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________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
Pag.1
Pubblicata da Sysform Editore 00131 Roma Via Monte Manno 23 - Direttore Responsabile Manuela Rosci
Edizione cartacea della rivista telematica www.lascuolapossibile.it
Iscrizione al Tribunale di Roma 63/2010 del 24/02/2010
N.21 marzo 2012 Web Content Manager Maurizio Scarabotti
Editoriale
Per fare giustizia ...perdiamo la diversità La preoccupazione che non ce ne sia abbastanza per tutti di Rosci Manuela - Editoriali
La primavera è la stagione del risveglio. Ri-
sveglio dal letargo invernale che a volte
sembra durare un'infinità di tempo e invece
poi ci riserva la ripresa di colori, di profumi
e di sensazioni, di energia anche se questa
a volte sembra mancare con i primi caldi
dei giorni primaverili.
Quale tema potevamo scegliere per sottoli-
neare questa ri-presa alla vita? Abbiamo
dedicato la nostra attenzione -questo nu-
mero- all'INTEGRAZIONE.
Nelle scienze sociali, il termine integrazione
indica l'insieme di processi sociali e culturali
che rendono l'individuo membro di una so-
cietà.
Mi soffermo su questa semplice definizione
che tutti possono trovare cliccando su Wiki-
pedia, senza dover scomodare trattati im-
portanti. Cosa mette in relazione la prima-
vera e il risveglio con l'integrazione, cioè
con l'insieme dei processi che rendono una
persona parte di una comunità?
Provo a formulare a voce alta ciò che mi
passa nei pensieri e che alberga nel mio
cuore.
Nella comunità scolastica, i "processi inte-
grativi" per includere una persona (o più
persone) sembrano tardare a risvegliarsi da
un letargo che sta perdurando da troppo
tempo; sembra che lo stato di torpore in cui
siamo scivolati inconsapevolmente -forse!-
ci trattenga in quella zona di confort che
rende ogni AZIONE ... rinviabile, procrasti-
nabile.
La crisi e la conseguente politica dei tagli
hanno reso tutti noi "poveri di energia"
(non solo economica), e facciamo fatica a
rintracciare nel quotidiano quei germi di
mission che tanto (o poco) tempo fa hanno
orientato la nostra scelta professionale, ap-
prodando al mondo della scuola.
In un periodo in cui certamente si è più
orientati alla PERDITA - di identità scolasti-
ca, di finanziamenti, di tempo pieno e di
compresenze, di supplenze, oltre che di cer-
tezze - potrebbe essere conveniente ricor-
rere ad un po' di sano buon senso affinché
non si cada "ingenuamente" nel tranello di
credere che la giusta formula sia ... toglie-
re un po' a tutti! Con l'idea appunto della
"giusta parità", sembra lecito pensare che
nelle situazioni di mancanza si possa/si
debba quindi togliere nella stessa maniera,
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nella stessa quantità, un po' a tutti, com-
presi, se non soprattutto, quelli che sem-
brano per alcuni versi essere dei ... PRIVI-
LEGIATI.
La tentazione di mettere sullo stesso piano
di emergenza tutto e tutti, fa sì che si possa
scivolare nella convinzione che "qualcuno"
abbia qualcosa di più e che non sia poi così
giusto visto che tutti sono chiamati a fare
dei ... sacrifici.
Ovvio che sto girando intorno al tema della
disabilità, ma non solo. La voglia e la ne-
cessità di dare risposte all'utenza possono
far prendere delle decisioni che "apparen-
temente" risolvono il problema della giusti-
zia sociale -quel poco che c'è viene distri-
buito in parti uguali!-; nascondono invece il
malsano pensiero di togliersi dai guai livel-
lando e non differenziando le esigenze, trat-
tando tutti come se ... fossimo tutti uguali.
Sappiamo che così non è, anzi teniamo
sempre a sottolineare quanto l'altro sia DI-
VERSO da me. Tuttavia sembra venir meno,
in tempo di crisi, anche il conseguente trat-
tamento/investimento diversificato.
Lo sforzo di fare AZIONI intenzionalmente
dedicate e rivolte alla salvaguardia di chi è
diverso (o sta in una situazione di diversità)
sembra appunto essere sopita, e la lenta e
continua distrazione che si pone all'altro -
perché richiede anche un investimento di
RISORSE energetiche attualmente limitate
un po' per tutti- sta progressivamente pro-
ducendo un disinvestimento generale, sia di
pensiero rinnovato che di attenzione. Una
politica che sottolinea "la perdita" (indiscu-
tibile) provoca inevitabilmente un acuirsi
dell'individualismo, del pensare ognuno per
sé, dell'accaparrarsi il possibile perché ...
non ce n'è abbastanza per tutti!
In questa visione del quotidiano in cui la
sensazione é di perdere qualcosa, anche la
comunità scolastica ne fa le spese, ricor-
rendo a comportamenti che sono meno "di
corpo" e più "di sfogo", in cui l'altro -sia es-
so alunno, genitore o collega- pone preva-
lentemente PROBLEMI, fa richieste di atten-
zioni particolari, assorbe energia e richiede
"investimenti". Si sa, in tempo di crisi si ha
paura di fare investimenti perché non si rie-
sce a capire quali siano quelli ... convenien-
ti!
La scelta allora di dedicare questo numero
al tema dell'integrazione, nelle sue tante
sfaccettature, è stata dettata dalla vo-
glia/necessità di mantenere l'attenzione vi-
va, di ricordare a noi stessi e agli altri che
... indietro non si torna! Le trasformazio-
ni che hanno accompagnato la scuola negli
ultimi trent'anni sono avvenute anche gra-
zie allo sforzo di andare verso l'altro, prima
con diffidenza poi con maggiore naturalez-
za; e la necessità di dare risposte ha creato
l'esigenza di maggior dialogo tra le persone,
di condividere un progetto di inclusione
piuttosto che delegarlo solo all'altro.
Gli articoli raccontano piccoli spaccato e/o
riflessioni di vita vissuta, di persone che
"credono" anche in tempo di crisi.
La strada è ancora in salita ma alcune espe-
rienze sono state talmente significative che
solo apparentemente sembrano perse. La
sensazione di smarrimento è lecita ma la
convinzione che può accompagnare un
momento così ricco di cambiamenti è che
ciò che è stato fatto una volta ... si può ri-
petere, sta a noi non farci scoraggiare, non
accettare il tentativo di trafugare ciò che è
dentro di noi. Il suggerimento è di affer-
marlo con forza e convinzione.
Il futuro dell'integrazione -e della scuola-
dipende anche da ognuno di noi. Buon lavo-
ro!
Manuela Rosci
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Pag.3
In questo numero di marzo 2012
Area Tematica Titolo Autore
Per fare giustizia perdiamo la diversità Rosci Manuela
FANTACITY La redazione
Hanno collaborato in questo numero marzo 2012
La redazione
L'integrazione è di tutti, è un gioco di squadra!
Caruso Giovanna
Quando Alice bussò alle porte del cielo Crasso Antonella
Con competenza e amore....insieme si può
Ricci Fiammetta
Diversamente abili e diversamente inabili
Sabatini Roberto
La forza propulsiva dell'Integrazione Infantino Aminta Patrizia
Il SalinaDocFest Riccardi Barbara
Generazioni di donne di scuola Natale Olga
Un'esperienza da vendere... e da ac-quistare
Nucera Roberto
Le bon sauvage ovvero la rappresenta-zione culturale del concetto di alterità
Presutti Serenella
All'origine dell'idea di integrazione Ansuini Cristina
Che cosa è normale? Niente. Chi è normale? Nessuno
Agolino Simona Loretta
Educazione psicomotoria a scuola Lugaresi Adriana Nora
L'INVALSI Maranzana Enrico
Lo scavo archeologico ...risorsa per in-tegrare
Riccio Filomena
Dimensionamento: paura di perdere la propria identità!
Melchiorre Antonia
Diverso da chi? Giuliano Rosanna
Michela e gli altri Paci Lucia Giovanna
Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione
D'Agosta Luciana
Se noi mortali riuscissimo a capirlo! Poli Roberta
Un paradigma per l'inclusione Ruggiero Patrizia
Non si può più attendere! Damiano Maria Antoniet-ta
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Pag.4
DDalla prima pagina
Dalla prima pagina
Non si può più attendere! Una consultazione per raccogliere suggerimenti e proposte di Damiano Maria Antonietta - Sotto la lente
Quando a scuola si parla di integrazione, sia
tra gli addetti ai lavori sia tra i genitori, si
sottintende quale suo soggetto un alunno
con disabilità.
Certamente un soggetto disabile è meno
provvisto di risorse che agevolino la sua in-
tegrazione nel gruppo e quindi gli adulti in-
torno a lui attivano modalità relazionali,
strategie didattiche, percorsi educativi e
vissuti esperenziali mirati al raggiungimento
di quell'obiettivo.
Alla luce delle esperienze maturate e delle
verifiche realizzate, non tutte confortanti, si
impone una riflessione sottaciuta e nel con-
tempo molto evidente e non eludibile: non
si dà integrazione autentica, e non mera-
mente declamata, in una realtà educante
che conserva i tratti distintivi dell'indi-
vidualismo e dell'operare a "comparti-
menti stagni" e non di rado conflittua-
le.
I tentativi di avviare il superamento di que-
sta condizione infeconda con l'adozione di
tempi-scuola che richiedono team di due o
più docenti interagenti non hanno, salvo lo-
devoli e fortunate eccezioni, conseguito l'o-
biettivo auspicato.
I motivi dell'esito insoddisfacente dell'espe-
rienza sono, a nostro avviso, riconducibili al
permanere di un abito professionale radica-
to e restio al confronto, alla trasparenza,
alla verifica oggettiva sorretto da un malin-
teso principio della libertà di insegnamento.
Ma su tale atteggiamento, d'altro canto, ha
rivestito un'incidenza determinante il per-
manere di una formazione, a livello univer-
sitario, ancorato a schemi obsoleti, mera-
mente disciplinari e non congrui alle neces-
sità imposte da un contesto sociale e cultu-
rale in continua e rapida trasformazione.
L'AUTONOMIA SCOLATICA, inoltre, indivi-
duata come la risorsa per conferire alla co-
munità educante la responsabilità diretta
nella definizione del progetto educativo e
della gestione della istituzione, è rimasta a
livello puramente nominale e non è stato
l'enzima in grado di favorire la nascita
e l'affermazione di un SISTEMA SCO-
LASTICO INTEGRATO.
Ecco allora che l'insegnante continua a vi-
vere nella sua "solitudine", socialmente di-
sconosciuto, economicamente umiliato,
vessato dalle esigenze delle famiglie inva-
denti e insoddisfatte del servizio erogato,
ripiegato su se stesso e non più sorretto da
motivazioni, si appiattisce e, sempre meno
integrato nella comunità educante, non è
più disponibile a dar prova di coraggio, a
rimettersi in discussione e a ricercare in-
sieme agli altri vie innovative, produttive e
gratificanti.
Come uscire da tale condizione?
La sfida è alta e tutti, Dirigenti, docenti e
genitori, sulla scorta della propria esperien-
za, possono fornire un contributo proficuo.
Auspichiamo, pertanto, di aprire una con-
sultazione per raccogliere suggerimenti,
proposte che, dal basso, diano indicazioni
per realizzare un'autentica "integrazione" e
favorire l'uscita della scuola dalla palude in
cui è immersa.
Maria Antonietta Damiano, Dirigente scola-
stica IC Via Nobiliore - Roma
Francesco Gori, ha insegnato nella scuola
elementare e alle superiori, chiudendo la
carriera insegnando Lettere alla SMS I. Cal-
vino
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Pag.5
Con competenza e amore....insieme si può La testimonianza di una mamma di Ricci Fiammetta - Integrazione Scolastica
Sono la mamma di Chiara, una bambina af-
fetta da una rara e grave patologia che l'ha
resa "disabile".
Chiara non cammina, non parla e secondo i
medici il suo futuro era destinato ad una vi-
ta vegetativa. A distanza di 9 nove anni
posso dire con orgoglio di madre, che mia
figlia, nonostante la sua disabilità, è
una bambina "viva".
Lei non parla ma comunica ed è una comu-
nicazione fatta di sorrisi, carezze, piccoli
suoni, segni di contrarietà ma soprattutto
fatta di baci ed abbracci.
Sembra strano parlare di orgoglio o di sod-
disfazione verso una bambina come Chiara.
La gente a volte non capisce come si possa
dire ciò ma, oltre il grandissimo dolore che
ogni genitore porta con sè ogni giorno nel
cuore, in esso c'è tanto amore perché sono
veramente dei bambini speciali. Ogni loro
piccolo gesto, che per gli altri è normale,
per loro è una grande conquista ed io mi
sento sempre più "mamma".
Chiara oggi va a scuola, frequenta la 1°
elementare dell'I.C. Via Marco Fulvio Nobi-
liore a Roma e, anche se all'inizio della sua
vita scolastica ha incontrato degli ostacoli,
perché è difficile scoprire quale sia la mi-
gliore strategia per arrivare a Lei, ora è
perfettamente inserita e felice nel suo am-
biente. Ha la fortuna di avere accanto per-
sone qualificate e disponibili che hanno
trovato il modo di interagire con lei e
stanno ottenendo grandi risultati.
Chiara non usava la sue manine per la ma-
nualità fine, ora riesce a toccare da sola la
sabbia, la farina , l'acqua, il Das. Sta sco-
prendo un nuovo mondo. Risponde ai co-
mandi che gli vengono rivolti, comincia a
stimolare l'intenzionalità comunicativa del
DA, inteso come DAMMI l'oggetto che hai in
mano. Risponde alla parola SU, quando
viene richiamata perché ha la testa verso il
basso. Accetta alcune proposte e si contra-
ria rispetto ad altre. Quando si rende conto
di aver fatto qualcosa di positivo si applau-
de da sola e sorride perché si accorge della
felicità delle persone che la circondano.
Ma la scuola è importante anche dal punto
di vista relazionale.A Chiara piace stare a
scuola, ricerca i suoi compagni, li tocca
e per attirare la loro attenzione emette
un bellissimo "oooooooh". E' forse l'inizio di
un futuro di parole verosimili? Chissà!
La comunicazione attraverso lo stimolo del-
le emozioni, del contatto visivo richiamato e
protratto nel tempo, l'uso di tutti i sensi ri-
spettando le difficoltà e la percettività di
Chiara, stanno rendendo efficace il progetto
iniziato a scuola e danno un'altra piccola
speranza a Chiara e a noi genitori.
Fiammetta Ricci, genitore, I.C. Via Nobiliore
– Roma
Dalla prima pagina
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Il SalinaDocFest Intervista a Giovanna Taviani di Riccardi Barbara - L'intervista
"Se la conoscenza dell'altro ci turba
vuol dire che siamo turbati anche
dalla conoscenza di noi stessi".
Ritorni G. Taviani
L'Integrazione: tema scelto del mese. Pen-
so, per non ripetere sempre gli stessi con-
tenuti a riguardo, rifletto, uhmmmmm, siiiii,
si accende una lampadina, certamente, lei è
la persona giusta che fa a nostro caso, lei e
la sua "creatura", dove poter attingere uno
spaccato di esperienza in campo talmente
viva e innovativa, che voglio diffondere con
orgoglio e ammirazione.
1) Come nasce l'idea di realizzare un
Festival Internazionale del documenta-
rio narrativo? Perché proprio all'Eolie?
L'idea nasce da una scommessa e da una
provocazione: dare visibilità agli invisibili - il
documentario in Italia sconta la mancanza
di distribuzione e quindi inevitabilmente la
propria clandestinità e invisibilità -. In que-
sto senso l'isola di Salina, con tutte le pro-
blematiche che le isole portano con sé, pri-
ma fra tutte l'isolamento dal continente e i
disagi legati ai trasporti - le Isole Eolie sono
collegate all'Italia dai traghetti e aliscafi Si-
remar che rischiano in questi mesi la sop-
pressione - ci sembrava lo scenario adatto
.
Abbiamo pensato per prima cosa ai giovani
di quei territori, che in estate quando arri-
vano i turisti si sentono al centro del mon-
do, ma in inverno quando le isole si svuota-
no restano soli con il loro pezzo di mare. Ci
siamo detti, portiamo il mondo da loro, e
facciamolo attraverso il documentario, che
mai come in questo momento riesce più del
film di finzione a raccontare quel che le Tv e
i giornali spesso celano o rimuovono. La
realtà del nostro paese, il "fuori" da noi,
l'"altro" da noi.
E così è nato il SalinaDocFest, Festival del
documentario narrativo che si svolge alla
fine di Settembre, il mese rosso delle ven-
demmie, in un percorso itinerante che coin-
volge il pubblico dell'isola, le scuole e i gio-
vani del territorio.
2) Cosa ti regala ogni edizione, cosa ti
porti via da questa esperienza, cosa hai
imparato e quali sono i punti di forza
del Festival?
Dirigere un Festival è un'impresa molto fati-
cosa, spesso impossibile in un paese come
l'Italia. Soprattutto quando il Festival si
svolge su un'isola sprovvista di sale cine-
matografiche, circondata da un mare spes-
so in tempesta, e poco abituata, per così
Dalla prima pagina
G.Taviani
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dire, a ricevere nelle proprie strutture un
pubblico internazionale. Pochi giorni prima
di ogni edizione, esausta dopo un anno di
lavoro speso a trovare fondi che non si tro-
vano, organizzare spettacoli e concerti,
convincere artisti, registi e produttori a ve-
nire sull'isola, spesso a costo zero, mi dico:
questa sarà l'ultima. Ma il giorno dopo la
chiusura penso già alla edizione successiva,
ai temi da affrontare, agli ospiti da invitare.
E' più forte di me. Forse perché senti di far
parte di una "comunità" al di qua e al di là
del Mediterraneo che, anche solo per una
settimana, si riunisce sotto un cielo "comu-
ne", per riflettere insieme sullo stato del
nostro cinema e il destino dei nostri paesi.
Un bel sogno che il SalinaDocFest mi ha re-
galato.
3) Cosa significa essere figlia "di" ed
essere cresciuta in una famiglia dove si
respira e vive di e per il cinema?
Un'arma a doppio taglio, soprattutto quan-
do i padri sono due, come nel mio caso.
Spesso quando mi chiedono di chi sei figlia
rispondo automaticamente "dei fratelli Ta-
viani", come fossero una entità unica, una
coppia indissolubile. In realtà, e per fortu-
na, mio padre è solo uno dei due, Vittorio,
ed è lui il "responsabile" del mio amore per
il cinema, colui che mi ha insegnato ad ave-
re uno sguardo cinematografico sul mondo.
In generale, essere figlia di autori che han-
no firmato la regia di film come Padre Pa-
drone, La notte di San Lorenzo, San Michele
aveva un gallo, Allonsanfan, credo mi abbia
insegnato soprattutto questo: anche
quando tutto sembra perduto, non bi-
sogna arrendersi. Occorre resistere, ieri
come oggi, e non dimenticare mai da dove
veniamo e dove andiamo.
4) Orgoglio di figlia e nipote, cosa ti
accresce dell'esperienza del film "Cesa-
re deve morire" dei Fratelli Taviani, an-
che questa è una forma di integrazio-
ne?
L'Orso d'oro a Berlino mi rende felice e or-
gogliosa non solo perché il film è forte e in
qualche modo torna ai Taviani più speri-
mentali nello stile e nel linguaggio. Ma an-
che per il connubio inedito e insolito tra film
di finzione e film documentario. Gli attori
che recitano Shakespeare sono i detenuti
del carcere di massima sicurezza di Rebib-
bia, e i drammi shakesperiani che mettono
in scena sono i loro drammi reali, drammi
che parlano di tradimenti, uccisioni, potere,
libertà. Un ritorno alla realtà attraverso il
grande cinema che forse, da qualche parte,
deve qualcosa anche alla rinascita del do-
cumentario nel nostro paese di cui io, come
documentarista e direttrice del Salina-
DocFest, mi sento in parte responsabile.
5) Progetti e novità...
Sto lavorando con le scuole, dieci giorni fa a
Lipari, con le scuole medie dell'isola, oggi a
San Miniato, con gli Istituti Tecnici della cit-
tà natale dei Taviani, dove mi hanno chia-
mata per un corso su La Notte di San Lo-
renzo, a 30 anni dalla sua uscita. Un film
che va portato nelle scuole e riproposto ai
giovani, orfani di passato e di futuro, pro-
prio per insegnare loro che coltivare la me-
moria è l'unica forma di libertà che l'uomo
possa conoscere e che se riesci a salvare
anche solo
uno dei tuoi
ricordi sei
salvo. Un
modo an-
che questo
per lavora-
re a una
scuola pos-
sibile e a un
futuro "al-
tro" rispetto
a quello che ci hanno prospettato.
Il "SalinaDocFest" luogo di incontro, dove
condividere le riflessioni ascoltando altre
realtà, consapevoli che tra "gli altri" e noi,
la distanza e la separazione sono solo un
concetto geografico che la storia e i fatti
moderni stanno abbattendo, per far spazio
ad una contaminazione positiva, verso un
mondo sempre più globale DOVE SENTIRSI
ED ESSERE INTEGRATI.
Non è soltanto un Festival del documenta-
rio, ma è il festival dei popoli del Medi-
terraneo. È un festival che promuove
l'integrazione degli immigrati.
GRAZIE GIOVANNA PER IL BELLO DI ALTRE
... "VISIONI"!
Il sito del Salina docfest
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P.S. Se siete stati colti da curioso interesse
e volete sentire/vedere un diverso punto di
vista ad ampio spettro, andate a sbirciare
tra i suoi lavori: I nostri 30 anni generazioni
a confronto; Ritorni e Fughe e approdi.
Documentari realizzati sul confronto con
l'altro, che trattano esperienze diverse, so-
no differenti modi di affrontare e vivere la
lontananza dal proprio paese d'origine e
dalla volontà di scoprire e confrontarsi.
Immagini/voci come tentativo di andare ol-
tre i cliché sugli immigrati e sul fenomeno
dell'integrazione, per superare il non cono-
sciuto, per dare sfogo alla curiosità della
scoperta dell'altro.
Barbara Riccardi,
docente 143° CD "Spinaceto" – Roma
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Le bon sauvage ovvero la rappresentazione culturale del concetto di alterità Lo sguardo lungimirante dell'integrazione e il limite insop-portabile del razzismo. di Presutti Serenella - Oltre a noi...
La rappresentazione dell'"altro da sé" sta
all'idea che ognuno di noi ha del mondo
fuori dei confini dell'io-se stesso come la
rappresentazione di altre comunità sta all'i-
dea politico e sociale che una società coltiva
nei confronti degli altri paesi...
questa è l'equazione, idea quasi banale per
la sua semplicità, che sottende una magni-
fica mostra allestita e attualmente in corso
presso il "musée du Quai Branly", museo
etnografico di Parigi, allestito già nel pro-
getto originario dell'architetto Jean Nouvel
come "...un complesso culturale che propo-
ne un approccio diversificato ed innovativo
delle culture non occidentali", come recitato
sulle brochure tradotta in tutte le lingue a
disposizione all'ingresso del museo.
La mostra
si intitola
"L'inven-
tion du
sauvage",
l'invenzio-
ne del sel-
vaggio, an-
zi la co-
struzione
del mito
del selvag-
gio, e pro-
pone un
affascinan-
te viaggio
attraverso i
continenti
e la storia
con l'occhio
di chi è
stato oggetto delle colonizzazioni, conside-
rati non solo buon investimento economico
e affaristico, ma soprattutto come il più
grande progetto educativo scientifico ed an-
tropologico con l'obiettivo ultimo della nor-
malizzazione, vale a dire della negazione
delle diversità presenti nella specie umana
vivente sul pianeta...
L'esposizione inizia con un excursus storico
sulle esplorazioni e le scoperte geografiche
che poi hanno portato alla nascita dei gran-
di imperi coloniali, francese-inglese-
spagnolo, e alle prime trasmigrazioni di
esemplari etnici presso le più importanti
corti europee; l'invenzione del selvaggio
raggiunge il massimo fulgore intorno al
500-600,secoli teatro di grandi guerre, sco-
perte e cura di rappresentazioni artistiche,
che con la protezione e il sovvenzionamento
economico di potenti mecenati (spesso gli
stessi regnanti) hanno dato luogo ad impor-
tanti scoperte scientifiche nonché a rappre-
sentazioni di forte impulso e sviluppo delle
arti moderne, per esempio alle rappresen-
tazioni teatrali e alle arti figurative.
La scoperta del diverso da noi, del lontano
e dell'esotico è anche l'inizio dell'invenzione
del selvaggio, del diverso in quanto non
uguale a noi, inferiore per le sue non-
conoscenze delle coordinate del nostro si-
stema culturale occidentale e quindi biso-
gnoso di essere educato a tutto questo, di
apprendere ciò che possa trasformarlo in un
"bon sauvage" utile al mondo occidentale e
(perché no?) che possa essere anche un
buon affare...
ecco a voi Signore e Signori!!!!.....il ter-
ribile prodigio... che diventa, a secondo
del momento storico, la donna barbuta,
il bambino nero albino, la Venere afri-
cana della tribù ottentota, il grande ca-
po Omai, arrivato con il capitano Cook
dall'Australia...
insomma inizia l'era del "circo umano",
tra cui il più importante e famoso di tutti è
certamente il circo Barnum, che fu autore
dell'abile trovata pubblicitaria del " What is
Dalla prima pagina
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Pag.10
it?", alias l'afro-americano William
Henry Johnson, sofferente di una leggera
deficienza mentale, venduto a quattro anni
a Barnum che pensò bene di presentarlo
con un costume completamente ricoperto di
peli come il "perfetto" selvaggio catturato in
Africa che tutti vogliono vedere da vicino...
Gli "zoo umani" hanno rappresentato la
normalizzazione dell'asservimento a cui è
stato sottoposto il diverso che, attraverso
l'equivoco della necessità scientifica, viene
mostrificato e come tale rappresentato ed
esposto al ludibrio e alla comune giustifica-
zione della necessità della detenzione e/o
quantomeno del controllo da parte della
"comunità educante" formata dai bianchi
occidentali superiori.
La mostrificazione è un processo inar-
restabile che investe ben presto tutte
le diversità, per cui diventa legittimo esse-
re curiosi di assistere oltre che allo spetta-
colo del diverso perché selvaggio, anche al-
la visione da vicino del mostro-diverso per-
ché disabile...la storia degli zoo umani, dal
"what is it?" portano sul palco anche "ele-
phant man" o i fratelli siamesi...se poi le
diversità sono sommate (disabili nati in altri
continenti) maggiore è la ragione della cu-
riosità e maggiormente giustificata in nome
della conoscenza...
Uno degli ispiratori (commissario generale
della mostra) di questa esposizione è un di-
verso diventato ricco grazie al suo talento:
il giocatore di calcio Lilian Thuram, che
dalla Guadalupe arrivò giovane nella regio-
ne parigina e assaggiò gli sguardi di molti
sulla sua pelle nera e si domandò da dove
avessero origine questi sentimenti razzisti
e, soprattutto come il razzismo fosse assun-
to come giustificazione scientifica, alla base
degli zoo umani, dell'inferiorità delle razze
appartenenti al cosiddetto terzo mondo...
Tali giustificazioni hanno sviluppato false
credenze e false verità; il razzismo pone le
sue più profonde radici culturali sulla paura
degli altri e soprattutto sulla convinzione
che il proprio mondo, il proprio potere vada
difeso ad ogni costo con la sopraffazione e
l'assoggettamento di interi popoli, costi an-
che il genocidio.
Le radici di tutto questo non sono state
estirpate, nonostante ancora siano aperte
le ferite di un olocausto, e molti i genocidi
siano stati consumati; l'assunto di partenza
è sempre lo stesso...
Noi siamo i più forti e siamo arrivati per
primi ad occupare le postazioni del potere
economico-politico su questo pianeta, per
cui è dimostrata la nostra superiori-
tà...dunque siamo legittimati alla sua difesa
e alla rivalsa sui popoli inferiori perché sel-
vaggi e diversi, diversi e selvaggi...diversi
da noi e "pericolosi".
L'affermazione che l'altro è inferiore è
qualcosa di rassicurante; pone il limite
massimo alla domanda di quanto valga
ognuno di noi e quanto debba essere tute-
lato dalla comunità nella quale vive...
La tutela della diversità, della diversità di
ognuno, passa attraverso la sua conoscenza
e comprensione; lo scambio tra culture è
l'inizio di ogni storia d'integrazione. La rie-
laborazione della conoscenza, la risultante
delle integrazioni dei punti di vista è alla
base delle aperture delle menti e della co-
struzione del rispetto dei principi della con-
vivenza democratica.
L'unico antitodo contro la paura delle modi-
fiche dei punti di vista...è probabilmente la
consapevolezza che il cambiamento in
quanto tale è possibile...e innarrestabile!
Tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, che
cosa accadrebbe un giorno se tutti gli uma-
ni fossero costretti come tali in uno "zoo";
le suggestioni suggerite dalla letteratura,
come dalla filmografia fantascientifica sono
molte e alcune molto note....una su tutte
"la metamorfosi" di kafkiana memoria.
L'angoscia provocata dall'incapacità di ac-
cettazione del diverso e della diversità ge-
nera solitudine, discriminazione e morte.
L'integrazione invece racconta il lungo
cammino della conoscenza e della conquista
della civiltà delle "umane" genti.
Lo spettacolo offerto da questa mostra,
senza tema di essere smentita, varrebbe il
viaggio a Parigi quanto la vista della Torre
Eiffel o la visita al Museo del Lou-
vre...vedere per credere!
Serenella Presutti, Dirigente scolastico,
psicopedagogista e counsellor 143° Circolo
didattico "Spinaceto" di Roma
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Pag.11
Diverso da chi? Gli ingredienti essenziali per una vera integrazione di Giuliano Rosanna - Orizzonte scuola
"Quelli che vanno nella mia scuola sono
stupidi. Solo che non mi è permesso dirlo,
anche se è vero. Vogliono che dica che
hanno delle difficoltà nell'apprendimento o
hanno esigenze particolari. Il termine esatto
è gruppo H. Questa sì che è una cosa stupi-
da, perché tutti hanno dei problemi nell'ap-
prendimento, perché imparare a parlare
francese o capire il principio della Relatività
è difficile, ed è altrettanto vero che ognuno
ha le sue esigenze particolari, come mio
padre che deve portarsi dietro le pillole dol-
cificanti da mettere dentro il caffè per non
ingrassare, oppure la signora Peters che gi-
ra sempre con un apparecchio acustico co-
lor crema, o Siobban che ha degli occhiali
talmente spessi che ti fanno venire il mal di
testa se li provi, e nessuna di queste perso-
ne viene classificata come gruppo H, anche
se hanno delle esigenze particolari".
(Mark Haddon, Lo strano caso del cane uc-
ciso a mezzanotte)
Spesso siamo noi, con i nostri atteggiamen-
ti e i nostri giudizi, a sancire ciò che è nor-
male da ciò che non lo è; con questo inten-
do dire che la normalità può essere vista
come una condizione che avvertiamo dentro
di noi, quando sentiamo di essere inseriti in
un contesto che ci accetta.
Quali sono gli "ingredienti" essenziali per
una vera integrazione? Personalmente ri-
tengo che l'instaurazione di un clima colla-
borativo in classe, la rinuncia ad atteggia-
menti conflittuali, legati ad un esasperato
individualismo e ad una scarsa accettazione
dei ragazzi con difficoltà di apprendimento,
possano contribuire a rendere un contesto
accogliente.
Acquisteremo maggiore fiducia nelle nostre
capacità di interagire con gli altri se avverti-
remo di essere accolti dal gruppo-classe nel
quale siamo inseriti, se percepiremo la no-
stra presenza e il nostro contributo signifi-
cativi nello svolgimento di un'attività e se
vedremo considerate le nostre idee da parte
dei nostri compagni di classe.
A mio avviso, si avrà una vera integrazione
solo se questa sarà percepita come un'e-
sperienza di arricchimento per tutti, non so-
lo per i ragazzi svantaggiati: ognuno può
crescere e migliorare solo se riesce ad
accettare dentro di sé la propria e le al-
trui diversità. E' fondamentale che qual-
siasi apprendimento passi attraverso l'affet-
tività e la relazione emotiva con l'insegnan-
te e con il gruppo classe. E' indispensabile,
a questo proposito, incentivare i momenti di
socializzazione attraverso attività ludiche,
una didattica di tipo laboratoriale, incorag-
giare e promuovere, sempre, lo sviluppo
dell'autonomia di ogni alunno, coinvolgerlo
e permettergli d'investire nel processo di
apprendimento, i suoi desideri, le sue ambi-
zioni, far leva sulle sue potenzialità, sulle
sue risorse individuali, poiché queste sono
anche fonte di creatività.
Rosanna Giuliano,
docente di sostegno scuola secondaria di
primo grado, IC Perazzi - Roma
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Pag.12
Generazioni di donne di scuola Una scelta convinta che parte da lontano di Natale Olga - Long Life Learning
Guardandomi indietro posso affermare di
essere la quarta generazione delle donne
della mia famiglia che siede dietro la catte-
dra..... la mia bis-nonna nell' ottocento su
un bel cocchio andava a far lezione nelle
case di pochi. Mia nonna ha prestato servi-
zio per ben quaranta anni nel Convitto Na-
zionale della sua città. La mia mamma era
un insegnante di sostegno proprio come
me. Ella, mi ha insegnato il vero significato
dell'integrazione. Oltre trent'anni fa era do-
cente nelle scuole speciali dove di integra-
zione se ne poteva fare ben poca....formate
come erano da soli "figli di un Dio minore",
come li chiamerebbe Haines. Allora mia
madre l'integrazione la attuava in casa, si ,
proprio così, in casa nostra, portandovi a
pranzo ora uno ora un altro disabile della
scuola speciale di Forte Antenne.
Ricordo con tenerezza come mio fratello piú
grande di me di cinque anni, allora studente
delle scuole medie, non fosse proprio a suo
agio nel condividere quel fugace pasto in
compagnia di quei ragazzi cosí bisognosi di
essere ascoltati e accettati anche da chi non
parlasse la loro stessa lingua. Io al contra-
rio ero felice ed emozionata ogni volta di
piú.
É passato tanto tempo e più consapevole mi
sono ritrovata giovanissima a poter attuare
inclusione, quella vera, quella promossa
dalla L.517; ma le difficoltà si mostrarono
sin da subito numerose. Come potevo facili-
tare inclusione se ero la prima a non riusci-
re ad integrarmi tra la cerchia delle inse-
gnanti curriculari?!?! Alla fine, regolarmen-
te, gli alunni disabili ed io finivamo nell'au-
letta di sostegno a raccontarci storie fanta-
stiche.....e cosí ho trascorso molto tempo,
fino a quando, entrata in ruolo, sono arriva-
ta nella scuola dove ora ricopro la carica di
Funzione Strumentale H.
La strada è stata lunga e dura ma posso di-
re finalmente di riuscire nell'intento cardine
di questa missione, detta come mi piace
chiamarla "l' integrazionabile".
Sono ormai tanti anni che condivido il sus-
seguirsi dei cicli con un team valido e alli-
neato come me, sugli obiettivi fondamentali
della L. 104/92. Ogni giorno è una nuova
scommessa, una partita da vincere con la
giusta consapevolezza che la vera integra-
zione viene pienamente realizzata solo se
condivisa dagli interi team, dai collegi, dai
consigli di interclasse, soli "noi e loro" ri-
marremmo sempre e solo una goccia nel
mare...
Olga Natale,
docente di sostegno IC Uruguay – Roma
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Pag.13
L'integrazione è di tutti, è un gioco di squadra! Questo slogan mi piace! di Caruso Giovanna - Dedicato a te
E' un invito a riflettere su un importante e
basilare obiettivo del nostro lavoro.
L'adulto se vuole riesce, ha tante strategie
da mettere in atto, deve solo decidere di
impegnarsi in questo.
Non è facile riuscire a mettere da parte tutti
quegli "influssi negativi" che arrivano da
"ogni parte", (famiglia, istituzione scuola,
ecc..).
Occorre decidere che il "nostro" lavoro fa
parte della nostra vita, del nostro tempo, e
come tale è importante, va vissuto al me-
glio.
E cosa c'è di meglio di sentirsi utili nel riu-
scire a raggiungere degli obiettivi?
L'insegnante cresce con l'alunno, impara da
lui, dai suoi bisogni prende le direttive per
tracciare un percorso formativo.
Ogni alunno è un alunno da integrare per-
ché ogni alunno è un individuo a sé.
L'esperienza ci insegna che anche l'alunno
che didatticamente riesce meglio ha qual-
che fragilità e questa va compresa e aiuta-
ta.
E' determinante entrare in empatia con l'a-
lunno, ecco perché è importante la continui-
tà e il tempo della scuola.
La scuola deve creare un tempo e uno spa-
zio di benessere per tutti gli alunni, soprat-
tutto per quelli più "fragili", e oggi tutti
hanno delle fragilità, delle carenze affettive,
sociali....
L'integrazione scolastica secondo me va in-
tesa come integrazione di tutti gli alunni in
un gruppo coeso, che si sostiene per un
senso di "appartenenza", e proprio in nome
di quella appartenenza, individualmente si
sente più forte.
L' adulto insegnante, guidato dalla propria
esperienza, deve captare i bisogni di ognu-
no, le difficoltà di ognuno e tirar fuori, a
volte istintivamente, nuove strategie affin-
ché nel gruppo integrato ognuno sente di
avere un ruolo importante e di dare un con-
tributo originale.
Nel momento di necessità, l'insegnante sa
diventare creativo.
Una delle chiavi sta nell'instaurare un vero
rapporto con ogni alunno, dunque cono-
scersi e stimarsi, riuscire ad entrare delica-
tamente nell'interiorità dell'alunno per com-
prendere i suoi veri bisogni, per aiutarlo ad
integrarsi. Una ricerca continua che dura
per tutta la vita professionale.
Giovanna Caruso,
docente, 115° CD "A. Mauri" - Roma
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Quando Alice bussò alle porte del cielo Oggi si muore per ... la fretta. di Crasso Antonella - Dedicato a te
C'è una storia che voglio raccontare. Una
storia accaduta qualche giorno fa, paradig-
ma di questo tempo nel quale tutto corre
veloce, nel quale tutto si consuma così,
condensando le esistenze in attimi che bru-
ciano rapidi e rapaci. Tutto è dilaniato dalla
fretta: il tempo, il cibo, le emozioni, il pen-
siero, l'amore. E soprattutto la vita.
La storia di Alice mi ha fatto troppo male, e
per fare scudo a questo dolore devo almeno
trarre delle riflessioni da tutto questo, e
condividerle.
Alice aveva solo 22 anni, una ragazza bella
e piena di vita, profondamente impegnata
nella sua parrocchia e in mille altre attività.
Era una educatrice. Si occupava delle gio-
vani coccinelle del suo gruppo scout con un
amore e un entusiasmo che erano anche
gratitudine per ciò che lei stessa aveva ri-
cevuto e voleva quindi ridonare; amata da
tutti, era un vulcano di idee alla ricerca di
giochi sempre nuovi per le "sue" bambine.
E giocando insegnava. A vivere, a stare in-
sieme. A rispettare gli altri ed il mondo, ad
essere felici, a godere di tanti piccoli prezio-
si momenti che l'esistenza ci offre.
Amava questo nostro mondo scombinato,
Alice, e cercava di rispettarlo, nel suo picco-
lo. Andava in bicicletta, come qualche gior-
no fa, una splendida mattina di marzo nella
quale però il suo tempo si è fermato ad un
semaforo. Rosso. Perché un altro essere
umano, fagocitato dagli impegni della gior-
nata, passando con il rosso ha spento la
sua luce. Chissà dove andava quella perso-
na, e quante volte, per il resto della sua
vita, ritornerà con un rimpianto inelu-
dibile a quei momenti, a come sarebbe
stato diverso se...
E allora mi viene da pensare che viviamo
così, immersi in un tempo tiranno e veloce
che inghiotte la capacità di soffermarsi a
pensare, sospesi sulla soglia di attimi che
possono decidere una vita.
Siamo derubati dal tempo, che ormai è più
un nemico che un alleato. Una volta si dice-
va che il tempo cura tutto: oggi il tempo e
la sua creatura più temibile, La Fretta, divo-
rano le nostre giornate, frastornandoci
nell'ansia di riuscire a fare tutto oggi, tutto
subito, tutto in fretta. La Fretta è la compa-
gna malevola e corrodente delle nostre
azioni, e troppo spesso non tiene il passo
con il pensiero cosciente e razionale, por-
tandoci a compiere gesti che, in frazioni in-
fitesimali di tempo, decidono destini.
Per La Fretta oggi si muore.
Anche questa oggi è una guerra, nella quale
tutti sono vittime, anche chi resta: gli ami-
ci, i familiari, i colpevoli. Guidare una auto-
mobile oggi in fondo equivale ad avere in
mano un'arma e si sa che se si maneggia
un'arma, quale che sia, non è ammesso di-
strarsi. Per questo è agghiacciante pensare
che questo può capitare a tutti, proprio
compiendo quei gesti ormai entrati nella
quotidianità tanto da risultare quasi auto-
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Pag.15
matici, come parlare al cellulare, truccarsi
in macchina o chinarsi per infilare un CD.
Gesti dei quali non si percepisce più la
potenziale pericolosità.
Noi siamo insegnanti, educatori. Mi piace-
rebbe tanto che ai nostri ragazzi, figli loro
malgrado senza colpa di una generazione
che consuma ogni cosa nella velocità e nella
fretta, insegnassimo anche a recuperare il
senso del fermarsi un attimo. A pensare. A
godere magari di quel raggio di sole che si
riflette sul primo verde di primavera. Ad as-
saporare un cibo distinguendo l'armonia dei
sapori, senza scaraventarlo giù per la gola,
dove tutto si mescola, e tutto si annulla.
Così "fast". Così assurdo. Che forse è ora di
lasciarsi alle spalle il tempo dello "Zang
tumb tumb" e della esaltazione della veloci-
tà di futurista memoria. L'elogio della Fret-
ta.
Alice nel suo diario aveva scritto il suo inno
d'amore per la vita: la sua scomparsa però
è solo una delle ormai tante notizie simili.
Appunto, non fa notizia. Per chi l'ha cono-
sciuta però sarà bello ricordarla con le im-
magini che ci hanno lasciato i genitori, i
quali, nei giorni disperati immediatamente
successivi alla sua scomparsa, sono andati
a cercare un po' di pace sulla cima di una
montagna che lei amava tanto: e qui, per
tutta la giornata, una farfalla gialla ha se-
guito ogni loro passo, misteriosamente,
perché non è ancora tempo di farfalle.
Così, in un giorno di marzo, Alice ha bussa-
to alla porta del cielo.
A noi resta in eredità lo sforzarci di esse-
re responsabili di ogni nostra azione, di
insegnare il rispetto delle regole, la consa-
pevolezza degli altri, la gioia di fermarsi un
attimo, fosse anche il tempo di un respiro.
Antonella Crasso,
docente di sostegno, SMS E.Majorana -
Roma
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Se noi mortali riuscissimo a capirlo! DISLESSIA: questo termine spesso sconosciuto di Poli Roberta - Orizzonte scuola
Quando si pronuncia la parola, a volte le
facce sono sbigottite: "Che roba è?" La rea-
zione di sorpresa non riguarda solo i ragaz-
zi, ma anche i colleghi, persone che inse-
gnano da anni magari proprio Lingue, Let-
tere, Matematica, eppure non riescono a
spiegarsi perché certi ragazzi "Proprio non
ce la fanno!"
Quando i ragazzi arrivano alle Scuole Supe-
riori, sono già grandi e spesso il "fenomeno
Dislessia" è stato archiviato.
C'è chi non sa nemmeno di esserlo, chi
semplicemente non si chiede più per-
ché non ce la fa a seguire il passo; l'e-
lemento comune che si ritrova, a volte, è
l'iperattività e la fuga dal compito che è in-
nanzi tutto una fuga da se stessi e dalle
proprie difficoltà.
C'è poi il passaggio dalle Medie alle Supe-
riori, caratterizzato dalla negazione del so-
stegno (tra l'altro ora non più previsto per i
DSA), che spesso viene vissuto dai ragazzi
come il "marchiare" in forma indelebile la
propria "diversità".
Credo che l'aspetto più importante sia il non
sentirsi capiti, una difficoltà funzionale che
passa per svogliatezza, indolenza o man-
canza di impegno. Eppure di impegno ce ne
vuole tanto, anzi tantissimo per fare poco
più della metà di quello che i compagni fan-
no in molto meno tempo e poi l'angoscia di
inseguire un obiettivo che non si raggiunge
mai fino in fondo, almeno rispetto a quello
che gli altri si aspettano da te.
Ma la cosa che fa più male, a volte, è lo
sguardo rassegnato dei genitori, la loro pe-
na nel vedere un figlio che non potrà arriva-
re a quello che loro avevano sognato per
lui.
Le lacrime negli occhi di una madre che si
vergogna delle carenze della figlia fanno
male all'insegnante ma soprattutto alla ra-
gazza che rispecchia così la sua inadegua-
tezza che dalla performance passa alla vita
stessa: si sente diversa, viaggia con una
marcia in meno e fa tantissima fatica a
proseguire non solo a scuola, ma soprat-
tutto nel viaggio della crescita.
Forse la legge 170/2010 Potrà avere qual-
che conseguenza positiva sulla considera-
zione in cui si tengono questi ragazzi ma
soprattutto potrebbe servire a dare voce ai
loro bisogni che PER LA PRIMA VOLTA DI-
VENTANO DIRITTI, nella speranza però che
l'ottusità di qualche/molti docenti possa
trasformarsi in apertura ma soprattutto nel-
la capacità di vedere con occhi (e richieste)
diverse questi ragazzi.
Quando mi capita di dover spiegare a chi è
a digiuno che cosa è la dislessia, ricorro
spesso ad una metafora: mentre noi "co-
muni mortali" viaggiamo sui binari con il
nostro "regionale", loro (i ragazzi con DSA)
sono come un treno ad alta velocità che
non riesce ad essere ingabbiato negli stessi
binari perché le potenzialità sono molto più
avanti: Leonardo Da Vinci, Picasso, Ein-
stein, Walt Disney solo per citare alcuni dei
"dislessici famosi".
E allora, se riusciamo a rovesciare l'imbuto,
potremmo vedere oltre e soprattutto po-
tremmo vedere la ricchezza che si nasconde
dietro un vestito troppo stretto che gli vor-
remmo cucire intorno ingabbiandoli in un
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involucro che non potrà mai contenere la
loro fervida fantasia.
Geni incompresi, se noi "mortali" riuscissi-
mo a capirlo, forse avremmo la possibilità
di coltivare dei gioielli che troppo spesso si
sentono pietre, zavorre, ma solo perché noi
li facciamo sentire tali.
Ringrazio R., C., G., E., V. e tutti gli altri
ragazzi che mi hanno fatto capire come si
vive da dislessici, nelle mie parole ci sono
tutti loro, le loro storie e soprattutto ci sono
i tanti/troppi docenti che non li hanno sapu-
ti apprezzare.
Roberta Poli,
docente I.I.S. "S. Aleramo" – Roma
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Lo scavo archeologico ...risorsa per integrare Un caso concreto per una integrazione possibile di Riccio Filomena - Organizzazione Scolastica
Dopo aver insegnato matematica per alcuni
anni, da oltre dieci anni sono docente di So-
stegno nella scuola secondaria. La ricerca di
strumenti che mi supportino nella realizza-
zione del desiderio di aiutare chi si trova in
situazioni di svantaggio, è stato il motivo
principale che mi ha spinto a lavorare in ta-
le ambito scolastico.
La mia scuola è un Istituto Tecnico Superio-
re ad Indirizzo Informatico. E' frequentato
da alunni con disabilità certificata, alunni
con problemi relazionali e molti altri che
conseguono ripetuti insuccessi e che inevi-
tabilmente abbandonano la scuola.
Durante i lavori di costruzione della scuola,
nel 1982, è stato ritrovato un insediamento
di età romana, in particolare i resti di una
Villa Rustica Romana della quale sono visi-
bili solo alcune parti.
Lo scavo venne eseguito dalla Soprinten-
denza Archeologica di Roma che riuscì a
salvare solo alcuni ambienti della Villa di-
strutta nel corso dello sbancamento per la
costruzione dell'edificio scolastico. Su tale
insediamento è stato realizzato e inserito
nel POF 2005/06, un progetto di valorizza-
zione della Villa considerata bene culturale
e strumento di conoscenza ed opportunità
di crescita sociale e culturale. Il progetto ha
visto la presenza attiva dell'Archeologa
all'interno della scuola ed è stato finanziato
con i fondi della Legge 440/97. Il progetto
ha come finalità la costruzione di un
ambiente di apprendimento favorevole
e l'eliminazione di tutti gli ostacoli noti,
sia ambientali che cognitivi, per le per-
sone svantaggiate interessate alle offerte
formative della scuola. Vuole essere un so-
stegno alle attività di integrazione scolastica
degli alunni diversamente abili attraverso
interventi mirati a rendere possibile la frui-
zione di tutte le opportunità didattiche e
formative che la scuola offre.
Il progetto, che prevede anche l'uso di
strumenti informatici, è rivolto a tutti gli al-
lievi ed al territorio, ma non può però esse-
re fruito pienamente dalle persone con diffi-
coltà a deambulare. Per ovviare a tale pro-
blematica è prevista la realizzazione di un
percorso accessibile ai non deambulanti.
La didattica inclusiva
Le classi coinvolte nel progetto sono sei
(biennio e triennio), per un totale di 18
alunni, di cui 6 con disabilità e gli altri in si-
tuazione di svantaggio o con gravi lacune di
base nelle diverse materie. Il lavoro si svol-
ge in gruppi disomogenei, prevalentemente
in Laboratorio di Tecnologia e Disegno o
nell'area archeologica. Ogni alunno disabile
lavora insieme a due compagni di classe.
Gli obiettivi principali del progetto sono:
• Favorire il processo di socializzazione ed
integrazione
• Aumentare e favorire la motivazione al la-
voro
• Valorizzare i progressi ottenuti dai ragazzi
• Potenziare la sfera della comunicazione
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attraverso l'uso di software specifici
• Far lavorare in gruppo
• Saper utilizzare autonomamente il com-
puter per la consultazione di programmi che
rafforzino le abilità di lettura, comprensione
e approfondimento
• Saper utilizzare software per l'acquisizio-
ne di abilità che consentano agli alunni un
inserimento nell'ambito scolastico
• Consentire l'accesso all'interno dell'area
archeologica a tutti gli alunni e cittadini del
territorio
Il progetto vede la partecipazione di alcuni
docenti di Italiano, Matematica, Inglese,
Sostegno, Tecnologia e Disegno che prepa-
rano schede di lavoro e percorsi didattici
personalizzati e di gruppo e dell'Archeologa
che ha svolto gli scavi della Villa. Esso pre-
vede due fasi: la creazione di un laboratorio
dove far lavorare insieme gli alunni per
creare un pannello descrittivo degli ambien-
ti della Villa e, successivamente, la realizza-
zione di un percorso accessibile ai disabili. Il
laboratorio si usa al mattino per approfon-
dimenti con l'alunno disabile o con piccoli
gruppi in cui è inserito l'alunno disabile; il
pomeriggio si usa per recuperi ed appro-
fondimenti anche individuali.
Con gli alunni del biennio (nell'ambito della
materia di Tecnologia e Disegno e con la
collaborazione dei docenti di italiano e di
inglese), si esegue la progettazione del per-
corso di visita del sito archeologico e del
materiale didattico illustrativo del sito e dei
suoi reperti. Gli alunni hanno realizzato un
pannello bilingue, descrittivo degli ambienti
della villa romana collocato nell'atrio della
scuola e dei disegni (alcuni con il CAD) dei
vari "cocci" trovati. Gli alunni, con l'aiuto
dell'Archeologa, hanno imparato a cataloga-
re e a riconoscere i reperti. Il lavoro svolto
dagli alunni, disabili e non, è stato valutato
dai docenti in sede di scrutinio finale.
All'ingresso dell'area archeologica si è rea-
lizzato un percorso dotato di rampa di ac-
cesso dalla quota stradale; esso è costruito
con materiali ecocompatibili e consente il
passaggio di persone con difficoltà a deam-
bulare. Tale attività valorizza le capacità
espressive e di relazione degli alunni disabi-
li. Lungo il percorso sono situati i pannelli
descrittivi con testi ed immagini realizzati
dagli alunni sia in italiano che in inglese.
I risultati raggiunti
I punti di forza del progetto:
• la prospettiva di un obiettivo ambizioso
come la realizzazione dei pannelli descrittivi
• la capacità di saper illustrare ai visitatori
la storia del sito
• il ruolo importante dell'Archeologa che ha
incuriosito e stimolato gli alunni
• la divisione del lavoro in piccoli gruppi
• le diversità delle attività, (catalogazione e
studio dei reperti, realizzazione dei disegni
dei reperti, ricerche su Internet, ascolto,
studio delle immagini, raccolta delle infor-
mazioni, traduzione in inglese del pannello
descrittivo, recupero/approfondimento di
matematica, ...) ha permesso a tutti di uti-
lizzare al meglio le proprie capacità ciò ha
fatto aumentare nei ragazzi la sicurezza
• miglioramento dell'autostima
• gli obiettivi continuamente esplicitati, così
come i criteri di valutazione
Considerazioni finali
Per tutti gli alunni, ma soprattutto per i ra-
gazzi disabili, i miglioramenti riguardano
principalmente il potenziamento dell'AREA
RELAZIONALE e dell'AREA dell'AUTONOMIA
PERSONALE e SOCIALE. Infatti, gli alunni
coinvolti, devono collaborare e lavorare con
i pari, con i docenti e con l'Archeologa.
Per la maggior parte degli alunni interessa-
ti, la partecipazione al progetto è stata vis-
suta come "premio", finalizzato al miglio-
ramento del rendimento scolastico. In altri
allievi, al contrario, il lavoro sulle strutture
archeologiche ha sviluppato un inaspettato
entusiasmo verso la scuola. Nel corso degli
ultimi quattro anni in alcuni studenti si è
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notato un interesse e una partecipazione
superiore alle aspettative.
In particolare un alunno disabile ha ricevuto
dall'archeologia un grande stimolo allo svi-
luppo della propria personalità e pertanto,
d'accordo con i docenti del Consiglio di
Classe, negli anni successivi l'alunno ha
partecipato al progetto della Villa. Inserito
nel POF, con la presenza costante durante
le ore del progetto, il ragazzo è diventato
un vero leader del gruppo. Egli ha appreso
la metodologia archeologica ed è stato in
grado di comunicarla agli altri studenti as-
segnando compiti e seguendo con attenzio-
ne il lavoro svolto. Ha fatto ricerche sulle
Ville romane e tradotto in inglese i risultati.
Il progetto ha migliorato il comportamento
e il rendimento scolastico di molti alunni,
ma ha anche entusiasmato e stimolato gli
alunni con difficoltà di apprendimento ai
quali l'archeologia è "servita" a sviluppare
un percorso di autonomia e integrazione.
di Filomena Riccio –
Docente di Sostegno nella scuola seconda-
ria di II grado
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Diversamente abili e diversamente inabili La mia esperienza con la disabilità nella scuola secondaria di Sabatini Roberto - Integrazione Scolastica
Ero solito apostrofare scherzosamente i
miei studenti, quando erano particolarmen-
te lenti a comprendere e scarsi a risponde-
re, come diversamente inabili per accostarli
simpaticamente ai loro compagni portatori
di handicap che da qualche anno in qua
erano stati definiti diversamente abili.
L'Istituto dove ho insegnato i miei ultimi 8
anni era ed è tuttora, da questo punto di
vista, una scuola di frontiera, famosa nella
zona per la sua capacità di accogliere una
popolazione di disabili. Il Dirigente Scolasti-
co dell'Istituto è una colonna portante
dell'integrazione e del lavoro con l'handi-
cap, una stakanovista dei GLH, una infati-
cabile promotrice di iniziative volte ad arric-
chire l'offerta formativa a loro destinata, a
volte persino sottovalutando le conseguen-
ze che queste iniziative avrebbero potuto
generare su quella ordinaria.
Ma nella Secondaria Superiore l'inseri-
mento dei diversamente abili presenta
delle criticità che non sono state anco-
ra ben affrontate nelle sedi istituzionali
deputate e che la generale riduzione degli
investimenti, coniugata con l'aumento del
numero di allievi per classe e del numero di
studenti H affidabili al singolo docente di
sostegno, rende la situazione ancora più
difficile.
Anche senza entrare nel merito delle pro-
blematiche del settore, la fascia di età inte-
ressata in queste scuole pone due questioni
ineludibili per l'identità dei disabili e per il
loro definitivo sviluppo: la sessualità e la
professionalità, ossia due aspetti della vita
adulta per i quali, a mio avviso, la scuola
non ha risorse e non trova soluzioni. Eppure
sono proprio questi due aspetti a scavare
un solco profondo tra la normalità e la di-
versità e si manifestano potentemente pro-
prio in questo contesto scolastico.
Ma detto questo vorrei ricordare alcuni
di questi allievi che hanno abitato la
mia esperienza professionale e umana.
Ho avuto una classe per l'intero quinquen-
nio ed è inutile dire quanto ci siamo affe-
zionati reciprocamente e in questa classe
c'era anche Valentina una ragazza che ave-
va oggettive difficoltà di apprendimento, sia
per una contenuta memoria a breve termi-
ne, sia per un non completo sviluppo delle
capacità di astrazione. Ne risultava una
sensibile lentezza nella comprensione e nel-
la rielaborazione, ma il massimo della fru-
strazione lei lo provava quando si sottopo-
neva alle varie prove, soprattutto alle inter-
rogazioni: a quel punto, sommando la sua
emotività all'evanescenza della traccia
mnestica, il suo rendimento dopo ore di
studio era modesto e doveva per forza pre-
parare singoli argomenti per non fare con-
fusione e rischiare comunque di dimenticar-
li.
Un lavoro enorme e costante per una pre-
stazione contenuta: era difficile non rilevare
la sua grande soddisfazione quando i voti
premiavano questo sforzo, ma altrettanto
difficile era non percepire la sensazione di
inferiorità che lei provava nell'inevitabile
confronto con la spavalderia o con l'abilità
di molte sue compagne. Lei stava speri-
mentando un PEI che non le preclude-
va la possibilità di conseguire un vero
titolo di studio: le erano state messe a di-
sposizione facilitazioni temporali e strumen-
tali per compensare i suoi disturbi, senza
tuttavia compromettere i contenuti che do-
veva conoscere e senza escludere il rag-
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giungimento di un livello di preparazione
simile a quello dei suoi compagni; si tratta-
va ovviamente di un'operazione volta al suo
bene e al suo futuro, ma era anche un lavo-
ro gravoso e incessante.
A questo si accompagnava una cortese se-
paratezza: ad una prima lettura sembrava
proprio che le sue compagne la consideras-
sero una pari e le volessero anche bene,
ma nei momenti significativi per
quell'età al suo banco era sola, ovvero
quasi sempre seduta accanto ad un'altra
compagna che aveva una sindrome decisa-
mente peggiore della sua.
Fortunatamente Valentina aveva una
straordinaria capacità di impegnarsi e lavo-
rava tutti i giorni tutto il giorno; inoltre
aveva un ottimo carattere e la sua compa-
gnia riusciva gradevole praticamente a tut-
ti: qualche compagna di classe si affezionò
davvero e le fu vicina proprio come amica;
un bene prezioso sempre, inestimabile a
quell'età.
Si iscrisse anche ad un corso per l'au-
tostima e l'autodifesa che proprio io
tenevo in quegli anni e frequentò assi-
duamente le lezioni. In quella circostanza
sperimentai di persona ( trovando puntuali
conferme in altri disabili che frequentarono
quel corso) che in queste persone anche lo
schema motorio subisce danni e disturbi e
esse non ne acquisiscono una completa pa-
dronanza. La lateralizzazione è precaria,
non memorizzano i movimenti complessi e
faticano ad imitarli, li eseguono con una
goffaggine caratteristica.
Secondo me lei conseguì degli effettivi be-
nefici da questi esercizi, ma, anche in que-
sto caso, molto lavoro, molto sforzo, per un
potenziamento di entità contenuta: mi sono
chiesto più volte e non solo nel suo caso,
quale strategia didattica potesse risultare
più efficace per trasmettere questa o quella
competenza comportamentale (in questo
caso abilità corporee, soprattutto cinetiche),
ma mentre nella stessa lezione vedevo al-
lievi apprendere bene e prontamente, con-
statavo che altri rimanevano estranei e im-
permeabili al movimento, alla postura, alla
logica stessa degli esercizi proposti ed
esemplificati; è in situazioni come queste
che si sperimenta quanto poco possa fare
l'insegnante, rispetto a quanto possa fare
l'allievo!
Valentina arrivò all'esame di maturità
e, sia pure in forma facilitata, lo superò
degnamente, ma finita la scuola, che un
certo grado di uguaglianza democratica rie-
sce a conferire ai suoi studenti, il resto del
mondo che sta oltre la soglia delle scuole e
il titolo di studio, torna ad essere classista e
selettivo, del tutto privo di pari opportunità:
Valentina, per quanto ne seppi, non si
iscrisse all'università, ma al professionale
serale e al momento non so con quale esito,
non so con quale futuro.
Come accennavo poc'anzi al corso di auto-
difesa parteciparono altri disabili non fisici,
tra l'altro due ragazzi autistici e un ipercine-
tico. Erano stati iscritti dalle famiglie certo
forse anche nella speranza che traessero
giovamento da un lavoro in palestra, ma
forse anche per tenerli semplicemente im-
pegnati in una giornata altrimenti troppo
lunga da passare in casa. Ricordo viva-
mente la mia impotenza di fronte alla
loro quasi totale incapacità di riprodur-
re le tecniche e gli spostamenti che
erano parte integrante del corso stes-
so. La rigidità del loro corpo, la confusione
del loro schema corporeo, la loro estraneità
al significato dei movimenti erano una sfida
superiore alle mie forze. Bastava lasciarli un
attimo per dedicarsi agli altri che subito si
fermavano, quasi immobili, in piedi, magari
l'uno di fronte all'altro, senza quasi vedersi
o "sentirsi".
Ricordo anche che i normali, i "diversamen-
te inabili" che frequentavano il corso, co-
minciarono a disertare, allontanati dalla loro
presenza e, alla fine, dovetti arrendermi: il
corso non andava bene per chi aveva disa-
bilità e io non avevo le competenze e i
mezzi (per esempio assistenti) per condurlo
con loro.
Desidero anche raccontare brevemente l'e-
sperienza con Matteo, un ragazzo enigmati-
co che presentava una diagnosi funzionale
assolutamente insolita (almeno per me):
era un ragazzo affetto dalla sindrome di
Down e, ad un tempo, un autistico; con lui
non si parlava e lui non parlava, scriveva, o
meglio faceva scrivere al computer un'assi-
stente che recepiva un quasi impercettibile
assenso (se non ricordo male una lieve
pressione sul suo braccio) a premere que-
sto o quel tasto della tastiera!
Matteo frequentava assiduamente e passa-
va interminabili ore seduto al suo banco in
un apparente stato di calma, ma anche di
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totale estraneità a quanto veniva detto, fat-
to e spiegato; la classe era affezionata alle
sue stranezze e sia pure senza apparenti
scambi di comunicazione aveva relazioni
con tutti. Il suo rendimento scolastico era
medio-alto, soprattutto in matematica! Fa-
ceva pensare a Dustin Hofmann di Rain
man! All'inizio (lo conobbi al quarto anno, in
una classe di trenta allievi di cui sette ripe-
tenti e altri due portatori di Handicap!) ebbi
qualche problema a sintonizzarmi sulle
sue prestazioni, c'era qualcosa che non
mi convinceva e anche lui aveva un PEI
che gli avrebbe consentito di prendere co-
munque un diploma autentico e questo mi
creava problemi di giustizia scolastica nei
confronti dei tanti scarsi, per motivi che non
prevedevano facilitazioni: se uno studente è
svogliato e va male, dopo averlo esortato
un paio di volte ed averlo scusato un altro
paio, ci sembra del tutto ovvio cominciare a
penalizzarlo e, se insiste ed è il caso, anche
a non promuoverlo; ma quando ci troviamo
di fronte all'handicap scatta la protezione
della legge, anche se, trattandosi di un
handicap di minore gravità, si può persona-
lizzare il percorso educativo e consentire al-
lo studente il perseguimento del titolo di
studio.
Ma ci sono una quantità di fattori che ren-
dono molti studenti refrattari ed estranei al
processo educativo (famiglie multiproble-
matiche, esperienze traumatiche, crisi di
identità, frequentazioni pericolose, gravi
scontri e incomprensioni tra docenti e allie-
vi, e così via) e quel che si fa in questi casi
è inconfrontabile con quanto viene posto in
opera nell'integrazione dell'handicap e que-
sta disparità mi ha sempre creato malumori
deontologici.
Matteo non poteva essere interrogato e uf-
ficialmente la mia materia (Scienze Sociali)
era orale! Poiché l'uso delle interrogazioni
scritte, dei test e dei compiti in classe era
prassi consuetudinaria, non era la fine del
mondo, ma tutti quelli che hanno insegnato
sanno bene che si tratta di due prestazioni
ben diverse.
Inoltre si trattava di una disciplina discorsi-
va, in cui c'è molto da argomentare, invece
Matteo, proprio per la tecnica comunicativa
impiegata era estremamente sintetico. Co-
munque quel poco che scriveva era concet-
tualmente denso e rispondente, acuto ed
essenziale e faceva a pugni con il suo
sguardo eternamente perso nel vuoto! Ri-
cordo che un giorno era rimasto solo in aula
perché la classe era andata a fare qualcosa
che lui non voleva fare e passammo un'o-
retta in perfetto silenzio, con lui che fissava
a tratti il nulla, a tratti mi guardava e intan-
to giocherellava col mio ginocchio.
Infine una breve testimonianza su Veronica,
studentessa timida e assolutamente priva di
fiducia in sé: la incontro al terzo anno del
suo percorso, presenta una diagnosi funzio-
nale di Disturbo specifico dell'Apprendimen-
to, ha un PEI vero e proprio ed è la stessa
famiglia, soprattutto il padre, che spinge af-
finché lei possa frequentare senza pretese,
perché non può farcela a fare di più. Per
qualche mese le cose marciano così, lei è
timida e non manifesta risultati apprezzabi-
li, il padre insiste a dire che lei è limitata e
una collega di matematica sostiene che, ef-
fettivamente, non possiede nemmeno la
nozione di numero.
Poi di colpo si apre uno spiraglio imprevisto
e un'altra collega, di filosofia, si accorge che
questa ragazza ha delle potenzialità ine-
spresse e che è tenuta a freno dai genitori e
comincia a battersi perché sia diversamente
considerata e che si riveda lo stesso PEI.
Con queste premesse si conclude il terzo
anno e all'inizio del quarto Veronica è in
ascesa verticale. Acquista un po' di fiducia
in sé, riesce, anche nella mia materia, a ef-
fettuare interrogazioni degne del nome,
esce, in parte, anche dal suo isolamento re-
lazionale in classe.
La collega di matematica insiste: non capi-
sce la nozione di numero, allora io e l'inse-
gnante di filosofia facciamo dei controlli ca-
serecci. Dal momento che suo padre ha un
negozio in cui anche lei da una mano le
chiedo: ma se viene uno che compra per 7
euro e ti paga con una banconota da 10
quanto gli devi dare di resto? Lei mi guarda
come se fossi scemo (e un po' mi ci sento)
e mi risponde: "ma tre euro, no!?" Forse
possiede solo il concetto di euro, ma sostie-
ne un paio di interrogazioni concordate in
cui non solo dimostra di sapere tutto, ma
risponde anche a domande provocatorie e
stabilisce nessi non espliciti, insomma un
successo, anche a prescindere dal contesto
della classe, che non è davvero da top ten.
Organizziamo una visita didattica presso
una scuola elementare per verificare sul
campo alcune nozioni di psicologia dello svi-
luppo e dobbiamo convincere il padre che è
in grado di servizi di mezzi pubblici e che
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comunque può andare con le compagne
della classe, essere autonoma nel quotidia-
no: un altro tabù della famiglia, certo a pro-
tezione della sua incolumità, ma anche una
pesante ipoteca sulla sua indipendenza e a
più di qualcuno di noi docenti viene il dub-
bio: ma non sarà stata la famiglia a impe-
dirle di sviluppare le sue potenzialità?
Insomma quando lascio la classe Veronica
sta transitando dalla prospettiva di un'atte-
stazione di frequenza ad un diploma vero e
proprio da una condizione di diversa abilità
ad una di abilità normale, come gli altri e
mi domando: quanti casi come questo si
saranno verificati?
Naturalmente ci sono stati e ci sono
tuttora casi invece in cui le cose sono
andate male, in cui la scuola è stata solo
un parcheggio, un luogo di contenimento;
casi difficili, peggio: impossibili! Situazioni
che hanno depresso il già precario profilo di
molte classi, che hanno scatenato dinami-
che distruttive e prive di esiti per tutti,
compresi i docenti, soprattutto quelli di so-
stegno e gli assistenti, in crisi di identità
professionale, stanchi e demoralizzati per-
ché il disagio mette a disagio, perché la sof-
ferenza genera sofferenza. Il problema è
aperto e si salda con il più generale males-
sere giovanile che non trova nella scuola
una medicina, ma un fattore di ulteriore
aggravamento: c'è molto lavoro da fare e le
previsioni a breve termine non sono delle
migliori!
Roberto Sabatini
è stato Docente di Scienze Sociali
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La forza propulsiva dell'Integrazione La bellezza di essere tutti diversamente uguali di Infantino Aminta Patrizia - Integrazione Scolastica
Il senso dell'integrazione sta nel salvaguar-
dare una compartecipazione alla vita scola-
stica e di classe assicurando il miglior svi-
luppo possibile delle competenze individua-
li.
Tutti i ragazzi, indipendentemente dalla loro
attitudini e dalle differenze individuali che li
contraddistinguono, vivono il bisogno di
sentirsi inclusi.
Sentirsi esclusi ci fa sentire diversi? Ma chi
è il diverso? Il diverso è lo straniero, il di-
slessico, l'omosessuale, il musulmano, l'au-
tistico, il buddista, l'immigrato, il diverso è
semplicemente l'altro, il diverso siamo noi.
Siamo noi l'altro da integrare, siamo tutti
da integrare.
La forza propulsiva dell'integrazione ri-
sveglia il senso di appartenenza al
mondo innalzando la forza vitale che ci
rende più energici e felici.
Accettare che siamo tutti diversamente
uguali è il senso dell'inclusione.
Riuscire ad integrare e includere tutti senza
escludere nessuno predispone ad accettare
parti di sé che non sempre accettiamo, parti
che a volte ci imbarazzano e che preferiamo
non vedere, nascondere, occultare. Sono
quelle parti che ci mettono in disarmonia
con noi e con chi, presentando lo stesso
aspetto caratteriale, ci ricorda come uno
specchio ciò che di noi non vorremmo vede-
re.
Accettare e integrare significa far pace con
sé stessi. E' con la finalità di comprendersi
e riconoscersi che dobbiamo condurre i ra-
gazzi verso una conoscenza metacognitiva
e meta emozionale.
La parola ai ragazzi: Oggi in classe è sta-
to letto un brano sulla diversità Abbiamo
provato a metterci nei panni del personag-
gio ed è stato particolarmente difficile. La
parola 'diverso' incute un senso di isola-
mento, di esclusione. Propongo delle rifles-
sioni e, come sempre, faccio sgombrare i
banchi da libri e quaderni e distribuisco un
foglio bianco ad ognuno.
Non c'è niente di più pericoloso che l'essere
rifiutati da parte dei nostri simili, anche
l'essere ignorati negli scambi via internet,
dove apparentemente non si rischia nulla,
finisce per comportare seri disturbi dell'au-
tostima attivando fantasmi di rifiuto...
Anche questa volta le proposte sono gra-
duali e lo step successivo arriva solo a con-
clusione del precedente.
L'unico divieto è fare riferimenti a persone.
Cerco di riportare l'attenzione solo su
aspetti fisici o caratteriali. Ribadisco che
non dobbiamo ne giudicarci e ne giudicare
quello che ascoltiamo e diciamo ma solo
prenderne atto per conoscerci meglio. Se
siamo sinceri ne usciremo più ricchi, perché
avremo ampliato la nostra conoscenza, al-
trimenti avremo fatto un'esercitazione di
scrittura!
Ormai sono appassionati a questo genere di
lavoro. Sono sé stessi e scrivono di getto,
liberamente e senza badare agli errori.
1. Ci sono momenti in cui mi sono sentito
diverso dagli altri. Mi sono sentito così
quando...
Integrazione Scolastica
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2. Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho
difficoltà ad accettare e che mi rendono
estraneo all'altro...
3. Tra gli aspetti che negli altri non mi piac-
ciono ce n'è qualcuno che mi ricorda qual-
che aspetto di me...
Ci sono momenti in cui mi sono sentito
diverso dagli altri. Mi sono sentito così
quando...
Anonimo: Mi sono sentito diverso quando
mi escludevano perché sono Rumeno e
all'inizio non potevo capire molto bene le
parole che dicevano. Parlavano in romanac-
cio, mi chiedevano il significato delle parole
e io non sapevo rispondere. Devo ammette-
re che non è stata una sensazione piacevole
quello che ho provato e che in certi casi ri-
provo.
Valerio: Io sinceramente non mi sono mai
sentito diverso dagli altri e non ho nemme-
no una parte di me che vorrei nascondere.
In ogni situazione mi sono sempre sentito a
mio agio senza sentirmi indesiderato o
escluso o diverso dagli altri, e spero che ciò
non mi succeda mai.
Caterina: Nei momenti di timidezza cercavo
di trattenermela e di buttarla fuori. Alle in-
terrogazioni mi agito e poi vado male. Alla
fine dell'interrogazione mi sento diversa
perché tutti mi guardano. Non mi piace sta-
re al centro dell'attenzione.
Ci sono alcuni aspetti negli altri che ho
difficoltà ad accettare e che mi rendono
estraneo all'altro...
Anonimo: Reagire con le mani, perché è
troppo inaccettabile. Non apprezzo quando
qualcuno fa il sapientino oppure quando
prende le cose con superficialità.
Valerio: A me stanno antipatiche le persone
che hanno queste varie caratteristiche: su-
perbia, che si vantano di se stessi, quelli
che parlano alle spalle, invidiosi nei con-
fronti di altri, chi si crede superiore, chi va
oltre il suo volere per sentirsi accettato, le
persone false
Caterina: Non mi piace quando una persona
vuole sapere per forza un tuo segreto. Non
mi piace quando do una risposta sbagliata e
gli altri ridono di me.
Tra gli aspetti che negli altri non mi
piacciono ce n'è qualcuno che mi ricor-
da qualche aspetto di me...
Anonimo: Quando mi dicevano 'rumeno' io
cercavo in tutti i modi di occultare l'eviden-
za dicevo che mio padre è italiano.
Valerio: Quando ero piccolo ero superbo di
me stesso, mi sentivo superiore a tutto e a
tutti.
Caterina: Mi ricordo quando ero bambina
che ridevo quando gli altri davano risposte
sbagliate. Ora non lo faccio più perché ho
capito che da fastidio. Rido solo se quella
persona lo fa apposta e dice una stupidag-
gine per far ridere...e allora si che mi diver-
to!
Dopo la riflessione scritta individuale nasce
un momento di confronto in cui, chi vuole,
si espone leggendo ciò che ha scritto. L'am-
biente accogliente favorisce il dialogo. I ra-
gazzi si soffermano molto sul fatto che tra
gli aspetti che non ci piacciono degli altri e i
nostri ci siano tante similitudini.
Aminta Patrizia Infantino,
Docente di Sostegno Scuola Superiore di
primo grado "SMS Pintor"e "Cecco Angiolie-
ri" – Roma
N.B. L'articolo è parte del testo in corso di
pubblicazione con Edizioni La Meridiana
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All'origine dell'idea di integrazione Un'esperienza di continuità da condividere di Ansuini Cristina - Organizzazione Scolastica
Sono nata e cresciuta in un quartiere popo-
lare di Roma, fatto di cortili, piccole piazze,
tanti punti di incontro, dove non ci si pone-
va affatto il problema dell'integrazione: il
buon senso, regole condivise non scritte,
facevano sì che ognuno trovasse un suo po-
sto preciso, in armonia con il resto, non
sottraendosi a scontri e rivalità, disagi e
sconfitte, ma con gli strumenti giusti, fatti
di affetti forti e duraturi, che consentivano
di superare le difficoltà e diventare forti, ma
non da soli.
Questa scorta grande di preziosità affettive,
questa brillante riserva di amore variegato,
mi hanno portato a vivere il mio stare con
gli altri in un modo speciale, senza riserve,
spesso senza schermi - con tutti i rischi che
ciò comporta... -, ma sempre alla ricerca di
modi giusti per incontrare, mescolare, met-
tere insieme in modo sano mondi diversi.
Le realtà in cui ci troviamo a lavorare a
scuola sono sempre più ricche, con sempre
maggiori possibilità di esplorare modalità
nuove di stare insieme, di imparare a fare e
a pensare, di utilizzare strumenti originali.
Allo stesso tempo però, sempre maggiore è
il disagio legato alla nostra professione, il
senso di inadeguatezza, la paura di perdere
terreno, la necessità di avere dei punti fer-
mi in mezzo a tanta confusione...
La tentazione di ripiegarsi in se stessi e vi-
versi gioie e dolori in dorata solitudine è
grande, ma anche un vero e proprio mirag-
gio tra spezzettamenti orari, supplenze,
progetti, commissioni....
Tanto vale quindi integrarsi, magari attra-
verso il confronto ed il lavoro comune!
Pochi giorni fa mi è stato comunicato, che
avrei dovuto organizzare, in concerto con le
colleghe della Scuola dell'Infanzia, un'attivi-
tà nell'ambito di un Progetto Continuità, at-
tività in cui i miei ragazzi di quinta, avreb-
bero dovuto guidare e accompagnare in una
nuova entusiasmante avventura i piccoletti
di cinque anni.
La cosa mi ha inizialmente spiazzato, mi
sono venuti in mente i tanti lavori in cui
siamo attualmente impegnati, gli incastri
orari, le uscite previste, il campo-
scuola...un'ondata di panico rischiava di
travolgermi!
Poi è tornata a galla la mia "scorta emoti-
va", il mio bagaglio di affetti, la mia infanzia
passata in cortile con noi grandi che prepa-
ravamo la campana per i più piccoli, le se-
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rate d'estate ad ascoltare le storie dai più
grandi, le merende condivise, le birichinate
organizzate con precisione chirurgica.
E allora mi sono chiesta: come possiamo
aiutare questi bambini ad integrarsi in
una situazione nuova che, in quanto tale,
attrae e spaventa? Nel modo più naturale,
cercando i punti di incontro, le piacevolez-
ze, le preferenze, dando anche ai "grandi"
la possibilità di essere tutor, di ripercorrere
quei sentieri già battuti che li hanno portati
così lontano, ad un passo dalla scuola me-
dia! (usando una vecchia e più comprensi-
bile nomenclatura...)
Un punto d'incontro privilegiato mi è
sembrato potessero essere le storie, da
ascoltare, mangiucchiare, mimare, scara-
bocchiare, raccontare... In concerto con le
colleghe della scuola dell'infanzia abbiamo
stabilito un certo numero dei incontri nei
quali esplorare una storia tutti insieme, at-
traverso tappe tranquille:
1. Presentazione dei bambini attraverso uno
scambio di cartelloni di ritratti.
2. Lettura animata (magari anche un po'
mimata) di una storia
3. Invenzione di rime divertenti con i per-
sonaggi e gli ambienti della storia
4. Illustrazione delle scene principali speri-
mentando il disegno condiviso
5. Ricomposizione della storia nelle giuste
sequenze disegnate
6. Merenda in allegria!
Quest'ultima tappa legata alla condivisione
"mangereccia" penso sia molto importante
perché non c'è niente di più naturale e bello
che mangiare divertendosi tutti insieme!
Ritengo che questa esperienza, semplice e
complessa allo stesso tempo, con tutte le
implicazioni che porta con sé, consenta tan-
te integrazioni: quella tra bambini di età di-
verse, tra docenti, tra esperienze, tra modi
di lavorare, tra linguaggi e questo arricchirà
un po' tutti, aggiungendo qualcosa al nostro
modo di essere.
Sono certa che questa esperienza porterà
dei buoni frutti sia per i ragazzi "in uscita"
che per i piccoli che stanno arrivando che
per noi docenti...finora il mio bagaglio affet-
tivo non mi ha mai tradito!
Cristina Ansuini,
Psicologa, Docente presso la scuola "2 otto-
bre 1870", I.C. Piazza Borgoncini Duca,
Roma
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Che cosa è normale? Niente.
Chi è normale? Nessuno Tutti uguali e tutti diversi di Agolino Simona Loretta - Organizzazione Scolastica
Qual è il confine tra normalità e anormalità?
Tra uguale e diverso? Caratteristiche che
spesso nella nostra società sono considera-
te importantissime per poterne far parte o
per esserne esclusi. Tutto ciò che sappiamo
su quello che viene considerato normale è
per il modo con cui siamo stati educati.
Da tempo la scuola ha cercato di coniugare
le singole diversità degli alunni e farne un
punto di forza per sottolineare il valore del-
le potenzialità di ciascuno.
Rimane tuttavia la necessità di definire "ciò
che è diverso": ma il diverso da noi, non è
forse uguale a noi intanto perché apparte-
niamo tutti alla stessa specie umana?
Le domande sulla "diversità" mi sembrano
necessarie per il genere umano (e io ne
faccio parte!) perché siamo persone sempre
alla ricerca di continue conferme.
Qual è dunque l'esigenza di delineare la li-
nea di confine tra normalità e diversità?
Esisterà davvero una linea di confine tra ciò
che viene considerato normale o diverso o
semplicemente vogliamo immaginarla noi
per dare un confine/contorno alla "nostra"
normalità?
Molte volte viviamo con coloro che sono
stati etichettati come diversamente abili
come se fossero inseriti in un calderone,
senza neanche degnarci di capire veramen-
te le loro reali differenze e le loro reali diffi-
coltà. Mi accorgo come la parola DISABILI-
TA' susciti problemi per tutti: all'interno
della categoria "diversamente abili" molte
persone debbono lottare strenuamente per
dimostrare di essere perfettamente uguali
agli abili e, d'altra parte, "gli abili" rimarca-
no che proprio questo tentativo di imitare
gli abili ... li conferma nella categoria disa-
bili. Poiché tra gli abili non si deve dimo-
strare di essere abili, il solo fatto di affer-
marlo da parte del disabile o della loro fa-
miglia, conferma e sottolinea la differenza.
In questo gioco a chi è abile/normale e chi
invece è diversamente abile/diverso ... ri-
schiamo di perderci tutti.
A contatto con i disabili e le loro famiglie ho
conosciuto il volto di una umanità ferita,
con una grande voglia di riscatto, ma non
annullata; provata ma non amareggiata;
sofferente ma non sconfitta. Ho conosciuto
persone che sanno trovare mille strade per
vivere in modo creativo la solidarietà, an-
che in totale assenza di risorse disponibili.
Vi confesso che molte volte mi sono sentita
inabile a vivere rispetto alla loro capacità di
riuscire a farlo in maniera così piena e pro-
fonda.
Uomini e donne "diversamente abili" che ci
insegnano l'arte di accogliere e affrontare la
vita con gesti semplici, pazienti, tolleranti
ed intraprendenti.
Anche la scuola deve saper progettare e
realizzare sempre meglio tutta una serie di
attività utili ad un bambino disabile affinché
il dopo -la vita futura fuori dal mondo della
Organizzazione Scolastica
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scuola- lo veda il più possibile autonomo in
ogni sua azione.
La mia esperienza personale d'insegnante
con alunno disabile in classe è stata per
quanto possibile molto buona. Nella mia
classe, sin dal primo anno abbiamo avuto
una alunna "diversa" e se il pensiero mi
torna indietro nel tempo, quanti progressi
abbiamo fatto grazie all'aiuto di tutti. Ma
quello su cui abbiamo puntato l'attenzione
con la collega è stato di renderla il più au-
tonoma possibile, da punto di vista fisico e
psicologico, aiutandola ad avere più stima
di se stessa.
Era una bambina molto poco abituata alla
sua autonomia personale, confortata dal
fatto che i genitori -e comprendiamo la loro
giusta paura- limitavano ogni semplice mo-
vimento, rendendola ancora più diversa dai
suoi coetanei.
Noi insegnanti e tutto il gruppo classe ab-
biamo lavorato nella stessa direzione, pur
stando sempre molto attenti alla sua parti-
colare situazione, è sempre stata al centro
di ogni attività proposta, anche semplifi-
candola, per darle modo di svolgerla con-
temporaneamente agli altri.
E adesso che siamo arrivati quasi al termine
del nostro percorso educativo posso sempli-
cemente affermare che questo piccolo spic-
chio di umanità conosciuta e affrontata per
cinque anni, ha reso tutti noi più capaci e
più attenti a costruire rapporti d'amore con
il prossimo, senza commiserazione, sorrisi
forzati o sguardi furtivi o frasi stereotipate
ma cercando di offrire sempre comprensio-
ne, affetto e opportunità intelligenti.
Questo tipo di rapporto non conosce
abili o non abili, riguarda l'uomo.
E' un difficile rapporto da creare, che si im-
para vivendo "la vita" in modo profondo e
consapevole, riguardo alle nostre poliedri-
che e differenti capacità che fanno così bel-
la e ricca l'umanità.
Simona Loretta Agolino,
giurista, docente I.C."2Ottobre
1870",piazza Borgoncini Duca Roma.
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Educazione psicomotoria a scuola Il contributo allo sviluppo di abilità psico-fisiche nei bambini di Lugaresi Adriana Nora - Organizzazione Scolastica
L'educazione psicomotoria è un'azione pe-
dagogica che contribuisce a soddisfare i bi-
sogni educativi primari degli alunni con dif-
ficoltà diverse, che vanno dalle disabilità, ai
disturbi specifici dell'apprendimento o a
problemi di linguaggio.
Non si tratta di una tecnica misteriosa ma
di una vera e propria azione educativa
che può favorire l'integrazione scola-
stica ed interpersonale del bambino, in
quanto punta a:
• Normalizzare
e migliorare il
comportamen-
to generale;
• Preparare
l'educazione di
abilità che sa-
ranno richieste
nell'apprendi-
mento;
• Favorire gli
apprendimenti
scolastici.
L'evoluzione
psicomotoria
del bambino
condiziona gli
apprendimenti
scolastici di
base (scrittu-
ra, lettura,
dettato). Per
fissare l'atten-
zione, il bam-
bino deve es-
sere capace di
attuare il con-
trollo del pro-
prio corpo ed
attivare un
PROCESSO DI
INIBIZIONE VOLONTARIA.
Per acquisire ed utilizzare i mezzi dell'e-
spressione grafica, non solo ha necessità di
vedere ed osservare, ma anche di ricordare
per poi trascrivere in un senso ben definito.
Si tratta sempre di abitudini motorie e psi-
comotorie e la mano che si prolunga in uno
strumento per scrivere (matita, penna), di-
viene il mezzo per attuare l'espressione
grafica.
La scrittura è quindi un'attività neuro-
psico-motoria dato che implica l'indipen-
denza del braccio in rapporto alla spalla,
Organizzazione Scolastica
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della mano in rapporto al braccio, e l'indi-
pendenza delle dita. Allo stesso tempo, è
un esercizio di prensione, di pressione, di
coordinazione.
Per quanto vi sia simultaneità, prima di im-
parare a leggere occorre imparare a scrive-
re. Una lettera, inizialmente, è un gesto
che, gradualmente, si riduce ad un segno,
associato alla capacità di articolare o ad un
suono. Nella preparazione alla scrittura non
si può prescindere dall'utilizzo concreto di
varie sensazioni, connettendo il senso mu-
scolare e del movimento all'udito e alla vi-
sta. Per questo si rivela utile insegnare a
scrivere prima nello spazio ambiente, con la
spalla ed il braccio, e poi con la mano nello
spazio foglio. La O, per esempio, è un
grande cerchio del braccio ma anche della
gamba. All'inizio tutto il corpo partecipa ad
un gesto ampio e rapido, poi meno rapido e
sempre meno ampio e, gradualmente,
sempre più preciso.
Tenendo presente questi principi, molto
giochi motori (per es. all'asilo) possono ri-
velarsi utilissimi per l'avvio alla lecto-
scrittura.
In sintesi, sia che esista un parallelismo fra
insufficienze motorie e psichiche, che vi
siano relazioni di causa/effetto fra le prime
o le seconde oppure che semplicemente il
comportamento motorio del bambino in-
fluenzi il suo comportamento generale, la
motricità resta strettamente collegata
con lo sviluppo cognitivo per tutto il
corso dell'infanzia.
Queste correlazioni portano a concludere
che non è possibile separare, per educarle,
le funzioni motoria, psicomotoria, percetti-
vo-motoria dalle funzioni puramente intel-
lettuali. L'educazione del bambino con disa-
bilità deve essere in primo luogo e soprat-
tutto un'educazione motoria e psicomotoria.
Ma quali sono gli aspetti da osservare in un
bambino al fine di realizzare un'educazione
psicomotoria nella scuola? Iniziamo proprio
dal movimento.
Il movimento: attività del cervello mol-
to sofisticata
I movimenti non sono un semplice mecca-
nicismo: essi sviluppano la logica della
mente, insegnano al bambino cosa sia il
prima e il dopo, i nessi di causa ed effetto,
permettono di percepire lo spazio e di im-
parare ad orientarsi in ambienti nuovi e più
complessi. Senza il movimento il bambino
non potrebbe scoprire il mondo né le leggi
che lo regolano, siano esse fisiche, naturali
o sociali. Le nuove abilità vanno esercitate,
sperimentate e riprovate affinché i movi-
menti diventino forti, fluidi e coordinati. Ec-
co perché i bambini che sono poco motivati
ad imparare o che non provano piacere nel-
le competizioni fisiche spesso sono quelli
che, per varie ragioni, non hanno sviluppato
un sufficiente desiderio di esercitare abilità
motorie. Un corretto sviluppo psicomotorio
gioca inoltre un ruolo fondamentale nell'in-
telligenza linguistica, attraverso l'imitazione
dei suoni degli adulti che avviene con speci-
fici movimenti delle labbra e del volto.
L'apprendimento motorio si realizza soprat-
tutto attraverso L'ESPLORAZIONE, la quale
produce nel bambino non solo la consape-
volezza di ciò che lo circonda ma gli per-
mette di sviluppare una capacità essenzia-
le: testare e valutare l'interazione tra il
proprio corpo e l'ambiente. Vi è quindi uno
stretto legame tra lo sviluppo delle compe-
tenze motorie e l'apprendimento percettivo-
intellettivo. Educare alla percezione può
quindi favorire l'espressione di abilità cogni-
tive.
Aspetti sensoriali dell'apprendimento
motorio
Quando un organo sensoriale (per es. occhi
o orecchie) viene stimolato da un evento
(un'immagine o un suono), l'organo recet-
tore trasmette le informazioni al cervello
dove l'informazione viene organizzata ed
utilizzata per favorire un piano di azione.
Questo processo viene definito RICEZIONE
SENSORIALE. Si parla invece di PERCEZIO-
NE SENSORIALE relativamente alla capacità
del cervello di dare un senso alle informa-
zioni trasmesse dall'organo recettore.
Per quanto problemi ricettivi e percettivi
possano coesistere, generalmente si ritiene
che i bambini con difficoltà percettive ab-
biano organi sensoriali normali ed una nor-
male trasmissione di informazioni sensoriali
al cervello. Tuttavia, per motivi non com-
presi, il cervello di un bambino con pro-
blemi percettivi ha difficoltà a dare un
senso alle informazioni che vengono
trasmesse.
Le difficoltà percettive possono manifestarsi
in vari ambiti. Ad esempio, un bambino con
disturbo percettivo visivo può avere difficol-
tà nel riconoscimento di forme o lettere, o
nel prestare attenzione ai dettagli di un
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immagine complessa o "affollata". Un bam-
bino con problemi percettivi uditivi spesso
ha difficoltà ad imparare i suoni corretti del
linguaggio. Inoltre, percezione visiva e tat-
tile giocano un ruolo importante nello svi-
luppo delle abilità motorie. Si comprende,
allora, come le varie problematiche possono
intersecarsi, con profonde ricadute sul pia-
no espressivo, motorio e cognitivo, del
bambino stesso.
Infine, ogni bambino è "bombardato" da in-
formazioni provenienti sia dall'ambiente
esterno che interno. Deve quindi imparare a
prestare attenzione a ciò che è utile nella
situazione in cui si trova e ad ignorare le in-
formazioni superflue. Tale processo, definito
modulazione sensoriale, permette di at-
tivare l'attenzione selettiva. I bambini con
difficoltà diverse presentano generalmente
anche problemi di modulazione sensoriale,
mostrando un livello di attivazione basso
(ipo-responsivi) o alto (iper-responsivi) o
fluttuante tra un livello basso e uno alto.
Ipo e iper-responsività
Alcuni BAMBINI IPO-RESPONSIVI necessi-
tano di una stimolazione molto intensa per
"farli partire". Questi bambini possono
sembrare stanchi, pigri o riluttanti all'idea
di partecipare a varie attività. Ci sono tut-
tavia bambini ipo-responsivi che possono
apparire irrequieti in quanto necessitano di
input sensoriali più alti della media per
mantenere costante l'attenzione. Cercano,
in modo afinalistico, delle opportunità per
ottenere quelle sensazioni di cui il loro si-
stema nervoso ha particolare bisogno, e lo
fanno toccando, muovendosi, manipolando
oggetti.
I BAMBINI IPER-RESPONSIVI tendono, ge-
neralmente, a essere molto attivi e hanno
un controllo degli impulsi deficitario. Il loro
sistema nervoso non è in grado di ignorare
gli stimoli in eccesso e può interpretarli co-
me minacciosi anche quando non lo sono.
Dal momento che tendono ad evitare espe-
rienze ritenute spiacevoli, questi bambini
mostrano generalmente facilità ad arrab-
biarsi, impulsività e difficoltà a relazionarsi
con i pari. Alcuni, tuttavia, imparano ad evi-
tare situazioni che potrebbero bombardare
il loro sistema nervoso con input sensoriali,
causando angoscia. Di conseguenza, posso-
no rifugiarsi in un atteggiamento passivo.
Tono muscolare
Un altro aspetto che merita particolare at-
tenzione nell'educazione psicomotoria è il
tono muscolare, ossia il livello di tensione di
un muscolo. Bambini con problemi cerebrali
gravi, quali la paralisi cerebrale, tendono ad
avere un tono muscolare o troppo elevato
(spasticità) o troppo basso (ipotonia o ato-
nia) o alternante tra i due poli. Quelli con
disturbi nello sviluppo della coordinazione
possono mostrare anomalie nel tono mu-
scolare, generalmente più limitate.
Un tono muscolare anomalo può avere una
serie di conseguenze, sia sulla capacità di
sviluppare un buon equilibrio che di muo-
versi da una posizione all'altra nonché sulla
capacità di sviluppare un senso di sicurezza
e controllo sul proprio corpo. Per es., i
bambini con ipotonia possono mostrare
un'eccessiva flessibilità delle articolazioni
(gomiti e articolazioni delle dita in particola-
re), per cui possono tenere la matita o altri
oggetti in mano utilizzando una posizione
inefficiente a applicando spesso una forza
eccessiva.
Motivazione esplorazione sperimen-
tazione
Bambini con differenze percettive o senso-
riali possono apparire sotto tono e passivi
quando devono affrontare circostanze che li
mettono alla prova e riguardo le quali si
percepiscono privi di risorse e capacità. Op-
pure possono apparire iperattivi e disorga-
nizzati quando cercano le sfide ma non rie-
scono ad attuare strategie adeguate né ad
imparare dalla sperimentazione.
Altro problema: bambini con problemi mo-
tori o con ritardo dello sviluppo possono es-
sere presi in giro o infastiditi dai compagni
e ciò rinforza la riluttanza a partecipare
ad attività che attirino l'attenzione sui
loro deficit.
D'altra parte, genitori ed insegnanti posso-
no involontariamente concentrarsi sui limiti
del bambino, causa la preoccupazione e
l'insistenza a far provare e riprovare. Il
bambino ne può ricavare l'impressione che
sia impossibile accontentare l'adulto, con
conseguente bassa autostima e scarsa tol-
leranza alle frustrazioni.
In tal senso, sarebbe utile identificare me-
todi appropriati, anche all'interno della
scuola, per motivare a sperimentare le abi-
lità motorie che sono necessarie. Per es., se
il bambino ha difficoltà a manipolare oggetti
molto piccoli, eviterà di giocare con il lego,
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ma potrebbe essere felice di decorare bi-
scotti con pezzettini di cioccolato. La bam-
bina che, all'uscita da scuola, si scontra con
la difficoltà di indossare il cappotto nel ver-
so giusto, con asole e bottoni allineati, po-
trebbe trovare lo stesso compito più moti-
vante in un gioco di travestimenti. Oppure il
bambino che stenta a scrivere potrebbe di-
vertirsi con la lista della spesa se gli viene
suggerito di aggiungere ad essa uno o due
dei suoi cibi preferiti.
E' importante fornire feedback positivi,
concentrandosi più sul comportamento
del bambino che sulla qualità della sua
performance. Non dire, quindi: "Ben fatto"
"Bravissimo!", se non corrisponde alla veri-
tà. Ma dire: "Ho visto che questa volta ci
hai messo molta attenzione" - "Mi piace
come sei riuscito a non farlo di corsa".
Sono feedback che rendono più alta la pro-
babilità che il bambino ci provi di nuovo.
In sintesi, gli apprendimenti scolastici sono
solo un aspetto dell'azione educativa in ge-
nerale. L'osservazione del bambino, come si
è visto, può permettere di identificare pro-
blematiche sul piano percettivo e/o motorio
che influiscono sul piano cognitivo, con ine-
vitabili ricadute sugli apprendimenti. Che
fare?
Un laboratorio di educazione psicomotoria
all'interno della scuola, come già attuato
all'interno di alcune scuole dell'infanzia e
primarie, potrebbe rivelarsi molto utile, so-
prattutto per i bambini disabili o con varie
difficoltà. Per mia esperienza personale,
avendo partecipato personalmente ad ini-
ziative del genere all'interno di alcune scuo-
le, posso dire che l'apporto educativo psi-
comotorio migliora il comportamento gene-
rale del bambino, può contribuire efficace-
mente a creare nuove condizioni per l'at-
tenzione, educa le capacità percettive,
struttura nel bambino abitudini motorie e
neuromotorie corrette e non può che favori-
re l'integrazione degli elementi che fanno
parte dell'educazione scolastica vera e pro-
pria.
Adriana Nora Lugaresi –
Psicologa – Psicoterapeuta
Bibliografia Formenti L. (a cura di) (2006), Psicomotricità, educazione e prevenzione. La progettazione in
ambito socio educativo, Ed. Erickson.
Kurtz, Luisa A. (2006), Disturbi della coordina-zione motoria - Come aiutare i bambini goffi a casa e a scuola, Ed. Erickson. Oliverio A. (2001), La mente, istruzioni per l'uso, Rizzoli. Picq L. - Vayer P. (2002), Educazione psicomoto-
ria e ritardo mentale, Armando Editore.
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L'INVALSI Un edificio dalle fondamenta traballanti di Maranzana Enrico - Organizzazione Scolastica
Il ciclone "valutazione" si è abbattuto sulla
scuola, originato da raccomandazioni euro-
pee. Il fatto che l'INVALSI radichi su una
sollecitazione esterna, formulata da un ente
che opera per ottimizzare l'impiego delle ri-
sorse, è di notevole significatività: la scuola
è vista come una entità impenetrabile, i cui
processi interni sono privi di significato per
cui il controllo sarà da esercitare sui risulta-
ti che l'istituzione produce. La lettura
dell'articolo della legge che ha costituito l'i-
stituto romano offre molti elementi a soste-
gno di questa tesi.
Non è messa in discussione l'importanza di
un organismo di vigilanza che, in parallelo
con l'ordinaria gestione, segnali le devianze
dall'ordinato, coordinato, strutturato, fina-
lizzato itinerario verso la meta, per miglio-
rarne la percorribilità.
Miglioramento e armonizzazione della
qualità del sistema di istruzione e di
formazione
La finalità dell'istituto è limitata all'istru-
zione e alla formazione: gli aspetti educativi
non sono di pertinenza dell'Invalsi. L'accer-
tamento del grado di avanzamento sul per-
corso dell'apprendimento è affidato ai do-
centi e alle commissioni dell'esame di Stato.
Esclusione significativa, in quanto la titola-
zione dell'articolo della legge è "Valutazione
degli apprendimenti e della qualità del si-
stema educativo di istruzione e di formazio-
ne":
o L'ordinamento vigente scandisce i proces-
si scolastici a partire dagli aspetti formativi,
a cui seguono quelli educativi, di coordina-
mento e, finalmente, quelli dell'insegna-
mento. La "programmazione dell'azione
educativa" è il momento più significativo
della progettazione d'istituto, in quanto lo
studente e le sue qualità sono state poste a
cardine del servizio. L'aver escluso tale fun-
zione dal campo di lavoro Invalsi consegna
all'istituto uno scenario frantumato e non
unitario, inibendo l'assunzione di un'ottica
sistemica. Una limitazione che rappresenta
un impedimento al lavoro dell'istituto cen-
trale: un'ampia gamma d'informazioni, es-
senziali per lo svolgimento del suo compito,
è inaccessibile.
I traguardi educativi sono l'aspetto qualifi-
cante la vita e l'operatività delle singole
scuole: la loro enunciazione, seguita dalla
descrizione delle progressioni comporta-
mentali che gli studenti sono chiamati ad
esibire, è la piattaforma su cui si generano
le ipotesi d'intervento.
Organizzazione Scolastica
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Pag.36
o L'armonizzazione delle attività del sistema
scolastico implica la valutazione della pro-
gettazione organizzativa d'istituto. La sua
analisi fornisce le informazioni necessarie
per diagnosticare l'origine d'eventuali dis-
sonanze. La "verifica della qualità comples-
siva dell'offerta formativa" è una delega
troppo generica per indurre l'Invalsi a farsi
carico di una problematica tanto spinosa.
Lo scritto "Coraggio! Organizziamo le scuo-
le", visibile in rete, descrive il cambiamento
che il passaggio dall'idea di scuola al con-
cetto di "sistema educativo di formazione e
istruzione" avrebbe dovuto innescare:
aspetto essenziale per la valutazione della
qualità del servizio.
Effettua verifiche periodiche e sistema-
tiche sulle conoscenze e abilità degli
studenti
L'art. 2 della legge 53/2003 stabilisce l'o-
rientamento del sistema: "raggiungere ele-
vati livelli culturali e sviluppare le capacità e
le competenze, attraverso conoscenze e
abilità, generali e specifiche".
o Capacità e competenze sono i fini dell'isti-
tuzione; le conoscenze e le abilità sono gli
strumenti per il loro conseguimento. Quale
possibilità di successo ha un ente che, per
valutare la qualità del servizio, osserva gli
strumenti e ne trascura le finalità?
o Le capacità sono il fondamento della pro-
gettualità educativa, l'aspetto rilevante del
lavoro scolastico. La loro assenza nell'og-
getto del mandato Invalsi depriva il termine
"competenza" del suo significato vitale.
o Competenza è un termine non primitivo:
le sue componenti elementari sono le capa-
cità e le conoscenze o, in alternativa, le abi-
lità e le conoscenze.
La prima associazione è quella indicata dal
legislatore che ha espresso la finalità del
servizio in termini di capacità:
La natura delle competenze certificate alla
fine obbligo scolastico confermano l'anoma-
lia dell'oggetto del mandato affidato all'In-
valsi: i comportamenti dei giovani sono
classificati a partire dalla mission della
scuola.
Le capacità
o Leggere comprendere e interpretare testi
scritti di vario tipo;
o Produrre testi di vario tipo in relazione ai
differenti scopi comunicativi;
o Utilizzare e produrre testi multimediali;
o Individuare le strategie appropriate per la
soluzione dei problemi;
o Osservare, descrivere ed analizzare fe-
nomeni appartenenti alla realtà naturale e
artificiale e riconoscere nelle varie forme i
concetti di sistema e di complessità sono
state associate a un'area disciplinare al fine
di esplicitare le competenze generali og-
getto della valutazione.
In altri casi il documento prevede compe-
tenze specifiche: il campo di applicazione
della capacità è ben delineato come per
o Confrontare ed analizzare figure geome-
triche, individuando invarianti e relazioni;
o Collocare l'esperienza personale in un si-
stema di regole fondato sul reciproco rico-
noscimento dei diritti garantiti dalla Costitu-
zione, a tutela della persona, della colletti-
vità e dell'ambiente.
Le capacità, enucleate dalle competenze,
sono il faro di tutti gli insegnamenti: un al-
tro fronte per il monitoraggio del sistema.
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Pag.37
Gli aspetti
costitutivi
dell'Invalsi
coprono solo
una piccola
parte della
questione qui
affrontata: la
sollecitazione
europea ha
condizionato
l'inquadra-
mento del
problema
"valutazione
della qualità
del servizio"
e ha condotto a una sua definizione inade-
guata. Il breve periodo è l'ambito entro cui
sono stati identificati i risultati attesi. Si
tratta di una semplificazione che non fa i
conti con le dinamiche scolastiche, i cui esiti
sono visibili solo nel lungo andare: la bus-
sola del sistema educativo punta alle capa-
cità!
L'attività educativa è analoga a quella dei
vivaisti che allevano piante d'alto fusto: sol-
tanto a distanza d'anni si può constatare e
apprezzare l'esito del lavoro fatto. Nel bre-
ve periodo il controllo focalizzerà esclusi-
vamente la normalità dell'evoluzione, le
pratiche d'allevamento, l'esposizione, i fat-
tori accidentali, vale a dire aspetti procedu-
rali e ambientali.
Si apre così uno scenario molto diverso da
quello a cui la legge ha fatto riferimento
quando ha costituito l'Invalsi. Tale visione,
associata alle problematiche generate dal
vorticoso cambiamento del mondo contem-
poraneo, rivelano le traiettorie rispetto a cui
l'istituto, di concerto con gli organi ispettivi,
dovrebbe concepire i suoi interventi.
L'importanza di un organismo che accom-
pagni, sorregga e stimoli le singole scuole
nella gestione del cambiamento appare in
tutta evidenza se si considerano le scarne e
inefficaci risposte che sono state elaborate
per dar attuazione ai nuovi riferimenti e alle
nuove modalità operative che la legge ha
introdotto. Le scuole non hanno mostrato la
forza di rinunciare alla sicurezza che l'inse-
gnamento tradizionale dava loro, non hanno
superato l'individualismo che impedisce l'i-
dentificazione e il perseguimento di obiettivi
comuni, non hanno compreso che la proget-
tualità è un potente agente di valorizzazio-
ne della professionalità docente.
Queste tematiche sono state l'oggetto degli
scritti: "La scuola del XXI° secolo" - "La
scuola rivedrà le stelle?", visibili in rete.
Solo la dilatazione del campo temporale
d'osservazione può consentire l'acquisizione
delle informazioni necessarie al "migliora-
mento e all'armonizzazione della qualità del
servizio" quali, ad esempio: cosa fanno gli
studenti dopo cinque/dieci/quindici anni
dalla fine dei loro studi? Quali sono state le
situazioni che hanno contribuito alla loro
crescita personale?
Enrico Maranzana
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Un'esperienza da vendere... e da acquistare Integrazione è uguale a unione di Nucera Roberto - Long Life Learning
C'è o non c'è la crisi? Non si parla di altro in
questi ultimi mesi e coloro che ci governa-
no, cercano attraverso i quotidiani e i media
di declinare le problematiche di un paese, di
una società che disorientata circumnaviga
in mezzo al mare della gente passando so-
pra la loro continua richiesta di aiuto o
semplicemente quella di avere una pista da
seguire per affrontare una quotidianità
sempre più gravosa.
Eccoli lì, i soliti, a comandare la nave e a
gridare dall'alto cosa bisogna fare per risol-
vere le cose, e gridano, urlano, tutti insie-
me senza rendersi conto, intanto, che quel
mezzo pesante che li sostiene e li protegge,
investe e travolge persone. Persone uguali
a loro in termini di umanità, figli dello stes-
so cielo, persone diverse da loro per "so-
stanza" ed esperienza di vita.
È un po' quello che succede in molti am-
bienti, nelle famiglie, nelle scuole, tra amici,
ovunque vi sia presenza di vita.
L'uomo ha preso su di sé, mediamente "ob-
bligato", quella responsabilità che dai tempi
gli piombò addosso: la sopravvivenza della
specie. E ci riuscì... si riprodusse! E in effet-
ti è quello che stanno continuando a fare gli
uomini e donne di oggi, stanno contribuen-
do alla conservazione della "loro" specie,
spesso fatta di superficialità e inconsisten-
za, che ha poco da raccontare e tanto da
discutere. E poi ci sono gli altri, i diversi,
che dall'altra parte fanno leva su valori e
talenti dimenticati, su quelli non riconosciu-
ti, spesso infossati che tentano di opporsi
ad un'arbitraria e continua presa di potere.
Chiunque si distingue da una massa, per
qualsiasi tipologia, caratteriale, fisica, intel-
lettuale, modaiola è sempre preso di mira,
quasi all'unisono, perché rappresenta il sas-
solino nella scarpa, il pisello sotto la pila di
materassi della principessa, rompe uno
pseudo-equilibrio già di per sé precario. La
tendenza è sottolineare il "disease"
(dall'inglese disuso in senso di malattia),
cioè quello che non va e andrebbe elimina-
to, insolito, proprio quello che facevano i
comandanti della nave o lo stile dell'uomo-
custode attuale i quali, invece di vedere ol-
tre l'apparenza, di comprenderne il conte-
nuto, di mettersi in ascolto, i primi parlava-
no dei problemi senza cercare la soluzione e
i secondi procedevano ad una selezione, più
che naturale, ad - loro - personam.
Ma i diversi, gli altri, la gente, che crede
ancora nella metamorfosi di una collettività
"degente" pur essendo una minoranza (è
quello che vorrebbero farci credere) sembra
essere messa da parte. Noi, però, non dob-
biamo nemmeno essere sempre arrendevoli
e indulgenti ad una situazione che sappia-
mo malsana, piuttosto agguerriti e affronta-
re non la profetica fine di un mondo fisico
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Pag.39
dove tutti potremmo fare veramente poco,
bensì impedire il disfacimento di un
mondo valoriale e virtuoso attraverso
armi come la conoscenza, la competen-
za, la volontà, la determinazione, la
condivisione e il bene comune.
Ma chi sono i custodi delle "armi"?
Facendo una riflessione sulla mia esperien-
za scolastica, che seppur breve per una
questione meramente anagrafica, ma credo
anche molto significativa grazie a tutte le
persone incontrate sul mio cammino, alcuni
mesi fa ho avuto modo di frequentare e co-
noscere persone, professioniste, le quali,
attraverso la condivisione e il confronto,
hanno sempre cercato di mettersi in
g...uerra (passatemi il termine). Parlo del
corso ICARE della rete del IV e V muni-
cipio di Roma, dei validi rappresentanti
che ne curavano il percorso, di tutti coloro
che ne hanno fatto parte, con i quali si è
tentato di mettere insieme, di integrare,
soggetti diversi e opinioni diverse e trovare
soluzioni comuni a problematiche, magari
anche diverse, ma facenti parte dello stesso
nucleo: il cambiamento... "in-naturale", do-
ve per quest'ultimo intendo una discrepan-
za tra crescita (in senso di maturazione
"controllata", normale, fisiologica) dell'indi-
viduo e velocità di stimoli ricevuti e richie-
ste (che sfuggono al controllo, non adeguati
a, forzati).
La sfida è continua e richiede impegno
e dedizione, determinazione e rottura
di equilibri, a volte prese di posizioni,
dovute o meno, magari non sostenute, ma
certamente condivisibili.
È quello che in questi ultimi mesi ho speri-
mentato nell'eterogeneità del gruppo di do-
centi dei quali facevo parte e con i quali, in-
sieme, abbiamo provato a rispondere alle
richieste, più o meno espresse, presentate
nel nostro quotidiano, a quelle ambigue
proposte fra le righe, altre derivanti da
qualche disappunto delle persone che ci
stavano intorno, fino ad arrivare a quelle
silenti che non si osavano dire.
La bellezza di trovarsi intorno ad un tavolo,
pur non essendo rotondo, non stava nella
pretesa di trovare ad ogni costo la soluzione
pronta e servita, bensì nella voglia di guar-
dare e guardarsi con gli occhi della realtà,
dalla più triste e infelice a quella possibile
ed efficace, e dire e dirsi cosa si poteva fare
e si può fare, come si poteva e si può agire,
quanto si poteva e si deve dare.
La guerra di cui parlo è quella della divi-
sione, della separazione di accordi, che
solo attraverso una integrazione possi-
bile e possibilista di persone adulte può
essere affrontata. Parlo di soggetti adulti
in termini di dare risposte, genitori, inse-
gnanti, politici e altri che si assumono le re-
sponsabilità proprie del loro ruolo nella so-
cietà, che non delegano sempre e comun-
que e non contribuiscono al "non regolare"
accrescimento della persona.
Quello a cui si deve tendere è l'integrazione
di buone prassi, che derivano da soggetti
diversi con punti di vista diversi, problema-
tiche diverse, ma che guardano, tutti as-
sieme, La LUNA ANZICHE' IL DITO. È l'o-
rientamento che deve essere comune: l'o-
rizzonte della crescita sana di un individuo
che è diverso, ma è pari in dignità e occu-
pazione dello spazio terrestre, è pari in op-
portunità, è che deve essere innanzitutto
(accettato e) integrato in un contesto e
progetto di vita.
L'esperienza vissuta con i miei colleghi è
stata proprio quella dell'integrazione, da
uno a tanti, rappresentanti delle scuole del-
la rete e che si potrebbe allargare a mac-
chia d'olio; una rete che non vuole mie-
tere "vittime" di chi passa da quelle
parti, come una potenziale preda nella
tela del ragno ma, per il principio impre-
scindibile della libertà personale, fatta di
persone che decidono di farne parte con vo-
lontà, con disponibilità, a braccia aperte e
pronte ad accogliere.
L'integrazione che intendo io è l'unione
continua di persone "volenterose", che
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affrontano insieme le intemperie di un si-
stema e gioiscono del bel tempo, che si
contorcono, si smuovono, ma rimangono
saldi l'uno con l'altro, che a volte fanno la
ola e altre proteggono e soccorrono quello
che opportunamente reputano giusto.
L'esperienza dell'integrazione, è un'espe-
rienza da fare, da acquistare, provare e poi
rivenderla, senza scopo di lucro, ai migliori
acquirenti, quelli che spesso non riescono a
farsi sentire, quelli che a volte non hanno le
risorse necessarie, quelli che non pagano
per un servizio che dovrebbe essere loro
sempre riconosciuto e che le persone capaci
(e fortunate) dovrebbero e devono loro
concedere.
Roberto Nucera,
docente di sostegno scuola secondaria I
grado, IC Carlo Levi – Roma
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Michela e gli altri Se integrazione non fa rima con educazione di Paci Lucia Giovanna - Orizzonte scuola
Conosco Michela da diversi anni ormai, abi-
tiamo nello stesso quartiere e frequentiamo
la stessa chiesa, lei è "amica" dei miei figli,
è cresciuta con loro.
Le virgolette stanno a dire che Michela è un
po' diversa. Io non so cosa abbia esatta-
mente, non l'ho mai chiesto ai suoi genitori,
per pudore forse, ma anche perché non era
necessario saperlo, non avrebbe aggiunto
niente né a Michela né a me, né al rapporto
instaurabile con lei. Io so solo ciò che vedo:
una sedia a rotelle super, alla moda, colora-
ta e "trendy", come direbbero le mie figlie,
una ragazza ormai diciottenne, sempre ve-
stita con gusto, colori vivaci e abbinati, fiori
e mollettine varie tra i capelli ricci corti, che
ti guarda con i suoi occhioni scuri brillanti e
la testa un po' inclinata, in difficoltà a
esprimersi in un dialogo botta e risposta,
ma non a comunicare i suoi sentimenti. Mi-
chela ti sa dire che è contenta, che sta bene
o che è infastidita o arrabbiata, che ti rico-
nosce e ti accoglie; Michela canta, forse
senza coscienza di ciò che dice, ma sente la
musica e ripete le parole. Michela sa perfet-
tamente cosa vuole e trova il modo per far-
telo sapere perché, questa cosa la so su
tutte, è una ragazzina amata, con tanta
sapienza e gioia, dalla sua meravigliosa
famiglia, che la vive in tutta la sua pe-
culiarità con un amore benigno, pa-
ziente e smisurato.
Sono andata ad una sua festa di complean-
no con i miei figli e mi sono commossa. La
famiglia era riunita intorno a lei, compresi i
nonni, ma quanti amici, quanti ragazzi si
sono stretti a festeggiare lei, protagonista
comunque, anche se ogni tanto ritirata in
camera con la sua assistente a riposare!
Quanto calore, quanta accoglienza, quanta
serenità, quanta inclusione, con quale le-
zione di vita siamo tornati a casa!
Da due anni Michela è in classe di mia figlia
in un liceo psicopedagogico, dove forte è la
presenza di ragazzi con diversità. In realtà,
la sua presenza in classe è più nominale
che reale, perché la maggior parte della
mattina, lei la passa fuori, in un'aula dove
si radunano tutti quelli che vivono una con-
dizione simile alla sua, se non peggiore. Mi
chiedo allora quale sia l'utilità di averla in-
serita in una scuola normale, in una classe
normale, se poi si ritrova a passare il suo
tempo tra i diversi come lei. Sarebbe que-
sta l'integrazione? Solo perché è presen-
te in una lista di classe e la professoressa
che ha sempre la prima ora la segna assen-
te, arrabbiata come fa con le altre, perché
manca, non avendo capito che ha il per-
messo di entrata alle nove? Questo la rende
integrata al gruppo classe? Non lo so e non
capisco!
Certo Michela non potrebbe studiare psico-
logia o latino, ma non è per quello che è
stata mandata in quella scuola. Nessuno si
aspetta che lei prenda un diploma che certi-
fichi il suo grado di preparazione o di matu-
rità, ma credo che possa trovare grande
stimolo e giovamento nel gruppo di ragazze
che la circondano, così come avviene nella
sua famiglia, nel gruppo della chiesa, tra i
suoi amici e credo ancora di più che le
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compagne di scuola potrebbero impa-
rare tantissimo dal continuo rapportar-
si con lei, soprattutto se guidate dai
professori, con voglia, generosità,
apertura, umiltà.
E' difficile, immagino, inserire attivamente
una ragazza così particolare in un contesto
a lei lontano, soprattutto se non si è molto
capaci nemmeno di gestire il contesto co-
siddetto normale, ma si può fare. Credo,
però, che si debba avere fede nel proprio
lavoro, amore verso i ragazzi, tutti, vo-
glia di spendersi, scomodarsi, mettersi
in gioco, ma spesso a questa sfida si ri-
nuncia in partenza ... proprio quando ci si
riempie la bocca con la parola integrazio-
ne, che, però, non fa rima con educa-
zione!
Lucia Paci, genitore
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Resoconto di una bella esperienza con un gruppo di ricerca-azione Il Laboratorio di Sviluppo Professionale dei Docenti che la-vorano sui DSA nella scuola primaria di D'Agosta Luciana - Orizzonte scuola
"Il termine giapponese "educazione" può
essere scritto anche con gli ideogrammi
"crescere insieme".
I bambini sono una meraviglia della natura
e le loro vite risplendono radiose.
La loro vivacità è fonte di energia per gli
adulti.
Dove risuonano le voci allegre dei bambini,
là scaturiscono speranza, pace e gioia di vi-
vere".
(tratto da: "La mappa della felicità" di Dai-
saku Ikeda, filosofo buddista, ed. Esperia
2011)
I temi trattati in questo laboratorio nascono
dalla rilevazione dell'aumento - in questi ul-
timi anni - delle segnalazioni di bambini con
problemi nell'acquisizione della lettura e
della scrittura, e della difficoltà che si in-
contra nel fare una corretta diagnosi di
disturbo specifico piuttosto che di ri-
tardo, rallentamento o difficoltà di ap-
prendimento. La facilità con cui talvolta si
definisce "dislessico" un bambino o, al con-
trario, non lo si riconosce come tale, porta
a confusioni nelle famiglie e negli insegnanti
e, a volte, ad interventi sbagliati.
In particolare, si è voluto dare risposta ad
alcuni interrogativi che spesso contribuisco-
no ad aumentare la confusione piuttosto
che facilitare la comunicazione e la collabo-
razione tra le persone che si prendono cura
dei bambini:
Quali sono i Disturbi Specifici di Appren-
dimento?
Quali sono i "segnali" che ci devono met-
tere in allarme?
Quali comportamenti dell'insegnante pos-
sono aiutare un bambino con DSA?
Quali richieste sono assolutamente da
evitare?
Cosa si può "inserire" nel quotidiano lavo-
ro in classe che possa aiutare un bambino
con DSA?
È possibile già dalla scuola materna indi-
viduare bambini "a rischio" e, soprattutto,
ci sono giochi che possono aiutare/facilitare
i successivi apprendimenti della lettura e
della scrittura?
C'è un metodo d'insegnamento della let-
to-scrittura da preferire rispetto ad altri?
Si è voluto poi, sollecitare curiosità e in-
teresse verso altre domande che, a vol-
te, ci si sente "timidi" a fare:
Ma "chi è" un DSA? cosa prova, come
passa la giornata, a cosa pensa, con chi
gioca...
Cosa fa lo "specialista" col DSA, chiuso
nel suo studio professionale?
Orizzonte scuola
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Pag.44
Gli insegnanti possono collaborare col lo-
gopedista, portare "dentro" la scuola moda-
lità di lavoro, attività specifiche, utili per
tutti e non solo per i DSA?
Di cosa ha bisogno un DSA: di essere
compreso, aiutato, corretto.......?
Come si crea una rete capace di non far
precipitare un DSA nel baratro della soffe-
renza?
Qual è il metodo più efficace per il trat-
tamento di questa problematica?
Per rispondere a queste domande sono sta-
te usate le conoscenze del conduttore e le
esperienze e difficoltà dei partecipanti nel
progettare il lavoro quotidiano, oltre che
prendere confidenza con le indicazioni con-
tenute nelle linee guida della legge 170 e
del "Consensus Conference" per poter, pos-
sibilmente, realizzare cambiamenti soddi-
sfacenti nel lavoro quotidiano con i bambini.
Nella parte pratica del laboratorio, è stata
fatta una presentazione di "come" legge un
dislessico, le difficoltà che incontra nella de-
codifica e i sentimenti di inadeguatezza che,
purtroppo, spesso lo accompagnano. In un
successivo incontro sono stati illustrati al-
cuni dei giochi che si possano fare, sin dalla
scuola materna, per sviluppare le abilità fo-
nologiche - fondamentali nel processo di
apprendimento strumentale del codice scrit-
to - e suggerite alcune semplici accortezze
che potrebbero facilitare ai bambini l'ap-
prendimento della parte esecutiva della
scrittura: impugnatura della penna, verso
delle lettere, progressione nella presenta-
zione dei caratteri ecc.
Infine, è stata fatta un'esperienza collettiva
di GIOCO LINGUISTICO in cui, attraverso
una simulata, si è finto di essere una classe
di alunni che avesse il tutor del laboratorio
per maestra. Attraverso questa esperienza
si è preso confidenza con alcuni strumenti
operativi con lo scopo di verificare se nel-
le classi dei partecipanti fosse possibile
trovare un momento quotidiano da de-
dicare ai "giochi linguistici", così come
proposto da esperti e tecnici dell'apprendi-
mento.
Hanno fatto parte del gruppo anche due
giovani "amici invisibili" di cui ho riportato
l'esperienza:
- Ugo, un bambino di 7 anni, segnalato co-
me dislessico e "scoperto" come portatore
di un ritardo di apprendimento,
- e Luca, un ragazzetto che ora ha 13 anni
e mezzo, diagnosticato all'ingresso alla
scuola elementare e che, passato nell'infer-
no del DSA, ne è uscito, un pò malconcio
ma vivo, allegro, desideroso di vivere gra-
zie.... alle sue insegnanti di classe! Non solo
grazie a loro, ma - come dice Luca - soprat-
tutto grazie a loro.
Nella convinzione che il futuro è nella colla-
borazione e nella condivisione di esperienze
e soluzioni (riflessione personale del tutor),
obiettivo finale di questi 5 incontri era che
tutti sapessero rispondere alla seguente
semplice domanda:
• Quanti DSA ho aiutato senza neanche
saperlo? Quante "buone" cose faccio "istin-
tivamente", guidata/o dalla mia esperienza,
dalla passione, dalla conoscenza, dalla cu-
riosità, dal coraggio, dalla paura, dall'insi-
curezza ....? Quanto ben essere creo senza
esserne consapevole?
Negli ultimi anni tanti passi avanti sono sta-
ti fatti per aiutare, tutelare, individuare pre-
cocemente i bambini e i ragazzi con questa
specificità. In questo contesto sono stati of-
ferti materiali ed esperienze col fine di ren-
dere i partecipanti liberi di formarsi la pro-
pria idea sull'argomento e su come affron-
tare la battaglia per vincere l'emarginazione
e la "non-conoscenza" che spesso accom-
pagnano questa problematica.
Infine, pur sapendo che le risposte ai temi
proposti esistono già, dette e ridette da
personaggi ben più autorevoli di noi in ma-
teria, siamo altresì consapevoli che saranno
tanto più VERE quanto più saranno frutto
del nostro vissuto: in questo modo si po-
tranno utilizzare per costruire altre doman-
de, dare ulteriori risposte, costruire cono-
scenza.
Sono convinta che solo facendo insieme
vinceremo questa battaglia, contribuendo
ciascuno con la sua specificità e professio-
nalità, scambiandoci indicazioni, errori, suc-
cessi, idee, esperimenti.
Il mio augurio e la mia proposta è di rima-
nere un gruppo di ricerca-azione "sperimen-
talmente attivo" e darci fin d'ora appunta-
mento al prossimo corso I CARE per appro-
fondire cos'è e come si interviene sulla di-
scalculia!
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Pag.45
Luciana D'Agosta,
logopedista – Roma
(Esperta, tutor d'aula e su piattaforma e-
learning nel corso di formazione "Valutare
la qualità dell'integrazione scolastica. I CA-
RE 3 organizzato dalla rete del IV e V Muni-
cipio di Roma in collaborazione con
Sysform- promozione di sistemi formativi.
In questo numero, altri articoli sullo stesso
corso: di Patrizia Ruggiero (altra esper-
ta/tutor) e Roberto Nucera (corsista).
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Pag.46
Dimensionamento: paura di perdere la propria identità! In attesa dei cambiamenti prossimi futuri di Melchiorre Antonia - Orizzonte scuola
Come molti istituti della regione Lazio, an-
che il mio è stato "colpito" dall'intervento di
riorganizzazione della rete scolastica.
Non voglio qui discutere sulle modalità o
necessità che muovono tali decisioni, non
voglio entrare in merito a certi argomenti,
anche perché non cambierebbero le deci-
sioni ormai prese da chi è più in alto di me,
ma piuttosto provare a descrivere che cosa
significa per un'insegnante tutto questo.
Non posso nascondere però che l'idea che ci
siano (pochi) individui che decidano del fu-
turo di (molte) PERSONE attraverso azioni
contabili (arrivare a 1000 alunni per scuola)
e per far quadrare questi conti debbano
spostare e accorpare plessi come se stes-
simo giocando a "monopoli" ... mi disturba
molto!
Angeli della Città, come tante altre scuole,
non è stata vista come un luogo vissuto da
bambini, genitori, insegnanti, AEC, collabo-
ratori, cuochi, inservienti, insomma da
PERSONE, ma solo un edificio che si trova
in una certa zona della città e che per far
quadrare "i conti" è stato spostato!
E per chi sta dentro ancora non è chiaro
come "il gioco" continuerà!
Costruirsi un'identità non è cosa da po-
co: è il lavoro di anni di scontri, di ten-
tativi e di errori, di passioni e di paure,
di confronto continuo con se stessi e
con gli altri, tutti!
Perché ho deciso di affrontare tale questio-
ne questo mese in cui l'argomento della no-
stra rivista è l'integrazione, la diversità? La
risposta mi è sembrata chiara! Vivere in
una comunità significa confrontarsi conti-
nuamente con le "diversità" di ognuno cer-
cando di "integrarle" tra loro per costruire,
appunto, un'identità che rappresenti il più
possibile tutti.
Il nostro plesso scolastico, come è stato
detto più volte, ha cercato sempre di orga-
nizzarsi per far fronte alle difficoltà di nu-
merosi alunni con certificazione e con disagi
in genere.
Questo ha significato per noi docenti la ne-
cessità di riprogrammare la nostra vi-
sione rispetto all'insegnamento.
Sappiamo tutti quanto sia difficile ... far
"cambiare" la scuola!
Pur avendo avuto da diversi anni a disposi-
zioni leggi che ci permettevano una certa
autonomia di organizzazione, solo da poco
tempo ne abbiamo fatto tesoro. La scuola
dovrebbe fare davvero un salto enorme per
recuperare il tempo che impiega a metabo-
lizzare i cambiamenti che il mondo esterno
chiede di fare! È come se tutto ciò che ruo-
ta intorno al mondo scolastico andasse più
veloce e noi ... rimaniamo sempre indie-
tro! Probabilmente è un problema genera-
zionale: i genitori sono sempre un passo in-
dietro ai propri figli! Ma questo è un altro
Orizzonte scuola
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grande capitolo della nostra storia e non è
ora il momento di affrontarlo!
Accogliere il Teatro integrato Piero Gabrielli,
avviare il progetto dell'Inviato Speciale, il
nostro giornalino scolastico, lavorare per
classi aperte con i LARSA, organizzare labo-
ratori di manipolazione e di psicomotricità,
musica e danzaterapia, per i più piccoli o
per i bimbi in difficoltà, attivare con la
dott.ssa D'Agosta interventi di logopedia
all'interno della scuola per bimbi in attesa
da tempo di una valutazione, sono state
conquiste belle ma non facili, hanno richie-
sto molta apertura da parte di tutti, impe-
gno, collaborazione, attriti inevitabili per
metterci d'accordo. Tutto questo da una
parte ci ha resi più forti come gruppo e più
competenti come insegnanti; dall'altra però,
questo modo di lavorare ha fatto sì che i
bambini con difficoltà aumentassero proprio
perché le famiglie sapevano che i loro figli
nella nostra scuola avrebbero avuto ....
UN'ATTENZIONE PARTICOLARE!
Con la riduzione delle ore di compresenza
molto del lavoro possibile prima, ora è diffi-
cile portarlo avanti, siamo costrette a ricer-
care continue strategie per poter continuare
a lavorare in un certo modo. Sicuramente la
presenza in classe dell'insegnante di soste-
gno e di un AEC sono diventate risorse
preziose per tutti i bambini, perché re-
sta l'unico momento di compresenza.
A questo proposito è importante riconosce-
re il valore che ha avuto in questi anni il
gruppo di lavoro sull'integrazione, formato
da tutte le insegnanti di sostegno (in passa-
to anche dalle docenti curricolari) e coordi-
nato da Manuela. In questi anni il collegio
docenti e la direzione hanno ritenuto impor-
tante investire su questa figura, sollevando-
la dalla classe, e sul gruppo di lavoro, pro-
prio per organizzare percorsi d'integrazione
adeguati alle sempre maggiori richieste di
inserimento nel nostro istituto. Organizzare
i numerosi GLH, che si ripetono almeno due
volte l'anno e per i casi più delicati anche 3
o 4 volte l'anno, tenere i contatti con gli
specialisti delle ASL e con i centri dove i
bambini sono inseriti per le terapie, soste-
nere i genitori e noi insegnanti nel quotidia-
no lavoro con i bambini, tutto questo se fat-
to bene, come è stato, richiede tempo che
non è mai abbastanza!
Per quanto riguarda me, ma credo di parla-
re anche a nome di tante mie colleghe, la
figura di un coordinatore è stata fondamen-
tale per il lavoro fatto sull'integrazione in
questi anni, e grazie a tale percorso sono
cresciuta sia come persona, sia come inse-
gnante. Ma riconosco anche che senza la
nostra collaborazione tutto questo non si
sarebbe potuto realizzare: è stato un bel
lavoro di squadra!
In prossimità dell'accorpamento ad un altro
istituto con una sua identità ... è inevitabile
avere dei timori, porsi delle domande. Che
cosa accadrà il prossimo anno? Quali colle-
ghe rimarranno, chi andrà via? Che ne sarà
dei progetti portati avanti in questi anni, a
cui teniamo tanto? Ci sarà un gruppo di so-
stegno e una coordinatrice?
Come alla fine di una storia o di una espe-
rienza significativa si fa il bilancio di cosa ha
funzionato e cosa no, e cosa ci si porta via.
Personalmente sono dispiaciuta innanzitutto
di lasciare le colleghe degli altri plessi con le
quali si è condiviso molto lavoro, idee ed
emozioni: spero che continueremo a trova-
re spazi d'incontro! Mi dispiace abbandona-
re progetti a me cari come il teatro Gabrielli
e l'Inviato Speciale, ai quali ho dedicato
tanto tempo e nei quali credo fermamente.
Ed inoltre ciò che sicuramente mi mancherà
di più il prossimo anno è lavorare con il
gruppo delle mie colleghe di sostegno, sicu-
ramente anche con loro ci vedremo fuori
dall'ambito scolastico ma non sarà la stessa
cosa affrontare i problemi senza il loro SO-
STEGNO!
Anche io, come tutte, ho timore dei cam-
biamenti ma contemporaneamente so-
no curiosa di ciò che il futuro ci può ri-
servare. Ho fiducia che la nostra identità
conquistata ci sosterrà in questo passaggio,
ma sono anche consapevole del fatto che in
una fase di fusione, sarà inevitabile un la-
voro di "integrazione" di due mondi diversi
che dovranno trovare un nuovo equilibrio.
Spero ci sia accoglienza e rispetto per noi
nuove arrivate e contaminazione reciproca
delle buone pratiche, necessarie per la cre-
scita e il miglioramento di ognuno.
Antonia Melchiorre,
docente di sostegno, IC Perazzi (ancora per
un po'!) – Roma
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Un paradigma per l'inclusione Ma che paroloni! di Ruggiero Patrizia - Orizzonte scuola
Paradigma, paradigma l'ho già sentita, ma
dove?
Quando, recentemente, ho letto questa pa-
rola su alcuni testi di pedagogia, suonava
familiare.
Ho faticato alquanto a ricollocarla, ma poi
mi sono riaffiorati vecchi ricordi, quasi or-
mai sopiti e, finalmente, mi sono tornate in
mente le forma verbali del latino che stu-
diavo a scuola e mi si è accesa la fatidica
lampadina.
fĕro, fĕrs, tuli, latum, fĕrre - indicativo pri-
ma e seconda persona singolare, perfetto,
supino e infinito presente
Cinque parole chiave che ti consentivano di
coniugare tutto il verbo!
Sufficienti e necessarie, specialmente nei
verbi più difficili, a sciorinare tutte le forme
verbali.
Radici da cui spuntano alberi
"Programmare" nella scuola media è un'im-
presa ardua, ai limiti dell'impossibile, se
non altro per lo scarso tempo e per la mol-
teplicità e varietà di persone coinvolte.
Spesso sono parole che rimangono sulla
carta e non si concretizzano in azioni utili
ad armonizzare e dare un senso al lavoro di
tutti.
Potrebbe aiutarci definire dei campi entro
cui "giocare" questa partita?
Potremmo cercare dei punti fermi da artico-
lare?
Può la costruzione di un paradigma aiutare
a programmare e coordinare le azioni da
compiere?
Questa è stata la sfida/proposta che ho fat-
to al gruppo che ha partecipato al corso I
CARE 3- Valutare la qualità dell'inclusione
scolastica - nel modulo "Come program-
mare gli interventi in presenza di alun-
ni con DSA nella scuola secondaria di
1° e 2°grado".
Ecco i cinque punti chiave che sono stati
approfonditi nei cinque incontri.
1 Curricolo implicito: I valori-la vision-le
regole-la diversità- la pluralità-i concetti di
giustizia ed equità-lo sfondo integratore.
2 Didattica metacognitiva: "Il primo
strumento compensativo è imparare ad im-
parare"(G.Levi) - La personalizzazione
dell'apprendimento.
3 Autovalutazione: A chi serve la valuta-
zione-consapevolezza e motivazione- "dare
un valore"- verifiche e valutazione persona-
lizzate.
4 Formazione del gruppo: Aiuto recipro-
co- valorizzazione- l'altro come risorsa- il
bisogno di appartenenza- il senso dello sta-
re insieme- la costruzione di obiettivo co-
mune.
5 Relazione: gli aspetti inter ed intra rela-
zionali- self efficacy "I ragazzi con DSA pos-
sono essere curati sostenendo lo sviluppo
della persona( G.Levi)" - locus, convinzioni,
dialogo interno.
Orizzonte scuola
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Parallelamente siamo entrati nella specifici-
tà dei DSA attraverso: l'analisi in gruppo
delle Linee Guida, il confronto tra alcuni
modelli di Piani Didattici Personalizzati, al-
cuni esempi tratti dalla pratica, la descrizio-
ne dei materiali inseriti in piattaforma e
suggeriti sia da esperti di settore che dai
partecipanti stessi.
Ho scelto di non proporre strategie e stru-
menti compensativi e misure dispensative
tout court per vari motivi.
Non credo che sia solo questo il nodo cen-
trale della specifica problematica dei DSA,
anche per la grande varietà di gravità e di
comorbilità che ci troviamo ad affrontare
nelle classi medie e superiori.
Penso invece che sia più urgente trovare un
modo nuovo o almeno più consapevole e
sistematizzato di "trattare" la specificità e
singolarità di ciascun alunno.
La maggior parte del gruppo ha mostrato di
seguirmi su questa linea con criticità co-
struttiva, anche perché si trattava di perso-
ne già molto preparate e sensibili al tema
dell'integrazione, già PROMOTRICI DI CAM-
BIAMENTO.
Patrizia Ruggiero,
docente di sostegno, SMS Fellini – Roma
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Pag.50
FANTACITY Concorso per la scuola di La redazione - Dalla redazione
FANTACITY
Concorso per la scuola
C'è tempo fino al 31 marzo 2012 per par-
tecipare al grande Concorso Nazionale di
Fantacity rivolto alle classi delle scuole
primarie.
La sfida corre sul filo di parole e colori, in
compagnia della famiglia Guerrieri in Un
divano per dodici (Giunti Junior), la nuova
divertentissima serie sul fenomeno delle
famiglie "allargate". "Un divano per dodici"
è la collana edita da Giunti Junior che fa
da spunto al concorso. Prendendo ispirazio-
ne da questi personaggi, le classi possono
partecipare scrivendo un racconto o realiz-
zando un'opera pittorica (tutti i materiali
utili su www.fantacity.eu nella sezione dedi-
cata al concorso, dove è disponibile anche
la scheda di iscrizione).
http://www.fantacity.eu/
Incontri-caffè per i Familiari Assistenti
e Volontari
"Essere un familiare assistente: diffi-
coltà e domande"
Gli incontri-caffè riuniscono i familiari assi-
stenti, le famiglie e tutte le persone che as-
sistono un congiunto o un vicino/amico non
autosufficiente per colloqui conviviali parte-
cipativi, informativi o di riflessioni per uno
scambio di buone prassi allo scopo di favo-
rire l'amicizia e la conoscenza tra i parteci-
panti, una migliore qualità di vita della per-
sona disabile e della famiglia nonché un
mutuo-aiuto.
L'associazione CO.FA.AS."Clelia" organizza
l'incontro presso il Bibliobar dell'Istituto L.
Vaccari in Viale Angelico, 20/22 Roma -
Mercoledì 18 aprile dalle ore 16, 30 alle
18.00: "Conoscere i bisogni dei familiari
assistenti: prendersi cura di se stessi".
Nell'ambito di questo incontro sarà presen-
tata e prenderà così il via la sperimentazio-
ne sul "Progetto Case manager" che vedrà
coinvolte alcune famiglie dell'Associazione
che saranno monitorate e tutorate da un
Case manager per tutte le loro necessità o
sviluppi assistenziali.
Gli incontri sono a titolo gratuito, tuttavia è
gradita una segnalazione di adesione da
parte di chi intende partecipare, ai seguenti
numeri : 334 8184597 - 334 84779 - 334
8182 807
Si rimanda al sito www.cofaasclelia.it per
ogni altra informazione.
Autismo, il 2 aprile a Roma verrà pre-
sentata la petizione bipartisan
L'obiettivo è riaprire la discussione sul-
le linee guida
Secondo i promotori della petizione "il testo
ha escluso dal dibattito tutti gli approcci di-
versi da quello neo comportamentale. Fatto
grave, l'addestramento non rispetta l'indivi-
dualità del singolo bambino e annulla le loro
potenzialità".
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________________________________________________ Rivista telematica www.lascuolapossibile.it realizzata con GT Engine Powered by Innova Servizi – www.innovaservizi.it
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http://www.superabile.it/web/it/CANALI_TE
MATICI/Salute/Il_Punto/info-
742654928.html
Disabilità e Diritti
Invito per tutte le Associazioni
Organizzato dal Coordinamento Nazionale
Famiglie Disabili Gravi e Gravissimi. Sabato
12 maggio 2012, dalle ore 11 alle 19 a Ro-
ma in Via Antonina (Terme di caracalla)
avrà luogo un sit-in di Associazioni per i di-
ritti dei disabili, al quale sono invitate tutte
le Associazioni. Verrà messo a disposizione
uno spazio gratuito per rivendicare i diritti
negati ai disabili e alle loro famiglie ma an-
che per promuovere le attività. Un' atmo-
sfera di festa e spettacolo accoglierà fami-
glie e studenti affinchè la disabilità NON SIA
PIU' UN MONDO A PARTE MA UNA PARTE
DEL MONDO.
http://www.famigliedisabili.org/
Basta usare le parole RITARDO o RI-
TARDATO!
da superando.it
C'è una campagna mondiale, lanciata nel
2004 da Special Olympics, che punta all'a-
bolizione dei termini "ritardato" e "ritardo
mentale", per contribuire a una giusta con-
siderazione delle persone con disabilità in-
tellettiva e relazionale, educando sui danni
che possono venire da quelle parole, non
sempre considerate sbagliate, mentre lo
sono molto.
Vediamo perché
http://www.superando.it/content/view/865
4/112/
La redazione