+ All Categories
Home > Documents > Le Scienze, La Politica, La Città

Le Scienze, La Politica, La Città

Date post: 23-Mar-2016
Category:
Upload: salvatore-rizzeri
View: 224 times
Download: 8 times
Share this document with a friend
Description:
Perché due secoli fa alcuni botanici andavano a raccogliere le piante che crescevano accanto ai resti archeologici? Perché vari medici erano convinti che bisognasse nutrirsi e curarsi con le erbe locali? Perché taluni naturalisti non amavano le piante esotiche e vantavano, invece, le piante indigene e la loro “patria” vegetale? Perché i frequentatori di giardini e di orti botanici esprimevano opinioni politiche difendendo le peculiarità native e il particolarismo ...
56
1
Transcript
Page 1: Le Scienze, La Politica, La Città

1

Page 2: Le Scienze, La Politica, La Città

2

QUESTA E’ UN'ANTEPRIMA

LA GRAN PARTE DEI CAPITOLI E ALCUNE PAGINE

SONO STATI OMESSI

E IL NUMERO TOTALE E' DIVERSO

DALLA VERSIONE A STAMPA

Page 3: Le Scienze, La Politica, La Città

3

Francesca M. Lo Faro

Le scienze, la politica, la città

La botanica a Catania in età risorgimentale

GIUSEPPE MAIMONE EDITORE

Page 4: Le Scienze, La Politica, La Città

4

Presentazioni Siamo lieti di aver sostenuto la pubblicazione di un volume che, rispondendo all’invito del presidente della Repubblica, ripensa ai 150 anni dell’Unità d’Italia e coglie l’opportunità offerta dalle celebrazioni per fare, con scrupolo e rigore, una riflessione storica intorno agli ideali che animarono la stagione del Risorgimento italiano. “Le scienze , la politica, la città” indaga infatti il periodo che precedette il biennio 1859-1860, quando fu fondato l’orto botanico universitario di Catania e prese corpo la spedizione dei Mille. Rievocando quel tempo, il saggio descrive il contributo degli scienziati – e, in particolare, dei botanici e dei naturalisti catanesi- nella costruzione della comune cultura dell’epoca. L’esatto profilo delle biografie descritte, associate a vivaci e curiose osservazioni, potrà riscontrare l’interesse di un vasto pubblico di lettori; gli appassionati di scienze, da parte loro, troveranno nel volume indicazioni sulla flora locale, sulla geologia dell’Etna, sui giardini storici della Sicilia orientale; ben segnalato è anche il ruolo del Consiglio provinciale nelle istituzioni scientifiche dell’epoca. In considerazione della notevole ricerca storica su cui si basa, questo saggio ha meritato la nostra attenzione e di esso evidenziamo la capacità di leggere un particolare momento storico – il Risorgimento - da una prospettiva che è anche di stretta attualità, in quanto riflette su un tema ancora oggi molto dibattuto: il ruolo del territorio nella costruzione del senso dell’identità nazionale.

On. Giuseppe Castiglione Presidente della Provincia Regionale di Catania

Page 5: Le Scienze, La Politica, La Città

5

“Atene di Sicilia”. Così un tempo veniva designata Catania per indicare la vivace vita culturale che, come ben emerge in questo volume, fu vigorosa nei primi decenni dell’Ottocento, quando l’Ateneo e le Accademie assecondarono brillantemente l’attitudine allo studio dei numerosi naturalisti etnei, i quali, con ricerche sperimentali, diedero prova di produttività, competitività, applicazioni innovative in campo agronomico, chimico, medico. Gli scienziati di quel tempo lontano, divulgando con ogni mezzo le loro conoscenze, ci dimostrano che il sapere, se vuole avere una utilità sociale, deve essere condiviso. Soltanto riducendo la distanza che spesso si avverte nel rapporto tra uomini di cultura e società ci può essere una crescita collettiva. La cultura è una parola vuota se non è sostanziata dal collante della condivisone. Proprio per questa ragione, rinnovando il progetto complessivo di una cultura diffusa e compartecipata, la rivista della Provincia ha già pubblicato, nelle sue pagine e sul web, alcuni articoli che sono stati propedeutici al saggio che qui presentiamo. Questo volume nasce dai rapporti di collaborazione che da anni intercorrono tra la Provincia regionale di Catania e il Dipartimento di Botanica l’Università degli Studi. In quest’ambito, l’assessorato alle Politiche culturali ha abbracciato il progetto editoriale, promosso dal professor Pavone e dall’editore Maimone, con la certezza che “Le scienze, la politica, la città” possa offrire un contributo alla storia della cultura scientifica locale, ma collocata dentro un più ampio contesto nazionaleed europeo.

Nello Catalano

Assessore alle Politiche culturali della Provincia regionale di Catania

Page 6: Le Scienze, La Politica, La Città

6

Presentazione L’Orto botanico di Catania è uno scrigno in cui sono racchiusi antichi erbari e collezioni storiche, che testimoniano l’interesse dei naturalisti etnei per quel filone di indagine di cui furono illustri antesignani Silvio Boccone e Francesco Cupani, due botanici siciliani che contribuirono a promuovere ed accrescere gli studi scientifici. Nella biblioteca del Dipartimento che ho l’onore di dirigere, è presente una vecchia miscellanea che conserva un corpus di lettere appartenute al botanico Salvatore Portal, vissuto a Biancavilla nella prima metà dell’Ottocento. Francesca M. Lo Faro è venuta a conoscenza dell’esistenza di tali lettere e, su mio incoraggiamento, ha esaminato le missive, approfondendo le figure dei corrispondenti e analizzando le tematiche tracciate. Dalla lettura di quegli incartamenti ha preso corpo Le scienze, la politica, la città. La botanica a

Catania in età risorgimentale. Sono lieto di constatare che la ricerca storica abbia acclarato il contesto scientifico, politico e culturale nel quale nel 1858 – con una solenne e fastosa cerimonia – fu fondato il nostro Orto botanico, perché fosse “centro di utilità scientifica e sociale”, oltre che luogo di ricerca scientifica e di attività didattica. Dal saggio emerge, inoltre, la figura di Francesco Tornabene, primo direttore dell’Orto botanico, profondamente consapevole del suo ruolo e promotore di un progetto di diffusione della cultura scientifica atta ad incrementare non solo la conoscenza di base della botanica, ma anche la produzione agricola e le creazioni artigianali. L’Orto botanico ancora oggi assolve ad una funzione educativa e di salvaguardia delle piante, specie quelle a rischio di estinzione. Tuttavia – come dimostra la presente pubblicazione – il nostro Dipartimento non tralascia di valorizzare anche la preziosa documentazione bibliografica e archivistica che possiede. Tra tutti i volumi diligentemente custoditi spicca l’Erbario Cupani, preparato da Francesco Cupani (1657 - 1710) con campioni di grande pregio a testimonianza delle specie da lui coltivate nell’Orto della Cattolica a Misilmeri, fondato nel 1692. L’opera consta di due tomi: il primo fu affidato, nel 1912, dalla Biblioteca centrale dell’Università di Catania al nostro l’Istituto. L’altro volume, invece, fu venduto dalla libreria Tirelli di Catania al direttore dell’Orto botanico, Emilio Chiovenda, nel 1927. Resta da chiarire come questo volume – che era appartenuto a Salvatore Portal – arrivò nelle mani del libraio catanese.

Prof . Pietro Pavone Direttore del Dipartimento di Botanica e dell’Orto botanico

Page 7: Le Scienze, La Politica, La Città

7

Premessa Perché due secoli fa alcuni botanici andavano a raccogliere le piante che crescevano accanto ai resti archeologici? Perché vari medici erano convinti che bisognasse nutrirsi e curarsi con le erbe locali? Perché taluni naturalisti non amavano le piante esotiche e vantavano, invece, le piante indigene e la loro “patria” vegetale? Perché i frequentatori di giardini e di orti botanici esprimevano opinioni politiche difendendo le peculiarità native e il particolarismo locale? A tali domande risponde questo volume che – con il pretesto di conoscere i presupposti che portarono alla fondazione dell’Orto botanico dell’università di Catania – indaga la storia dell’Ottocento partendo da un particolare punto di vista, quello della botanica e delle scienze naturali, per ricostruire qualche aspetto inedito del Risorgimento. Difatti, attraverso questa speciale “chiave di accesso”, è stato possibile entrare in un mondo sinora quasi totalmente sconosciuto, i cui protagonisti sono Catania, i laboratori chimici e le farmacie, le sperimentazioni fatte in campo agrario, lo studio universitario delle scienze. Assoluti protagonisti sono gli orti botanici privati che uniscono l’utile al bello e mostrano l’amore verso la natura e con esso una particolare visione antropo-botanica, legata agli echi di una curiosa tradizione magico-superstiziosa, giacché alcuni naturalisti catanesi sono persuasi che vi sia un legame – una sorta di fluido, un principio unificante – che concatena e armonizza territorio, persone e piante. Ritengono, inoltre, che sia l’Etna a dare una specificità ai siciliani. Quando poi descrivono i particolari caratteri della flora etnea ed isolana, essi più volte fanno emergere la percezione del necessario rapporto tra fatti fisici e antropici, con l’integrazione tra paesaggio e storia. Facile intuire come tali deduzioni possano sfumare in una corrente di pensiero tesa all’esaltazione delle specificità locali, anche in senso politico, come dimostra in parte lo sviluppo delle vicende politiche del tempo. La mia ricerca è dunque fortemente ancorata alla dimensione locale. Nelle pagine che seguono saranno molti i richiami alle vicende politiche e ai personaggi del tempo. Sfileranno i notabili e i principali uomini di cultura della Catania del XIX secolo – Micio Tempio, Carlo Gemmellaro, Vincenzo Cordaro Clarenza, Giovanni Verga – accompagnati da personaggi minori e oggi misconosciuti ma non per questo meno importanti per ricostruire un’epoca: i chimici Giuseppe e Gaetano Mirone, l’economista Alessio Scigliani, i medici Salvatore e Placido Portal, il farmacista Gaetano De Gaetani, i patrioti ed esuli Roberto Sava e Giacomo Sacchero. A costoro si aggiungono due “forestieri” che si trovarono a vivere a Catania, dove innovarono profondamentle scienze e non solo nel campo della botanica: Paolo Assalini (medico e primo chirurgo di Napoleone Bonaparte) e Cesare Borgia (naturalista e fratello di un generale di Gioacchino Murat). Troneggia su ogni altro e non poteva essere altrimenti, Francesco Tornabene, il luminare di botanica dell’ateneo catanese che contribuì più di ogni altra autorità accademica a creare l’Orto universitario, di cui divenne primo direttore. Storie di uomini quelle che qui si tracciano. Il perché è semplice comprenderlo se si considera l’importanza della persona concreta, individuale, storica, e della sua azione, nella costruzione di eventi generali, di fatti collettivi e impersonali. Le persone contribuiscono alla costruzione della comune cultura di un’epoca. Di questo sono convinta e con questa consapevolezza ho tracciato in poche righe il profilo biografico dei personaggi, segnalandone i tratti peculiari e significativi e facendo sempre emergere il racconto della vita personale dei protagonisti. A proposito di uomini, non posso mancare di ricordare chi mi ha incoraggiata in questa ricerca di storia. L’elenco degli amici è lungo. A tutti costoro va il mio debito di gratitudine e in particolare a chi non ama essere citato. Un doveroso ringraziamento va principalmente a Pietro Pavone e a chi ha creduto in questo progetto di ricerca, e a Lucia Pastore, che ha sempre creduto in me. Rivolgo un vivo senso di riconoscenza anche agli impiegati degli archivi e delle biblioteche che mi hanno agevolato sensibilmente. Un grazie a Tita Sanfilippo che ha letto pazientemente il manoscritto. Sono riconoscente anche a Mario Alberghina e a coloro con i quali ho

Page 8: Le Scienze, La Politica, La Città

8

avuto un proficuo scambio di opinioni in merito agli studi di storia delle scienze. Il meritevole impegno dell’editore, del Dipartimento di Botanica dell’Università e dell’Assessorato alle Politiche Culturali della Provincia va riconosciuto. Non suoni strano se tra i miei benefattori annovero anche chi mi è stato freddamente indifferente o addirittura ostile: con il loro atteggiamento, pur non sospettandolo, essi mi hanno spronata a completare questa monografia.

Francesca M. Lo Faro

Page 9: Le Scienze, La Politica, La Città

9

Nascita ed evoluzione della botanica

La società industriale convive con il culto della natura perduta. Innumerevoli sintomi lo dimostrano: il consenso per la visione new age dell’uomo e del mondo, il trionfo della medicina alternativa e delle terapie naturali, il successo della parola “verde” nel commercio, nella politica, nelle strategie di mercato. I sentimenti collettivi di apprezzamento, di magnificazione per tutto ciò che è naturale, non sono nuovi, ma appartengono alla tradizione del sapere europeo. Già nell’antichità l’uomo ha avuto interesse per le piante. I giardini di Pompei mostrano l’amore degli antichi verso la natura. L’iconografia botanica medievale fornisce spunti di riflessione intorno alle piante coltivate a scopo terapeutico nei “giardini dei semplici”, antesignani dei futuri orti botanici. Sin dalle origini la botanica è legata alle scienze mediche, esercitate nella Scuola medica salernitana in base alla dottrina pitagorica degli umori,1 come ci dimostra il “Giardino della Minerva”, fondato poco dopo il 1300 da Matteo Silvatico, profondo conoscitore delle piante per la produzione di medicamenti.2 Lo studio sistematico delle piante porta alla creazione dei giardini botanici universitari, dedicati alla sperimentazione e alla didattica. L’archetipo degli orti botanici universitari è a Padova e quel giardino esprime l’ideale enciclopedico ancora vivo nel 1545, anno della fondazione.3 1 La terapia medievale salernitana e i conseguenti studi di botanica medica basati sulla teoria degli umori perdurano per secoli incontrastati e declinano definitivamente, con Virchow, soltanto nel 1858. 2 Insigne esponente della Scuola salernitana, Matteo Silvatico fu medico personale del re di Napoli Roberto d’Angiò ed autore di una Opus Pandectarum Medicinae il cui manoscritto fu completato nel 1317 e la prima edizione fu stampata a Napoli nel 1474. Si veda www.giardinodellaminerva.it. 3 Francesco Tornabene ci ricorda però “che il più antico orto consacrato all’insegnamento della botanica sia quello di Pisa, fondato da Cosimo de’ Medici primo Granduca di Toscana”, intorno al 1543. Per la solenne cerimonia nel porsi la prima pietra alla fondazione del R. Orto Botanico in

Catania il 31 luglio 1858 natalizio di S.M. la regina delle due Sicilie. Discorso e descrizione, Catania, Tip. dell’Accademia Gioenia di C. Galatola, 1858.

Page 10: Le Scienze, La Politica, La Città

10

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Lo studio sperimentale degli esseri viventi, diffuso fin dal Cinque e Seicento, prosegue con maggior vigore nell’età dell’Illuminismo e la nuova ricerca naturalistica avvia una riorganizzazione sistematica delle discipline scientifiche.4 L’opera di classificazione dei vegetali, premessa essenziale ad ogni forma di conoscenza, è perseguita dai botanici, che avvertono la necessità di elaborare sistemi per definire e descrivere gli organismi vegetali con una denominazione standardizzata e universale.5 Ben quindici sistemi di classificazionesono elaborati dal tempo di Andrea Cesalpino (1519-1603) a quello di Carlo Linneo,6 la cui classificazione, basata sul sistema sessuale delle piante, è messa in discussione dal Lamarck (1744-1829), un naturalista di formazione illuminista ed anche autore della parte botanica dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alambert.7 4 Nel XVIII secolo le indagini scientifiche si delineano e intensificano chiaramente in senso materialistico. La natura è spogliata degli attributi divini. Lo spirito razionale penetra lo studio dei fatti naturali e, con la filosofia di Cartesio, l’eredità aristotelico-scolastica cede al pensiero scientifico moderno. L’esplorazione e la catalogazione della natura si diffondono con Newton (1642-1727), Linneo (1707-1778), Buffon (1727-1775), Diderot (1713-1784). 5 La classificazione ha aspetti speculativi legati al linguaggio, alla definizione dell’oggettoesaminato e alla nomenclatura universale. Domus-Viridaria Horti Picti. Catalogo della mostra (Pompei, Casina dell’Aquila, 5 luglio – 12 settembre 1992), Napoli, Bibliopolis, 1992, p. 199. Ringrazio per la segnalazione bibliografica Fausto De Mattia dell’Archivio di Stato di Napoli. 6 Se nei botanici prevale l’aspetto dell’osservazione della natura, si hanno “metodi naturali” come quello di Robert Morison (1620-1683) e di John Ray (1627-1705); se è invece la logica a guidarli si hanno dei “sistemi artificiali” come quelli di Tournefort (Joseph Pitton,1656-1708), Pierre Magnol (1638-1715) e Linneo. Il celebre botanico svedese non apre, come generalmente si crede, un’epoca nuova nella botanica, ma piuttosto chiude la fase iniziatasi con gli studi di Cesalpino. Il sistema statico e gerarchico creato da Linneo – non consono allo spirito dell’Illuminismo e alla visione dinamica e storicistica che esso introduceva nello studio dei fenomeni naturali – è ben presto contestato dai botanici di formazione illuminista. Ivi, p. 204. 7 Al biologo Jean Baptiste de Monet de Lamarck si deve la prima teoria evoluzionista. Nel Regno di Napoli il sistema classificatorio di Linneo (forma italianizzata di Karl von Linné) fece sentire a lungo il suo influsso. Solo all’inizio del XIX secolo i botanici napoletani cominciarono a far tesoro di altre esperienze metodologiche (di De Candolle e di Jussieu) e di quelle scientifiche di Senebier, Bonnet e Spallanzani.

Page 11: Le Scienze, La Politica, La Città

11

NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA BOTANICA

Con l’Illuminismo si diffonde un progetto universale del sapere che impone ai naturalisti di ogni luogo di compilare un elenco quanto più preciso di specie locali.8 Nel campo degli studi botanici, risalgono pertanto alXVIII secolo le pubblicazioni illustrate delle Flore regionali, che enumerano e descrivono le piante caratteristiche di un determinato paese.9 L’età dell’Illuminismo diffonde e asseconda la passione bucolica, che si esprime nell’arte figurativa e nella poesia. La botanica è una disciplina ampiamente apprezzata da Jean-Jacques Rousseau (1712-1778),10 tenacemente convinto che la natura sia sempre benevola verso l’uomo, salvaguardandolo e preservandolo dai danni prodotti dalla civiltà.11 Il mito della natura sanatrice è, dunque, la cifra dell’orizzonte culturale dell’Illuminismo, che tra l’altro non ignora i benefici della fitoterapia ed indaga le “essenze” vegetali. Gli infusi e i decotti della farmacopea botanica – preparati secondo i dettami e i dogmi di Galeno e di Dioscoride – sono posti al vaglio dell’analisi chimica, per provare la loro reale efficacia nella cura delle malattie. Il potere curativo delle erbe viene avvalorato da una serie di pubblicazioni di Flora medica, che enumerano anche le piante esotiche giunte numerose in Europa tra il XVII e 8 Al Settecento risalgono la Flora Francica, Danica, Prussica, Espagnola ecc. In Italia, la prima Flora generale è quella di Antonio Bertoloni (pubblicata a Bologna, 1833-1854). Quasitutte le Flore del XVIII sec. sono basate, riguardo la classificazione, sul sistema di Linneo. Domus-Viridaria Horti Picti, cit., p. 213. Allo scopo di allestire una Flora etnea nasce a Catania l’Accademia Gioenia di Scienze Naturali (1824) e, giusto in quella stessa epoca, si concludevano le ricerche per catalogare “le Flore parziali delle coste del Mediterraneo”. Francesco Tornabene, Relazione dei travagli scientifici eseguiti

nell’anno XXXIII dell’Accademia Gioenia, Catania, Tip. dell’Accademia Gioenia, 1858, p. 6. 9 Sulle Flore settecentesche riflette Roberto Mazzola, Scienza e Filosofia della natura nella Napoli

del tardo Settecento. Note sul Plantarum Rariorum Regni Neapolitani di Domenico Cirillo, in “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, a. XXXVII, 2007, pp. 159 ss. 10 La passione di Rousseau per la botanica è testimoniata da Wolf Lepenies, La fine della storia

naturale. La trasformazione di forme di cultura nelle scienze del XVIII e XIX secolo, Bologna, Il Mulino, 1991. Ringrazio per la segnalazione bibliografica la professoressa Renata De Lorenzo. 11 Il filosofo ginevrino esaltò la natura e indicò nel paesaggio naturale il luogo di rigenerazione dell’uomo. L’auspicabile ricomparsa dello “stato di natura” ristabiliva il legame verso un primitivo stato di equilibrio, perduto a causa della corruzione dei tempi. Un aperto richiamo alle idee di Rousseau si ritrova oggi nel Giardino botanico di Ginevra, dove i visitatori sono stimolati a riflettere sulla natura, sulla salvaguardia del potenziale genetico dei vari frutti antichi, sul mito della Grande madre, sulle tematiche ecologistiche, sull’etica della biodiversità e sulla mondializzazione dell’economia senza regole, che provoca uno sviluppo iniquo e non duraturo: tutti temi, in senso lato, fedeli allo spirito naturalistico che regnava nella Ginevra del Settecento.

Page 12: Le Scienze, La Politica, La Città

12

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

il XIX secolo, quando mezzi di trasporto più veloci favoriscono maggiori scambi commerciali e da ogni continente giungono piante di tutti i tipi. Particolare curiosità destano quelle provenienti da zone remote del pianeta recentemente perlustrate da “cacciatori di piante”, che tornano in Europa con specie esotiche subito coltivate per diversi motivi: a fini alimentari, industriali, farmaceutici, forestali; per investigazione scientifica e didattica; con scopo ornamentale o collezionistico (tulipanomania).12 L’introduzione di specie esotiche, soprattutto a fini decorativi, cresce enormemente anche per merito di tecniche innovative di coltura e per l’introduzione di nuovi modelli di serra. L’arrivo di specie esotiche cambia il paesaggio e i panorami delle città. I giardini d’inverno, le ville pubbliche e gli orti botanici sono frequentati dai visitatori, curiosi di conoscere le novità botaniche, spesso provenienti dai paesi coloniali. L’intensificarsi degli scambi a livello planetario fa percepire già all’inizio dell’Ottocento quel processo che oggi chiamiamo globalizzazione. Ciò vale in modo particolare per la Sicilia, in quanto l’isola – che non ha subito i disagi del Blocco continentale (1806-1807) – ha rapporti privilegiati con la Gran Bretagna e, di conseguenza, importa dall’estero ogni sorta di beni.13 12 L’opinione pubblica dell’epoca osserva i viaggi in lontani continenti come avventure esaltanti e i lettori dei giornali vengono messi al corrente delle romanzesche spedizioni geografiche e scientifiche che si dirigono nei mari del Sud. 13 Per Blocco continentale si intende il divieto emanato da Napoleone il 21 nov. 1806 allo scopo di colpire l’economia inglese. Per circa un anno non fu consentito l’attracco, in qualsiasi porto dei Paesi soggetti al dominio francese, delle navi battenti bandiera inglese. Il Blocco non colpì i porti siciliani, in quanto l’isola era controllata militarmente dalla Gran Bretagna. Napoli era invece sotto il controllo dei francesi e, a causa della guerra, non giunsero più molti generi. Medici e ospedali furono nell’impossibilità di soccorrere i malati. “Le droghe sono giunte ad un prezzo esorbitante, nel tempo stesso che hanno già perduto gran parte della loro efficacia, invecchiando nei luoghi dove da gran tempo eran depositate”. Così scrive il botanico napoletano Michele Tenore, che aggiunge: “Un principio di umanità e di economia indusse le accademie e i governi a richiedere i dotti onde veder modo di sostituire delle piante indigene a quelle esotiche”. Michele Tenore partecipò a queste ricerche e pubblicò il Saggio sulle qualità medicinali delle piante della Flora Napoletana, e sul modo di

servirsene per surrogarle alle droghe esotiche, 2. ed. accresciuta di 350 art. e di un’appendice sulle droghe esotiche, Napoli, 1820. A causa del rincaro dei generi coloniali, nel 1810 a Napoli si registrava la mancanza quasi assoluta di zucchero e di caffè. Il livornese Giuseppe Guerrazzi riuscì ad estrarre sostanze dolci dalle castagne e i suoi esperimenti furono replicati a Napoli da Luigi Sementini e da Michele Ferrara che, nel “Monitore delle Due Sicilie” del 7 agosto 1811, annunciavano di aver scoperto il segreto di Guerrazzi. Michele Ferrara estrasse zucchero anche dalle carrube. Vedi “Napoli Nobilissima”, vol. III, fasc. I, 1898.

Page 13: Le Scienze, La Politica, La Città

13

NASCITA ED EVOLUZIONE DELLA BOTANICA

Da Londra arrivano a Palermo piante di fragole e di “riso secco”, assieme a cani terrier e terranova (razze importate per assecondare la passione di Ferdinando IV per la caccia).14 Nello stesso torno di tempo è introdotto anche il mandarino, che diventa rapidamente una coltivazione redditizia e simbolo della Sicilia.15 14 Archivio di Stato di Napoli (d’ora in avanti ASNA), Archivio Borbone, b. 226, inc. 3. 15 Il mandarino nel 1805 fu introdotto in Inghilterra, a Malta e poi in Sicilia. Così afferma autorevolmente Pier Andrea Saccardo, Cronologia della flora italiana, Padova, Tip. Del Seminario, 1909. Il volume, ristampato in fac simile (Bologna, Ediagricole, 1971) costituisce ancora oggi una fonte di riferimento per gli studiosi. Il bell’articolo di Francesca Marzotto Caotorta, Dalla Cina con

l’agrume (Sole 24, domenica 10 feb. 2010, p. 53) fa il punto sulla diffusione della coltivazione degli agrumi, dalla specie fortunella, detta anche kunquat (che veniva coltivata in Asia già nel II millennio a.C.) ai magnifici limoni raffigurati a Pompei, dai cedri (Citrus medica) usati nei riti liturgici della comunità ebraica ancor prima della caduta di Gerusalemme, alla arancia dolce portata dai Genovesi nel Mediterraneo (come sostiene Giorgio Gallesio). Le lave dell’Etna – come è noto – si trasformarono in giardini di arance dalla polpa succosa anche per merito degli arabi, che in Europa adottarono e svilupparono la coltura degli agrumi anche come piante da giardino. Nonostante una storia tanto antica, ancora alla fine del XIX sec. continuavano ad arrivare dall’India in Europa rari aranci amari. Un sacchetto di pregiati semi di Citrus limonium giunse a Catania da Calcutta nel 1874. Successive spedizioni di semi di Citrus aurantium ebbero per destinatari gli Orti botanici del Regno d’Italia. I promotori di tali importazioni furono il ministero della Pubblica Istruzione, il ministero degli Affari esteri e il dipartimento di Agricoltura e commercio. Archivio storico Università di Catania, Fondo Casagrandi (d’ora in avanti ASU, FC), b. 1057, Roma 6 settembre 1878 e 29 maggio 1879.

Page 14: Le Scienze, La Politica, La Città

14

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 14 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 15: Le Scienze, La Politica, La Città

15

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Questa opinione – cioè che occorra nutrirsi o curarsi esclusivamente con le piante che crescono nello stesso territorio in cui si vive – è un concetto che supera il determinismo geografico positivista ed introduce una particolare visione atropo-botanica, del tutto singolare, originale e atipica, assente nelle opere dei più noti naturalisti coevi, quale, ad esempio, il maggiore botanico dell’Ottocento meridionale, Michele Tenore (1780-1861), che nella Flora medica universale, e Flora particolare della provincia di Napoli (2 voll., Napoli, 1824), in oltre 600 pagine di testo si limita ad elencare le piante officinali e non fa il minimo accenno all’intima connessione e convivenza di uomini e piante medicinali.18 Proprio quest’ultimo concetto è invece enunciato negli anni Venti dell’Ottocento nel Saggio di una flora medica catanese.19 L’autore, il catanese Carmelo Maravigna, alla domanda: “Perché studiare le piante locali?”. Risponde: “Perché sono più confacenti alla costituzione di quegli uomini per i quali, per così dire, convivono”. Per la cura delle malattie bisogna rivolgersi alle piante, sostiene Maravigna. “I vegetali ci guariscono nutrendoci – aggiunge – inutile ricorrere ai minerali, che nella loro azione si dimostrano quasi sempre pericolosi”, giacché gli elementi inorganici, per la loro composizione chimica, sono “differenti dalla costituzione animale”, cioè sono inadatti all’assimilazione.20 Maravigna è essenzialmente un chimico ed il suo approccio al tema lo rivela. Prende in esame le piante officinali “che crescono in un raggio di 5 miglia da Catania”. Tali piante – circa 80 specie – un tempo usate in medicina, poi cadute in discredito e in parte in disuso, sono sottoposte al vaglio delle analisi rivelando, in molti casi, un’incontrastabile efficacia. Con i processi chimici Maravigna ottiene le principali sostanze che sono in esse presenti. Ricava soprattutto alcaloidi e si convince “della forza stimolante dell’oppio e della forza debilitante degli acidi vegetali, provata con molte osservazioni ed esperimenti”.21 18 È curioso osservare che nella cultura popolare dell’Est europeo, soprattutto russa, ancora oggi è radicata l’opinione (ma quanto avvalorata scientificamente?) che bisogna curarsi con le erbe del luogo. 19 Carmelo Maravigna, Saggio di una flora medica catanese, ossia catalogo delle principali piante

medicinali, che spontaneamente crescono in Catania, e ne’ suoi dintorni, con la indicazione delle sue

mediche azioni, Catania, da’ torchi della R. Università degli Studj, 1827 (altra ed.: Catania, Tip. G. Pappalardo, 1829). Nel 1823 Maravigna pubblica a Catania una Flora medica, o descrizione delle

piante medicinali dei contorni di Catania (o titolo analogo), che è citata in riviste coeve. 20 Il Saggio di una flora medica catanese, cit., fu letto nelle sedute ordinarie dell’Accademia Gioenia di scienze naturali del 15 settembre 1825 e del 17 novembre 1825. A quell’epoca Maravigna era segretario dell’Accademia. Al direttore del sodalizio, il commendatore Cesare Borgia, “chiarissimo botanico ed amico sommo”, Maravigna dedica il suo scritto, che fu anche pubblicato negli “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. 2, pp. 67-120 e vol. 3, pp. 77-124.

Page 16: Le Scienze, La Politica, La Città

16

I BOTANICI SICILIANI E L’INTRODUZIONE DI PIANTE ESOTICHE

Nella catalogazione delle piante, Maravigna segue il semplice criterio alfabetico, ma non trascura di indicare la classe a cui ogni pianta appartiene. Il suo interesse classificatorio lo spinge a superare il sistema di Linneo e ad usare un “metodo naturale”.22 Per classificare le piante si rifà alle concezioni espresse in Francia, in quel periodo, dal botanico Achille Richard (1794-1852) e, ciò facendo, rivela di esser aggiornato, aperto alla cultura europea, conoscitore della lingua francese.23 Maravigna assegna alla flora locale un’assoluta posizione di prestigio.24 Attribuisce alle piante medicinali del catanese “certa ed indubitata virtù” e ritiene che esse possano surrogare tutte le piante esotiche, ad eccezione del cortice peruviano”25. Un ulteriore vantaggio delle piante indigene – afferma – è quello di essere più economiche di quelle provenienti da luoghi lontani.26 Le considerazioni di Carmelo Maravigna aprono uno scenario e concordano con le riflessioni formulate da un altro personaggio di primo piano della cultura siciliana – l’abate cav. Francesco Ferrara (1767-1850) – che è perentorio: “La conoscenza esatta e scientifica delle piante che vegetano ne’ contorni di un paese tende evidentemente al vero vantaggio degli abitanti di esso perché ha diretto rapporto agli interessi dell’economia domestica, della Farmacia, e delle Arti d’industria”.27 L’esaltazione della specificità vegetale – sostenuta da Ferrara, condivisa dai naturalisti a lui sodali – esprime un impianto teorico concettuale incentrato sulle piante autenticamente locali. 21 Citazione tratta da “Giornale di scienze letteratura ed arti per la Sicilia”, tomo I, 1823, p. 61. 22 Il “metodo naturale” è un ordinamento stabilito a posteriori, partendo dall’osservazione diretta delle piante. Nei sistemi “artificiali” (come quello di Linneo) lo schema di classificazione è invece stabilito a priori, in base ad un processo logico e filosofico. Domus-Viridaria Horti Picti, cit., p. 201. 23 Maravigna cita l’opera fresca di stampa di Achille Richard, Botanique médicale, ou Histoire

naturelle et médicale des médicaments …, 2 voll., Paris, chez Béchet jeune, 1823. 24 Il carattere distintivo della natura etnea è studiato da Maravigna, che nel 1827 si appresta a redigere un catalogo (forse rimasto inedito) di locali piante coltivabili, con indicazione del loro uso medico, economico, culinario. Maravigna, Saggio di una flora medica, cit. 25 Il cortice peruviano era usato in medicina per procurare il vomito. Una descrizione del suo uso emetico e curativo è nel “Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia”, tomo XIII, anno IV (genn.-marzo), 1826, p. 101. 26 Le piante medicinali del catanese “rendono quasi inutile e qualche volta persino dannoso tutto il corredo di radici, di scorze e di semi, con cui lo straniero viene ad involarci in un col danaro la salute dal pari”. Carmelo Maravigna, Saggio di una flora medica catanese, cit., p. 4. 27 Abate cav. Francesco Ferrara, Relazione accademica per l’anno XIX dell’Accademia Gioenia di

Scienze Naturali, Catania, fratelli Sciuto, 1843, p. 7. La relazione fu letta il 25 maggio 1843 dal Ferrara, che era il segretario dell’Accademia.

Page 17: Le Scienze, La Politica, La Città

17

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Operazione rischiosa perché, in realtà, la mescolanza è propria del regno vegetale. In ambito vegetale non è facile certificare il primigenio, il primitivo, l’originale. I semi delle piante viaggiano portati dal vento, dal pelo degli animali, o da altri imprevedibili vettori. L’ampliamento degli orizzonti botanici – conseguenti alla scoperta dell’America e di nuovi mondi geografici – introduce in Europa specie prima sconosciute, ma destinate a diventare poi assai familiari. Le agavi e i fichi d’India – che pure, nel sentimento comune, sono considerati elementi caratteristici del paesaggio mediterraneo – in realtà sono piante esotiche che si sono naturalizzate, così come alcuni agrumi che, come il mandarino, arrivano in Sicilia soltanto nel XIX secolo.28 I botanici catanesi non si curano però di questi aspetti, trasudano di fervore per il tipico e nelle opere di Flora medica, ancora a metà Ottocento, perseverano nelle loro invettive contro le piante esotiche. Un’appassionata filippica è affidata alla penna di Gaetano De Gaetani (futuro vice direttore dell’Orto botanico di Catania), coautore di un Catalogo di

alcune piante medicinali dei dintorni di Catania,29 con cui proclama l’emancipazione dalle piante esotiche nelle prescrizioni mediche, “poiché sono le indigene le più confacenti all’organizzazione degli abitanti”.30 Il concetto è il solito e risaputo: bisogna usare di preferenza le piante indigene, in quanto esse hanno le stesse proprietà di quelle che vengono da fuori: acetosa, agno casto, achillea, ambrosia, anagallide, appio, artanita, aristolochia, ecc.31

28 Sull’introduzione degli agrumi vedi supra n. 15. I fichi d’india, afferma Francesco Tornabene, sono piante indigene benché giunte in Sicilia in epoca greco-bizantina. Analoga opinione esprime Stefano Coppoler nel 1827. Coltura delle opunzie nella Provincia di Catania, Catania, Tip. Francesco Martinez, 1878, p. 20. Il fico d’India Sua coltivazione in Sicilia, in “Giornale di scienze lettere e arti per la Sicilia”, t. XX, a. V, ott.-dic. 1827, p. 35. 29 Catalogo di alcune piante medicinali dei dintorni di Catania e del suo monte ignivomo che fa

seguito alla Flora medica catanese per i soci dott. Paolo Di Giacomo Castorina e dott. Gaetano de

Gaetani, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, tomo 18, 1842, pp. 159-180. La memoria fu presentata nella riunione del 15 dicembre 1841. Secondo Giuseppe Maria Mira (Manuale teorico-pratico di

bibliografia, Palermo, Stamperia Piola e Tamburelli, 1861-62), esiste un’ulteriore edizione: Catania, 1848. 30 Citazione di Gregorio Barnaba La Via, Relazione accademica per l’anno XVIII della Accademia

Gioenia di scienze naturali, letta nella tornata del dì 16 maggio 1842, Catania, dai torchi de’ Regj studi, 1842, p. 9. 31 Catalogo di alcune piante medicinali dei dintorni di Catania…, cit., p. 162. Paolo Di Giacomo Castorina e Gaetano De Gaetani auspicano indagini sperimentali per valutare l’azione medica della Rumex acetosa L., Rumex scutatus L., Vitex agnuscastus L., Achillea nobilis L., Zostera oceanica L., Ambrosia marittima L., Anagallis arvensis L., Apium graviolens L., Cyclamen europeum L., Aristolochia rotunda L., Aristolochia longa L. ecc. Per la classificazione delle piante medicinali usano il “sistema artificiale” di Linneo e quello “naturale” di Jussieu. Paolo Di Giacomo Castorina è anche autore di altre memorie mediche, tra le quali il breve opuscolo Sopra un quinto caso di litotripsia,

eseguito dal dottor Antonino Vinci, col nuovo metodo del barone Heurteloup, Catania, per P. Giuntini, 1841.

Page 18: Le Scienze, La Politica, La Città

18

I BOTANICI SICILIANI E L’INTRODUZIONE DI PIANTE ESOTICHE

L’opera appena citata ha come coautore Paolo di Giacomo Castorina,32 che è nipote di Antonino Di Giacomo e quest’ultimo, componente della Società economica di Catania, si occupa dell’uso di piante esotiche a fini utilitaristici e – parzialmente convinto che l’economia siciliana possa avvantaggiarsi dall’inarrestabile arrivo di piante straniere – abbandona lo sciovinismo, pubblicando Sul miglioramento della specie delle piante

indigene, e sulla introduzione delle piante esotiche le più utili.33 Quest’opera è un segnale di apertura. Troppo debole però per fugare l’idea di un sostanziale isolamento culturale, che costringe i naturalisti catanesi a non dilatare le proprie conoscenze e a considerare sufficiente per la scienza botanica un orizzonte locale. Il mancato confronto con territori stranieri impoverisce perciò culturalmente ed, erroneamente, induce a non riconoscere nella botanica una scienza dilatata al mondo. Sarà soprattutto l’Orto botanico dell’ateneo catanese a farsi poi carico della investigazione scientifica e didattica delle piante esotiche. 32 Nipote ed erede del medico catanese Antonino Di Giacomo, Paolo Di Giacomo Castorina nasce intorno al 1786 e nel 1824 abita nel quartiere S. Filippo (Vittorio Santocono, Una fonte per lo studio

delle biografie urbane: le “liste degli eligibili di Catania 1819-1850”, tesi di laurea, relatore Alfio Signorelli, a.a. 1984-85, Facoltà di Lettere moderne dell’Università degli studi di Catania). Muore a S. Giovanni La Punta il 21 ottobre 1850 e l’elogio funebre è scritto da Francesco Tornabene. Una sorella del musicista Vincenzo Bellini, Maria, sposa il medico Paolo Castorina Di Giacomo. 33 Il saggio è pubblicato a Catania, nel 1830. Antonino Di Giacomo, quale presidente della Società economica, presenta, nell’adunanza del 30 maggio 1840, la relazione “La introduzione delle arti delle manifatture e delle macchine…”, ed auspica una maggiore diffusione della “chimica applicata alle arti e ai mestieri”, una disciplina il cui insegnamento, con la riforma universitaria del 1840, era stato distinto da quello della “chimica filosofica”. A Catania fu il Consiglio provinciale a chiedere nel 1833 e ad approvare nel 1836 la creazione e il mantenimento della nuova cattedra di “chimica applicata alle arti”. Carmelo Maravigna è nominato ufficialmente professore titolare il 28 gennaio 1840 (così afferma lo stesso Maravigna nella Prolusione alla nuova cattedra di chimica applicata alle arti, Catania, Pietro Giuntini, 1840) e riceve per l’insegnamento uno stipendio di 150 duc. annui, pagati dal Consiglio provinciale di Catania (Mario Alberghina, Il corallo rosso e il gelsomino. Saggio breve sulla scienza,

l’università e l’aristocrazia nell’Ottocento catanese, Catania, Maimone, 1999, p. 63).Vedi anche Notizie relative alla elezione del sig. Maravigna a professore sulla nuova cattedra di chimica applicata

alle arti nell’Università di Catania, in “Il Trovatore”, a. I, n. 4, 15 sett. 1839, pp. 29-30. A Napoli la cattedra di chimica applicata alle arti risale al 1821. Il titolare è Francesco Lancellotti, che dal 1829 avrà anche la cattedra applicata alle costruzioni presso la Direzione dei Ponti e strade del Regno, ma morì per una grave malattia dopo soli 5 mesi.

Page 19: Le Scienze, La Politica, La Città

19

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Persino le sculture che dovevano decorare la facciata dell’edificio – con i bassorilievi delle “Quattro parti del Mondo”,34 attestano questo desiderio di guardare ad un “altrove”.35 34 Il progetto architettonico dell’edificio prevedeva molteplici sculture. Il timpano del frontone avrebbe dovuto avere in bassorilievo la personificazione della Botanica (raffigurata con accanto le statue della Medicina e dell’Agricoltura). Quattro bassorilievi, ritraenti le “Quattro parti del Mondo”, alludevano ai molteplici luoghi di provenienza delle piante coltivate. Altri quattro bassorilievi, con le “Quattro Stagioni”, suggerivano che nell’orto botanico vi erano le piante di tutti i climi della terra. All’interno del portico, entro nicchie incavate nel muro, bisognava situare le statue di Cupani, Boccone e di altri celebri botanici siciliani (ASU, FC, b. 905). Le sculture in un primo momento non furono realizzate ma, conseguita l’Unità d’Italia, il governo approva una spesa di ben 5000 lire allo scopo di veder realizzati quei monumenti, con i quali si intendeva affermare il concetto di nazione e la missione educatrice dello Stato. In questo nuovo contesto politico l’Orto botanico diventa una occasione per mostrare i nuovi valori fondanti il culto della patria e il valore delle scienze. Per aver sculture di valore, l’università apre un concorso. I concorrenti devono presentare dei modelli in creta, che saranno giudicati. Nell’archivio storico dell’università di Catania si conservano gli incartamenti inediti relativi agli scultori Gregorio Zappalà e Salvatore Grita, che rispettivamente nel 1860 e nel 1864 propongono di eseguire bassorilievi per la facciata dell’edificio. Si rimanda ad altro luogo l’analisi di tali incartamenti (ASU, FC, b. 974). Basti qui ricordare che Zappalà (Siracusa 1833 – Messina 1908) studiò scultura in Sicilia e poi a Roma, dove dal 1866, recuperando le tendenze neo barocche della capitale, gli fu affidata la realizzazione degli otto gruppi della terza fontana di Piazza Navona (Fontana del Nettuno, 1878) e la statua di San Pietro davanti la basilica di San Paolo. Tra i suoi capolavori anche i monumenti a Bisazza, Garibaldi e Juvara nel camposanto di Messina, città dove morì sotto le macerie del terremoto del 1908. Nel cimitero di Messina lascia anche i monumenti funebri a Giuseppe La Farina, all’industriale Francesco Miceli Ainis ed allo scultore Saro Zagari. Ulteriori notizie su www.comune.messina.it/cimiteri. Sempre a Messina, intorno al 1857, Zappalà scolpisce un busto marmoreo di Ferdinando II e, tre anni dopo, ritiene di esser abbastanza noto per ottenere dall’università di Catania l’incarico di eseguire dei bassorilievi a decoro della facciata dell’edificio centrale dell’Orto botanico. Alla realizzazione della medesima opera è anche interessato il calatino Salvatore Grita che da Firenze, dove abitava, il 24 febbraio 1864 spedisce a Catania le foto (purtroppo andate disperse) con i disegni del suo progetto, realizzato quando apprende che il nuovo regno italiano ha intenzione di decorare l’edificio d’istruzione dell’Orto botanico “con nove bassorilievi esprimenti soggetti allusivi alla Scienza della Botanica”. Cfr. la lettera datata Firenze 24 feb. 1864 in ASU, FC, b. 974. Sull’attività di questo scultore: Anna Maria Damigella, Salvatore Grita

(1828-1912) e il Realismo nella scultura, Roma, Lithos editrice, 1998. La decorazione della facciata dell’Orto botanico si confaceva al grandioso programma urbanistico avviato in quel periodo a Catania, al fine di migliorare il decoro urbano, con il pareggiamento del livello stradale, l’allineamento delle facciate, la costruzione dei marciapiedi in via Etnea a spese dei proprietari di case. L’assessore comunale Emanuele Pizzarelli, ingegnere, applicando con intransigenza le deliberazioni del consiglio comunale, voleva tagliar via una parte dell’Orto botanico. Lettera 11 marzo 1863, ASU, FC, b. 974. 35 Anche nell’Orto botanico di Palermo vi è una larga presenza di piante esotiche che, già prima del 1821, vengono coltivate suscitando l’ammirazione dei botanici, in quanto le rare specie dell’America del Nord e della Nuova Olanda, “vegetano nonostante i venti che spirano da Ovest Nord Ovest”. Giovanni Gussone, Catalogus

plantarum quae asservantur in Regio Horto serenissimi Francisci Borbonii principis juventutis in Boccadifalco,

prope Panormum. Adduntur nonnullae adnotationes, ac descriptiones novarum aliquot specierum, Neapoli, typis Angelo Trani, MDCCCXXI. Gussone riporta osservazioni sulla temperatura registrata nel 1817.

Page 20: Le Scienze, La Politica, La Città

20

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 20 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 21: Le Scienze, La Politica, La Città

21

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTA’

Non tutti i medici convalidano l’efficacia della triaca, antica panacea confezionata ab

antiquo con oltre cinquanta ingredienti, fra i quali il tritato di vipera come antiveleno.40 L’arcaismo terapeutico ha una battuta d’arresto a seguito della diffusione delle teorie del medico francese Broussais, iniziatore della medicina fisiologica,41 rapidamente recepita anche a Catania,42 mentre i medici che riescono a stare al passo con i tempi non ignorano i ritrovati di Samuel Hahnemann (1755-1843), il fondatore dell’omeopatia.43 39 Un avversario delle novità farmaceutiche afferma: “Tramontato il gusto di comporre un medicamento con 60 oppure 80 ingredienti, quelli che [oggi] si prescrivono sono più efficaci e […] sono di quelli che se non vi guariscono vi ammazzano di certo”. Vedi gli scritti di Agatino Longo, Antonino Di Giacomo ed altri nel volume intitolato Lettere indiritte al dott. Domenico De Paquale

Cittadino relative alla sua memoria che ha per oggetto lo esame di ciò che riguarda i farmacisti, la

qualità e il volume de’ medicamenti in Catania. Catania, Tipogr. del reale ospizio di beneficenza, 1844, pag. 9. 40 Giorgio Cosmacini, Il medico giacobino. La vita e i tempi di Giovanni Rasori, Roma Bari, Laterza, 2002, p. 10. La triaca (o teriaca) era ancora in uso negli anni Quaranta dell’Ottocento. A Catania ne esistevano diversi tipi: Campana, di Venezia, di Ferrara, di Andromaco. Quest’ultimo tipo si produceva nel laboratorio chimico del Real Istituto di Incoraggiamento di Napoli. Per frode in commercio poteva esser venduto dell’oppio al posto della teriaca. Domenico De Pasquale Cittadino, Giustificazione […] indiritta a’ suoi clienti ed agli scienziati ovvero Esame di ciò che riguarda i

farmacisti, la qualità e il valore de’ medicamenti in Catania, Catania, Tip. del reale ospizio di beneficenza, 1843, p. 32. 41 François–Joseph-Victor Broussais – bretone, nato nel 1772, fondatore della medicina fisiologica, medico militare nell’esercito napoleonico – nella malattia non vede niente di estraneo all’organismo bensì solo una disfunzione; nega l’esistenza di patologie specifiche e sostiene l’ipotesi di una malattia universale – la gastroenterite – a cui riconduce tutte le infermità. La terapia è costituita da dieta e salassi; il suo “vampirismo” ispira un personaggio letterario di Balzac, quasi caricaturale. 42 “A Catania sino al 1821 si dettava nell’università con alcune modificazioni, la teoria del controstimolo di Giovanni Rasori […]. All’inizio del 1821 penetrano in Sicilia le opere del Broussais, che produssero una rivoluzione nella repubblica medica […]. La scuola medica di Catania abbracciò il sistema di Broussais con alcune modificazioni” (Rosario Buscemi, Elogio biografico del dott. Carmelo

Recupero, Catania, dalla tipografia de’ Regj studj, 1842, p. 15; lo scritto è inserito nel vol. 18 degli “Atti dell’Accademia Gioenia”, 1842, pp. 23-48). Gli emendamenti alla dottrina di Broussais si devono al protomedico generale, professore Antonino Di Giacomo, che in tal senso impartisce lezioni universitarie dal 1825 ed è autore del Discorso sullo stato attuale della medicina in Sicilia, e sui mezzi

di meliorarla […] recitato nella Gran Sala della R. Università […] per l’inaugurazione del nuovo

anno scolastico 1830-1831, Catania, dai torchi della R. Università degli Studj, 1831. 43 Samuel Hahnemann pubblica nel 1810 la prima edizione dell’Organon della scienza medica razionale. In Italia le teorie omeopatiche sono diffuse nel 1822 a Napoli dal medico delle truppe austriache, Georges Necker, allievo di Hahnemann. Attorno a Necker si raggruppa un nucleo di dottori napoletani che fonda la Clinica Omeopatica nell’ospedale della Trinità. Si occupano di omeopatia G. Gaimari, B. Quaranta, L. Chiaverini, G. Coen, Cosmo M. De Horatiis.

Page 22: Le Scienze, La Politica, La Città

22

LE TERAPIE MEDICHE E LE TERAPIE NATURALI

Le moderne teorie mediche determinano un progressivo abbandono delle medicine, che la farmacopea ufficiale metteva a disposizione dei malati. Di conseguenza, si vendono meno medicine e i farmacisti si riducono in miseria. “I seguaci di Broussais si contentano a dare salassi, sanguisughe, diete; gli omeopati seguaci di Hahnemann sono dei filantropi che distribuiscono le pillole gratis”.44 Così scrive un farmacista catanese nel 1844 e l’icastica asserzione è una risposta convincente a quanti auspicavano la diffusione dell’omeopatia e il declino della polifarmacia.45 È all’ombra di questo mutato quadro culturale e della rottura dei principi cardine della medicina d’antico regime che si moltiplicano le esortazioni dei patologi all’uso dei farmaci naturali.46 Queste tendenze culturali si consolidano a metà Ottocento, quando si afferma l’uso dell’acqua, delle sorgenti termali, della balneoterapia per la profilassi e la cura delle malattie.47 Un detrattore dell’omeopatia è G. Tommasini. In Sicilia, l’omeopatia viene diffusa da Placido Portal (un medico di cui si riparlerà nelle pagine seguenti) che pubblica Cenni del dott. Placido Portal sulla medicina omeopatica del dottor Necker, in “Giornale di scienze letteratura ed arti per la Sicilia”, Palermo, tomo 3, 1823, fasc. 7, pp. 67-71. L’omeopatia è appena tollerata da Agatino Longo, come mostra un manoscritto dell’ASU, FC, b. 225, anno 1853. 44 Lettere indiritte, cit., p. 9. 45 Una vasta eco di questi temi si ritrova anche a Napoli, dove nel 1832 molti auspicano la semplificazione del prontuario farmaceutico (ricettario) e criticano la polifarmacia, perché dispendiosa. Nunzio Greco, Acque e bagni termo-minerali, cit., p. 20 e p. 27. 46 Ivi, p. 28. 47 Nel Mezzogiorno l’interesse per lo studio delle acque è notevole. Il 16 agosto 1817, il tenente generale Giuseppe Parisi e Teodoro Monticelli, rispettivamente presidente e segretario della Reale Accademia delle Scienze, chiedono al re l’autorizzazione di poter analizzare le acque minerali e termominerali del regno. I soci dell’Accademia sono autorizzati a servirsi dei gabinetti dell’università e dell’Orto botanico di Napoli per effettuare esperimenti. Gli studi di idrologia proseguono sotto la direzione del marchese di Pietracatella. Indagini vengono fatte in Calabria (Cfr. Nunzio Greco, Acque e

bagni termo-minerali, cit.). I mineralogisti Teodoro Monticelli e Nicola Covelli, studiosi attenti del Vesuvio e delle acque che sgorgano in terreni lavici, indagano anche la mineralogia etnea e ne danno conto nel saggio, a firma di Teodoro Monticelli, Analisi chimica […] del fango eruttato dall’Etna, a

paragone con quello di altri Vulcani, in “Giornale di Sicilia”, n. 5, 1823. In Sicilia, a lungo rimase poco praticato l’uso interno delle acque minerali; mentre era abbastanza noto l’uso esterno delle acque di Termini, Cefalù, Sclafani, Sciacca e Alì. Nel 1840 il chimico catanese Gaetano De Gaetani crede che le acque minerali possono essere usate contro le malattie croniche. Su l’Acqua Santa e su l’Acqua

Acidula della valle di S. Giacomo, Catania, Salvatore Sciuto, 1840, p. 37. A Catania, il medico Francesco Scavone crede fermamente alla validità dell’acqua minerale a scopo terapeutico, mentre: “i proseliti della polifarmacia credono favole le cure strepitose che si ottengono dall’uso esterno ed interno delle acque minerali” (ivi, p. 34).

Page 23: Le Scienze, La Politica, La Città

23

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Il nichilismo terapeutico prende piede e come corollario porta con sé la consapevolezza che, sebbene la natura sia sanatrice, certe piante fanno più danni dei mali che pretendono di curare. Comincia quindi a diffondersi l’opinione che le erbe creano lesioni all’organismo se malaccortamente usate. Nel 1856 i giornali italiani pubblicano la notizia che i mormoni dell’America del Nord si sono sbarazzati dei medici e per curarsi usano semplicemente l’olio d’oliva e poche erbe. I risultati sono “miracolosi” (si usa proprio questo termine).48 Nel 1863, l’omeopatia è trionfante e ad essa si abbinano bizzarramente la pratica erboristica, il sonnambulismo, il magnetismo. “Il sonnambulo magnetizzato conosce intuitivamente i bisogni degli ammalati e conosce istintivamente le proprietà delle erbe” che, per esser più salutari, devono esser prese “in forma omeopatica”.49 Così si legge in uno strampalato manuale, stampato a Milano e baciato da grande successo editoriale, ma, credo, di debole attendibilità scientifica.50 In esso la scienza sperimentale retrocede e cede il passo all’inesplicabile. Il suo autore, Francesco Guidi, tenace propugnatore del mesmerismo, per le sue idee eterodosse è considerato un nemico della Chiesa; i suoi libri sono messi all’Indice e considerati fanatiche esaltazioni da “La Civiltà Cattolica”, periodico espressione di un potere religioso che temeva che si spiegassero con mezzi naturali cose fino ad allora tenute per soprannaturali.51 48 Francesco Guidi, Il magnetismo animale considerato secondo le leggi della natura e

principalmente diretto alla cura delle malattie, 2. ed., Milano, F. Sanvito, 1863, p. 302. Ancora oggi i mormoni vengono presi ad esempio dai medici americani per diffondere, a scopi salutistici e dimagranti, l’uso del digiuno, ritualmente praticato un giorno al mese in quella comunità religiosa. 49 Ivi. 50 Francesco Guidi, Il magnetismo animale considerato, cit. Il volume ha come punti salienti i capitoli dedicati alla “terapia e farmacologia dei sonnambuli”, con la nomenclatura e le virtù delle principali piante medicinali prescritte dai sonnambuli in forma omeopatica, cioè in “globuli e deluzioni” (cap. 21, pp. 200 e ss.). Alle pp. 304-311 è riportato l’indice patologico e sono elencate specie vegetali sanatrici messe in relazione a determinate malattie: Aconito Napello, Agarico, Agnocasto, Aloe ecc. Compaiono piante assai usate a quell’epoca: il giusquiamo, il sommacco, il tossicodendro, la viola tricolorata e la violetta odorifera. Francesco Guidi ritiene che tutte le malattie possano essere curate, comprese quelle mentali (alienazione, incubi, demenza) e quelle tipiche delle donne, “tra cui i patemi d’animo in conseguenza d’amore infelice”. 51 La Chiesa cattolica condanna gli “abusi” del magnetismo fin dal 1841; si ritiene che le “femminette” vengano manipolate (in tutti i sensi) dai magnetizzatori. Contro di essi, il cardinale Macchi firma una Enciclica della suprema Sacra Romana e Universale Inquisizione, indirizzata a tutti i vescovi, datata 4 agosto 1856. In questo contesto è messo all’Indice il libro di Francesco Guidi,

Page 24: Le Scienze, La Politica, La Città

24

LE TERAPIE MEDICHE E LE TERAPIE NATURALI

Le poderose pubblicazioni di Francesco Guidi (estranee, ma coeve, alla diffusione dello “spiritismo” e alla moda dei “tavolini che ballano”), entrano nel terreno dei fluidi sottilissimi, imponderabili, incircoscrivibili, che influenzano uomini e piante.52 L’idea che il mondo sia come un laboratorio, ossia un immenso alambicco nel quale si verificano grandi mutazioni e trasmutazioni non è affatto nuova, ma tutta interna alla cultura scientifica Settecentesca che eredita questa concezione dal Rinascimento. Una tale visione della natura, aggiornata dalle più recenti acquisizioni scientifiche, si ritrova anche negli scritti di Rosario Scuderi, un giovane medico di Viagrande autore nel 1794 di una Introduzione alla Storia della medicina antica e moderna in cui chiaro è il contatto con l’ambiente culturale napoletano più aperto a temi inerenti all’influenza dei fluidi imponderabilisull’uomo e su gli altri esseri viventi.53 Proprio questo tema – cioè l’influsso dei fluidi (elettrico, magnetico, calorico, luminoso) – è un terreno di studio che è stato già sperimentato da tempo all’estero. Fluidi quali l’elettricità e la forza magnetica (gravità e magnetismo terrestre) sono stati indagati fin dal Seicento per i loro influssi sulla fisiologia e sulla patologia. Applicazioni mediche risalgono già al tempo della scoperta della boccia di Leida e di altre macchine di elettricità statica. Le sperimentazioni sono estese anche al mondo vegetale. Trattato teorico pratico di magnetismo animale, considerato sotto il punto di vista fisiologico e

psicologico, Milano, Carlo Turati, 1851. Uno sprezzante giudizio riguardo l’opera di Francesco Guidi è in “La Civiltà Cattolica”, Roma, 1853, p. 135. 52 “Infatti nella natura tutto è emissione, traspirazione, respirazione, esaltazione, pressione. – Il mondo, per così dire, è un vasto lambicco, d’onde la natura, quale eccellente chimica, estrae tutte le cose –. L’uomo è legato all’intera natura, è in contatto col sole e colle stelle più lontane, sia per mezzo delle loro emanazioni dirette, sia per mezzo dei corpi intermedi che ce le trasmettono”. Con questo linguaggio, debitore della filosofia ermetica, Francesco Guidi spiega la sua particolare visione del mondo, Il magnetismo animale considerato, cit., p. 81. Francesco Guidi fu forse toscano, ma può anche essere identificato con un siciliano che fu rivoluzionario nel 1848. Francesco Guidi fu anche un librettista d’opera, ricordato come collaboratore di Ponchielli e Pacini, autore de Il birraio di Preston, melodramma tornato ai nostri giorni celebre con il romanzo di Andrea Camilleri. 53 Rosario Scuderi nella Introduzione alla Storia della medicina antica e moderna (Napoli, Giuseppe Maria Porcelli stampatore della R. accademia militare, 1794; testo riedito in altre città nel 1800, 1824, 1831), afferma che nella natura vi è un principio vitale che si sostanzia nei processi della respirazione, traspirazione, circolazione, creazione del “calore animale”, eccitabilità nervosa, fluidità linfatica, secondo la “teoria della animalizzazione”. Scuderi si inserisce nel percorso scientifico indicato dalla dottrina organica, mesmeriana, nella quale l’organismo vivente è soggetto ad un principio vitale collegato al fluido e alla forza universale.

Page 25: Le Scienze, La Politica, La Città

25

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Largo uso di fito - magnetizzazione (cioè magnetizzazione con il mezzo di vegetali) hanno fatto il De Puységur e Aubin Gauthier.54 Il magnetismo è applicato con successo alla guarigione degli animali da Deleuze, professore di storia naturale del Giardino delle Piante di Parigi.55 Le piante sono esposte all’elettricità, oppure si ritiene utile schermarle: è suggestivo ricordare che a Parigi – a detta di alcuni – gli ortolani tenevano nei sotterranei l’Agaricus campestris (cioè il fungo prataiolo) per difenderlo dall’elettricità del tuono.56 La curiosità per i “fluidi imponderabili” condiziona gli studi dei naturalisti siciliani. Le conoscenze sperimentali sull’“elettricità dei nervi” sono diffuse a Catania nel 1785 da Bartolomeo Ganci, “incisore anatomico” dell’università.57 Fin dal 1794 il medico Rosario Scuderi rende nota la “ammirabile scoperta dell’elettricità animale” e mostra di conoscere l’occasionale scoperta fatta a Napoli da Domenico Cutugno, divulgata dal protomedico Giovanni Vivenzio.58 Nell’ateneo catanese vengono compiuti esperimenti.59 54 Francesco Guidi, Il magnetismo animale considerato, cit., p. 534. Gauthier Aubin è autore Du

magnétisme et du somnambulisme. Il contesto culturale che suppone l’influenza dei fluidi sull’uomo (ipnotismo, chiaroveggenza) è stato indagato da Clara Gallini, La sonnambula meravigliosa. Magnetismo e ipnotismo nell’Ottocento italiano, Milano, Feltrinelli, 1983 e, più recentemente, da Luigi Traetta, La forza che guarisce. Franz Anton Mesmer e la storia del magnetismo animale, Bari, Ed. Puglia, 2007. Ringrazio David Armando per l’indicazione bibliografica. 55 Francesco Guidi, Il magnetismo animale considerato, cit., p. 15. 56 Salvatore Biondi Giunti, Sull’utilità dello studio della storia naturale, Catania, tip. Di Crescenzio Galatola, 1862, p. 32. 57 Vedi la Dissertazione sulla natura del fluido nervoso del dott. fisico e cerusico Bartolomeo Ganci,

Incisore anatomico di questa Università di Catania, Catania, Francesco Pastore, 1785. 58 Rosario Scuderi, Introduzione alla Storia della medicina antica e moderna, cit., p. 184. Il celebre medico Cutugno è testimone di una straordinaria esperienza: incidendo con il bisturi il nervo diaframmatico di un topo vivo, egli viene colpito da una scarica elettrica nelle braccia e al petto; la scarica è talmente forte che la sua muscolatura ne risentì per più giorni. Cutugno descrive questa sua esperienza in una lettera indirizzata al protomedico Giovanni Vivenzio ed è quest’ultimo che la pubblica nel 1784 assieme ad un saggio di Tiberio Cavallo (scienziato emigrato da Napoli a Londra). Prima della scoperta di Luigi Galvani (1791) si credeva che il “fluido elettrico” (elettricità animale) fosse “proprietà singolare ed esclusiva della torpedine e dell’anguilla tremante”. 59 Gli effetti dell’elettricità per strofinio sono studiati da Giacomo Zappalà Cantarella (1752-1817) che nel 1783 fa costruire una macchina elettrostatica ed esegue esperimenti già tentati, decenni prima, dall’abate Nollet in Francia e in Italia da padre G.B. Beccaria e poi da Giuseppe Saverio Poli (Mario Alberghina, D’argento le orme degli aironi. Avventure e disavventure di un barone borbonico e di un

medico fisico …, Catania, Maimone, 2000, p. 32). Nel 1785 Giacomo Zappalà Cantarella pubblica operette sugli effetti dei fulmini sul corpo umano e sull’aurora boreale, che egli suppone sia un fenomeno elettrico legato al magnetismo. Sempre a Catania, nel 1796, il padre minorita Francesco Landolina Trigona (dal 1794 professore di fisica sperimentale), incarica l’artigiano Carmelo Trucco di costruire una macchina pneumatica e nel 1799 commissiona allo stesso artigiano una macchina elettrica

Page 26: Le Scienze, La Politica, La Città

26

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 26 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 27: Le Scienze, La Politica, La Città

27

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Il professore Alessio Scigliani, nel 1833, si occupa della generazione spontanea degli insetti per mezzo del voltaismo64. Nello stesso anno il dottor Antonino Di Giacomo ritiene che la causa delle febbri è la “costituzione atmosferica”, ciò che Ippocrate chiama Divinum in aere latitans, ossia le vicissitudini meteorologiche, le eruzioni vulcaniche, i terremoti ed altri fenomeni “elettrici”.65 Nel monastero benedettino di Catania il cassinese Giacomo Maggiore fa sperimentazioni di galvanoplastica.66 Santoro Mirone, brillante studente di botanica dell’anno accademico 1851-52, soggiorna lungamente per studio a Parigi e, convinto che l’elettricità possa giovare per debellare le infermità, introduce a Catania l’elettricità medicale.67 Gaetano De Gaetani nel 1866 pubblica osservazioni fenologiche e, pertanto, descrive i rapporti tra il risveglio vegetativo e l’indice di calore.68 aspettarsi in autunno un’abbondante superfetazione di fiori e frutta nelle piante […]. L’immensa quantità di fuoco elettrico o elementare di cui è rimasto gravido l’etereo seno dell’aria, rende probabile anche questa volta il solito fenomeno della botanica superfetazione [… giacché] la natura ha destinati i vulcani non solamente come emissari del sistema fisiologico del globo terrestre, ma anche come conserve del fuoco elementare”. Relazione dell’eruzione fatta dall’Etna il giorno 18 luglio 1787, in Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, a cura di Carlo Amoretti e Francesco Soave, tomo X, Milano, Guseppe Marelli, 1787, pp. 429-432; la citazione è alle pp. 431-432. 64 Alessio Scigliani conosce gli esperimenti fatti da Andrea Grosse. Vedi abate Lorenzo Coco Grasso, Della vita e delle opere del prof. Alessio Scigliani, Palermo, stamp. Maddalena, 1844. 65 Antonino Di Giacomo nel saggio De Febre per varias Siciliae plagas… (Catanae, Typis fratrum Sciuto, 1833) ritiene che “la costituzione dell’aria più della natura dei cibi, delle bevande, dei miasmi influenza la produzione di epidemie”. L’opinione è accolta nella recensione scritta da Antonino Greco in “Effemeridi scientifiche e letterarie”, 1834, pp. 308-316. “Considerazioni sull’influenza dei vulcani nello stato generale e nelle variazioni atmosferiche” scrive l’astronomo Niccolò Cacciatore in una lettera, datata Palermo 19 giugno 1832, indirizzata al gran cancelliere dell’università di Catania, Matteo Longo. ASU, FC, b. 619, ff. 62r-63r. 66 Mario Alberghina, I chierici vaganti di Gauss, Catania, Maimone, 2002, p. 58. I trattamenti di galvanoplastica risalgono al 1838, dovuti a Jacobi. 67 Santoro Mirone, di Viagrande, assieme ad altri studenti meritevoli, è elogiato dal docente di botanica (ASU, FC, b. 854, lettera del 14 febbraio 1852). Dopo il suo soggiorno in Francia, tornato a Catania, Santoro Mirone sottopone all’elettricità medicale i suoi pazienti, per lo più donne. Pubblica le sue osservazioni, fatte nel corso di tre anni. Esposizione ragionata di diverse applicazioni di elettricità

medicale e suoi risultati terapeutici, Catania, Tip. di A. Pastore, 1862. L’opera è uno splendido collegamento tra mondo femminile, malattie nervose e isteria. Osservazioni simili erano state già fatte da Alexandre Edmond Becquerel e Guillaume Benjamin Duchenne (1806-1875), che, tra l’altro, pubblicò a Parigi nel 1862 un Album di fotografie patologiche. Santoro Mirone è anche autore Delle

acque marine e della loro convenienza in igiene ed in terapia, Catania, Coco, 1864. 68 La fenologia è la branca della biologia che studia i rapporti tra clima e fenomeni che si manifestano periodicamente negli organismi, soprattutto piante ed insetti, cioè organismi incapaci di

Page 28: Le Scienze, La Politica, La Città

28

LE TERAPIE MEDICHE E LE TERAPIE NATURALI

Si può dunque dire che i fluidi, in senso lato (elettrico, magnetico, calorico, luminoso), sostanziano gli scritti di alcuni naturalisti catanesi. Quest’ultimi – ed è questo un punto nodale, su cui si tornerà ancora più oltre –, quando descrivono le particolari caratteristiche della flora etnea, sono persuasi che vi sia un legame – una sorta di fluido, un principio unificante – che concatena e armonizza territorio, persone e piante.69 Essi ritengono che sia l’Etna a rendere particolari i siciliani. La presenza del vulcano – si legge nel 1850 – accende negli abitanti “la sacra favilla” per gli effetti del calore circolante nell’atmosfera e “gli effluvi ignei [che] entrano nella composizione degli animali, e de’ vegetabili, molto contribuiscono, ad accrescere mobilità nelle fibre, fuoco nella fantasia, slancio nell’entusiasmo, e vivezza nella facoltà morali”.70 Concetti come questi sono più volte affioranti negli scritti dei naturalisti catanesi, giacché in essi continuamente emerge la percezione del necessario rapporto tra i fatti fisici e gli antropici, l’integrazione tra paesaggio e storia. Facile intuire che queste deduzioni possono sfumare in una corrente di pensiero tesa all’esaltazione delle specificità locali, anche in senso politico, come in parte dimostra lo sviluppo delle vicende politiche del tempo, alle quali non furono affatto estranei i naturalisti che auspicarono la fondazione o contribuirono alla creazione dell’Orto botanico universitario di Catania. regolare la propria temperatura in modo indipendente da quella ambientale. Questo aspetto della biologia è indagato dall’astronoma Caterina Scalpellini, che pubblica Sulle osservazioni fenologiche:

regno animale e regno vegetale: un invito all’Italia scientifica, Roma, Tip. delle belle arti, 1867, estr. da “Giornale accademico”, s.n., t. 50. Nel 1888, le osservazioni fenologiche fatte nell’Orto botanico di Palermo vengono pubblicate nel giornale del Consorzio agrario. Attualmente la fenologia ha un rigoroso statuto epistemologico, ma nel 1884 veniva anche utilizzata per fare paralleli tra Napoleone e Garibaldi! 69 L’idea che tra gli esseri della natura ci sia un continuo scambio di fluidi, aromi, effluvi, vita, è propria dell’Anima Mundi, una concezione filosofica conosciuta da Egizi, Pitagora, stoici, Platone, neoplatonici. Tale concezione filosofica è ripresa da Schelling in epoca romantica. Francesco Guidi, Il magnetismo animale considerato secondo le leggi della natura e principalmente diretto alla cura delle

malattie, Milano, F. Sanvito, 1860, p. 81. 70 Lorenzo Coco Grasso, Della vita e delle opere del prof. Francesco Ferrara celebre naturalista e

letterato siciliano. Discorso storico critico, pronunciato nell’Accademia delle scienze, e belle lettere, Palermo, tip. Barcellona, 1850, p. 15, estr. da “La Fata Galante”, nn. V e VI, a. 7. Una curiosità: “La Fata Galante”, era un giornaletto di mode, varietà e teatri, che trae il tiolo da un poemetto bernesco di Giovanni Meli, uso a frequentare l’ accademia letteraria “Compagnia della galante conversazione”.

Page 29: Le Scienze, La Politica, La Città

29

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Proprio il suo fondatore, Francesco Tornabene (1813-1897), nel 1857 ricorre al concetto di “fisiologia topografica o geografia fisica” per spiegare le relazioni del suolo e delle latitudini sullo sviluppo della vita organica in Sicilia, degli uomini così come delle piante. L’amore dei catanesi per il canto e la loro scarsa passione per la musica strumentale e sinfonica, si spiegano – afferma Tornabene – con la “fisiologia topografica”, giacché “le armonie complicate, prive di canto, sono amate nelle regioni nordiche; le cantilene armonizzate da pochi suoni sono proprie delle zone torride”.71 71 La musica strumentale e sinfonica è un genere introdotto a Catania da Roberto VIII principe di Biscari. Elogio funebre di Roberto Paternò Castello principe di Biscari, Catania, Galatola, 1857, p. 25. Una curiosità: in questo scritto Tornabene si autodefinisce direttore dell’Orto botanico benché quell’istituzione non fosse ancora nata.

Page 30: Le Scienze, La Politica, La Città

30

Le “erborizzazioni archeologiche”

Il modus operandi dei naturalisti catanesi è singolare. Quando essi vanno in campagna a raccogliere erbe, piante, fiori, pensano alla storia, più che alla botanica. Osservano la natura attraverso la lente deformata dell’archeologia e considerano fondamentale il rapporto delle piante con l’ambiente umano e con il passato. Tale singolare modo di operare merita la nostra attenzione, ma bisogna considerare che la prima tappa del lavoro del botanico è l’esplorazione e la raccolta selettiva delle piante in natura (“erborizzazione”).72 Tutti gli elementi dell’organismo vegetale sono oggetto di studio: radici, foglie, fiori e frutti. L’attenta osservazione è accompagnata dalla identificazione della pianta stessa e, per non incorrere in errore, le “erborizzazioni” sono eseguite in tutti i periodi dell’anno.73 I naturalisti catanesi di inizio Ottocento conoscono bene il modus operandi dei botanici. Fanno escursioni in campagna per raccogliere in tutte le stagioni le piante locali, che poi descrivono in Flore etnee. Sono consapevoli che classificare e nominare sono elementi imprescindibili per la tra- smissione delle conoscenze. 72 La raccolta delle piante richiede delicatezza e i botanici del XIX secolo escogitano metodi per non sciupare e riporre le piante appena “erborizzate”. Una cassettina di latta con nastri e anelli è il metodo suggerito dalla scienziata franco-britannica Jeannette Power che, vissuta a Messina, visita a scopo naturalistico-culturale la Sicilia. Le sue impressioni sono raccolte nell’Itinerario della Sicilia (1839), riedito con il titolo Guida per la Sicilia, a cura di Michela D’Angelo, Messina, Perna edizioni, 1995, p. 267. 73 Anche ai botanici più attenti, che ritornano diverse volte ad “erborizzare” nello stesso luogo, può sfuggire l’osservazione di una nuova pianta; così capita che possono essere scoperti nuovi generi e specie, rinvenuti negli stessi siti visitati in precedenza da altri. Questa esperienza capita a Francesco Tornabene, Sopra un nuovo albero indigeno sull’Etna del genere Celtis, Catania, Tip. del real ospizio di beneficenza, 1856; estr. da “Atti dell’Accademia Gioenia”, t. XI, serie II.

Page 31: Le Scienze, La Politica, La Città

31

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Identificano le piante per dare loro un nome scientifico esatto, le organizzano raggruppandole in base alle loro affinità strutturali, ne individuano i loro costituenti chimici (eseguono analisi Carmelo Maravigna, Paolo di Giacomo Castorina e Gaetano De Gaetani). Alcuni cultori di botanica – Giuseppe Maria Cosentini, Alessio Scigliani, Gioacchino Geremia, Lorenzo Coco Grasso – sono però singolari per una caratteristica, in quanto il loro sguardo indagatore li porta ad “erborizzare” esclusivamente nelle località del circondario di Catania dove esistono resti archeologici; proprio a voler rimarcare la connessione tra le caratteristiche del territorio, le peculiarità della vegetazione (di come cioè le piante si associano tra loro) e le testimonianze documentarie del passato. Questa abitudine di “erborizzare” lì dove ci sono resti archeologici è una forma del tutto particolare di naturalismo-antiquario.74 I dettagli su questo modo inconsueto di esercitare la scienza botanica ci vengono da una testimonianza biografica su Giuseppe Maria Cosentini (il già ricordato autore del manoscritto Dimostrazione per provare di curarsi facilmente le malattie con l’uso delle

piante indigene, che respirano quella medesima aria che noi, che non le esotiche). La testimonianza sul botanico catanese merita di esser riportata nella sua interezza: “Egli [sott.: Giuseppe Maria Cosentini] spesso portavasi ad erborizzare, ora presso S. Sofia, ne’dintorni di Inessa, che i nostri padri dissero Etna, della quale conserviamo delle medaglie de’ tempi di Jerone primo, con la epigrafe AITNAION, presso il ponte di San Paolo vicino il fiume Teria, secondo osserva il Carrera, e come sennatamente scrive il classico ed erudito osservatore della catanese storia cav. Vincenzo Cordaro Clarenza, vivente per onore di quella inclita città. Ora nel locale detto la Coda della Volpe ove il Simeto nostro dona foce 74 Il naturalismo antiquario si sviluppa a seguito della diffusione delle idee di Vico, il filosofo che ha postulato la continuità tra scienze umane e scienze esatte nella comune subordinazione alla storia. La visione diretta dei luoghi, la raccolta e il confronto dei campioni, l’uso delle fonti antiche sono le tre fondamentali tappe che contrassegnano l’agire del naturalista antiquario. In Francia, Buffon è il primo a teorizzare l’omologazione tra metodo antiquario e metodo naturalista. La storia è insieme storia della terra e storia dell’umanità. La storia diventa disciplina fondante e unificante di studi apparentemente molto distanti come chimica, geologia, filologia. Maria Toscano, Nature cached in the fact.

Sperimentalismo e collezionismo antiquario naturalistico nel Regno di Napoli, Veneto, Gran Bretagna

tra XVIII-XIX secolo, tesi di dottorato di ricerca in Scienze Archeologiche e Storico-Artistiche, XVII ciclo (www.fedoa.unina.it). I massoni sono precoci fondatori di una disciplina archeologica basata su criteri sistematici analoghi a quelli degli studiosi di scienze naturali. Marcello Fagiolo (a cura di), Architettura e massoneria. L’esoterismo della costruzione, Roma, Gangemi, 2006, p. 164.

Page 32: Le Scienze, La Politica, La Città

32

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 32 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 33: Le Scienze, La Politica, La Città

33

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Giuseppe Maria Cosentini vive in un mondo popolato da personaggi che, come lui – appassionati di botanica e impregnati di cultura classica –, risentono dell’influenza ancora vivificante dei mitici Campi Iblei, leggendari luoghi che alcuni, come Francesco Ferrara, collocano nella zona di Augusta, ed altri, come Roberto Sava, nella zona di Paternò. Queste suggestioni mitologiche – che risuonano ricorrentemente in Sicilia – quando sono confermate dagli scavi, contribuiscono alla costruzione di un’identità nazionale, così come le scoperte archeologiche di Ercolano avevano fatto nella parte continentale del regno borbonico.79 Il mito dell’opulenza della natura siciliana, smagliante di colori e profumi, è alimentata dagli scritti coevi. “Gli abitanti delle sponde del Simeto sono prediletti a Pallade e Cerere”, si esclama indicando la fecondità del luogo. “Quel ferace suolo, quelle campagne sempre amene e verdeggianti, olezzanti di grato e soave odore, pella diversità de’ fiori che le smaltano, e pella squisitezza dei frutti che rendendole celebri sopra ogni altro sito delle nostre sicule terre, attirato hanno mai sempre l’attenzione di tutti gli uomini del mondo”.80 un terreno alluvionale limitrofo a quello del marchese di Raddusa, e non lontano dal lago di Niceti (attuale via Lago di Nicito. Il lago fu ricoperto dalle lave nel 1669 e descritto dal vulcanologo Giuseppe Recupero). Altri luoghi prediletti per le “erborizzazioni” sono le contrade vicine ad Ognina, il giardino dei padri Cappuccini e i giardini appartenenti ai religiosi di S. Salvatore, la “selva dei pp. Riformati di S. Maria di Gesù”; il giardino del principe di Biscari “che a suo tempo” Giuseppe Maria Cosentini “dirigeva assieme ad altro dell’illustre barone [Pisani] Ciancio, posti non lontano dalla di lui casa”. Cosentini andava anche ad erborizzare “fuori la Porta del Re”, e nello stesso circondario dove un tempo si ergeva il famosissimo tempio di Cerere che nel 681 dalla fondazione di Roma venne spogliato dal “ladro e impudente Verre”, come ricorda anche Cicerone. Lorenzo Coco Grasso, [Necrologiodi] “Giuseppe Maria Cosentini”, cit., p. 171. 79 Ad esempio, Lorenzo Coco Grasso si gloria del primato della cultura isolana sull’estera e nel 1844, descrivendo il teatro “greco” di Catania, afferma che il dramma a Catania nasce prima che ad Atene, perché un edificio per gli spettacoli esisteva già in città prima dell’arrivo dei greci. L’anfiteatro di Catania – prosegue – è più antico di quello di Roma, e si deve all’arte edificatoria dei calcidesi. Coco Grasso scrive queste note in una pubblicazione sotto forma di lettere indirizzate ad un veneziano residente a Napoli. Vedi Il sapore dell’antico. Regia custodia, Grand tour… e altro nella Sicilia del

Sette-Ottocento, a cura di Silvana Raffaele, Catania, Cuecm, 2007, p. 101. L’esaltazione delle glorie patrie non è esclusiva dell’Ottocento siciliano. Ancora oggi certa storiografia, in cerca di riscatto da antiche e coeve dominazioni “straniere”, si bea nel ricordare che il parlamento siciliano è il più antico d’Europa (ma tralascia di dire che tale istituzione aveva meccanismi di rappresentanza e voto che inceppavano una reale dialettica nella società). 80 Lorenzo Coco Grasso, [Necrologio di] “Giuseppe Maria Cosentini”, cit., p. 166. Che la natura sia stata prodiga in Sicilia è anche affermato da Gaetano De Gaetani, Roberto Sava, Salvatore Portal e da altri botanici coevi.

Page 34: Le Scienze, La Politica, La Città

34

LE “ERBORIZZAZIONI ARCHEOLOGICHE”

Non è senza significato che queste iperboliche espressioni, legate alla scelta metodologica di andare ad “erborizzare” soltanto dove ci sono testimonianze archeologiche, si leggano nella biografia di Giuseppe Maria Cosentini, che non è da solo quando va a fare le “erborizzazioni archeologiche”. Si può supporre che nei suoi giri naturalistici fosse accompagnato dagli allievi, a cui dava lezioni di botanica a casa sua e, come supplente, all’università, come alter ego di suo fratello Ferdinando, titolare della cattedra. Molto conosciuto in città anche per il suo ruolo di curato di una abbiente parrocchia del centro e per esser responsabile degli orti botanici del principe di Biscari e del barone Pisani Ciancio, egli stesso ha un giardino pensile nella zona dell’Anfiteatro e vi coltiva specie rare ed esotiche (e, ciononostante, è convinto che bisogna curarsi con le piante locali: e quindi dimostra una dicotomia tra ciò che egli dice e ciò che coltiva). Il suo nome è noto anche ad Acireale, cittadina in cui vive un suo parente, il medico Cristoforo Cosentini, cresciuto in un ambiente familiare influenzato dai rapporti culturali con l’estero.81 Allo stesso entourage appartiene il medico catanese Filippo Libra, suo allievo prediletto e destinatario del suo Orto secco.82 81 Giuseppe Maria Cosentini era parente di Michelangelo Cosentino (o Cosentini), noto per esser stato imbarcato a Malta nella Marina come medico, ma di cui ignoriamo la data di nascita, sebbene sappiamo che vide la luce nei primi decenni del Settecento ad Aci S. Antonio e studiò a Malta, allora floridissima sede dei cavalieri. Diventò medico chirurgo nelle galee prima, di vascello poi. Come medico di Marina “corre i mari” e “cura qualsiasi laida forma di mali”. Ha modo di visitare vari stati italiani, la Gran Bretagna, la Spagna, la Francia, Germania, e gli “stati barbari”. Michelangelo Cosentini torna in Sicilia nel 1774, sposa Rosa Strano e si stabilisce ad Acireale. Dal matrimonio nascono molti figli tra cui Cristoforo (considerato “il Raw vivente della parte orientale della Sicilia”. Roberto Sava, Quindicenne ragguaglio di infrequenti malattie, snt., p. 176n.) e Giuseppe (primogenito, nato l’8 sett. 1777): costui va a studiare a Napoli con il grande Santoro Amantea, Sementini, Cutugno. Assieme al fratello, nell’ospedale di Acireale, opera con “il taglio laterale le persone affette da pietra”, ovvero elimina i calcoli eseguendo la litotomia. Ben 400 pazienti si sottopongono a questo innovativo tipo di operazione e, tra questi, il poeta Micio Tempio. Il merito dei fratelli Cosentini in questo tipo di chirurgia è riconosciuto a Napoli dal prof. De Horatiis che ne parlò al Dupuytren (chirurgo napoleonico), quando venne a Napoli. Giuseppe muore ad Acireale il 6 marzo 1839. Un suo biografo, commemorandolo, ricorda che al tempo dei Volontari siculi Giuseppe era stato chirurgo maggiore del VI Cacciatori. Notevole anche il suo ruolo nella commissione antivaiolosa. Fu amico del chirurgo Filippo Badalà “che al tempo degli inglesi stupì a Palermo tutti per aver guarito il re Ferdinando”. Lionardo Vigo, Elogio di Giuseppe Cosentini chirurgo di Aci-Reale, Messina, stamperia di Tommaso Capra, 1840, estr. dal “Il Maurolico”, vol. IV, fasc. IV, feb. 1840. 82 Il medico Filippo Libra studia gli aneurismi e la circolazione del sangue nella giugulare, basandosi sulle esperienze mediche di Paolo Assalini e sulle pratiche chirurgiche eseguite a Napoli nel 1824 e 1825 (“Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia”, 1832, p. 8 e ss.).

Page 35: Le Scienze, La Politica, La Città

35

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Di Acireale è anche l’abate Lorenzo Coco Grasso, che rappresenta la principale fonte di informazioni sulle “erborizzazioni archeologiche”.83 Egli testimonia che a tali “erborizzazioni” partecipa nel 1804 il botanico messinese Antonino Bivona Bernardi, personalità scientifica di prima grandezza ed allievo di Giuseppe Tineo, direttore dell’Orto botanico di Palermo.84 Alla penna di Lorenzo Coco Grasso è anche legata la memoria di un’avventurosa “erborizzazione” in compagnia del celebre Filippo Parlatore, nell’impervio Monte Grifone, nella zona occidentale dell’isola, finita quasi in tragedia a causa della sospettosa diffidenza dei nativi, pronti a Il Libra fu allievo ed amico dei già citati Giuseppe Maria Cosentini e Cristoforo Casentini (Relazione

Accademica per gli anni I e II dell’Accademia degli Zelanti di Aci-Reale di Scienze Lettere e Arti, letta

nella pubblica tornata del 14 gennaio 1836 dal segretario generale Antonino Calì Sardo, Palermo, tip. del Giornale Letterario, 1836, p. 46). Filippo Libra Coltraro (morto nel 1872), amico di Placido Portal, dona nel 1865 i suoi libri, per lo più di medicina, alla Biblioteca Regionale di Catania, che li possiede ancora. Vedi Annuario della R. Università di Catania per l’anno accademico del 1897, pp. 219-223. 83 Coetaneo e amico di Giuseppe Maria Cosentini, il più volte citato Lorenzo Coco Grasso è “primo cappellano sacramentale della metropolitana chiesa di Palermo, e socio di varie accademie nazionali ed estere”. Acese di nascita, studia nel seminario vescovile di Catania e suoi professori sono presumibilmente Ferdinando Cosentini e Matteo Di Pasquale. Cultore di botanica e di agronomia, al suo attivo ha pubblicazioni relative alla coltivazione delle patate (1834), all’“economia rurale” (1843), alla Dionea muscipula (1843). Nel 1840 Lorenzo Coco Grasso (o Grassi) caldeggiò l’inserimento, tra i membri della Gioenia, di Ignazio Rozzi, direttore del “Gran Sasso d’Italia”, periodico di scienze naturali ed economiche. La documentazione dei rapporti intercorsi tra questi personaggi è in Archivio di stato di Catania, Accademia Gioenia – lettere pervenute, b. VI, fasc. 16 (lettera di Coco Grassi datata Palermo 30 marzo 1840) e fasc. 18 (lettera di Ignazio Rozzi, datata Teramo 12 ottobre 1841). Pur abitando a Palermo, l’abate Lorenzo Coco Grasso mantiene stretti rapporti epistolari con i suoi concittadini. Torna brevemente a Catania nel 1844, dopo più di 30 anni di assenza. Incontra vecchi amici ancora viventi: i professori Fulci, il canonico Geremia, il cav. Agatino Longo, il dottor Giovanni Sava, Benedetto Cristoadoro, Filippo Libra, Rosario Buscemi, Gaetano De Gaetani, Antonino Insenga di Catania, padre Giuseppe Antonio Fassari, padre Calcara. Il 19 agosto 1844 si reca nel monastero dei benedettini con il dottor Gaetano D’Urso, il fratello Raffaele, Calì Sardo, Alfio Lombardi, Domenico Testa, il Portoghesi. Vedi Il sapore dell’antico, cit., pp. 111-112. Tra gli amici di Lorenzo Coco Grasso si annoverava il segretario di intendenza barone Pietro Ventimiglia, che sarà poi presidente della Gran Corte e Gran Cancelliere dell’università, avendo un ruolo anche nella fondazione dell’Orto botanico universitario. 84 Nel 1804 una brigata di amici – capitanata da Giuseppe Maria Cosentini – va ad “erborizzare” sull’Etna assieme al botanico messinese Antonino Bivona Bernardi. Della comitiva fa anche parte Coco Grasso, che descrive quella escursione nel [Necrologio di] “Giuseppe Maria Cosentini”, cit., p. 169. Antonino Bivona Bernardi (nato a Messina 24 ottobre 1778 e morto a seguito dell’epidemia di colera del 1837) viaggiò per l’Italia dal 1804 al 1806. Nel 1804 a Napoli prende contatti con Petagna e Tenore.

Page 36: Le Scienze, La Politica, La Città

36

LE “ERBORIZZAZIONI ARCHEOLOGICHE”

lanciare sassi contro i botanici.85 Rischi del mestiere del naturalista – si potrebbe dire – giacché non mancano nella memorialistica episodi simili, attribuibili all’aristocratica incapacità dei “signori scienziati” ad instaurare relazioni con i “semi barbari” campagnoli: significativo, al riguardo, la sassaiola ai danni della serra dell’Orto botanico universitario di Catania.86 I condizionamenti storico-culturali influenzano i naturalisti anche quando osservano le zone, dense di reminiscenze mitiche e archeologiche, poste tra il corso dei fiumi Alcantara e Simeto. Quelle campagne, le piante che vi crescono, sono descritte da due cultori di botanica catanesi: Alessio Scigliani (a cui si deve una Pomona Etnea) 87 e Gioacchino Geremia 88 (autore di Vertunno Etneo, o Stafulegrafia).89 si perfezionea visitando i più importanti giardini botanici: Bologna (vi si reca con un tal Aldini, che è un amico conosciuto a Napoli), Pavia, Padova e Milano (dove rifiuta di vedere l’incoronazione di Napoleone), Genova (dove diviene amico del Viviani), Pisa (dove stringe amicizia con Santi e Gaetano Savi che è botanico e professore di fisica sperimentale), Sarzana (dove conosce Bertoloni). Nel 1806 torna in Sicilia. Nel 1807 raccoglie erbe sull’Etna e per sette mesi dimora nei paesini etnei. Amico di Antonio Arrosto e di Filippo Parlatore, fu padre di Andrea. Pubblicò molto. Oltre alla biografia su Filippo Parlatore, Breve cenno sulla vita e sulle opere del barone Antonino Bivona Bernardi, Palermo, tip. del Giornale Letterario, 1837, su Antonino Bivona Bernardi si può consultare la voce del Dizionario Biografico degli Italiani Treccani e, più recentemente, Alessandro Ottaviani, L’opera

naturalistica di Antonino Bivona Bernardi e il dibattito sulla riforma delle scienze in Sicilia fra ’700 e

’800, in Maria Teresa Monti, Marc J. Ratcliff (ed.), Figure dell’invisibilità. Le scienze nella vita

dell’Italia di Antico Regime (Atti delle giornate di studio Milano-Ginevra novembre 2002-giugno 2003), Firenze, Olschki, 2004, pp. 263-289. 85 La rischiosa “erborizzazione” di Monte Grifone vede per protagonisti il palermitano Filippo Parlatore, un giovane medico che diventerà sommo botanico, il catanese Alessio Scigliani e Lorenzo Coco Grasso, che ricorda: “Ci ricordiamo che corremmo pericolo di essere assassinati da alcuni malandrini, dalla pioggia delle sassate dei quali a malostento potremmo sottrarci”. Lorenzo Coco Grasso, Della vita e delle opere del prof. Alessio Scigliani, cit., p. 10n. 86 Nei giorni della festa di Sant’Agata del 1862 dei sassi vengono lanciati al fine di rompere la serra, che era stata appena acquistata con grandi dispendi e amorevolmente montata pezzo a pezzo. Gli autori del gesto teppistico sono gli abitanti dei palazzi vicini che, evidentemente, manifestano la loro aperta avversione. Un episodio analogo si ripete in pieno giorno nel maggio 1863: sono delle donne a lanciare i sassolini contro i vetri. Tornabene invoca l’intervento della forza pubblica e pretende dalla Questura dei piantoni (ASU, FC, b. 974). Tuttavia il processo di identificazione tra cittadini e Orto è veloce e già nel 1871 Catania è suddivisa in 15 quartieri, uno dei quali si chiama Orto botanico. 87 Alessio Scigliani, Pomona Etnea ovvero saggio sulle specie degli alberi fruttiferi che esistono nei

contorni dell’Etna, sl, sn, [1831], estr. da “Atti dell’Accademia Gioenia”, n. 94, 1831, tomo 8, fasc. 1, pp. 53-97. Scigliani interrompe l’opera e pubblica solo la parte relativa alle ciliegie. Sulla scorta di ciò che scrive San Girolamo, ritiene che il Prunus cerasus sia stato portato in Sicilia dai Romani ed arrivato ai tempi di Lucullo, nel 680 dalla fondazione di Roma. Scigliani analizza il ciliegio sotto tutti gli aspetti: usi, proprietà farmaceutiche, vantaggi economici.

Page 37: Le Scienze, La Politica, La Città

37

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

I titoli delle loro opere risentono del potere dell’antico.90 Nella mitologia classica greca e latina, infatti, Vertunno è il dio dei giardini (è noto il quadro di Arcimboldo che ritrae Rodolfo II d’Asburgo in veste di questa divinità); Stafulo è figlio di Dioniso; Pomona, cantata da Ovidio, è la dea romana dei frutti, non solo quelli che crescono negli alberi ma anche dell’olivo. Le parole che risuonano tra quei botanici sono dunque quelle dell’erudizione.91 Ma non per questo bisogna supporre che quei naturalisti vivessero Il 31 agosto 1831 legge ai soci della Gioenia la memoria Pomona Etnea e fa gustare “l’acutezza dei sapori e consistenza di quella polpa con le parole”. Alessio Scigliani segue studi intrapresi da altri e pubblica Pomona italiana del conte Giorgio Gallesio, Palermo, R. stamperia, 1835; art. estr. da “Effemeridi scientifiche e letterarie”, fasc. 35. 88 Gioacchino Geremia, ecclesiastico, fu anche autore del discorso Sui vantaggi dell’unità cattolica

nel presente stato morale e patologico d’Europa, Napoli, 1837. Al tempo in cui era diacono, Geremia ottiene un Breve da Leone XII, datato 27 marzo 1827, con il quale gli viene concessa la dispensa di età per accedere al sacerdozio (Catania, Archivio Storico Diocesano, Ordinazioni sacre, 1827; notizia reperibile su internet). Sospettato dall’intendente di esser un liberale, il canonico (e abate) Gioacchino Geremia fu arrestato intorno al 1852. Amico del vescovo Regano, nel 1863 insegna Letteratura Italiana all’università. 89 Gioacchino Geremia, Vertunno etneo, ovvero stafulegrafia, storia delle varietà delle uve che

trovansi nei dintorni dell’Etna, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, parte I (vol. 10, n. 125, 1835, pp. 201-221), parte II, (vol. 11, n. 143, 1836, pp. 313-340), parte III (vol. 14, n. 189, 1839, pp. 3-67). Gioacchino Geremia individua in Sicilia parecchie varietà di uva Greca propriamente detta, Greca napoletana, Greca di Termini ecc. che descrive in Osservazioni geognostiche ed agronomiche su i

vigneti etnei seguito della Pomona etnea, Palermo, tip. del Giornale letterario, 1834; estr. da “Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia”, gennaio 1834, pp. 91- 97; feb. 1834, pp. 186-193 (cit. in Bibliografia Italiana, ossia Elenco generale delle opere d’ogni specie e d’ogni lingua stampate in

Italia e delle italiane pubblicate all’estero, Nuova serie, anno III, Milano, presso Ant. Fort. Stella e figli, 1837, p. 227). A Gioacchino Geremia vanno attribuiti numerosi saggi, tra i quali: Alcune idee

statistiche sui vini del distretto di Catania, e sui melioramenti che riguardano l’economia enologica,

seguito di Pomona Etnea, in “Effemeridi scientifiche e letterarie”, tomo XI. Grosso modo, negli stessi anni in cui Geremia studiava i vigneti siciliani l’erudito e massone Saverio Landolina Nava (Catania 1743-Siracusa 1814) affermava che il vino Pollio, ricordato dalle fonti classiche, altro non è che l’attuale moscardello. 90 L’impulso verso l’antico è espediente per fare della retorica nazionale. In tutta la cultura meridionale, da Vico a Pagano e Cuoco, è diffusa l’idea che l’area mediterranea e l’antico territorio italico erano sede di una grande civiltà, il cui ricordo si rafforza con l’azione congiunta dello spirito del luogo o genio del luogo (Carla De Pascale, Stato e costituzione in G. D. Romagnosi, in Costruire lo

Stato, costruire la storia. Politica e moderno fra ’800 e’900, a cura di Angela De Benedictis, Bologna, Clueb, 2003, pp. 31-58). In Sicilia la manipolazione della categoria dell’antico si manifesta in un contesto in cui l’“antichità” sottolinea la preminenza, puntualizzando primati e precedenze. Spesso il confine tra erudizione e politica non è netto. Il sapore dell’antico, cit., p. 8 e p. 21. 91 Val la pena ricordare che Giuseppe Maria Cosentini va ad erborizzare “in alcune di quelle contrade descritte dall’ornatissimo canonico sac. secondario Gioacchino Geremia nel Vertunno Etneo,

Page 38: Le Scienze, La Politica, La Città

38

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Le pagine da 38 a 39 non sono mostrate nell’anteprima

Page 39: Le Scienze, La Politica, La Città

39

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Le pagine da 38 a 39 non sono mostrate nell’anteprima

Page 40: Le Scienze, La Politica, La Città

40

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

In risposta alle nuove conoscenze chimiche, i botanici analizzano le acque minerali ed enumerano e studiano le piante che crescono in prossimità di fonti d’acqua sorgiva. Nel catanese, dove sgorgano acque di diversa e varia natura, quelle studiate più precocemente dai naturalisti dell’ateneo cittadino sono le fonti che serbano tracce di insediamenti umani nei dintorni. L’azione condizionante della storia antica e la suggestione dell’archeologia fanno sì che si analizzino chimicamente innanzi tutto le sorgenti che sgorgano accanto a ruderi.98 Di conseguenza, le prima indagine sulle acque minerali fatta a Catania, è quella su una “antichissima fontana artificiale”, detta dell’Acqua Santa, che sgorga accanto ad un resto archeologico, per la precisione un cippo sepolcrale di età romana99, nel fondo sub-urbano della Limosina (o Elemosina), “non a più di un miglio a sud ovest di Catania”,100 nell’area dell’attuale Cimitero e del sobborgo Zia Lisa, 101 non lontano dal torrente Riferendosi alla mobilità delle piante scrive: “c’è una materia nervosa che concorre all’accrescimento della pianta”. Studia la Portiera Hygrometra e, giovandosi di igrometro, termometro e orologio, osserva la mobilità della pianta dal 24 al 30 dicembre 1838 (giusto quando il fittissimo calendario liturgico avrebbe dovuto distoglierlo dalla botanica). Francesco Tornabene, Sopra alcuni fatti di

anatomia e fisiologia vegetale, Catania, Tip. di Riggio, 1838, pp. 9-10. 98 Le acque che scorrono vicino a resti archeologici del napoletano vengono analizzate dal professor Antonio Miglietta (Carmiano 1763 – Napoli 1826) nel Rapporto sulle acque minerali del tempio di

Serapide a Pozzuoli, Napoli, stamp. Società tip. nell’ex Monastero di Monteuliveto, 1818. 99 Il cippo sepolcrale “appartenente ai primi tempi della Colonia Romana a Catania” reca una iscrizione che fa supporre l’esistenza di un duumvirato. Lettera del cav. Giuseppe Alessi, sopra un

cippo sepolcrale dissotterrato nei dintorni di Catania in “Giornale di Belle Arti”, a. I, Venezia, dalla tip. di Paolo Lampato, 1833, p. 75. Il cippo fu poi donato dalla famiglia Carcaci al Comune ed è oggi ancora conservato al Museo civico di Castello Ursino. 100 Cenni critici di Vincenzo Zuccarello sulla memoria del Dr Gaetano De Gaetani sopra l’acqua

minerale solforata del pozzo di S. Venera in “Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia”, vol. 64 (aprile-giugno), anno 17 (1839), pp.196-204, (pubblicato anche su “Atti dell’Accademia Gioenia”, n. 224, 1841, t. 16, fasc. 1, pp. 35-48), in particolare p. 198. Il condotto sotterraneo chiamato Limosina è cit. da Ignazio Paternò principe di Biscari, Viaggio per tutte le antichità della Sicilia, Napoli, nella stamperia Simoniana, 1781, p. 36 (opera più volte ristampata, 2. ed., Palermo, Francesco Abate, 1817). 101 Il latinista Santi Consoli (sindaco di Catania all’epoca di Giuseppe De Felice, di cui fu fidato collaboratore), suppone che il toponimo “Zia Lisa” non derivi dal nome di una popolana del sobborgo, come comunemente si crede. Avanza invece una suggestiva ipotesi, cioè: Zia Lisa è la corruzione linguistica di una denominazione topografica di origine greca, che risulta dalle due parole THEIA ELISIA, che significano “Divini Elysii” cioè il luogo dell’eterna primavera connesso a particolari culti religiosi. Santi Consoli fu un attentissimo studioso

Page 41: Le Scienze, La Politica, La Città

41

LA VEGETAZIONE E L’ANALISI CHIMICA DELLE ACQUE

omonimo che scorre nel quartiere Fossa Creta, in un terreno del principe del Pardo passato poi, per via matrimoniale, ai duchi di Carcaci.102 Lo “scopritore” della fonte dell’Acqua Santa è Giuseppe Mirone Pasquali,103 a quell’epoca sostituto del professore di Chimica e farmaceutica all’università.104 Costui, tra il dicembre 1785 e l’aprile 1786, analizza quell’acqua e la definisce “Acqua Fredda marziale Spiritosa”. La strana nomenclatura si giustifica con il fatto che a quell’epoca ogni ricercatore, ne aveva una tutta propria, mancando l’uniformità del linguaggio chimico.105 Giuseppe Mirone spiega dettagliatamente come svolge le sue analisi: si reca presso la scaturigine, fa attenzione a particolari fenomeni che si presentano alla sorgiva, misura il

della cultura naturalistica di ’700 e ’800: non è escluso che giusto in quell’ambito, e in particolare da Vincenzo Cordaro Clarenza, egli abbia tratto l’ipotesi linguistica sul toponimo, che riporta in Sicilia

gloriosa, Catania, C. Galatola, 1924, pp. 234-235. 102 Maria San Martino dei principi di Pardo sposa Mario Paternò Castello IV duca di Carcaci. Nel 1833 il podere appartiene al cavaliere Francesco Paternò Castello dei duchi di Carcaci. Vedi Lettera del

cav. Giuseppe Alessi, cit. 103 In realtà Giuseppe Mirone Pasquali (1753-1804), benché si definisca tale, non fu lo scopritore della sorgente, in quanto il toponimo Acqua Santa esisteva già ed è onomasticamente collegato a leggende popolari (la fonte ancora oggi è ritenuta convegno di spiriti maligni). L’antropologo Luigi Maria Lombardi Satriani ha dimostrato che nel Mezzogiorno le Acque sante sono un miscuglio di sostanze medicamentose e di simbolismi bizzarri, emanate dalle tenebrose oscurità del sottosuolo e dell’inconscio, che riaffiorano nei racconti popolari. Nunzio Greco, Acque e bagni termo-minerali, cit., p. 38. 104 Giuseppe Mirone Pasquali più di ogni altro contribuì a diffondere a Catania lo studio della chimica. Tradusse in italiano e commentò il primo e secondo volume della Filosofia chimica di Fourcroy. Ebbe molti allievi, tra i quali Carmelo Maravigna, che pubblica le Meditazioni mediche

sull’uomo vivente, opera postuma del dottore Giuseppe Mirone, Catania, s.n., 1809. Mirone è un seguace del sistema di Brown, così come altri medici coevi. Prospetto succinto della pubblica cultura

in Sicilia dal 1800 fino al corrente anno, in “Giornale di scienze letteratura ed arti per la Sicilia”, tomo I, 1823, p. 61 (dal 1824 la rivista cambia il nome in “Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia”). 105 Giuseppe Mirone Pasquali nel 1786 dà conto delle analisi chimiche da lui eseguite su campioni di acqua che sgorga in zona Limosina. Sopra un’acqua minerale nuovamente conosciuta nelle vicinanze

di Catania, Catania, nelle stampe di Francesco Pastori (sic), 1786. L’autore racconta che ha trovato l’Acqua santa dentro un orto del principe del Pardo, dietro la casetta dell’ortolano. Ancora oggi è possibile vedere quella fonte, che sgorga da una specie di pozzo artesiano, dietro un gruppetto di case rustiche. Negli stessi anni in cui Giuseppe Mirone svolge le sue analisi chimiche, a Napoli il fisiologo Nicola Andria, socio della Reale Accademia delle Scienze e professore di medicina presso l’università di Napoli, studia le acque termominerali di Ischia per accertarne le virtù mediche. Queste indagini servono di esempio a molti altri illustri chimici, medici, fisiografi, che fanno studi comparati sulle sorgive e, all’occorrenza, raccolgono i gas emanati dalle polle. Nunzio Greco, Acque e bagni termo-

minerali, cit., p. 46. Analisi chimiche, prima del 1805, fa anche il botanico napoletano Michele Tenore che studia le acque minerali di Napoli, Pozzuoli, Ischia.

Page 42: Le Scienze, La Politica, La Città

42

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

calore dell’acqua, esamina il terreno attorno alla fonte, raccoglie i depositi lasciati dall’acqua, li analizza nel proprio laboratorio dove pratica ulteriori analisi qualitative su odore, sapore e peso dell’acqua e quantitative, per conoscere l’esatta misura degli elementi mineralizzatori. Mirone ritiene che la fonte dell’Acqua Santa possieda sostanze “salino medicamentose” e stringenti che possono avere uso terapeutico.106 Difatti, nel 1812, l’Acqua Santa sarà usata a scopo terapeutico, per la cura delle malattie renali, dai medici Giuseppe Antonio Galvagni e Francesco Scavone, due cultori della chimica medica interessati allo studio dell’azione terapeutica delle acque in funzione dei minerali contenuti.107 Dopo qualche anno, la fonte del rione Acqua Santa viene segnalata in una guida turistica come meritevole di una visita.108 Nel 1840, l’Acqua Santa è analizzata con più moderne metodiche da Gaetano De Gaetani (a quell’epoca “publico alberista botanico” dell’università) che studia la natura del terreno e dell’acqua ed enumera le piante che crescono accanto alla fonte: Anagallide azzurra o Anagallis coerulea; Arone maculato o Arum maculatum; Acanto Branca ursina o Acanthus mollis; Sambuco ebbio o Sambucus

ebulus; Convolvolo campanella o Convolvulus saepium; Tortola ruvida o Cerinthe aspera; Geranio comune o Geranium rotundifolium; Cimiciotta fetida o Ballota foetida;

Fumaria rossa o Fumaria officinalis; Scerardia de’ campi o Sherardia arvensis; Adianto capelvenere o Adiantum capillusveneris; 106 L’acqua è “il mestruo universale delle sostanze saline” scrive Giuseppe Mirone, (Sopra un’acqua

minerale, cit, p. 52) intendendo dire che le sostanze saline e solubili disciolte nell’acqua arricchiscono e mineralizzano il terreno. Lo stesso concetto dell’acqua come “mestruo universale” è anche espresso da un medico straniero che influenza fortemente l’ambito degli studi catanesi: Johann Peter Frank (Sistema completo di polizia medica, vol. I, Milano, presso Pirrotta e Maspero, 1807, p. 77) e dal catanese Francesco Ferrara (I Campi Flegrei della Sicilia e delle isole che le sono intorno e descrizione

fisica e mineralogica di queste isole, Messina, stamperia dell’Armata Britannica, 1810, p. 37). Anche altri scienziati coevi propongono un evidente parallelo tra fertilità della terra e fecondità della donna. 107 Gaetano De Gaetani, Su l’Acqua Santa e su l’Acqua Acidula, cit. Il dott. Francesco Scavone, socio corrispondente dell’Accademia Gioenia, nella seduta del 10 giugno 1825, legge una memoria di teratologia (poi pubblicata negli “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. II, 1827, p. 15) e, dopo qualche anno, si impegna ad accrescere la “pubblica biblioteca Mineano Agirina”. (Archivio di stato di Catania, Accademia Gioenia lettere autografe pervenute, b. V, fasc. 13, lettera datata Agira 6 luglio 1836). Su Francesco Scavone, più volte consigliere provinciale e autore della memoria Sui mezzi di migliorare

l’industria manifatturiera e commerciale dello zolfo, si veda Agira tra XVI e XIX secolo, a cura di Rita Loredana Foti e Lina Scalisi, vol. 2, Caltanissetta, Sciascia, 2004. 108 Jeannette Power, Guida per la Sicilia, cit., p. 92.

Page 43: Le Scienze, La Politica, La Città

43

LA VEGETAZIONE E L’ANALISI CHIMICA DELLE ACQUE

Papavero rosolaccio o Papaver rhoeas; Sio a foglie larghe o Sium latifolium ed altre specie. De Gaetani constata che l’irrigazione con acqua minerale sviluppa la vegetazione e, sulla scorta del Cosentini, suo insegnante di botanica, ritiene che l’accrescimento delle piante è direttamente dipendente dall’abbondanza di “acido carbonico” (cioè anidride carbonica) da esse assorbito.109 Proprio l’anidride carbonica era stata studiata, nel 1805, dall’abate Francesco Ferrara, professore di fisica all’università di Catania, ed era stata messa in relazione con il fenomeno geologico del lago di Naftia, a Palagonia, ubicato nel luogo in cui sorgeva una città sicula, fondata da Ducezio accanto ad un precedente tempio-oracolo greco dei Palici, dedicato ad antichi culti delle popolazioni locali.110 L’attenzione dei naturalisti è dunque attirata dai resti archeologici. Non stupisce pertanto il loro interesse per la sorgente vulcanica di Santa Venera al Pozzo, nel basso versante orientale dell’Etna, sorgente usata dai Romani (ma, si crede, ancor prima dai Greci) per impianti termali forse anticamente chiamati Xiphonie. 109 Gaetano De Gaetani, Su l’Acqua Santa e su l’Acqua Acidola, cit., p.6. De Gaetani suppone che l’Acqua Santa abbia proprietà terapeutiche e, astringenti derivanti, dalle sostanze salino medicamentose che possiede. 110 I “gas acido carbonici” del lago Naftia sono collegati al culto idolatrico dei greci. Francesco Ferrara, Memorie sopra il lago Naftia nella Sicilia meridionale…, Palermo, Reale Stamperia, 1805, p. 10 e ss. Francesco Ferrara, nato a Trecastagni nell’aprile 1767, fu corrispondente di Vauquelin e di altri chimici europei (Lorenzo Coco Grasso, Della vita e delle opere del prof. Francesco Ferrara , cit., p. 10 e ss). Francesco Ferrara studia a Catania dal 1778 e a lungo segue le lezioni di Zahra. Studia chimica assieme a Mirone e musica sotto la guida di Vincenzo Bellini (che, ovviamente, non è il celebre compositore battezzato nel nov. 1801 giusto dal Ferrara). Fu nominato intendente delle antichità della Sicilia e scrisse numerose opere. “Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo”, pubbl. da Diamillo Muller, Torino, Pomba, 1853, pp. 127-129. 111 Memoria sopra le acque della Sicilia, loro natura, analisi, ed usi, Londra, dalla stamperia di Dennett Jaques, 1811, p. 134. Alfio Ferrara, fratello minore di Francesco, nacque a Trecastagni nel marzo 1777 e morì a Parigi il 27 ottobre 1829 dopo aver trascorso buona parte della sua vita all’estero, come medico dell’Armata britannica. Fece la campagna di Spagna e, come altri medici, si occupò delle oftalmie dei militari che tornavano dall’Egitto. Eseguì operazioni di litotomia. Studiò il corallo e la numismatica della Sicilia. Scrisse diverse memorie relative alle isole joniche, in cui visse. Parte di tali memorie sono rimaste manoscritte e citate da Giuseppe Mazzantini, Inventario dei manoscritti italiani

delle biblioteche di Francia, vol. 3, Firenze- Roma, Bencini, 1888, p. 179. L’elenco delle opere edite e un rapido profilo biografico di Alfio Ferrara, scritto dal fratello Francesco, può leggersi in Biografie

autografe ed inedite, cit., p. 127.

Page 44: Le Scienze, La Politica, La Città

44

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Quella fonte, di natura solforosa, viene analizzata con passione sin dal 1811 da Alfio Ferrara 111 ed esaminata poi, con nuove procedure, alla fine degli anni Trenta, da Gaetano De Gaetani (puntiglioso catalogatore delle piante che crescono accanto alla fonte: Juncus acutus, Sisymbrium nasturtium, Solanum dulcamara, Polygonum

persicaria, Triticum repens)112 e da altri personaggi, tra cui il farmacista Vincenzo Zuccarello, compartecipi di una querelle scientifico-polemica sulla fonte d’acqua di Santa Venera al Pozzo, che trova eco anche nei periodici locali e non soltanto in quelli scientifici.113 La presenza del suolo vulcanico e di impianti termali di epoca romana, riaffioranti qua e là nel catanese, sono indicatori che fanno ben sperare i naturalisti di poter ritrovare ulteriori sorgive di acque termali (il cui uso era stato introdotto dalle colonie greche e continuato presso i romani con i balnea pubblici). Anche con questo auspicio, un docente dell’ateneo catanese invita le autorità a far analisi delle proprietà chimiche delle acque cittadine.114 La richiesta è colta dal Consiglio provinciale che, nel 1839, incarica Gaetano De Gaetani di effettuare indagini fisico-chimiche delle acque della provincia, per conoscere la loro potabilità.115 112 Gaetano De Gaetani, Sopra l’acqua solforosa del Pozzo di Santa Venera, Catania, tip. Pietro Giuntini, 1838 (anche nel vol. 10 degli “Atti dell’Accademia Gioenia”). De Gaetani pubblica poi le Nuove osservazioni intorno alle acque solforose del pozzo di Santa Venera (ivi, vol. 20). 113 Si vedano i Cenni critici di Vincenzo Zuccarello, cit. Lo stesso farmacista pubblica anche Intorno

al deposito rossastro dell’acqua solforosa del Pozzo di S. Venera. Lettera di V.Z. a Rosario Buscemi, in “Il Trovatore”, a. I, n. 7, 1 nov. 1839, pp. 53-54. Il medico Buscemi consiglia l’uso di quell’acqua, contente “sulfido idrico”, per un caso di “malattia erpetica”. Il pozzo di Santa Venera è anche argomento di altri articoli, comparsi sul giornale catanese “Il Caronda”. La fonte di Santa Venera al Pozzo, nel 1877, apparteneva al Agatino Pennisi barone di Floristella e a quell’epoca le analisi chimiche della fonte sono eseguite dal noto vulcanologo Orazio Silvestri. 114 Il manoscritto, non datato e non firmato, ma per la peculiarità della grafia sicuramente anteriore al 1820, è forse una prova d’esame universitario. L’archeologia – vi si legge – prova che a Catania esistevano terme e stufe; è possibile usare le “acque medicate”, sia fredde sia termali, per guarire le malattie croniche; bisogna individuare nuove fonti che devono necessariamente esistere perché “noi siamo in un luogo vulcanico che è il più adatto per ritrovarsi simili acque, e poiché io tempo fa ne scoprii una, così spero scoprirne delle altre”. ASU, FC, b. 276. 115 Specialista in idrologia, il De Gaetani ritiene che i risultati degli studi sulle acque possono anche servire alle manifatture. Pubblica le Ricerche su le acque così dette dei Casali e del Fasano, in “Giornale del gabinetto letterario dell’Accademia Gioenia”, tomo VII, bimestre II, vol. 10 (1840); e la Relazione analitica sulle acque minerali di Casalrosato, 1841. Studi di drologia fa anche Carlo Gemmellaro, che nel 1833 pubblica Per le accresciute acque dell’Amenano, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. 9.

Page 45: Le Scienze, La Politica, La Città

45

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 45 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 46: Le Scienze, La Politica, La Città

46

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Il rapporto tra fertilità del suolo e anidride carbonica, tra vegetazione e qualità delle acque, è ribadito da Roberto Sava, uno scienziato convinto che “le acque ricche di acido carbonico, solfato di calce, o di magnesia e carbonato di ferro” favoriscano lo sviluppo della vegetazione dei cereali e delle leguminose. Le piante irrigate da tali acque presentano difatti caratteristiche speciali in quanto “il fogliame lussureggiante e folto ridondante di clorofilla, i petali dei fiori con macchie scure, più larghe […] nella pluralità delle corolle, turgidi e grossi, abbondanti di fecola, zeppi di legumina, sicché fave, fagioli, piselli, ceci e veccia (sic) sono ubertose e di facile coltura”.119 Roberto Sava è un siciliano emigrato nell’Italia settentrionale e, quando pensa al rigoglio vegetativo, ha in mente i verdeggianti campi lungo il Simeto, le fertili coltivazioni in terreni lavici o di origine vulcanica, dove “tra le emanazioni gassose del vulcano quella di acido carbonico è copiosa e perenne”. Conosce bene quelle campagne, Sava. Egli è un figlio della terra etnea. Nato a Belpasso non lontano dal versante meridionale dell’Etna, là dove in epoca greco-sicula prosperavano i fertili campi di Ibla Maggiore, che egli colloca vicino Paternò.120 Proprio quella valle è cosparsa di acque minerali acide e gassose. Passa ad elencarle: lo “stagno della Grassa”, ad occidente dell’antico cratere eruttivo di Paternione (sic), che ha acque “poco o niente potabili per l’eccesso di carbonato di calce, idrossido ferrino, acido carbonico”; la “Fonte di Acquarossa”, che è una sorgente di acqua deliziosamente acidula; ad est del paese sgorga la “pozzanghera di S. Lucia […] non gradevole da bere per sovrabbondanza di carbonato ferroso”; chiare e fresche sono le acque perenni del fiumicello di Valcorrente, “di cui quegli zotici agricoltori traggono poco profitto, non sapendo divergerne il corso”: 119 Roberto Sava, Azione delle acque carboniche nella assimilazione vegetale, in “I Giardini”, fasc. feb.-marzo 1864, ristampato in Roberto Sava, Raccolta di pubblicati lavori di storia naturale, Forlì, Tip. Democratica, 1878, pp. 367-371. Il rapporto tra qualità del terreno e anidride carbonica era stato messo in luce anche da Prospero Riccioli che, in base alle esperienze di Hassenfratz e di Saussure, si convince che “la prima cagione e quasi l’unica nutrizione delle piante è l’acido carbonico sciolto nell’acqua”. Prospero Riccioli, Cenni sulla relativa influenza delle terre della Piana di Catania nella

vegetazione delle piante cereali, memoria letta il 15 settembre 1828 nella seduta dell’Accademia Gioenia (“Atti dell’Accademia Gioenia”, 1829). 120 Roberto Sava nel 1819, nel corso delle sue escursioni naturalistiche fatte vicino a Belpasso, scopre un reperto archeologico che gli consente di identificare il luogo in cui si trovava l’antico monastero normanno di Santa Maria La Scala, un edificio “gotico” distrutto dal terremoto del 1693 e di cui serbavano traccia gli scritti di Fazello, Mongitore, Pirri, Amico, Biscari, Recupero. Il rudere portava un’iscrizione, decifrata dal filologo Onofrio Abbate, amico di Roberto Sava. “Effemeridi scientifiche e letterarie”, tomo XXVIII, anno IX, gennaio- marzo 1840, pp. 121-127 e sop. p. 123.

Page 47: Le Scienze, La Politica, La Città

47

LA VEGETAZIONE E L’ANALISI CHIMICA DELLE ACQUE

l’acqua, a breve distanza della scaturigine, si perde, infatti, in uno scoscendimento di lava dell’eruzione del 1669.121 Roberto Sava è convintissimo dei benefici delle acque minerali. Egli lancia una proposta agli orticoltori e agli amanti dei giardini che vivono in zone non vulcaniche: sottoporre ortaggi e fiori a periodiche cure idrocarbonoterapiche speciali, sul modello delle cure termali per le persone. Uomini e piante devono “bere” acqua minerale, propone Sava; e, coloro che non hanno la fortuna di vivere in prossimità di un vulcano attivo – come i suoi lettori milanesi –, possono usare acque gassose, preparate anche artificialmente, “per animare […] la vita languente e clorotica di permalose piante, predilette o peregrine”.122 Roberto Sava è una figura significativa nel panorama delle scienze naturali: botanico (è compagno di “erborizzazioni” di Filippo Parlatore), medico e geologo. Autore prolifico, tra il 1825 e il 1870 pubblica un’infinità di volumi, alcuni dei quali tradotti all’estero o recensiti da giornali stranieri.123 Persona di ingegno non trascurabile, uomo aggiornato e combattivo, in contatto con gli esponenti della più avanzata scuola scientifica europea, Sava rappresenta anche l’estromissione nelle sede ufficiali della cultura catanese (Università, Accademia Gioenia) delle frange più aggiornate di intellettuali.124 Questa è la ragione per la quale egli lascia Catania, dove suo zio – Carlo Gemmellaro – gli rende la vita difficile.125 121 Roberto Sava, Azione delle acque carboniche..., cit. Le fonti del catanese sono oggetto di scritti di Gaetano Cantarella, Memorie per l’acqua di Valcorrente della città di Catania, Messina, Giovanni Del Nobolo, 1812 (l’autore, esprimendo il clima antifeudale dell’epoca, menziona le condutture di epoca romana, presenti nelle campagne etnee, per dimostrare che l’acqua di Valcorrente – feudo che nel 1812 era stato confiscato dalla Corona – “appartiene con pieno diritto alla Città di Catania” e deve essere utilizzata per la realizzazione di opere pubbliche, quali il molo). L’approvvigionamento idrico di Catania restò a lungo un problema ed è anche il tema di un tardo scritto di Giuseppe Carnazza Amari, Realazione dei lavori della difesa del Comune di Catania sulle offerte […] condutture delle acque di

Valcorrente, Catania, 1875. 122 Nel giornale milanese “I Giardini”, cit., Roberto Sava suggerisce di irrigare le piante con acqua addizionata. I suoi lettori conoscevano bene di cosa si trattasse. La produzione dell’acqua gassata, mediante l’uso di acido cloridrico e di cloruro di sodio, in sifoni di metallo o vetro, cominciò a diffondersi nel 1750 (seltz). In pochi anni si ha l’estensione dell’utilizzo delle acque minerali artificiali in farmacologia e come bevande. Dopo il 1824 sorgono nelle principali città europee istituti balneo-sanitari con acque sintetiche simili a quelle di sorgenti naturali. Nunzio Greco, Acque e bagni termo.

minerali, cit., pp. 68-69. 123 Roberto Sava, Raccolta di pubblicati lavori, cit. 124 Al congresso degli scienziati italiani a Milano, nel 1844, Roberto Sava partecipa –

Page 48: Le Scienze, La Politica, La Città

48

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Anche lontano dalla Sicilia però, continua comunque a studiare da naturalista la sua terra. Al sesto congresso degli scienziati italiani (Milano, 1844), presenta una memoria sulla flora e sulla fauna dell’Etna, illustrata con spettacolari disegni di Giovan Battista Filippo Basile (padre di Ernesto) e tali figure, con la mano del grande artista, parlano il linguaggio dell’arte nella ricerca del pittoresco, dello scorcio allusivo, dei luoghi caratterizzati, in una rappresentazione fedele ed emozionata della natura etnea.126 Roberto Sava è autore di scritti in cui la botanica incontra l’antropologia. Le sue opere rappresentano il momento di fusione di due aspetti – piante e uomini – accomunati dal vivere nel medesimo territorio, inteso come elemento caratterizzante e identificativo sia per le piante sia per gli uomini. Il successo nella coltivazione delle piante – suggerisce Sava – dipende da un dialogo accorto con paesaggio e clima, habitat rispettivamente culturale ed ecologico. La lezione del Sava sarà in parte ripresa dall’Orto botanico universitario di Catania, sorto in un terreno arido e lavico e, quindi, fondamentalmente caratterizzante la natura etnea. Tornabene - come lui stesso testimonia in un suo scritto - come egli stesso ci informa – in qualità di rappresentante di due accademie di Napoli e, quindi, non come esponente della scienza catanese. 125 Un altro parente di Carlo Gemmellaro ha invece vita facile nel mondo scientifico catanese: ci riferiamo a Giuseppe Antonio Galvagni, nato a Nicolosi nel 1804. Altre notizie di carattere biografico si ritrovano in Agatino Prezzavento, Roberto Sava la vita e l’opera, Belpasso, a cura dell’A., 2009. 126 Le illustrazioni sono in Roberto Sava, [Elucubrazioni] Sulla Flora e fauna dell’Etna e sopra

l’origine delle spelonche nelle lave di questo vulcano, Milano, tip. Radaelli, 1844. L’architetto Giovan Battista Filippo Basile era stato disegnatore botanico di Vincenzo Tineo, il direttore dell’Orto botanico di Palermo, che spinge il suo allievo ad andare a Roma nel 1825, a specializzarsi in architettura. Mariella Azzarello Di Misa (a cura di), Il fondo antico della biblioteca dell’Orto Botanico di Palermo, Palermo, Soprintendenza per i Beni CC. e AA., 1988, p. 744. Basile poi non si occupò più di botanica e fece carriera come docente e progettista. Antonio Cottone, L’insegnamento dell’Architettura nella

facoltà di Ingegneria di Palermo, in Storia dell’ingegneria, Atti del I convegno nazionale. Napoli, 8-9 marzo 2006, a cura di Alfredo Buccaro, Giulio Fabbricatore,Lia Maria Papa, vol. I, Napoli, Cuzzolin, p. 282. Roberto Sava desidera per le sue pubblicazioni sempre illustratori di alto livello e nel 1852 si rivolge al giovane architetto Gaetano Auricchiella per alcuni disegni, tratti da osservazioni al microscopio. Sull’ampelopatia dominante nel territorio di Caltagirone, Palermo, stamperia e legatoria di G. Meli, 1852; quest’ultimo saggio sintetizza i risultati di una indagine svolta, su incarico della Commissione di agricoltura e pastorizia, da Roberto Sava, Emanuello Taranto e Vincenzo Ingo.

Page 49: Le Scienze, La Politica, La Città

49

LA VEGETAZIONE E L’ANALISI CHIMICA DELLE ACQUE

Faticò non poco per render friabile quella massa rocciosa che lui stesso aveva scelto come il miglior luogo in cui fondare l’Orto botanico universitario.127 127 Per ottenere terreno lavico fertile nell’area dell’Orto botanico, Tornabene fa fare degli scavi per spostare la roccia nera e tagliente e i grossi massi, sino ad individuare, a circa 5 palmi di profondità, lo strato che poteva trasformarsi in terreno di coltivazione per piante erbacee, arbustive ed alboree (Francesco Tornabene, Hortus Botanicus, cit., p. 7). I lavori di dissodamento sono dettagliatamente descritti in ASU, FC, b. 1057. Quello di Catania – scrive Tornabene nel 1847 – sarà il solo orto botanico con vegetazione indigena ed esotica “su di un campo flegreo” e la Deputazione dell’Università si impegna affinché “su d’un suolo vulcanico, un tempio venisse eretto alla Dea dei fiori” (Francesco Tornabene, Quadro storico della botanica in Sicilia, Catania, Tip. del reale ospizio di beneficenza, 1847, p. 57). Tornabene, al pari di altri naturalisti catanesi crede che l’agricoltura siciliana fosse debitrice della natura lavica dei terreni, ed aveva fatto delle ricerche geognostiche e pubblicato Come si rendono coltivabili le lave dell’Etna, Napoli, s.n., 1842. Vedi inoltre Agatino Longo, Importanza dello studio de’ terreni, specialmente del vulcanico, all’incremento dell’agricoltura

siciliana. Memoria agronomica, in “Giornale del Gabinetto letterario dell’Accademia Gioenia”, n.s., vol. I, fasc. 3, pp. 193-212.

Page 50: Le Scienze, La Politica, La Città

50

Il “Genius Loci” e la “Patria Vegetale”

La percezione del necessario rapporto tra piante, uomo e territorio, l’integrazione tra i fatti fisici e gli antropici, tra paesaggio e storia, è un concetto più volte affiorante negli scritti della prima metà dell’Ottocento, cioè del periodo in cui a Catania si andava sempre più affermando la necessità di creare in città un Orto botanico.128 Le pagine precedenti hanno già dimostrato che, per alcuni naturalisti catanesi, le piante autoctone hanno una forte componente identitaria. Facile spiegare il motivo: essi ritengono che per le particolari caratteristiche del suolo, dell’acqua, del clima, le piante che vegetano nella zona etnea sono del tutto diverse (ovviamente sono migliori!) di quelle che vegetano altrove.129 Se la premessa è questa, è facile intuire le conseguenze: la superiorità delle piante autoctone ha delle ripercussioni sull’uomo; gli abitanti che vivono nelle plaghe etnee, poiché si nutrono dei frutti di quella terra, sono particolari rispetto agli altri.130 128 Anche nel Napoletano viene studiato il nesso tra territorio, piante e storia. Il botanico Michele Tenore – che pubblica Osservazioni sulla Flora Virgiliana, Napoli, Tip. Zambraja, 1826 – indaga la vegetazione pompeiana ed è il primo a farlo. 129 Il rapporto tra la vegetazione e la natura del suolo è studiato da Carlo Gemmellaro, Sulla causa

geognostica della fertilità di Sicilia, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. 14, 1837. 130 “Un buon numero di persone intelligenti vive in Val di Noto, vicino alle sorgenti del fiume Alfeo”. Così si legge su “Antologia Romana”, n. VIII, agosto 1793, p. 58. L’anonimo autore dell’articolo trae la citazione presumibilmente dal medico Giuseppe La Pira (di cui parleremo anche oltre). Il La Pira era nato a Vizzini, una cittadina in cui “non arrivano però libri e non c’è scambio tra Sicilia ed Europa”. Una curiosità: la straordinaria intelligenza dei bambini siciliani, specie di quelli al di sotto di tre anni di età (quando non si è ancora concluso il processo di ossificazione della parte frontale del cranio) impressiona in epoca postunitaria il medico laziale Carlo Maggiorani, che fa indagini di tipo antropometrico e statistico sulla popolazione residente in Sicilia, messa a confronto con gli ebrei.

Page 51: Le Scienze, La Politica, La Città

51

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

La pag. 51 non fa parte dell'anteprima del libro

Page 52: Le Scienze, La Politica, La Città

52

IL “GENIUS LOCI” E LA “PATRIA VEGETALE”

Ad esempio, nel 1830, afferma che è dovuto allo “splendido genio” dei catanesi la costruzione di grandiosi palazzi cittadini.136 Anche attraverso tali attestazioni, ben presto, “Genio di Catania” diventa una espressione che risuona innumerevoli volte per indicare l’indole degli abitanti etnei, la loro intraprendenza nei commerci, nelle manifatture, nelle arti, nella musica (Vincenzo Bellini impersona paradigmaticamente il “Genio di Catania”).137 I naturalisti, con il vulcanologo Carlo Gemmellaro in testa, sono dunque portavoce di una particolare forma di localismo espresso dal concetto di “Genius loci”. L’attenzione conoscitiva per il locale, l’interesse per il passato, per la storia antica – lo ribadiamo – è onnipresente negli scrittori catanesi dell’epoca e contribuisce alla formazione di una particolare sensibilità nei riguardi della natura. Un richiamo al localismo, alla “patria vegetale”, lo fa Salvatore Portal quando dedica una monografia al Laurus nobilis, il comune alloro che, ritiene, sia una pianta indigena, cioè nativa, della Sicilia138. Il docente di botanica Ferdinando Cosentini, da parte sua, considera erroneamente l’Acrostichum catanense una pianta esclusiva della Sicilia, ma è immediatamente smentito da Antonio Bertoloni.139 Un altro esempio di pianta considerata inesattamente autoctona è il “Lino siculo”, che nel 1835 è presentato come 135 “Il genio dei Catanesi […] per le opere grandiose è innato […] in essi”. Così scrive Carlo Gemmellaro, il primo maggio 1841, nel Progetto di riforma all’appartamento nobile del Palazzo

Senatorio di Catania presentato al cav. d. Antonino Alessi patrizio e capo dell’eccellentissimo senato

della stessa città, Catania, presso i torchi de’ Regj Studj, 1841, p. 4. Gemmellaro parla di genius loci

anche quando pensa alle civiltà mediterranee. Considera i Ciclopi, i primi abitatori della Sicilia, portatori di civiltà superiore, non bruti. Val la pena ricordare che la tradizione colloca i Ciclopi nella parte orientale della Sicilia, in connessione con il noto episodio dell’Odissea con Polifemo. 136 Saggio sopra il clima di Catania, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. VI, 1830 (p. 4 dell’estratto) in Russo Antonino, Colera e condizioni igieniche di Catania nel primo Ottocento. L’epidemia del 1837. Tesi di laurea. Rel. Alfio Signorelli, a.a. 1982-83, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli studi di Catania, p. 111. 137 Il compositore Giovanni Pacini in una lettera chiama “Genio di Catania” il più noto musicista, suo concittadino. Vedi Julian Budden, Le opere di Verdi, vol. II, Torino, EDT Musica, 1986, p. 20. Il culto per il compositore trova espressione sul primo numero de “Il Trovatore” di Catania (del primo agosto 1839) che porta un ritratto di Bellini inciso da M. Sciuto. 138 “Sull’Alloro”, in “Giornale di scienze letteratura ed arti per la Sicilia”, Palermo, n. 287, 1824, tomo 8, fasc. 23, pp. 197-201. 139 Ferdinando Cosentini, avvalendosi del microscopio, scopre una felce indigena, che chiama Acrosticum catanense, e pubblica la Memoria sull’Acrostichum catanese, in “Atti dell’Accademia Gioenia”, tomo 2, p. 207. Immediatamente la scoperta è smentita da Antonio Bertoloni,

Page 53: Le Scienze, La Politica, La Città

53

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

“una nuova specie non ancora descritta dai botanici”. La pretesa “scoperta” del “Lino siculo” si deve a Marcello Garzia, un naturalista dell’acese, che nel 1805 era stato tra i concorrenti alla cattedra di Botanica nell’ateneo catanese.140 L’esistenza del “Lino siculo” fa un certo rumore tra i membri della Società economica, perché si suppone che le manifatture tessili avrebbero potuto avvantaggiarsi dall’uso della nuova fibra vegetale.141 I botanici più competenti sono però perplessi. “Il lino siculo altro non è che l’Angustifolium (Linum bienne) studiato dal botanico inglese Smith”.142 Così tuona Filippo Parlatore arpionando verbalmente Garzia e, con lui, le pretese scoperte di piante indigene continuamente sbandierate da alcuni botanici siciliani.143 Nonostante tali critiche, molti botanici siciliani continuarono a lungo ad individuare alcune piante come “specie bandiera”, costitutive della “patria vegetale” siciliana.144 (responsabile dell’Orto botanico dell’ateneo di Bologna), essendo l’Acrosticum una pianta ampiamente nota ai botanici perché presente in Spagna, nelle Baleari, nelle Isole Canarie. Antonio Bertoloni, Il

rimanente del discorso sopra la storia e i progressi della botanica insulare italiana, in “Annali di storia naturale”, tomo I, 1829, p. 254. 140 La scoperta è illustrata alla Società economica del Valle di Catania, nella adunanza del 28 settembre 1835, da Marcello Garzia, Memoria su di una nuova specie di lino non ancora descritta, in “Giornale del R. Istituto d’Incoraggiamento per la Sicilia”, anno 1836, n. 1, pp. 44 e ss. Francesco Tornabene è scettico, ma considera Garzia degno di stima e di lode perché pur “mancando di libri recenti […] ha fatto tante buone osservazioni”. (Francesco Tornabene, Quadro storico della botanica, cit., p. 49n). I documenti sul concorso al quale partecipa Garzia nel 1805 sono in ASU, FC, b. 276. 141 Garzia suggerisce anche l’utilizzo della diffusissima ed infestante ortica comune, l’Urtica dioica, dalla quale, con opportuni trattamenti, gli artigiani di Angiers ricavano un filo per la tessitura. Vedi art. apparso nel “Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia” (vol. 77, a. XX, 1842, pp. 162-172, che suggerisce anche l’uso medico e alimentare dell’ortica). È curioso ricordare che dal 2006 sono cominciate le coltivazioni controllate di ortica in un campo sperimentale della Toscana, dove viene osservata e studiata per ricavarne dagli steli un filo per la tessitura (tipo lino o canapa). http://www.lammatest.rete.toscana.it/lammatest/ hbin/sperimortica.php. 142 Sir James Edward Smith (1758 - marzo 1828) pubblica la Flora greca di John Sibthorp. Quest’ultimo, professore di botanica all’università di Oxford, visita la Sicilia nel 1785 e 1795. Antonio Bertoloni, Il rimanente del discorso..., cit., pp. 239-255. 143 Il botanico palermitano è certo di quanto dice: Giovanni Gussone, suo maestro, è stato a Londra ed ha visto l’erbario di Smith. Filippo Parlatore, Sopra talune pretese scoperte di vegetabili piante

indigene, osservazioni, parte I, in “Giornale di scienze, lettere ed arti per la Sicilia”, vol. 64 (aprile-giugno), anno 17 (1839), pp. 165-171. Già nel 1837 Filippo Parlatore aveva criticato le esagerazioni di certi botanici siciliani in un articolo apparso nel “Giornale medico per la Sicilia”. 144 Un elenco di pubblicazioni relative a nuovi tipi di piante scoperte in Sicila e considerate

Page 54: Le Scienze, La Politica, La Città

54

IL “GENIUS LOCI” E LA “PATRIA VEGETALE”

La “patria vegetale”, la pretesa originarietà isolana di alcune piante, fanno da sottofondo anche all’opera di Francesco Tornabene, il cattedratico che più di ogni altro si impegna alla realizzazione dell’Orto botanico dell’università. Il passato, le specie vegetali fossili, le piante ormai estinte, vengono dettagliatamente da lui indagate e, nel 1856, dà alle stampe la Tavola comparativa delle piante siciliane trovate dagli antichi e dai moderni

botanici.145 Tornabene è un caposcuola e, con i suoi studi, si innesta precocemente in un territorio di ricerca (la Botanica fossile) che si svilupperà, in tempi a noi più recenti, e sarà proprio della Paleobotanica o Archeobotanica.146 Questa disciplina oggi si pone il problema: con quale certezza si può accreditare una pianta come nativa di un tal luogo? Sulla base di quali elementi, parlando di specie vegetali diffusissime in tutta l’area mediterranea, si può dire che una tal pianta è siciliana? Cosentini, Portal, Garzia e Tornabene scrivono in un’epoca in cui le conoscenze sulla botanica fossile sono ancora agli albori. Anche oggi, in realtà, esistono delle incertezze. È difatti difficile, per il profano, distinguere specie esotiche tra le piante che ci sono più familiari. esclusive dell’isola è in Alessio Narbone, Bibliografia sicola sistematica, vol. 3, Palermo, F.lli Pedone Lauriel, 1854, sop. pagg. 126-130. 145 La Tavola compare nel 1856, in appendice al saggio Elogioÿÿccadÿÿico del cav. Vincenzo Tineo, Catania, Tip. del reale ospizio di beneficenza, 1856. Francesco Tornabene torna più volte sull’argomento. Alla VII adunanza degli scienziati, a Napoli, nel 1845, presenta il Saggio di geografia

botanica per la Sicilia (Napoli, Stab. e cartiera del Fibreno, 1846) e relaziona Intorno ad alcune

impronte di foglie e fusti vegetali che trovansi nella formazione dell’argilla presso Catania, snt. Tornabene, quale socio della Gioenia, nella tornata del 22 giugno 1846, legge Notizia di una carta

topografico – botanica per la Sicilia, Catania, dai tipi dell’Acc. Gioenia presso F. Sciuto, 1847, estr. da: “Atti dell’Accademia Gioenia”, vol. 3, serie 2. Da vecchio, Tornabene conclude la sua carriera accademica inaugurando il 16 novembre l’anno accademico 1881-1882 e pronunziando una prolusione su Origine e diffusione dei vegetali sul globo, Catania, C. Galatola, 1882, ripresa anche alle pp- 3-63 dell’Annuario edito nel 1882. 146 Gli interessi storico-bibliografici di Francesco Tornabene, monaco cassinese e bibliotecario dei monastero dei Benedettini, sono ravvisabili in molteplici opere, ma per brevità si segnalano solamente le Ricerche bibliografiche sulle opere botaniche del secolo decimoquinto, Catania, dai tipi di Reggio, 1840. Certamente egli aveva studiato sui testi di medicina botanica descritti da Rita Carbonaro, Erbari

e manoscritti di materia medica nel pianeta dei cassinesi, in Medici e medicina a Catania, Catania, Maimone, 2001, pp. 62 e ss. Una curiosità: Tornabene, che pure avrebbe dovuto conoscere approfonditamente il latino, incorre in moltissimi errori di concordanza quando redige le epigrafi che, incise, andavano poi collocate nei due grandi pilastri d’entrata, all’ingresso nell’Orto botanico (le tre incisioni: celebrano il sovrano, i ministri Giovanni Cassisi e Francesco Statella, i gran cancellieri dell’università). Gli errori grammaticali commessi da Tornabene sollevano la riprovazione della Commissione suprema di Pubblica Istruzione e della dotta “Commissione per le Iscrizioni Lapidarie” di Palermo (documentazione del gennaio e del luglio 1859, ASU, FC, b. 974).

Page 55: Le Scienze, La Politica, La Città

55

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ

Il paesaggio mediterraneo è ricco di piante naturalizzate in tempi antichi (dai Fenici, dai Greci, dai Romani). L’interferenza antropica, cioè l’azione dell’uomo, diretta o indiretta, rende quasi impossibile una netta definizione di autoctonia e alloctonia.147 147 Chiarelli, autore di un trattato sulle specie e varietà di piante esclusive della Sicilia, sostiene che Linneo “accorda come particolari della Sicilia” 27 specie, che passa ad enumerare: Convolvulus siculus

(è il Vilucchio siciliano, che però per la verità si trova anche nell’isola dell’Elba e nell’arcipelago toscano), Athamanta sicula (in dialetto: Spaccapetri; ampiamente presente nell’Italia centromeridionale), Ferula ferulago (Ferulago campestris), Sium siculum, Bubon rigidus, Scandix

nodosa, Statice monopetala, Allium sativum, Asphodelus luteus, Cucubalus fabarius, Nepta hirsuta, Origanum onites, Prasium minus, Hesperis dentata, Ononis ornithopodioides, Lupinus luteus, Lathyrus

siculus, Lotus tetragonoblus, Melilotus siculus o Trifolium messanense, Crespi bursifolia, Hyoseris

scabra, Seriola urens, Centaurea sicula, Pistacia trifolia, Sinapis pubescens, Althaea ludwigii, Ambrosina bassii. Francesco Paolo Chiarelli, Discorso che serve di preliminare alla storia naturale di

Sicilia, Palermo, Solli, 1789, p. 24. Il Discorso viene anche pubblicato in “Nuova Raccolta di Opuscoli di Autori Siciliani”, vol. II, 1789, pp. 101-208. Chiarelli legge il suo discorso nell’Accademia del Buon Gusto di Palermo.

Page 56: Le Scienze, La Politica, La Città

56

LE SCIENZE, LA POLITICA, LA CITTÀ © 2010 Giuseppe Maimone Editore Via Antonino di Sangiuliano 278, Catania www.maimone.it Tutti i diritti riservati Carta: Aralda Avorio delle Cartiere Fedrigoni Carattere del testo: Janson Text c. 10/13 Finito di stampare nel mese di luglio 2010 presso Officine Grafiche Riunite, Cosentino & Pezzino, Palermo per conto di Giuseppe Maimone Editore, Catania ISBN 978-88-7751-318-2 CIP- Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” Impaginazione: Mariangela Finocchiaro Simona Maimone


Recommended