+ All Categories
Home > Documents > Le frecce - ESD · chesitrattadiunastola“missionaria”.Sarà...Mi...

Le frecce - ESD · chesitrattadiunastola“missionaria”.Sarà...Mi...

Date post: 08-Nov-2018
Category:
Upload: trinhkien
View: 222 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
36
Transcript

L e f r e c c e

25

RRiiccccaarrddoo PPaannee

LiturgiaCREaTIVaC o n s i d e r a z i o n i ii rr rr ii tt uu aa ll ii

s u a l c u n e PP RREE SS UU NN TT EEa p p l i c a z i o n i d e l l a

RR II FF OO RR MM AA ll ii tt uu rr gg ii cc aa

seconda edizione riveduta e ampliata

Tutti i diritti sono riservati

© 2012 - Edizioni Studio Domenicano - www.esd-domenicani.it -Via dell’Osservanza 72, 40136 Bologna, 051 582034.L’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non è statopossibile comunicare.I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzionee di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo, compresi imicrofilm, le fotocopie e le scannerizzazioni, sono riservati per tutti iPaesi.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate neilimiti del 15% del volume dietro pagamento alla SIAE del compensoprevisto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22/04/1941, n. 633.Le riproduzioni diverse da quelle sopra indicate, e cioè le riproduzioniper uso non personale (a titolo esemplificativo: per uso commerciale,economico o professionale) e le riproduzioni che superano il limitedel 15% del volume possono avvenire solo a seguito di specifica auto-rizzazione scritta rilasciata dall’Editore oppure da AIDRO, Corso diPorta Romana 108, 20122 Milano, [email protected]’elaborazione dei testi, anche se curata con scrupolosa attenzione, nonpuò com portare specifiche responsabilità per eventuali involontari errori oinesattezze.

Tutti i libri e le altre attività delle Edizioni Studio Domenicano possono essere consultate su:

www.esd-domenicani.it

Sommario

PREMESSA 7

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE 11

1 Liturgia creativa,ovvero della difficile via della fedeltà 13

2 Della liturgia orizzontale, ovvero:cosa succede quando si dimenticache la liturgia è rivolta al Padre 25

3 Di Marta che pretendevadi prendersi la parte migliore:ovvero cosa succede se si fraintendel’attiva partecipazione dei fedeli 37

4 Della liturgia della parola:ovvero la parola di Dioridotta ad antipasto 49

5 Dell’omelia:ovvero il siparietto del prete 61

6 Delle didascalie, ovvero:come la pubblicità può rovinarti il filmproprio sul più bello 73

7 Delle preghiere dei fedeli, ovvero:come insegnare al buon Dioa fare il suo mestiere 79

5

8 Latine loqui, sed extra ecclesiam:si parli pure in latino, ma non in chiesa 85

9 I segni liturgici, ovvero:quando liturgia fa rima con fantasia 91

10 Il senso del sacro, ovvero: chi l’ha visto? 101

11 Arte sacra e senso del sacro, ovvero:quando il pauperismodiventa virtù evangelica 111

12 Della musica sacra, ovvero:quando San Remo prende il postodi Santa Cecilia 125

13 Stasera mangiamo al cinese, ovvero:il fascino dell’esotico 137

14 Matrimoni e funerali, ovvero:il trionfo del soggettivismoe del relativismo 143

CONCLUSIONI 151

6

PREMESSA

A scanso di equivoci, il lettore è subito avvisato:questo non è un pamphlet contro il concilio Vatica-no II. Tutto il contrario: oggi il concilio è oggetto diaspre critiche e di strenue apologie, ma non dirado gli apologeti del concilio ne sono i primi tra-ditori, novatores che indebitamente rivendicanol’avallo conciliare alle proprie inopportune origi-nalità. Chi scrive è profondamente convinto dellaprovvidenzialità della proposta conciliare nei suoivari aspetti. Chi pertanto sperava di avere in manoun’arma in più da spendere contro la SacrosanctumConcilium si avvedrà subito di aver speso male ipropri soldi. L’idea di scrivere questo testo nascepiuttosto dalla considerazione di una sconcertantedistanza tra la riforma liturgica, così come è conce-pita nel documento del concilio e negli intenti deipadri conciliari, e la liturgia come è vissuta e gesti-ta in alcune (troppe) chiese dell’orbe cattolico aquarant’anni dal concilio stesso. Alle volte pareproprio di aver perso un passaggio: vi sono inne-gabilmente degli elementi discontinui rispetto allospirito della riforma, e d’altra parte ci sono dei set-tori nei quali la riforma pare ancora lontana dal-l’essere recepita. In molti casi bisogna constatareche vi è stata una ricezione più superficiale che

7

sostanziale della riforma e non di rado se ne igno-rano i testi costitutivi.

Messa di Paolo VI o di san Pio V? Personalmentenon so scegliere. Trovo elementi mirabili e limiti inentrambe, ed è normale che sia così: il misteroeucaristico eccede di gran lunga la possibilità diessere esaurito da una singola forma rituale. Amostudiare, osservare, gustare la varietà dei riti che latradizione cristiana ha prodotto. Ognuno mette inrisalto un aspetto del mistero, e tutti concorronoalla sinfonia liturgica. Quello che qui in terra ci èdato gustare solo frammentariamente e analitica-mente potremo coglierlo un giorno nella perfettasintesi della liturgia celeste.

L’acerba contrapposizione alla quale oggi assistia-mo tra rito conciliare e rito tridentino è una falsacontrapposizione. Non è lì il punto. Il termine diconfronto vero dovrebbe essere sciatteria e trasan-datezza contro cura e rispetto del rito; dissacrazio-ne contro sacralità; presuntuosa creatività controumile fedeltà. Questo è il vero problema. Se andia-mo a indagare con lucidità, al di fuori di facili slo-gan, scopriamo che quello che disturba nella cosid-detta Messa di Paolo VI non è il rito in sé (per altroben fondato anch’esso nella tradizione), ma la ver-gognosa banalizzazione e dissacrazione che troppospesso si è fatta di esso. Il senso del sacro non è

8

dato necessariamente dall’orientamento dell’altare,ma da come il celebrante sta all’altare. Analoga-mente dicasi della lingua. Ma gli abusi restano taliin qualunque rito essi vengano commessi. Metteconto piuttosto domandarsi come mai negli ultimiquarant’anni gli abusi siano stati così facilmentetollerati, al punto da trasformarsi in norma di stile.Se nelle nostre parrocchie si celebrasse nel rito ri-formato con lo stesso stile e la stessa cura che ve-diamo oggi usare da chi ricorre al precedente rito,sono certo che apparirebbe con maggiore evidenzala continuità.

La mia speranza è che questo libretto possa trovarequalche paziente lettore anche tra chi attribuisce alconcilio Vaticano II la responsabilità di tante stor-ture e stramberie che ci è dato vedere oggi in certeliturgie: chissà che non possa ricredersi sulla natu-ra ispirata del concilio, convincendosi che il demo-nio non è solito presiedere assise conciliari, anchese non sarebbe la prima volta che egli si arrabatta aguastare le opere belle suscitate dallo Spirito, tro-vando un valido alleato nella superba insipienzadegli uomini, e convincendoli a esaurire in se stessitutte le prerogative conciliari unitamente al prima-to petrino.

Varrà la pena di avvisare anche il lettore che questotesto non è uno studio sulla ricezione del concilio.

9

Tanti spunti conciliari sono stati applicati in questidecenni e sono stati applicati bene. A questi nonfaremo riferimento. Ci limiteremo a stigmatizzarealcune note stonate, le quali però hanno spesso lapretesa di costituire, esse sole, la base melodica delcanto. Come accade quando l’individuo diventabaricentro della verità a scapito della Chiesa, ogninota finisce per rivendicare a sé il primato nellospartito, pretendendo che siano le altre ad armoniz-zarsi con essa. In musica questo si chiama “stonatu-ra”; in liturgia possiamo definirlo “scompiglio”,anzi “sacrosanto scompiglio...”.

10

PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE

Pubblicando poco più di un anno fa la prima edi-zione delle mie digressioni liturgiche, mai avreipensato che andasse in così poco tempo esaurita. Esoprattutto mai avrei immaginato che vi fossequalcuno che, dopo avermi letto, continuasse a ri-volgermi la parola, senza togliermi il saluto. Anzi,poiché numerosi sono stati gli apprezzamenti, eben poche le critiche, c’è da temere che il nemicostia preparando una rappresaglia in grande stile.

Per corroborare la nostra difesa ho integrato que-sta seconda edizione con alcune postille sullaRedemptionis Sacramentum (che abbreviamo con lasigla RS), un’istruzione della congregazione per ilculto divino e la disciplina dei sacramenti, pubbli-cata nel 2004, come applicazione concreta delladottrina espressa da papa Giovanni Paolo II nel-l’enciclica Ecclesia de Eucharistia. La RedemptionisSacramentum, che porta il sottotitolo inequivocabile“su alcune cose che si devono osservare ed evitarecirca la Santissima Eucaristia”, si rivela una delletante grida di manzoniana memoria, che ben pochisembrano aver letto, a giudicare dalla frequenzacon la quale essa è disattesa.

11

Ho poi aggiunto due capitoli sul senso del sacro,dato per morto, e sulla celebrazione di matrimoni efunerali. Sono certo che il lettore sarà incuriositodal sapere cosa accomuni così strettamente la gioiadelle nozze e la mestizia delle esequie, da esseretrattate in un unico capitolo.

Il mio auspicio è ancora una volta che le mie consi-derazioni non siano lette come uno sfogo fine a sestesso, o non siano strumentalizzate dall’una o dal-l’altra fazione. Le contrapposizioni, talvolta esacer-bate, tra i sostenitori e gli oppositori della riformaliturgica, stanno infiammando più che mai glianimi e feriscono la comunione ecclesiale. Il santopadre Benedetto XVI sta offrendo alla Chiesa i te-sori della sua sapienza teologica e pastorale permostrare che questi contrasti non hanno senso,perché la riforma si inserisce – e deve essere letta –nella continuità della tradizione ininterrotta dellaChiesa, continuità che può emergere solo nella fe-deltà al rito consegnatoci di volta in volta dallaChiesa stessa, al di fuori da ogni tentazione disoggettivismo.

12

1

LITURGIA CREATIVA,OVVERO DELLA DIFFICILE VIA DELLA FEDELTÀ

Sabato pomeriggio. In una chiesa cattedrale sonoin corso le ordinazioni sacerdotali. Un prete facapolino fra i concelebranti, si alza in piedi, alcollo un’insegna liturgica alquanto insolita: unasplendida macchina fotografica di ultima genera-zione. Compiaciuto da cotanto spettacolo, duran-te la liturgia della Parola, l’improbabile cronistanon trova nulla di più serio da fare che immorta-lare l’arcivescovo seduto in cattedra.

Nel frattempo un confratello, anch’egli concele-brante, tutto preoccupato di non sottrarre preziosotempo all’evangelizzazione e alla cura pastorale, siapparta in un angolo del presbiterio per rispondereal cellulare. È una persona educata, e quindi, pro-prio come si fa a teatro, si premura di parlare sottovoce e di coprire la bocca con la mano, in modo danon disturbare gli altri spettatori .... scusate, inquesto caso si chiamano “fedeli”.

Ma c’è un altro presbitero che attira la mia atten-zione: è vestito in modo tale che il suo scopo non

13

può che essere proprio quello di attirare l’atten-zione. Indossa una curiosa stola variopinta e sgar-giante. I più esperti di clerical fashion mi diconoche si tratta di una stola “missionaria”. Sarà... Michiedo cosa penseranno gli africani, che sonomolto più rigorosi di noi nell’osservare la liturgiaromana...

L’ultimo a distrarre irrimediabilmente il mio oc-chio è un prete appartenente alla categoria dicoloro che pensano che per ascoltare efficacemen-te le letture della Sacra Scrittura ci si debba mette-re comodi, proprio come se fossimo sul divano dicasa: le gambe accavallate sotto la casula, le brac-cia spalancate lungo lo schienale della panca, latesta riversa all’indietro.

Lo so cosa sta pensando il lettore. Sono un incor-reggibile preconciliare, laudator temporis acti. Rim-piango gli anni nei quali i preti sembravano tuttisoldatini ordinati, con l’acconciatura sobria e cu-rata, e le mani ben composte sopra le ginocchia.Roba di altri tempi. Ma lo stesso cardinale Lercaro,che – converrete con me – non può (almeno lui)essere accusato di essere preconciliare, auspicavauna compostezza dignitosa all’interno della sacraliturgia, non solo per il rispetto che si deve aimisteri che vi sono celebrati, ma anche in funzio-ne pedagogica: «La partecipazione del popolonon sarà adeguata e forse neppure possibile, se il

14

sacerdote, per la sua parte, e i chierici, i cantori equanti concorrono, per la loro, non porterannonel disimpegno delle proprie funzioni un tono didignità, di compostezza devota e di decorosa pro-prietà, che tutto prenda, dalle vesti, al modo diindossarle, al movimento della voce, al gesto, al-l’apparecchiatura dell’altare, al canto»1.

Il fatto è che oggi il termine “preconciliare” haassunto un significato nuovo, che tutti accettanosenza discutere: se indosso una casula in poliestere,celebro Messa con un calice di legno, interrompo laliturgia con frequenti didascalie, evito il più possi-bile di fare il segno di croce e mi compiaccio di farpartecipare i fedeli con l’ultima melodia orecchiataal festival di Sanremo, allora sono un perfetto figliodel concilio. Siccome invece mi ostino a preferirel’organo alla chitarra, il canone romano alla pre-ghiera eucaristica V e oso persino di tanto in tantocantare il prefazio, in tal caso sono proprio unesempio deleterio di disadattato preconciliare!

Sennonché... sennonché leggo e rileggo la Sacro-sanctum Concilium (d’ora in poi abbreviata SC), epiù la leggo, più mi convinco di una cosa: queldocumento è preconciliare! Se il concilio fosse

15

1 GIACOMO LERCARO, Liturgia viva per gli uomini vivi,Roma 1965, pp. 139 s.

quello che oggi da molti viene invocato per difen-dere le proprie originalità fantasiose, allora dav-vero bisognerebbe concludere che la SacrosanctumConcilium è preconciliare! Mi è venuto il dubbioche la mia copia del testo fosse fallata, adulterata,interpolata: nella vita faccio il filologo e sono abi-tuato a questi incidenti di trasmissione. No no, hocontrollato bene: il testo che ho io è lo stesso chehanno anche gli altri.

Dal momento che sono un incorreggibile idealistae non mi rassegno all’idea che una costituzione diun concilio ecumenico venga bistrattata, ho presocarta e penna per togliermi almeno la soddisfa-zione di protestare. So bene che la gran parte deimiei conoscenti, senza leggere nulla di questerighe, pensa e penserà che sia io a bistrattare lariforma. So anche che mi farò molti nemici,soprattutto tra gli adepti di quella benemeritascuola di pensiero, secondo la quale non sono datenersi tanto i contenuti del concilio, quanto piut-tosto il metodo. Poiché il concilio ha inteso com-piere opera di aggiornamento, sembrano intende-re costoro, l’aggiornamento continuo e irrefrena-bile è il dogma da osservarsi con religioso osse-quio dell’intelletto e della volontà, anche quandoesso va ben oltre le intenzioni dei padri conciliari.

C’è infatti un’insignificante differenza fra il conci-lio e i suoi presunti epigoni: in quel caso l’aggior-

16

namento fu opera dei padri conciliari solenne-mente riuniti insieme al Santo Padre sotto l’ispira-zione dello Spirito Santo; nel caso degli epigoni,invece, ogni singolo diacono, prete, o liturgista chesia, si sente autorizzato ad aggiornare ad libitum,sotto l’ispirazione della propria presunzione. Ilrisultato della sommatoria di tutte queste presun-zioni si misura nella liturgia di cui sopra. Eppurenella mia versione, evidentemente interpolata, deldocumento conciliare trovo scritto:

Regolare la sacra liturgia compete unicamenteall’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sedeapostolica e, a norma di diritto, nel vescovo. Inbase ai poteri concessi dal diritto, regolare la litur-gia spetta, entro limiti determinati, anche allecompetenti assemblee episcopali territoriali divario genere, legittimamente costituite. Di conse-guenza assolutamente nessun altro, anche se sa-cerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliereo mutare alcunché in materia liturgica (SC 22).

E se siete fra coloro che ritengono che i documen-ti del concilio Vaticano II siano solo pastorali, edunque tutte le affermazioni vadano intese comeun pio incoraggiamento, per nulla vincolante, masolo orientativo, in tal caso potete rileggervi ilcan. 838 del codice di diritto canonico, che ripren-de quanto detto dalla SC, con tutta l’autorità dellagiurisprudenza. Certamente vi sono degli spazi

17

di libertà e di adattamento pastorale della litur-gia, ma è bene ricordare due cose: 1) sono le ru-briche stesse e le norme dei singoli rituali che ciavvertono di volta in volta quando sono possibiliadattamenti e di che tipo; 2) spetta al vescovo, enon all’arbitrio dei singoli preti, regolare e con-trollare che questa libertà venga esercitata corret-tamente; e in questa materia il suo controllo siesercita anche sul clero religioso2.

Un giorno mi ferma proprio un sacerdote di unimportante ordine religioso. Non gli par vero diavere sotto le grinfie il cerimoniere arcivescovile.Non ha ancora digerito di essere stato ripreso peressersi permesso di modificare un dettaglio insi-gnificante della santa Messa: il Credo... Avete capitobene: il buon prete (e dico questo senza ironia)aveva ritenuto che la santa Madre Chiesa, in due-mila anni di storia, non fosse riuscita a produrre unsimbolo adeguato. Ed ecco la grande pensata delconfratello: adattare il Credo con termini piùmoderni e proposizioni più ricche. Intendiamocibene: nessuna eresia, solo piccole variazioni e inte-grazioni. Ma tant’è: se ci sentiamo individualmenteassise conciliare, siamo anche autorizzati a correg-gere la professione di fede. Questa presunzione,nella gran parte dei casi, non è frutto di mala fede,

18

2 Cf. RS nn. 21-25.

ma di invincibile ignoranza: «Gli abusi trovanomolto spesso fondamento nell’ignoranza, giacchéper lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il sensopiù profondo, né si conosce l’antichità»3. Pur-troppo capita anche qualche creativo di turno che,scambiando la preghiera della Chiesa per un’e-spressione della devozione e della spiritualità per-sonale, inventa nuove preghiere eucaristiche ostorpia quelle legittimamente approvate, rischian-do di invalidare laMessa: «Non si può tollerare chealcuni sacerdoti si arroghino il diritto di comporrepreghiere eucaristiche o modificare il testo di quel-le approvate dalla Chiesa, né adottarne altre com-poste da privati»4. La retta intenzione soggettivanon basta a compensare l’oggettiva carenza deirequisiti ecclesiali. Sarebbe dovuto bastare il buonsenso a farlo desistere, ma, in mancanza di esso,sarebbe stato sufficiente anche che avesse letto laRedemptionis Sacramentum, che proibisce esplicita-mente di modificare la professione di fede: «Non siammetta nella santa Messa, come nelle altre cele-brazioni liturgiche, un Credo o Professione di fede,che non sia inserito nei libri liturgici debitamenteapprovati»5.

19

3 RS n. 9.4 RS n. 51.5 RS n. 69.

Ma torniamo al mio incontro. Il buon confratellomi ferma e mi dice: «In questa diocesi avete unaliturgia troppo ingessata. Nella liturgia ci vuolecreatività!». Ecco precisamente cosa trasforma unsacrosanto concilio in sacrosanto scompiglio:mutare il luogo per eccellenza della fedeltà e del-l’obbedienza, cioè la liturgia, nel luogo della crea-tività personale! Non mi pare che san Paolo fossedi questo avviso quando diceva: Io ho ricevuto dalSignore quello che a mia volta vi ho trasmesso: ilSignore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, presedel pane e dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse:“Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo inmemoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato,prese anche il calice, dicendo: “Questo calice è la nuovaalleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che nebevete, in memoria di me” (1 Cor 11,23-25).

Il superamento del rubricismo e del formalismonon autorizza ovviamente a improvvisare la pro-fessione di fede e nemmeno i testi liturgici conse-gnateci dalla Chiesa: «Si ponga fine al riprovevoleuso con il quale i sacerdoti, i diaconi o anche i fede-li mutano e alterano qua e là i testi della sacra li-turgia»6. Troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia«perché qualcuno possa permettersi di trattarlocon arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il

20

6 RS n. 59.

carattere sacro e la dimensione universale»7. Unpo’ più di umiltà e di fedeltà in chi celebra nonguasterebbe, e se queste virtù languono, non ècerto colpa del concilio. Come giustamente osservala RS, «gli abusi si radicano in un falso concetto dilibertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quellaillusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciòche vogliamo, ma la libertà, per mezzo della qualepossiamo fare ciò che è degno e giusto» (n. 7).

Se vi chiedessero qual è la virtù più importanteper vivere correttamente la liturgia, potreste ri-spondere opportunamente che è l’obbedienza. Epoiché viviamo in un’epoca in cui è di moda la di-sobbedienza, è presto spiegato perché la liturgia sitrovi in una situazione di sofferenza. «Poiché la li-turgia eucaristica è essenzialmente actio Dei che cicoinvolge in Gesù per mezzo dello Spirito – affer-ma Benedetto XVI – il suo fondamento non è adisposizione del nostro arbitrio e non può subire ilricatto delle mode del momento»8.

Perché l’obbedienza è tanto importante? Perché,come si è detto più volte, non è roba nostra, némia, né del prete: è un deposito che la Chiesa haricevuto e nel cui seno è cresciuto e si è sviluppa-

21

7 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia n. 52.8 BENEDETTO XVI, Sacramentum Caritatis n. 37.

to organicamente; è l’atto di Cristo con il suo Cor-po e non l’espressione del mio gusto o della miasensibilità personale. «Fate questo in memoria dime», non quello che la fantasia, la moda, il sentirecomune, il politically correct ti suggeriscono. La li-turgia non è «proprietà privata di qualcuno, nédel celebrante, né della comunità nella quale si ce-lebrano i Misteri»9, ma è prima di tutto un atto diobbedienza a un dono che ricevo. Può darsi chenon corrisponda al mio sentire, e se dovessi deci-dere io l’avrei fatta in modo molto diverso, ma inquesto consta la sua natura divina e divinizzante.

Se ci pensate, tutto nella liturgia è obbedienza: nonsono io a scegliermi le letture, quelle che più cor-rispondono a quello che voglio sentirmi dire, almomento contingente della mia vita, ma è il Si-gnore che decide cosa dirmi e quando dirmelo. Puòdarsi che io sia nel pianto e mi si dica di rallegrar-mi, o abbia appena vinto al totocalcio e mi si dica dicospargermi di cenere e di mestizia. Non sono io ascegliermi come pregare e cosa dire nella preghiera:la liturgia mi chiede di usare determinate parole,determinati gesti, determinate formule, determina-te melodie. Obbedienza, perché nella liturgia nondevo esprimere e affermare il mio io, ma entrare inpunta di piedi nell’io di Dio. La liturgia non è intro-

22

9 GIOVANNI PAOLO II, Ecclesia de Eucharistia n. 52.

versa, ma estroversa, cioè rivolta all’Altro per eccel-lenza, da cui attendo liberazione, salvezza, speran-za. La liturgia è una scuola di obbedienza, ed èdrammatico constatare come oggi sia diventataspesso la manifestazione più accentuata della di-sobbedienza ecclesiale.

Qualcuno invoca la legge della gradualità per giu-stificare le proprie originalità, oppure le famose ‘ra-gioni pastorali’, che sono il jolly che permette di sca-valcare ogni norma liturgica. Secondo costoro bi-sogna adattare la liturgia alla concreta assemblea:coi bambini ad esempio sarà lecito introdurre ballet-ti, battiti di mano, canzoncine. Personalmente con-divido la legge della gradualità, ma con una precisa-zione: gradualità non vuol dire adattare il sacro rito(soprattutto nel caso si tratti della Santa Messa) allepersone, ma di introdurre gradualmente, poco allavolta le persone dentro ai santi misteri. Non so semisono spiegato: non è il rito che deve andare incontroall’assemblea, ma l’assemblea che deve entrare pro-gressivamente nel rito. I catecumeni un tempo veni-vano introdotti solo gradualmente dentro alla cele-brazione eucaristica; non veniva adattata la Messaper andare incontro a loro! Non potrebbe accaderelo stesso con i fanciulli? Invece di educarli progres-sivamente a gustare parole e cantici spirituali, li im-bottiamo degli stessi girotondi che fanno nel cortiledi casa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: abbiamoassemblee incapaci di cogliere il senso del sacro.

23

12

DELLA MUSICA SACRA, OVVERO:QUANDO SAN REMO PRENDE IL POSTO

DI SANTA CECILIA

La tradizione musicale della Chiesa costituisce unpatrimonio d’inestimabile valore, che eccelle tra lealtre espressioni dell’arte, specialmente per il fattoche il canto sacro, unito alle parole, è parte neces-saria ed integrante della liturgia solenne. Il cantosacro è stato lodato sia dalla sacra Scrittura, siadai Padri, sia dai romani Pontefici; costoro recen-temente, a cominciare da san Pio X, hanno sottoli-neato con insistenza il compito ministeriale dellamusica sacra nel culto divino. Perciò la musicasacra sarà tanto più santa quanto più strettamen-te sarà unita all’azione liturgica, sia dando allapreghiera un’espressione più soave e favorendol’unanimità, sia arricchendo di maggior solennitài riti sacri. La Chiesa poi approva e ammette nelculto divino tutte le forme della vera arte, purchédotate delle qualità necessarie... (SC 112).La Chiesa riconosce il canto gregoriano comecanto proprio della liturgia romana; perciò nelleazioni liturgiche, a parità di condizioni, gli si

125

riservi il posto principale. Gli altri generi di musi-ca sacra, e specialmente la polifonia, non si esclu-dono affatto dalla celebrazione dei divini uffici,purché rispondano allo spirito dell’azione liturgi-ca, a norma dell’art. 30 (SC 116).Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l’or-gano a canne, strumento musicale tradizionale, ilcui suono è in grado di aggiungere un notevolesplendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevarepotentemente gli animi a Dio e alle cose celesti.Altri strumenti, poi, si possono ammettere nelculto divino, a giudizio e con il consenso dellacompetente autorità ecclesiastica territoriale, anorma degli articoli 22 § 2, 37 e 40, purché sianoadatti all’uso sacro o vi si possano adattare, con-vengano alla dignità del tempio e favoriscanoveramente l’edificazione dei fedeli (SC 120).

Il discorso della musica sacra meritava un capito-lo a parte per lo scompiglio diffuso che si è venu-to a creare in Italia negli ultimi decenni. Non intutti i paesi è così. In Francia e in Germania sisono fatte delle scelte. Come tutte le scelte posso-no essere più o meno condivisibili, ma almeno siè fatto lo sforzo di codificare uno stile. Il Gotteslobdei paesi germanofoni, ad esempio, ha consacratola tradizione innografica tedesca e ha arginatoaltre fantasie originali. In Italia vige l’anarchiatotale. Inefficaci quanto tardivi i tentativi di pro-porre un repertorio nazionale.

126

Innanzi tutto due parole sul gregoriano. Come siè detto sopra per quanto riguarda il latino, ancheriguardo al canto gregoriano un fedele che nonavesse mai letto il testo conciliare (un caso forsenon così raro...) potrebbe sospettare che il docu-mento dica qualcosa del genere: «Nella Chiesa la-tina il canto gregoriano è aborrito e da evitarsi as-solutamente». Grande stupore coglierà il nostrofedele, leggendo sopra al § 116 che «la Chiesa ri-conosce il canto gregoriano come canto propriodella liturgia romana».

Come nel caso della liturgia volgare rispetto allatino, così il concilio non ha affatto inteso sosti-tuire il gregoriano con altri generi musicali, maaprire a essi tenendo come punto di riferimento ecome modello il gregoriano stesso. Lo esprimecon chiarezza il cardinale Lercaro presentando ildirettorio “A Messa, figlioli”: «Ci sorreggeva ildesiderio vivo di creare nella santa assembleadomenicale quel clima austero e dolce di profon-da religiosità e coesione fraterna: clima riposantee meditativo, e nel tempo stesso, di virile decisio-ne, che solo una melodia di ispirazione gregoria-na, alternata dalla schola e dall’intera comunitàpresente, concorre a creare»1. Oggi invece il gre-goriano è uscito dalla liturgia per entrare nelle

127

1 GIACOMO LERCARO, Liturgia viva ..., cit., p. 142

collezioni discografiche di qualche intenditore;una sorte analoga sta accadendo (solo in occiden-te) alle icone: private del loro contesto liturgico ecultuale nelle chiese di rito orientale, finiscono afare bella mostra di sé nei salotti di qualche signo-ra facoltosa qui in occidente. Un vero sacrilegio,se si pensa che nella teologia orientale l’iconarasenta la presenza reale del soggetto raffigurato.

Ma quali sono le caratteristiche del gregoriano, sìda renderlo un modello per il canto liturgico?Prima di tutto è un canto che valorizza la Parola,è a servizio della Parola, la mette in risalto, è cuci-to su di essa. Gran parte dei canti in circolazione,invece, danno l’impressione di essere motivettiprecostituiti, dentro i quali le parole vengono sti-pate, incastrate a forza, pur di farcele entrare: chesiano comprensibili o che risaltino, poco importa.A dire il vero, che non risaltino e non si compren-dano è in molti casi un bene. Sono numerosi icanti in circolazione, i cui testi non richiamanonemmeno da lontano la Sacra Scrittura, ma sonocosì anonimi, così generici, così sincretistici, dapoter essere utilizzati senza forzatura sia comeserenata alla propria fidanzata, sia come inno diun raduno di pacifisti o di ecologisti.

In secondo luogo il canto gregoriano è un cantospirituale, che eleva lo spirito, lo educa, lo porta aduscire dalla dimensione del quotidiano, dalla

128

ridda delle sensazioni comuni, per entrare in unadimensione diversa. In una parola possiamo direche esso favorisce l’ingresso nello spirito della li-turgia, secondo i principi esposti al capitolo primo.

Cosa accade invece in molte chiese italiane? Il buonfedele accede al sagrato della chiesa con l’ipod incuffia, ascoltando i successi del festival di Sanremo,varca la soglia della chiesa, toglie le cuffie, e invecedi avvertire una sensazione di estraniamento, inve-ce di cogliere con tutti i propri sensi di essere uscitodalla dimensione del quotidiano per entrare al co-spetto del totalmente Altro, dell’Onnipotente e San-to, avverte al contrario una totale continuità: stessimotivetti inconsistenti e orecchiabili di Sanremo,stesse chitarrine ritmate; anche le pareti sono tap-pezzate di poster e di slogan, in modo non moltodiverso dai tabelloni elettorali lungo le strade. «Se-gno e pegno di unione il canto sacro – afferma ilcardinale Lercaro; in esso c’è una reale e profondadifferenza da ogni altro canto; perché in questo c’èsoltanto un effetto psicologico, non disprezzabile –né svalutato e ignorato dalla liturgia – ma naturale;mentre nel canto liturgico c’è quella presenza diCristo che accompagna ogni azione liturgica, po-tenziandolo fino a renderlo espressione e alimentodi carità»2. Il principio fondamentale che troppe

129

2 GIACOMO LERCARO, Liturgia viva ..., cit., p. 26.

volte viene dimenticato è che il canto non è una co-lonna sonora a sfondo della liturgia, ma è parte in-tegrante della preghiera e dell’azione liturgica. Nonserve a creare un’atmosfera, ma a esprimere e po-tenziare la preghiera, laddove il canto e la musicasono indicati. Già... perché non tutte le azioni litur-giche si prestano al canto; per alcune di esse ènecessario il silenzio, che è altrettanto sacro. Quan-ti ad esempio fanno suonare l’organo durante laconsacrazione, scambiano la musica sacra per unelemento di contorno e di atmosfera, e ignorano ilvalore liturgico del sacro silenzio: «Mentre il sacer-dote celebrante recita la preghiera eucaristica, nonsi sovrappongano altre orazioni o canti, e l’organoo altri strumenti musicali tacciano, salvo per leacclamazioni del popolo debitamente approvate»3.

Sia ben chiaro, il fedele medio, soprattutto se gio-vane, sarà ben contento di avvertire questa conti-nuità fra canto profano e sacro, e la cercherà, riget-tando ogni forma che vada contro la sua sensibilitàe il suo orecchio abituato a canzonette. Il problemaè che non bisogna assecondare questa sensibilità,ma educarla! I sensi spirituali non sono natural-mente formati nell’uomo, ma vanno allenati ededucati. Lo spirito di preghiera non è istintivo, mava coltivato. Il gregoriano faceva tutto questo.

130

3 RS n. 53.

Buona parte della musica da chiesa diffusa oggi(non riesco a chiamarla “sacra”) non si pone nem-meno il problema. Afferma il cardinale Lercarodavanti ai membri dell’Associazione nazionale diSanta Cecilia: «Certo, se nella musica sacra si sosti-tuiscono canti profani; se l’esibizione degli assoloviene a sostituirsi al coro e al canto unanime deifedeli, non avremo più nella liturgia solenne quelloche noi vi abbiamo tanto ammirato e che la rendetanto bella ed efficace; ma è allora il canto che hamancato alla sua funzione e ha fatto della riunionedella famiglia di Dio nella casa del Padre uno spet-tacolo, in cui i fedeli, inerti e passivi, hanno ascolta-to, con gusto o disgustati, esibizioni inopportune.Ma questo è ancora una riprova del nostro asserto:sciupando il canto, abbiamo sciupato la liturgia, leabbiamo tolto il suo carattere, il suo senso; l’abbia-mo in qualche modo snaturata»4.

Per lo stesso motivo il concilio indica l’organo acanne come strumento privilegiato (senza esclu-derne altri adatti). Difficilmente il fedele che entrain chiesa con l’ipod starà ascoltando musica d’or-gano, quanto piuttosto strumenti ritmici. E glistrumenti ritmici a stento aiutano a esaltare la Pa-rola, e soprattutto a creare quella quiete spirituale(il termine più adatto sarebbe l’intraducibile Stille

131

4 GIACOMO LERCARO, Liturgia viva ..., cit., p. 95.

del tedesco) necessaria alla preghiera e al racco-glimento. È vero che il canto deve esprimere an-che la gioia e il clima di festa, ma si tratta di unagioia spirituale, del tutto diverso dalla “caciara”spensierata delle nostre feste terrene.

Il gregoriano resta dunque un modello, nel sensoche detta i principi ai quali ogni altro tipo di musicache voglia avere un posto nella liturgia deve ispi-rarsi: valorizzazione della Parola (ovviamente bibli-ca o che richiami testi “solidi” della tradizione cri-stiana) e pedagogia spirituale. Il merito del concilioè di aver ribadito che questi principi sono persegui-bili anche attraverso altre forme musicali quali lapolifonia, l’innografia e certi tipi di canto popolare.

Anche per il canto va ribadito quanto detto sopra,al capitolo terzo, riguardo all’attiva partecipazione.È giusto e doveroso che i fedeli partecipino attiva-mente al canto, e in questo senso dovremmo pren-dere esempio dal mondo anglosassone: nemmenol’ingessata nobiltà britannica ha paura di passareper bigotta partecipando ai canti della tradizioneliturgica popolare! Da noi le cose sono ben diverse:salvo il fatto che molti canti delle nostre liturgiesono così indegni e incantabili da giustificare ogniindignato mutismo, rimane il fatto che il cantoresta prerogativa del coro (quando c’è) e di qual-che perpetua, di quelle che si mettono sempre inprima fila. Cantare, al contrario, non è disdicevole,

132

non è segno di bigotteria, non è prerogativa esclu-siva di una sola categoria di addetti. Il canto ali-menta il nostro spirito di corpo, ci aiuta a sentircipartecipi dell’atto liturgico e non passivi spettatori,unisce i nostri cuori e ci costituisce come assembleaorante. Per questo motivo i canti dovrebbero esse-re, almeno in parte, popolari, cantabili da tutti,densi di significato, senza cercare la varietà e lanovità a tutti i costi. I bambini del catechismo spes-so vengono educati a cantare, ma quando diventa-no adolescenti vedono che gli adulti non cantano epercepiscono che cantare sia roba da bambini. Alcontrario, cantare è segno di maturità liturgica,indice di un’assemblea che agisce come un corpo,condividendo parole e suoni, e non un radunoanonimo di avventori casuali. Chi canta prega duevolte, diceva S. Agostino; ma chi si chiude in unmutismo sdegnoso, siamo sicuri che preghi al-meno una volta?...

La partecipazione dei fedeli al canto, tuttavia, nonè certo incompatibile con il mantenimento, la curae la promozione di tutta la ricchezza del cantopolifonico: in alcuni casi si può egregiamente par-tecipare anche con l’ascolto. Ascoltare l’Ave Verumdi Mozart ben eseguito, dopo aver fatto la Comu-nione, e fare di quell’ascolto motivo di preghiera,di elevazione a Dio, di adorazione, non è forsepartecipare in modo più efficace rispetto a canta-re a squarciagola e meccanicamente una nenia

133

trita? Altrimenti perché il concilio raccomandereb-be con insistenza la promozione delle scholae canto-rum? Attiva partecipazione nel canto significaprima di tutto che deve esserci sia nei coristi chenei fedeli la piena consapevolezza che non si trat-ta di un concerto, che il canto non è una colonnasonora, ma è atto di culto e di preghiera associatoa dei gesti. Il canto è cioè in funzione della litur-gia, strettamente legato all’atto liturgico che si stacompiendo, per valorizzarlo e amplificarlo, e nonviceversa. Non deve quindi accadere che la litur-gia debba fermarsi per attendere l’esecuzione delcanto. Poi giustamente possono e devono essercimomenti nei quali l’assemblea partecipa più atti-vamente al canto, soprattutto delle parti fisse(come il Gloria, il Kyrie, ecc...).

L’intento del concilio era proprio quello di correg-gere un problema che si era creato nella tradizionemusicale degli ultimi secoli, soprattutto a partiredall’età barocca: le parti fisse, che per loro indolerichiedono una maggiore partecipazione dei fede-li, erano diventate capolavori sì, ma impossibili daeseguire e da praticare concretamente. Tuttavia siosservi un curioso ribaltamento. Fino a un secolofa, comporre una “Messa” in canto significavacomporre Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei.Oggi, al contrario, una Messa cantata è una Messanella quale si esegue un canto di ingresso, di of-fertorio, di comunione, finale. Capita sempre più

134

spesso che in qualsiasi liturgia eucaristica, ancheferiale, si eseguano canti di ingresso, offertorio,comunione e finale, e si recitino invece, anchenelle festività, le parti fisse, Gloria compreso, che,in quanto inno, è per eccellenza un canto.

Cosa è successo? È successo che per favorire ilcanto popolare e la partecipazione dei fedeli sonopassati in secondo piano le parti fisse e propriedella liturgia. Ma tutto questo non è né voluto néinteso dal concilio. Anzi, l’istruzione post-concilia-re Musicam sacram, del 1967, afferma proprio ilcontrario: le parti da privilegiare nel canto sonoquelle fisse e quelle presidenziali. Sì, avete capitobene: prima di tutto dovrebbero essere cantate lecollette, i prefazi, le parti fisse, poi eventualmenteanche il canto di ingresso, di offertorio, finale. Og-gi invece ci troviamo nella situazione in cui quasinessun sacerdote canta o sa cantare, perché neiseminari non si insegna più (o se viene fatto, lo sifa con la presunzione che si tratti dell’ora di “edu-cazione fisica”). I pochi che cantano vengono ad-ditati come reazionari e preconciliari (!); in com-penso in ogni Messa di ogni giorno dell’anno siintonerà immancabilmente all’inizio “Noi cantere-mo gloria a te”.

Vorrei spendere una parola anche sulle povereantifone, quella di ingresso e quella di comunio-ne. Sono rimaste nei nostri messali, ma vengono

135

scritte in caratteri sempre più piccoli. Giustamente,dal momento che nessuno le prende in considera-zione. I primi a prenderle in considerazione, però,dovrebbero essere i compositori, e in secondoluogo coloro che sono deputati a scegliere i cantiin una liturgia. Le antifone costituiscono infatti icanti propri di quella determinata liturgia; essedovrebbero essere musicate e cantate, come ac-cadeva per il gregoriano. Quando prima dellaMessa mi arriva immancabilmente in sagrestiaqualcuno a chiedermi: «Don, cosa cantiamo?», ilmio ritornello è inesorabilmente: «Vatti a leggerele antifone e vedi se trovi un canto che ci azzecca».Sono tanto fedele in questa indicazione, quantorassegnato nel prendere atto che dopo pochi mi-nuti il malcapitato ritornerà dicendo che in tuttoil repertorio non c’è un solo canto che richiamil’antifona... A questo punto nel malcapitatodovrebbe sorgere un dubbio: o il prete ha dellepretese assurde e delle manie, oppure il librettodei canti è da buttare via. Immancabilmente opta-no per la prima ipotesi.

136


Recommended