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Le crisi economiche dell'età contemporanea: 1873-1929

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La crisi economica dell’età contemporanea AUTORE: TOMIRI GIUSY 1873-1929
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Page 1: Le crisi economiche dell'età contemporanea: 1873-1929

La crisi economica dell’età contemporanea

AUTORE: TOMIRI GIUSY

1873-1929

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FINALITA’

La lezione si pone l’obiettivo di indagare la natura delle crisi economiche contemporanee,in base ad una prospettiva di ricerca e problematizzazione così articolata:

1. La situazione economica e sociale precedente la crisi

2. L'insorgere di una grande crisi: genesi e funzione

3. Le conseguenze della crisi: nuova riorganizzazione della sfera socio-economica

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FINALITA’

Nelle 2 crisi economiche che si andranno ad analizzare,emergono delle analogie quali:

1. Una situazione precedente la crisi di grande mobilità di merci e capitali,e di elevata produttività dovuta allo sfruttamento delle tecnologie emergenti.

2. La crisi come messa in discussione dell'organizzazione produttiva,causa l'eccessiva quantità di beni e la mancata disponibilità di mercati in grado di assorbirli

3. Le conseguenze della crisi: limitazione del libero scambio,ritorno di politiche protezioniste,dirigismo statale nell'economia. Maggiore unificazione delle strutture politiche ed economiche.

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SCHEMA INTERPRETATIVO

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SCHEMA INTERPRETATIVO

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TEORIA DI RIFERIMENTO

Lo schema interpretativo di riferimento utilizzato per spiegare il fenomeno della crisi economica si basava sulla teoria del ciclo economico mutuata da Hobson*,esponente del neo – maltusianesimo,secondo cui:

durante le fasi espansive del ciclo crescono sia i redditi che i consumi, ma questi in misura minore. Si ha così un incremento del risparmio, che dà luogo a maggiori investimenti;

Tuttavia, poiché i consumi sono cresciuti meno della capacità produttiva, si ha un eccesso di offerta. Ne seguono una contrazione della produzione ed una diminuzione del reddito;

La proporzione del consumo sul reddito quindi sale, fino a che si ha un nuovo equilibrio tra domanda e offerta e inizia una fase di ripresa.

*J. Hobson, The Evolution of Modern Capitalism, L'evoluzione del capitalismo moderno, 1984

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CICLO ECONOMICO

fase di prosperità, o boom, nella quale il PIL cresce rapidamente

fase di recessione, individuata da una diminuzione del PIL in almeno due trimestri consecutivi

fase di depressione, in cui la produzione ristagna e la disoccupazione si mantiene a livelli elevati

fase di ripresa, in cui il PIL inizia nuovamente a crescere.

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IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA

Le cause delle crisi potevano essere strettamente correlate alle nuove tecnologie che favorivano l’incremento della produzione,ma anche la riduzione del numero di lavoratori impiegati. Da ciò si innescavano processi che trasformavano la società intera,perché la diminuzione della manodopera o l’imposizione di bassi salari portava alla riduzione dei redditi e ad un offerta di beni in eccesso che non trovava più domanda.

Nelle crisi si era attuato un passaggio decisivo nella storia del capitalismo:

1. La crisi del 1873 aveva realizzato il passaggio dal capitalismo concorrenziale a quello monopolistico,trainato dall’industria di masse e pesante.

2. La crisi del 1929 aveva attuato il passaggio dal capitalismo incentrato sulla produzione a quello incentrato sul modello consumistico. Diversificazione dei beni e utilizzo del petrolio come fonte energetica primaria.

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IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA

Il collegamento tra le crisi industriali e le crisi economiche era stato evidenziato da Marx, secondo il quale le nuove forze produttive andavano a mettere in crisi i rapporti di produzione:

“Nelle crisi scoppia un’epidemia sociale che in tutte le altre epoche sarebbe stata considerata un controsenso: l’epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra di annientamento totale sembrano sottrarle ogni mezzo di sussistenza; l’industria, il commercio appaiono distrutti, e perché? Perché la società ha incorporato troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio.“

Karl Marx, Friedrich Engels , Il Manifesto del Partito Comunista- I. Borghesi e Proletari,pag. 67

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LA NATURA DELLE CRISI MODERNE

La domanda non si sviluppa proporzionalmente all’offerta e questo determina il crollo dei prezzi, il fallimento delle imprese e la disoccupazione

Crisi di Ancien régime è determinata da penuria: carestie e siccità, carenza di beni; è quindi una crisi di sottoproduzione

Crisi Moderna deriva invece dalla eccessiva abbondanza di beni che il mercato non è in grado di assorbire. Si tratta quindi di crisi di sovrapproduzione o sottoconsumo.

Che cosa accadrebbe a un mercato continuamente affetto da domanda insufficiente? E a un sistema economico sofferente di sottoconsumo, sottoinvestimento e sottoccupazione cronici?

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LA SITUAZIONE ANTECEDENTE LA CRISI DEL 1873 L’economia mondiale nel corso dell’Ottocento si sviluppò con

una crescita senza precedenti,il periodo di massima crescita si ebbe tra l’inizio degli anni Quaranta e il 1873, quando il commercio totale aumentò ad un tasso annuo di oltre il 6 %*

Negli anni Sessanta e Settanta si creò una zona europea di libero scambio per manufatti industriali e prodotti agricoli, che aumentando la concorrenza incentivò le imprese ad accrescere la propria efficienza tecnica e la propria produttività

Il libero scambio fu adottato, a seguito del Trattato Cobden-Chevalier tra Inghilterra e Francia nel 1860. Liberalizzazione dei traffici,abolizione dei dazi e dogane

* (R. Cameron, Storia economica del mondo, Il Mulino, Bologna, 1998, p. 461)

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Grande depressione: 1873- 1895 prima grande crisi industriale

Espulsione manodopera dal settore agricolo ed emigrazione in città,causa la caduta dei prezzi e la forte concorrenza del grano americano

Ristagno dei prezzi.

La caduta dei prezzi industriali continua per tutti gli anni 80, ancora più accentuata quella prezzi agro-alimentari; tra il 1873 e il 1895 il calo medio dei prezzi industriali e del 40%, quello dei pressi agrari è del 50%.

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Grande depressione: 1873- 1895 prima grande crisi industriale

Generale diminuzione del PIL. In Europa, (-7%)

nel 1875-1876 (-4%)

nel 1879-1880 (-7%) Negli Stati Uniti crescita zero nel 1874-1875.

Una forte e perdurante deflazione, con una quantità sempre crescente di scorte di magazzino invendute che indussero i produttori ad avviare massicci licenziamenti nel settore industriale e riduzioni salariali

Incapacità di riprendere la crescita economica del periodo 1848-1870

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LE CAUSE: SOVRAPPRODUZIONE

Un’ enorme incremento della produzione di beni che, tra il 1850 e il 1870 era aumentata di cinque volte. Il prevalere dell’offerta sulla domanda determina caduta dei prezzi e la disoccupazione

La sproporzione tra produzione e consumo dipese da questi fattori:

progresso tecnico: che determinò una crescita eccessiva della produzione

aumento numero paesi industriali: a quelli tradizionali (GB, Francia, Belgio) se ne erano aggiunti nuovi(Germania e Usa) con enormi capacità produttive, e altri ad industrializzazione lenta ma significativi (Italia,Russia, Giappone). Aumenta quindi la concorrenza sul mercato mondiale

l’unificazione del mercato mondiale: consentendo di invadere il mercato di ogni paese in breve tempo e a costi bassi. Quindi il volume di beni disponibili satura le capacità di assorbimento dei mercati

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LE CAUSE: SOVRAPPRODUZIONE Lo sviluppo nei trasporti aveva determinato l’ unità del mercato mondiale,

nuovi paesi erano emersi come po-tenze produttrici in ambito agricolo quali Usa, Argentina, Australia, ciò aveva aumentato la concorrenza. In questi paesi la produttività agricola era enormemente superiore e i costi di produzione più bassi. In Usa la produzione del grano costava la metà che in Europa, e la produttività aumenta dieci volte di più di quella russa e 5volte di quella italiana.

Imposizione di bassi salari: le capacità acquisto sul mercato sono limitate dalla strategia perseguita per far fronte alla crisi diminuendo i costi di produzione con una politica di bassi salari. Questa drastica riduzione ebbe effetti controproducenti, abbassando il potere d’acquisto della popolazione, e determinò un ulteriore abbassamento della domanda e dei consumi che aggravò la crisi.

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CONSEGUENZE DELLA CRISI

Intervento dello stato in economia, dirigismo. Attraverso le commesse pubbliche  (acquisti di beni e merci che lo stato effettua alle industrie nazionali). La crescita dell’industria pesante viene sempre più a dipendere dallo stato, specie dalle Commesse militari

Instaurazione di politiche protezionistiche: a causa della concorrenza internazionale, e della caduta dei prezzi, gli stati, per proteggere l’industria e i mercati nazionali impongono pesanti barriere doganali. Freno al libero commercio

Formazione imperi coloniali come mercati di sbocco per la sovrapproduzione.

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L’agricoltura mondiale subì un radicale processo di ristrutturazione, secondo criteri di concentrazione e modernizzazione per far fronte alla concorrenza americana. L'agricoltura mondiale venne ristrutturata secondo principi di divisione del lavoro.

Sistema monetario internazionale: Gold standard (1880-1914):

Parità fissa tra ciascuna moneta e l’oro

Convertibilità di ciascuna moneta in oro

Legame tra quantità di moneta in circolazione e quantità di oro posseduta

CONSEGUENZE DELLA CRISI

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DAL LIBERO SCAMBIO AL CAPITALISMO ORGANIZZATO

Concentrazione industriale e finanziaria:

Formazione di giganti industriali legata alle commesse pubbliche e che ottenevano agevolazioni fiscali e creditizie dallo stato per introduzione nei mercati esteri

Monopolio, per esercitare un controllo sui prezzi e attutirne la caduta. Se poche imprese controllano il mercato di un determinato bene, la concorrenza diminuisce, e le imprese possono stabilire indipendentemente dal mercato il prezzo e la quantità delle merci prodotte

Holdings, banche e aziende incrociavano partecipazioni per abbattere costi ed

eliminare concorrenza.

Trust,fusione tra imprese

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FORME DI CONCENTRAZIONE INDUSTRIALE Cartelli,accordi tra aziende stesso settore per definire prezzi di prodotti e

quote di mercato (cartello del carbone renania westfalia nel 1893 controllava il 90% del prodotto della rurh)

 concentrazione verticale : il controllo delle diverse fasi del processo produttivo di un determinato bene,dall’estrazione delle materie prime alla vendita del prodotto finito, viene accentrato nelle stesse mani. Abbattimento dei costi.

 concentrazione orizzontale: aziende produttrici dello stesso tipo di merci si uniscono per battere la con-correnza, ad esempio tutte le imprese produttrici di automobili si uniscono.

oligopolio,importanti comparti economico finanziari dominati da poche imprese (Bayer nella chimica,Siemens nell’ elettromeccanica)

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IL RUOLO DELLE BANCHE

La situazione di crisi e concentrazione determinò un incremento del fabbisogno di capitali per

finanziare le innovazioni tecnologiche. Queste forme di finanziamento possono avvenire in

due modi:

1) tramite il finanziamento bancario: le banche rastrellano il risparmio della massa del pubblico e lo investono nelle attività industriali o sotto forma di prestito alle imprese, o acquistando azioni delle stesse e, spesso,raggiungendone il controllo.

il ricorso alla borsa luogo di contrattazione di titoli. Il valore di questi beni finanziari e determinato dalle leggi della domanda e dell’offerta. I titoli possono essere  privati , come le azioni societarie di un’azienda, o  pubblici , come le “obbligazioni” attraverso cui lo stato finanzia il proprio deficit. Le aziende si costituiscono in società per azioni e emettono azioni il cui insieme costituisce il capitale dell’azienda. Le azioni vengono vendute in borsa per finanziare l’impresa. Chi detiene la maggioranza de esse ha il controllo dell’impresa. Attraverso queste forme di finanziamento il peso del capitale finanziario controllato dalle banche diviene sempre maggiore. Infatti molte banche si impossessano del “pacchetto azionario di maggioranza” di numerose imprese di cui assumono la direzione.

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LA RAZIONALIZZAZIONE PRODUTTIVA 

L’aumento della produttività industriale determinato dal concentrarsi in un breve arco temporale di innovazioni e scoperte tecnologiche fondamentali per l’economia.

Le invenzioni della seconda metà dell'Ottocento derivano soprattutto dall'applicazione della scienza all'industria.

Nuove fonti di energia e nuovi strumenti per l’utilizzazione dell’energia:dopo il 1870, si iniziava l'età dell'acciaio e dell'elettricità, del petrolio e della chimica

Chimica, elettromeccanica, siderurgia presentano alta intensità tecnologica e di capitale, si richiedeva una produzione costante e di massa organizzata scientificamente al fine di ottenere la massima produttività con i minimi costi.

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L’innovazione organizzativa

Il lavoro di fabbrica venne impostato su “basi scientifiche” per abbreviare tempi e costi ed aumentare la produzione.

Il Taylorismo o scientific management, teso ad applicare al lavoro umano i principi di efficienza dell’ingegneria meccanica. L’innovazione consisteva nello scomporre il lavoro nei movimenti più semplici misurando il tempo necessario a compierli. In questo modo si poteva stabilire il modo migliore di compiere un’operazione lavorativa ed il tempo ottimale necessario a compierla.

Henry Ford, il re dell’auto, si deve l’introduzione della catena di montaggio. Venne sperimentata nel 1913 e, una volta adottata consentì una drastica riduzione dei tempi di lavorazione del prodotto. Con essa è direttamente la macchina a determinare la successione delle operazioni ed il loro ritmo. Si ottiene così la completa standardizzazione del lavoro.

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SITAZIONE PRE- CRISI DEL ‘29

il Primo conflitto mondiale aveva rappresentato l’occasione per le potenze industriali europee di espandere i propri mercati

il volume pro-capite del commercio estero era nel 1913 oltre venticinque volte superiore a quello del 1800.

Gli anni venti negli Usa crescita sostenuta nel settore auto,elettrico,chimico crescita dei consumi e rialzo delle quotazioni azionarie delle imprese usa sul mercato. Sembrava quindi essersi innescato un circolo virtuoso: l'alta produttività permetteva di mantenere inalterati i salari e i prezzi dei prodotti sul mercato. Questo favoriva quindi gli investimenti che permettevano a loro volta di aumentare la produttività.

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SITUAZIONE PRE- CRISI DEL ‘29

Gli Stati Uniti divennero il nerbo della ricostruzione europea sia a livello commerciale che a livello finanziario. L’intervento e soprattutto i primi anni del dopoguerra permisero, infatti, agli Usa di rimandare una crisi di sovrapproduzione che era ritenuta possibile da molti analisti già prima dello scoppio del conflitto.

Il forte intervento finanziario degli Usa nella ricostruzione e nella riconversione industriale del dopoguerra spiega anche l’impatto enorme che la crisi del 1929 ebbe su tutti i paesi europei che avevano ricevuto crediti dalla nuova superpotenza di oltreoceano e su alcuni paesi latinoamericani, come Messico, Cuba, Cile e Bolivia, già largamente dipendenti dagli investimenti statunitensi.

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LE CAUSE DELLA CRISI

Nel 1925 si contavano rispetto al 1919 due milioni in meno di uomini occupati nei principali rami di lavoro e questo benché la popolazione e la produzione fossero grandemente aumentate e molte nuove industrie fossero sorte.

nel 1928 risultava evidente che la produzione forzata delle industrie era di molto superiore al consumo del mercato interno. Si doveva vendere l’ eccedenza in crescente aumento all'esterno.  Gli Stati Uniti, che già avevano prestato all'esterno quattordici miliardi di dollari, continuavano a concedere prestiti al di là dell'Oceano a una media di due miliardi annui. Cosi, infatti, si ebbe quella pioggia di obbligazioni straniere.

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LE CAUSE DELLA CRISI

Se le cause immediate della grande crisi sono da ascriversi all'azione incontrollata della speculazione borsistica,le cause profonde erano ben altre,come sostiene di Franklin D. Roosevelt in Looking Forward, Il New Deal.

Il presidente americano ben compreso come l’eccesso di

produzione, che si era tramutato in sovrapproduzione, era in stretta connessione con le speculazioni sul credito.

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LE CAUSE DELLA CRISI

“Già nel 1928 risultava evidente che la produzione forzata delle nostre industrie era di molto superiore al consumo del mercato interno. Questo fatto suggerì ai capi del governo nazionale un consiglio audace e fatale. Dovevamo vendere "1a eccedenza in crescente aumento" all'esterno. Ma come si poteva fare ciò quando le finanze di tutto il mondo erano ridotte in condizioni pietose? La risposta - che fu tragicamente errata - si trovò: " È parte essenziale della più grande espansione del nostro commercio all'estero l'interessarci allo sviluppo dei paesi più retro -gradi o in precarie condizioni finanziarie, imprestando loro il denaro occorrente". Ho già denunciato questa politica, ma è necessario che ritorni sull'argomento, poiché fu la causa prima delle difficoltà bancarie e borsistiche in cui ci dibattiamo. Gli Stati Uniti, che già avevano prestato all'esterno quattordici miliardi di dollari, continuavano a concedere prestiti al di là dell'Oceano a una media di due miliardi annui. Cosi, infatti, si ebbe quella pioggia di obbligazioni straniere, che i compratori americani hanno imparato a conoscere a spese loro.”

Franklin D. Roosevelt, Looking Forward, New York 1933, in Il New Deal.

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LE CAUSE DELLA CRISI

La Grande Crisi fu il frutto dello sviluppo asimmetrico tra l’economia statunitense e quella europea e degli altri paesi del mondo nel decennio 1919-1928 cui non corrispose un adeguato ampliamento del mercato mondiale anche a causa :

1. del periodo di ricostruzione delle economie europee

2. della sostanziale chiusura del mercato sovietico

3. dell’impossibilità di allargare i possedimenti e i mercati coloniali ormai sostanzialmente saturi.

La ragione più immediata ed evidente della recessione era stata la debolezza della domanda, che precipitata a livelli bassissimi tra il 1929 e il 1932, non aveva potuto sostenere il ritmo della produzione.

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LA CRISI

L'aumento del valore delle azioni industriali,però, non corrispose a un effettivo aumento della produzione e della vendita di beni tanto che, dopo essere cresciuto artificiosamente per via della speculazione economica diffusasi a tutti i livelli in quegli anni, questo scese rapidamente e costrinse i possessori a una massiccia vendita, che provocò il noto crollo della borsa.

La caduta della borsa colpì soprattutto la media borghesia che nel corso degli anni venti, oltre ad aver investito i propri risparmi in borsa, aveva sostenuto la domanda di beni di consumo durevole. La loro uscita dal mercato indeboliva, quindi, proprio le industrie produttrici di beni di consumo durevole (come quello dell'auto). Queste industrie cessarono di commissionare materiali a quelle operanti negli stessi settori dell'indotto. le quali dovettero ridurre il personale e i salari provocando una contrazione a valanga anche nei settori dei beni primari di consumo (come quello agricolo)

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LA CRISI

la crisi del New York Stock Exchange (la borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero), cui fece seguito il definitivo crollo (crack) della borsa valori del 29 ottobre (martedì nero), dopo anni di boom azionario.

Le maggiori città di tutto il mondo furono duramente colpite, in special modo quelle che basavano la loro economia sull'industria pesante

Le aree agricole e rurali soffrirono considerevolmente in conseguenza di un crollo dei prezzi fra il 40 e il 60%.

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LA CRISI

drastico calo della produzione,che scese di quasi il 50% tra il 1929 e il 1932.

diminuzione dei prezzi

fallimenti e chiusura di industrie e banche

aumento di disoccupati (12 milioni negli USA, 6 milioni in Germania, 3 in Gran Bretagna)

introduzione di misure protezionistiche come freno al libero scambio nel sistema economico globale.

Nel 1931 la Gran Bretagna abbandonò il gold standard. Nel 1934 sterlina e dollaro vennero fortemente svalutati.

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IL NEW DEAL

New Deal nel 1933, con il presidente Franklin D. Roosevelt, una politica energica per uscire dalla crisi, attraverso programmi di lavori pubblici per stimolare l'iniziativa privata e risollevare il potere d'acquisto delle grandi masse popolari

furono stabiliti anche dei sussidi agli agricoltori che permettessero loro di far fronte all’eccessivo abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli.

Stato pianifica la produzione

Keynes,al primo posto lo sviluppo,anche a costo del deficit di bilancio pubblico e svalutazione della moneta. Spesa pubblica utilizzata per sostenere redditi famiglie

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CONSEGUENZE DELLA CRISI Sistema di Bretton Woods

FMI, Banca Mondiale, GATT Gold Exchange Standard (1944-1971)

Parità fissa tra ciascuna moneta e il dollaro Parità del dollaro rispetto all’oro Convertibilità di ciascuna moneta in dollari

Welfare State interventismo economico estensione politiche sociali

“American way of life” Società dei consumi, Mass Media e Industria culturale

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LA SOCIETA’ DEI CONSUMI Boom economico agli inizi degli anni cinquanta, il capitalismo da sistema

di produzione a quello di consumo. Per evitare la minaccia della superproduzione, la produzione passò in secondo piano e tutte le attenzioni furono concentrate sulle vendite

Per garantire l'assorbimento dei beni di consumo di massa, diventava vitale per l'industria individuare, orientare e persino creare i bisogni della popolazione.

Principio rivoluzionario: la merce da appagamento di bisogni deve diventare soprattutto stimolatrice di bisogni, giacché solo imponendo sistematicamente nuovi bisogni alla popolazione si può dilatare in modo pressoché illimitato la produzione.

In questa nuova fase del capitalismo divenne di primaria importanza la distribuzione. : la pubblicità,i grandi magazzini, i centri commerciali.

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LA SOCIETA’ DEI CONSUMI

Nel 1955 vennero investiti 9 miliardi di dollari (cifra superiore di 1 miliardo a quella spesa nel 1954 e di 3 miliardi a quella spesa nel 1950) per persuadere i cittadini americani a comprare i prodotti dell'industria. Alcune ditte di cosmetici cominciarono a reinvestire un quarto dei profitti nelle campagne pubblicitarie. A un grande industriale del ramo, probabilmente inventato, venne attribuita questa battuta: "Noi non vendiamo rossetto, compriamo clienti".

Entro il 1955, fabbricanti e venditori dei prodotti più diversi si erano ormai lasciati convincere dai loro consiglieri psicologici a diventare "mercanti di scontentezza". Un agente pubblicitario esclamò con fervore: "Ciò che fa dell'America un grande paese è la creazione di nuovi bisogni e desideri, è la possibilità di diffondere tra il pubblico un senso di stanchezza e insoddisfazione per tutto ciò che è vecchio e fuori moda".

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PAROLE CHIAVE

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BIBLIOGRAFIA

Storia e identità, Adriano Prosperi, Gustavo Zagrebelsky, Paolo Viola, Michele Battini, edito Mondadori

Peppino Ortoleva, Marco Revelli, L'età delle rivoluzioni. L'Ottocento, Bruno Mondadori, Milano

  Roberto Balzani, Alberto De Bernardi, Storia del mondo

contemporaneo, Bruno Mondadori, Milano 2003

Tommaso Detti e Giovanni Gozzini, Storia Contemporanea: il Novecento edito da Bruno Mondadori, Milano, 2002

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Letture scelte di opere critiche storiografiche

Il romanzo Furore di del premio Nobel J. Steinbeck pubblicato nel 1939

Geoffrey Barraclough, Guida alla Storia contemporanea, Laterza, 1975

Franklin D. Roosevelt, Looking Forward, New York 1933, in Il New Deal, a c. di F. Villari, Editori Riuniti, 1977

John M. Keynes, in F. Catalano, La grande crisi del 1929, Dall'Oglio, Milano 1976, pp. 152-156

Franklin D. Roosevelt, in R. Hofstadter, Le grandi controversie della storia americana, Opere Nuove, 1966

Franklin D. Roosevelt, in Il New Deal, a c. di F. Villari, Editori Riuniti, 1977

John M. Keynes, La fine del laissez-faire, 1926) John M. Keynes, Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e

della moneta, Utet, 1968

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Letture scelte di opere critiche storiografiche Paul A. Baran, Paul M. Sweezy, Il capitale monopolistico, Einaudi, 1968 Vance Packard, I persuasori occulti, Einaudi, 1958 Herbert Marcuse, L'uomo ad una dimensione, Einaudi, 1967 Pier Paolo Pasolini, Il vuoto del potere in Italia, in "Corriere della Sera",

1° Febbraio 1975 Testore, N. Nada, L'età della Restaurazione, Loescher, Torino 1981 The problem of the Repetitive Job, in Lavoratori e macchine nel

capitalismo, a c. di G. Buselli, Sansoni, Firenze 1974 Dei progressi dell'industria agricola e manifatturiera in Francia, in P.

Cesana Testore, N. Nada, L'età della Restaurazione, Loescher, Torino 1981

John Kenneth Galbraith, Il grande crollo, Bur Rizzoli, Milano 2009 John Kenneth Galbraith, Storia dell'economia, Bur Rizzoli, Milano 2007 Peppino Ortoleva, Marco Revelli, L'età contemporanea. Il novecento e

il mondo attuale, Bruno Mondadori, Milano 2011


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