+ All Categories
Home > Documents > Le controversie sul darwinismo tra Otto e Novecento scienza/Storia_della... · Le vecchie idee di...

Le controversie sul darwinismo tra Otto e Novecento scienza/Storia_della... · Le vecchie idee di...

Date post: 16-Feb-2019
Category:
Upload: trinhkhue
View: 216 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
15
Storia della scienza per le lauree triennali Prof. Giuliano Pancaldi 2011-12 Modulo 5 Le controversie sul darwinismo tra Otto e Novecento L’uomo di Neanderthal e la pietà dei morti” Cranio dell'uomo del Circeo I (Homo sapiens neanderthalensis); circa 40.000 anni fa; capacità cranica = 1550 cc; Grotta Guattari, Lazio, 1939; Soprintendenza speciale alla preistoria e alla etnografia, Museo Pigorini, Roma. Il cranio, attribuito a un individuo adulto (40-50 anni) di sesso maschile, presenta le tipiche caratteristiche dei neanderthaliani classici. La volta cranica è molto appiattita e larga, la fronte è sfuggente; la visiera sopraorbitaria continua e la sporgenza della regione posteriore dell'osso occipitale (chignon), caratterizzata da un accentuato ispessimento (torus), conferiscono al cranio una notevole lunghezza. La capacità cranica è particolarmente elevata. La faccia è massiccia, alta e larga, il mascellare rigonfio, gli zigomi ridotti e sfuggenti, l'apertura nasale larga e le orbite rotonde e grandi. II cranio fu rinvenuto nel fondo della grotta al centro di un circolo di pietre in posizione capovolta con il forame occipitale allargato; il carattere sacrale della deposizione è manifesto. (Da: Homo. Viaggio alle origini della storia , Marsilio, 1985) Ancora prima della pubblicazione dell‟Origine delle specie erano stati trovati - nel 1856-7 - nella valle di Neander, vicino a Düsseldorf, i resti di un uomo dall‟aspetto molto “primitivo”. Dopo la pubblicazione dell‟Origine di Darwin e del Posto dell’uomo nella natura di Huxley, si diffuse la convinzione che dovesse trattarsi di uno stadio intermedio tra l‟uomo e le scimmie: gli esseri scimmieschi testimoniati da quel rinvenimento dovevano essere vissuti nelle stesse regioni
Transcript

Storia della scienza per le lauree triennali

Prof. Giuliano Pancaldi

2011-12

Modulo 5

Le controversie sul darwinismo tra Otto e Novecento

“L’uomo di Neanderthal e la pietà dei morti” Cranio dell'uomo del Circeo I (Homo sapiens neanderthalensis); circa 40.000 anni fa; capacità cranica = 1550 cc; Grotta

Guattari, Lazio, 1939; Soprintendenza speciale alla preistoria e alla etnografia, Museo Pigorini, Roma.

Il cranio, attribuito a un individuo adulto (40-50 anni) di sesso maschile, presenta le tipiche caratteristiche dei

neanderthaliani classici. La volta cranica è molto appiattita e larga, la fronte è sfuggente; la visiera sopraorbitaria continua e

la sporgenza della regione posteriore dell'osso occipitale (chignon), caratterizzata da un accentuato ispessimento (torus),

conferiscono al cranio una notevole lunghezza.

La capacità cranica è particolarmente elevata. La faccia è massiccia, alta e larga, il mascellare rigonfio, gli zigomi ridotti e

sfuggenti, l'apertura nasale larga e le orbite rotonde e grandi.

II cranio fu rinvenuto nel fondo della grotta al centro di un circolo di pietre in posizione capovolta con il forame

occipitale allargato; il carattere sacrale della deposizione è manifesto. (Da: Homo. Viaggio alle origini della storia,

Marsilio, 1985)

Ancora prima della pubblicazione dell‟Origine delle specie erano stati trovati - nel 1856-7 - nella

valle di Neander, vicino a Düsseldorf, i resti di un uomo dall‟aspetto molto “primitivo”.

Dopo la pubblicazione dell‟Origine di Darwin e del Posto dell’uomo nella natura di Huxley, si

diffuse la convinzione che dovesse trattarsi di uno stadio intermedio tra l‟uomo e le scimmie: gli

esseri scimmieschi testimoniati da quel rinvenimento dovevano essere vissuti nelle stesse regioni

oggi occupate dai “più civilizzati” abitanti d‟Europa e, se si adottava un punto di vista

evoluzionistico, erano forse i loro diretti antenati.

In realtà, le incertezze sulla datazione dei resti di Neanderthal e i pochi e imperfetti esemplari

rinvenuti rendevano oltremodo problematico raggiungere delle conclusioni sicure. Ancora negli

anni 1870-80 si poteva sospettare che i resti di Neanderthal appartenessero a un uomo deforme: un

individuo singolo e anomalo, che non poteva dirci nulla sulle origini scimmiesche della specie

umana.

Quel che è sicuro è che, negli anni tra il 1859 e il 1882 – anno della morte di Darwin – la questione

delle origini animali dell‟uomo si intrecciò in profondità con il dibattito su alcune questioni che

erano all‟ordine del giorno in quella che intanto, in Europa e negli Stati Uniti, a causa dei notevoli

sviluppi dell‟industria e della tecnica veniva chiamata sempre più spesso l’età del “trionfo della

scienza”.

Ecco le questioni più dibattute in quei decenni:

● Si doveva accettare l’evoluzionismo come una teoria scientifica di carattere generale,

una concezione del mondo collegabile alle idee che in quegli stessi anni circolavano sul

“progresso” delle società umane?

● La teoria darwiniana della selezione naturale (vedi Modulo 1) spiegava davvero in

modo convincente l’evoluzione biologica?

Le obiezioni e le difficoltà sollevate contro la teoria darwiniana in quegli anni, come vedremo,

spinsero molti a riproporre alcune vecchie idee avanzate all‟inizio dell‟Ottocento da Lamarck.

Rispondendo a quelle domande, in effetti, nella seconda metà dell’Ottocento molti si

dichiaravano evoluzionisti, MA respingevano o correggevano in profondità la teoria

particolare dell’evoluzione proposta da Darwin.

Le vecchie idee di Lamarck - secondo cui gli organismi, modificando il loro comportamento in

risposta alle sollecitazioni dell‟ambiente, plasmano essi stessi il loro futuro e vi è una “marcia

progressiva” della natura - si sposavano meglio (rispetto alla teoria darwiniana della selezione, che

insisteva invece su dei mutamenti lentissimi e accidentali) con l’evoluzionismo inteso come

visione del mondo e come concezione delle società umane.

Un‟altra domanda che spesso si poneva era:

● E’ opportuno o meno di divulgare e insegnare le idee evoluzionistiche?

Considerate le incertezze sul piano scientifico e, soprattutto, le pericolose implicazioni sociali,

ideologiche e politiche che molti scorgevano nell’evoluzionismo come visione del mondo, la

questione attirava molta attenzione anche tra i non addetti ai lavori e sulla stampa.

L‟evoluzionismo veniva infatti presentato, a seconda dei casi, come una “religione laica” che

sanciva la possibilità per l‟uomo di “migliorarsi da solo” (in un‟epoca in cui alcuni concepivano la

scienza come “religione dell‟avvenire”), e poteva essere contrapposta alla religione tradizionale.

Altri presentavano l‟evoluzionismo come la “prova scientifica” di teorie conservatrici o reazionarie

in campo sociale (insistendo sui temi della “lotta” e sulla “sopravvivenza del più adatto”,

un‟espressione del filosofo Herbert Spencer che Darwin aveva adottato per rendere più popolare la

sua teoria). Queste teorie conservatrici ispirate al darwinismo furono chiamate più tardi

“darwinismo sociale”.

Altri ancora ritenevano la teoria darwiniana compatibile con una teoria sociale basata sull‟altruismo

e la solidarietà (Alfred Russel Wallace) e altri (compreso Karl Marx) consideravano

l‟evoluzionismo compatibile con le idee socialiste che stavano conquistando consensi in quegli anni

in Europa.

Su queste controversie e interpretazioni disparate del darwinismo si fa il punto nell‟articolo

riprodotto qui sotto, che si consiglia come lettura per approfondire i temi toccati in questo “modulo”

e nel precedente.

L’evoluzionismo darwiniano:

successi e controversie

di Giuliano Pancaldi

(da Storia della scienza, direttore Sandro Petruccioli, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. VII,

L’Ottocento, Roma, 2003, pagg. 850-856)

1. Premessa

La pubblicazione dell‟Origine delle specie nel 1859 è un evento fondamentale nella storia della

biologia e della scienza in generale. Come accade per gli avvenimenti che assumono un valore

simbolico, d‟altra parte, è difficile distinguere con precisione gli elementi che hanno contribuito a

decretarne il successo. La difficoltà è ancora maggiore nel caso di un‟opera come quella di Darwin

che, nonostante il profondo radicamento nell‟Inghilterra dell‟età vittoriana, conteneva idee e

suggestioni che continuano a esercitare una forza straordinaria un secolo e mezzo più tardi, in una

varietà di contesti anche assai lontani da quelli originari.

Per rendere ragione di questo successo, gli storici della scienza hanno trattato i motivi scientifici,

filosofici, religiosi, ideologici e politici che hanno scandito la storia del darwinismo privilegiando

questo o quel filo della complessa trama. In quel che segue dovremo anche noi distinguere le

diverse facce del fenomeno. Prima, tuttavia, dobbiamo sottolineare che forse in nessun momento

quelle facce furono del tutto separate l‟una dall‟altra, così come non erano separate nella paziente,

rigorosa e insieme accorta azione di Darwin a favore dell‟evoluzionismo. In questo senso il

darwinismo appartiene a un‟epoca (in cui tuttora ci troviamo) nella quale alcune idee fondamentali

della scienza godono di una visibilità pubblica che interagisce in profondità con l‟opera stessa degli

scienziati. Darwin, come vedremo, era perfettamente consapevole di quell‟interazione: finché fu in

suo potere esercitò un ruolo diretto e importante nella diffusione del darwinismo presso gli esperti e

il pubblico colto dei suoi tempi, orientandolo per quanto poteva con le sue nuove pubblicazioni e

con la rete di corrispondenti che manteneva attiva in diversi continenti. Le idee d‟altra parte – anche

quelle della scienza e della tecnica – godono di una notevole autonomia nei confronti di chi le ha

originate: neppure la sistematica, tenace regia di Darwin poté indirizzare le vicende del darwinismo,

che assunse una varietà di accenti tale da far dubitare a volte della loro coerenza e della comune

origine nell‟opera di quello che intanto era diventato uno dei simboli più celebrati dell‟epoca, che

molti consideravano l‟epoca del trionfo della scienza.

Le pagine che seguono si concentrano sul periodo che va dal 1859 alla morte di Darwin, nel 1882, e

adottano come filo conduttore – ma spesso anche come contrappunto, vedremo – la regia tessuta da

Darwin per i darwiniani: l‟insieme delle proposte conoscitive e delle mediazioni su diversi fronti

che consentirono a Darwin e ai suoi ammiratori di assicurare, a partire dagli anni ‟70

dell‟Ottocento, l‟affermazione dell‟evoluzionismo, gettando importanti premesse di quello che, con

qualche eccezione e in forme imprevedibili dai protagonisti di allora, è stato il successo

dell‟evoluzionismo fino ad oggi.

2. Evoluzione o creazione

Il titolo dell‟Origine delle specie, concordato tra autore e editore, richiamava l‟attenzione sull‟idea

che Darwin considerava più importante nella lunga argomentazione contenuta nell‟opera: l‟idea di

una trasformazione naturale di tutte le forme viventi da forme precedenti, contrapposta all‟idea,

ritenuta fino ad allora dominante, della creazione indipendente di ciascuna specie per cause

soprannaturali. Darwin, com‟è noto, aveva esitato a lungo prima di pubblicare e anche nel libro

proponeva quella contrapposizione in termini prudenti. Nell‟ultima pagina, per esempio, invitava a

considerare la sua teoria come capace di spiegare l‟origine delle specie per trasformazioni

successive a partire da una o poche forme viventi create in principio da Dio.

La contrapposizione fra la trasformazione naturale delle specie – nell‟Origine Darwin non usava la

parola evoluzione, che però fu presto adottata dagli specialisti e dal pubblico – e l‟idea di una loro

creazione divina, si prestava ovviamente a confronti drammatici. Fin da quando, nell‟età

dell‟Illuminismo, la possibilità di una trasformazione delle forme viventi si era fatta strada tra i

sostenitori di una concezione laica e naturalistica del mondo, aveva sollevato polemiche e attirato

condanne. Darwin aveva deciso di non entrare nel merito delle implicazioni filosofiche e religiose

dell‟evoluzionismo e nelle cinquecento pagine del libro aveva piuttosto accumulato una serie di

prove che mettevano in gioco le conoscenze da lui acquisite in vent‟anni di lavoro sull‟argomento e

il suo già notevole prestigio scientifico. Ma quelle implicazioni furono immediatamente rievocate

dalla pubblicazione dell‟opera. Le recensioni apparse nei primi mesi del 1860 non lasciavano dubbi

sulla propensione del pubblico e di molti esperti a considerare l‟Origine come l‟occasione per un

nuovo confronto tra i sostenitori di diverse concezioni dei rapporti tra scienza e religione.

Thomas Henry Huxley, per esempio, zoologo e anatomista che amava quel genere di polemiche a

differenza dell‟amico Darwin, nel momento in cui coniava nell‟aprile del 1860 il termine

“darwinismo”, per designare la teoria della selezione naturale, dipingeva l‟Origine come

“un‟arma”: un‟arma sofisticata e micidiale nelle mani del liberalismo. Negli stessi mesi il vescovo

anglicano di Oxford, recensendo l‟opera protetto dall‟anonimato, com‟era consuetudine, ricordava

le vecchie simpatie evoluzionistiche e illuministiche del nonno di Charles Darwin, Erasmus,

considerato dai suoi nemici un seguace dei giacobini, e dipingeva le idee del nipote al pari di quelle

del nonno come una minaccia per l‟ordine morale e spirituale. Con il successivo confronto pubblico

tra il vescovo e Huxley nel giugno dello stesso anno a Oxford, davanti alla comunità scientifica

britannica riunita e a un folto pubblico, ogni valutazione dell‟opera di Darwin risultava presa nelle

strettoie di un conflitto tra scienziati e teologi circa quale dei due gruppi avesse il diritto di

pronunciarsi sull‟origine delle specie e in particolare dell‟uomo, di cui Darwin, peraltro, aveva

evitato di parlare nell‟Origine.

Di fronte a tanto clamore Darwin dovette correre ai ripari. Per lui voleva dire – e continuò a

significare per una parte degli anni ‟60 – attenuare le polemiche con delle concessioni tattiche agli

avversari e fare leva sulle ricerche originali che intanto continuava a produrre con alacrità, anche in

settori nei quali non aveva ancora pubblicato, come la botanica e in particolare i meravigliosi

adattamenti tra i fiori e gli insetti che ne assicurano la fecondazione.

Quegli adattamenti meravigliosi erano un tradizionale argomento per sostenere l‟esistenza di un

piano divino in natura. Darwin dedicò ai fiori e agli insetti un libro intero nel 1862 – ancora nel

mezzo delle polemiche sollevate dall‟Origine – concentrandosi sul caso particolare delle orchidee e

senza menzionare la spiegazione evoluzionistica che, a suo giudizio, rendeva ragione di quegli

adattamenti evitando il ricorso a qualsiasi piano divino e basandosi su quella che oggi

chiameremmo la coevoluzione di fiori e insetti per lunghi periodi di tempo nelle stesse regioni. La

ricchezza e la varietà degli adattamenti descritti nell‟opera, d‟altra parte, erano tali da sedurre anche

i lettori propensi a un‟interpretazione religiosa. Con quell‟opera Darwin svolgeva così un‟azione

moderatrice, volta a smorzare i toni più accesi delle polemiche in corso, e insieme sembrava

avvicinarsi a quelli tra i suoi ammiratori che, come il botanico Asa Gray negli Stati Uniti, stavano

sostenendo la possibilità di conciliare la teoria darwiniana e la “teologia naturale” della tradizione

religiosa.

Asa Gray, che intratteneva con Darwin una corrispondenza schietta, vide nell‟opera sulle orchidee

un “movimento di aggiramento ai fianchi” lanciato da Darwin per disorientare gli avversari

dell‟evoluzionismo. Altri, come il botanico italiano Federico Delpino – anch‟egli incline a una

conciliazione fra l‟evoluzionismo darwiniano e una concezione emergente e finalistica della natura

– ne trassero lo spunto per nuove, originali ricerche sul campo. Pur dissentendo sul piano teorico e

filosofico, Darwin considerò con attenzione e fece circolare a sue spese in traduzione inglese alcuni

scritti di Delpino. Allo stesso modo aveva favorito, all‟inizio degli anni ‟60, la diffusione in

Inghilterra dell‟interpretazione religiosa della teoria darwiniana proposta da Gray in America.

Verso la fine degli anni ‟60, tuttavia, la situazione stava cambiando sensibilmente. Attraverso

l‟incomparabile osservatorio offertogli dalla corrispondenza internazionale, dai contatti che

intratteneva con i circoli scientifici londinesi, dalle traduzioni dei suoi scritti e dagli attestati di

stima che gli giungevano da ogni parte del mondo, Darwin si convinse che la battaglia a favore

dell‟evoluzionismo – che in principio aveva anteposto all‟affermazione della sua particolare teoria

del cambiamento evolutivo, la teoria della selezione naturale – poteva considerarsi vinta. Nelle

nuove condizioni egli ritenne di poter contrastare le obiezioni che intanto erano state mosse alla

selezione e, insieme, affermare senza più reticenze una concezione radicalmente naturalistica del

mondo vivente e dell‟uomo, capace di ricondurre anche le credenze religiose, i sentimenti morali e

quant‟altro era considerato esclusivo dell‟uomo a un graduale processo evolutivo, che non

supponeva alcun piano preordinato in natura, né un posto privilegiato per la specie umana.

Era questa la concezione che Darwin propose nel 1871 nell‟Origine dell’uomo, in cui riprendeva

alcuni temi che aveva affrontato nei suoi quaderni privati fin dagli anni ‟30, ma con una ricchezza

di argomentazioni e di documentazione che mettevano in luce ancora una volta le qualità del

“laboratorio” privato che aveva saputo realizzare nel suo (apparente) ritiro nella campagna inglese.

Coerentemente, a partire dai primi anni ‟70 Darwin incoraggiò tra i suoi seguaci soprattutto quelli

che aderivano a un naturalismo evoluzionistico vicino al suo, come Huxley, o addirittura alle

filosofie monistiche e materialistiche intanto sviluppate da altri suoi ammiratori, come Ernst

Haeckel. Darwin d‟altra parte continuava a evitare di aderire in prima persona a quelle filosofie,

così come rifiutava di unirsi alle campagne dei propagandisti del libero pensiero e dell‟ateismo, che

erano ansiosi di utilizzare il suo nome. Questa linea di condotta contribuì a tenere l‟autore

dell‟Origine fuori dall‟Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica; ma non impedì a Karl Marx di

proclamarsi “suo sincero ammiratore” nella copia del Capitale che resta, non letta, nella biblioteca

personale di Darwin.

Gli storici che hanno esplorato la diffusione internazionale dell‟evoluzionismo concordano nel

collocare intorno al 1870 il picco delle vecchie e nuove adesioni a quel modo di concepire un vasto

settore delle scienze biologiche, che veniva così potenzialmente sottratto ad argomentazioni di tipo

religioso con le conseguenze che erano ormai sotto gli occhi di tutti, dibattute in libri e pamphlet ad

alta tiratura e sulla stampa di molti paesi.

Ma quali erano esattamente le caratteristiche dell‟evoluzionismo che intanto si era affermato? Gli

storici convengono sul fatto che si trattava di un evoluzionismo assai eterogeneo e, a volte, molto

poco darwiniano. Lo confermano le vicende in quegli stessi anni della teoria della selezione

naturale, oggi considerata il contributo più importante di Darwin.

3. Vicissitudini della selezione naturale

I naturalisti della generazione di Darwin si erano formati in una tradizione di ricerca che dedicava

un‟attenzione preminente alla classificazione delle forme viventi, alla loro morfologia e

all‟individuazione di leggi della fisiologia che insistevano sulla peculiare organizzazione interna

degli organismi. A molti di costoro il meccanismo proposto da Darwin per spiegare la

trasformazione delle forme viventi appariva difficile da accettare e in ogni caso insufficiente

rispetto ai compiti ambiziosi che gli erano stati assegnati nel grande affresco delineato nell‟Origine

delle specie, poi nella Variazione degli animali e delle piante (1868) e infine nell‟Origine

dell’uomo.

Chi per esempio, come Richard Owen, aveva condotto raffinati studi sull‟anatomia comparata degli

organismi, postulando l‟esistenza di alcuni piani fondamentali di organizzazione che l‟anatomia e la

fisiologia dovevano svelare, si trovava di fronte a una teoria che postulava una lenta ma inesorabile

trasformazione di ogni forma nel tempo, prodotta da forze che sembravano incommensurabili

rispetto alle leggi note dell‟anatomia e della fisiologia. Tali sembravano le “variazioni” darwiniane

(oggi diremmo mutazioni) che si producono di tanto in tanto nel processo riproduttivo per cause

non ancora note, e per Darwin in ogni caso accidentali, dando vita a individui o gruppi con

caratteristiche distinte all‟interno della specie. Tale sembrava la “lotta per l‟esistenza”, che Darwin

considerava prodotta, senza alcun piano o scopo, dalla tendenziale eccedenza delle popolazioni

animali (e umane) rispetto alla disponibilità di cibo. E tale si presentava la “selezione naturale delle

variazioni favorevoli nella lotta per l‟esistenza”, secondo Darwin anch‟essa priva di un

orientamento o di un fine. Se si aggiunge che Darwin ammetteva che la sua teoria non era in grado

di spiegare perché una specie particolare aveva preso il posto di un‟altra nella storia della vita sulla

terra, né tanto meno di prevederne il destino futuro, si comprende quali lacerazioni l‟adozione della

teoria darwiniana del cambiamento evolutivo poteva comportare nei confronti della biologia del

tempo e rispetto ad alcune idee generali circa gli obiettivi delle scienze naturali prevalenti

nell‟Ottocento.

Le caratteristiche della teoria darwiniana appena ricordate generarono difficoltà ed equivoci, tanto

tra i nemici quanto tra i sostenitori dell‟evoluzione. Anche chi non sentiva il bisogno di postulare un

piano divino trovava difficile conciliare la teoria della selezione con gli studi tassonomici,

anatomici e fisiologici contemporanei. Perfino Huxley, che a un certo punto adottò per sé la

definizione di “bulldog di Darwin”, preferiva considerare la selezione naturale un‟ipotesi su cui

lavorare, anziché una compiuta teoria dell‟evoluzione.

Così, proprio quando la battaglia per l‟evoluzionismo sembrava ormai vinta e Darwin era pronto a

rilanciare la sua spiegazione particolare del cambiamento evolutivo, la selezione naturale fu

sottoposta a critiche insidiose.

William Thomson, futuro Lork Kelvin, annunciò nel 1866 che secondo la termodinamica e le stime

correnti sul raffreddamento del sole l‟età della terra come pianeta abitabile doveva essere calcolata

in non più di cento milioni di anni o forse meno (oggi la stima è dell‟ordine dei 3,5 miliardi di anni,

tenuto conto di fattori come la radioattività allora sconosciuti) e oppose quel dato alla tradizione

della geologia britannica, che aveva ipotizzato tempi geologici praticamente illimitati. Darwin, che

si riconosceva in quella tradizione geologica e aveva concepito la selezione naturale come un fattore

particolarmente lento e graduale di evoluzione, si trovò in difficoltà. Nella prima edizione

dell‟Origine aveva stimato in trecento milioni di anni il periodo in cui si era formata una particolare

regione del sud dell‟Inghilterra: era questo l‟ordine di grandezza della dimensione temporale entro

cui aveva concepito la sua teoria del cambiamento evolutivo. Ora si vedeva costretto ad aprire la

porta a fattori diversi dalla selezione naturale, capaci di “accelerare” l‟evoluzione e di renderla

compatibile con il dato proposto dai fisici per l‟età della terra.

Obiezioni non meno insidiose alla selezione naturale furono mosse nel 1867 da un ingegnere,

collega di Thomson a Glasgow: Henry Charles Fleeming Jenkin. Oltre ad adottare la cronologia

breve per la storia della terra proposta da Thomson, Jenkin sviluppava alcune argomentazioni

originali. Esse svelavano una comprensione – rara tra i contemporanei di Darwin – del carattere

statistico delle leggi postulate dalla teoria della selezione per spiegare il cambiamento evolutivo e,

insieme, additavano nell‟uso darwiniano di quelle leggi delle incongruenze capaci di vanificare i

propositi di Darwin.

Dall‟esperienza degli allevatori – che Darwin aveva utilizzato per dimostrare che le piccole

variazioni individuali possono essere accumulate (nel caso dell‟allevamento ad opera

dell‟allevatore, mosso dai suoi fini particolari; in natura ad opera della selezione naturale, senza

alcun fine) – Jenkin traeva una conclusione opposta a quella di Darwin. L‟esperienza mostrava

secondo Jenkin che le variazioni individuali si distribuiscono all‟interno di “una sfera di variazione

possibile”, al centro della quale sta l‟”animale medio” della specie. Mentre era relativamente facile

per l‟allevatore selezionare in tempi brevi gli individui con le caratteristiche a lui più gradite entro

quella sfera di variazione, era arbitrario supporre che la stessa variabilità potesse estendersi

indefinitamente fino a produrre la trasformazione di una specie in un‟altra, secondo quanto

sosteneva l‟argomentazione darwiniana.

Ancora più insidiosa era la trattazione cui Jenkin sottoponeva la questione dei gruppi di individui di

una certa specie portatori di un insieme di caratteristiche nuove e della loro capacità di soppiantare

col tempo, riproducendosi in proporzioni più elevate degli altri, gli individui della medesima specie

privi di quelle caratteristiche. Darwin aveva sostenuto che qualunque piccolo vantaggio dei primi

nella lotta per l‟esistenza avrebbe fatto pendere la bilancia a loro favore, consentendo ai loro

discendenti di diffondersi nella popolazione della specie trasformandola. Jenkin sosteneva che

l‟argomentazione era tutt‟altro che sicura se si utilizzavano le argomentazioni probabilistiche che

Darwin sembrava disposto a seguire solo fino a un certo punto. Secondo Jenkin il vantaggio di

possedere certe caratteristiche nella lotta per l‟esistenza andava posto a confronto con lo svantaggio

rappresentato, al primo insorgere di una variazione del genere, dal numero ridottissimo di individui

che ne sono portatori. Considerato quest‟ultimo aspetto, era assai più probabile che la nuova

variazione restasse sommersa, per così dire, dai numeri, anziché mettesse radici. Una possibile via

d‟uscita di fronte a questa obiezione consisteva nel supporre che ogni nuovo gruppo di individui del

genere presentasse delle caratteristiche già profondamente distinte dal resto della specie, in modo da

annullare l‟effetto dei numeri a suo sfavore. Ma questo, sosteneva Jenkin, equivaleva a supporre

tante piccole “creazioni” del tipo che i darwiniani volevano escludere.

Per rispondere a critiche come queste, nelle edizioni successive dell‟Origine che si continuavano a

stampare (nella sola Inghilterra ne furono vendute 24.000 copie durante la vita dell‟autore: un

numero notevole in quegli anni per un trattato ponderoso) Darwin introdusse una lunga serie di

revisioni e integrazioni che davano spazio a fattori evolutivi ai quali, inizialmente, non aveva

riconosciuto alcun ruolo. Nella sesta edizione, la più popolare, apparsa nel 1872, tra questi

spiccavano i fattori lamarckiani dell‟uso e non uso delle parti, l‟azione diretta dell‟ambiente nel

favorire il processo evolutivo e l‟ereditarietà dei caratteri acquisiti, che la biologia successiva

avrebbe ritenuto incompatibili con una concezione propriamente darwiniana dell‟evoluzione. A

quei fattori, per lui nuovi, Darwin intanto aveva aggiunto anche una teoria per spiegare i fenomeni

dell‟ereditarietà – la teoria della pangenesi – e la teoria della selezione sessuale, per rendere ragione

di quei caratteri degli organismi che, in quanto apparentemente inutili nella lotta per l‟esistenza, non

sembravano riconducibili all‟azione della selezione naturale.

Non diversamente da quanto accadeva nel dibattito pubblico sull‟evoluzionismo, le controversie tra

gli specialisti stavano favorendo l‟affermazione di un evoluzionismo dai tratti profondamente

eclettici. La parallela, vistosa adozione da parte di Darwin dell‟espressione “sopravvivenza del più

adatto” come sinonimo di selezione naturale – espressione, la prima, coniata da Herbert Spencer per

designare la teoria darwiniana inserendola in una ancor più vasta concezione evoluzionistica del

cosmo e della società, dalle implicazioni controverse per qualsiasi riflessione sulle nazioni

occidentali e sulle loro proiezioni planetarie nell‟età degli imperi coloniali – non giovava neppure

essa alla chiarezza circa i tratti distintivi dell‟evoluzionismo darwiniano.

Una delle manifestazioni più acute delle tensioni, scientifiche e ideologiche insieme, che

percorrevano l‟evoluzionismo all‟inizio degli anni „70 fu un attacco sferrato da St. George Mivart,

con le reazioni che provocò in campo darwiniano. Anatomista, fautore di un evoluzionismo

compatibile con l‟autorità della Chiesa cattolica e con alle spalle un‟esperienza di avvocato, Mivart

pubblicò nel 1871 un trattato di successo sulla Genesi delle specie in cui criticava la selezione

naturale facendo leva su concetti come l‟assurdità di “un‟ala sviluppata soltanto a metà” e

insistendo sulla frequente incapacità di riprodursi delle varietà, che Darwin presentava invece come

specie incipienti. Mivart aveva fatto sapere a Darwin di voler attaccare, più che lui e la sua teoria, i

suoi seguaci, responsabili di una propaganda antireligiosa ritenuta pericolosissima. Ma Darwin a

quel punto, lo sappiamo, riteneva ormai di potersi schierare con i suoi alleati più naturali: fu lui a

replicare personalmente all‟attacco di Mivart e lo fece con una durezza pari o superiore a quella

tipica di Huxley.

4. Controversie sulle origini della specie umana. Darwinismo e politica

Antichi resti umani, di datazione incerta e dai tratti particolarmente “selvaggi”, erano stati

individuati nella valle di Neander, vicino a Düsseldorf, già nel 1857. Commentando il ritrovamento

dopo la pubblicazione dell‟Origine, un naturalista inglese aveva sottolineato le caratteristiche

scimmiesche di quei resti. Nel 1863 Huxley ne discusse in un‟opera fortunata, Il posto dell’uomo

nella natura, e argomentò che, considerata la notevole capacità cranica, quei tratti scimmieschi

potevano rientrare comunque nei margini di variabilità di Homo sapiens. L‟anno seguente fu

coniata l‟espressione Homo neanderthalensis e si diffuse la convinzione che dovesse trattarsi di uno

stadio intermedio nell‟evoluzione che aveva portato dalle scimmie all‟uomo. Nonostante le cautele

inziali di Darwin, l‟idea di un‟origine animale dell‟uomo si impose prepotentemente al centro delle

controversie sull‟evoluzionismo e produsse, tra le altre cose, una lunga serie di caricature sulla

stampa popolare che raffiguravano Darwin in veste di scimmia. Fu così che, durante la cerimonia

con cui fu conferita a Darwin la laurea ad honorem dell‟Università di Cambridge nel 1877, gli

studenti fecero scendere dall‟alto sul corteo togato il ritratto di una scimmia in abiti accademici, nel

trambusto generale.

Le incertezze sull‟antichità dei resti di Neander, e il dubbio alimentato da autorità come Rudolf

Virchow che si trattasse di un individuo dai tratti patologici, furono sopiti solo nel 1886 dopo dei

nuovi ritrovamenti. I fossili capaci di gettare luce sulle origini dell‟uomo restarono comunque una

rarità fino all‟ultimo decennio dell‟Ottocento, quando il reperimento in Asia di resti dai tratti ancora

più scimmieschi indusse a proporre la denominazione di Pithecanthropus erectus per designare quel

probabile, precedente stadio evolutivo della specie umana. Nel frattempo le controversie si

concentrarono su due questioni che sembravano poter prescindere dall‟incertezza della

documentazione fossile: la definizione del grado e dei modi della parentela tra l‟uomo e i primati

attuali, che già Linneo aveva classificato in una stessa grande famiglia, e la necessità o meno di

postulare qualche evento speciale per spiegare l‟origine dell‟uomo. Va da sé che la propensione a

risolvere in un senso o nell‟altro quest‟ultima alternativa si combinava, tipicamente, con una diversa

interpretazione del grado di parentela tra l‟uomo e le scimmie.

Le ovvie implicazioni religiose e il carattere congetturale di molte discussioni sull‟origine

dell‟uomo erano tali da lasciar trasparire facilmente alcuni dei motivi che stavano alla radice delle

aspettative degli evoluzionisti più accesi, da un lato, e della prudenza dei molti che invece, verso la

fine degli anni ‟70, si consideravano evoluzionisti ma preferivano dissociarsi dalle conclusioni più

radicali.

Il confronto tra Ernst Haeckel e Rudolf Virchow in occasione dell‟assemblea dei naturalisti e dei

medici tedeschi a Monaco nel 1877 è esemplare al riguardo. Virchow, che si riteneva evoluzionista

ma giudicava non provata l‟origine animale dell‟uomo, accusò gli evoluzionisti radicali di voler fare

della loro scienza una religione: una religione capace di prendere il posto della religione dei padri

nell‟opinione pubblica e nell‟insegnamento delle scuole. L‟accusa coglieva nel segno se si pensa

che antropologi e divulgatori dell‟evoluzionismo come Paolo Mantegazza in Italia da anni

parlavano della scienza come “religione dell‟avvenire” e presentavano le origini animali dell‟uomo

come una prova della capacità della specie di progredire indefinitamente con le sue sole forze,

emancipandosi dai vincoli della superstizione. Ma Virchow, da anni impegnato in politica con i

moderati, si spingeva oltre e, rivolgendosi a un pubblico ancora spaventato dalla Comune di Parigi e

preoccupato per la diffusione del movimento socialista, additava quelle che giudicava le pericolose

affinità tra l‟evoluzionismo radicale e il socialismo. Haeckel si affrettò a sottolineare che, semmai,

l‟evoluzionismo favoriva una concezione aristocratica della società. Nello strascico che la polemica

ebbe anche in Inghilterra Huxley negò a sua volta ogni simpatia socialista. Ma a molti doveva

essere ormai chiara una cosa: il dibattito pubblico stava svelando alcune possibili conseguenze del

programma evoluzionistico che non tutti avevano preventivato e che, nel clima politico del tempo,

non pochi nel pubblico borghese consideravano con timore.

5. Un bilancio a vent‟anni dall‟Origine

Intorno al 1880, si è visto, le valutazioni degli esperti e il dibattito pubblico sull‟evoluzionismo

continuavano a interagire per mille canali. A vent‟anni dalla prima edizione del classico trattato di

Darwin sulle specie alcune conseguenze di quell‟interazione erano ormai evidenti. L‟adozione di un

punto di vista evoluzionistico tra gli esperti e l‟opera di proselitismo condotta da molti di loro sulla

stampa e nelle conferenze pubbliche aveva indotto la stragrande maggioranza dei commentatori,

specialisti o dilettanti che fossero, a pronunciarsi a favore dell‟evoluzionismo. La strategia flessibile

adottata da Darwin di fronte alle polemiche dei primi anni, e la risoluta azione successiva svolta di

concerto con i suoi alleati che con l‟evoluzionismo perseguivano un ridimensionamento della

tradizione religiosa nella scienza e nella vita pubblica, avevano raggiunto l‟obiettivo desiderato. Ma

era evidente anche un‟altra conseguenza dell‟interazione tra esperti e dibattito pubblico, una

conseguenza che Darwin non aveva preventivato, né tanto meno auspicato: era il declino della

selezione naturale, un declino che si manifestava tanto tra i seguaci di Darwin che tra i suoi

avversari, che pure ora spesso si dichiaravano evoluzionisti quanto i primi.

La situazione risulta con chiarezza dal bilancio che Huxley delineò in occasione della raggiunta

“maggiore età” dell‟Origine. Huxley registrava con soddisfazione una serie di risultati scientifici

che inducevano a pronunciarsi a favore della teoria della “discendenza con modificazione”.

Ricordava per esempio che il ritrovamento dei resti di Archeopterix, nel 1862, aveva mostrato che

anche gruppi di organismi ora ben distinti come i rettili e gli uccelli erano stati un tempo collegati,

come richiedeva la teoria della discendenza. Lo stesso Huxley aveva individuato i tratti anatomici

che dovevano aver consentito il passaggio dai rettili a quattro zampe agli uccelli a due zampe.

Calco di resti di Acheopterix (150 milioni di anni fa; questo esemplare è stato trovato in Baviera).

Documenta il passaggio evolutivo dai rettili agli uccelli. Se ne conoscono solo sei esemplari. (Da Niles

Eldredge, Fossils, 1991).

Negli anni „70, nei depositi cretacei dell‟America settentrionale, Othniel C. Marsh aveva scoperto i

resti di uccelli dotati di denti. Marsh aveva anche mostrato i possibili passaggi dalle forme più

antiche del cavallo e di altri mammiferi superiori a quelle attuali. Se la transizione dagli invertebrati

ai vertebrati restava ancora oscura, le ricerche di Aleksandr Kovalevsky sull‟anfiosso e sui tunicati

avevano mostrato che la barriera tra i due grandi gruppi di organismi non era impenetrabile.

L’anfiosso attuale, considerato nell’Ottocento una possibile forma di transizione tra invertebrati e

vertebrati.

Lo stesso poteva dirsi per la linea che, nel mondo vegetale, separava le piante dotate di fiori da

quelle senza fiori: le ricerche di Wilhelm Hofmeister, secondo Huxley, avevano dimostrato che

esistevano delle forme di transizione.

La possibilità di quei passaggi nella serie dei viventi, la cui ammissione nel 1859 era considerata il

segno di un‟inclinazione per le speculazioni più audaci, nel 1880 era considerata una conclusione

ragionevole da parte di qualsiasi onesto ricercatore: “L‟evoluzione – concludeva Huxley – non è più

una speculazione, ma l‟enunciazione di un fatto storico”.

Nel redigere la cronaca dei successi ventennali dell‟evoluzionismo, d‟altra parte, Huxley passava

completamente sotto silenzio la teoria della selezione naturale. Per il “bulldog di Darwin”, che fin

dall‟inizio si era mostrato tiepido nei confronti della spiegazione del mutamento evolutivo proposta

dall‟amico, era un silenzio eloquente. La reticenza di Huxley non era un‟eccezione tra gli

ammiratori di Darwin in quegli anni. Rispondendo alle accuse di Virchow in occasione della

polemica già ricordata, Haeckel aveva cercato di mettere ordine nel dibattito sull‟evoluzionismo

distinguendo tre cose che, a suo giudizio, venivano solitamente confuse. La prima era “la dottrina

generale dello sviluppo”, cosmico e insieme biologico, che egli chiamava monismo e di cui si

considerava paladino. La seconda era la “teoria della discendenza con modificazione”, che

attribuiva a Lamarck in quanto suo primo enunciatore. Soltanto al terzo posto Haeckel metteva la

“teoria della selezione” di Darwin, considerata la più importante, ma non la sola tra le teorie che si

contendevano la spiegazione del cambiamento evolutivo. L‟ordine nell‟elenco non lasciava dubbi

sulle priorità che Haeckel avrebbe adottato nella sua difesa dell‟evoluzionismo.

Tra i numerosi sostenitori di un‟evoluzione conciliabile con la tradizione religiosa, s‟intende, la

selezione naturale darwiniana aveva intorno al 1880 ancora meno fortuna che tra gli alleati di

Darwin. L‟incarico di sferrare un nuovo attacco alla selezione a nome dei primi se lo assunse nel

1879 Samuel Butler, che non era un naturalista ma uno scrittore di successo, attirato come tanti altri

dal clamore del dibattito pubblico sull‟evoluzionismo. Butler, che si dichiarava evoluzionista,

mostrava la sua abilità polemica nell‟esaltare i contributi degli evoluzionisti predarwiniani a spese

di quelli di Darwin. Riusciva così ad affermare i meriti di quasi tutti gli evoluzionisti – da Buffon a

Erasmus Darwin, da Lamarck a Herbert Spencer – denunciando contestualmente le ambiguità e le

insufficienze della teoria della selezione.

Sul piano delle obiezioni scientifiche l‟analisi di Butler aggiungeva poco alle critiche già sollevate

da Mivart. Butler, del resto, consapevole delle sue limitate credenziali, si dedicava piuttosto a una

riflessione di carattere storico e filosofico. E‟ su questo fronte che le sue critiche possono aiutarci a

capire alcune delle ragioni che continuavano a opporsi all‟accettazione della selezione naturale,

nonostante il trionfo dell‟evoluzionismo. Se si considera poi che alcune ragioni della sfortuna della

teoria darwiniana messe in evidenza da Butler richiamano concetti che, a partire dagli anni ‟30 del

Novecento, hanno favorito invece il recupero della teoria darwiniana nella biologia e in alcune

filosofie contemporanee, può essere utile considerarle brevemente.

Quel che Butler trovava soprattutto inaccettabile nella teoria di Darwin era il carattere fortuito delle

piccole variazioni su cui agiva la selezione naturale, variazioni sulle cui cause Darwin per di più

confessava la propria ignoranza. Come potevano delle variazioni accidentali e dalle cause

sconosciute, sommandosi, dare luogo alla meravigliosa serie evolutiva degli esseri viventi sulle cui

caratteristiche fondamentali, intanto, gli evoluzionisti di ogni convinzione sembravano potersi

mettere d‟accordo?

In mezzo alle annotazioni polemiche Butler comprendeva bene che, nonostante le concessioni fatte

ai meccanismi lamarckiani nelle ultime edizioni dell‟Origine, Darwin non era disposto a rinunciare

completamente all‟elemento “accidentale” e “fortuito” del cambiamento evolutivo. Questo era

l‟aspetto della teoria della selezione che continuava ad apparire ostico a molti contemporanei di

Darwin. Butler per parte sua non aveva dubbi: preferiva supporre che ogni pianta o animale avesse

la capacità di orientare in qualche modo le proprie variazioni in risposta alle condizioni ambientali.

Per questo rilanciava le idee “antiche” dell‟evoluzione lamarckiana contro la dottrina “nuova” di

Darwin. L‟intero processo evolutivo risultava così in qualche modo orientato. Un‟idea che, per

ragioni diverse, piaceva anche a quei seguaci di Darwin che propendevano per un‟interpretazione

laica e progressiva della “sopravvivenza del più adatto”, spingendoli ad anteporre la teoria della

discendenza alla difesa della selezione naturale.

Considerare la nascita della teoria neodarwiniana dell‟evoluzione nel Novecento esula dai limiti di

queste pagine. Quanto detto a proposito dell‟evoluzionismo intorno al 1880, tuttavia, offrirà dei

termini di confronto utili per comprendere le ragioni che invece, nel nuovo secolo, favorirono

l‟affermazione in biologia e in diversi settori delle scienze umane di nozioni nuovamente ispirate

alla selezione naturale darwiniana, che riconoscevano ampio spazio alla componente “accidentale”

raramente accolta dai contemporanei di Darwin.

6. Eredità darwiniane

L‟enfasi raggiunta dalle controversie pubbliche sull‟evoluzionismo rendeva difficile, si è visto,

separare la valutazione del merito scientifico di questa o quella nuova prova o proposta

interpretativa dall‟eco delle controversie che si erano susseguite fin verso la fine del secolo. Sarebbe

sbagliato tuttavia dedurne che, dunque, quelle controversie ostacolarono la ricerca biologica. Al

contrario, la quantità degli studi condotti e messi in campo dai seguaci e dagli avversari del

darwinismo nei vent‟anni qui considerati fu poco meno che prodigiosa. Per rendersene conto

basterà ricordare, per i darwiniani, i lavori di Alfred Russel Wallace, Thomas H. Huxley, Asa Gray,

Ernst Haeckel o John Lubbock, oltre naturalmente a quelli di Darwin; per gli antidarwiniani, le

opere di Louis Agassiz, Richard Owen o St. George Mivart, cui si dovrebbero aggiungere i lavori

di coloro che esploravano strade non riconducibili immediatamente agli schieramenti prevalenti.

Anche per effetto delle controversie innescate dall‟evoluzionismo, le opere di costoro e di tanti altri

ottennero una vasta risonanza internazionale. Se a quegli studi poi si aggiunge la letteratura a

circolazione eminentemente nazionale prodotta nei paesi dove l‟evoluzionismo conquistò un alto

livello di penetrazione – come la Germania, gli Stati Uniti, l‟Italia, la Francia, i paesi di lingua

spagnola e la Russia – si ha un‟idea della vastità dell‟impatto diretto e indiretto prodotto dalle

controversie ottocentesche sull‟evoluzione.

E‟ importante notare, d‟altra parte, che in quegli stessi decenni le ricerche collegate

all‟evoluzionismo si erano spesso affiancate, piuttosto che sostituite, alla letteratura prodotta in

settori importanti della biologia e non avevano modificato in profondità quelle che restavano delle

radicate, ben distinte tradizioni di ricerca, talvolta impervie alla nuova prospettiva. Anche questo

stato di cose andrà utilmente confrontato con la situazione che si produsse invece nel Novecento

con l‟affermazione della teoria neodarwiniana dell‟evoluzione.

Nonostante le aspettative dei sostenitori e le paure degli avversari proclamate nei pubblici dibattiti,

l‟evoluzionismo di quei decenni dell‟Ottocento aveva generato qualcosa che assomigliava più

all‟annuncio di un nuovo continente da esplorare che al sovvertimento delle conoscenze consolidate

nei settori più importanti delle scienze della vita. Come Darwin aveva ben compreso mentre

scriveva l‟Origine, il successo di lunga durata dell‟evoluzionismo sarebbe dipeso dalla sua capacità

di convincere della centralità della prospettiva evoluzionistica gli esperti delle discipline

tradizionali, come la tassonomia, la paleontologia, l‟embriologia o la fisiologia, su cui poggiavano

le competenze tecniche e professionali di chi praticava le scienze biologiche. Intorno al 1880 diversi

segnali indicavano che un numero crescente di questi esperti, anche tra coloro che si dichiaravano

evoluzionisti, non riteneva opportuno anteporre la questione dell‟evoluzionismo alle ricerche che

intanto si stavano moltiplicando per effetto dell‟estensione dei corsi universitari e dei laboratori di

scienze biologiche in molti paesi.

Per ogni ricercatore come Anton Dohrn – il naturalista tedesco che nel 1872 aveva fondato a Napoli

la Stazione zoologica con un programma di ricerche embriologiche sugli invertebrati di ispirazione

darwiniana – ce n‟erano molti altri che preferivano affermare una crescente autonomia dalle

controversie sull‟evoluzionismo. Ciò valeva soprattutto per la nuova generazione di biologi che

intanto si erano formati nei laboratori di fisiologia, specialmente nelle università tedesche, in cui si

stava diffondendo uno stile di ricerca basato sull‟uso di strumenti e tecniche sofisticate, rispetto al

quale i metodi di lavoro di Darwin e dei suoi seguaci apparivano antiquati, legati a una tradizione

della storia naturale che non sembrava al passo con le nuove competenze professionali.

Darwin era consapevole della svolta sperimentale che si stava producendo in biologia. Nelle

ricerche degli ultimi anni – in studi come quelli sulle piante carnivore (1875), sui movimenti delle

piante (1880) o sull‟azione dei lombrichi nella formazione dell‟humus vegetale (1881) – aveva

introdotto, grazie anche al figlio Francis che intanto aveva studiato fisiologia con Julius Sachs a

Würzburg, un certo numero di tecniche sperimentali, che del resto non aveva mai trascurato nel suo

peculiare laboratorio domestico. Ma il contrasto tra i modesti strumenti della storia naturale, nel cui

ambito Darwin continuava a muoversi, e quelli della nuova biologia – in cui i microscopi più

potenti si affiancavano alle tecniche messe a disposizione dalla chimica e dall‟elettromagnetismo

per esplorare e registrare i fenomeni della vita – appariva a molti un contrasto insanabile. Così per

esempio Sachs criticò alcune delle ultime ricerche di Darwin e anche Francis Darwin doveva notare

a proposito dei metodi di lavoro di suo padre: “Ho sempre trovato curioso che colui che ha

cambiato drasticamente la scienza biologica, e in questo senso è il primo dei moderni, abbia scritto

e lavorato con uno spirito e dei modi tanto poco moderni nella sostanza”.

Non erano in gioco soltanto le aporie della modernità, come pensava Francis. Negli ultimi anni di

vita di Darwin lo sviluppo delle tecniche di laboratorio in biologia si combinava con le difficoltà

della selezione naturale nel rendere manifesta una circostanza di cui Darwin era in parte

consapevole, ma che i dibattiti sull‟evoluzionismo spingevano a sottovalutare e in ogni caso non

potevano modificare: le scienze della vita, in effetti, accoglievano al loro interno una varietà di

tradizioni di ricerca e di metodi di lavoro profondamente eterogenei tra loro, che non si lasciavano

ricondurre facilmente ad un‟unica, per quanto grandiosa prospettiva come quella fornita dalla teoria

dell‟evoluzione. Nel vivo delle controversie ottocentesche sull‟evoluzionismo l‟eterogeneità delle

tradizioni della ricerca biologica poteva forse essere trascurata, o scambiata facilmente per

qualcos‟altro. Ma, ora lo sappiamo, per radicare l‟evoluzionismo nella tradizione e

nell‟insegnamento delle scienze della vita sarebbero occorse ancora diverse generazioni di

ricercatori, ancor più numerose generazioni di manuali scientifici, nuove controversie sui rapporti

tra scienza e religione e, infine, confronti a volte drammatici sui rapporti tra scienza e politica,

dentro e fuori la comunità degli esperti.

La “nuova sintesi” evoluzionistica elaborata nel corso del Novecento dal neodarwinismo – che

ancora ispira la trattazione dell‟evoluzione in molti manuali di scienze – tentò da capo di ricondurre

a unità la diversità delle tradizioni di ricerca in biologia. Il nome di Darwin – intanto diventato

mitico – fu utilizzato di nuovo per convogliare tra gli specialisti e presso il pubblico il messaggio

secondo cui l‟ideale di una scienza del vivente unificata all‟insegna dell‟evoluzionismo era un

obiettivo ragionevole e opportuno. Non sorprenderà a questo punto osservare che, come ai tempi di

Darwin anche se in forme diverse, quel messaggio ha continuato e continua tuttora a caricarsi di

implicazioni contrastanti, non soltanto scientifiche.

(Giuliano Pancaldi)

Un dibattito rivelatore? Galileo, Darwin, l‟evoluzione e i problemi dell‟istruzione in un dibattito al Parlamento italiano

21 Aprile 1866

Paolo Mantegazza, 1831-1910, deputato della Destra. Il D‟Ondes-Reggio

attaccato da Mantegazza nell‟intervento in Parlamento era pure della Destra. Ma gli applausi per

Mantegazza venivano soprattutto dalla Sinistra:

________________________


Recommended