimaratone ma soprattutto a realizzare nuovi progettianche in collaborazione con Athletica Vaticana, larappresentativa podistica della Santa Sede nataanche per rilanciare solidarietà e spiritualità nelmondo sportivo.

#catechesi

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di ENZOBIANCHI

I

La mano di Cristoil pastore buono

12 maggioIV domenica

di PasquaGiovanni 10, 27-30

Sarah Hornsby«Il buon pastore»

l capitolo 10 del vangelo secondo Giovannicontiene una lunga discussione tra Gesù e al-cuni farisei che egli dichiara in una situazionedi peccato, perché credono e dicono di vederementre in realtà non vedono e non operano undiscernimento circa l’identità di Gesù e la qua-lità della sua azione (cfr. Gv 9, 40-41).

Con una parabola Gesù cercare di rivelareloro come egli non sia un ladro ma sia il pa-store che entra ed esce attraverso la portadell’ovile, non in incognito, il pastore checammina davanti a pecore le quali lo seguonoperché riconoscono la sua voce. La parabolaperò non viene compresa e allora Gesù fa di-chiarazioni esplicite su di sé e sulla propriamissione: è lui la porta dell’ovile; è lui il pa-store buono che, pur di custodire le pecore, èdisposto a dare la sua vita, perché ha la capa-cità di dare la vita per le pecore e di riceverladi nuovo dal Padre (cfr. Gv 10, 17). Queste pa-role creano divisione tra quanti lo ascoltano:alcuni lo giudicano indemoniato, altri ricono-scono il suo operare carico di salvezza (cfr. Gv10, 19-21).

In quei giorni «ricorreva a Gerusalemme lafesta della Dedicazione. Era inverno. Gesùcamminava nel tempio, nel portico di Salomo-ne. Allora i capi dei giudei gli si fecero attornoe gli dicevano: “Fino a quando ci terrainell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noiap ertamente”» (Gv 10, 22-24). Gesù è dunquecostretto a riprendere la parola per denunciareche la situazione di non fede in lui è dovuta alfatto che quegli ascoltatori non sono sue peco-re (cfr. Gv 10, 26), non sono disposti ad acco-gliere le sue parole.

A questo punto dobbiamo però fare un’os-servazione di grande importanza. Nelle santeScritture pastori e pecore sono molto presenti,perché facevano parte della società pastorale-agricola in cui la Bibbia è sorta. Essere pastoresignificava svolgere un mestiere che avevagrande rilevanza e tutti sentivano la figura delpastore come esemplare. Noi oggi siamo lonta-ni da quella situazione, non conosciamo né ve-diamo, se non raramente, pastori che conduco-

no il gregge; e soprattutto, le pecore non ciappaiono capaci di rappresentarci. Per questimotivi, le parole di Gesù al riguardo non sonopiù performative come lo erano ai suoi tempiin Palestina. Di conseguenza, non mi soffermotanto sulle immagini del pastore e delle peco-re, ma vorrei approfondire i verbi utilizzati,che nelle parole di Gesù vogliono comunicarciun messaggio su di lui: su Gesù, ovvero su unuomo che ha vissuto realmente tra di noi, cheera umano come noi, che ha lasciato una trac-cia indelebile del suo comportamento nel cuo-re di quelli che «sono entrati e usciti con lui».

Innanzitutto Gesù dice che quanti lo seguo-no, cioè sono suoi discepoli, «ascoltano la suavoce». Questo è l’atteggiamento di chi crede:è credente perché ha ascoltato parole affidabi-li. È il primo passo che l’essere umano devecompiere per entrare in una relazione: ascolta-re, che è molto più del semplice sentire. Ascol-tare significa innanzitutto riconoscere coluiche parla dalla sua voce, dal suo timbro parti-colare. Ci vogliono certamente impegno e fati-ca, ma solo facendo discernimento tra quelliche parlano è possibile ascoltare quella voceche ci raggiunge in verità e con amore. Tuttala fede ebraico-cristiana dipende dall’ascolto —«Shema‘ J i s ra ’el! Ascolta, Israele!» (Dt 6, 5; Mc

#meditazione

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12, 29 e par.) — e sia nell’Antico sia nel NuovoTestamento «la fede nasce dall’ascolto» (fidesex auditu: Rm 10, 17). Per avere fede in Gesùoccorre dunque ascoltarlo, con un’arte chepermetta una comunicazione profonda, la qua-le giorno dopo giorno crea la comunione.

La seconda azione che Gesù presenta comepropria delle sue pecore si riassume nel verboseguire: «Esse mi seguono». Materialmenteciò significa andare dietro a lui ovunque eglivada (cfr. Ap 14, 4), ma seguirlo anche confor-mando la nostra vita alla sua, il nostro cammi-nare al modo in cui lui ci chiede di camminare(cfr. 1 Gv 2, 6). Il pastore quasi sempre sta da-vanti al gregge per aprirgli la strada verso pa-scoli abbondanti, ma a volte sta anche in mez-zo, quando le pecore riposano, e sa stare an-che dietro, quando le pecore devono essere cu-stodite affinché non si perdano. Gesù assumequesto comportamento verso la sua comunità,verso di noi, e ci chiede solo di ascoltarlo e diseguirlo senza precederlo e senza attardarci,con il rischio di perdere il cammino e l’appar-tenenza alla comunità.

In questa condivisione di vita, in questocoinvolgimento tra pastore e pecore, tra Gesùe noi, ecco la possibilità della conoscenza: «Ioconosco le mie pecore». Certamente Gesù ciconosce prima che noi conosciamo lui, ci scru-ta anche là dove noi non sappiamo scrutarci;ma se guardiamo a lui fedelmente, se ascoltia-mo e “ru m i n i a m o ” le sue parole, allora anchenoi lo conosciamo. E da questa conoscenza di-namica, sempre più penetrante, ecco nascerel’amore, che si nutre soprattutto di conoscen-za. Cor ad cor, presenza dell’uno accanto all’al-tro, possiamo quindi dire umilmente: «Io eGesù viviamo insieme». Gesù è «il pastorebuono» (Gv 10, 11.14), certo, ma anche l’amicoe l’amante fedele, potremmo dire: sentendocida lui amati, conosciuti, chiamati per nome,penetrati dal suo sguardo amante, allora pos-siamo decidere di amarlo a nostra volta.

Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo?Il dono della vita per sempre e quella convin-zione profonda che siamo nella sua mano eche da essa nessuno potrà mai strapparci via.La mano di Gesù è mano che ci tocca perguarirci; mano che ci rialza se cadiamo; manoche ci attira a sé quando, come Pietro affon-diamo (cfr. Mt 14, 31); mano che ci offre il pa-ne di vita; mano che si presenta a noi con i se-gni dell’aver sofferto per darci la vita (cfr. Lc24, 39; Gv 20, 20.27); mano che ci benedice(cfr. Lc 24, 50), tesa verso di noi per accarez-zarci e consolarci. Ecco quella mano del Si-gnore che più volte è stata dipinta tesa versol’essere umano, perché ognuno di noi percamminare ha bisogno di mettere la propriamano in quella di un altro. Solo così non cisentiamo soli e, anche se non siamo esenti dacadute o sventure, confidiamo di essere sempresostenuti dal Signore, sempre in relazione conlui.

Queste parole del Kýrios risorto — «Nessunostrapperà le mie pecore dalla mia mano, per-ché sono il dono più grande che il Padre miha fatto, il dono più grande di tutte le cose» —sono e restano, anche nella notte della fede,anche nelle difficoltà a camminare nella notte,ciò che ci basta per sentirci in relazione con ilSignore. Se anche volessimo rompere questarelazione e se anche qualcuno o qualcosa ten-tasse di romperla, non potrà mai accadere diessere strappati dalla mano di Gesù Cristo.L’Apostolo Paolo, significativamente, ha grida-to: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? For-se la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione,la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» (Rm8, 35). No, niente e nessuno, «ma in tutte que-ste cose noi siamo più che vincitori grazie acolui che ci ha amati» (Rm 8, 37). E la mano

di Gesù Cristo risorto è la mano di Dio, per-ché lui e il Padre sono uno.

Ma dobbiamo dirlo: una fede così, anche sepovera e fragile, scatena l’avversione e la vio-lenza di chi non può credere in Gesù. Eccoperché, al sentire queste sue parole, quei fariseiche credevano di vedere bene raccolgono dellepietre per lapidarlo (cfr. Gv 10, 31). Dove c’èun’azione, un comportamento, una parola diamore, gli uomini religiosi vedono una be-stemmia, un attentato al loro Dio, che vorreb-bero fosse un Dio senza l’uomo, contro l’uo-mo! Amano infatti più la religione che l’uma-nità, più le idee e la loro dottrina che nonl’umano, cioè i fratelli o le sorelle accanto a

noi nella loro condizione di peccato, di fragili-tà: condizione, appunto, propria degli umani,che la mano di Dio deve salvare e rialzare.

Gesù ha detto: «Io sono il pastore buono»,«Io sono uno con il Padre», ma attraverso lostile con cui ha vissuto ha anche detto, nonesplicitamente ma realmente, nei fatti: «Io so-no l’uomo, l’umanità (“Ecce homo!”), perchéanche in piena relazione con gli uomini e ledonne che sono nel mondo. Sono l’uomo co-me Dio l’ha voluto, uno con l’umanità così co-me sono uno con il Padre». Certamente le pa-role «Io e il Padre siamo uno» sono il verticedella rivelazione fatta da Gesù sul suo rappor-to con Dio, sulla sua intimità, sulla sua comu-nione con il Padre. Saranno proprio queste pa-role a ispirare l’affermazione della divinità diGesù nel concilio di Calcedonia. Parole che ri-sultavano scandalose per i giudei, ma che sonofondamento della fede per noi discepoli diquesto Dio fattosi uomo in Gesù di Nazaret, ilnostro pastore.

#meditazione

Page 23: L’Osservatore Romano · cristianesimo stesso. A volte le loro paure in- ... la storia e alcun rispetto della consuetudine ora gli fanno violenza. È già accaduto prima. Vedremo

Sono lieto di porgere il mio saluto cordialein questo primo anniversario della Dichiarazione

di Panmunjom per la pace, la prosperitàe l’unificazione della Penisola Coreana.Possa questa celebrazione offrire a tutti

la speranza che un futuro basato sull’unità,sul dialogo e sulla solidarietà fraterna

sia realmente possibile. Attraverso sforzi pazientie perseveranti, la ricerca dell’armonia e della

concordia può superare la divisionee la contrapposizione. Prego che questo

anniversario della Dichiarazione di Panmunjompossa portare a una nuova era di pace per tutti

i Coreani. E su tutti voi invoco l’abbondanzadelle divine benedizioni.

Videomessaggio del Papa nel primo anniversariodella Dichiarazione di Panmunjom per la pace, la prosperità e

l’unificazione della Penisola Coreana, 27 aprile

#controcopertina


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