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laPianura

Date post: 01-Feb-2017
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51 laPianura Angelo Giubelli superamento dei fatti. Tale atteggiamento costò fatica e ostile diffidenza in chi, negli anni sessanta, propose di rida- re vita a quella manifestazione. Ad ogni richiesta di collabora- zione, la risposta che veniva dal Palazzo, era sempre la stes- sa, breve, secca e inequivoca- bile: no! La sensibilità maggiore si con- cretizzò in taluni ambiti del clero ferrarese che, forse, prima di tutto, con lo spirito di raccogliere intorno a sé i giova- ni, in un clima quasi catacom- bale, aprì le porte delle canoni- che a contrade e borghi. Sarebbe onesto e rasserenante datare la nascita del Palio a partire da questo momento e rivedere l’iter di una manifesta- zione che, pur rifacendosi alla tradizione estense, si propone ora con grande dignità collo- candosi, finalmente, tra le manifestazioni nazionali di maggiore spicco e fedeltà stori- ca. Il Palio, con qualche ingenuità e pressappochismo si presentò ai ferraresi nel 1969 e da allo- ra è stato un continuo crescen- do, per risultati organizzativi e di partecipazione. L’ultima edizione ha avuto un epilogo tragico proprio nella fase conclusiva dei festeggia- menti, quella della gara dei cavalli nell’anello di piazza Ariostea: qualche fantino con- tuso e due cavalli abbattuti. Vainer Merighi, nuovo presi- Il Palio più antico del mondo ma con un percorso di vita stentato e accidentato? Dopo i fasti estensi, parallela- mente ad eventi storici, politici ed economici il Palio cadde nell’oblio. Un lodevole tentati- vo di ridar vita al Palio negli anni ‘30, fatto dal concittadino Italo Balbo, fallì con l’incalza- re degli eventi nazionali e internazionali che sfociarono nella II Guerra mondiale. Per molto tempo a quella mani- festazione rimase l’etichetta di ‘Palio fascista’: una vera iattu- ra per il Palio di Ferrara. Perché? La spiegazione è sem- plice e ancora crea una sorta di imbarazzo per quanti, ottusa- mente, nel periodo post-fasci- sta, alla ricerca di una impro- babile catarsi, puntarono sul- l’iconoclastia contro il Palio, piuttosto che su un ragionevole Se ci si rendesse conto che gli uomini e gli eventi valgono per il loro presente e non per quello che è stato il loro passato, peraltro lontano, il Palio che si disputa annualmente a Ferrara acquisirebbe, finalmente, quel- la dignità che gli compete. Il Palio della città di Ferrara venne istituito e codificato nel 1279. Su questo non vi è alcun dubbio e su questo punto la documentazione esiste e non è confutabile. La manifestazione, purtroppo mancò di continuità e su que- sto punto diventano goffi, mal- destri, addirittura patetici, i tentativi di confrontare la ma- nifestazione ferrarese, ed è lì che spesso si tende a parare, con quella analoga di Siena. A cosa serve, così come nella vita di ciascuno, essere nati prima,
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Angelo Giubelli

superamento dei fatti. Taleatteggiamento costò fatica eostile diffidenza in chi, neglianni sessanta, propose di rida-re vita a quella manifestazione.Ad ogni richiesta di collabora-zione, la risposta che venivadal Palazzo, era sempre la stes-sa, breve, secca e inequivoca-bile: no!La sensibilità maggiore si con-cretizzò in taluni ambiti delclero ferrarese che, forse,prima di tutto, con lo spirito diraccogliere intorno a sé i giova-ni, in un clima quasi catacom-bale, aprì le porte delle canoni-che a contrade e borghi.Sarebbe onesto e rasserenantedatare la nascita del Palio apartire da questo momento erivedere l’iter di una manifesta-zione che, pur rifacendosi allatradizione estense, si proponeora con grande dignità collo-candosi, finalmente, tra lemanifestazioni nazionali dimaggiore spicco e fedeltà stori-ca.Il Palio, con qualche ingenuitàe pressappochismo si presentòai ferraresi nel 1969 e da allo-ra è stato un continuo crescen-do, per risultati organizzativi edi partecipazione.L’ultima edizione ha avuto unepilogo tragico proprio nellafase conclusiva dei festeggia-menti, quella della gara deicavalli nell’anello di piazzaAriostea: qualche fantino con-tuso e due cavalli abbattuti. Vainer Merighi, nuovo presi-

Il Palio più antico del mondo

ma con un percorso di vitastentato e accidentato?Dopo i fasti estensi, parallela-mente ad eventi storici, politicied economici il Palio caddenell’oblio. Un lodevole tentati-vo di ridar vita al Palio neglianni ‘30, fatto dal concittadinoItalo Balbo, fallì con l’incalza-re degli eventi nazionali einternazionali che sfociarononella II Guerra mondiale.Per molto tempo a quella mani-festazione rimase l’etichetta di‘Palio fascista’: una vera iattu-ra per il Palio di Ferrara.Perché? La spiegazione è sem-plice e ancora crea una sorta diimbarazzo per quanti, ottusa-mente, nel periodo post-fasci-sta, alla ricerca di una impro-babile catarsi, puntarono sul-l’iconoclastia contro il Palio,piuttosto che su un ragionevole

Se ci si rendesse conto che gliuomini e gli eventi valgono peril loro presente e non per quelloche è stato il loro passato,peraltro lontano, il Palio che sidisputa annualmente a Ferraraacquisirebbe, finalmente, quel-la dignità che gli compete. Il Palio della città di Ferraravenne istituito e codificato nel1279. Su questo non vi è alcundubbio e su questo punto ladocumentazione esiste e non èconfutabile. La manifestazione, purtroppomancò di continuità e su que-sto punto diventano goffi, mal-destri, addirittura patetici, itentativi di confrontare la ma-nifestazione ferrarese, ed è lìche spesso si tende a parare,con quella analoga di Siena. Acosa serve, così come nella vitadi ciascuno, essere nati prima,

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dente dell’Ente Palio, non haincertezze sui correttivi daapportare: “Dopo gli avveni-menti dell’anno scorso, l’obiet-tivo primario è stato quest’an-no la riorganizzazione dellamanifestazione di piazzaAriostea rendendola più sicura.Abbiamo già concluso un lungoe appassionato lavoro che ciporta, ora, ad avere regole piùsevere e tecnicamente più con-grue alla necessità di garantirel’incolumità delle persone edegli animali: regole nuovesulle caratteristiche dei cavalli(mezzosangue anziché puro-sangue), sulla tutela della salu-te degli animali che evitino ilricorso al doping; nuove normeorganizzative e nuove formeprogettuali per l’allestimentodi piazza Ariostea; nuovenorme e provvedimenti severinei confronti di chiunque sicomporti in modo scorretto odisdicevole nel corso dellemanifestazioni”.A cosa si deve se il Palio diFerrara è indiscutibilmentecresciuto e si trova, ora, inbuona salute?“Non è necessario – spiega ilPresidente – spendere molteparole per evidenziare quanto ilPalio di Ferrara sia cresciuto esia diventato uno dei maggiori“avvenimenti” della città.Esso, infatti, con le manifesta-zioni proprie del ‘Maggio delPalio’, gli ‘omaggi al Duca’, lapresenza in alcuni altri mo-menti culturali delle singolecontrade, produce un insiemedi iniziative che sempre più sipongono all’attenzione dei fer-raresi, ma anche dei turisti”.Oltre agli inevitabili ostacoli ead ai pure inevitabili incidentidi percorso e all’operato di cen-

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tinaia di giovani, volontari insenso stretto, che cosa ha favo-rito l’attuale buon assetto dellemanifestazioni? Il presidente Merighi rispondesenza indugi: “ La grande quali-tà delle proposte culturali offer-te complessivamente dalla orga-nizzazione del Palio e, ancora,lo sviluppo crescente della col-laborazione tra il Palio e le isti-

tuzioni locali, quali Comune,Provincia, Regione, Camera diCommercio, Fondazione Cassadi Risparmio di Ferrara che,complessivamente, hanno con-sentito la disponibilità di mag-giori risorse finanziarie, di sedipiù adeguate e l’uso di unacomunicazione più integrata”Il mandato del Presidente duratre anni. Quali obiettivi si è

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posto per poter associare il suonome al triennio? “Nel corso del mandato – espo-ne Merighi – dovrà cominciaread esplicarsi un programmache io ho definito ‘Progetto diqualificazione del Palio’. Ilprimo obiettivo di questo pro-getto è quello di favorire unprocesso di maggiore identifi-cazione dei ferraresi con il loroPalio e le loro contrade diappartenenza. Il secondoobiettivo è quello di renderetutte le manifestazioni delPalio e delle contrade, soprat-tutto nei tempi di svolgimento,più moderne e dinamiche,senza nulla togliere al lorovalore culturale ed ai riferimen-ti storici.Fino ad ora non si è fatto riferi-mento al riflesso sul turismoche dovrebbe trarre indubbiobeneficio da tanta profusioned’impegno umano e risorsefinanziarie. Non è forse un ele-mento da far rientrare negliobiettivi primari?“Come Ente Palio non abbiamodeleghe per la promozioneturistica – prosegue così ilPresidente – ma a quel settore,che riteniamo fondamentaleper l’economia della nostraprovincia stiamo offrendo unostrumento non certo di scarsaimportanza. Occorrerà, secon-do noi, che il Palio e tutte lesue manifestazioni, compresequelle delle contrade, divenga-no sempre più ‘strumenti’ didiffusione della cultura, dellastoria, della tradizione ferrare-se, anche nell’ottica di unapropria capacità di promozioneeconomica e, appunto, delturismo della città e della pro-vincia. Per fare questo, abbia-mo bisogno di studiare ancora

di più e meglio le manifestazio-ni, recuperandone il loro valoreculturale, storico, artistico edella tradizione; dobbiamo dif-ferenziarle maggiormente nellediscipline quali: giochi, sport,recitazione, musica, balletto,vita quotidiana, cucina ed altroancora; vorremmo portare leiniziative in tutte quelle realtàche si richiamano agli Estensie in quei luoghi che già rappre-sentano un patrimonio insosti-tuibile della città e della pro-vincia; mi riferisco a quellerealtà che sono già, dal puntodi vista culturale e ambientale,meta di appuntamenti impor-tanti: Castello, Cattedrale,Palazzi estensi, le Delizie, ichiostri, la cinta muraria, igiardini e i parchi.L’obiettivo della qualificazionedel Palio è quello di far sì che lostesso divenga sempre più rico-nosciuto dai cittadini. Ciò lo siotterrà se sapremo, anche, supe-rare quella sorta di autoreferen-zialità culturali che troppo spessoostentiamo e sviluppando invecegli approfondimenti, i contesti

culturali che consentano, se pos-sibile, la riproposizione filologicadelle manifestazioni. Contestual-mente agiremo attraverso unamaggiore capacità di programma-zione, raggiungendo gli operatorieconomici che possono essereinteressati a vedere nel Palio unostrumento insostituibile di pro-mozione economica della città edel territorio”.Già l’ammissione di autorefe-renzialità da parte di un pub-blico amministratore storico,qual è stato ed è tuttora, VainerMerighi, che personalmente diciò non può essere comunqueaccusato, è una notizia.Cosa conforta il Presidente inun disegno tanto vasto e ambi-zioso?“Ho la fiducia di poter riuscire –conclude il Presidente – perchèal mio fianco ho un ‘patrimonio’di competenze, di capacità, didisinteressata disponibilità dicentinaia e centinaia di ragazzee ragazzi, di genitori e di opera-tori diversamente impegnati cheamano il Palio e Ferrara”.

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Mauro Malaguti

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100 anni di Spal: quel rapportocosì speciale tra Ferrara e la suasquadra

La prima formazione ufficiale della Spal 1919

Domenica 17 dicembre 2006,inverno pieno, giorno di piog-gia a due passi dal Natale.Negozi aperti, regali e comperealla portata. Eppure lecronache non registrano assaltialle boutique e alle botteghe divia Garibaldi o via Mazzini.Parlano piuttosto di un esodoinsolito, di questi tempi in cuia viaggiare dovrebbero esserepastori e re magi. Ci sono piùdi duemila ferraresi (ma perdavvero, documentati) che intreno, via statale o in autostra-da scavalcano il Po e si recano

a Rovigo, per una partita dicalcio di quarta serie. C’è laSpal che gioca, non contro ilMilan, non con la Juve: colRovigo. In uno stadio che èstato ampliato per l’occasione,perchè di solito ci stannopoche centinaia di persone. Edè un incontro di quarta serie.Ma quando la Spal riesce ariaccendere la passione dellasua gente, sopita dalle delu-sioni in serie ma sempre prontaa scattare al primo richiamodel campo, succede anchequesto. Un miracolino calcisti-

Promozione ancora una volta rinviata, ma la passione cova sempre sottola cenere

co di Natale, a ben pensarci.Che i ferraresi siano legati allaSpal da un amore viscerale, eche siano capaci di schiumarerabbia quando le cose nonvanno come dovrebbero, e cioèquasi sempre nel recente pas-sato, è d’altronde cosa nota. AFerrara il calcio è qualcosa dipiù di una passione sportiva, èun fenomeno culturale. Ilprimo sostenitore della tesi èl’ex centrocampista biancaz-zurro Gigi Del Neri, oggi allena-tore del Chievo, che per undomani più o meno lontano si è

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che avrebbe col tempo semprepiù isolato il territorio daglialtri capoluoghi di regione.Nell’ultimo quarto di secolo laSpal si è penosamente dibattu-ta tra C2 e C1, ha vissuto comeunico e fugace momento digloria un solo anno di serie B,e nel 2005 ha trovato anche lamaniera di venire esclusa daicampionati della Figc, subitosostituita dall’attuale societàpresieduta da GianfrancoTomasi. Che la passione popo-lare sia rimasta viva e sianoanzi nati e cresciuti nuovi pro-seliti, a fronte di insuccessitanto cocenti e di un’offertaalternativa sportivamente eculturalmente crescente, èfenomeno da lasciare al socio-logo. Però le cose stanno così.La mobilitazione per il cente-nario che ricorre quest’anno èforte, e vive del desiderio dellacittà e della gente comune dicelebrare quel patrimonio. Nonv’è persona che non lo consi-deri tale. La Spal non è unammasso di palloni e tabellini,di aneddoti e leggenda: è un

fenomeno culturale e identita-rio per davvero, che attendesolo giorni migliori per esplo-dere di nuovo. Sotto sotto ilferrarese sente che prima o poitornerà protagonista in questocampo. Nell’attesa, sopportacon pazienza pari solo al tor-mento cui viene sottoposto.L’ultimo episodio, il ballettodel marchio che rischia di pri-vare la Spal anche dell’uso delnome, è solo l’ennesima sta-zione di questa lunga via cru-cis. Ma nemmeno questaammazzerà gli spallini. Sannoche anche a questo l’Ideasopravviverà. L’Idra partoriràsempre nuove teste. Soltanto,nessuno sa se vivrà abbastanzaper vedere quei giorni di futuragloria...La Spal ha una sua mitologiainterna, nota giusto agli accoli-ti della congrega, tanto che unforestiero che piombasse lì nelbel mezzo di una discussioneferoce o di un semplice filottodi ricordi dei bei tempi andati,stenterebbe a capire di che siparla. Il mito ha alcuni perni

Massei e Capello: il maestro e l’allievogià prenotato per la panchinadel Grande Ritorno. Tutto ciò sideve, è chiaro, alla storia dellasocietà Ars et Labor, che il maiabbastanza rimpianto presi-dente Paolo Mazza condussefino a farla diventare unfenomeno nazionale, un Chievoo un’Atalanta di quegli anni diricostruzione post-bellica. Percapire meglio, si deve tornarecon la mente a quel che era lacittà allora, per non dire dellaprovincia: e a cos’era in fondol’Italia tutta. Un paese vogliosodi cancellare memorie funestee tornare a vivere, laddoveFerrara rappresentava unpaesone di provincia di solideradici agricole. Non offrivamolto, quanto ad arti e acircenses, la città in queldopoguerra. Cultura, moda,sport, cinema e musica con leiniziali maiuscole non vivevanoqui, anche se avevano e avreb-bero esportato talenti rari, daBassani ad Antonioni a Milva.La principale attrazione in locoera la Spal in serie A, portatasui grandi palcoscenici propriodal fiuto e dall’ambizione diMazza. Andare alla Spal, comesi diceva già allora e si conti-nua orgogliosamente a direoggi, significava andare avedere Nordahl e Nyers, Sivorie Charles, Angelillo e Altafini.Era spettacolo, quella pas-serella di grandi campioni: e lafolla sugli spalti era spettacolonello spettacolo, favorito anchedall’assenza di valide propostealternative. O un pomeriggio alcinema, o alla Spal, unico vei-colo per sentirsi parte confierezza del contesto nazionaledi prima serie. La Spal fu larisposta ferrarese alla fatidicaemarginazione dalla via Emilia,

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Una formazione della Spal ‘60da cui mai si può prescindere,nei paragoni come nell’icono-grafia. Paolo Mazza fu il presi-dentissimo, il rabdomantecapace di scorgere un calciato-re di talento sotto i brufoli diun bimbo di 12 anni, il drago,l’astuto Bertoldo, il mago dicampagna, il mercante chefaceva soldi vendendo i suoivirgulti ai ricchi capitalisti deltempio calcistico italiano.Oscar Massei era il più grande,la mente e la classe al serviziodi un carattere da vero capita-no. Giulio Boldrini rappresentail cuore, lo stoicismo, la forzaagonistica. Franco Pezzato ilbomber, il cannoniere per anto-nomasia. Nando Donati l’alettache fa ammattire tutti, comeCarlo Novelli e Dell’Omodarmeprima di lui. Mario Caciagli l’al-lenatore gentiluomo tutto di unpezzo, il solo a “cacciare”Mazza dallo spogliatoio e acomandarlo in prima persona. Ilmito si è arricchito nelle ultimedecadi di un gran numero dicognomi che per carità di patrianon citeremo ora, ciascuno deiquali è lì a simboleggiare unaincapacità, di parare o di faregol, di crossare o di sfoderare

temperamento agonistico. Pernon parlare delle frasi celebri,dei proclami che produsserol’effetto opposto a quello ricer-cato, delle fughe in avantismentite dalla cruda realtà deifatti: ci si potrebbe scolpire unamontagna. E’ preferibile ricor-dare quelli che alla Spal hannodato molto, quasi tutti riceven-done altrettanto se non di più. Ilturco Bulent, il daneseBennike, quelli che poi andaro-no all’Inter - il grande Picchi,Bernardin, Zaglio, Morin, Broc-cini... - e quelli che la Juventus- Gori, Dell’Omodarme, Pasetti,Bozzao -, quelli che la magliaazzurra e la nazionale - Bugatti,Fontanesi, e giù giù fino adAlbiero - e quelli che il destinoha strappato alla vita o alla car-riera, da Campione a Bruschini.Non bastassero cent’anni distoria, la Spal ha anche unageografia tutta sua. C’è unatlante pieno di luoghi chestanno a raccontare storie datramandare di padre in figlio.E’ un atlante singolare, dovespesso le località hanno unnome che ne significa un altro.Caporetto vi figura comeMestre, dopo lo 0-4 firmato daquattro gol del carneade Tappi.

Siena è un arco di trionfo,Verona fu due volte fatale dopoun primo approccio felice.Pescara è sinonimo di forchecaudine, San Benedetto delTronto di campo di battaglia,Como e Tivoli, sempre coniuga-te in coppia, di ingiustizia.Cento in quella specialemappa dell’immaginario nonesiste più: è stata rasa alsuolo. I paesi stranieri trovanopoco spazio. Paolo Mazza deci-se che la Spal doveva essereitaliana: ufficialmente per ledifficoltà di ambientamentodei calciatori di altre nazioni,sotto sotto perchè se il presi-dentissimo aveva un puntodebole, era la conoscenza delcalcio internazionale, in tempiin cui i media non arrivavanolontano. Però Danimarca,Argentina, Turchia, Brasile,Germania, Svezia e pochi altriesistono. Qualche anno fa, gra-zie a un tal Kemp, vi entròanche l’Australia. Per Mazza icalciatori non dovevano arriva-re da lontano ma nemmeno davicino. I ferraresi non avevanola voglia di soffrire, questa ladiagnosi del Drago: solo qual-che “bassaiolo”, al massimo.Le terre sulle quali il sole di

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Altri tempi...

Mazza non tramontava maierano il Triveneto, Friuli intesta, e le Marche e laToscana. Così nell’atlantePieris e Cormons, patria diFabio Capello e Gigi Del Neri,scintillano più delle mille lucidi New York.Nell’anno del centenario biso-gna anche parlare della Spal2007, quella impegnata nelcampionato di serie C2 con lasperanza - purtroppo ancorauna volta disattesa, nonostantela partecipazione ai play-off - dicominciare a risalire la correntee guadagnare almeno la terzaserie. Questa è comunque laSpal sorta sulle ceneri di quellacancellata dai campionati nel-

l’estate del 2005 per inadem-pienze amministrative dovute auna serie di vicissitudini amareda ricordare: prima fra tutte, ilblocco del patrimonio delpatron Pagliuso per tre anni,giusto il tempo di accertare ingiudizio che le accuse di mafio-sità erano campate in aria, e difar saltare in aria appunto laSpal. Il lodo Petrucci ha con-sentito la creazione di unanuova società, la 1907, costret-ta a ripartire (e per ora a resta-re) dal piano di sotto, quindidalla C2. La famiglia Tomasi siè gettata nell’avventura, ha vis-suto le sofferenze del primo,improvvisato campionato e orasta ritentando. Sul piano gestio-

nale la Spal al momento non stasoffrendo mancanze di alcuntipo. I pagamenti corrono, nonci sono debiti, insomma dopoanni di sofferenze si è tornativerso la normalità. Poco ci hariservato il secondo centenario.Il popolo del “Mazza” sognavadi fare 100 con una promozio-ne, invece va ancora a letto conl’incertezza sul fatto che la Spalpossa continuare a chiamarsiSpal. Ci sono azioni legali incorso tra vecchia e nuova pro-prietà per lo sfruttamento delmarchio. Anche la festa è stataincerta e sofferta, insomma.Non fosse così, non sarebbe unavera festa spallina: o no?

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Andrea Poli

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La città del però

Nemo propheta in patria, èscritto nei vangeli; per signifi-care praticamente la stessacosa, ma meglio, i latini dice-vano invece: suis domesticaplerumque sordent, a casapropria il più delle volte siviene considerati di scarsovalore. Definizione che calza apennello alla valutazione che iferraresi fanno della loro cittàe di tutto quello che le simuove attorno: sì, Ferrara èanche bella, per l’amordiddio,ma vuoi mettere conNumana? L’urbe e il suo terri-torio sono zuppi di storia, distraordinari capolavori dell’ar-te e dell’architettura e di bel-lezze ambientali che la metàbasterebbero, sempre piùgente viene da fuori per prova-re l’indefinibile, magneticasuggestione di aggirarsi tra ivicoli e gli improvvisi slarghidella Città Patrimoniodell’Umanità, e i ferraresi?Storcono il naso: sì, però…Facendo eccezione per Rovigo- che soltanto per un depreca-bile residuo di razzismo antro-pologico non fa parte dellasterminata pletora di centriabitati migliori del nostro, pra-ticamente tutti gli altri presen-ti sulla faccia della terra - perogni cittadino estense che sirispetti Ferrara è la muccanera della vecchia storiella,sapete no? “Belle le sue duemucche”, si complimenta ilgitante in visita alla stalla di

un contadino. “Ah, la muccabianca fa ottanta litri di latteal giorno, sa?”, si entusiasmal’allevatore. “E quella nera?”.“Anche, però… E poi la muccabianca fa un vitello tutti glianni, sa?”. “E quella nera?”.“Anche, però… E poi la muccabianca è mia, sa?”. “E quellanera?”, insiste petulantel’ospite. “Anche, però…”.Ecco, per quasi tutti noi, chepure siamo cresciuti succhian-do il suo humus inimitabile,Ferrara è così: bella, bellissi-ma, ma sempre con un però ditroppo. Bello il centro storicoche le ha guadagnato il titolodi prima città modernad’Europa, però è troppo deso-lato. Bello il Buskers Festivalche anima di centinaia dimigliaia di persone quel centrostorico desolato, però richiamatroppi straccioni. Bello il Paliocoi suoi costumi fastosi cucitipezzo su pezzo a partire damodelli dell’epoca, però satroppo di finto. Bella la mareadi bici che sciamano sull’ac-ciottolato, rendendo il trafficomeno congestionato, però leparcheggiano dappertutto.Bello il paesaggio del Delta,però ci sono troppe zanzare. Ementre le frotte di turisti, feli-cemente disinteressate allenostre paturnie, scendonosempre più numerose ed entu-siaste a godersi la città e ilBuskers, il Palio, le bici, ilDelta e pure le zanzare, noi

indigeni siamo pronti adaggiungere alle tante defini-zioni che in epoche successivehanno connotato Ferrara - lacittà degli estensi, la cittàdella metafisica, la città dellaSpal, la città della frutta - unnuovo esaltante tassello, suisdomestica plerumque sordent:la città del Però. Nel senso delbicchiere non solo mezzovuoto ma pure scheggiato,tanto per non farci mancareniente; tipico atteggiamentoalla Tafazzi, l’omino del trioAldo, Giovanni e Giacomo chesi dava delle randellate suglizebedei così, solo per il gustodi darsi delle randellate suglizebedei. Volete la riprova?Prendete l’agricoltura che,essendo l’attività economicapiù caratteristica della provin-cia, ha finito proprio per que-sto per assumere agli occhi deiferraresi una valenza negativa:si fa agricoltura perché i ferra-resi non son buoni di fare lefabbriche come nelle altre pro-vince. Ignorando che la colti-vazione della terra, in un terri-torio che è per oltre la metàsotto il livello del mare, non èuna pratica normale ma unafaticosa conquista iniziata sei-cento anni fa, ai tempi delNicolò Terzo che tutti ancoraricordano soltanto per la truci-da storia di Ugo e Parisina. Eche non si tratta più dell’atti-vità bucolica celebrata dalpoeta: “Al campo, dove roggio

Controcorrente / I ferraresi come Tafazzi

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nel filare / qualche pampanobrilla, e dalle fratte / sembra lanebbia mattinal fumare, /arano: a lente grida, uno lelente / vacche spinge; altrisemina; un ribatte / le porchecon la sua marra paziente”.Potete scordarvelo: l’agricoltu-ra moderna è un’industriagestita da macchine gigante-sche, magari teleguidate da unsatellite, in grado di riconosce-re le zone di terreno che pro-ducono di meno e di prospet-tare all’agricoltore la miglioresoluzione al problema facen-dola apparire sul display delsofisticato computer di bordo:“Vendere il terreno al vicino”.E dove l’intelligenza dell’uomo

gioca un ruolo preponderantenell’evoluzione delle tecnichecolturali; in questo l’agricoltu-ra dell’Emilia-Romagna, lodico senza tema di smentite,mangia il riso in testa a tutto ilmondo, compresi i tanto - egiustamente - celebrati StatiUniti. Grazie all’intraprenden-za degli agricoltori, innanzitut-to, prontissimi ad assimilare leinnovazioni provenienti daiquattro angoli del mondo; avolte anche troppo pronti,come dimostrano le infausteesperienze, fra le altre, delbabaco e del pero giapponesenashii, due frutti accomunatida una peculiare caratteristi-ca: lo squisito sapore di acqua

di rubinetto. Ma sono gliinconvenienti di chi stacostantemente all’avanguardiaperché sa che per fare redditodevi sempre essere un passoavanti gli altri, non c’è pezza.E poi a uno stretto rapporto fragli enti locali e l’università e auna rete di tecnici di campa-gna, universalmente definiti‘battiguazza’ a cagione dell’in-veterata abitudine di girare perle campagne già dal mattinopresto, quando la rugiada nonè ancora stata asciugata dalsole, che a Ferrara vanta deci-ne di esponenti ampiamenteforniti di conoscenze teorichee di attributi (non so se cisiamo capiti), che proprio

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nella nostra provincia hannoavviato negli ultimi venticin-que anni la sperimentazione ditecniche avveniristiche nel-l’aumento delle produzioni,sotto l’attenta regia di unamico, Fausto Grimaldi. Chequando parla ha la non comu-ne capacità di ingarbugliareanche le vostre idee, oltre chele sue, ma è di una luciditàestrema quando si tratta dicapire dove deve andare aparare il settore agricolo. Cosìoggi gli agricoltori ferraresisono in grado di seguire passopasso i cicli di sviluppo deiprincipali parassiti delle loropiante, insetti o funghi chesiano, in funzione dell’umiditàe della temperatura, sapendosempre esattamente in qualemomento intervenire per farpiù male ai loro avversari eriducendo al minimo indispen-sabile l’uso di antiparassitari.Per merito anche, va detto,delle informazioni loro inviate- agli agricoltori, non ai paras-siti - settimana dopo settima-na da una trasmissione televi-siva che si chiama Agreste,edita dalla Provincia, che datre lustri veicola notizie diprima mano e consigli sulletecniche di coltivazione ad usoe consumo degli addetti al set-tore, perlappunto. La qualeAgreste nell’anno di grazia2006 ha vinto il primo premio- oh dico: il primo premio - aun prestigioso concorso fratutte le trasmissioni di servizioedite da amministrazioni pub-bliche, sbaragliando program-mi dotati di ben altre risorsefinanziarie. Un concorso serio,eh, mica un pappa e ciccia damanuale Cancelli, un tanto ame, un tanto a te, come i

premi televisivi tanto strom-bazzati sulle maggiori emitten-ti nazionali; con una giuriacomposta da docenti universi-tari ed esperti di tecnichedella comunicazione e premia-zioni effettuate dal ministrodella funzione pubblica, LuigiNicolais in persona, a sottoli-neare l’importanza e la serietàdell’evento. Da altre parti iragazzini terribili di Agrestesarebbero stati accolti al lororitorno da amministratori indelirio, celebrazioni, discorsi,pubblici ringraziamenti per averdato smalto e prestigio all’isti-tuzione che rappresentavano,baci, abbracci, pasticcini ebanda, zumpapà. Invece, suisdomestica plerumque sordent,si son dovuti accontentare diuna spumeggiante e-mail dicongratulazioni, in cui caloro-samente ci si compiace, citotestualmente, “con un gruppoche continua a riservarci sod-disfazioni positive”. Lasciando

impregiudicata una dirompen-te questione: in quali ufficidella Provincia si anniderannomai i gruppi di bricconi cheriservano invece soddisfazioninegative?E che volete farci, gente, è lacultura del Però. Consentiteallora a me di rendere l’onoreche meritano agli arteficidi questo successo grandee (finora) misconosciuto:Riccardo Loberti, che fin dalsecolo scorso (correva l’annomillenovecentonovantatrè) conmano ferma e bonomìa mandaavanti la baracca, TaniaDroghetti e Stefania Andreotti.Adesso che, ben gli sta, ho final-mente consegnato all’imperiturariconoscenza dei Posteri i loronomi, permettetemi di associar-mi per un attimo agli esponentidella cultura del Però: però,ragazzi, quando esce questasaponata me lo pagate un caffè.Corretto latte freddo, grazie.

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Giorgio Mantovani e Leopoldo Santini

La Camera di Commercio el’istruzione professionale

1901, che precisava che il48,5 % della popolazione eraanalfabeta.Maggiore disponibilità lo Statoaveva dimostrato per l’insegna-mento superiore, anche se itrentatre ministri della pubbli-ca istruzione avvicendatesi dal1860 si erano preoccupatisoprattutto di modificare gliinterventi dei predecessori. Lescuole secondarie si basavanosu due sistemi, classico emoderno: il primo, fondatosulla cultura letteraria e filoso-fica, comprendeva cinque annidi ginnasio e tre di liceo; ilsecondo era rappresentato

Come risulta da unaMonografia Statistica dellaCamera di Commercio ed Artidi Ferrara nei primi anni del‘900 l’istruzione primaria sicaratterizzava per l’elevatonumero di frequentanti e discuole dislocate in ogni localitàdella provincia. Indice elo-quente erano le cifre dell’alfa-betizzazione: nel 1872 su10.000 abitanti dai sei anni inavanti solo 2079 sapevano leg-gere e scrivere, nel 1901 erano4752.La scuola italiana, nata nel1859 con D.L. del conte lom-bardo Gabrio Casati, prevedeva

che l’istruzione elementaredivisa in due rami, inferiore esuperiore, di due anni ciascu-no, e fosse obbligatoria e gra-tuita per il ramo inferiore. OgniComune o frazione con almenocinquanta bambini avviava egestiva a proprie spese unascuola nella quale stipendiava imaestri che dovevano presenta-re una patente di idoneità e uncertificato di moralità. Perquelle disposizioni la maggiorparte degli amministratoricomunali aveva odiato e avver-sato quell’istruzione, compor-tamento ben evidenziato dalcensimento nazionale del

Immagini della sede di Via Roversella della Scuola Ercole I d’Este negli anni 1920/1930

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dalle scuole tecniche di duratatriennale alle quali si accedevadopo le elementari e gli istitutitecnici quadriennali. Secondotale orientamento a Ferrarac’erano le Scuole TecnicheTeodoro Bonati con oltre 500iscritti; l’Istituto Tecnico V.Monti con 150 allievi ; il R.Liceo Ariosto; in provinciasecondo i dati della Camera diCommercio c’era una ScuolaTecnica e un Ginnasio semi-pri-vato a Cento, mentre era assen-te l’istruzione professionale.

Scuola serale Pratica diCommercio “C. Pirani” Secondo la legge la Camera diCommercio poteva erogarefondi per la pubblica istruzioneper l’istituzione di scuole com-merciali, industriali, d’arteapplicata all’industria; l’asse-gnazione di borse di studio achi si trasferiva in altre città oall’estero per apprendere un’ar-te o frequentare indirizzi pro-fessionali non esistenti aFerrara.In una riunione del ConsiglioCamerale il presidente CesarePirani presentò una relazioneredatta dal prof. Tognini diret-tore del Collegio Manzoni e pro-pose una scuola di commercioa Ferrara. Le opinioni furonodiverse: il conte Avogli conside-rò utile e lodevole l’iniziativa; ilcav. Zamorani richiese unacommissione per approfondirel’argomento; il consigliereMagrini, convinto che la praticadel commercio derivasse solodal rapporto diretto con i com-mercianti e non dalla scuola,precisò che per i mezzi limitatidella Camera stessa quell’indi-rizzo non avrebbe avuto alcunsignificato; il prof. Bottoni

nonostante la carenza deimezzi finanziari la ritenne vali-da e propose l’esperimento diun anno chiedendo che ilComune garantisse i locali e ilriscaldamento. Così la Camera di Commercio il20 dicembre 1905 istituì unaScuola Serale Pratica diCommercio, per assicurarel’istruzione tecnica a chi inten-deva avviarsi al commercio odedicarsi all’esercizio dellefunzioni professionali rivolte alsettore.Probabilmente l’idea era nataperché a Roma si era costituitauna Regia Scuola Media distudi applicati che in quattroanni avviava i giovani all’eserci-zio del commercio e alle pro-fessioni attinenti. A quell’isti-tuto si era ammessi senzaesami se in possesso dellalicenza di Scuola tecnica o delGinnasio (V classe) o con unesame complementare per chi

aveva frequentato la terza clas-se del Ginnasio.Quelle norme furono ritenutetroppo selettive per Ferrara,perciò si optò per requisitiminimi: aver superato il 14°anno; sottoporsi a un esamescritto e orale di italiano ematematica; versare la tassaannuale di lire cinque. Le lezio-ni iniziarono il 12 febbraio1906 in un’aula della scuolaelementare Umberto I conces-sa dal Municipio e le materiescelte furono: italiano, france-se, istituzioni di commercio,geografia commerciale, compu-tisteria, calligrafia. Sempre nel 1906 la Cameraistituì un corso gratuito di lin-gua tedesca; assegnò due borsedi studio per frequentare laScuola Aldini Valeriani diBologna a Andrea Giorgi diArgenta e Eugenio Antolini diVigarano; conferì lire 400 aPetrucci Athos per l’iscrizione

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all’Università CommercialeBocconi di Milano.Dopo un decennio, nonostantei dubbi espressi dai consiglieri,i risultati della scuola seraleerano superiori alle aspettative:l’avevano frequentata 1075allievi provenienti da tutte leclassi sociali e tra gli studentierano numerosi gli operai eimpiegati che dopo una giorna-ta di lavoro giungevano aFerrara percorrendo distanzenon trascurabili. Molti avevanocontinuato la professione omestiere che già esercitavanoprima dell’iscrizione, altrierano stati assunti nelle azien-de mercantili, bancarie, indu-striali di Ferrara che si eranorivolte alla direzione dellascuola.L’attività scolastica proseguìdurante la prima guerra mon-diale con l’interruzione dal ‘17al ’19, poi nel ’22 per accerta-re la maturità dei richiedenti si

ripristinò il componimento diitaliano e l’anno successivo laprova di matematica per il cal-colo.Nel 1923 decedeva a Bolognail comm. Cesare Pirani che perventi anni consecutivi era statopresidente della Camera diCommercio: varie le sue inizia-tive, la costruzione ed eserciziodel tronco ferroviario darsena –stazione; il collegamento ferro-viario Ferrara – Modena; l’im-pianto della rete telefonica pro-vinciale; l’istituzione dellaScuola serale di Commercio; lafondazione della R. Scuolaindustriale; l’impianto aFerrara di alcune succursalidella posta. Dal 1919 si eratrasferito a Bologna continuan-do a collaborare nel Consigliodella R. Scuola Industriale.Nell’anno scolastico 1923-24insegnanti e studenti dellaCesare Pirani espressero ildesiderio di avere una bandie-

ra, per realizzare la quale siaprì una sottoscrizione e laCamera contribuì. L’anno suc-cessivo, abbandonate le auleantigieniche dell’Umberto I° lelezioni continuarono in viaBorgoleoni nel R. Liceo-Gin-nasio. Il Consiglio dell’Economiasubentrato nel 1928 alla vec-chia Camera di Commerciocercò di valorizzare sempre piùquella istituzione divenuta unpunto di riferimento anche peraltre città e per l’ordinamentodegli studi: tre corsi annualicon cinque materie obbligato-rie (italiano, francese, aritmeti-ca e computisteria, geografia eistituzioni commerciali ) e trefacoltative e complementari(stenografia, dattilografia,tedesco). Dopo due anni diinterruzione nel secondo con-flitto mondiale le lezioni ripre-sero nel 1945- 46 ma con pro-blemi di non facile soluzione:la Camera si addossò l’interagestione per il ridotto contribu-to degli altri Enti e conservòminima la tassa di iscrizioneper la quasi gratuità dell’inse-gnamento. Si trovò anche acompetere con altre scuoled’analogo indirizzo gestite daprivati o organizzazioni varie,ma fortunatamente questedopo breve tempo cessaronol’attività. La sede che fino aquel tempo la Provincia avevaconcesso presso il LiceoGinnasio fu tolta, ma la Camerarintracciò altri locali al secondopiano dell’Istituto Tecnico V.Monti in via Borgoleoni. Dal1951-52 iniziò una tradizionegià presente nelle scuole pub-bliche, l’inaugurazione dell’an-no scolastico. Nello stessoperiodo, soppresso l’insegna-

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mento della dattilografia, siritornò a studiare il francese,merceologia, geografia econo-mica per favorire gli studentiche intendevano conseguire iltitolo di computista o di ragio-niere. Negli anni ’60 la GiuntaCamerale predispose un pro-gramma di studi organizzatosulla base dei programmipredisposti dall’Istituto Profes-sionale di Stato per ilCommercio di Ferrara che ospi-tava la Pirani e affidò alConsorzio lo svolgimento delcorso triennale di addetto allacontabilità e del corso prepara-torio accelerato della durata diun anno per il conseguimentodella licenza di scuola mediainferiore e interruppe per man-canza di iscritti quello di addet-ti alla segreteria d’azienda. Nel 1968 nel salone dellaCamera di Commercio si celebròla 2ª Giornata dell’istruzioneprofessionale presieduta dalProvveditore Mandragora, pre-senti il Presidente Camerale ePresidente per l’istruzione tecni-ca Romeo Sgarbanti, Messinaper la Prefettura, presidi e alun-ni. Mandragora precisò che a unanno di distanza dalla celebra-zione della prima giornata ilnumero di iscrizioni agli istitutiprofessionali era aumentato del24% perché quell’ istruzioneoffriva immediate possibilità dioccupazione senza pregiudizioper l’accesso ai più alti gradi distudio. Nei due Istituti profes-sionali per l’Industria e l’Ar-tigianato con sezioni di conge-gnatori, riparatori, elettricisti,meccanici, frigoristi ecc, gliiscritti erano 652 divisi fra i526 di Ferrara con le sezionicoordinate di Argenta ePortomaggiore e 126 di Cento.

L’Istituto professionale per ilCommercio di Ferrara condistaccamenti a Bondeno,Comacchio, Portomaggiore persegretari e contabili d’azienda(una quarta scuola di tipoalberghiero era in funzione alLido degli Scacchi) aveva 407alunni. Un altro istituto alber-ghiero era in progetto perFerrara l’anno successivo.La sezione coordinata diPortogaribaldi dell’IstitutoProfessionale di Stato “GiorgioCini” di Venezia con specializ-zazioni per meccanici navali,elettricisti di bordo e padronimarittimi aveva 158 allievi.330 erano gli iscritti all’IstitutoProfessionale per l’agricoltura“F.lli Navarra” di Malborghettodi Boara, con una scuola coor-dinata funzionante a Pomposae corsi complementari aBondeno, Copparo, Coronella,Massafiscaglia, Quartesana, S.Giorgio per esperti coltivatori,meccanici agrari, specializza-zioni per frutticoltori.Con i nuovi orientamenti scola-stici la Pirani, che negli anni‘20 “doveva abituare innanzitutto all’iniziativa, cioè allapronta visione di ciò che sipoteva fare di socialmente utilecon vantaggio proprio, allo stu-dio razionale delle difficoltà dasuperare, alla tecnica dell’ese-cuzione adatta “concluse il suociclo e la sua funzione.

Istituto Professionale di Stato“Ercole I° d’Este”. Il Bollettino della Camera diCommercio e Industria diFerrara nel dicembre 1917 pre-cisava “La Camera di Commer-cio è lieta di comunicare, che... il Consiglio d’InsegnamentoIndustriale ha approvato la pro-

posta relativa all’Istituzione diuna Scuola Industriale di 2°grado in Ferrara... La Cameramedesima mentre si compiacedell’esito favorevole della pro-pria iniziativa, fa voti affinchétutta la Cittadinanza accolgabenevolmente questa nuovascuola che darà un più moder-no impulso alle industrie localie contribuirà non poco all’in-tensificarsi delle ricchezzedella Provincia”.La scuola istituita con D. L. 24febbraio 1918 in base al rego-lamento sull’istruzione profes-sionale redatto nel 1913 preve-deva diversi corsi: serali, perartieri (fabbri, muratori, fale-gnami, decoratori ecc); festivi,per conduttori di caldaie avapore; fabbri di campagna perla riparazione di macchine;ambulanti, per coloni per utiliz-zare le macchine agricole.L’organizzazione di una scuolaprofessionale presentò notevolidifficoltà aggravate dalle condi-zioni economiche della guerra.Infatti il primo concorso apertodal Ministero per la nomina deldirettore non si svolse per man-canza di concorrenti, perché igiovani con competenza e atti-tudini erano contesi dall’indu-stria privata che offriva elevatistipendi e buone carriere.Inutile anche la proposta di unprimo aumento di stipendio con-cordato tra il Comune, Provincia,Camera di Commercio, solo dopolunghe ricerche si nominò diret-tore il Livio Bedosti di Terni. Ilsecondo problema fu quellorelativo ai locali e al materiale,un impegno che per il vertigi-noso aumento dei prezzi dovutialla guerra andava ben oltre lefinanze comunali. Si rinunziò albellissimo progetto dell’Ing.

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Selvelli capo dell’Ufficio TecnicoComunale e per non ritardarel’apertura, che avvenne il 13dicembre 1920, si accettò l’usodi una piccola parte del fabbrica-to detto delle “Martiri”. Nelprimo anno per mancanza dilocali si rinunciò al lavoro manua-le che costituiva l’aspetto princi-pale dell’istruzione professionale.Al primo piano dell’ala centraledel fabbricato c’erano quattrospaziose soffitte di 400 mq uti-lizzate parzialmente come ripo-stiglio per i rifiuti del magazzi-no comunale dell’Annona chepresentavano pessime condi-zioni di staticità e manutenzio-ne ed erano completamentebuie. Ricavare delle aule daquegli ambienti significava

affrontare lunghi e costosiinterventi di restauro, ma l’am-pliamento e il miglioramentodella sede per la vita stessadella scuola non ammettevaritardi. Il primo agosto 1923iniziarono i lavori con la demo-lizione del fabbricato rusticodell’ex proprietà Badia (l’orto,casa da ortolano, un fabbricatoannesso con camera d’abitazio-ne, vasto magazzino e granaioin Piazzetta Roversella per enfi-teusi) nel 1868 era stato conces-so da Alessandro Campana aIsacco Pisa e Angelo Bassani chenel 1872 l’avevano venduto aLuigi Casotti il quale l’aveva divi-so tra le sorelle e una di questeai primi del ‘900 aveva ceduto lasua parte al Dr. Lucio Badia).

Un altro intervento riguardò lademolizione di una parte dellacasa De Carli, un fabbricato dimq. 108 con fronte in piazzettaRoversella. Per ottenerlo ilComune cedette mq. 100 diorto in continuazione del terre-no De Carli e versò lire 28.000,metà al preliminare e l’altrametà alla stipulazione. Il 15 ottobre 1923 la scuolaaveva a disposizione due am-bienti di 11 x 11 per il labora-torio di elettrotecnica e gabi-netto di fisica; due aule per laquarta classe; un ga-binetto dichimica; una galleria di disim-pegno per le aule. L’officina diebanisteria oltre il restauro rea-lizzò anche gli arredamentiscolastici: armadi per i gabinet-

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tiva e retribuita l’opera deglialunni appena licenziati dallascuola”. Dopo quattro anni divita diciotto allievi licenziatidalle sezioni di elettronica,aggiustaggio, torneria, per inte-ressamento della direzione sco-lastica furono assunti dallaFiat di Torino e Bianchi diMilano, dalla Società Romeo diSaronno e nelle industrie locali:la Società Elettrica Padana,Molini Alta Italia, SetificioNazionale, officine F.lli Santini. Nel 1924-25 iniziò la trasfor-mazione graduale della R.Scuola Industriale in scuola ditirocinio per l’esercizio di pro-fessioni qualificate e per l’am-missione si richiese la licenzadella scuola di avviamento pro-fessionale o la licenza dellecomplementari. Non esistendoscuole professionali (solo nel1926 il Comune di Ferrara,uno tra i primi in Italia, sostituìai vecchi corsi popolari unascuola post elementare per lapreparazione tecnica e praticaal lavoro, e non potendo fareaffidamento su quelli licenziatidalla complementare perchépoco numerosi e più orientativerso altri tipi di scuole, sidecise di istituire un corso pre-paratorio di un anno al quale sipoteva accedere con la promo-zione dalla sesta alla settimaelementare). Con la riformascolastica gli avviamenti pro-fessionali vennero incorporatinelle scuole esistenti: TeodoroBonati, Regia Scuola Indu-striale, Pirani, Taddia di Centoattivo dal 1925.Poiché la R. Scuola Industrialedi Ferrara era stata aperta in uncentro eminentemente agricoloper facilitare l’industria agrarialocale, dal 1921 organizzò

Cesare Pirani in un ritratto di A. Longanesi - 1919 - Collezione Camera diCommercio di Ferrara

ti di elettronica, fisica e chimi-ca; venti sedie e altrettantibanchi di faggio per le aule;modificò dieci banconi d’aggiu-staggio; l’albo della scuola innoce intagliata; i cavalletti perle esercitazioni di bobinaggio.Le esercitazioni di fucinazioneerano iniziate nel 1921 in unsemplice locale con materialein gran parte proveniente dallazona di guerra, ma poiché illocale era piccolo e male illu-minato si decise di restaurarloe ampliarlo abbattendo unmuro principale di divisione.Sostenendo la costruzionesovrastante con una solidaarmatura d’acciaio si aggiunsealla vecchia officina un magaz-zino in modo che la superficiecomplessiva risultò di mq.160. La scelta delle fucine, delmaglio e di tutte le attrezzaturefu oggetto di uno studio accu-rato da parte della direzione.Nell’anno scolastico 1924-25fu ultimato l’addobbo per lasala del consiglio d’ammini-

strazione; il mobilio con deco-razioni in intaglio fu disegnatodal prof. Teobaldo Magoni inse-gnante della scuola, è suaanche la progettazione del lam-padario artistico in ferro battu-to ornato di rose e di farfallerealizzato dall’officina di fuci-nazione. Il contributo del per-sonale scolastico continuòanche dopo il secondo conflittomondiale quando furono ese-guiti tutti i lavori in legno,sostituiti i vetri forniti dalGenio Civile e, con materialeacquistato dalla stessa scuola,ricostruiti gli impianti di illumi-nazione e si collocarono lestufe.Il programma scolastico findagli inizi si basava sul concet-to “che una modesta culturagenerale servisse di base a unapreparazione professionale ge-nerica e che questa costituisseil fondamento di una prepara-zione specializzata. Dunqueavviamento al lavoro che ren-desse immediatamente produt-

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annualmente dei corsi teoricipratici per conduttori di loco-mobili e trattori agricoli.Nell’anno scolastico 1922-23istituì un corso di meccanicaagraria per esperti conduttoridi trattori utilizzati anche perl’aratura, e solo dopo lunghetrattative con il Ministerodell’Economia alla scuola ven-nero concesse quaranta mac-chine agricole degli abolitidepositi governativi, attrezzatu-ra messa in efficienza nelleofficine scolastiche nel periodoestivo. L’incremento delle mac-chine richiese la costruzione diun padiglione che non potevasorgere nell’ex orto Badia giàpredisposto per le esercitazionidi meccanica agraria. Il nuovoedificio ultimato il 30 gennaio1925 lungo quaranta metri,largo otto e alto cinque, era tral’ex orto Badia e l’orto delPalazzo dei Diamanti. Negli anni ‘30, con la creazio-ne della zona industriale, ainormali corsi di specializzazio-ne si aggiunsero quelli seraliper operai edili, cementisti,aggiustatori calibristi e sagomi-sti, allievi tornitori, specializza-zione pre-aeronautica permotoristi e marconisti, e uncorso diurno femminile perradiotelegrafia e telefonia.Nel secondo conflitto mondiale24 bombe distrussero tre quar-ti degli edifici, ma nonostantequesto oltre cinquecento allievinell’ottobre 1945 si presenta-rono per riprendere gli studi;solo cento furono accolti inpiazzetta Roversella e altri 200in via Borgoleoni nel Liceoclassico statale. In agosto lastampa locale evidenziò le dif-ficoltà che molti giovani aveva-no a trasferirsi in altre province

per conseguire il titolo di peritoindustriale. Il problema si pote-va risolvere utilizzando aule eofficine della Scuola industria-le favorevole ad accogliere ilnuovo indirizzo, ma non si volletrovare una soluzione. Nel dopo-guerra iniziarono le opere di rico-struzione e ampliamento del fab-bricato di via Roversella, nel1951-52 all’Istituto Professionalegli alunni iscritti furono 1401 cosìsuddivisi: Istituto Professionale(diurno 153), (serali 66); ScuolaTecnica (II classe residua 56);Avviamento 32 classi e 961 allie-vi; Corso per conducenti meccani-ci di macchine agricole organizza-to dalla Scuola Meccanica agrariadi Roma 60; Corsi serali e dome-nicali gestiti dal ConsorzioProvinciale per l’istruzione tecni-ca. Venti anni dopo gli studicomprendevano il settore elet-trico ed elettronico, meccanicoe riparatori, gli studenti poteva-no diventare operai specializza-ti dopo il terzo anno o conti-nuare gli studi per la maturità.Con l’istituzione della scuolamedia unica sono prima scom-parsi gli avviamenti professio-nali, in seguito con le nuovedisposizioni ministeriali anchegli istituti professionali hannomodificato i piani di studio,

orientandoli soprattutto versol’aspetto teorico e annullandoquasi completamente la partepratica. Così è avvenuto per ilCentro di AddestramentoProfessionale della Città delRagazzo, per il Centro Profes-sionale della Cesta e anche perl’ I.P.S.I.A, con la nuova sededi via Canapa che offre nuoviindirizzi e che ha incorporatol’Istituto Professionale F.lliNavarra trasformato in IstitutoTecnico Agrario. La speranza èche non si verifichi quantoriportato dal Corriere della Serail 19 gennaio 2007: “in Ohiochi segue un corso per saldato-ri riceve varie offerte di lavoroprima ancora di conseguire ildiploma ed è corteggiato comeun laureato che esce daHarvard...Paradossalmenteuna delle cause di scarsità dioperai è che l’industria ha unfuturo incerto. Ma le fabbrichesono ancora lì e rimarranno alungo perché non tutte posso-no essere automatizzate. Conle nostre analisi economiche –ha ammesso un tecnologodella Bowling Green StateUniversity – abbiamo finito perprovocare un corto circuitoculturale”.

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Dante Leoni

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Da Longastrino all’O.N.U.

L’alveo del Po di Primaro, oggioccupato dalle acque limaccio-se del Reno bolognese, altronon era che una delle innume-revoli evoluzioni che il corsomeridionale del Po, il cosiddet-to Po di Spina, aveva a partiredall’età del bronzo. Lungo lesottili strisce di terra emersecostituite dagli spalti naturalidel fiume, antichi o recenti, esulle conoidi create dal fiumecon repentini mutamenti delcorso, gli uomini avevano creatocampi da arare e da seminare,pascolare per gli animali, rico-veri di canne e paviera e focola-re per ripararsi. Da questicapanni sarebbero via via sorte“murate et cupate”, il villaggiovero e proprio. È storia comunea tanti villaggi sorti in epocamedioevale nella terra del BassoPo. A volerla cercare, risiedeproprio qui, sull’una e sull’altrasponda di un fiume abbandona-to, non la Patria della retorica, oquella racchiusa tra confini sta-biliti dagli uomini, ma laHeimat, la terra natìa, che saparlarci di lontano con i suoisegni, con i suoi suoni, sopran-nomi e cognomi, con la sua par-lata, con il suo santo patrono,con il suono delle sue campane,ben diverso da quello di millealtri campanili. (Franco Cazzola,premesse a la “Storia diLongastrino in età medievale emoderna” di Dante Leoni eGiovanni Montanari – ed. Il Pon-te Vecchio – Cesena, 2002).

Questa è la terra dove nacqueun secolo fa Leonida Felletti,personaggio straordinario, disuperiore rilevanza culturale eprofessionale, che, sebbenesvantaggiato dalle modeste con-dizioni economiche familiariche non gli consentirono di farestudi regolari, raggiunse l’ambi-tissimo traguardo di rappresen-tante dell’Italia alle NazioniUnite per i problemi del lavoro edell’emigrazione. Si potrebbeintitolare “da Longastrino al-l’ONU”.Il giovane Felletti iniziò la suaattività lavorativa esercitando imestieri più modesti; la fami-glia conduceva un’esistenzagrama, come in generale eraquella di chi iniziava una nuovavita in un contesto e comunitàdiversi da quelli di origine, spe-cialmente a quei tempi; ma sti-molato dall’innato desiderio diconoscere e apprendere, dotatodi intelligenza acuta e tenacevolontà, studiava e contempora-neamente lavorava. Il 26novembre 1926, appena ven-tenne, come correttore di bozze,entrò al Corriere Padano direttoda Nello Quilici, che perirà il 29maggio 1940 nell’incidenteaereo nel cielo di Tobruk, assie-me a Italio Balbo di cui ancoraoggi, di tanto in tanto, si favo-leggia. Il giornale, è risaputo,godeva fama di “fare la fronda”,e Mussolini, oltrechè alla presi-denza del Consiglio dei Ministri,se lo faceva, inviare, in busta

Leonida Felletti negli anni ‘20

Forse era un predestinatoLeonida Felletti: nel centenariodella nascita, Ferrara, la suacittà, gli ha dedicato una nuovastrada. Era nato a Longastrinodi Argenta il 28 dicembre del1906 e dall’ultimo paesedella provincia, i longastrinesisostengono dal primo, la fami-glia di disagiate condizioni eco-nomiche – muratore il padre,casalinga la madre – emigrò aFerrara nel 1909 quando il pic-colo Leonardo aveva poco più didue anni e il fratello Amerigoalcuni anni in più.Longastrino è un curioso paesedi frontiera. Come la maggiorparte dei villaggi del vasto deltadel Po si snoda lungo le rive diuno dei numerosi rami, vivi oabbandonati, del grande fiume.

Leonida Felletti, un predestinato

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chiusa personale, a VillaTorlonia. Il “foglio” ferraresediretto da Quilici, pur essendodi tradizioni non comparabili aigrandi quotidiani nazionali –Corriere della Sera, la Stampa,il Messaggero, il Giornaled’Italia ecc. - si distingue per illivello culturale elevato e per ilprestigio di molti suoi collabora-tori. Ben presto L. Felletti,emerso per la spiccata profes-sionalità culturale, venne pro-mosso con il prestigioso affida-mento della “terza pagina”,come veniva chiamata allora lapagina della cultura, della qualediverrà un curatore. Fu unperiodo di intense attività – con-ferenze, collaborazione giornali-stica, recensioni, elaborazioni –tendente alla promozione e sol-lecitazione di nuovi fermentinon condizionati da ineluttabileprovincialismo.Il grande balzo avverrà all’iniziodel 1940 quando sarà chiamatoa Roma all’Agenzia giornalistica“Stefani”, organo ufficiale delloStato Italiano; si trattava di untraguardo di eccezionale impor-tanza, forse il massimo per ungiornalista. L’Agenzia, che fupromossa nel 1853 dall’alloraPrimo Ministro Camillo Bensodi Cavour, prende nome dalgiornalista patriota venezianoGuglielmo Stefani rifugiatosi aTorino nel 1848 perché perse-guitato dalla polizia austriaca.La “Stefani”, nelle intenzioni diCavour, aveva il compito didistribuire ai giornali notiziegenerali e soprattutto i comuni-cati governativi; il regime fasci-sta la trasformò in uno strumen-to per il controllo dell’informa-zione. All’apertura del conflittoarmato da parte dell’Italia il 10giugno 1940, Leonida Felletti

venne mobilitato come corri-spondente di guerra e inviatosul fronte francese prima e sulfronte libico-egiziano poi; saràtestimone – sarà anche uno deitanti mutilati di guerre – delladrammatica epopea dei nostrisoldati a El Alamein, laCaporetto africana. Il suo libroSoldati senz’armi, scritto nel1944 concluse le operazioni inAfrica settentrionale, è “un attod’amore e di rispetto per chi hadato la vita, congelato nellaneve o riarso sulle dune assola-te – un tremendo atto d’accusanei confronti del regime e deglialti comandi” e dedicato ai tanticaduti in cielo, in terra e negliabissi del mare. “Molti di lorosono abbarbicati al loro angolodi deserto, ai sassi dei lorocaposaldi, ai fianchi degli“uidian” e là sono morti; moltialtri hanno intrapreso marcedisperate lungo le piane senzaconfini, impossibili a superarsi

a piedi, ed hanno soggiaciutoagli spasmi della sete, ai morsidella fame, ai deliqui dell’im-mane fatica”.Finita la guerra Felletti ritornò aRoma dove si era trasferito defi-nitivamente con la famiglia nel1941. L’Italia era drammatica-mente sprofondata nel marasmaeconomico, politico, istituziona-le per colpa degli eventi bellici.Fra il dicembre 1944 e il gen-naio 1945 incontrò Alcide DeGasperi, ministro degli esteri diuno dei primi governi formaticon l’avvento democratico, alquale pose specifiche iniziative,sui problemi dell’emigrazione edel lavoro verso i nostri conna-zionali emigrati; ideatore e fon-datore, fu il direttore dal primonumero del 10 maggio 1945fino al XXVIII numero del 25maggio 1972, data in cui lasciòla direzione per raggiunti limitidi età. Lo scopo di Italiani nelMondo era implicito nell’edito-

Leonida Felletti e Bianca Maria Maj nella loro casa di Ferraranegli anni 1938-1939

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riale del primo numero: “L’Italiarisorgerà”: “Lasciare una paroladi speranza agli italiani sparsinel mondo, che languono neicampi di prigionia e a quei con-nazionali che sono stati rinchiu-si nei campi di concentramento.Una parola di speranza e di fedenel domani”. La rivista si dedi-cò subito ai problemi dell’emi-grazione italiana verso l’estero,era ovvio che tale questionesarebbe diventata ben presto discottante attualità; seguì inostri lavoratori fin dai primiespatri: Belgio, Svizzera,Francia, Ame-rica Latina,Germania, Canada, Australiaecc.La presenza del periodico italia-no, rispetto ai grandi temi dellavoro e dell’emigrazione, trava-licava i confini nazionali perassumere un ruolo di sollecita-zione e di indirizzo negli organi-smi più qualificati e autorevoliistituzionalmente, e Felletti fuchiamato a fare parte del BIT –Bureau Intenational du Travail(Ufficio Internazionale delLavoro) Ginevra. Nel 1945 creòl’Agenzia A.I.M. per la stampa ela radio di lingua italianaall’estero; nel 1953 venne elet-to membro del ConsiglioConference of Non Governmen-tal Organizations Migration –ONG, e nel 1955 fu Capo dellaDelegazione italiana all’ONUper i suaccennati problemi; nel1956 venne nominato Espertodel Consiglio Economico Socia-le ONU; nel 1957 eletto mem-bro dell’Esecutivo dell’ONU;nella Conferenza di New Yorkconfermato per il biennio 1959-1961. La Nansen Medal, mas-simo riconoscimento delleNazioni Unite per l’attività svol-ta, gli venne conferita nel

1963. Giova ricordare che talericonoscimento viene conferitoper meriti eccezionali e che fracoloro che sono stati insignitifigurano, fra gli altri, la signoraE. Franklin Roosevelt, la reginaGiuliana d’Olanda, la Lega delleSocietà della Croce Rossa, il reOlav V° di Norvegia, Sir TasmanHeyes ex Segretario del Diparti-mento Australiano del Common-wealth per l’emigrazione. (Lasegnalazione è stata fornita, inversione italiana dall’Ufficio diRoma dell’Alto Commissariatodell’ONU per i rifugiati).Durante la sua lunga attività haricevuto altri importanti attesta-ti nazionali e internazionali.Questa breve sintesi evidenzia illivello culturale, professionale esociale dell’impegno profusodal concittadino Felletti chia-mato a rappresentare la nazionein un momento estremamentecritico sul piano politico, diplo-matico ecc., cioè prima ancora

che l’Italia fosse ammessaall’ONU. Nel febbraio 1937 LeonidaFelletti aveva sposato l’archeo-loga forlivese Bianca Maria Majche nel 1935, col professoreSalvatore Aurigemma, partecipòall’ordinazione del Museo Greco– Etrusco di Spina di Ferrara nelpalazzo di Ludovico il Moro edel quale assunse successiva-mente la direzione prima delprofessore Alfieri. Negli anni1940-1941, trasferitasi a Romacon il marito fu chiamata adassumere alte responsabilitàsempre in campo archeologico:Terme di Diocleziano, ispettricepresso la Soprintendenza diOstia Antica; fu, inoltre, la fon-datrice e direttrice del Museodell’Alto Medio Evo di Roma;autrice di autorevoli pubblica-zioni conosciute. Divulgate estudiate nelle università stra-niere più prestigiose: Oxford,Ottawa, Pontificia Accademia

Leonida Felletti e Guglielmo Marconi in occasione delcentenario Ariostesco, Ferrara 1933

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Romana, Atene ecc.Da questo excursus, inevitabil-mente sintetico, emerge lapoliedrica personalità delnostro illustre concittadino chenegli anni ‘30 si cimentò purenell’attività di novelliere con lopseudonimo russo di LeonidaLeonidoff. Le novelle, una pro-duzione inusuale per un giorna-lista di quotidiano, furono pub-blicate con successo su impor-tanti giornali italiani come ilPopolo di Roma. il Giornaled’Oriente, il Corriere Padano esu riviste straniere: la “NeueFreie Presse” di Vienna e il“Pester Lloyd” di Budapest.Dopo il contratto di collabora-zione con il Popolo di Roma neconcluse un altro importantecon la Casa editrice Rizzoli.Persino Mario Missiroli, il notogiornalista, cadde nell’equivoco

Leonida Felletti nell’oasi di Siwa con la sua “casa ambulante”,bottino di guerra 1942

Leonida Felletti in viaggio verso l’ONU

presentando come una sua tra-duzione dal russo la novella “Laisba di Lienka” del ferrarese

Felletti facendola pubblicaresul quotidiano romano. Nondiversamente si comportò l’au-torevole Osservatore Romanoche in un corsivo criticò loscrittore “russo” LeonidaLeonidoff per la novella “Folatadi vita”, ritenuta “troppo spin-ta”. (dai ricordi di L.F.).Questo è stato Leonida Felletti,ferrarese, nato a Longastrino unsecolo fa, cresciuto nella nostracittà, morto a Roma nel 1973.I centri di DocumentazioneStorica del Comune di Ferrara,di Longastrino Ferrara eRavenna, gli hanno dedicatouna mostra documentaria efotografica e ripubblicato, incoppia anastatica, il libroSoldati senz’armi; il Comune diFerrara gli ha intitolato unanuova strada della nostra città.(lettera prot. 9860 del 1°febbraio 2007 e relativa auto-rizzazione della Prefettura diFerrara con nota n°12031/06dell’11 gennaio 2007).

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Lucio Scardino

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Giovanni Boldini, maestro anche nella grafica

Il pittore ferrarese GiovanniBoldini è universalmente notocome uno dei geni vissuti nellaBelle époque, quello chemeglio è riuscito a rendere ilclima sofisticato del mondodescritto nei capolavori lette-rari di D’Annunzio e Proust:non a caso sulla copertina diuna recente edizione dellaRecherche compare il suodipinto La passeggiata al Bois(1909), conservato nel Museo“Boldini” di Ferrara, e non unadelle opere dei suoi pur volen-terosi epigoni, quali Blanche,Helleu, Zorn o il franco-venetoMario Cavaglieri.Consacrato come sommo pitto-re dalla critica odierna - supe-rando i pregiudizi, soprattuttodi tipo ideologico – di circamezzo secolo fa e ricercatissi-mo sul mercato internazionale,Boldini è fonte di continuesorprese, che gli approfondi-menti di studio tentano direstituire, non sempre riuscen-dovi.E’ il caso delle sue originifamiliari, radicate nel climadella provincia ferrarese, aridosso della Romagna: iBoldini risultano difatti stan-ziati a Portomaggiore sin dalXVII secolo.Si sarebbero trasferiti a Ferraragrazie soprattutto al matrimoniofra Venanzio Boldini, bisnonnodi Giovanni e la giovane ferrare-se Elisabetta Caparossa: le

nozze (e il trasferimento incittà) parrebbero fissate al1798 nel recente “catalogo”dei Dini, i quali collocano quin-di la nascita del loro nipoteAntonio (padre di Giovanni, e asua volta pittore) curiosamentenello stesso anno e nel paese diAlfonsine, in diocesi di Imola,senza indicar peraltro la fonte ditale asserzione (1).Pur prescindendo dalla circo-stanza che Alfonsine si trovanella diocesi di Faenza, uninedito necrologio di Elisa-betta, conservato presso laBiblioteca “Trisi” di Lugo,informa che la donna morì il 7dicembre 1817, a 68 annid’età: e quindi vent’anni primaera tutt’altro che giovane e ilsuo matrimonio è da anteporredi parecchio, forse al 1768,quando la donna contava 19anni.L’autore del necrologio era ilfamoso storico argentanoFrancesco Leopoldo Bertoldi,al quale nel 1818 AntonioBoldini eseguirà un deliziosoritrattino grafico (2).Circa la nascita di quest’ulti-mo ad Alfonsine di Ravenna, lanotizia contraddice quantoriportato in uno stato di fami-glia del 1874, conservatopresso l’Archivio StoricoComunale di Ferrara, dove siregistra che Antonio Boldiniera nato in Umbria, a Spoleto,nel 1799 e morto a Ferrara nel

1872 (3). E già l’Ovidi, nel1902, lo definiva erroneamen-te nativo di Pesaro… (4).Nel medesimo fondo archivi-stico comunale l’unica notiziasui Caparossa riguarda un“Domenico Caparossa, figliodel fu Francesco, possidente,abitante a Ferrara, nella par-rocchia di S. Benedetto”, ilquale nel 1820 richiese uncertificato di moralità per otte-nere la licenza di caccia: e ilparroco certificò la sua “saviae cristiana condotta” (5).Al di là di queste precisazionisui parenti di Giovanni Boldini(comunque tutt’altro che ozio-se), è da rilevare l’importanzadell’ambiente familiare per laformazione artistica del futurogrande pittore: oltre al padre,ottimo disegnatore (fu allievodi Tommaso Minardi), discretopittore e valente restauratorenonchè “falsario” (6), anchetre fratelli che seguirono l’atti-vità pittorica e i prodotti della“bottega”, sono facilmenteconfondibili fra loro.E’ questo il caso della tizianescaAssunta nella chiesa di GuardaFerrarese, già ascritta ad Antonio(7), ma in realtà documentatanell’Archivio Parrocchiale comeopera del figlio Giuseppe, che fumaggiore di tre anni al Nostro.Per la formazione di Giovanniimportante fu inoltre la figuradella nonna paterna, BeatriceMandolini, discendente da una

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famiglia di incisori, e moglie,in seconde nozze, di LuigiFederzoni. Costui è stato con-notato via via dagli storici“boldiniani” quale falegname,ingegnere, architetto, proprie-tario di una fabbrica di mobili:in realtà fu un raffinato ebani-sta, autore, fra le altre cose, diun bellissimo tavolino da lavo-ro impiallacciato in mogano,donato a Cornelie Millinger dalcardinal Odescalchi (8).Fu proprio Luigi Federzoni adacquistare nel 1832 la casadell’odierna via Savonaroladove nascerà Giovanni: e nel“salotto” in cui i nonni riceve-vano aristocratici, borghesi edartisti il giovanissimo pittorenoterà le prime tracce di quel-l’eleganza che lo contrasse-

Le contessine Prosperi (1858 ca.)

gneranno per tutta la sualunga vita.Degli anni ferraresi è un beldisegno (svincolato ormai dagliesempi del padre), raffigurantele tre figlie del conte GherardoProsperi: vi si evidenzia, nelnon-finito della parte inferiore,un’inclinazione quasi metoni-mica, il desiderio di sintetizza-re alcuni particolari rispetto adaltri ritenuti più importanti (inquesto caso, il cestino al cen-tro), che diverrà poi sua pecu-liare sigla espressiva.Il disegno ha nel contemposapore illustrativo, quasi danovella anglosassone, allaDickens, e un intimismo collo-quiale, sapidamente “provin-ciale”, rivelando nell’adole-scente Giovanni, teso a coglie-

re volti di ragazze in diversoatteggiamento (di prospetto,reclinato, di tre quarti), lafutura attrazione per l’universomuliebre, ovvero per l’”eternofemminino”.Questo disegno, conservatoancora a Ferrara, presso glieredi Prosperi-Zanardi, saràuno fra i primi analizzati daBianca Doria nel Catalogogenerale dei disegni dagliArchivi Boldini (circa 3000),al quale sta lavorando da varianni, e che presto vedrà laluce.Vedova di Vito Doria, direttoredal 1975 del “Centro StudiBoldiniani” annesso al MuseoBoldini di Ferrara, la studiosaha già pubblicato, per i tipidella Rizzoli, nel 1998 Boldini

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amico mio, evocativo quantosingolare “album” fotografico,nel 2000 il Catalogo Generaledei dipinti di Giovanni Boldini,e nel 1997 ha curato nella suaRomagna (è nata a Faenza) lamostra Boldini, divine armonie(Ravenna, Palazzo RasponiMurat).La grafica boldiniana mancavainfatti, sin ad oggi, di un cata-logo sistematico, benchè inpassato siano apparse interes-santi antologie di disegni:ricordiamo perlomeno Boldini:i cavalli, curata da FrancoFarina nel 1981, il catalogodella mostra Dessins parisiensde Giovanni Boldini (Parigi,Musée Carnevalet, 1982), e larassegna dei disegni conserva-ti nel museo ferrarese, in con-comitanza con l’uscita delCatalogo ragionato della qua-dreria, a cura di AndreaBuzzoni e Marcello Toffanello.Spesso schizzi veloci, nervosiquanto icastici, talvolta morbi-damente tesi a delineare ana-tomie e paesaggi, volti e archi-tetture, i disegni sempre sug-geriscono l’idea del movimen-to, d’una gestualità partecipee quasi ansiogena: non a casoalcuni storici dell’arte hannoparlato per lui di una sorta diproto-futurismo.Pittore della “modernità” Boldinilo è sempre stato: persino quan-do, nella Ferrara papalina neisuoi anni estremi, si esercitava,pur sotto l’egida del padreAntonio, a reinventare la rinasci-mentale Officina Ferrarese, conun senso di citazionismo quasispregiudicato.E quando ha scelto di abitarenella Ville Lumière o di sog-giornare nelle metropoli di lin-gua inglese (Londra o New

York), si è lasciato tentare dal-l’idea di catturarne soprattuttoil dinamismo, il senso dellavita caotica, l’affastellarsi deigesti, in rapporto dialetticocon gli Impressionisti.Basti pensare ad uno di queidisegni che sta schedandoBianca Doria: un’immagine dicarrozze e cavalli in corsa,ripresa durante il suo soggior-no new-yorchese del 1897-

1898, che pare uno sketch ouna prima idea per illustrarequegli ineffabili romanzi diEdith Wharton ambientati nel-l’alta società americana e, nelcontempo, uno studio di lineeconcentriche e centrifughe, legrandi ruote e il manticealzato, un insieme di massefrastagliate e scomposte chevoglion celebrare il mito dellaVelocità.

Ritratto di Rita Lydig (1904).

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Certo, non è la città che saledi Boccioni, e neppure uno deisuoi stati d’animo, ma il movi-mentismo che anima il segnodel ferrarese è di grande rilie-vo espressivo, di riuscitissimaresa segnica ed atmosferica.La fama di Boldini restasoprattutto legata a quella diritrattista, soprattutto di bel-lezze femminili: personaggidella high society, ma anchemodelle per composizionimitologico-simboliste (Ledacon il cigno, in varie versioni,una perduta Salomè, dellaquale il pittore parla in unalettera alla marchesa Casatinel maggio 1922, alcuneimmagini di ninfe), che forsenon avrebbero sfigurato allarecentissima mostra sulSimbolismo allestita alPalazzo dei Diamanti.Fra le tante immagini muliebriregistrate dalla Doria nel suoutilissimo repertorio graficosegnaliamo quella di RitaLydig del 1904, già pubblicatanel catalogo della mostraravennate di dieci anni orsono.Nata De Alba De Acosta, laricca effigiata compare anchenella suaccennata, “proustia-na” Passeggiata al Bois, puntadi diamante della quadreriaferrarese: ma il disegno si rife-risce ad un ritratto di cinqueanni prima.Il profilo è costruito sapiente-mente con un insieme di lineetratteggiate e poi sovrapposte,con impeccabili sfumature oaccentuazione di segno: seg-menti che poi diventano curvi-linee nell’acconciatura e neitratti “plastici” dei lineamen-ti, a suggerire l’idea di unosguardo sorpreso in una sottilereverie.

Già riconosciuto eccellente pit-tore ad olio, in questa nuovaimpresa tassonomica Boldini sirivelerà, una volta per tutte,altresì grandissimo disegnatore,confermando ciò che aveva evi-denziato il suo corpus incisorio,esposto nel 1981 in un’indi-menticabile mostra nel PalazzoBevilacqua-Massari a Ferrara(9).

BIBLIOGRAFIA

(1) P. Dini - F. Dini, Boldini1842-1931. Catalogo ragionato,vol. I, Torino, 2002, p. 129.(2) Il disegno di Antonio Boldini,poi ripreso in litografia daGiovanni Zannoli, è stato recente-mente riprodotto sulla copertinadi G. Boschini, Memorie storicheper la vita e gli scritti del canoni-

co Francesco Leopoldo Bertoldiargentano, a cura di V. Geminianie R. Moretti, Ferrara, 2007.(3) Ferrara, Archivio StoricoComunale, sec. XIX, Popolazione,busta 28.(4) E. Ovidi, Tommaso Minardi e lasua scuola, Roma, 1902, p. 146.(5) Ferrara, Archivio StoricoComunale, sec. XIX, Popolazione,busta 46.(6) L. Scardino, Bottega Boldini:ossia alcune note su Antonio e isuoi figli, in “Boldini”, 1989.(7) A. P. Torresi, Biografie di pit-tori-restauratori ferraresi dell’Ot-tocento, in “Neo-estense. Pitturae Restauro a Ferrara nel XIX seco-lo”, Ferrara, 1995, p. 71.(8) G. Manni, Mobili in Emilia,Modena, 1986, p. 371.(9) Giovanni Boldini: opera inci-soria, con testi di Franco Farina,Dino Prandi, Ettore Camesasca,Lucio Scardino, Ferrara, 1981.

Carrozze e cavalli in corsa a New York (1897 ca.).

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Cenacolo Baccariniano, allesti-ta presso il Museo Internazio-nale delle Ceramiche), sonoesposti Le fumatrici di haschis-ch e Cleopatra, quest’ultimoconservato presso il MuseoCivico di Ferrara.Procedendo a ritroso nel temporicordiamo un capolavoro pre-viatesco presentato nella picco-la ma preziosa mostra dellaUnicredit Private Banking diLucca (Pittura sacra. Un per-corso tra ‘800 e ‘900), del2006, la bella rassegna diLavagna dal titolo GaetanoPreviati. Vent’anni in Liguria(1901-1920), del 2005, con-temporanea a Sogni. Visioni traSimbolismo e Liberty diAlessandria, un’altra a Roma(D’Annunzio, l’uomo, l’eroe, ilpoeta, del 2001), la cataloga-zione della collezione d’arte delMuseo della Scienza e dellaTecnica “Leonardo da Vinci” diMilano (2000), per giungerealla grande esposizione mono-grafica milanese del PalazzoReale (Previati. Un protagoni-sta del Simbolismo europeo)del 1999, alla CollezioneRizzarda di Feltre (1996) ed alrepertorio Venezia e laBiennale. I percorsi del gusto,del 1995. “Una vita non basta” potrebbeessere lo slogan poetico per ini-ziare un discorso su questo arti-sta, al quale si sono interessati,sin dai suoi esordi, criticieccellenti. Uomini di cultura e

Antonio P. Torresi

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Ricordando il grande pittoreGaetano Previati

Stupendo orologio in legno, realizza-to dal padre Flaminio

Una delle “eccellenze” ferrare-si nel mondo dell’arte è sicura-mente il pittore GaetanoPreviati, principale teorico delDivisionismo a cavallo tra Ottoe Novecento.L’artista sta godendo, in questo2007, di un rilancio anche incampo internazionale: tre suoidipinti sono esposti in una col-lettiva presso i Musei di Berlino(La danza delle Ore, Il Sogno, IlGiorno che sveglia la Notte),altre al Lincoln Theatre di NewYork, nell’ambito dell’esposizio-ne della collezione del maestroArturo Toscanini, mentre ildipinto Paolo e Francesca faparte della mostra sul “Sim-bolismo”, tenutasi presso ilPalazzo dei Diamanti (seppurein un allestimento che lo morti-fica alquanto) e un altro, Lapresentazione del neonato, ènella rassegna milanese dedi-cata alla ticinese collezioneBalzan. Infine, nella mostrasull’Art Nouveau a Faenza (Il

di grande sensibilità hannoinfatti scritto di lui e delle sueopere, commentandone le ideein fatto di Divisionismo, di otti-ca e di scomposizione dei colo-ri, ma anche nell’ambito squisi-tamente “letterario” e figurati-vo, con temi e tempi originalied avanguardistici, che suscita-vano nel pubblico dell’epocacommenti non sempre positivi,ed incomprensioni che il tempoha poi sconfessato.Tra le testimonianze inedite horintracciato di recente unabella biografia del Nostro arti-sta di Leonello Brina (avvocatoe pittore per diletto), stesa inoccasione della rassegna pre-viatesca del Palazzo deiDiamanti di Ferrara nel 1969,che vale la pena di trascrivereintegralmente per i nostri letto-ri: “In Ferrara, nel prestigiosoPalazzo dei Diamanti, è tuttorain corso una grande rassegnaartistica antologica.In quel Palazzo, perla delRinascimento, posto in unadelle prime fastose stradedell’Europa quattrocentesca,sono raccolti oltre 60 quadri(62) e 218 disegni del grandePittore divisionista GaetanoPreviati.Insieme al Boldini ed alMentessi, egli fa parte di quel-la triade di artisti ferraresi chelasciarono orme indelebili nelcampo internazionale. Sedovessimo esprimere un giudi-zio sintetico, dovremmo dire

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che è stupefacente l’anelitodel Previati nella ricerca diquella luce nelle sue opereche traduceva la luce stessadel Suo eletto spirito. Ammirare le opere di questogrande artista, idealista eromantico, ma potente nellaespressività, è sollevare lo spi-rito da un greve materialismoche dilaga.Nato a Ferrara il 31 agosto1852 da Flaminio, orologiaio eda Riccarda Benvenuti cheproveniva da illustre ed anticafamiglia dell’aristocrazia ferra-rese, rimase orfano all’età diun anno, quando, cioè, lamadre spirò nel dare alla luceil sesto figlio. Flaminio, padredi tanta prole, passò a nuovenozze con Cornelia Facchini,donna di elevate virtù edanimo profondamente religiosoche, per Gaetano, fu educatri-ce ed ispiratrice, e che per latenera nidiata dei suoi fratellifu non matrigna ma secondamadre. Dopo aver frequentato laScuola Ferrarese di Belle Artied aver seguito gli insegna-menti di Girolamo Domenichi-ni e Giovanni Pagliarini, valen-ti pittori, con il generoso aiutodella Provincia e del fratelloGiuseppe, ingegnere, si trasfe-rì a Firenze sotto la guida diAmos Cassioli ed a Milano allaAccademia di Brera colBertini. Rapidissimi furono iprogressi. L’allievo eccezionale nel 1878si aggiudicò un importantepremio ed un anno dopo conGli ostaggi di Crema vinseil concorso bandito dalla“Fondazione Canonica”.Previati era allora sulla sciadella grande pittura tradiziona-

le, sebbene timidamente bale-nasse già il lampo di un genioartistico nuovo, e la nota squil-lante di una schietta persona-lità.Un vero e proprio successostrepitoso conseguì, giovanis-simo, il Previati, con il quadroIl Valentino a Capua, dipinto aFerrara ed esposto a Torino aduna mostra nazionale, opera

che stupì i visitatori per lamorbida opulenza, la pastositàdei toni, il grande realismodelle immagini e l’ammirevoleinquadratura scenica. Dipintoin breve tempo, senza cartone,su una tela di quattro metriper sei, suscitò tale impressio-ne che il Maestro fu chiamato“Il pittore del Valentino”. Nefu entusiasta lo stesso

Un’opera giovanile di Gaetano Previati, conservata ancora presso i suoi eredi

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dei “Promessi Sposi”. Le effu-sioni liriche dell’Artista aveva-no trovato estrinsecazionenelle opere Il bacio, Il Re Sole,Il viaggio nell’azzurro, leVisioni del Carroccio, La berli-na d’oro.L’incitamento di Grubicy, pit-tore e mecenate, e l’esempiodel grande Segantini, consi-gliarono il Previati ad espri-mersi attraverso la nuova tec-nica del Divisionismo, tecnicache ebbe radici negli studi delfisico Rood ed è basata sulleleggi tecniche del contrastodei colori complementari, e lacomposizione delle tintemediante il miscuglio retinico. Il pittore usa nella tavolozza icolori il più possibile schietti esimili alle luci fondamentalidello spettro solare e, comematerie sussidiarie, il biancoed il nero; non unisce conmiscuglio molecolare i colorisemplici per ottenere quellicomposti, ma applica sullatela dei brevi tratti ravvicinatidei due o più colori semplici ecomplementari. Utilizza ilfenomeno della fusione retini-

ca delle tinte, come in unatelevisione a colori, affinchène risulti all’occhio, opportu-namente distanziato, un colorecomposto più luminoso, vi-brante, etereo. Tale tecnica fudi sommo aiuto al Previati peresprimersi, e restò famosa lasua prima opera divisionistarappresentante una mammacon due bambini su un prati-cello smaltato di verde. La concitata trascendenza reli-giosa raggiunse vette elevatenella Maternità e nellaMadonna dei gigli, opere uni-versalmente conosciute edammirate. Con Il Calvario, LaCrocefissione, Le Marie aipiedi della Vergine, e la ViaCrucis, il Pittore esprime unaanima candida e mistica,come Giotto.Il ritiro a Lavagna segna unafase crepuscolare dell’artistaormai bruciato dalla sua lungafaticosa lotta e affranto dagravi sventure familiari culmi-nate con la contemporaneascomparsa della adorata con-sorte Ilda e di un figlio.L’uomo che tanto aveva cerca-

Giuseppe Verdi, come dimo-stra una lettera che egli indi-rizzò a Domenico Morelli. Ilmusicista già da allora avevaintuito la lirica e musicalearmonia che vibra nelle operedel Previati.Il conte Sauli Visconti, cheacquistò il quadro per ilCastello di Bertinoro, per unlievissimo danno patito duran-te il trasporto dell’opera otten-ne dalla Società delle Ferrovieun indennizzo ingente. Gaetano Previati avrebbe potu-to in breve arricchire, ma nonera tempra da rinunciare aipropri più elevati ideali: egliera desideroso di esprimereveramente, sinceramente,tutto se stesso, pur preveden-do quali lotte avrebbe dovutoaffrontare. Voleva affrancare lapropria forma espressiva dagliaccademismi del passato,voleva tradurre nei propri qua-dri alti concetti e spiritualitensioni. Trovò nel Divisio-nismo la tecnica che gli avreb-be dischiuso un mondo nuovoe che gli avrebbe permesso diportare, con luminosità maiprima raggiunte, alle più altevette il suo messaggio d’Arte.Si immerse in studi profondiscrivendo testi fondamentalisulla “Tecnica della Pittura” esu “I principi scientifici delDivisionismo”. Egli dice divoler dipingere “l’azzurro pre-ponderante del cielo e l’illumi-nazione universale dell’aria:luce, azzurro, universo”, eccoil sogno del pittore.La realizzazione del Divisio-nismo era stata preceduta daun periodo artistico in cui eraprevalsa la fantasia: sono ditale epoca le illustrazioni deiracconti di Edgard Allan Poe e

Previati usa i colori simili alle luci fondamentali dello spettro solare

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to la luce si spegne così fra lepiù cupe tenebre. Con ilPreviati scomparve soprattuttouna grande anima ed un gran-de idealista.Questa commossa testimo-nianza di Leonello Brina, ciriporta alla memoria la figuradel padre di Gaetano, Fla-minio, che fu un ricercato eraffinato orologiaio di Ferrara.Un suo orologio in legno intar-siato e a carica frontale, consquisite decorazioni in bronzodorato, è stato rinvenuto direcente presso la Casa diRiposo di via Ripagrande: è fir-mato da Flaminio Previati coninchiostro blu su smalto sulquadrante sotto il perno dovesono le lancette.L’oggetto proviene quasi sicu-ramente dall’eredità di LuigiPareschi, morto nel 1906, cheaveva lasciato molti beni allaCongregazione di Carità.Nell’archivio del “CentroServizi alla Persona” di Ferrararisultano oltretutto conservatealcune fatture al “cav. LuigiPareschi” da Augusto Previati,il quale continuava a gestirel’orologeria paterna dopo lascomparsa del padre, avvenutanel 1875. Il negozio era situa-to sotto i portici di Piazza dellaPace, odierno corso Martiridella Libertà, in una bottegaattigua alla famosa Farmacia“Navarra”. Degli altri fratelli di Gaetanoricordiamo poi l’ingegnerGiuseppe (1849-1915), co-protagonista del libro “Lettereal fratello” (Milano, 1946),curato da Spartaco Asciam-prener, e consistente in unaselezione dell’intenso scambioepistolare tra i due germani, epoi Miranda e Luigi, di cui

poco o nulla sappiamo.Per concludere questa “memo-ria” previatesca, segnalo chela ricca collezione di quadri esculture messa insieme dalsuccitato Alberto GrubicyDe Dragon (Milano, 1852-Torriggia, 1922), mercanted’arte, e dal fratello pittoreVittore (Milano, 1851-1920),alla loro morte venne dispersain varie aste. Alcuni di questidipinti passarono però in ere-dità ad un allievo di Vittore, illivornese Benvenuto Benvenuti(1881-1959): tra queste eral’inedito acquerello, studiopreparatorio per il grande qua-dro di Previati, Il giorno sve-glia la notte, oggi in una rac-

colta privata di Milano e gen-tilmente concessomi per illu-strare questo articolo per “LaPianura”. L’opera misura cm. 29x42, e lasua tecnica esecutiva pare aderi-re perfettamente a quel partico-larissimo acquerello “manipola-to”, così ben esplicato da JehanGeorges Vibert nel suo volume“La Science de la Peinture” del1891, tradotto e commentato daGaetano Previati con il titolo “LaScienza della Pittura” (1893),riedito a Ferrara nel 2005 conintroduzione dello scrivente, inuna edizione filologica che -sono sicuro - sarebbe piaciuta alNostro artista.

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Sauro Baraldi

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Turismo culturale edenogastronomico: unacoppia vincente

In Italia il turismo culturaleattrae un maggior numero dituristi, rispetto a quello bal-neare. Questo deve farci riflet-tere, in positivo. ll 33,8% de-gli italiani e oltre il 44% deglistranieri scelgono città di inte-resse storico e artistico. Doveil mare si prende la rivincitasulla cultura è sui giorni medidi presenza: 5,5 contro i 2,8delle località d’arte. Dalleindagini emerge il forte inte-resse (soprattutto della Ger-mania, Regno Unito, Usa eFrancia) non solo per il classi-co circuito delle città d’arte,ma anche per i centri minori.Il turismo d’arte è inoltremeno soggetto alla stagiona-lizzazione dei flussi. Ma sipuò fare di meglio e di più,abbinando il cibo con l’arte.Giorgio Serra del Dipartimentovitivinicolo di Buonitalia haspiegato che “l’idea è quelladi legare le nostre eccellenzeartistiche a quelle agroalimen-tari, e presentare in modo uni-tario il nostro patrimonio inparticolare ai turisti stranieriche visitano i nostri musei,offrendo loro la possibilità diconoscere ed acquistare inostri prodotti tipici”. I museiche si sono già attivati sonoCapodimonte a Napoli, laGalleria degli Uffizi di Fi-renze, e altri ancora. Maanche a Ferrara, in occasione

della recente mostra “il Gustodi Ferrara” che ha registratoun grande successo si sarebbepotuto creare l’abbinamentogusto-cultura attraverso lapromozione, in quella sede,dei nostri musei di Ferrara eprovincia, e fare altrettantonelle sedi museali per lanostra enogastronomia. AFerrara ricordo che nellamostra sui “Bugatti” di tantianni fa era presente nel corti-le interno di Palazzo Diamanti

una struttura mobile con unbar tenda e un gazebo utilizza-to come saletta di riposo,molto frequentata. Si potreb-be rifarla, mettendo in mostrai nostri prodotti tipici: dalpane ai salumi ai dolci, alvino, alla pasta molto apprez-zati al “salone del gusto”. Sepensiamo che nei week-endsono oltre 7000 i visitatoridella mostra di Palazzo Dia-manti, è una grandissimaoccasione da non lasciarci

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sfuggire, e Chiara Ronchi diret-trice di “Iniziative turistiche”potrebbe sfruttare questa occa-sione. Positiva è l’intesa rag-giunta tra le associazioniAscom e Confesercenti, nel pro-muovere la rassegna del “gustodi Ferrara”: e dal momento cheValerio Miglioli, presidente diIniziative Turistiche, ipotizzaper Ferrara una grande manife-stazione autonoma dedicata alsettore enogastronomico e allafiliera agroalimentare, gli sug-gerisco una mostra permanentedella nostra enogastronomia perpoter offrire per tutto l’anno aituristi i nostri prodotti, anchein occasione delle varie iniziati-ve come Buskers Festival,Balloons, Mille Miglia, Maratona,nel corso delle quali si potrebbeorganizzare nel Castello un“convivio rinascimentale” conricette dell’epoca e dare cosìuna ulteriore, meritata, visibilitàalla nostra enogastronomia.

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Gabriele Turola

Lo spirito cosmopolita di Franco Farina

del Cubismo, del Dadaismo,dell’Astrattismo, del Surrealismo,dell’Informale, della Pop Art,dell’Arte Povera e Concettuale.Franco Farina con coraggio dipioniere ha percorso nuove stra-de, affiancando agli artisti più omeno classici, tradizionali quellirivoluzionari e più provocatori chea volte hanno destato stupore eperfino scandalo, come nel casodella famosa scatoletta di PieroManzoni, esposta nel 1971, cheora è entrata nei musei e raggiun-ge quotazioni strabilianti, o come“Mostra di arte sacra” del 1974,dove alcune opere, considerateblasfeme, hanno fatto arricciare ilnaso ai visitatori benpensanti.Farina ha avuto il fiuto di un pre-cursore: infatti le opere dellostesso Piero Manzoni, il padredell’Arte Concettuale e Povera,sono state esposte a Roma treanni dopo la rassegna ferrarese.Un’altra caratteristica del nostroDirettore consiste in un atteggia-

mento tutt’altro che snobistico inquanto, oltre ad aver dato spazioai più celebri nomi in campointernazionale, ha altresì conces-so agli artisti che si affacciavanoalla ribalta, compresi quelli ferra-resi, di usufruire di una vetrinaprestigiosa. Lo stesso Farina amadefinirsi «un libero battitore» nelterreno dell’arte, infatti nellascelta delle mostre tre erano lecategorie di artisti ai quali dedi-cava spazio: 1° quelli affermati, iMaestri; 2° i futuribili, quelliesordienti, che nel tempo avreb-bero conquistato la fama merita-ta; 3° i giovani talenti che merita-vano di venire scoperti e lanciati,in questo caso col rischio dellasperimentazione. Il grande pub-blico così è stato richiamato dallemostre importanti che rientrava-no nella storia dell’arte, e nellostesso tempo dalle esposizioniora specialistiche, ora dedicatead artisti ancora sconosciuti chedestavano interesse e curiosità.La disponibilità perfino nei con-fronti delle scuole inferiori haspinto il Direttore del Palazzo deiDiamanti a collaborare col labora-torio di ceramica ed educazionevisiva, diretto da Lucia Boni edEva Zambonati, la cui sede erapresso l’Istituto Ginevra Canoniciin Corso Biagio Rossetti. I docen-ti prendevano contatto conFarina, organizzavano visite gui-date alle mostre per i bambinidelle elementari e delle scuolemedie. Così alcuni ceramisti rino-mati, come il grande Leoncillo, si

I trent’anni di direzionedelle Gallerie Civiche di ArteModerna del Palazzo deiDiamanti da parte di FrancoFarina mettono in luce il suodinamismo, il suo spirito cosmo-polita, la sua capacità di intratte-nere rapporti a livello internazio-nale, dimostrando che le mostreda lui organizzate, gli artisti da luiscelti, rispecchiavano uno stile divita, una sorta di filosofia,un’apertura intellettuale che glipermettevano di allargare Ferraraoltre i suoi limiti provinciali, diportare il nome del Palazzo deiDiamanti nel mondo, di introdur-re nella nostra città i fermenti e leinnovazioni delle Avanguardie peraggiornare i ferraresi stessi earricchire la loro cultura.Infatti ai tempi del nostroDirettore, al Palazzo dei Diamantierano ospitati i più grandi e famo-si Maestri, a volte di persona, avolte presenti con le loro opere,così abbiamo visto i protagonisti

FrancoFarina,foto diMarcoCaselli

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mostre dedicate agliImpressio-nisti, vero feno-meno di moda. Fra l’altroallora non si pagava nemme-no il biglietto e non occorre-vano nemmeno prenotazioniper visite guidate. Con que-sto non vogliamo affermareche tutto quello splendore sisia affievolito, caduto nelcrepuscolo, ma semplice-mente sottolineare lo spiritopionieristico di quegli anniirripetibili, come lo è ognicosa importante al suo ini-zio. Così pure molteplici erano ifiloni dell’arte visiva che trovava-no accoglienza nel contenitoremuseale: dalla pittura alla scultu-ra, alle arti applicate, alla fotogra-fia, alla performance, alla videoarte, quest’ultima gestita brillan-temente dalla moglie di Farina,Lola Bonora. Il punto di partenzaè stato il Palazzo dei Diamanti, lasede più nobile, per poi allargarsia ventaglio e comprendere ilCentro di Attività Visive (vetrinaper i giovani talenti, ora scompar-

sa), il Padiglione di ArteContempora-nea con la SalaPolivalente, in quest’ultimoabbiamo perfino assistitoalla proiezione di films stori-ci, come Un chien andaloudel 1929 e L’âge d’or del1930 realizzati da Bunuel eDalì, Maestri delSurrealismo. Ognuno di noiconserva nella sua mente iricordi collegati a questitrenta anni di attività esposi-tiva, svolta con una frequen-za entusiasmante e freneticadi eventi.Naturalmente in questo per-corso museale non vadimenticato il parco diPalazzo Massari, con le scul-ture collocate fra gli alberi,

ottenendo un effetto scenograficosuggestivo; e il nucleo permanen-te dello stesso Palazzo Massaricol Museo Boldini e dell’ex sededei Cavalieri di Malta, dove i visi-tatori possono tuttora ammirare iMaestri dell’800 e del ‘900 ferra-resi (Boldini, Previati, Mentessi,De Pisis, Funi, Melli, Bonzagni,ecc.). Mille sono i nomi e milionile immagini di opere d’arte, cheognuno può riportare alla memo-ria, tuttavia in questa ridda dicolori, di forme, di quadri, scultu-re, incisioni, fotografie, di tecni-che e di tendenze differenti offer-te alla nostra ammirazione, alnostro stupore, alla nostra provo-cazione scorgiamo un filo condut-tore che le unisce, una coerenzache contraddistingue la persona-lità dinamica e innovativa diFarina, direttore militante nelvero senso del termine, cioècapace di combattere con corag-gio per la causa dell’arte. Per rea-lizzare i suoi progetti arditi ilnostro operatore artistico hadovuto cimentarsi in problemi dibudget che non potevano manca-re nella medio-piccola Ferrara,per non parlare dei problemi diassicurazione per le richieste diprestito a Musei e collezioni pri-vate, di attese snervanti, di lunghi

recavano di persona presso il sud-detto laboratorio e lavoravanoinsieme ai giovanissimi allievi,intervenendo nell’attività didatti-ca. Oppure si favorivano incontricon pittori celebri, come nel casodi Luigi Veronesi, protagonistadell’Astrattismo italiano. A volte ilavori dei ragazzi venivano espostiaccanto alle opere degli artistiche avevano tenuto lezioni diceramica.Come si può constatare questadivulgazione dell’arte rispecchiauna mentalità aperta, uno spiritoscattante, dinamico che vuolecoinvolgere tutti, promuovendoun approccio al mondo artisticosecondo un indirizzo né accade-mico né elitario.Proprio seguendo questa lineaFarina si è rivelato un innovatorenel campo delle attività espositi-ve in Italia, infatti negli anni ‘60-70 eravamo ancora lontani dalboom culturale, da quellaaffluenza di massa, da quelle filechilometriche di visitatori, che siverificano tuttora a Brescia nelle

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tempi di preparazione soprattuttoper mostre importanti dedicate aiMaestri del Novecento.Solo Farina potrebbe narrare ledifficoltà, le ansie, le battaglieaffrontate per manovrare questagrandiosa macchina.Se il mondo dell’arte può essereparagonato a un teatro con i suoiretroscena, noi restiamo soddi-sfatti per l’esito finale. AddiritturaJanus scrive: «Quando varcai perla prima volta la soglia delPalazzo dei Diamanti una forteemozione si impadronì di me:sentivo di entrare in un luogosacro, unico al mondo, un’emo-zione che non ho mai provatoentrando per la prima volta alLouvre o al M.O.M.A. Il Palazzodei Diamanti è molto più impor-tante di Parigi o di Londra o diNew York: non è solo un luogoaffascinante dal punto di vistaarchitettonico, è sostanzialmentemolto più umano. Entravo nelcastello di Atlante descrittodall’Ariosto». Infatti nelle sale delPalazzo dei Diamanti, gioielloarchitettonico già di per sé unicoal mondo creato dal genialeBiagio Rossetti, abbiamo ammi-rato le opere, a volte i capolavoridei Maestri presenti nei Museipiù prestigiosi del mondo cherappresentano l’arte internaziona-le dal Novecento ad oggi.L’elenco sarebbe interminabile.Ricordiamo semplicemente insintesi i Maestri che Farina hafatto esporre quando erano anco-ra vivi, che ha avuto la fortunainvidiabile di conoscere di perso-na contattandoli per le mostre, einstaurando con loro un rapportoumano, amichevole: Manzù, DeChirico, Guttuso, Vedova, Schi-fano, Baj, Fontana, Burri, Picas-so, Matta, Mirò, Dalì, Leonor Fini,Man Ray, Hartung, Rauschem-

berg, Tàpies, ecc. Il nostro Diret-tore, depositario di una memoriastorica di ricchezza straordinaria,da noi intervistato, ci ha confida-to alcuni aneddoti che mettono inluce l’aspetto cordiale, ora diver-tente, ora malinconico, degli arti-sti da lui invitati, dei quali diveni-va spesso amico, pranzando conloro: Matta divideva solo con luilo champagne rosé; Man Ray,ormai anziano, invalido, volevache fossero le mani amichevoli diFarina a guidare la sua sedia arotelle; Rauschenberg mentreallestiva lui stesso la mostra nellesale del Palazzo dei Diamanti nel1976 non si separava mai dallasua bottiglia di whisky, conserva-ta sotto cubetti di ghiaccio, comeuna sorta di cow boy pop artista.Anche gli incontri di Farina con igrandi artisti da lui invitati meri-terebbero di venire descritti: ha

incontrato Warhol nella sua famo-sa “factory”, una stazione metro-politana trasformata in studio; haconosciuto Mirò in un casinò delBelgio; è andato a visitare Dalìnel suo castello di Pubal proprionel periodo in cui il genialeMaestro del Surrealismo, rattri-stato per la perdita della moglieGala, durante un incendio avevasubito gravi ustioni. Fra parentesiva aggiunto che la mostra di Dalìnel 1989 al Palazzo dei Diamantiè stata il clou di tutte quelle orga-nizzate da Farina, è stata inaugu-rata dall’allora Presidente dellaRepubblica Sandro Pertini, haregistrato il numero più alto divisitatori.Infine, allorché si trovava nellostudio romano di De Chirico inPiazza di Spagna, la moglie del“pictor optimus”, Isabella Far,conversando con Farina affermò

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che secondo suo marito tre eranoi direttori di Musei più importantidel mondo: quello di Berlino, diNew York e di Ferrara. Farinadedicò nel 1970 al GrandeMetafisico la mostra intitolata IDe Chirico di De Chirico, espo-nendo le opere in cui il Maestrocitava se stesso inaugurando cosìuna nuova metafisica dal caratte-re ludico, solare, ironico, snobbatadai critici più severi che apprezza-vano solo i capolavori degli anni‘10-20, ormai storicizzati.Ma col tempo anche questa suaseconda fase è stata giustamenterivalutata, e anche sotto questoaspetto Farina si è rivelato unprecursore. Fra l’altro, a lui dob-biamo la presenza di quella gran-de scultura in bronzo, collocataattualmente nella rotonda infondo a Corso Porta Mare, donatada De Chirico a Ferrara, città dalui molto amata, dove soggiornòdurante la grande guerra e dovediete vita al famoso sodaliziometafisico con Carrà, De Pisis,Savinio. Il ricordo di tutte lemostre gestite da Farina rimaneindelebile nei numerosissimicataloghi da lui pubblicati nel

corso del tempo, dedicato ad arti-sti come Ligabue, Morandi,Sironi, Casorati, Carrà, Savinio,Magritte, Delvaux, Chagall,Ensor, Monet, per citarne soloalcuni.L’editore Gabriele Corbo diFerrara ha poi pubblicato nel1993 il Catalogo dei cataloghi,intitolato Palazzo dei Diamanti.1963-1993. Artisti mostre cata-loghi, a cura di ElisabettaLopresti e Lorenzo Magri, contesti di Renato Barilli e Janus. Inquesto volume sono documentatiin modo organico, in ordine cro-nologico i trenta anni di direzionedi Franco Farina, sono elencatitutti gli artisti che hanno esposto,tutte le mostre allestite e ripro-dotti i manifesti che le hannoaccompagnate. La prima mostrain assoluto firmata da FrancoFarina risale al 1963, dedicata aGiovanni Boldini, allestita a CasaRomei in quanto allora non erastato costituito il nucleo musealecon a capo il Palazzo deiDiamanti. Questa rassegna haregistrato 50.000 visitatori, unvero record per quel lontano

1963. Va detto che Farina, laurea-to in pedagogia, che svolgeva laprofessione di maestro delle scuo-le elementari, è stato in un primomomento assunto come assisten-te di Gualtiero Medri, Direttoreonorario. Subito dopo Farina havinto il concorso ed è divenutoDirettore a tutti gli effetti.L’ultima mostra, legata al suonome, datata 1993, è intitolataGiovanetti. La rivincita della pit-tura. Ammonta a ben 982 ilnumero delle mostre da lui gesti-te. Inutile dire che il nome diquesto divulgatore dell’arte, pio-niere, vulcanico Direttore dimusei è entrato nella storia diFerrara, e non solo.Giustamente gli è stata conferitala laurea honoris causa insieme adue illustri concittadini: Bassanie Antonioni, nello stesso anno.Andrea Buzzoni, che gli è succe-duto in questo incarico, portaavanti il discorso da lui iniziatocon lo stesso impegno, con lostesso livello qualitativo. Sonomutati i tempi, ma la fama delPalazzo dei Diamanti rimaneintatta.

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Maria Cristina Nascosi

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Lyda Borelli Cini

Chi avesse voglia di avventu-rarsi durante una smagliantegiornata di sole estiva o, inmaniera più dolcementemelanconica, in uno di queglisplendidi pomeriggi d’autun-no ferrarese, quando il cottorosso dei nostri mattoni s’in-fiamma tutto – specie nell’oradel tramonto – nella parte piùantica della nostra monumen-tale Certosa, scoprirebbe una,tra le tante eleganti tombe difamiglia (autentici mètacapo-lavori, capolavori nel contestodel capolavoro di cui fannoparte), architettonicamentesemplice, in apparenza, dallelinee sobrie e in qualche mo-do austere. Non una fotogra-fia alla memoria, semplice-mente due date essenziali,per ognuno, ed il nome: è ilricordo, per i posteri, dellafamiglia Cini, del conteVittorio e dei suoi familiari,tra cui il figlio Giorgio e lamoglie, l’attrice Lyda Borelli. Per lui, industriale e fineconoscitore della cultura atutto tondo, insuperato mece-nate per essa tra Ferrara eVenezia, nel 1918, avevaabbandonato le scene, siateatrali che, soprattutto, cine-matografiche, grazie allequali il suo successo ormaiera stato definitivamente con-sacrato, come quello di Fran-cesca Bertini o Paola Meni-chelli o Eleonora Duse.Era nata nel 1884 – ma altre

Le lapidi di Lyda Cini Borelli e del marito, conte Vittorio Cini

fonti citano il 1887, civette-ria da diva? – a Rivarolo Li-gure. Sorella dell’attrice Alda,

ottima attrice pirandelliana,aveva debuttato, a soli dicias-sette anni, a teatro, con la

Donna, Diva, Moglie, Madre

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cata bellezza preraffaelita dalei perfettamente incarnata.Ottenne successi clamorosi conLa presidentessa di Hennequine Veber e La Salomè di OscarWilde.Dal teatro passò al cinema econ esso iniziò ad essereapprezzata dal grande pubbli-co: interprete di numerosifilm, tra cui Ma l’amor mionon muore del 1913, La fale-na, Il dramma di una nottesimboleggiò, per l’elaboratadrammaticità della sua recita-zione, il gusto un po’ esterio-re, decadente e dannunziano,tipico del primo Novecento.“Al teatro o al cinema – affer-ma L. D’Ambra in un suopezzo apparso sulla rivistaCinema del 1937 (uno deimigliori periodici specialisticidell’epoca, fondato da UlricoHoepli, diretto da VittorioMussolini e su cui si cimentò,agli esordi anche un ‘giovanis-

simo’ e non ancora regista Mi-chelangelo Antonioni, n.d.r.) –le donne del tempo andavanomatte per i suoi estetici edestatici atteggiamenti e necopiavano come meglio pote-vano le flessuose contorsioniplastiche. Si vedevano (…)innumerevoli borelline che afuria di digiuni smagrivanosino a raggiungere esiguitàserpentine e queste poi avvol-gevano, drappeggiandovisiregalmente, in tutti i più suc-cinti scampoli che potevanoscovare in fondo ai magazzinidi seterie”.Tra i film interpretati da LydaBorelli merita una particolaremenzione Rapsodia satanica,del 1917, pellicola diretta daNino Oxilia.Così la glossa criticamente lostorico del cinema VittorioMartinelli: “ ( … ) La Borellisi serve di un gioco ellitticoche coinvolge le mani, la

Tombamonu-mentaleFamigliaGiraldi –CiniFotografiediFrancoSandri,A.I.R.F.

compagnia di FrancescoPasta e Virginia Reiter, affer-mandosi, in seguito, sotto laguida di Virgilio Talli edEmma Gramatica. Nel 1909, aveva assunto ilruolo di prim’attrice conRuggero Ruggeri, il padre…artistico di Vittorio Gassman,divenendo, in breve, una frale più acclamate primedonnedella scena teatrale italiana.Recitò poi con Piperno eGandusio nella compagniadiretta da Flavio Andò e nella“Fert” della quale era capo-comico il mitico Ermete No-velli.Una curiosità: con lei, seppurper breve tempo, recitò persi-no lo scrittore Aldo Palaz-zeschi.Raggiunse in breve vastafama grazie all’originaleeclettismo del suo estro inter-pretativo, sia drammatico checomico, ma anche per la deli-

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ChiostrodellaCertosaMonu-mentalediFerrara

capigliatura, gli sguardi ma,soprattutto, il corpo, peresprimere desideri coscienti easpirazioni represse. Si pensia Rapsodia Satanica, libera-mente ispirato al mito delFaust. Nei panni dell’anziananobildonna che, in cambiodella giovinezza perduta,rinuncia per sempre adamare, l’attrice dà vita ad unpersonaggio torturato e dolo-roso; quando, non potendomantenere il patto col diavo-lo, cede all’amore, pur sapen-do di scavarsi nel bacio dell’amante il sepolcro, la suarecitazione è tutta neglisguardi melanconici, nellemani annaspanti, nell’ondeg-giare dei capelli, nei fremitidel corpo, un gioco di sfuma-ture lievi, di sottili increspa-ture del volto, un arabescofloreale che fa di lei la palli-da vestale della morte (…)

giunta alla morte per le viedell’amore”.E ancora: “ (…) Borelli: il suopassaggio è stato equivalentea quello di una meteora.Solamente cinque anni di pre-senza sullo schermo, una doz-zina di film e il tutto a deli-neare un’intera epoca…”.In lei sembra si possa riassu-mere un piccolo compendiodell’Art Nouveau a tuttotondo: per dirla con il criticoe storico cinematograficoGian Piero Brunetta: “…Inquesto film, le cui musichesono state appositamentescritte da Pietro Mascagni, ladiva ci mostra come sia possi-bile una completa metamorfo-si dell’ universo tematico,figurativo, poetico della cul-tura Simbolista e dell’ArtNouveau. Vi sono immaginiche sembrano citazioni per-fette da Gustav Klimt o da

Aristide Sartorio o Adolfo DeCarolis. E, naturalmente, ol-tre al poema di Fausto MariaMartini che il film trascrive,tentando di rispettarne lo svi-luppo narrativo e simbolico, visono temi comuni ad altriautori come Tito Marrone oGiuseppe Lipparini e lo stessoNino Oxilia.Rapsodia satanica si presentacome un vero e proprio lessi-co visivo e poetico, unasumma della cultura Liberty el’ultimo fronte di difesa diquesto ismo contro gli attac-chi delle ormai dichiarateavanguardie futuriste”.Di lei ebbe a dire AntonioGramsci: “…L’arte della Bo-relli non esiste poiché l’attriceinterpreta sempre ed unica-mente il suo proprio …ruolo,la sua vita.La breve carriera cinemato-grafica di Lyda Borelli si ‘può’

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dunque riassumere, comeaffermava più sopra VittorioMartinelli, in dodici film,oltre a due apparizioni quantomai simboliche: la prima neldocumentario L’altro esercito,del 1918, frutto di una com-mittenza del Ministero dellaGuerra alla Cines, finalizzatoalla propaganda degli sforzirivolti al fronte interno diguerra, in cui l’attrice, nellevesti di Santa Barbara, recitaun breve prologo e l’altra cheriguarda l’anno precedente,subito dopo la disfatta diCaporetto, quando ella avevaprestato il suo bel viso, auste-ro e maestoso, all’Italia perinterpretare un consolatoriocortometraggio intitolato Perla vittoria e per la pace!Il 1918 è anche l’anno in cui,per amore – una ulteriore reali-stica definitiva imitazione di

una delle sue migliori interpre-tazioni, l’Alba D’Oltrevita diRapsodia satanica? – Lydasposa il suo principe azzurro o,per meglio dire, il suo con-te, ilferrarese Vittorio Cini. Quattrofigli nascono dalla loro unione:Giorgio, nato nel 1918, Mynna,nel 1920, le gemelle Yana eYlda, nel 1924.Il ruolo di diva venne comple-tamente dimenticato, conorgogliosa discrezione, per farposto a quello di moglie e dimadre a tutto tondo: ma il 31agosto 1949 un incidented’aereo tolse la vita al primo-genito, Giorgio, appena tren-tenne eppure già degnoemulo del valente ed ecletti-co padre che era riuscito asalvare cinque anni prima dalcampo di concentramentonazista di Dachau dove erastato internato.

Lyda gli sopravvisse per diecianni, con la morte nel suocuore di madre, che la colse aRoma nel 1959.

Un ringraziamento particolarea Fondazione Cini, Isola diSan Giorgio, Venezia ed inspecie al Suo Ufficio Stampa.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:

- L. D’Ambra, Sette anni di cine-ma in Cinema, n. 22, anno1937

- Gian Piero Brunetta, Cantami odiva in Cent’anni di cinema ita-liano, Roma-Bari, Laterza,1995

- Vittorio Martinelli, Nascita deldivismo in Storia del cinemamondiale. L’Europa: miti, luo-ghi, divi, Torino, Einaudi, 1999

Sullo sfon-do laChiesa diSanCristoforoalla Certosa

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Mirella Golinelli

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Cinema: Gualtiero Tumiati el’allievo Giorgio Strehler

degli anni Settanta ebbe, comeprotagonista femminile, MarinaMalfatti. Settant’anni durò la suamaestrìa, perché il suo interesse,per questo affascinante mondo,non fu a scopo di lucro, bensì perportare sulla scena vicende vera-mente accadute, e proporre que-st’arte come educatrice per legenerazioni future.Quell’entusiasmo, smorzato nellapratica dell’avvocatura, riaffioròsfavillante ed imponente, quandorecitò le tenere composizionidette “melologhi”, scritte dal fra-tello Domenico e musicate dalMaestro Vittore Veneziani (1),direttore di coro del complessoscaligero dal 1921 al 1953 ecompositore, in onore alla città diFerrara. Alla declamazione diquesti versi assistette GabrieleD’Annunzio. Fu il Cortile delCastello Estense ad ospitare que-sta malinconia divina, come ladefinì lo stesso D’Annunzio;malinconia sorvegliata da pagginei costumi del tempo. Fucosì che, il 22 maggio 1903,“Parisina”, questo è il nome delmelologo recitato da GualtieroTumiati, tra l’angoscioso amore ela tragicità di una segreta che lavedrà morire per decapitazione,suggestionò il pubblico e l’animopiù profondo di D’Annunzio, ilquale versò le straordinarie vibra-zioni da lui stesso percepite, nellapoetica del libretto che fu poimusicato da Pietro Mascagni.Questi gli inizi della carriera del-l’eccellente ferrarese, il quale

debuttò poco più che trentenne,come professionista, nella sem-plice veste di generico. Furono lesue innate doti interpretative,saldamente unite alla preponde-rante presenza scenica, a far sìche, ben presto, divenisse capo-comico. Nel 1908 esordì con laCompagnia De Sanctis al Lirico diMilano, sotto lo pseudonimo diUgo Maiutti Altieri (nome ottenu-to anagrammando il nome di bat-tesimo) e dopo soli due anni inter-pretò Cyrano De Bergerac. Loscoppio della Prima GuerraMondiale fu per molti la fine deisogni, ma non per Tumiati, ilquale continuò a dedicarsi adallestimenti teatrali, in onoredelle truppe. Dopo il 1920,cominciarono ad arrivare le primesoddisfazioni, aveva 44 anni e,fino ad allora, nulla lo aveva fattodesistere dal perseguire il suoscopo. Se è vero che quello chenon ti uccide ti fortifica, Tumiatine è l’esempio lampante. La sua primissima grande realiz-zazione fu ne “La dodicesimanotte” di Shakespeare e “Liliom”di Molnar; concretizzazione allaquale arrivò unicamente dopoaver assaggiato il giudizio deglispettatori, unici giudici supremied inappellabili, e solo dopo que-ste sicure attestazioni adoperò ilsuo vero nome. Effettivamenteapparteneva ad una famiglia digiuristi, letterati e poeti. Il prof.Leopoldo Tumiati insegnò Dirittopresso la nostra Università,Domenico fu acutissimo poeta e

Un ritratto di Gualtiero Tumiati

Gualtiero Tumiati, nato a Ferraral’8 maggio 1876, in primis attore,direttore e regista era fratellodello scrittore Corrado e del dram-maturgo Domenico. Laureatosi inGiurisprudenza ed esercitata perpoco tempo la professione pressolo studio del padre Gaetano, conla creatività di cui era dotato,unita allo studio metodico,all’esacerbato bisogno di vivereverità, passioni, sofferenza… sidedicò completamente alla reci-tazione teatrale; ubbidendo alrichiamo dell’arte fonatoria e for-giando quei personaggi che moltosegnarono l’ispirazione cinemato-grafica e, come si potrà notare,molti dei ruoli da lui interpretatifurono ripresi, negli anni seguen-ti. Ne sono un esempio La vita èbella, reso famoso oggi da Be-nigni, e Malombra che alla fine

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D’Annunzio e, malgrado quest’ul-timo non avesse mai partecipatoalle manifestazioni, concedette lostesso il suo Patronato al Teatrofiesolano. Per la sua opera, aGualtiero furono dedicati alcuniarticoli, racchiusi in un numero distampa, fatto per l’occasione. Dal1936 al 1937 fu chiamato dallostorico Silvio D’Amico (2) a farparte del corpo insegnantidell’Accademia d’Arte Dram-matica di Roma, e nel 1940 pre-ferì dirigere l’Accademia deiFilodrammatici a Milano. Tra gliallievi che frequentarono la sud-detta Accademia, Giorgio Srehlere Paolo Grassi; l’anno seguente siunì Annibale Ninchi, già inse-gnante del famoso tenore milane-se Angelo Lo Forese (3). Dal1935 ha inizio la carriera cinema-tografica, al fianco dei più notiattori del tempo:1) Casta diva - 1935 - regia di

Carmine Gallone2) Malombra (da Fogazzaro) -

1942 - regia di Mario Soldati3) La vita è bella – 1943 – regia

di Carlo Ludovico Bragaglia4) Eugenia Grandet – 1946 –

regia di Mario Soldati5) Daniele Cortis – 1947 – regia

di Mario Soldati6) Il sogno di Zorro – 1952 –

(Gassman, A. Ninchi, W. Chiari)Commedia – regia di MarioSoldati

7) Il mercante di Venezia – 1952– (Massimo Serato) – regia diPierre Binon

8) Menzogna – 1952 – (YvonneSanson) regia di Ubaldo Mariadel Colle

9) Don Camillo – 1952 – (Fernandel,Gino Cervi) – Commedia – regia diJulien Duvivier

10) Chi è senza peccato – 1952 –(A.Nazzari) – regia di R. Ma-tarazzo

11) I tre corsari – 1952 – avven-tura – regia di Mario Soldati

12) Il tenente Giorgio – 1952 –(Massimo Girotti) – regia diRaffaello Matarazzo

13) Noi peccatori – 1953 –(A.Nazzari) – regia di GuidoFrignone

14) La nave delle donne maledet-te – 1953 – regia di R. Ma-tarazzo

15) Processo alla città – 1953 –(P.Stoppa, A.Nazzari, T.Pica)– regia di Luigi Zampa

16) Rigoletto e la sua tragedia –1954 – regia di Flavio Calza-vara

17) Il tesoro di Monte Cristo –1954 – regia di Robert Venay

18) Ulisse – 1954 – (A.Quinn) –regia di Mario Comencini

19) Guai ai vinti – 1955 – (LeaPadovani, Paolo Quattrini) –regia R. Matarazzo

20) Guerra e pace - 1956 –(Gassman) - Regia di King Vidor

Nonostante la cecità incombesse,trovò la forza per continuareimperterrito, con l’amico che pertutta la vita lo aveva accompagna-to: Il palcoscenico. Aveva messoin repertorio l’Adelchi delManzoni, ma anche le tragediegreche che, lusingato, era riuscitoa rappresentare, nello scenarionaturale dell’Arena di Siracusa.Gualtiero seppe accontentare ilproprio uditorio e, nonostantefosse privo della vista, interpretòil ruolo del cieco Tiresia,nell’Edipo Re di Sofocle, messoin scena alla Scala da Giorgio deLullo. Correva il 1969 e di lì apoco sarebbe scomparsa l’amataed insostituibile Berjl. Gualtieroebbe in Domenico (1874 –1943), suo fratello, un preziososostegno. Egli produsse leseguenti opere per il teatro e perFerrara si ricorda, la prima del

commediografo, e Corrado, alquale verrà assegnato il PremioViareggio, era medico e scrittore.Dopo il Cyrano, Gualtiero recitò in“Una tragedia fiorentina” diOscar Wilde. Sono gli anni neiquali conosce Berjl Hicht, pittri-ce e scenografa, la quale infatica-bilmente gli sarà compagna sianella vita che in teatro. Così tro-viamo che, nel fondo donato daLucia Catullo al Civico Museo delTeatro Stabile di Genova, sonostati rinvenuti: atti amministrati-vi, oltre 40 fotografie, svariate let-tere e ben 60 copioni. Con il sup-porto di Berjl, Gualtiero fondò nel1924 la “Sala Azzurra”, un vero eproprio teatro d’avanguardia, con-testato dai conservatori ma cheriuscì ad affermarsi per i plausi ela forza innovativa che emanava.Di molto interesse nella carrieraartistica di Gualtiero furono glianni dal 1918 al 1939, oltre unventennio nel quale si esibì anchepresso il Teatro Romano diFiesole. Gli spettacoli che sierano tenuti fino ad allora nonerano di grande qualità, maGualtiero riuscì a far riprodurreL’Agamennone e La dodicesimanotte; qui figurò nella dupliceveste di attore principale e regi-sta. In seguito, con un folto pub-blico di estimatori e di illustri fio-rentini, fondò una Commissioneper decretare la qualità deglispettacoli. Dal 1918 al 1922, sirappresentano Dante e

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c u l t u r a

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L’avvocato Gaetano Tumiati ebbe6 figli dalla moglie Eda Ferraresi.La loro abitazione situata al N° 31di Via Palestro, di fronte all’im-bocco con Via San Guglielmo,reca una lapide dedicata ai quat-tro fratelli: Domenico, Gualtiero,Leopoldo, Corrado ed alla Meda-glia d’oro Francesco, caduto perla libertà a soli 23 anni.

NOTE

1) Vittore Veneziani nacque a Ferrarail 25 maggio 1878 ed ivi morì il14 gennaio 1958.

Studiò a Bologna con Martucci e pernove anni insegnò canto Corale aVenezia, poi fu a Torino ed a Bologna.Dal 1938 al 1945 non lavorò con lacompagine della Scala per via delleleggi razziali antiebraiche. Si guada-gnò la stima dei maggiori direttorid’orchestra del suo tempo, e conDomenico Tumiati compose i melolo-ghi: La badia di Pomposa – 1900 -Ferrara

Tessitore (dramma in 4 atti del1922 edito da Treves a Milano) :1) Fumo e fiamma – 1902 –

Streglio Editore – Ciriè (Torino)2) Poemi Lirici – 1902 – Za-

nichelli Bologna3) Re Carlo Alberto – Treves - Mi-

lano4) Giovine Italia – 1910 – Treves

Milano5) Guerrin Meschino – 1912 –

Treves – Milano6) Alberto da Giussano – 1913 -

Treves – Milano7) Garibaldi – 1917 – Treves –

Milano8) Musiche perdute – 1923 –

Zanichelli – Bologna9) I libri della beata rima - Za-

nichelli – Bologna10) La principessa sul pisello –

1927 Treves – Milano 11) Passionario profano – Treves

– Milano12) Porporana – dramma – 1927

– Treves – MilanoA Livorno, nella BibliotecaLabronica è consultabile quantoappena descritto.Una famiglia ferrarese, quella deiTumiati, che ha lasciato un solcoindelebile nella cultura cittadina,nelle arti, nel diritto, e nell’impe-gno civile.

Emigranti – 1901 - Ferrara Parisina – 1901 - BolognaLa morte di Baiardo – 1902 – Roma2) Silvio d’Amico (1887 – 1955) fu

scrittore e critico drammatico, efondatore dell’Accademia Dram-matica a Roma. Scrisse Storia delTeatro drammatico (1940)

3) Angelo Lo Forese – Sulla vita delfamosissimo tenore, vedi intervi-sta – editoriale di Mirella Golinellisu Rassegna Melodrammatica –Milano – 20 marzo 2007.

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te, ma importanti anche inquanto alle radici del gusto diLeonello: tra gli altri quelli diMichele da Firenze, da ricor-dare non soltanto per lanostra cara Madonna delDuomo. La puntualità dellecitazioni contrasta con l’as-sordante assenza della sug-gestiva S.Lucia del Duomo diComacchio, scultura cardinedell’epoca, ma la didascaliaalla foto di pagina 359 fapensare che sull’argomentogli autori abbiano voluto que-sta dimenticanza. MarcoPizzo presenta una scheda suNiccolò Baroncelli e AlfredoBellandi sui principi Romanidella Torre di Rigobello; con-tributi utili ad immaginare ilcentro della nostra città nel‘400. Francesca Petrucciscrive di Rossellino e di An-drea della Robbia, conimportanti puntualizzazionisul monumento della Chiesadi S.Giorgio. Dei ritratti diErcole I parla Antonio P.Torresi, puntuale e documen-tato come sempre. EnricoPeverada, con le lastre sepol-crali figurate del Quattro-cento ferrarese, dà finalmen-te alle stampe l’oggetto diaffollate conferenze, e ci faimmaginare con una “elabo-razione computerizzata”quanto alla realtà virtualesarebbe utile far seguire ifatti e riunire la cornice allalastra di Battista dal Le-gname.Enrica Domenicali e l’unicor-no di pietra compagno dipasseggiate ferraresi. ChiudeLucio Scardino con: “FilippoDe Pisis Terre cotte, stucchi emarmi dei secoli XV e XVI inFerrara”, un ponte ideale fradue intellettuali che a quasicento anni di distanza conti-nuano ad aprire le porte piùsegrete della città dalle centomeraviglie. Il 24 febbraio

Crocevia estenseGiancarlo Gentilini eLucio ScardinoContributi per la storia dellaScultura a Ferrara nel XVsecolo.Liberty House Ferrara, 2007.

La pittura ferrarese del ‘400incomincia a dare poche sod-disfazioni agli studiosi ed airicercatori. Pur con i tantiinterrogativi ancora aperti,più vivo appare in questafase lo studio sulle altre arti aFerrara, e probabilmentenelle interconnessioni trovia-mo più agevolmente alcunerisposte.Molto utile a questo scopo èil libro di studio: “CroceviaEstense”, che tratta della“Scultura a Ferrara” nel‘400, e raccoglie i branisuperstiti del lavoro di unamasnada di maestri ed arti-giani di passaggio che hannoprodotto qui, se non le fonda-menta di una scuola, esempidi un grande contesto figura-tivo.Laura Cavazzini e Aldo Galliparlano degli Scultori aFerrara al tempo di Nicolò III,lavori “strettamente confinatientro i termini tradizionalidell’arte devota”, certamen-

A cura diGiancarlo Gentilinie Lucio Scardino

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2007 il libro è stato presen-tato nel Museo statale dicasa Romei, dove gli autori -dopo la presentazione diGiancarlo Gentilini (a quandoun suo contributo scritto?) -hanno potuto intrattenersicon i numerosi intervenutidavanti agli originali di molteopere citate nel libro.Peccato che l’ottima idea siastata offuscata dalla inele-gante richiesta del bigliettodi ingresso al museo. Un neosu una bella giornata per lacultura ferrarese, conosciutanel mondo quando è peculia-re senza essere chiusa, inquanto Crocevia.

Corrado Pocaterra

Qualcuno mi insegueRoberto PazziEd. Frassinelli; Febbraio2007.

Che cos’è la morte per unoscrittore?E’ la cortina di nebbia checala sulla sua valle fioritaingrigendo l’arcobaleno deicolori che lui suole combina-re ad arbitrio? E’ lo smog cheinquina la sua aria tersa? E’

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la discordanza del pianoforteche disarmonizza i suonidelle note allorché le sue ditapremono i tasti? E’ l’afasiadel passero solitario che,altero, alberga nel suo petto?Ho perso la parola. Questo èstato dunque il bel tiro che lamia morte mi ha giocato,nella sua breve visita di pre-annuncio, in pegno di undefinitivo abbraccio.Questa frase dell’ultimo capi-tolo costituisce, secondo me,la principale chiave di letturadel romanzo pazziano. Inf-atti, che cos’è la perdita dellaparola se non la morte incor-porale di chi, come piantaparassita, ha vissuto in suasimbiosi, tanto da sentirsimorto al suo rinsecchirsi? Come un compositore musi-cale ode nitida nella suatesta l’armonia delle note chesta per mettere sul penta-gramma, e come un registacinematografico vede nellasua mente le immagini dellescene che porrà davanti allamacchina da presa, così unoscrittore legge su un gobbovirtuale le parole che sta permettere sulla carta. Ma,quando esse si offuscanoimpedendo all’occhio didecifrarle, allora l’ élan vitalcede alla “morte da vivo”.Vivranno, invece, le sue storiegià narrate, sconfiggendol’oblio che il tempo destinaalle cose del mondo. Ma secosì non fosse, sarebbe statomeglio, forse, vivere una vitadiversa. Quale però? Qualcuno mi insegue narra lavicenda di uno scrittore disuccesso (Pazzi stesso) cheproprio nella città “più belladel mondo” viene avvicinatoda una bella signora dall’ele-ganza un po’ demodé; ovve-ro, dall’autrice di quella suaautobiografia che lui non hamai scritto, ma che tanto l’ha

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incuriosito vedendola espostanella vetrina di un’angustalibreria romana.Quella bella signora, al seco-lo Lea Suman, psichiatra epsicoanalista di fama, è inrealtà la sua stessa mortefatta persona che, surrettizia-mente, l’ha indotto a leggereil compendio della sua vita;escluso l’ultimo capitolo perla cui stesura resta ancoratempo.Nondimeno egli, grazie al suofascino discreto, fatto di cul-tura e di bei tratti somatici,sconfigge, possedendola, lamaliarda professionista dagliatteggiamenti da dominatri-ce. Ma Lea la morte è un’a-mante infedele, così, dopoaverlo messo sull’avvertimen-to di ciò che si verificherà,pian piano si dilegua, la-sciandolo in un’indefinibileattesa. Ritornerà solo per l’ultimoabbraccio, seppur ancoralontano. Per ora, si limita adinviargli un messaggio, sim-bolicamente oggettivato inuna matita rossa da corretto-re, per significare che gli sba-gli da lui commessi nell’arcovitale non sono gravi. Con questo conforto cheinduce a ben sperare, Ro-berto Pazzi chiude il romanzodimostrandosi, ancora unavolta, uno scrittore di razzache sa tenere il lettore sullacorda dall’inizio alla fine.Difatti, la vicenda narrata èricca di colpi di scena, dibelle descrizioni, di sfumatu-re sentimentali e di trasfigu-razioni della realtà che con-ducono a riflettere sul sensodella vita. Il quale pare esse-re (anzi è) per il nostro scrit-tore assai diverso da quellodella notissima canzone del-l’immarcescibile rockettaro.Lo testimonia l’immaginedella Santa, Gemma Galgani,

appeso ad un parete del suoappartamento. Perché quelritratto sconfigge di nuovoLea la morte, la quale sa diessere solo un piccolo tunnelche apre a una diversa valla-ta.

Bruna Bignozzi

Grap ad stéll / Grappoli distelleGraziella VezzelliCartografica Editrice,Ferrara 2007

Alle raccolte di AR.PA.DIA.,l’Archivio Padano dei Dialetticurato da Maria CristinaNascosi per il Centro Etno-grafico Ferrarese / Centro diDocumentazione Storica del-l’Assessorato alle Politicheed Istituzioni Culturali delComune di Ferrara, si è appe-na aggiunta una silloge poeti-ca in lingua dialettale ferrare-se con testo a fronte in tradu-zione italiana, pubblicata nelmese di febbraio scorso per itipi della Cartografica Ed.: sitratta di Grap ad stéll /Grappoli di stelle, opera del-l’autrice portuense GraziellaVezzelli, undicesimo ed ulti-mo volume, in ordine ditempo, della collana Cóm adzcurévan / Come parlavamo,emanazione a far data dal1998 del sunnominatoAR.PA.DIA. La traduzione el’editing sono opera della

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Curatrice dell’Archivio. Iltesto rappresenta per Ferra-ra una relativa novità, nelsuo campo, specie in sensolinguistico, oltreché lettera-rio: non sono molti i testi‘solo di Donna’, in linguadialettale e, per di più, contraduzione/interpretazionein lingua italiana, uscitinegli ultimi anni nel nostroterritorio; si tratta di unaraccolta di grande intensitàe spessore, davvero un uni-cum nel suo genere. Siricorda, in merito, Arte epoesia d’autrice, il decimovolume della collana di cuisopra, stampato due annifa, ma si tratta di una anto-logia a più mani, compren-dente le liriche di undicipoetesse tutte nostre ed èstilato ‘solamente’ in linguadialettale ferrarese. Un flus-so della coscienza di chiaramatrice woolfiana pervade,in linea di massima, moltedelle liriche della Vezzelli,forse consciamente, forseno, chissà.E non ‘sfuggono’ nemmenoi Classici, per dirla conT.S.Eliot - What’ s a classic?/ Cos’è un classico?, qualco-sa di ben presente, anchenostro malgrado, che è forseinsito nella nostra memoriacosmica, inciso nei nostricromosomi....Tra la nòt e al dì, la poesiache chiude idealmente lasilloge di Graziella Vezzelli èun delicato e, probabilmen-te, inconscio omaggio adun’altra grande signoradella scrittura in lingua dia-lettale ferrarese, LianaMedici Pagnanelli: ancheLiana, in Al silénzzi, unasua lirica - quella che apre ilvolume antologico in linguadialettale ferrarese tutto alfemminile, Arte e poesiad’autrice cui s’accennava -

racconta di una notte chela vide insonne spettatriceed ascoltatrice dei rumori edegli incanti di quel magi-co passaggio tra la notte eil dì per l’appunto, in cui laterra pare vivere per alcuniinfiniti istanti, una vitasospesa, il tempo del mitopresente ed avvertibile,forse, solo tramite la nostramemoria cosmica che dasempre ci tramandiamo.Anche un regista francese,Eric Rohmer, con il mezzocinematografico, con im-magini e sonoro silenzio,riuscì, molti anni fa, in unasua vecchia e comunquepoetica pellicola a descri-vere, seppur intuitivamen-te, quella indescrivibilesensazione quasi...fuori dalmondo. Il libro della Vez-zelli è stato presentato inanteprima il 4 marzo scor-so al Maf di San Barto-lomeo, per poi essere pro-posto ufficialmente in altreprestigiose sedi.Grap ad stéll / Grappoli distelle, le cui immagini dicopertina e nel testo sonoacquarelli monocromi delgiovane artista ferrareseCristiano Grandi, rielabora-te al computer dal fotogra-fo Franco Sandri, èreperibile presso l’Autricestessa, la CartograficaEditrice, il bookshop diPalazzo dei Diamanti,nelle migliori librerie, ban-carelle ed edicole ferraresi,ed in consultazione nel-l’ambito della biblioteca diAR.PA.DIA., presso ilCentro Etnografico.

Maria Cristina Nascosi

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