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Ldb agroecologia2 capone_02

Date post: 06-Dec-2014
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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE
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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICADELLE ERBE SPONTANEE

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Il presente volume è stato realizzato nell’ambito del progetto innovazionedi durata triennale BioInnovErbe (gennaio 2008-dicembre 2010) con finan-ziamento della Direzione centrale risorse agricole naturali e forestali aisensi dell’art. 17 della Legge regionale n. 26/2005

Partner del progetto

CirMont - Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna

log ERSA - Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale

Università degli Studi di UdineDipartimento di Scienze degli Alimenti

Regione Friuli Venezia GiuliaDirezione Centrale Risorse Rurali, Agroalimentari e Forestali - Vivaio fore-stale regionale ‘Pascul’ di Tarcento (Udine)

In copertinaAruncus chioicus (foto di Marta Mossenta)

Le illustrazioni sono tratte dalle fototeche degli autori dei singoli capitoli

Progetto graficocdm associati

Stampa???

© CirMontVia Jacopo Linussio, 1 – 33020 Amaro (Udine)Tel./Fax 0433 467124www.cirmont.it

© FORUM 2010Editrice Universitaria Udinese srlVia Palladio, 8 – 33100 UdineTel. 0432 26001 / Fax 0432 296756www.forumeditrice.it

Udine 2010

ISBN 978-88-8420-656-5

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FORUM

BIOINNOVERBELA COLTIVAZIONE BIOLOGICA

DELLE ERBE SPONTANEE:UNA NUOVA FILIERA PRODUTTIVA

DI QUALITÀ A SALVAGUARDIA DELL’AMBIENTE

A CURA DI???

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scheda catalografica

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Indice

PROGETTI CHE LASCIANO IL SEGNO pag. 7Manuela Croatto

1. IL PROGETTO BIOINNOVERBE pag.Federico Capone, Costantino Cattivello, Sirio Rossano Secondo Cividino, Manuela Croatto, Ilaria Gussetti,Marta Mossenta, Simona Rainis1.1 Premessa »1.2 Obiettivo generale del progetto »1.3 Attività di ricerca e sperimentazione »1.4 Conclusioni »

2. LA SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA »Federico Capone, Costantino Cattivello, Renato Danielis, Marta Mossenta2.1 La raccolta del seme »2.2 L’attività di vivaio »2.3 I campi sperimentali »2.4 Le piante »

3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELLE PIANTE STUDIATE NELL’AMBITO DEL PROGETTO BIOINNOVERBELavinia Alexandru, Lanfranco Conte3.1 Premessa »3.2 Contenuto di sostanze fenoliche delle piante

studiate nell’ambito del progetto di ricerca BioInnovErbe »

3.3 Conclusioni »

4. ASPETTI ECONOMICI LEGATI ALLA COMMERCIALIZZAZIONE DI PIANTE SPONTANEE E COLTIVATE AD USO GASTRONOMICOSirio Rossano Secondo Cividino, Ilaria Gussetti, Simona Rainis, Elena Valent4.1 Premessa »

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INDICE6

4.2 Analisi di mercato »4.3 Strategie di sviluppo e punti critici »4.4 Conclusioni »

5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE »Marta Mossenta, Elena Valent5.1 Antipasti »5.2 Primi piatti »5.3 Secondi piatti »5.4 Contorni »

Ringraziamenti »

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Nel panorama dei progetti di ricerca legati all’ambito montano,BioInnovErbe è uno di quelli destinati a lasciare il segno. Non soloper i risultati scientifici o per i posti di lavoro che ha assicurato agiovani laureati ma, soprattutto, per le prospettive che ha aperto.BioInnovErbe è uno di quei casi in cui si può dire che i soldi pub-blici non sono solo stati spesi bene ma sono stati investiti in mododa continuare a dare frutti. Il progetto, finanziato dalla regione FriuliVenezia Giulia con la legge n. 26/2005 sull’innovazione, è stato pro-mosso da CirMont, che ne è coordinatore con la fondamentale col-laborazione dell’ERSA, dell’Università di Udine e della DirezioneCentrale Risorse Rurali, Agroalimentari e Forestali - Vivaio foresta-le regionale ‘Pascul’ di Tarcento (Udine).L’idea di base, apparentemente semplice, era quella di provare acoltivare piante spontanee per aumentarne l’offerta e ridurre il sac-cheggio di prati e boschi montani e i conseguenti danni all’ambien-te. Apparentemente semplice perché da circa diecimila anni l’uomoè impegnato a coltivare i prodotti necessari al suo sostentamentoe lo fa attraverso l’addomesticazione delle piante spontanee contecniche sempre più raffinate grazie a ricerca e sperimentazione.Tuttavia, ancora oggi, non tutte le piante possono essere addome-sticate, ce ne solo alcune che resistono. Molte di queste vivono inmontagna e si riproducono solo in condizioni assolutamente pecu-liari per clima e ambiente ma sono proprio queste caratteristicheche le rendono particolarmente interessanti e che hanno spinto iricercatori a pensare e progettare BioInnovErbe.Le difficoltà non sono mancate ma gli agronomi di oggi, esatta-mente come i contadini di ieri, con studio, professionalità e pazien-te attenzione ce l’hanno fatta.Otto varietà vegetali diverse Aruncus dioicus (barba di capra),Asparagus acutifolius (asparago selvatico), Chenopodium bonus-

Progetti che lasciano il segno

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE8

henricus (buonenrico), Cicerbita alpina (radìc di mont), Levisticumofficinale (sedano selvatico), Ruscus aculeatus (pungitopo), Silenevulgaris (sclopìt), Valerianella olitoria (valeriana selvatica) sono statecoltivate con successo in otto campi sperimentali, sparsi in tredelle quattro province della regione, San Pelagio/Aurisina (TS),Molinis/Tarcento (UD), Curiedi/Tolmezzo (UD), Piani di Vâs/Rigolato(UD), Monte Arvenis (UD), Tramonti di Sopra (PN), Stevenà/Sacile(PN) e Udine.Ma perché cercare di addomesticare piante così particolari? Tante sono le risposte possibili, prima fra tutte la constatazione chespesso le iniziative di promozione e valorizzazione del patrimoniovegetale spontaneo, oltre a suscitare l’interesse e la curiosità deiconsumatori, alimentano il numero di raccoglitori sempre meno‘competenti’ sulle tecniche di raccolta e il rispetto per l’ambiente.Proprio per la salvaguardia del territorio e quindi per evitare cheun’opportunità si trasformi in una minaccia è stato pensato‘BioInnovErbe - La coltivazione biologica delle erbe spontanee: unanuova filiera produttiva di qualità a salvaguardia dell’ambiente’. Ilprogetto si è concretizzato nella messa a punto e nell’avvio di tec-niche di coltivazione, secondo i protocolli dell’agricoltura biologica,per aumentare l’offerta coinvolgendo direttamente coltivatori pro-fessionali e hobbisti. Sono state ben 45.000 le piante riprodotte edistribuite gratuitamente sul territorio, cui si aggiungono o vanno

aggiunte??? le 20.000 utilizzate per la sperimentazione. In tal modosono state poste le premesse per lo sviluppo di nuove filiere ortivecapaci di conquistare nuove quote di mercato e di dare un contributoad un più generale progetto di sviluppo dell’area montana.Anche solo sulla base di questi numeri si può dire cheBioInnovErbe è uno di quei progetti che lasciano il segno.Ma non solo per questo. Con la messa in coltura di nuove specie,sia autoctone che alloctone, si incrementerà l’offerta di nuove pro-duzioni ortive, tipiche e non, al fine di raggiungere vari obiettivi:1. il miglioramento delle tecniche produttive per diversificare e

integrare il reddito delle aziende orticole, soprattutto quelle cheoperano in ambienti difficili e sempre più soggetti a fenomeni diabbandono, in primis l’area montana;

2. l’allargamento dell’offerta alimentare valorizzando un mercatodi nicchia collegato alla raccolta di erbe spontanee e la possibi-lità di soddisfare una domanda di nuovi prodotti potenzialmente

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PROGETTI CHE LASCIANO IL SEGNO 9

molto interessante in un’ottica finalizzata al riconoscimento deimarchi di qualità (IGP, DOP, ecc);

3. la salvaguardia e la protezione dell’ambiente di accrescimentodi piante spontanee sempre più impoverito dalla raccolta nonregolamentata o in violazione della normativa vigente;

4. lo sviluppo di microfiliere produttive attraverso la sensibilizza-zione delle realtà agrituristiche e del comparto turistico nei con-fronti delle nuove produzioni.

BioInnovErbe è quindi un progetto che riesce a dimostrare concre-tamente come la ricerca scientifica e la sperimentazione sul campopossano essere una reale marcia in più nel complesso percorso dirilancio delle aree marginali.Ma non è ancora tutto. BioInnovErbe ha il merito di essere riuscitoad unire attorno ad uno stesso tavolo soggetti diversi – ERSA,Università, CirMont – ma soprattutto agricoltori e cittadini chehanno messo a disposizione i loro terreni per le coltivazioni speri-mentali imparando anche nuove tecniche colturali. In tal modo lespecificità di ciascuno sono diventate patrimonio di tutti, senzasovrapposizioni e duplicazioni per trasferire ai molti soggetti coin-volti i risultati di attività di ricerca e sperimentazione che altrimentinon avrebbero mai potuto essere raggiunti. Si diceva che BioInnovErbe è uno di quei progetti che lasciano ilsegno. Innanzitutto nei giovani ricercatori che per tre anni hanno lavoratotra libri, piante, semi e campi e hanno ottenuto risultati che nonerano affatto scontati al momento in cui il progetto è partito.Ma un segno resterà anche nelle persone che hanno visto terreniincolti diventare orti capaci di produrre piante ‘difficili’ come il radicdi mont. L’auspicio è che il segno tracciato venga capito e alimentato.Perché BioInnovErbe è soprattutto un’opportunità e, come diceva-no i greci, se è vero che spesso le grandi imprese nascono da pic-cole opportunità e anche vero che bisogna saperle cogliere.

Manuela CroattoDirettrice CirMont

Capo della Ripartizione Ricerca dell’Università di Udine

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE10

I numeri di BioInnovErbe

3 enti di ricerca coinvolti1 vivaio 30 stazioni di raccolta del materiale spontaneo in regione25.000 piante usate per la sperimentazione3 partecipazioni a programmi radio3 partecipazioni a programmi televisivi18 presentazioni in ambito nazionale ed europeo8 campi sperimentali4 partecipazioni a convegni nazionali ed europei2 stand allestiti in occasione di Agriest 2010 e Friuli DOC

201046.000 piante date in concessione gratuita ai residenti in Friuli

Venezia Giulia4 dottori di ricerca impiegati3 tirocinanti coinvolti13 articoli su quotidiani e riviste di agricoltura3 rapporti con enti nazionali del settore agricoltura

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1. Il progetto BioInnovErbeFederico Capone*, Costantino Cattivello**, Sirio Rossano Secondo Cividino*, Manuela Croatto*, Ilaria Gussetti*,Marta Mossenta**, Simona Rainis*

1.1 PREMESSA

In Friuli Venezia Giulia l’arte di cucinare con i prodotti stagionali delterritorio è una tradizione antica come la povertà che ha contraddi-stinto la vita di molte generazioni che ci hanno preceduto. Questapratica è sempre stata favorita e spinta dalla ricchezza della floradella nostra regione. All’inizio della primavera, con il risveglio dellanatura, arrivano sulle nostre tavole le erbe spontanee. Nei campi,nei prati collinari, lungo i fossati e lungo le rive dei torrenti tutti inuovi germogli e foglie sono oggetto di attenzione da parte dei ‘cer-catori’ autoctoni e non. Le piante aromatiche hanno la facoltà diesaltare le qualità proprie degli alimenti e vengono usate per la pre-parazione dei cibi freschi e conservati. Il loro uso si estende anchealla preparazione di preziosi medicamenti, essenze e profumi.Molteplici sono le iniziative di promozione e valorizzazione del patri-monio vegetale spontaneo della nostra terra (feste, sagre comuna-li, presidi Slow Food ecc), perché notevole è l’interesse e la curio-sità del consumatori.Il crescente numero dei raccoglitori, sempre meno ‘competenti’ harichiesto urgentemente di mettere a punto delle tecniche di raccol-ta rispettose dell’ambiente e della vita delle risorse raccolte. Lasempre maggior attenzione dei consumatori per i prodotti vegetalispontanei (ad es. la Cicerbita alpina - Radicchio di monte) sta deter-minando una riduzione dell’areale di crescita. Alcuni studi1, peresempio, effettuati su stazioni di rilievo sul Monte Zoncolan, hanno

* CirMont - Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna.** ERSA - Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale.1 Cividino S.R.S., Gussetti I., Colussi L. 2006. Aspetti economici legati alla coltiva-zione del radicchio di monte (Cicerbita alpina). «Notiziario ERSA», 3-4: 7-10.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE12

registrato un decremento delle crescita pari al 30% negli ultimi anniper la Cicerbita alpina. Per contrastare tale tendenza appare neces-sario migliorare i processi produttivi ed i mezzi di produzione appli-candoli alle specie spontanee. Per evitare che una concreta oppor-tunità si trasformi in una minaccia, a causa di ‘saccheggi’ poco ocu-lati, è stato pensato e definito il progetto BioInnovErbe. La trasfor-mazione e la commercializzazione dei prodotti ottenuti attraversotecniche biologiche consente di ottenere molteplici risultati lega-ti alla salvaguardia dell’ambiente, allo sviluppo di un’agricolturainnovativa biologica, all’integrazione del reddito nelle aree ruralied alla valorizzazione dell’offerta agrituristica. È interessantedefinire e mettere a punto un modello innovativo, esportabile inaltre realtà, di sviluppo dell’agricoltura, con tecniche biologiche,finalizzata alla salvaguardia dell’ambiente. La messa a punto el’avvio di tecniche di coltivazione di piante spontanee, secondo iprotocolli dell’agricoltura biologica, porta all’offerta dei ‘fruttidella terra’, evitando il depauperamento dell’ambiente. I prodottiottenuti, inoltre, possono esprimere validamente alcune realtàtipiche regionali. Uno degli obiettivi di questa iniziativa è statoquello di offrire un incremento della base alimentare della popo-lazione regionale, per conquistare nuove quote di mercato neiconfronti dei consumatori locali. Attualmente, circa il 60-70%degli ortaggi consumati in Friuli Venezia Giulia sono di prove-nienza extraregionale, in buona parte di origine veneta o emilia-na, quindi di zone con caratteristiche pedoclimatiche abbastanzasimili alle nostre. La produzione orticola regionale è infatti con-centrata su poche colture, quali il radicchio, gli asparagi e lo zuc-chino e quindi possiede ampi margini di sviluppo. Esistono a talproposito esempi conclamati in regione di microfiliere produttivetipiche di qualità che riscuotono successo sul mercato locale: è ilcaso della rapa, coltivata per la produzione della brovada, dellidric cul poc, del radicchio di Gorizia, per non parlare delle pro-duzioni triestine che sul mercato cittadino riescono a spuntareprezzi superiori alla media. Esistono quindi tutte le premesse perlo sviluppo di nuove filiere ortive che possano conquistare nuovequote di mercato.In un quadro più generale, questa iniziativa è stata pensata con l’in-tento di incentivare la ricerca, per definire nuovi processi produttividi coltivazione di piante spontanee. Con la messa in coltura di que-

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1. IL PROGETTO BIOINNOVERBE 13

ste specie si è cercato di incrementare l’offerta di queste produzio-ni ortive, al fine di raggiungere i seguenti obiettivi: 1. salvaguardare e proteggere l’ambiente di accrescimento di pian-

te spontanee sempre più impoverito dalla raccolta non regola-mentata o in violazione della normativa vigente (specie autocto-ne tutelate dalla L.R. del 3 giugno 1981, n. 34, integrata dallaL.R. del 19 agosto 1996, n. 32 e successive modificazioni);

2. creare, ove possibile, nuove opportunità colturali di tipo biologi-co a basso impatto ambientale. Il miglioramento delle tecnicheproduttive offre la possibilità di diversificare ed integrare il red-dito delle aziende orticole, soprattutto per quelle realtà produtti-ve che operano in ambienti difficili e sempre più soggetti aifenomeni di abbandono, in primis l’area montana, senza tuttaviatrascurare le zone collinari e di pianura;

3. allargare l’offerta alimentare complessiva di nuove specie ortiveautoctone, valorizzando la presenza di un mercato di nicchia,collegato alla raccolta di erbe spontanee. Le analisi che sonostate condotte hanno permesso di valorizzare le produzioni tipi-che della nostra regione tramite la verifica delle proprietà salu-tari dei principi attivi presenti nei nuovi alimenti proposti;

4. favorire lo sviluppo di microfiliere produttive attraverso la sensi-bilizzazione delle realtà agrituristiche e del comparto turistico neiconfronti delle nuove produzioni.

1.2 OBIETTIVO GENERALE DEL PROGETTO

L’obiettivo generale può essere identificato nella definizione di unmodello multifunzionale del comparto primario. Alla base dell’inizia-tiva c’è l’impegno per rilanciare il settore orticolo con l’incrementodei livelli reddituali e la valorizzazione del turismo rurale attraversoil legame con le produzioni agricole, il territorio, e l’ambiente. Inquesto scenario, uno dei punti rilevanti è quello di mantenere lecondizioni necessarie per la conservazione dell’ambiente e del tes-suto economico-sociale delle zone montane e rurali. La sfida è dun-que riuscire a far sì che l’agricoltura, attività produttiva esposta arischio ed incertezza, possa ribadire la sua funzione fondamentaledi collegamento con il proprio territorio. Generalizzando, si può affermare che tre sono le principali aree diricaduta dei risultati di questo progetto: ambientale, agronomica eturistico-economica (schema 1).

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La possibilità di mettere a coltura specie spontanee pregiate edalternative, compiendo anche un’opera di salvaguardia dell’ambien-te, sintetizza l’interesse del comparto agricolo per il progetto.Potersi giovare di conoscenze innovative, frutto dell’attività di ricer-ca di soggetti altamente qualificati, per ottenere prodotti di qualità,interessanti per il mercato, deve essere un punto di forza per la lorovalorizzazione. Le modalità di diffusione dei risultati ottenuti hanno favorito il tra-sferimento di conoscenze innovative al comparto agricolo regiona-le. L’organizzazione di visite nei campi prova ed in vivaio e le pre-sentazioni al pubblico hanno permesso agli operatori del settoreagricolo di apprendere le tecniche agronomiche utilizzate nella spe-rimentazione e agli operatori dei settori agrituristico e gastronomi-co di conoscere al meglio le materie prime utilizzate per la prepara-zione delle ricette.

1.3 ATTIVITÀ DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE

Lo studio è stato articolato secondo una serie di un’attività di ricer-ca applicata e di sperimentazione in campo, finalizzate all’individua-zione delle migliori tecniche colturali idonee in agricoltura biologicasu 8 specie vegetali, la maggior parte delle quali sottoposte a vin-coli naturalistici per la salvaguardia della flora (tabella 1). La scelta delle diverse specie oggetto di sperimentazione è stata

Schema 1. Interesse generale rivestito dal progetto.

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1. IL PROGETTO BIOINNOVERBE 15

fatta considerando le potenzialità produttive legate al valore com-merciale rispetto alla disponibilità delle essenze in natura. Dal puntodi vista agronomico, la selezione delle colture si è basata, oltre chesull’adattabilità delle specie alle condizioni pedoclimatiche territo-riali, anche sull’eventuale uso in settori diversi, al di fuori dei perio-di di maggiore produzione. La possibilità di vendere le erbe sponta-nee per soddisfare altri settori della domanda, come ad esempioquello delle decorazioni natalizie o primaverili (vedi ad esempio ilpungitopo), comporta una crescente attenzione del mercato conconseguente maggiore redditività. La plurima utilizzazione dellespecie può ritrovarsi anche nella preparazione di prodotti omeopati-ci o cosmetici, da vendere in abbinamento, o tramite particolariofferte. A seconda delle specie e delle diverse esigenze sono state effet-tuate:1. le raccolte del seme e del materiale di propagazione di diversi

ecotipi di specie spontanee (30 siti di raccolta in regione);2. i confronti varietali e dei diversi ecotipi;3. le indagini conoscitive sulle erbe spontanee, con particolare

attenzione verso i cenni storici sulla raccolta e sull’utilizzazione;4. le prove di coltivazione al fine di individuare la tecnica colturale

che assicuri il miglior compromesso tra produttività, stato fito-sanitario e qualità finale;

5. le prove di germinabilità;

Nome comune Nome latino Nome friulano

Radicchio di monte* Cicerbita alpina Radìc (lidrìc) di montAsparago selvatico* Asparagus acutifolius Sparc salvadiPungitopo* Ruscus aculeatus RuscliLevistico o Sedano Levisticum officinale Selino di montdi montagnaSilene o Bubbolini* Silene vulgaris SclopìtValerianella* Valerianella olitoria ArgjelùtSpirea Aruncus dioicus PenàcBuonenrico* Chenopodium bonus

henricus L. Pêl di mus

Tabella 1. Specie oggetto di sperimentazione.* Specie autoctone tutelate dalla L.R. del 3 giugno 1981, n. 34, integrata dalla L.R. del 19agosto 1996, n. 32 e successive integrazioni e modificazioni.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE16

6. le analisi chimico-agrarie dei terreni oggetto di prova e di quellidei siti di raccolta;

7. le analisi nutrizionali dei prodotti selvatici e di quelli ottenuti daicampi prova;

8. gli studi sulle modalità di raccolta, conservazione e trasforma-zione del prodotto;

9. le prove di trasformazione culinaria;10. il trasferimento di know how alle aziende agricole;11. le attività di divulgazione e promozione mediante l’organizza-

zione di convegni, serate enogastronomiche, visite guidate aicampi sperimentali, incontri;

12. la preparazione di schede tecniche di coltivazione, pubblicazio-ni e materiali multimediali.

L’aspetto innovativo di questo studio è il fatto che propone attivitàsperimentali mai realizzate nella nostra regione e solo in casi spo-radici nel territorio nazionale. Se infatti esiste una ricca bibliografiarelativa alle proprietà terapeutiche ed una discreta conoscenza deidiversi utilizzi in cucina di molte erbe, mancano invece le cono-scenze relative alle migliori tecniche colturali per la produzione diqueste piante con metodi biologici. Numerose sono le indicazionirelative agli habitat pedoclimatici preferiti dalle diverse specie, mamancano del tutto le esperienze relative alla messa in coltura e,soprattutto, alle migliori tecniche di propagazione delle singole essen-ze. In alcuni casi, è reperibile sul mercato il seme per la costituzionedell’impianto, ma si tratta di casi isolati, perché per le altre specie ènecessario sviluppare sperimentalmente anche la parte relativa allaproduzione di sementi o di piantine ottenute mediante varie tecnichedi propagazione agamica. Inoltre bisogna anche tenere in considera-zione l’eventualità che le piante ottenute dalle sementi commerciali,selezionate in altri ambienti, non siano necessariamente adattabili allenostre condizioni climatiche. Anche i dati relativi al valore nutrizionalesono molto scarsi e spesso riferiti solo ad alcune specie oggetto diricerca senza mettere a confronto le caratteristiche nutritive delle pian-te spontanee con quelle coltivate.

1.4 CONCLUSIONI

Il progetto BioInnovErbe è senza dubbio innovativo e potrebbe dareenormi vantaggi da un punto di vista ambientale, grazie alla salva-

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1. IL PROGETTO BIOINNOVERBE 17

guardia di diverse specie vegetali, ed economico, per l’integrazionedei redditi di produttori, trasformatori, e utilizzatori specialmente inaree svantaggiate. Inoltre gli ortaggi prodotti secondo tecniche diagricoltura biologica a basso impatto ambientale, potranno esserecontraddistinti grazie alla coltivazione in ambienti poco antropizzatie scarsamente inquinati.Ulteriore valore aggiunto potrebbe essere attribuito alla creazionedella tracciabilità del prodotto e successivamente alla sua certifica-zione. Il percorso di filiera sarà elemento qualificante, realizzato apartire da produzioni di nicchia, intimamente collegate con il terri-torio, assolutamente tipiche, come nel caso delle erbe spontanee.Nasceranno in questo modo i presupposti per l’allargamento delmercato con l’introduzione di nuove colture e nuovi ingredienti diqualità potenzialmente reperibili solo nella nostra regione in quantoespressamente coltivati a tale scopo; caratteristica che ne potenziail pregio dato dall’unicità del prodotto e dalla sua conseguente scar-sa concorrenzialità. La qualità, inoltre, prerogativa basilare nel mer-cato attuale, diventa chiave di lettura per un settore di nicchia ingrado di attrarre importanti flussi economici e turistici.

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2. La sperimentazioneagronomicaFederico Capone*, Costantino Cattivello**, Renato Danielis**, Marta Mossenta**

2.1 LA RACCOLTA DEL SEME

L’attività legata alla collezione dei semi potrebbe sembrare banalee semplice, ma se si vuole ottenere un prodotto eccellente è impor-tante partire da una buona materia prima. Attraverso la sperimen-tazione si è potuto notare che una raccolta di semi effettuata inmodo tempestivo può garantire una percentuale di germinazionepiù elevata. È importante rilevare che per alcune piante oggetto distudio questa è molto bassa (radicchio di monte, pungitopo, aspa-rago) ed inoltre in alcuni casi il seme si presenta sterile o attaccatoda numerosi parassiti.Risulta quindi indispensabile elencare alcune buone pratiche daseguire per la raccolta dei semi.A. Il momento della raccolta: il seme deve essere maturo e facil-mente staccabile dalla pianta. Se è all’interno dell’ovario, questodeve essere secco. Se l’infiorescenza è un panicolo raccogliere isemi provenienti dalla parte centrale.B. Luogo di raccolta: semi provenienti da luoghi incontaminati emeno inquinati generalmente registrano una percentuale di sterilitàminore.C. Tempo della raccolta: preferire giornate soleggiate e calde peravere un seme pronto per l’uso o per la collezione.Il seme comunque andrà pulito dalle parti secche e dai semi sterili(attraverso l’uso di setacci) e, se umido, riposto in un luogo asciut-to per almeno 24-48 ore. Così è pronto per essere seminato, cata-logato (in bustine di carta) oppure per subire stratificazione o osmo-priming.

* CirMont - Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna.** ERSA - Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE20

2.2 L’ATTIVITÀ DI VIVAIO

Per il raggiungimento di alcuni obiettivi del progetto la collaborazio-ne e la sinergia fra le varie figure professionali dei partner è statafondamentale. L’esperienza e le conoscenze dei professionisti insie-me alle capacità e all’operosità dei tecnici del Vivaio ‘Pascul’ diTarcento hanno permesso lo sviluppo e la messa a punto di alcunetecniche specifiche e necessarie per l’ottenimento delle piante per lasperimentazione e per la concessione gratuita al pubblico.Molteplici sono state le problematiche da affrontare, che una voltaanalizzate in modo accurato sono state superate. Bisogna ricordareche la germinabilità dei semi delle piante oggetto di studio è media-mente molto bassa ed inoltre non esistono delle tecniche riconosciu-te per la realizzazione e la gestione di questo tipo di piante in vivaio.L’attività nello specifico ha riguardato tutte quelle pratiche connes-se all’ottenimento di un’alta percentuale di germinabilità e di pianti-ne da trapianto in buone condizioni dal punto di vista fitosanitario.Per tutte le specie oggetto di studio è stato adottato un protocollosimile con lo scopo di ottimizzare le seguenti pratiche: – la pulizia del seme;– il periodo di semina e l’utilizzo di determinati plateaux;– il quantitativo di seme da usare;– la profondità di semina;– la copertura del seme con terriccio o vermiculite;– le dosi di irrigazione;– il periodo di ripicchettamento in vaso;– il tipo di vaso da usare;– il periodo massimo di vita in vaso;– la gestione delle piante in vaso.Il tipo di terriccio usato per la semina e il ripicchettamento è stato lostesso per tutte le specie integrando al terriccio (50% torba bionda e50% torba nera) 5 kg/m3 di concime ammesso in agricoltura biologica.Alla fine dei tre anni di ricerca sono state sviluppate delle tecnichevivaistiche peculiari per le specie studiate che hanno portato ad unaproduzione di circa 75.000 piante.

2.3 I CAMPI SPERIMENTALI

BioInnovErbe è stato in primo luogo ricerca e sperimentazione incampo. Prima dell’allestimento dei campi sperimentali è stato necessario

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2. LA SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA 21

conoscere e comparare le caratteristiche pedoclimatiche dei terre-ni sui quali crescono spontaneamente le specie oggetto di studiocon quelle dei terreni scelti per l’allestimento dell’esperimento.Sono state effettuate circa 40 analisi del terreno al fine di indivi-duare correttamente le caratteristiche peculiari di crescita di cia-scuna pianta. Successivamente si è valutato quali potessero esse-re le specie spontanee da coltivare analizzando:– la presenza delle stesse negli areali limitrofi alle zone scelte per

la coltivazione;– i valori climatici, l’esposizione e l’insolazione dei terreni scelti;– le potenzialità produttive di ogni singola pianta, legate al valore

commerciale e al suo utilizzo;– la volontà e le preferenze dei proprietari dei campi verso deter-

minate specie vegetali.A partire da fine estate 2008 sono stati messi a dimora 7 campisperimentali in differenti zone della regione Friuli Venezia Giulia:Aurisina (TS), Piani di Vàs di Rigolato (UD), Monte Arvenis (UD),Molinis di Tarcento (UD), Curiedi (UD), Tramonti di sopra (PN),Stevenà di Caneva (PN), più una prova temporanea all’interno diuna serra tunnel per la coltivazione della Valerianella olitoria nellazona a sud di Udine. I campi sono ospitati da aziende agrarie o agri-turistiche considerate rappresentative di un certo contesto ambien-tale. Le prove sono state condotte adottando di volta in volta il dise-gno sperimentale più consono alla località, alle specie ed ai fattorida studiare. La scelta delle specie da coltivare in ciascun sito è stataeffettuata quindi sulla base delle esigenze di crescita delle singoleessenze e dei parametri propri del sito, quali ad esempio l’altitudi-ne, che funge da fattore limitante per specie come il radicchio dimonte. Allo scopo di individuare la tecnica agronomica più idonea,si sono sperimentate differenti variabili colturali (es. densità edepoca di semina, diversa gestione delle infestanti, particolari accor-gimenti tecnici). A partire dal secondo anno di sperimentazione, le produzioni otte-nute sono state raccolte ed analizzate al fine di determinare qualetipo di gestione agricola potesse essere migliore e confrontare lecaratteristiche nutrizionali del prodotto raccolto con quelle del corri-spondente materiale spontaneo raccolto.Alla fine del progetto si sono individuate le possibili tecniche coltu-rali che assicurano il miglior compromesso tra produttività, stato

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fitosanitario e qualità finale. Tutta l’eccedenza dei raccolti è statamessa a disposizione dei proprietari delle aziende agricole che inalcuni casi hanno potuto commercializzare il prodotto o usarlo perle proprie aziende agrituristiche.

Località Altititudine Superficie Specie coltivate Parametri analizzati(m) (m2)

Piani di Vâs 1400 500 • C. alpina • Produzione• Densità• Epoca trapianto• Intensità raccolta

Monte 1700 100 • C. alpina • ProduzioneArvenis • C. bonus henricus • Densità

• A. dioicus • Epoca trapianto• L. officinale

Tramonti 412 150 • C. alpina • Produzionedi sopra • C. bonus henricus • Epoca trapianto

• A. dioicus • Ecotipi differenti• S. vulgaris

Stevenà 61 300 • C. bonus henricus • Produzionedi Caneva* • S. vulgaris • Densità

• Epoca trapianto• Ecotipi differenti

Molinis 200 800 • C. bonus henricus • Produzionedi Tarcento • A. dioicus • Densità

• S. vulgaris • Epoca trapianto• L. officinale • Ecotipi differenti

Curiedi 780 200 • C. alpina • Produzione• C. bonus henricus • Densità• A. dioicus • Epoca trapianto• L. officinale

Aurisina 230 100 • A. acutifolius • Produzione• Densità

Udine 90 100 • V. olitoria • Produzione • Ecotipi differenti

Tabella 1. I campi sperimentali di BioInnovErbe. * Il campo di Stevenà di Caneva è stato smantellato a fine 2009 per un accrescimento ano-malo delle piante e un’alta percentuale di mortalità dovuta alle caratteristiche pedologicheche hanno impedito il corretto attecchimento delle piantine.

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2.4 LE PIANTE

Asparago selvatico

Nome scientifico: Asparagus acutifolius L.Sinonimi: asparago pungenteNome friulano: sparc salvadiFamiglia botanica: Asparagaceae (Liliacee)Parte utilizzata: germogliUtilizzazione parte edule: cotta

L’asparago selvatico è una pianta tipica dell’area mediterranea,molto diffusa nelle zone costiere (sulle dune e nelle pinete indi-sturbate) ma anche nel sottobosco delle zone collinari. Il nomecomune deriva dalle caratteristiche spine poste alla base dell’appa-rato fogliare. La coltivazione dell’asparago selvatico è molto antica,risale probabilmente al tempo degli antichi Romani. Oggi questaspecie non viene più coltivata a livello professionale anche se hasempre incontrato l’interesse dei buongustai, in quanto i suoiturioni sono apprezzati per il loro spiccato sapore amarognoloche ne fa l’ingrediente base per la preparazione di numerosi piat-ti regionali.

Caratteristiche botaniche ed habitat. È una pianta arbustiva,sempreverde perenne. L’apparato radicale presenta numerosegemme raccolte in una corona dalla quale, ad inizio primavera,emergono turioni di colore verde-violaceo, dapprima teneri e nonramificati. Una volta sviluppati i turioni assumono una consistenzalegnosa e tendono a ramificare costituendo la vegetazione adulta.La pianta può raggiungere un’altezza variabile da 50 a 200 cm. I getti adulti sono composti da uno stelo provvisto di aculei e falsefoglie aghiformi lunghe circa 1-2 cm. L’asparago selvatico è unaspecie dioica, cioè vi sono piante con solo fiori maschili o femmini-li, riuniti in gruppi di 2-4, di colore giallo, che fioriscono in piena esta-te. L’impollinazione avviene ad opera degli insetti.I frutti sono piccole bacche sferiche di circa 6-8 mm di diametro, dalcolore verde scuro tendente al nero una volta mature. All’internodella bacca si possono trovare da 1-3 semi di colore nero lucente. La pianta predilige terreni con un buon livello di sostanza organica,

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riuscendo a crescere anche in terreni marginali, sabbiosi e con pre-senza di sassi.La coltivazione può essere effettuata anche in zone montane, manon oltre i 1100 metri s.l.m.

Semina. La tecnica della semina diretta è sconsigliata, a causadella scarsa germinabilità dei semi e dalla forte scalarità nell’emer-genza degli stessi. Le caratteristiche germinative possono esseremigliorate ricorrendo alla stratificazione delle bacche in sabbiaumida all’aperto, in modo che il seme sia sottoposto a temperatu-re calde d’estate ed accumuli molte ore di freddo d’inverno. Se lastratificazione dura almeno 8 mesi, è possibile ottenere una germi-nazione quasi totale, mentre stratificazioni prolungate per 2, 4 o 6mesi associate a una reidratazione successiva del seme (a un annodalla raccolta) permettono di ottenere una germinazione attorno al70%.Secondo altri studi, una percentuale di germinazione attornoall’80% può essere raggiunta con la post-maturazione del seme incondizioni asciutte per circa un anno, seguita da stratificazione insabbia umida per un mese e successiva imbibizione in acqua a 35 °Cper 24 ore.Un tipo di procedimento di stratificazione è quello in cui si disponein un contenitore forato uno strato di sabbia di circa 5 cm sul qualevanno adagiati i semi raccolti a completa maturità, cioè a fine autun-no. Questi vanno ricoperti con altro strato di sabbia di 5 cm. Il con-tenitore deve essere posto all’aperto, in un luogo riparato dal solee non soggetto a gelate, mantenendo una buona umidità della sab-bia.Senza ricorso alla stratificazione, eliminando buccia e polpa dellabacca, e mantenendo i semi al buio ad una temperatura di 20 °C,adagiati su un materiale tenuto costantemente umido, senza chevenga loro applicato alcun trattamento preventivo termico o chimi-co, né alcuna disinfezione, la germinazione raggiunge il 50% in 6mesi dall’inizio idratazione, a 10 mesi dalla raccolta del seme. Ilseme germinato va poi messo in contenitori con terricci da semina.Quando le piantine hanno raggiunto un’altezza minima di 10 cmpossono essere trapiantate in vasetti di tipo alto di almeno 10 cmdi diametro, dove vi rimarranno ancora qualche mese prima di esse-re messe definitivamente a dimora in pieno campo, non appena

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2. LA SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA 25

presenteranno un buon apparato radicale e germogli ben sviluppati. Èconsigliato effettuare una concimazione con prodotto organico prontoper l’uso (liquido) durante la fase vegetativa primaverile.Perché le piante siano pronte per il trapianto sono necessari quindicirca 2 anni dalla raccolta del seme.

Lavori preparatori. I terreni adatti ad ospitare l’asparago selvaticosono sabbiosi o sabbioso-limosi e devono possedere un pH neutro. È importante effettuare una aratura a 30-40 cm di profondità segui-ta da una ripuntatura a 50-70 cm. In autunno, durante i lavori di pre-parazione del terreno, possono essere interrati circa 5 kg/m2 di leta-me o compost ben maturo oltre a concimi organici in grado diapportare 5 g/m2 N, 2,5 g/m2 P2O5, 5 g/m2 K2O. Effettuare unabuona concimazione di fondo è indispensabile in previsione di unadurata almeno decennale dell’asparagiaia.

Impianto e allevamento. L’impianto può essere eseguito a partireda zampa o da piantina. Di seguito si riportano alcune note tecnicherelative solo all’impianto da piantina mancando dati attendibili perquanto riguarda l’impiego delle zampe.Il trapianto si esegue nella tarda primavera quando la parte aerea haraggiunto un’altezza di 15-20 cm e sono presenti almeno 3 steli. Lepiantine vengono sistemate in solchi di profondità tale da garantireche il colletto si trovi circa 5 cm sotto il piano di campo, rispettan-do una distanza tra le piante di 40-50 cm sulla fila e di almeno 250-300 cm tra le file. Nel corso di tutta la prima stagione vegetativabisogna porre particolare attenzione a soddisfare le esigenze idri-che della piantina a causa del ridotto sviluppo dell’apparato radi-cale ed a controllare le malerbe, vista la scarsa capacità di com-petizione della pianta nelle fasi giovanili. Il controllo delle infe-stanti nella fase di allevamento è oltremodo problematico se laconduzione colturale è fatta con il metodo biologico. In questocaso l’impiego di pacciamanti, pirodiserbo e ripetute lavorazionimeccaniche può sortire buoni risultati. Se la conduzione coltura-le è convenzionale si possono impiegare gli stessi principi attividiserbanti utilizzati per l’asparago comune anche se per tutto ilprimo e secondo anno è bene evitare di impiegare tali prodotti ose necessario impiegarli a partire dal secondo anno ma alle dosiminime dichiarate in etichetta.

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Coltivazione nel corso della produzione. A partire dal quartoanno, in concomitanza con la fine delle raccolte si devono effettua-re delle concimazioni sulla fila apportando 5 g/m2 N, 2,5 g/m2 P2O5,5 g/m2 K2O, cercando di interrare leggermente il fertilizzante. Nelcorso dell’autunno-inverno si può procedere allo spargimento sullafila di letame in ragione di almeno 2 kg/m2.Le altre pratiche colturali rispecchiano quanto comunemente fattoper l’asparago comune.

Raccolta. Come per l’asparago comune, anche quello spontaneonecessita di una raccolta scalare che può iniziare quando i primiturioni fuoriescono dal terreno per una lunghezza di circa 15-20 cm,generalmente ad inizio primavera. I turioni dell’asparago selvaticopresentano un diametro alla base non superiore a 4-5 mm, hannouna consistenza erbacea ed un colore verde intenso o violetto.È importante fare in modo che il turione si stacchi completamentedalla pianta madre, senza però danneggiare la corona da cui si è ori-ginato. Per questo sono molto utili le sgorbie o utensili simili chepermettono di recidere il turione dalla base senza causare danniall’apparato radicale della pianta madre.La durata della raccolta è funzione dell’età della pianta e dell’anda-mento stagionale. Inizia il quarto anno con una durata di 3 settima-ne e, a partire dal quarto anno, si prolunga per circa 2 mesi, ese-guendo raccolte a giorni alterni. Indicazioni esaustive sulla capacitàproduttiva dell’asparago pungente non sono ancora disponibili tut-tavia sulla base dei primi dati raccolti si può ipotizzare una produ-zione, a partire dal quarto anno, di circa 50-70 g/pianta.Una volta raccolti e lavati gli asparagi possono essere tenuti in frigoal massimo per 5-6 giorni. In alternativa per un periodo di tempo piùlungo possono essere surgelati e mantenuti a temperature inferio-ri di 15 °C. È possibile conservare i giovani turioni anche sott’olio.

Avversità e lotta. Per quanto riguarda la presenza di parassiti ani-mali, in regione si è riscontrata la presenza su piante adulte delcoleottero crisomelide Crioceris paracenthesis L., specie fitofagamonofaga, la cui diffusione è quindi unicamente correlata alla pre-senza dell’Asparagus acutifolius (da qui il nome comune di crioceradell’asparago selvatico), nutrendosi l’insetto a spese di fusti e cla-dofilli (organi verdi con funzione di foglia).

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Simili sono Crioceris asparagi L. (criocera dell’asparago) e Criocerisduodecimpunctata L. (criocera dai 12 punti), dannose perl’Asparagus officinalis, che possono vivere anche a spese degliasparagi spontanei e ornamentali. Compiono 2 generazioni all’anno,con adulti svernanti. Gli adulti e le larve si alimentano compiendoerosioni sui fusti, sulle ramificazioni e sui cladofilli, ma anche suiturioni, che possono deformarsi e perdere valore commerciale.Crioceris duodecimpunctata, pur comparendo più tardivamente diC. asparagi (verso giugno), risulta maggiormente dannosa per laproduzione di seme, poiché la larva compie anche profonde erosio-ne sulle bacche.Per combattere le criocere e salvaguardare lo sviluppo soprattuttodei giovani impianti e la produzione del seme delle piante madri, sipossono mantenere delle piante-trappola in mezzo a quelle coltiva-te sulle quali gli adulti deporranno le uova. Prima della schiusuradelle stesse, le piante dovranno essere rimosse oppure trattate coninsetticidi biologici. Solo in caso di forti infestazioni, quando la rac-colta dell’asparago è terminata, si può intervenire contro gli adulti ele larve con prodotti biologici a base di Spinosad o di Bacillus thu-ringiensis Berliner subsp. tenebrionis.La chioma ed il fusto della pianta può essere attaccata durante tuttoil ciclo vegetativo annuale dalla ruggine dell’asparago (Pucciniaasparagi D.C.) che si manifesta a partire dalla tarda estate con mac-chie allungate decolorate o giallastre, più avanti con pustole bruno-rossastre, e da luglio con pustole nerastre. Il sintomo visibile è ildisseccamento delle parti colpite, che provoca un indebolimentodelle piante, con scarsa produzione nella primavera successiva emaggiore suscettibilità all’attacco di altri patogeni, soprattutto delterreno. Il fungo interessa l’asparago coltivato, diverse specie diasparagi spontanei e anche la cipolla e lo scalogno. Attacca soprat-tutto le piantine in semenzaio e le piante non ancora in produzione,dove la presenza di vegetazione permette al patogeno di iniziare ilsuo ciclo di sviluppo in primavera. La lotta prevede l’eliminazionedurante l’inverno della vegetazione secca delle piante infette, asso-ciata ad eventuali trattamenti fungicidi per inattivare le spore. Infase vegetativa, dopo la raccolta dei turioni e fino ad agosto, si pos-sono effettuare trattamenti fungicidi con preparati rameici e zolfi, ocon agrofarmaci convenzionali (Tebuconazolo, Difenoconazolo,Azoxystrobin).

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Se le piante crescono stentatamente e spesso non sopravvivonoall’estate, se a primavera producono solo pochi turioni di aspettostentato, e se le chiome appaiono ingiallite, potrebbe trattarsi diun’infezione da Rhizoctonia violacea Tul. che provoca il ‘mal vinato’,così detto per via del micelio violaceo che interessa le aree colpite(apparato radicale, base del fusto). Individuato un focolaio di infe-zione, le piante colpite e quelle circostanti vanno distrutte ed il ter-reno disinfettato a vapore o mediante solarizzazione, o con prodot-ti biologici applicabili da ditte specializzate, o con sale marino, che,pur tollerato, può però alterare il sapore dei turioni rendendoli dol-ciastri. Si possono anche effettuare sovesci con specie biocide(fam. Cruciferae), da trinciare e interrare subito dopo nel terreno,prima della messa a dimora delle piantine.Sintomi sulla chioma simili sono dovuti a Fusarium oxysporum f.sp. asparagi Cohen, che però causa una tipica colorazione colormogano dell’apparato vascolare delle radici, del rizoma e del fusto,la cui base può presentare anche fessurazioni. È spesso associatoad altri Fusarium che provocano marciumi a carico degli organi sot-terranei. L’infezione è più frequente in terreni acidi e quando le tem-perature sono alte. Si previene disinfettando il seme con poltigliabordolese (immersione per 10 minuti in soluzione all’1%) e semi-nando entro pochissimo tempo dal trattamento, o immergendo isemi in acqua calda a 50 °C per 20 minuti (pratica che potrebberidurne la germinabilità), o inoculando le zampe o le plantule conceppi ipovirulenti di Fusarium oxysporum. Il seme può essere pro-tetto anche con estratti vegetali (es. da semi di pompelmo) o oliiessenziali (teatree, bergamotto, timo, origano, cannella). È benecollocare i nuovi semenzai in terreni non impiantati ad asparago peralmeno 8-10 anni. Le piante colpite vanno asportate e distrutte.Contro i principali patogeni fungini del suolo è possibile la lotta bio-logica, creando le condizioni per lo sviluppo nel terreno di floramicrobica antagonista. Prodotti a base di micelio di microrganismidel genere Trichoderma (T. asperellum Samuels, Lieckf. &Nirenberg per l’asparago) svolgono un’azione di inibizione sullo svi-luppo di funghi terricoli quali Rhizoctonia spp., Pythium spp. eFusarium spp. Va sottolineato il fatto che questi preparati microbio-logici vanno applicati preventivamente (in terricci o torbe o in pienocampo) in pre-semina o in pre-trapianto, oppure alla semina e al tra-pianto.

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Il vantaggio nell’uso di antagonisti naturali rispetto ai prodotti chi-mici è la capacità di questi organismi di colonizzare il terreno ripro-ducendosi autonomamente e di mantenere una buona dose di ino-culo a distanza di anni dal trattamento. Inoltre la flora microbica hainterazioni positive anche con l’apparato radicale delle piante, favo-rendone lo sviluppo e migliorando l’assorbimento degli elementinutritivi. Le bacche ed i semi al loro interno sono interessate da contamina-zioni di funghi diversi, tra cui Epicoccum nigrum, Pheacremoniumsp., Alternaria sp., Fusarium spp., Penicillium spp., Aspergillus spp.che provocano marciumi e ammuffimenti, minandone la germina-bilità.Le giovani plantule in vaso possono andare incontro a malattie delcolletto da Fusarium, che ne determinano l’avvizzimento e la con-seguente morte, sia per via della presenza dei funghi nel terricciodi coltura sia perché presenti già nel seme.

Barba di capra

Nome scientifico: Aruncus dioicus L.Sinonimi: barba di Giove, erba canona, coda di volpe, asparago dimonte, rosa di S. GiovanniNome friulano: Barbe di bec, penàcFamiglia botanica: RosaceaeParte utilizzata: germogliUtilizzazione parte edule: cotta

La barba di capra è una pianta erbacea, perenne, fogliosa, alta fino2 metri con fiori profumati, appartenente alla famiglia delleRosaceae. In Friuli è conosciuta col nome di barbe di bêc o penàc. Già in epoca romana la pianta era nota con i nomi di barba capraeed aruncus (Plinio); il termine aruncus deriva a sua volta dal grecodorico ρυγγο (àringos) = greco antico ρυγγο (éryngos) = barba dicapra.L’attributo specifico, dioicus, e cioè dioico, si riferisce al fatto chequesta specie è di norma caratterizzata da esemplari portanti solofiori maschili o solo fiori femminili.È presente in quasi tutte le regioni italiane, soprattutto su terreni

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declivi e ombreggiati, spesso sui bordi strada. È utilizzata comepianta ornamentale in molti giardini del nord Europa. Inoltre è cono-sciuta per le sue qualità mangerecce.

Caratteristiche botaniche ed habitat. È dotata di fusto ipogeo(rizoma) legnoso, dal quale si originano le radici sulle quali nellaparte apicale, si trovano le gemme, da cui a primavera si svilup-pano i nuovi germogli utilizzati per scopi culinari. Dai germogli sioriginano le nuove ramificazioni che a completo sviluppo posso-no raggiungere anche 2 metri di altezza. Le foglie sono lunghe,picciolate e di tipo composto. Ogni foglia principale è compostada gruppi di foglie pennatosette i cui segmenti finali (foglioline)sono lanceolati e lungamente acuminati. La lamina fogliare èseghettata. L’infiorescenza grande, vistosa, è una pannocchia terminale lunga20-30 cm, formata da numerosissimi fiori minuscoli di colore bian-co latte, raccolti in grappoli.I fiori maschili presentano 20 o più stami, ben sporgenti dalla corol-la, con antere scure; i femminili hanno ovario semi-infero compostoda 3 carpelli liberi; quelli ermafroditi portano generalmente 4 carpelliche sovrastano, in altezza, gli stami, che risultano essere molto piùbrevi anche dei petali.L’impollinazione avviene sia per azione degli insetti, che del vento.La fioritura avviene fra maggio e luglio. La pianta non teme il fred-do, e si sviluppa anche su terreni calcarei e mediamente pietrosi,può essere coltivata in molte zone ed in qualsiasi periodo dell’anno.Necessita di alcune ore al giorno di irradiamento solare, ma gene-ralmente preferisce luoghi ombreggiati e freschi di collina e di mon-tagna fino ai 1700 metri. Presenta uno sviluppo prevalentementeprimaverile ed estivo. Durante i mesi più freddi dell’anno la parteaerea può disseccare completamente, per spuntare l’anno succes-sivo a partire dai nuovi germogli.

Fase vivaistica. Per la barba di capra è impensabile parlare di semi-na diretta in campo, considerate le ridotte dimensioni del seme e laconseguente minima profondità di semina. Anche in questo caso ènecessario passare attraverso una fase vivaistica che preveda laproduzione di piantine idonee alla messa a dimora in pieno campo.La semina in vivaio avviene su terriccio fine ed apposite seminiere

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2. LA SPERIMENTAZIONE AGRONOMICA 31

distribuendo il seme lungo delle file di 0,5 cm di profondità e rico-perte con terriccio fine. Queste, appena hanno raggiunto un’altezzadi 3-4 cm possono essere ripicchettate in vasetti da 10 cm di dia-metro.Passate dalle 3-4 settimane di coltivazione e non appena la piantaha sviluppato un buon apparato radicale, si può passare alla messaa dimora a partire dalla primavera e per tutto il corso dell’estate.

Coltivazione. La densità di impianto è di 4-6 piante/m2, pari ad unsesto d’impianto di 50x50 cm oppure 40x40 cm.La coltivazione della barba di capra deve essere rivolta all’otteni-mento di germogli grandi e teneri durante la stagione primaverile.La sua coltivazione può essere paragonata a quella dell’asparago,anche se ci sono delle accortezze particolari da tenere presenti.Partendo dalla sistemazione del suolo è importante creare dellecondizioni ideali per la crescita della pianta. Il suolo deve esserearieggiato, soffice e umido, per far si che l’apparato radicale attec-chisca e si sviluppi perfettamente. Durante i lavori preparatori puòessere effettuata una concimazione di fondo con del letame benmaturo impiegando un quantitativo pari a 4 kg/m2.Nel corso della prima stagione vegetativa va posta attenzione a for-nire un abbondante e costante apporto idrico ed a controllare lemalerbe. La pacciamatura con telo plastico può essere una buonasoluzione per la gestione delle infestanti, ma potrà creare problemidurante le fasi di crescita e di raccolta dei germogli a partire dalsecondo anno, se non effettuata con materiali biodegradabili.La raccolta dei primi germogli può essere effettuata a partire dalsecondo anno dall’impianto ed andrà a regime a partire dal terzo-quarto anno.Negli anni successivi al trapianto, dopo la raccolta, è opportuno ese-guire una concimazione, utilizzando un concime organico sulla fila.Le dosi consigliate sono le seguenti: 7 g/m2 N, 3 g/m2 P2O5 e 7g/m2 K2O.Alla fine dell’autunno del primo anno di vegetazione o agli inizi dellaprimavera successiva per ottenere germogli più grandi e lunghisarebbe opportuno rincalzare le piante con del terreno finementelavorato o meglio dei residui organici di varia natura (humus di cor-tecce, torba ecc).

Raccolta. I giovani germogli si raccolgono tra marzo-aprile. È impor-

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tante raccogliere solamente quelli che non hanno ancora aperto lefoglie e che si presentano di colore rosso violaceo o verde chiaro. Igermogli più grandi, di dimensioni superiori ai 15-20 cm possonocontenere delle sostanze tossiche per l’organismo umano e quindinon vanno raccolti.Al fine di non indebolire la pianta è consigliabile raccogliere da ognisoggetto dai tre ai cinque germogli, cercando di lasciarne almenotre per formare una chioma in grado di assicurare uno sviluppoarmonico e duraturo nel tempo.I germogli di barba di capra presentano una minore scalarità diemergenza e sviluppo rispetto ad altre piante spontanee e quindi laraccolta può essere concentrata nell’arco di 2 settimane, eseguen-do 1-2 raccolte/settimana.Il prodotto fresco è sicuramente quello che mantiene inalterati tuttii sapori. È usato nelle frittate, nelle zuppe anche se viene inseritoquasi a fine cottura, oppure rosolato nell’olio insieme a cipolle epatate. Il prodotto fresco può essere conservato per alcuni giorni infrigo. I germogli sono anche mantenuti sott’olio.Possiede una tradizione nella medicina popolare per le proprietàantipiretiche, febbrifughe, toniche, espettoranti ed astringenti. Laradice, ridotta a poltiglia, veniva applicata sulle punture di vespa dainativi americani.

Avversità e lotta. Le piante possono essere colonizzate da afidi, checausano arricciamenti fogliari e sottraggono linfa. Anche se il dannoestetico non è rilevante, in caso di forti infestazioni su piante giovanipuò essere utile intervenire con piretrine naturali, per evitare un inde-bolimento delle piantine ed una stentata emergenza di nuovi germo-gli nella primavera successiva. I resti delle colture autunnali vannodistrutti onde evitare la sopravvivenza di forme di svernamento degliafidi, che possono essere infetti da virus e trasmetterli alle piante.

Buonenrico

Nome scientifico: Chenopodium bonus Henricus L.Sinonimi: farinello buon enrico, spinacio di monte, colubrina, pieded’asino, spinacio selvaticoNome friulano: pêl di mus, scùntic, jerbo da’ farino, gàsala, gàzala

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Famiglia botanica: ChenopodiaceaeParte utilizzata: germogli, foglieUtilizzazione parte edule: cruda, cotta, fritta

Il Chenopodium bonus Henricus è una pianta nota e diffusa in tuttaItalia ed apprezzata in gran parte dell’Europa. Il termine deriva dallapresenza di foglie triangolari palmate simili alle zampe di oca (dalgreco chen = oca) e pòdium = piedino. Bonus enricus perchéLinneo intese onorare Enrico IV re di Navarra e poi di Francia, pro-tettore dei botanici.Il nome farinello deriva dalla pruina biancastra presente sulla pagi-na fogliare inferiore. Nel centro-sud Italia è meglio noto con il ter-mine di spinacio di monte.

Caratteristiche botaniche ed habitat. La pianta è una erbaceabiennale. Al momento della germinazione il giovane stelo presentaun colore rossastro che con la crescita lascia il posto ad un coloreverde uniforme ed intenso. Le infiorescenze sono dei panicoli dicolore giallo tenue che tendono al nero una volta che il seme èmaturo. Questo si presenta di forma tondeggiante, piccolo e nero.La pianta può raggiungere un’altezza massima di 90 cm. Cresce spontanea su terreni umidi e ricchi in azoto, in collina soprai 250 metri, in montagna anche a 2000 metri. La si può trovare nellemalghe montane a ridosso degli edifici e soprattutto delle stalle.Per quanto concerne le caratteristiche del terreno il buon enricopreferisce substrati freschi e non sempre soleggiati, di buon impa-sto con poco scheletro, sciolti e ben drenati, ricchi di sostanza orga-nica. Il pH deve presentare valori attorno alla neutralità.Generalmente l’altitudine influisce direttamente sulla crescita esulla velocità di sviluppo della pianta.

Semina. La semina può essere eseguita in primavera (marzo-apri-le) quando le temperature iniziano a salire. La pianta presenterà unosviluppo lento per le prime fasi di sviluppo, per poi accelerare colmigliorare delle condizioni climatiche.Il terreno deve essere pareggiato e preparato a regola d’arte. Lasemina può essere eseguita con le comuni seminatrici meccanicheimpiegate in orticoltura, adottando una distanza tra le file di almeno25 cm mentre sulla fila la distanza tra i semi è di 4-5 cm. La profon-

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dità di semina non deve superare 0,5-1 cm.

Trapianto. Il trapianto delle giovani piantine può essere eseguito inautunno o agli inizi della primavera a seconda delle zone di coltivazionemantenendo una densità non inferiore a 8 piante/m2 e non superiore a13 piante/m2. È buona norma procedere, contemporaneamente al tra-pianto, alla stesura di un film plastico nero pacciamante per l’efficacecontrollo delle infestanti ed una maggiore precocità delle produzioni.Il buon enrico può essere trapiantato quando le piantine hanno for-mato un modesto apparato radicale, ma possibilmente prima che lapianta formi il panicolo.Subito dopo il trapianto si consiglia di irrigare il terreno al fine di faci-litare la ripresa vegetativa.

Coltivazione. La coltivazione è molto semplice e non richiede delleaccortezze particolari.La pianta comunque, dopo le prime fasi di accrescimento, forma uncespo rigoglioso e robusto che possiede un’alta competitività neiconfronti delle infestanti.Generalmente se le condizioni di crescita sono ottimali, la piantapuò dare dai due ai tre raccolti anche se le foglie tendono ad avereun sapore più deciso e amaro con il susseguirsi dei tagli.La concimazione in pre semina o pre trapianto, tenendo conto di ope-rare su suoli di media fertilità e con una produzione stimata in 1 kg/m2,deve apportare 12-15 g/m2 N, 8-10 g/m2 P2O5, e 15-18 g/m2 K2O.Nel secondo anno, mediante fertirrigazione, si possono apportarecirca 2/3 delle unità concimanti somministrate nella fase di impian-to. Un’attenta gestione idrica rallenta la salita a seme e migliora lacomposizione della parte edule grazie ad una maggiore incidenzadelle foglie sugli steli.

Raccolta. Questa pratica può differenziarsi a seconda del prodottofinale che si vuole ottenere. Se si intendono conservare i germoglisott’olio è indispensabile raccogliere i primi germogli ancora picco-li, quando presentano ancora una piccola infiorescenza di coloreverde.Per quanto concerne la raccolta delle foglie, questa può essere sca-lare ed realizzata raccogliendo le foglie che via via raggiungono lamaturazione commerciale oppure si possono semplicemente estir-

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pare i cespi interi ad un’altezza di circa 5 cm dal terreno. Le raccol-te possono essere 2-3 nell’arco di circa 2 mesi con una produzioneche raggiunge un totale di 1-1,2 kg/m2. Questo tipo di raccolta pro-duce circa un 15% di scarto.La conservazione delle foglie può essere effettuata in frigorifero amassimo 4 °C per 3-4 giorni. Il prodotto una volta pulito può ancheessere congelato. Si consiglia l’utilizzo fresco per preservarne ilgusto e tutti gli elementi nutritivi.In cucina può essere utilizzato come contorno o come ingredienteper risotti, frittate, zuppe, ma anche come ripieno per la pasta. Puòessere usato anche come condimento per la pizza.Le foglie adulte presentano un contenuto non trascurabile in acidoossalico, caffeico e ferro, pertanto il loro uso non è consigliato perpersone che presentano disturbi ai reni o alla vescica. Buono il con-tenuto in vitamine A, C, K, PP.Impacchi con foglie fresche possono essere utili in caso di ascessi.Possiede proprietà depurative emollienti, antianemiche e lassative.

Avversità e lotta. La problematica parassitaria principale per il buo-nenrico è rappresentata dalle larve delle nottue. Tra queste vi sonoMamestra brassicae L. (Nottua del cavolo) e Phlogophora meticu-losa L. (Nottua meticolosa della barbabietola) che erodono la lami-na fogliare prevalentemente durante le ore notturne, restando ariposo fra la vegetazione durante il giorno. Compiute 2 generazioniall’anno, si interrano nel suolo dove svernano come crisalide.Altre larve dannose appartengono al genere Agrotis che dopo unperiodo di attività sulla parte aerea si spostano sulle parti interratedelle piante, danneggiandole e determinando l’avvizzimento e lamorte delle piante, soprattutto di quelle più giovani. Compiono ingenere 2 generazioni all’anno.Nei confronti delle nottue si può intervenire con Bacillus thurin-giensis Berliner subsp. Aizawai o subsp. Kurstaki contro le giovanilarve in attività sulla vegetazione. Per colpire quelle sugli organi sot-terranei si possono utilizzare delle trappole-esca specifiche allacomparsa dei primi sintomi di avvizzimento. Il buonenrico può andare incontro all’attacco da parte di minatorifogliari, come ad es. ditteri Antomiidi del genere Pegomyia (cono-sciute come mosche della bietola) che vivono a spese delle fogliedelle chenopodiacee spontanee e coltivate. Sono mosche che com-

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piono 2-3 generazioni all’anno, con larve che scavano gallerie sot-toepidermiche nelle foglie, con conseguente disseccamento dellembo fogliare. Le infestazioni si verificano più frequentemente afine aprile-primi di maggio e nel periodo autunnale. Considerati ibassi livelli di infestazione, dovuti sia al numero elevato di parassitiche ostacolano lo sviluppo dell’insetto, sia all’incidenza delle condi-zioni ambientali, come il caldo estivo che porta un’alta mortalità dilarve e uova, non sono giustificati interventi.Per limitare la presenza di gallerie, si possono catturare gli adulti di que-ste mosche con vaschette trappola riempite di acqua zuccherata e avve-lenata con piretrine. Se si nota un’eccessiva quantità di uova depostesulla pagina inferiore delle foglie, si può intervenire sulle larve neonatecon azadiractina (utilizzabile fino 31/12/2011) o piretrine naturali.Tra gli insetti fitomizi, i principali sottrattori di linfa dal buonenricosono l’afide nero Aphis fabae Scop. e l’afide verde Myzus persicae(Sulzer). Oltre ai danni diretti (sottrazione di linfa e disseccamentifogliari) sono temibili in quanto vettori di numerosi virus, compresoquello del giallume delle bietola, che colpisce anche lo spinacio. Allacomparsa delle prime colonie, intervenire con piretrine. Simile alla peronospora farinosa su spinacio è Peronospora boni-henrici Gäum. che presenta una sintomatologia a macchie irrego-larmente distribuite, di colore ocra sulla pagina fogliare superiore acui corrisponde la presenza di feltro miceliare grigio-violaceo sullapagina inferiore. Le foglie gravemente colpite si accartocciano, dis-seccano e cadono al suolo, ed è importante la loro asportazione dalcampo poiché il patogeno si conserva per almeno 2 anni mediantemicelio e spore differenziatesi in tali residui.Persiste anche sui semi infettati, per questo sarebbe utile l’immer-sione in acqua a 50 °C per 10 minuti. Durante i periodi stagionalicon elevata e costante umidità e temperature miti si possono effet-tuare trattamenti protettivi con prodotti rameici, o antiperonospori-ci convenzionali (come fosetil-Al, propamocarb, cimoxanil) in som-ministrazioni settimanali.Il buonenrico può essere attaccato da funghi del terreno, che cau-sano malattie vascolari, con ingiallimento e disseccamento, comeFusarium oxysporum f.sp. spinaciae (Sherb.) Sn. Et Han., o marciu-mi al colletto o alle radici, come Pythium spp. e Rhizoctonia solanikühn. Si consiglia in questo caso di somministrare prodotti a basedi microrganismi antagonisti (Trichoderma asperellum Samuels,

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Lieckf. & Nirenberg) o concimi con azione di biostimolazione delleautodifese della pianta.Una virosi che colpisce molto comunemente le Chenopodiacee è ilmosaico del cetriolo che tra svariati sintomi può causare deformazio-ni e bollosità, clorosi con avvizzimento, forte nanismo. L’andamentodella malattia è legato alla presenza di popolazioni afidiche.

Radicchio di monte

Nome scientifico: Cicerbita alpina (L.) Wallr.Sinonimi: insalata dell’orso, cicerbita violetta, lattuga alpina.Nome friulano: latisùl salvadi, radichesse di mont, lidrìc di mont,radìc di mont, radìc dal glaç, radìc dal ors.Famiglia botanica: CompositaeParte utilizzata: germogli, foglieUtilizzazione parte edule: cotta, cruda

Probabilmente è una delle piante più conosciute e apprezzate del-l’arco alpino orientale e specialmente nelle Alpi Carniche. Il suo sapore amarognolo unico e inconfondibile fa sì che il radicchio dimonte sia apprezzato non solo a livello regionale, ma anche nazionale.

Caratteristiche botaniche ed habitat. La pianta solitamente dicolore verde chiaro, presenta un rizoma superficiale ben formato dacui al risveglio primaverile si sviluppano i germogli che danno origi-ne ai getti utilizzati a scopo alimentare. I germogli sono ben visibiliverso metà primavera, quando fuoriescono dai depositi nevosiancora presenti in montagna manifestando una forma allungata edun colore rosso-violaceo.Le foglie hanno una forma allungata; la lamina presenta il segmen-to terminale triangolare, acuto, glauche sulla pagina inferiore, a dif-ferenza del fusto e dell’infiorescenza che si presentano setolose.La pianta adulta raggiunge nel periodo di fioritura dimensioni varia-bili tra i 50-200 cm. Si rinviene in suoli umidi all’interno di canaloni di montagna, popo-lamenti di felci e ontaneti verdi.La presenza della Cicerbita alpina in un suolo spesso indica unabuona umidità e un buona dotazione di humus.

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Predilige suoli debolmente acidi, anche se si adatta a pH compresitra 4,5-7,5. Cresce meglio in mezza ombra, o comunque su terreniumidi ed esposti a nord, nord-ovest. Non sopporta le gelate tardivee valori estremi di temperatura.

Semina. La germinabilità naturale dei semi non supera il 3% circae pertanto la semina diretta è una strada non praticabile. È fonda-mentale perciò mettere a punto una serie di tecniche tali da eleva-re questa percentuale ad un valore perlomeno pari al 70%, elimi-nando per via gravimetrica i semi sterili (mediante tavole densime-triche) ed incrementando l’energia germinativa mediante la tecnicadell’osmostimolazione (osmopriming). Con questa tecnica si stimo-lano i normali processi che avvengono in natura all’interno del semenel corso delle fasi che precedono l’emissione della radichetta. In pratica si immerge il seme in una soluzione di acqua e sale per48 ore ad una temperatura compresa fra 18 e 25 °C. In ogni litrod’acqua si sciolgono circa 18-20 grammi di sale da cucina (clorurodi sodio) in maniera da portare la conducibilità elettrica (EC) a valo-ri compresi fra 25 e 30 mS/cm. Nel corso della durata del processoè fondamentale ossigenare adeguatamente la soluzione e provve-dere ad un cambio della soluzione dopo le prime 24 ore. Se siimpiegano contenitori da 1 o 2 litri l’ossigenazione può essere assi-curata facendo uso delle comuni pompe e diffusori da acquario. Afine operazione è importante risciacquare più volte il seme conacqua corrente e asciugarlo a temperatura ambiente. Grazie a que-sta tecnica non solo la germinabilità aumenta almeno di 20-25 voltema è possibile avere un maggior numero di piante, in un minortempo e di caratteristiche più costanti.Gli effetti benefici di questo trattamento permangono per circa 6-8settimane entro le quali si deve provvedere alla semina in conteni-tori alveolari comunque entro e non oltre luglio-agosto.

Trapianto. Come precedentemente detto il seme sottoposto adosmopriming può essere utilizzato, per la semina in contenitorialveolari con terriccio fine da semina.È necessario mantenere una certa cura nella distribuzione del seme(non più di 2 semi per foro di crescita) che deve essere ricoperto daun sottile strato di terriccio o vermiculite. Le bagnature, frequentima con volumi di acqua minimi, possono essere realizzate con

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nebulizzatore al fine di evitare che il seme rimanga scoperto dal ter-riccio o addirittura fuoriesca dal foro. Utilizzare un tessuto non tes-suto in copertura sopra i contenitori nelle prime fasi germinativeassicura una migliore emergenza della plantula.Appena la giovane piantina ha sviluppato un buon apparato radicale ecioè dopo circa 40 giorni dalla semina, può essere messa a dimora incampo o ripicchettata in un contenitore di maggiori dimensioni.

Coltivazione. Il radicchio di monte è una pianta che può esserefacilmente coltivata ma solo in zone ad una altitudine non inferioreai 900-1000 metri s.l.m. e comunque non esposte a sud.Appena le piante per il trapianto sono pronte, si può eseguire lamessa a dimora che può avvenire ad inizio autunno oppure nella pri-mavera seguente.Il trapianto può essere effettuato su terreno finemente lavorato eprecedentemente concimato con letame maturo con un quantitati-vo pari a 5 kg/m2.La densità di impianto consigliata può variare da circa 2 a 8 pian-te/m2 a seconda che si opti per la messa a dimora su suolo nudoo pacciamato. La pacciamatura può rivelarsi utile soprattutto peril primo anno di crescita, poiché elimina o riduce il problema delleinfestanti. Nello stesso tempo però, potrebbe ostacolare l’emis-sione o compromettere lo sviluppo di nuovi getti rimasti intrappo-lati sotto il telo. Se l’impianto è effettuato su suolo nudo le distan-ze tra le file non devono essere inferiori a 120 cm in maniera taleda permettere la lavorazione meccanica dell’interfila con la qualesi procederà all’interramento delle concimazioni organiche ed alcontrollo delle malerbe nel corso della stagione vegetativa. Sullafila la distanza tra le piante non deve scendere al di sotto dei 50cm. Nel caso si impieghi la pacciamatura con film plastici neri, ladistanza tra le aiuole pacciamate deve essere di almeno 250 cmmentre sulla prosa si provvederà a sistemare 3 file con una distan-za tra le file e le piante di 30 cm. Dal secondo anno in poi, a raccolta ultimata, è necessario apporta-re alla pianta un quantitativo di nutrienti pari a 6 g/m2 N, 3 g/m2

P2O5 e 8 g/m2 K2O che può essere distribuito sull’interfila o viamanichetta con la fertirrigazione se si opera su colture pacciamate.Durante le settimane successive alla raccolta può essere utile eli-minare gli scapi fiorali che vengono a formarsi al fine di non disper-

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dere le energie della pianta nella fase riproduttiva e massimizzarecosì l’accumulo dei nutrienti nella parte ipogea della pianta. Un’operazione che ha dimostrato di poter migliorare la qualità deigetti consiste nel coprire il terreno sovrastante le piante consostanza organica (humus di cortecce, compost verde, torba) for-mando delle porche alte 30-40 cm. In questo modo si induce un’e-ziolatura che assicura un aumento della parte edule, un maggiordiametro dei getti, una maggiore tenerezza degli stessi ed un gustopiù delicato.

Raccolta. La raccolta dei giovani germogli può iniziare quando que-sti sono emersi dal terreno per non più di 10 cm e presentano lefoglie ancora chiuse. L’optimum, sarebbe quello di raccogliere igetti che sono appena fuoriusciti e che hanno un colore rossastro,specialmente se il terreno è ancora coperto da manto nevoso inzone di montagna.La raccolta deve partire dal secondo anno di sviluppo della pianta,poiché un anticipo al primo anno potrebbe avere conseguenzenegative sulla sopravvivenza delle piante negli anni successivi.Come per l’asparago si può procedere con una raccolta scalare neltempo e non superiore alle tre settimane. La raccolta può avveniremanualmente, talvolta coadiuvata da un coltellino, avendo l’accor-tezza di non danneggiare la corona di gemme che si trova poco aldi sotto della superficie del suolo e dalla quale si formeranno i gettinel corso della stagione vegetativa. Considerando che una pianta in buono stato fisiologico può generaredai 6-8 getti ogni anno, si consiglia di raccogliere al massimo 4-5 gettiper pianta o comunque di lasciare crescere nelle prime settimane diraccolta almeno 1-2 germogli. La produzione può variare da 1-2 t/ha indipendenza dell’intensità di raccolta e della densità di impianto.I germogli possono essere consumati crudi o cotti, in abbinamentocon salumi per la preparazione di gustosi antipasti o in risotti e frit-tate. La conservazione sott’olio avviene previa breve scottatura deigermogli in acqua salata ed acidificata con aceto di vino. Talvoltasono aggiunte anche piccole quantità di vino bianco e zucchero.

Avversità e lotta. Non si segnalano fitofagi dannosi alla coltura equesto fatto sembra essere dovuto alla presenza nelle foglie e nelleradici di Cicerbita alpina di cumarine, composti nocivi per gli insetti,

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e di sesquiterpenlattoni, comunemente ritenuti responsabili di atti-vità repellente contro parassiti animali.Per quanto riguarda le malattie fungine si segnala la possibile presen-za di mal bianco sulle foglie, più frequente in serra che in pienocampo, causato da Golovinomyces cichoracearum (DC.) V.P. Heluta. A carico delle foglie troviamo anche Alternaria sp. che si presentacon maculature tondeggianti di colore marrone-rossiccio, e Phomasp. che si manifesta con chiazze giallastre irregolari che si trasfor-mano in tessuto necrotizzato di colore scuro.Entrambe queste due infezioni fungine tendono a manifestarsi neimesi di luglio e agosto, quando ormai la pianta della Cicerbita, conla produzione di seme, ha esaurito il suo ciclo vegetativo annuale,ed è per questo che un attacco fungino così avanti nella stagionenon pregiudica la produttività della pianta e la raccolta dei germogliprimaverili. Si possono contenere queste patologie sia adottandoprovvedimenti di carattere preventivo, come l’utilizzo di terricciovergine per l’allevamento delle piantine, l’uso di seme non infettoo trattato con olio essenziale di bergamotto o estratto di semi dipompelmo, il trapianto di piante sane, sia con interventi tempe-stivi con prodotti a base di rame o zolfo (maggiormente indicatoper l’oidio) alla comparsa dei sintomi di malattia per impedirne ladiffusione.

Levistico

Nome scientifico: Levisticum officinale KockSinonimi: sedano di monte, prezzemolo dell’amore, ligustro, ligu-stico, appio di montagna, sistra, sedaninaNome friulano: selino di montFamiglia botanica: UmbelliferaeParte utilizzata: foglie, gambi, semiUtilizzazione parte edule: cotta

Pianta erbacea usata fin dall’antichità grazie alle sue proprietà curati-ve, ma soprattutto culinarie. Anche se non molto comune, è una dellespecie più profumate delle nostre Alpi. Originaria della Persia si èambientata nelle zone alpine ed appenniniche fino ai 1500 metri. Per il suo aroma era molto usata nella cucina degli antichi Romani,

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aveva lo stesso ruolo che nella cucina moderna occupano il sedanocomune ed il prezzemolo. Lo troviamo citato in varie ricette del librodi cucina De re coquinaria di Apicio grande cuoco dell’antica Roma,quale ingrediente di salse, per aromatizzare zuppe di pesce, carnipollame e quale componente del famoso garum. È ancora oggi con-siderato un ortaggio prezioso utilizzato nella cucina povera di moltelocalità italiane. Forse il suo nome deriva dal termine latino ‘levare’,cioè togliere o alleviare poiché ha la proprietà di lenire piccoli mali. Nei testi medievali gli viene attribuito erroneamente un effetto sti-molante per “l’amore” (dall’inglese Loveache), le ascrivevano infat-ti effetti stimolanti dal punto di vista sessuale. Con la sua radice sipreparavano innumerevoli elisir e pozioni ‘miracolose’.

Caratteristiche botaniche ed habitat. Il sedano di montagna èuna pianta perenne, il cui fusto può raggiungere un’altezza di oltre2 metri, formando cespi raccolti, eleganti a portamento eretto. Ilfusto si presenta cavo all’interno, esternamente è lucido e striato,mostrando in fase giovanile delle sfumature rossastre.Le foglie sono molto simili a quelle del sedano, tri-pennatosette,incise e dentate, portate alterne sul fusto. Nelle piante a pieno svi-luppo le foglie basali presentano grandi dimensioni, anche grazie allungo picciolo. Sono molto profumate e anche dopo l’essiccazioneconservano il loro caratteristico aroma. I fiori, presenti a partire dagiugno fino ad agosto, sono gialli, molto piccoli, formati da 5 petalie raccolti in ombrelle composte da 10-20 raggi.Cresce spontanea vicino alle malghe, nei prati incolti, in pieno soleo a mezza ombra, in terreni ricchi, umidi e ben drenati. È comunetrovarla negli orti soprattutto in quelli di montagna poiché essendouna pianta perenne e di elevata vigoria non obbliga il contadino adoverla trapiantare ogni anno.

Semina in vivaio. Si suggerisce di raccogliere il seme e di seminarloin semenzaio con terriccio per l’ottenimento di giovani plantule chepossono essere successivamente trapiantate in vaso appena hannoformato un buon apparato radicale (circa 30-40 giorni) oppure diretta-mente in campo quando hanno un’altezza di circa 10 cm. Il semegeneralmente può essere raccolto agli inizi della stagione estiva, quan-do ha raggiunto la maturità e manifesta un colore marrone.

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Trapianto in pieno campo e coltivazione. Può essere effettuatoagli inizi dell’autunno o in primavera. La densità di trapianto puòessere pari a 3-6 piante/m2 con sesti d’impianto da 50 cm sulla filae 70 cm tra le file.A differenza del sedano comune, quello di montagna riesce a tolle-rare molto bene le temperature rigide, anche se in pieno sviluppopreferisce climi temperati ma non eccessivamente caldi. Crescebene su qualsiasi tipo di terreno purché non troppo basico o acido.Durante la fase di sviluppo è importante utilizzare un tutore perottenere una crescita corretta e anche per evitare che gli agentiatmosferici provochino la recisione delle parti aeree ben sviluppate.La pianta può essere coltivata nell’orto senza particolari accorgi-menti tecnici e senza l’utilizzo della pacciamatura, è importanteperò monitorare la disponibilità di acqua soprattutto nei periodi piùcaldi e secchi, cercando di non bagnare la parte aerea della piantaed evitare così possibili attacchi parassitari.La concimazione può essere effettuata al momento del trapiantointerrando circa 6g/m2 N, 7,5g/m2 P2O5, e 10g/m2 K2O (consideran-do una densità media di 4 piante/m2). Negli anni successivi è utileeffettuare una concimazione prima della fuoriuscita dei nuovi ger-mogli primaverili con dosi pari a 2/3 di quelli usati al trapianto.

Raccolta. La raccolta può essere fatta scalarmente, cercando diraccogliere prima i getti più grossi che si sviluppano precocementee poi gli altri. Al fine di evitare stress alla pianta è opportuno nonraccogliere l’intera chioma. Una raccolta attenta migliora sicura-mente lo stato sanitario della pianta.Le parti raccolte che variano a seconda dell’utilizzo, possono esse-re conservate per diversi mesi a 0 °C previa immersione in acqua a2-4 °C.Sostituito in molte preparazioni da un battuto di prezzemolo e seda-no, l’uso del levistico è stato quasi dimenticato. Oggigiorno peròagriturismi e ristoranti, alla ricerca di antichi sapori genuini, stannoriproponendo molti piatti in cui il sedano di montagna ha un ruoloprincipe. In cucina possono esserne utilizzate tutte le sue parti: lefoglie ed i gambi tritati freschi oppure essiccati, sono usati per insa-porire minestre, stufati, bolliti, insalate, brasati, con le patate, i legu-mi, frittate, nelle preparazioni di dadi per brodo, aggiungono un gra-devole sapore a molti altri piatti, come quelli a base di pollo e al bac-

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calà. La radice viene grattugiata cruda o ridotta in polvere ed utiliz-zata come condimento. I semi aromatici possono essere aggiunti alriso, alla pasta, al pane per preparare focaccine, biscotti, o più sem-plicemente utilizzati per insaporire uova al tegame. Se impiegato in cucina si può ridurre l’aggiunta di sale grazie allanaturale dotazione delle parti verdi. Il levistico sprigiona tutto il suoaroma se viene messo subito a cuocere insieme agli altri ingre-dientiInoltre il seme maturo può essere utilizzato per la realizzazioni diliquori.Il suo impiego terapeutico era conosciuto fin dall’antichità ed èlegato alla tradizione monastica.Il Levistico ha proprietà diuretiche, antiedemiche, antireumatiche,deodoranti, antisettiche, carminative, toniche e digestive. I suoiprincipi attivi sono rappresentati da resine, tannini, zuccheri, vitami-na C ed oli essenziali.

Avversità e lotta. Un parassita caratteristico delle foglie è il ditte-ro Euleia heraclei L., che attacca molte ombrellifere spontanee, conpreferenza per il sedano, la carota e il prezzemolo. È chiamatamosca minatrice del sedano perché la larva scava grosse minenelle foglie, senza intaccarne la superficie. Le parti colpite dissec-cano e le larve a maturità si lasciano cadere al suolo dove si impu-pano a poca profondità. Compie 4 generazioni all’anno, ma i dannimaggiori si hanno all’inizio dell’estate sulle piante ancora fresche.Una prassi di contenimento del parassita è quella di smuovere iprimi centimetri di terreno per rimuovere i pupari color giallo paglia,e solo in caso di una forte presenza di mine iniziali o di una graveinfestazione nella generazione precedente, si possono effettuaretrattamenti sulle uova e le larve neonate con azadiractina (utilizza-bile fino 31/12/2011), o piretrine, dopo circa una settimana dallapresenza più cospicua di adulti in volo (indicativamente inizi maggio-fine giugno-inizi agosto-fine settembre).Una presenza diffusa sulle piante di levistico, come su molte altrespecie, è quella dell’afide nero Aphis fabae Scopoli, in particolarenelle zone di vegetazione dei suoi ospiti primari, ovvero evonimoeuropeo (Euonymus europaeus L.), viburno (Viburnum spp.) e fiord’angelo (Philadelphus coronarius L.). Sintomi della presenza dell’a-fide, oltre alle colonie scure, sono lo sviluppo ridotto della pianta,

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l’accartocciamento delle foglie, e nei casi di gravi infestazioni, il dis-seccamento. Indicativa anche la presenza di numerose formiche,che si nutrono della melata prodotta dall’afide e che determina losviluppo di fumaggini sulla vegetazione.Gli afidi possono trasmettere malattie di origine virale, come il virusdel mosaico del sedano, che si manifestano con un mosaico giallointenso, con deformazioni e accartocciamenti, bollosità e scarsoaccrescimento delle piante. Questi fitofagi hanno diversi nemicinaturali: sia gli insetti utili, come coccinellidi, braconidi, sirfidi, siasoprattutto funghi entomopatogeni. Se questi non dovessero esse-re in grado di contenere i parassiti, la difesa può essere attuata conl’uso di pietrine, azadiractina, olio minerale, o mediante accorgi-menti repulsivi per gli afidi quali l’uso di superfici riflettenti, comefogli di alluminio, o agronomicamente, eliminando le piante erbaceespontanee che permettono precoci infestazioni primaverili.Sulle foglie possono manifestarsi maculature fogliari, dovute forsea Septoria apiicola Speg., agente della septoriosi del sedano, chedetermina la comparsa sulle foglie di punti clorotici che necrotiz-zando diventano macchie bruno-scure, al cui interno compaionopiccoli corpuscoli neri. La patologia colpisce maggiormente concondizioni climatiche umide o piovose. Usare piantagioni non trop-po fitte ed astenersi dall’irrigare nelle ore serali (per evitare ristagnid’acqua sulle piante durante la notte) sono pratiche utili per conte-nere la malattia, così come quella di utilizzare seme sano o invec-chiato per almeno 3 anni, periodo dopo il quale il fungo perde la suavitalità.In presenza del patogeno e di condizioni climatiche favorevoli adesso, si possono effettuare trattamenti fogliari ogni 7-15 giorni conprodotti rameici.Simile è Cercospora apii Fresen. per la quale sono validi gli stessiinterventi adottabili contro la septoria.

Pungitopo

Nome scientifico: Ruscus aculeatus L.Sinonimi: rusco, ruscoloNome friulano: ruscli, rùssulFamiglia botanica: Ruscaceae (Liliaceae)

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Parte utilizzata: foglie, steli, germogli primaveriliUtilizzazione parte edule: cotta, cruda

Nota con il nome comune di pungitopo, questa pianta è presente intutto il bacino europeo del Mediterraneo. È un arbusto spinoso dalcolore verde lucente e dalle inconfondibili bacche rosso fuoco. Èfacile individuarlo nei sottoboschi, spesso in consociazione con l’a-sparago selvatico. Raramente supera il metro di altezza, e grazieall’aspetto esteticamente ordinato è adatto per formare cespugliornamentali all’interno di giardini privati, oppure è utilizzato comebordura lungo un recinto.Il nome comune deriva dall’antica usanza di mettere tale piantaattorno alle provviste, in modo da proteggerle dall’attacco dei topi,grazie alle ‘foglie’ spinose e pungenti.

Caratteristiche botaniche ed habitat. Il pungitopo è una pianta sem-preverde rustica e perenne. La radice o zampa è generalmente gros-sa e resistente, ed è da questa che in primavera fuoriescono i nuovigetti di colore rosso violaceo che vengono utilizzati in cucina. Il pungitopo presenta foglie poco appariscenti, dall’aspetto di squa-me biancastre, dalle quali spuntano i ‘cladodi’ (rametti modificati infalse foglie) rigidi e carnosi, lunghi 2-4 cm e terminanti con un apicespinoso, che delle foglie svolgono la funzione. Il pungitopo è unapianta dioica, i fiori maschili e femminili sono portati da piante sepa-rate. Quelli femminili piccoli bianco-rosati compaiono ad ottobre-novembre o febbraio-aprile, a seconda della zona climatica, e suc-cessivamente si trasformano in bacche sferiche rosse e lucide didiametro 1-1,5 cm, contenenti 1, raramente 2 semi, di colore bian-castro-traslucido, di diametro 7-8 mm.I frutti rimanendo sulla pianta per tutto il periodo autunnale fino allaprimavera seguente, conferiscono alla stessa un aspetto decorati-vo importante. Si sviluppa bene nei climi mediterranei, sopportando anche sensi-bili sbalzi termici e temperature attorno ai –10 °C. Può crescere suterreni alcalini, neutri o sub acidi.

Semina e propagazione. È sconsigliabile la semina in pienocampo, considerando i tempi lunghi richiesti per la germinazione, acausa dell’accentuata dormienza del seme.

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Può essere utile, dopo la raccolta dei frutti effettuata a fine autun-no, rimuovere la polpa dalle bacche al fine di ridurre l’incidenza dimalattie, e sottoporre i semi a stratificazione o a trattamenti di sti-molazione della germinazione, come l’osmopriming. La tecnica pre-vede l’immersione dei semi in una soluzione salina con conducibi-lità di 28-30 mS, tenuta costantemente ossigenata mediante unapompa di aerazione. La durata dell’immersione testata per il pungito-po va dai 5 ai 20 giorni. Si è proceduto poi alla semina primaverile inseminiere poste in tunnel freddo, con germinazione dei semi dopo 3mesi. Con tale metodo si sono accorciati i tempi di germinazione edè aumentata anche la percentuale di semi germinati (92% per l’o-smopriming 20 giorni contro il 78% del test non trattato).Alternativa alla produzione di piantine a partire da seme, è la prati-ca della raccolta e del trapianto di talee costituite dai germogli del-l’annata in corso, oppure la divisione dei cespi di piante madri a set-tembre o fine inverno, facendo molta attenzione ad adoperare unostrumento tagliente, considerato che il rizoma sotterraneo è moltogrosso e resistente.

Trapianto. Una volta germinati i semi, le piantine saranno pronteper essere ripicchettate in vasetti singoli nella primavera successi-va. A causa dell’accrescimento molto lento di questa specie, lepiante dovranno rimanere in vaso per due anni prima di poter pro-cedere al trapianto in piena terra. Considerato il lungo periodo dipermanenza in vaso, è consigliata la somministrazione di un conci-me organico a lenta cessione, come la cornunghia. D’estate ènecessario ombreggiare le piantine e d’inverno tenerle in luoghiprotetti da temperature troppo rigide.Le piante ottenute per divisione di rizomi o per talea sono pronteper il trapianto in piena terra dopo circa un anno di permanenza invaso, i quanto presentano dimensioni maggiori dei semenzai.Il periodo ideale per trapiantare il pungitopo è la fine autunno-iniziinverno.

Coltivazione. Le operazioni preliminari di messa a coltura devonoavere lo scopo di lavorare bene il terreno per almeno 40 cm, evi-tando i ristagni di acqua. In questa fase possono essere interraticirca 4 kg/m2 di letame o compost ben maturo. La concimazione difondo è utile in previsione di mantenere l’impianto per diversi anni,

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anche perché la pianta nei primi due anni ha uno sviluppo moltolento. Negli anni successivi, possono essere fatte delle concima-zioni ad anni alternati dopo la raccolta o agli inizi dell’autunno appor-tando 5 g/m2 N, 2,5 g/m2 P2O5, 5 g/m2 K2O, cercando di interrarloleggermente.Il sesto d’impianto consigliato deve mantenere una distanza mini-ma di 50 cm sulla fila e di 150-200 cm tra le file.È una pianta che non tollera la luce diretta ed intensa quindi èopportuno effettuare le coltivazioni in ambiente umido e poco asso-lato o che riceva luce alle prime ore del mattino o nel tardo pome-riggio.La pianta adulta tollera periodi asciutti, tuttavia, al fine di ottimizza-re la produzione, è necessario prevedere delle irrigazioni di soccor-so in caso di siccità prolungata.Per ottenere un’abbondante fioritura dell’arbusto negli anni, si deveseguire l’avvertenza di potarlo in primavera quando cadono i frutti.

Raccolta. Considerato il lento sviluppo della pianta è necessarioche questa si accresca bene nel terreno e non venga raccolta peralmeno 2 anni dal trapianto. La piena raccolta si ha a partire dalquarto-quinto anno e si può protrarre per più di un decennio.Il periodo di raccolta varia a seconda della zona di coltivazione, comun-que è consigliabile prelevare i germogli più giovani quando hanno rag-giunto un altezza non superiore ai 20 cm ed hanno ancora l’apice chiu-so e di colore verde. Germogli di maggiore lunghezza sono meno ido-nei al consumo in quanto iniziano a lignificare alla base.La raccolta può essere fatta scalarmente nell’arco di tre settimane,cercando però di lasciare sulla pianta almeno un nuovo getto allasettimana, tanto da non indurre problemi di stress. In condizioniottimali e con impianti formati da piante in pieno sviluppo si posso-no raggiungere produzioni di 0,6-1 t/ha.L’uso che se ne può fare in cucina è svariato: dal semplice contor-no alle uova o nelle frittate, al contorno del baccalà con pomodori-ni, senza tralasciare la conservazione sott’olio.È una pianta medicinale largamente usata per cure fitoterapiche enella preparazioni di svariati farmaci ad azione antinfiammatoria eprotettiva dei vasi sanguinei, contro la formazione dei calcoli allavescica e le emorroidi.

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Avversità e lotta. I principali parassiti di questa pianta sono le coc-ciniglie, che se in numero elevato possono indebolire la pianta; incaso di necessità intervenire con oli minerali.Germogli e giovani cladodi possono essere colonizzati da afidi olarve di nottue, ma non si tratta di un fenomeno di ampie propor-zioni. A carico di questa specie sono segnalati funghi che provocano mar-ciumi basali e/o radicali (quali Fusarium spp., Cylindrocarpon sp.,Rhizoctonia violacea, Phytophthora spp.) contro i quali si può inter-venire biologicamente mediante l’impiego di Trichoderma spp.,favorendo il drenaggio e l’aerazione degli impianti, ed eliminando lepiante gravemente colpite asportandole col relativo pane di terra.Le più comuni patologie della parte aerea sono le alterazioni foglia-ri provocate da Phyllosticta sp. che causa la comparsa di macchieda rotondeggianti, bianco-nocciola, il cui centro, col tempo, tende aperforarsi, e l’Antracnosi da Colletotrichum gloeosporioides chegenera macchie necrotiche più o meno ampie ed irregolari sui cla-dodi e soprattutto sugli steli.Non si ritengono necessari interventi di tipo antiparassitario, data lamodesta incidenza di queste patologie, dovute soprattutto a rista-gni di umidità.

Silene o Bubbolini

Nome scientifico: Silene vulgaris (Moenck)Sinonimi: silene rigonfia, strigoli (in Toscana), schioppetti (inVeneto)Nome friulano: sclopìt, grisulò, sgrisulò, grisulina, grisulòn, scjalù-tos, fredùm, sclops, povarineFamiglia botanica: CaryophyllaceaeParte utilizzata: germogli, foglieUtilizzazione parte edule: cotta, fritta

Fra le numerose erbette, è tra quelle spontanee più utilizzate, dif-fuse e apprezzate nella regione Friuli Venezia Giulia. È conosciutaanche nel resto d’Italia con diversi appellativi come strigoli (inToscana) dovuto al leggero suono stridulo che fanno le foglie quan-do si stropicciano con le dita, o schioppetti (Veneto) grazie allo scop-

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pio provocato dai fiori se pressati su una superficie, presenta altrinomi comuni quali erba del cucco, bubboli, sonaglini. È semprestata utilizzata per la preparazione di manicaretti nelle case conta-dine e tutt’ora il suo impiego è diffuso nelle cucine di ristoranti,trattorie, osterie ed agriturismi, nonché in molte feste e sagrepaesane.Il nome Silene potrebbe derivare dal greco selene che significaluna. Un’altra ipotesi etimologica può essere quella di far derivare ilnome dal greco ‘Silenos’ e dal latino ‘Silenus’, compagno di Dionisoe padre dei Satiri dal ventre rigonfio come il calice di queste pianteod infine avere qualche connessione con il vocabolo greco sialon‘saliva’ con allusione alla sostanza bianca, attaccaticcia, che moltespecie presentano sul fusto e sul calice.

Caratteristiche botaniche ed habitat. È una pianta erbaceaperenne, alta fino a 70 cm, con diversi fusti che si originano da unarosetta basale. Le foglie sono verde glauco, lisce, lineari, opposte:quelle basali hanno un breve picciolo, quelle più alte avvolgono ilfusto con una guaina.Generalmente il fusto risulta lungo, presentando all’apice un’infio-rescenza formata da diversi fiori penduli dalla caratteristica forma apalloncino, la cui apertura è bordata da una corona di petali bianchiprofondamente incisi.Data la presenza di numerose varietà, l’adattamento che la speciepossiede ai diversi ambienti di crescita è ottimale. La varietà vulga-ris tollera poco i terreni argilloso-limosi, manifestando problemi dicrescita dell’apparato radicale. Sopporta un’ampia gamma di valoridi pH, da subalcalini a subacidi. In Italia è diffusa in tutte le regioni, dalla montagna al mare, prefe-rendo ambienti differenti a seconda delle numerose sottospecie. Inmontagna e in pianura è diffusa nei prati stabili e anche in vicinan-za dei greti dei torrenti. Nelle zone marine, dove è meno diffusa, sipuò trovare su terreni sabbiosi e asciutti.

Semina. In primavera con la ripresa vegetativa dopo una buonalavorazione del terreno, oppure in tarda estate se si vuole anticipa-re la raccolta nell’anno successivo.La semina può essere condotta con apposite seminatrici meccani-che o a spaglio su terreno nudo, facendo attenzione a non interra-

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re il seme oltre 0,5-1 cm. Su terreno pacciamato si può provvederealla messa a dimora di 3-4 semi per ogni foro.Per la densità di semina è consigliabile non superare le 20 pian-te/m2 per evitare un’eccessiva densità della vegetazione, a partiredagli anni successivi al primo con un effetto negativo dovuto allacrescita maggiore della pianta che tende così a ‘filare’ producendofoglie più piccole e steli lunghi.

Trapianto. Il seme, raccolto in giugno-luglio, può essere seminatoin apposite seminiere su substrato umido e fine. Le piantine, dopoun periodo di circa 30 giorni sono pronte per la messa a dimora defi-nitiva. Talvolta si procede ad un successivo ripicchettamento in unvaso di 8-9 cm al fine di ottenere delle piante più vigorose, più omo-genee, con un buon apparato radicale ed in grado di competere conle altre infestanti una volta trapiantate in campo. Il trapianto puòessere effettuato in autunno o in primavera comunque quando nonsi raggiungono i picchi termici.Le densità consigliate sono di 13-17 piante/m2 mantenendo unadistanza di 30 cm tra le file e 20-25 cm sulla fila.

Coltivazione. Per quanto concerne le tecniche di coltivazione, lasilene può essere paragonata ad una coltura da taglio tipo lattuga orucola, considerando che in condizioni ottimali la pianta riesce adare anche tre tagli per stagione, da aprile a giugno.Successivamente e a causa dei continui tagli la pianta tende a ligni-ficare lo stelo dalla base e quindi le foglie assumono un sapore eduna consistenza più amara e meno piacevole al palato. Un impian-to ben condotto può avere una durata economica di 2-3 anni.La pacciamatura con film plastici neri, anche se caldamente consi-gliata per il controllo delle infestanti, costituisce un ottimo riparoper le arvicole nei periodi invernali che tendono a creare delle tanesotto il telo, rosicchiando l’apparato radicale delle piante e determi-nandone la morte. Il telo deve essere ben teso al fine di evitare che la pianta cresca aldi sotto dello stesso, formando nella stagione seguente un prodot-to più scadente.La silene assume talvolta i caratteri propri di una infestante avendouna buona capacità di sviluppo e di competizione con le altre spe-cie. Inoltre i semi possiedono una buona capacità di germinazione

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tanto che in campo non è infrequente rinvenire nuove piantine natedal seme caduto.La concimazione può essere fatta all’atto della preparazione del ter-reno (tenuto conto del tempo che intercorre fra le lavorazioni e lasemina/trapianto) con l’interramento di letame maturo per un quan-titativo di circa 4 kg/m2.Ulteriori concimazioni possono essere eseguite alla fine del ciclo diraccolta, mediante fertirrigazione, per apportare il quantitativo dinutrienti asportato dalla coltura. Si impiegano a tale scopo 6 kg/m2

N, 8 kg/m2 P2O5 e 8 kg/m2 K2O.Durante la coltivazione è molto importante tenere d’occhio lo statoidrico del terreno, intervenendo se necessario con un irrigazione disoccorso. Questa procedura può risultare utile per evitare che lapianta in stress idrico inizi precedentemente a lignificare e salire aseme.

Raccolta. La raccolta deve essere eseguita su getti giovani quandolo stelo si presenta ancora verde e tenero, avendo l’accortezza distaccare il germoglio alla base in maniera tale da avere il minornumero di foglie libere. Naturalmente le foglie giovani e piccole manifestano un sapore piùdelicato e neutro, le foglie più grandi e dei tagli successivi hanno ungusto più spiccato. Il numero delle raccolte può variare sensibilmente, dipendendo dalclima delle diverse zone di coltivazione. Mediamente sono possibi-li tre raccolte a partire da fine marzo-aprile per le zone di pianura eaprile-maggio per quelle di montagna, con cadenza mensile. La pro-duzione complessiva delle tre raccolte si può stimare essere dicirca 2 t/ha. Il consumo fresco è preferibile rispetto a quello nel lungo termine,anche se il prodotto una volta lavato e scottato, mantiene unabuona qualità in congelatore. Il prodotto fresco si mantiene in fri-gorifero per 4-5 giorni.Esistono anche diversi prodotti trasformati, dal pesto al sott’olio neiquali il sapore della silene viene mantenuto integralmente.Nell’ambito del progetto BioInnovErbe sono stati testati tre differen-ti ecotipi di silene (montano, costiero e di pianura) i quali hanno evi-denziato differenti risultati produttivi e di resistenza alle patologie.

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Avversità e lotta. Per quanto riguarda i parassiti animali rivestonouna particolare importanza, per via del danno che possono arrecareall’aspetto delle piante, delle piccole mosche minatrici della famigliadegli Antomiidi che scavano vistose gallerie nelle foglie, rendendo-le inutilizzabili.Altri insetti che possono causare dei danni, soprattutto per quantoriguarda la produzione di seme, sono dei Coleotteri Curculionidi lecui larve si sviluppano nelle infiorescenze della pianta, dove sinutrono a spese dei semi.Infine si ricorda la presenza di afidi, tra cui l’afide verde Myzus per-sicae (Sulzer), che pungendo le foglie e asportandone linfa, deter-minano, soprattutto sulle foglie giovani, accartocciamenti e malfor-mazioni, spesso dovuti alla trasmissione di alcuni virus.In caso di forti infestazioni di insetti parassiti è possibile il ricorsoalla lotta biologica con piretrine naturali.Le foglie, in condizioni di eccessiva umidità o ristagno di aria umida,possono andare incontro ad attacchi fungini da parte di ruggini(Puccinia sp.) o agenti di maculature fogliari e deperimenti comeRhizoctonia sp., in genere ad 1-2 mesi di distanza dalla ripresa vege-tativa primaverile. Soprattutto la seconda patologia può incidere moltonegativamente sull’utilizzo e sulla commerciabilità del prodotto, perquesto si consiglia di concimare le piante con prodotti a base dimicroelementi, quali Boro, Zinco, Manganese, Ferro e Rame, per otte-nere un effetto protettivo e rinforzante, e di intervenire ai primi sinto-mi di macchie fogliari con prodotti a base di rame. Silene vulgaris sitrova inoltre nell’elenco degli ospiti del patogeno polifago Sclerotiniasclerotiorum (Lib.) de Bary, che determina marciumi e ammuffimentia livello degli organi inferiori delle piante, dei fusti e delle foglie.Le foglie della pianta potrebbero inoltre essere interessate da pun-teggiature o maculature di colore giallo-ocraceo, tendenti ad imbru-nire, spesso contornate da margini color porpora, da 1 a 20 mm didiametro, causate da agenti fungini quali Diplosporonema delastrei(Delacr.) Höhn e Ramularia didymarioides Briosi & Sacc.Altri funghi che assumono importanza per la riproduzione delle pian-te di silene sono Microbotryum silenes-inflatae (DC.) G. Deml &Oberw. e Microbotryum violaceoirregulare (Brandenburger &Schwinn) G. Deml & Oberw., che causano la patologia detta ‘fulig-gine delle antere’, sostituendo il polline del fiore con spore nere chericordano la fuliggine, da cui il nome.

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Al fine di contrastare le malattie fungine ed eventuali batteriosi, perle semine e il ripicchettamento delle piantine in vivaio è necessarioutilizzare substrati vergini o sterilizzati ad esempio con vapore, edimpiegare seme sano o trattato con prodotti di origine vegetale(estratti, olii essenziali). In caso di infezione, sia in semenzaio che inpieno campo si può fare ricorso a fungicidi rameici, e alla solarizza-zione del terreno prima della nuova semina o del trapianto.Agronomicamente è buona pratica evitare elevate densità d’im-pianto ed eccessive concimazioni azotate, così come ristagni idrici;mentre è da raccomandare il ricorso ad ampie rotazioni e l’asporta-zione tempestiva dalla coltivazione delle piante con sintomi dimalattia.Le piante di Silene vulgaris possono talvolta presentare un tipicogiallume riconducibile alla presenza di microrganismi quali i fitopla-smi. In Friuli Venezia Giulia su alcune piante infette, che apparivanoclorotiche, cespugliose e nane, si è riscontrato un fitoplasma cor-relato al gruppo del giallume dell’astro (16SrI-B). La sintomatologiaè una colorazione pallida, quasi biancastra, delle foglie, che presen-tano anche l’apice ripiegato a doccia, contorto e appuntito; le piùvecchie tendono ad assumere una colorazione rosso-ciclamino esono molto friabili al tatto. A carico dei petali si osserva un’anoma-la colorazione verde.

Valerianella

Nome scientifico: Valerianella olitoria (L.) PollichSinonimi: dolcetta, gallinella, lattughella, agnellinoNome friulano: ardielùt, argelùt, argjelut, lardielùtFamiglia botanica: ValerianaceaeParte utilizzata: cespoUtilizzazione parte edule: cruda, lessa

La valerianella selvatica è una pianta annuale, spontanea dell’areamediterranea, di piccole dimensioni, che forma un cespo di foglie aforma spatolata di un bel verde chiaro. Si differenzia dalle selezioniin commercio per il colore e la minore carnosità del fogliame, e peril sapore più delicato e dolce. Una caratteristica importante del tipo spontaneo, molto apprezzata

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dal mercato, è data dal fatto che le foglie basali, rimanendo verdipiù a lungo rispetto a quella commerciale, danno al prodotto unasensazione di freschezza che ripaga economicamente del minorpeso del cespo. Inoltre la varietà spontanea non subisce il tratta-mento della concia del seme e presenta comunque una resistenzaai comuni parassiti superiore rispetto ad alcuni tipi commercialiolandesi e francesi.Nell’area triestina è conosciuta con il termine di matavitz. Il termi-ne friulano di argjielut deriva dal suo sapore che ricorda quello dellacarne di maiale.

Caratteristiche botaniche ed habitat. È una pianta rustica a cicloannuale o biennale, con buona resistenza al freddo, tra le prime afiorire nei prati stabili agli inizi della primavera.Inizialmente produce una rosetta di foglie spatolate, dalle qualiparte uno stelo fiorale con due ramificazioni terminanti con mazzettidi fiori bianco azzurri.Non presenta grandi esigenze dal punto di vista del terreno, vege-tando sia su suoli sciolti che su quelli pesanti, purché risultino sani,ben drenati e con una buona dotazione di sostanza organica.Cresce indifferentemente su terreni con pH da 5,5 a 7, adattando-si anche a terreni salini.

Semina. La valerianella può essere coltivata solo a partire da seme,poiché è impensabile effettuare un trapianto considerando anche labrevità del ciclo produttivo. La semina si effettua con appositeseminatrici meccaniche che distribuiscono il seme su file distanti10 cm mentre sulla fila i semi vengono distanziati di 3 cm in manie-ra da raggiungere una densità ottimale di 400 piante/m2. In alternativa se non si possiedono seminatrici meccaniche, si puòeffettuare la semina a spaglio. In ogni caso la semina deve avveni-re su aiuole precedentemente preparate dove il letto di semina èstato opportunamente rullato. Il seme va interrato leggermente ericoperto con un leggero strato di sabbia grossa di fiume o meglioghiaino fine.

Coltivazione. Essendo una pianta che viene raccolta in fase dirosetta per la commercializzazione, presenta un ciclo molto breveche a seconda della stagione oscilla fra 60 e 90 giorni. Si può colti-

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vare in un lungo intervallo di tempo e, se si dispone di opportuniapprestamenti protettivi, anche nel corso dei mesi invernali. Varicordato che nel periodo estivo può rallentare la crescita a seguitodelle massime termiche. La gestione delle infestanti può costituire un problema. Per produ-zioni biologiche la disinfezione delle aiuole con vapore pur essendouna pratica costosa, risulta particolarmente efficace nei confrontidelle infestanti e può permettere una ulteriore riduzione degliapporti concimanti, soprattutto azotati. Nella pratica convenzionalesono disponibili alcuni principi attivi interessanti la cui applicazionea volte trova un forte ostacolo nei brevi cicli colturali che compor-tano possibili problemi derivanti dal rispetto dei tempi di carenza edaccumulo di residui nel suolo qualora sullo stesso terreno si succe-dano più cicli colturali nel corso dell’anno. La pianta necessita di nutrienti nelle prime fasi dello sviluppo equindi è determinante realizzare un buon substrato di crescitaanche dal punto di vista della fertilizzazione. In fase di lavorazionedel terreno si può interrare un concime con un quantitativo pari acirca 8 g/m2 N, 6g/m2 P2O5, e 6 g/m2 K2O,. Se la coltura si ripetesullo stesso terreno più volte si consiglia di intervenire, a cicli alter-ni, con una ulteriore concimazione che apporti 3-4 g/m2 N, 3 g/m2

di P2O5, e 7-8 g/m2ha K2O. Visto il breve ciclo colturale si sconsiglial’apporto di letame.

Raccolta. Generalmente in serra la raccolta può essere fatta a parti-re da 60 giorni dalla semina, anche se i tempi variano a seconda dellecondizioni climatiche e della stagione di crescita. Stesso discorso puòessere fatto per il pieno campo, anche se la raccolta è ritardata dicirca 10 giorni rispetto all’ambiente controllato o protetto.Il momento ideale della raccolta é al raggiungimento della massimalunghezza delle foglie: circa 8-10 cm. La produzione media comedetto è inferiore del 20% rispetto ai tipi commerciali e si attestamediamente sulle 10-12 t/ha. Nei periodi caldi è consigliabile rac-cogliere nelle prime ore del mattino. Le piantine devono essererecise sotto il colletto per preservare il tipico cespo e possonoessere confezionate in cassette. La conservazione lunga non è con-veniente, in quanto le foglie tendono ad afflosciarsi e ad esseresoggette ad attacchi di parassiti. La prerefrigerazione in acqua fred-da può migliorare la conservabilità.

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È una pianta consumata come prodotto fresco in insalate di stagio-ne oppure lessate insieme ad altre verdure e barbabietole da orto.Da un punto di vista nutritivo è caratterizzata da un basso valorenutritivo, ma da un buon tenore in vitamine A e B e sali minerali.I semi possono essere usati per la preparazione di un infuso dalleproprietà lassative e sedative.

Avversità e lotta. Nel caso di attacchi da parte di lepidotteri defo-gliatori, è possibile intervenire biologicamente con prodotti a basedi spinosad, o di Bacillus thuringiensis Berliner subsp. Aizawai osubsp. Kurstaki.In presenza di afidi, le cui infestazioni sono rilevanti in primavera edin autunno (d’estate si verifica un abbassamento naturale dellepopolazioni) si possono applicare delle piretrine naturali. I ceppi selvatici sono molto più resistenti delle varietà commercialialle infezioni da patogeni. Ciò nonostante possono sporadicamenteverificarsi attacchi alle foglie, sia di carattere fungino che batterico.La maculatura batterica della valerianella è indotta da Acidovoraxvalerianellae Gardan et al. e si manifesta con macchie oleose dicolore nero sulle foglie, spesso circondate da un alone giallo. Èfavorita da un alto grado di umidità e da monosuccesione colturale.Si può inibire utilizzando prodotti rameici e prodotti in grado di sti-molare la resistenza delle piante ai patogeni. È consigliabile l’elimi-nazione della vegetazione infetta e il ricorso ad ampie rotazioni col-turali (almeno 4 anni).La valerianella, soprattutto nelle colture di serra, può essere sog-getta ai marciumi delle radici e del colletto provocati da Sclerotinia,Pythium, Rhizoctonia, contro i quali si possono utilizzare prodotti abase di Trichoderma, associandovi buone pratiche colturali comeevitare ristagni idrici, ricorrere alla solarizzazione, eliminare le pian-te ammalate.Agenti fungini a carico delle foglie sono Peronospora valerianellaeFuckel, responsabile di macchie fogliari feltrose, e Golovinomycesorontii (Castagne) V.P. Heluta, fungo più polifago, agente del malbianco. Entrambe queste patologie possono essere trattate conprodotti registrati per valerianella o insalate o erbe fresche, a base,rispettivamente, di rame e zolfo.

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3. Caratterizzazione chimica delle piante studiate nell’ambitodel progetto BioInnovErbeLavinia Alexandru*, Lanfranco Conte*

3.1 PREMESSA

La caratterizzazione della composizione chimica di un alimento èvolta a ottenere informazioni relative alla presenza e quantità deiprincipi nutritivi (proteine, sostanze grasse, sostanze amidace ozuccherine) e/o sostanza ad azione indesiderabile (fattori antinutri-zionali o potenzialmente dannosi all’organismo umano); a questoapproccio tradizionale, tuttavia, negli ultimi anni si è affiancataanche la esigenza di porre in evidenza la presenza di sostanze adazione benefica, da vitamine vere e proprie a sostanze ad azionevitamino-simile, a sostanze in grado di prevenire fenomeni di degra-dazione ed invecchiamento cellulare, tra le quali, grande risalto èstato dato alle sostanze ad azione antiossidante o cito protettive.Un approccio molto popolare alla conoscenza degli alimenti è quel-lo previsto dalle vigenti normative, che prevede di informare il con-sumatore mediante la etichetta nutrizionale, vale tuttavia la penaspendere due parole per evidenziare luci ed ombre di questoapproccio.Le informazioni di base previste sono il contenuto di acqua, di pro-teine, di lipidi (sostanze grasse) e di glucidi e le concentrazioni diquesti principi nutritivi vengono tradotte in termini di apporto ener-getico.Tuttavia, non tutti i lipidi sono uguali, sia dal punto di vista dell’atti-vità biologica (basti pensare all’enorme differenza del ruolo biologi-co degli acidi grassi saturi e degli acidi grassi ω-3), sia dal punto divista energetico: il metabolismo ricava energia dagli acidi grassi,staccandoli dalle molecole dei trigliceridi delle quali essi fanno

* Università degli studi di Udine - Dipartimento di Scienze degli Alimenti.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE62

parte, tramite enzimi detti lipasi, che agiscono selettivamente suqueste strutture chimiche.La parte aerea delle piante è normalmente rivestita di lipidi, essi tut-tavia sono per la maggior parte cere e non trigliceridi, quindi non ingrado di essere utilizzate dal metabolismo a fini energetici.(Kolattukudy 1976, Hamilton 1995, Reynhardt e Riederer 1994,Christie 2010).Calcolare quindi l’apporto energetico delle piante oggetto del pro-getto Bioinnoverbe semplicemente moltiplicando il peso di estrattolipidico per 9 Kcal (apporto di 1 g di trigliceridi), avrebbe voluto direassegnare loro un apporto energetico spropositato.Si è invece puntato ai componenti minori ad attività biologica posi-tiva ed importante, quali le sostanze fenoliche. Queste sostanze sono ampiamente distribuite nel regno vegetale esono tra i più abbondanti metaboliti secondari delle piante, attual-mente se ne conoscono più di 8.000 strutture (Dai e Mumper2010), da fenoli semplici come gli acidi fenolici sino a molecolecomplesse come i tannini. Le sostanze fenoliche delle piante sonoin genere coinvolte in meccanismi difensivi contro le radiazioniultraviolette o l’aggressione da patogeni e parassiti e contribuisco-no inoltre alla colorazione delle piante o di parte di esse quali fiori,frutti, foglie. Grazie alla loro ampia distribuzione in natura, essifanno parte integrante della dieta umana, li si ritrovano in alimentivegetali tal quali o trasformati, quali frutta, cereali, olive, legumi,cioccolata, the, caffè, birra, vino nei quali contribuiscono anche alladeterminazione delle caratteristiche sensoriali in particolare perquanto riguarda amaro ed astringenza.Le sostanze fenoliche delle piante includono acidi fenolici, flavonoi-di, tannini ed i meno frequenti lignani; (Khanbabaee e Van Ree2001, D’Archivio e coll. 2007), i flavonoidi sono quelli più rappre-sentati nella dieta umana, nonostante la loro ampia distribuzione,tuttavia, i loro effetti salutistici hanno attratto l’attenzione di nutri-zionisti relativamente di recente e il mondo della ricerca e della pro-duzione di alimenti ha di conseguenza rivolto grande attenzione aquesto aspetto della dieta.In particolare, ne è stata messa in luce la elevata attività antiossi-dante svolta anche in vivo, importante nella prevenzione di variepatologie associate al cosiddetto ‘stress ossidativo’, correlato apatologie cardiovascolari, neurodegenerative e tumorali. (Hertog e

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3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELLE PIANTE STUDIATE NELL’AMBITO DEL PROGETTO BIOINNOVERBE 63

coll. 1994, Rasmussen e coll. 2005, Arts e Hollmann 2005).Nella figura 1 sono schematicamente riportate le principali attivitàdei composti in oggetto.

3.2 CONTENUTO DI SOSTANZE FENOLICHE DELLE PIANTE STUDIATE

NELL’AMBITO DEL PROGETTO DI RICERCA BIOINNOVERBE

Le piante ottenute dalla sperimentazione di campo nell’ambito delprogetto BioInnovErbe, sono state conservate a bassa temperatu-ra e quindi liofilizzate, al fine di preservarne il patrimonio di sostan-

ANTINFIAMMATORIA

ANTIALLERGICA

ANTIVIRALE

ANTIARITMICA

ANTITUMORALE

ANTIEPATOTOSSICA

IMMUNOSTIMOLANTE

IPOLIPEMIZZANTE

MODULAZIONE ATTIVITÀESTROGENICA

AUMENTO RESISTENZACAPILLARE

VASOPROTTETIVA

STIMOLA LE FUNZIONICOGNITIVE

ATT. FARMACOLOGICHE E TERAPEUTICHE

Figura 1. Attività biologiche delle sostanze fenoliche presenti nel regno vegetale.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE64

ze antiossidanti. In seguito, sono state estratte con una metodolo-gia innovativa, basata sull’impiego delle microonde, ottimizzando ilmetodo per quanto riguarda i tempi di estrazione ed i solventi uti-lizzati.Nella figura 2 sono riportate le rese di estrazione sul secco per ledifferenti piante e per ciascuna di esse, in differenti aree di coltiva-zione, per la sola silene viene anche riportato il dato ottenuto in col-tivazione in vaso: si può notare come per alcune piante (buonenri-co e silene), vi sia una notevole influenza delle condizioni di coltiva-zione sulla resa di estrazione.Questi dati riguardano solamente la quantità di sostanze estraibilidalle piante, ma non danno informazioni sulla composizione degliestratti.Per avere queste informazioni, è stato necessario dosare sia per viaspettrofotometrica che mediante cromatografia liquida da elevateprestazioni, le singole categorie presenti.Come detto nella premessa, i flavonoidi sono di particolare interes-se grazie alla loro azione biologica, nella figura 3 sono riportati i datirelativi al contenuto totale di flavonoidi, espressi come rutina: sitratta di un modo convenzionale di esprimere i dati, all’interno diogni pianta, infatti, la categoria di flavonoidi può presentare diffe-renti composizioni qualitative. In particolare, il radicchio di monte

Figura 2. Rese di estrazione delle differenti piante in relazione alla zona di colti-vazione.

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3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELLE PIANTE STUDIATE NELL’AMBITO DEL PROGETTO BIOINNOVERBE 65

mostra un contenuto molto elevato a Piani di Vas, che non trovaperò riscontro in altre aree ove la pianta è stata coltivata ed analo-gamente si comportano silene e valerianella; per quanto riguarda ilcontenuto di flavonoidi, quindi, sembra esistere una forte interazio-ne ambiente x pianta.Mediante una strumentazione che accoppia la cromatografia liqui-da ad elevate prestazioni (HPLC) con la spettrometria di massa, tec-nica che procede alla frammentazione della molecola ed in base altipo di frammenti che ne derivano, ne riconosce la struttura, si èproceduto all’identificazione di alcuni composti.Di particolare interesse è risultata il ritrovamento in Valerianella, didue flavonoidi conosciuti come luteolina e deosmetina.Quest’ultima è stata studiata da Ciolino e coll. (1998) in relazionealla sua capacità di interagire con i recettori di idrocarburi coinvoltinello sviluppo di tumori e più recentemente (2010), ricercatori cine-si ne hanno evidenziato l’attività antitrombotica e di prevenzione diproblemi di fragilità capillare.

Figura 3. Contenuto di flavonoidi delle differenti piante in relazione alla zona dicoltivazione.

Flavonoidi (g rutina /kg pianta)

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE66

Il contenuto in polifenoli è stato valutato sia mediante determina-zione spettrofotometrica che per somma delle aree dei picchi otte-nuti per separazione HPLC.

Figura 5. Contenuto di acido L-ascorbico delle differenti piante in relazione allazona di coltivazione.

Figura 4. Contenuto di polifenoli delle differenti piante in relazione alla zona dicoltivazione.

Polifenoli (g ac. gallico /kg pianta)

Alico ascorbico (g ac. gallico /kg pianta)

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3. CARATTERIZZAZIONE CHIMICA DELLE PIANTE STUDIATE NELL’AMBITO DEL PROGETTO BIOINNOVERBE 67

Nella figura 4 sono riportati i risultati di queste determinazioni. Inquesto caso, pur evidenziandosi di nuovo una netta influenza dellazona di coltivazione sulla concentrazione di polifenoli, appare evi-dente come il radicchio di monte e la valerianella siano le due pian-te con i contenuti più elevati.Infine, è stata misurata la concentrazione di acido L-ascorbico: solospirea raccolta a Sauris e silene coltivata a Tarcento, hanno eviden-ziato contenuti di questo composto misurabili, con una netta pre-dominanza di concentrazione nella prima pianta, come si evince dalgrafico della figura 5.

3.3 CONCLUSIONI

Dai risultati delle determinazioni analitiche si possono trarre leseguenti conclusioni:

– le rese di estrazione non sono correlate al contenuto di polife-noli, né di flavonodi;

– la concentrazione di polifenoli totali e flavonoidi è molto variabi-le da specie a specie e dipende anche dall’areale di crescita (ades. Tarcento-flavonoidi);

– per quanto riguarda la concentrazione in vitamina C è possibileconcludere come la variazione dipenda da specie e areale di cre-scita;

– è stata messa in evidenza la presenza di molecole ad elevatovalore biologico, di cui sono note importanti ruoli nella preven-zioni di malattie degenerative.

Bibliografia

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE68

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4. Aspetti economici legati alla commercializzazione di piante spontanee e coltivate ad uso gastronomicoSirio Rossano Secondo Cividino*, Ilaria Gussetti*, Simona Rainis*, Elena Valent*

4.1 PREMESSA

Negli ultimi anni il mercato legato alle piante spontanee ad usogastronomico nella regione Friuli Venezia Giulia ha avuto un note-vole sviluppo, come confermato dalla diffusione di nuovi centri divendita specializzati in tutto il territorio. Tuttavia, nonostante il trendin crescita, questo settore si colloca ancora in una nicchia di mer-cato. Il seguente lavoro ha lo scopo di definire nuovi scenari di svi-luppo in un’ottica di coltivazione e trasformazione delle piante spon-tanee, analizzando lo stato dell’arte, le criticità e le opportunità perchi volesse intraprendere delle attività di produzione.

4.2 ANALISI DI MERCATO

Attualmente non è possibile definire puntualmente un indotto realeper il complessivo giro d’affari connesso alla vendita e trasforma-zione di piante spontanee ad uso gastronomico in regione.Sebbene siano presenti delle vie commerciali tracciabili come«distribuzione specializzata in centri di vendita», gran parte dellavendita avviene infatti ancora con canali commerciali di tipo direttoe quindi non rintracciabili (tabella 1). Un ulteriore fattore, che rende difficile la lettura del mercato, è datodalla commercializzazione di molte specie in un sistema a filierachiusa, in cui il consumo avviene pressoché integralmente nell’am-bito della ristretta area di produzione e la cui produttività diviene dif-ficilmente quantificabile (essendo di per se stessa molto limitata evincolata pesantemente dalle limitazioni nella raccolta fissate perlegge).

* CirMont - Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE70

All’interno della nicchia individuata si possono collocare due tipolo-gie prevalenti di prodotto:

– fresco; – trasformato.

Prodotto fresco. Attualmente, il prodotto fresco ha come tipologiaprincipale di destinazione la ristorazione e come canale preferenzialedi vendita il mercato locale. In entrambi i casi generalmente l’offertava da marzo a giugno. Per alcune tipologie di specie ci possono esse-re delle seconde raccolte che si prolungano sino al mese di settem-bre. La conservabilità dei prodotti è limitata, trattandosi di germogli oprimi getti delle piante, per cui il range di tempo di vendita è moltoridotto. I germogli della Cicerbita alpina (Radicchio di monte) ad esem-pio dopo 24/48 ore dalla raccolta iniziano a perdere di qualità. Il prezzodi vendita varia a seconda delle specie e va da un minimo di 6 euro/kgsino a 40 euro/kg per alcuni prodotti di maggiore interesse.

Prodotto trasformato. Il prodotto trasformato è associato a dueprincipali destinazioni d’uso: prodotti sott’olio e sott’aceto e pro-dotti trasformati come salse e condimenti. Per questa categoria di

Tabella 1. forme di mercato tracciabili vs difficilmente quantificabili.

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4. ASPETTI ECONOMICI LEGATI ALLA COMMERCIALIZZAZIONE 71

prodotto, il mercato è concentrato nell’intero anno solare, con pic-chi di richiesta molto elevati nella stagione invernale (festività nata-lizia) e in quella estiva (turismo). A differenza del prodotto fresco,esistono diverse tipologie di rischio associate ai trasformati. Tutto ilvenduto deve essere trasformato a regola d’arte, in luoghi confor-mi e che rispettino la normativa in materia di igiene. Attualmente,buona parte dei prodotti in commercio (prodotti non quantificabili)viene trasformato dai privati senza gli opportuni strumenti (per l’a-nalisi del grado di acidità e degli altri parametri), e quindi senza tute-le per il consumatore finale. Un ulteriore elemento di criticità (conesempi riscontrati su prodotti in vendita) è l’assenza di un’etichettache garantisca i dati di rintracciabilità, composizione, percentualedegli ingredienti e modalità di conservazione, tutti fattori indispen-sabili per vendere un prodotto trasformato sul mercato. I prezzirelativi ai trasformati sono molto elevati: si parte da 10 euro per unvolume variabile da 212 a 430 ml ed un peso di circa 100-150 g diprodotto per arrivare sino a 30 euro per 250 g di prodotto. Si regi-strano casi limite di prodotti, come la Cicerbita alpina sott’olio delpeso di 250 g commercializzati anche a più di 40 euro.

4.3 STRATEGIE DI SVILUPPO E PUNTI CRITICI

Al fine di promuovere la commercializzazione dei prodotti di nicchia(nel caso specifico piante spontanee ad uso gastronomico), si deveinnanzitutto far leva sulla tipicità che questi prodotti racchiudono,segno della presenza di un legame con il territorio. In quest’ottica ilprodotto diviene veicolo di aspetti specifici della tradizione e dellacultura dei territori di origine. Esiste in generale una correlazionepositiva tra vincoli e costi di produzione, sia a livello d’impresa chedi filiere. La valutazione dell’efficacia economica del prodotto nonpuò prescindere dall’analisi degli aspetti legati alla domanda. È fon-damentale, infatti, che questa tenga conto innanzitutto delle carat-teristiche intrinseche (apprezzamento dei caratteri offerti dal pro-dotto) e delle dimensioni profittevoli (numero di consumatori poten-ziali adeguato al volume di offerta disponibile). Se per quanto riguar-da il primo aspetto si evidenziano elevate qualità organolettiche ebromatologiche, con alti livelli di apprezzamento da parte dei con-sumatori, per il secondo si registrano problemi derivanti da unsostanziale disequilibrio tra domanda ed offerta, con una nettadominanza della prima sulla seconda.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE72

Dall’analisi SWOT (tabella 2) si possono trarre alcune considerazioni:– il passaggio fondamentale ed obbligato per lo sviluppo del set-

tore è la coltivazione in campo delle piante;– occorre realizzare delle micro-filiere, tracciabili e rintracciabili,

che coinvolgano anche le figure dei raccoglitori o degli hobbisti(figura 1);

Tabella 2. Analisi SWOT.

Figura 1. Ipotesi di una micro-filiera produttiva.

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4. ASPETTI ECONOMICI LEGATI ALLA COMMERCIALIZZAZIONE 73

– bisogna definire e controllare degli standard qualitativi fonda-mentali per la vendita di prodotti trasformati.

4.4 CONCLUSIONI

L’interesse posto al riferimento territoriale della produzione, chemira alla valorizzazione delle specificità dell’ambiente, e l’attenzio-ne verso il prodotto, che punta più alla valorizzazione commerciale,vanno necessariamente ricondotte ad un sistema integrato.Fondamentale, in definitiva, che ad un miglioramento qualitativocorrisponda una valorizzazione delle peculiarità di produzione edelle valenze territoriali, aspetti che rappresentano i punti di forzasu cui puntare e che contraddistinguono queste produzioni da quel-le della grande distribuzione. Lo sviluppo e la valorizzazione di que-ste produzioni passa sicuramente attraverso il riconoscimento cita-to, analizzato sotto forme diverse che vanno dalla sicurezza ali-mentare alla qualità in tutte le sue componenti. In un mercato nelquale cresce l’attenzione dei consumatori verso prodotti che esco-no dalla logica dei grandi numeri, che permettono quindi di diffe-renziarsi dai comportamenti dei consumi di massa e che rispondo-no all’esigenza di scoperta di una loro radice culturale e storicaquale elemento fondamentale di decisione della scelta d’acquisto,il primo importante passo è quello di diffondere la conoscenza qua-litativa di tali prodotti. Una conoscenza che non sia limitata sempli-cemente al nome ma fornisca anche riferimenti in merito alla pro-duzione ed alla commercializzazione. Informazione, dunque, nonsemplicemente come comunicazione bensì come evidenziazionedel valore aggiunto di tali prodotti in termini di immagine. Prodottidi nicchia con un’area di produzione molto limitata, sono spesso riu-sciti a diffondere la propria conoscenza ed immagine sul mercatonazionale ed internazionale e ad ampliare i mercati di destinazione.Tutto questo è però possibile solo in presenza di elevati standardqualitativi, ed è questo in definitiva, oltre alla diffusione della cono-scenza delle stesse, uno dei principali obbiettivi che rappresentanoun continuum di sforzi a cui si deve tendere.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE74

Bibliografia

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5. «Une volte tal plat»… Le ricetteMarta Mossenta*, Elena Valent**

L’uso delle erbe spontanee in cucina è da sempre comune in FriuliVenezia Giulia, soprattutto in Carnia, dove crescono abbondanti.In primavera ciò serviva a depurare l’organismo dal lungo uso dellecarni di maiale conservate durante l’inverno.Oggi questo uso è stato rinverdito anche da manifestazioni gastro-nomiche proposte dai vari ristoranti e dalle feste paesane incentra-te sulle erbe di primavera.Qui di seguito saranno proposte alcune ricette con le erbe sponta-nee tipiche della cucina friulana.

5.1 ANTIPASTI

Radicchio di monte sott’olio

1 kg di radicchio di monte1 l di vino bianco5 dl di aceto bianco1/2 stecca di cannellachiodi di garofanoolio extra-vergine di oliva

In una padella portare ad ebollizione il vino e l’aceto salati ed aro-matizzati con la cannella ed i chiodi di garofano. La cannella servead addolcire il sapore amaro del radicchio, a chi non piace il gustosi suggerisce di sostituirla con un cucchiaio di zucchero. Immergerei germogli ben lavati; appena riprende il bollore scolarli e porli adasciugare per 12 ore in un panno.

* ERSA - Agenzia Regionale per lo Sviluppo Rurale.** CirMont - Centro Internazionale di Ricerca per la Montagna.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE76

Sistemateli in un vaso con la chiusura ermetica ricoperti con l’olio econservarli in frigorifero.

Pungitopo sott’olio

1 kg di germogli di pungitopo1/2 l di vino bianco1/2 l di aceto bianco1/2 cucchiaio di zucchero1 cucchiaio di saleolio extra-vergine d’olivaagliopeperoncino

Pulire il pungitopo e tenere solo le giovani punte.Versare in una pentola il vino, l’aceto, il sale e lo zucchero e porta-re ad ebollizione, aggiungere i germogli di pungitopo e far cuocereper 8 minuti. Scolare e lasciar raffreddare su alcuni panni, premereleggermente per far uscire l’acqua in eccesso.Aromatizzare il pungitopo con olio, aglio e peperoncino per almeno2 ore, infine invasare.

Insalata di tonno con salsa di levistico

180 g di tonno sott’olio1 cipolla bianca piccola o un po’ di porro200 g di pomodori tipo ciliegino50 g di olive nere200 g lattuga (varietà a piacere)2-3 foglie di levistico

Per la salsa di sedano di montagna3 cucchiai di aceto di vino bianco2 cucchiai di aceto balsamico bianco3 cucchiai di olio extra-vergine d’oliva1 manciata di foglie di levistico

Far sgocciolare bene il tonno, metterlo in un’insalatiera e triturarlocon una forchetta. Sminuzzare finemente la cipolla, o il porro, e ver-sarla nell’insalatiera del tonno. Tagliare in quarti i pomodori e tener-

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5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE 77

li da parte. Intanto preparare la lattuga lavandola sgocciolandola einfine tagliandola secondo la grandezza preferita. Predisporre lefoglie su due piatti.Per la salsaVersare in un recipiente, possibilmente alto e stretto, l’aceto di vinobianco, il balsamico e l’olio extra-vergine d’oliva. Nel frattempotagliare le foglie di levistico a striscioline, versandone gran parte nelrecipiente con l’aceto e l’olio, ma conservandone la parte rimanen-te per la decorazione finale. Frullare con un mixer il composto all’interno del recipiente fino adottenere una salsa omogenea e aromatica al levistico. Aggiungereal tonno 3-4 cucchiai da tavola di salsa e mescolare. Posizionare iltonno sopra la lattuga nei piatti ed infine decorare con i pomodoriprecedentemente tagliati, le olive e le striscioline di levistico tenu-te da parte.Distribuire il resto di salsa di sedano sulle foglie d’insalata.

Salsa alla ruchetta e buonenrico

300 g di buonenricoun ciuffo di foglie di ruchetta1 cucchiaio di capperi2 acciughe4 cetriolini sott’aceto2 uova sodeolio extra-vergine d’olivasale e pepe

Lessare il buonenrico, scolarlo e aggiungerlo, in un frullatore, allaruchetta, ai capperi, ai cetriolini e alle uova sode. Frullare con un po’d’olio fino ad ottenere una pasta omogenea. Aggiungere sale e pepe.Buonissima sugli arrosti.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE78

5.2 PRIMI PIATTI

Orzotto con le erbe di campo

400 g di orzo600 g di erbe spontanee (tarassaco, silene, germogli di ortica, diluppolo, di papavero, asparagi selvatici)25 g di burro3 cucchiai di olio d’oliva1/2 cipolla tritata1 cucchiaio di prezzemolo tritato40 g di lardo o speckbrodo di verdure (cipolla, carota, zucchina ed un gambo piccolo disedano selvatico)burro fusoformaggio grattugiato

Se i germogli raccolti sono giovani e piccoli basterà lavarli; altri-menti sarà necessaria una precottura in un litro di acqua salata conun pizzico di bicarbonato. Si consiglia la precottura in pentola a pres-sione, la cottura è più breve incidendo meno sulla riduzione delleproprietà nutrizionali delle verdure. Togliere le verdure cotte, striz-zarle, conservando l’acqua di cottura e tritarle grossolanamente.Per mantenere il colore verde delle verdure è consuetudine con-servarle nel ghiaccio prima di ultimare la cottura.

Utilizzare l’acqua di cottura per la preparazione del brodo vegetale;unendo la cipolla, il sedano, la carota e la zucchina e facendoli cuo-cere per 30 minuti. Mettere a soffriggere in una casseruola il burro,l’olio e le cipolle e lo speck; appena la cipolla sarà caramellata met-terci le verdure e cuocere a fuoco lento. Versare l’orzo ed aggiun-gere un mestolo di brodo e farlo tostare, aggiungere altro brodopoco per volta, fino a cottura ultimata.Per mantecare il riso aggiungere del burro fuso, del formaggio edaggiustare con pepe e sale.Il segreto di questo risotto è riuscire ad amalgamare le quantità cor-rette delle diverse erbe, creando un unicum di sapore senza che nes-suna di queste predomini sulle altre. Tale segreto è gelosamentecustodito dalle famiglie e non compare in alcune ricetta tipica locale.La ricetta qui descritta può essere modificata, utilizzando comeunica erba: la silene (600 g).

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5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE 79

Gnocchi di spinacio selvatico

Per la pasta600 g buonenrico (solo le foglie giovani)5 uova80 g di formaggio latteria grattugiato80 g di farinasale

Per il condimentoburro cottoricotta affumicata grattugiata

Lavare accuratamente gli spinaci e lessarli in abbondante acquasalata. A cottura ultimata scolarli, strizzarli e tagliarli grossolana-mente.Mettere gli spinaci cotti in una terrina capiente, unire il formaggio,la farina, il sale e per ultimo le uova sgusciate. Impastare gli ingre-dienti fino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo.Prenderne una parte e lavorarla fino a creare un piccolo cilindro, datagliare a piccoli rocchi.Preparare una pentola con dell’acqua e portatela ad ebollizione, farlessare gli gnocchi (pochi per volta), sgocciolarli con il ragno, con-dirli con ricotta grattugiata ed abbondante burro cotto.

Zuppa di silene (sclopìt)

600 g di silene (solo i germogli più teneri)250 g di orzo60 g di burro1 scalogno tritato1,5 l di brodo di carne1 cucchiaino di farinasale e pepe

Lavare lo scolpìt e lessarlo in abbondante acqua salata per 10 minu-ti insieme ad un pizzico di bicarbonato; strizzarlo e tritarlo e conser-varlo nel ghiaccio per mantenere un bel colore verde. A parte les-sare l’orzo in acqua salata per 20 minuti e poi sgocciolarlo. In unacasseruola soffriggere lo scalogno nel burro ed aggiungere un po’

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE80

di farina, insieme alla verdura ed il brodo caldo, regolare di sale epepe, mescolare più volte, far bollire per 15 minuti. Unire l’orzo allazuppa e servirla calda e mantecata con il formaggio grattugiato.

Risotto agli asparagi selvatici

150g di cime di asparago selvatico o pungitopo o barba di capra350 g di riso50 g di burro1 cucchiaio di olio d’oliva1 cipolla1 l circa di brodo1 spicchio di aglio1/2 manciata di prezzemoloparmigiano grattugiatosale

Tagliare finemente le cime degli asparagi selvatici e farle soffrigge-re nel burro e nell’olio in cui è stato aggiunto il trito di aglio, cipollae prezzemolo. Quando il soffritto s’indora, aggiungere parte delbrodo. Appena questo bolle, versarvi il riso e tenerlo continuamen-te inumidito con il restante brodo. Poco prima che la cottura siagiunta ad ultimazione, aggiungere il parmigiano.

Ravioli di buonenrico

500 g di foglie di buonenrico300 g di ricotta300 g di formaggio caprino500 g di farina 004 uovaqualche foglia di salvianoce moscata, sale e pepe

Lessare in buonenrico in acqua salata, amalgamarlo alla ricotta e alformaggio caprino. Preparare una sfoglia con la farina e le uova,stenderla e su di essa disporre l’impasto a mucchietti. Con la rotel-lina tagliare la sfoglia a quadrati, ripiegarli su se stessi e unire gliangoli formando un sacchettino. I ravioli così pronti si cuocerannoin acqua salata e si condiranno con burro e salvia.

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5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE 81

Rotolo allo sclopìt

500 g di sclopìt300 g di ricotta1 uovo50 g di burroformaggio grattugiato pasta per gnocchi sale e pepe

Preparare una pasta per gnocchi e stenderla sopra un canovaccioleggero. In acqua salata lessare lo sclopìt, scolarlo, tritarlo e pas-sarlo nel burro con sale e pepe.In una scodella unire tutti gli ingredienti, impastare bene e stende-re il composto sulla pasta. Arrotolare e chiudere il canovacciocucendolo. Lessare lentamente in acqua salata per 30 minuti,tagliare a fette e condire con burro fuso e formaggio grattugiato.

Tagliolini alla valerianella

320 g di tagliolini200 g di foglie di valerianella50 g di formaggio grattugiato50 g di pinoli40 g di olio d’oliva1 spicchio di aglio1 noce di burro

Frullare la valerianella con i pinoli e l’aglio, mescolare poi con oliofino ad ottenere un composto cremoso e delicato con cui condire itagliolini, avendo cura di aggiungere anche una noce di burro e unamanciata di parmigiano.

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE82

5.3 SECONDI PIATTI

Fritta (frittata)

5 uova1 kg di erbe fresche: sclopìt, confenon (papavero selvatico), barbadi capra, valerianella, orele di jeur (orecchie di lepre), ruscli (pungi-topo, asparago selvatico), urtizzòn (luppolo), bruncuncesare (spec-chio di Venere), ortica, latizul, primule ecc.bicarbonato50 g di pancetta30 g di burro per friggere1 spicchio di aglio100g di formaggio stagionatosale e pepe

Pulire e lavare le verdure, lessarle in pentola a pressione per pochiminuti. Sgocciolarle, strizzarle, tritale grossolanamente ed unirlealle uova con una forchetta. Regolare di sale e pepe.Ungere la padella con il burro, l’aglio e la pancetta e poi versarvi ilcomposto e friggere.La frittata friulana deve essere piccola e discretamente alta, con lacrosta all’esterno. A piacere decorare il piatto con delle erbe dicampo in padella o con frutta secca.

Uova e pungitopo

Piatto della tradizione pasquale, visto che i giovani germogli delpungitopo si raccolgono tra aprile e maggio.

1 kg di pungitopobicarbonato10 uova1/2 cucchiaio di zuccheroolio extra-vergine di olivasale e pepe

Pulire i germogli raccolti e legarli tra di loro, infine lessarli in acquasalata con il bicarbonato.Scolarli quando sono cotti al dente, liberarli dal filo e disporli su un

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5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE 83

piatto. A parte cuocere le uova, farle sode e sgusciarle. Per deco-rare il piatto è consigliata la separazione del tuorlo dall’albume, grat-tugiando l’albume direttamente sopra i germogli e disponendo nelpiatto anche i tuorli. Regolare con sale e pepe e poi umettare conabbondante olio e servire.

Filetto di trota alle erbe di Carnia

4 filetti di trota mormorata10 g di erbe di campo (silene, melissa, verbena, levistico fiordalisoecc.)1 l di brodo di pesce150 g di tegoline lessate1 cipollaolio extra-vergine di olivasale e pepe

Cuocere le erbe di campo nel brodo di pesce, frullare il brodo e leverdure per creare un sugo nel quale cuocere i filetti di trota,In una padella far soffriggere l’olio, la cipolla ed il levistico.,poiaggiungere i filetti di pesce ed il sugo precedentemente preparato.Aggiustare di sale.Guarnire il piatto adagiando i filetti sopra le tegoline, ed un filo d’o-lio extra-vergine d’oliva.

Torta salata di primavera

1 kg di verdure (sclopìt, buon enrico, ortica, zucchine, bieta)pasta sfoglia300 g di ricotta fresca2 cucchiai di grana1 uovo intero1 albume d’uovoolio extra-vergine di oliva500 g di prosciutto crudosale

Stufare in una pentola le verdure con un po’ d’olio extra-vergine d’o-liva. Lasciare raffreddare e poi aggiungere l’uovo, il grana e la ricot-ta. Mescolare ed aggiustare di sale. Disporre la pasta sfoglia in una

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LA COLTIVAZIONE BIOLOGICA DELLE ERBE SPONTANEE84

teglia e bucherellarla con una forchetta, coprirne il fondo con il pro-sciutto crudo e poi farcire con l’impasto di verdure.Spennellare l’albume sulla sfoglia per renderla più croccante e met-terla in forno preriscaldato a 160 °C per 30 minuti. Servire caldo.

Montasio alle erbe

400 g di erbe di campo (silene, asparago selvatico, pungitopo,barba di capra, buonenrico, tarassaco ecc.)400 g di formaggio Montasio di 3-4 mesi in 4 fetteuna manciata di erba cipollina

Soffriggere le erbe, mondate e lavate, in una noce di burro e conerba cipollina tritata.In una teglia antiaderente, imburrata, disporre le fette di Montasioe dorarle rapidamente da ambo le parti.Deporre su ciascuna fetta le erbe soffritte, coprirle e continuare lacottura a fuoco basso, finché il formaggio sarà fuso. Servire su piat-ti caldi.

Pan di erbe

250 g di erbe di campo scelte a piacere200 g di mollica di pane2 uovapanna liquidalatteoriganoburropangrattatosale e pepe

Amalgamare le erbe, bollirle, strizzarle e tritarle.Intanto inzuppare nel latte la mollica di pane, scolare il latte ineccesso, unire qualche cucchiaio di panna, le uova, un pizzico disale, il pepe e le erbe. Lasciare riposare per 30 minuti in luogo fre-sco. Ungere una teglia larga con il burro, cospargere di pangrattatoe stendere uniformemente l’impasto. Infornare a 200 °C fino aquando la superficie acquista un bel colore dorato. Aromatizzarecon origano, e servire in tavola una vota raffreddato.

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5. «UNE VOLTE TAL PLAT»… LE RICETTE 85

5.4 CONTORNI

Erbe di campo

1 kg di erbe selvatiche di primaverabicarbonato (per conservare il colore verde)80 g di pancetta a dadini30 g di burro1 spicchio di aglio tritatosale e pepe

Pulire le erbe e cuocerle in abbondante acqua salata ed un pizzicodi bicarbonato. In una padella ampia rosolare nel burro il trito di aglioinsieme alla pancetta, successivamente aggiungere le verdurecotte, tagliate grossolanamente. Regolare di sale e pepe e mesco-lare regolarmente per far insaporire la pietanza.

Bibliografia

Adami P. 1985. La cucina carnica. Franco Muzzio, Padova.Cossetti G. 1995. Vecchia e nuova cucina di Carnia. Arti Grafiche

Friulane, Tavagnacco (Udine).Gruppo botanico del giardino dei semplici. 2007. Un orto chiamato

Friuli. Le buone erbe in cucina. S. Pietro in Carnia (Zuglio,Udine).Molinari Pradelli A. 2003. La cucina del Friuli-Venezia Giulia in 850 ricet-

te tradizionali. Newton & Compton, Roma.Pucciarelli B. 2009. Cucina friulana. Ricette tradizionali della provincia di

Udine. Terra Ferma, Crocetta del Montello (Treviso).Viti M. 1997. Le ricette di Marisa. Tipografia Arkon, Tolmezzo (Udine).

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RINGRAZIAMENTI 87

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare:– ai proprietari delle aziende agrarie che hanno ospitato i campi

sperimentali;– all’ErsAgricola s.p.a. per il supporto tecnico;– all’ERSA Servizio Fitosanitario e chimico per il servizio di analisi

e diagnosi;– al personale del Vivaio Forestale Regionale ‘Pascul’ di Tarcento,

per la collaborazione prestata nella produzione del materialevivaistico e l’autorizzazione all’uso del materiale fotografico;

– a Germano Pontoni per la realizzazione degli assaggi gastrono-mici ad Agriest 2010;

– a Gian Luca Bianchi per la preziosa collaborazione prestatadurante la fase progettuale;

– a tutte le persone che hanno sostenuto il progettoBioInnovErbe.

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Semenzai di asparago selvatico (Asparagus acutifolius) e piantine di silene(Silene vulgaris) pronte per il trapianto.

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Vivaio Forestale Regionale ‘Pascul’ di Tarcento.

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1. Asparago selvatico / 2. Levistico / 3. Pungitopo / 4. Buonenrico / 5. Barba dicapra / 6. Silene / 7. Radicchio di monte.

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Semi e semenzaio di radicchio di monte (Cicerbita alpina) e, in basso, semen-zaio e piantine di silene (Silene vulgaris).

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Campo sperimentale del Monte Arvenis.

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Campi sperimentali di Molinis di Tarcento e, in basso, di Tramonti di sopra.

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Campo sperimentale di Curiedi di Fusea (Tolmezzo), piante di buonenrico(Chenopodium bonus henricus L.) e, in basso. campo sperimentale di Piani diV?s (Rigolato).

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Campo sperimentale di Aurisina e, in basso, prova di coltivazione in serra divalerianella (Valerianella olitoria) a Udine.

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Radicchio di monte (Cicerbita alpina).

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Levistico (Levisticum officinale).

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Levistico (Levisticum officinale).

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Valerianella (Valerianella olitoria).

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Pungitopo (Ruscus aculeatus).

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Barba di capra (Aruncus dioicus).

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