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LE TERAPIE DEL FUTURO L'immunoterapia del...

Date post: 15-Feb-2019
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LE TERAPIE DEL FUTURO Le nuove conoscenze sul sistema immunitario aprono la via a metodi per attaccare il cancro sfruttando le difese dell'organismo L'immunoterapia del cancro di Lloyd J. Old N el corso dell'ultimo secolo la prospettiva che le straordinarie capacità del sistema immunita- rio di combattere le malattie potessero venire utilizzate per distruggere i tumo- ri ha suscitato di volta in volta entusia- smo e scoraggiamento. Oggi i dubbi sono svaniti, e innumerevoli ricercatori sono al lavoro per trasformare questa possibilità in nuove ed efficaci terapie. Dati clinici a sostegno dell'idea che il sistema immunitario potesse limitare lo sviluppo del cancro emersero nel secolo scorso, quando si notò che talvolta i tu- mori regredivano quando un paziente contraeva un'infezione batterica. Wil- liam B. Coley, chirurgo al Memorial Ho- spital di New York dal 1892 al 1936, de- dicò tutta la propria esistenza alla messa a punto di terapie basate su questa osser- vazione. Egli tentò deliberatamente di in- fettare pazienti affetti da cancro con bat- teri e in seguito usò un vaccino prodotto con batteri uccisi per sollecitare una ri- sposta contro i tumori. Questi trattamen- ti portarono a una remissione dei tumori in alcuni individui, ma non vennero am- piamente accettati, data l'imprevedibilità degli esiti. All'inizio di questo secolo altri ricer- catori fecero ulteriori tentativi per met- tere a punto terapie basate sul sistema immunitario, ma nessuno ottenne risul- tati convincenti. Tuttavia il legame fra immunità e cancro continuò a essere te- nuto ben presente da molti. Negli anni sessanta e settanta, per esempio, fu am- piamente accettato il modello dell'«im- munosorveglianza» proposto da Lewis Thomas della New York University e da MacFarlane Burnett dello Hall Insti- tute di Melbourne in Australia. Secon- do questa teoria, il sistema immunitario cerca costantemente e distrugge le cel- lule neoplastiche che si formano; i tu- mori insorgerebbero dunque qualora questa attività di pattugliamento fallis- se. Negli anni successivi, tuttavia, una massa crescente di dati indicò che il si- stema immunitario attacca solo i tumori causati da infezioni virali; dato che questi tipi di cancro sono una minoran- za, la teoria sembrava avere basi fragili. Di recente, però, nuove rivoluziona- rie scoperte hanno dato luogo a un rin- novato interesse per l'immunoterapia del cancro. In particolare, sono state isolate le cellule e le sostanze che per- mettono al sistema immunitario di di- fendere l'organismo dagli attacchi e di eliminare i tessuti infettati e danneggia- ti. Studiando queste componenti, gli immunologi hanno costruito un quadro dettagliato del funzionamento del siste- ma immunitario nell'organismo sano, e gli oncologi hanno raccolto conoscenze preziose sui meccanismi e sulle mole- cole che forse un giorno consentiranno di tenere sotto controllo il cancro. O ggi descriveremmo l'approccio di Coley alla terapia antitumorale co- me non specifico: esso cercava di raffor- zare l'attività complessiva del sistema immunitario anziché attivare selettiva- mente gli elementi più adatti a combatte- re i tumori. Nello scorso decennio, gli scienziati hanno sviluppato tutta una se- rie di altre immunoterapie non specifi- che. La tattica che sta alla base di tutti questi interventi è stata paragonata al classico scossone che si dà a un apparec- chio televisivo per farlo funzionare. Non è noto esattamente quale componente, o combinazione di componenti, uccida le cellule tumorali, ma comunque questa tattica ha fatto segnare concreti successi. Per esempio, un tipo di cancro che si forma sulla parete interna della vescica - il carcinoma superficiale della vescica - è trattabile con un vaccino utilizzato per combattere la tubercolosi, il bacillo di Calmette-Guérin o BCG. I microrgani- smi contenuti nel BCG non provocano patologie perché sollecitano un'energica risposta immunitaria. Il carcinoma super- ficiale della vescica tipicamente recidiva anche dopo l'asportazione chirurgica e, in fase avanzata, invade la parete della vescica e metastatizza. Ma l'introduzio- ne di BCG nella vescica per mezzo di un catetere induce una risposta infiammato- ria cronica, il che implica un'attivazione prolungata delle cellule immunitarie che combattono l'invasione. Non si conosce nei dettagli come agisca il meccanismo infiammatorio, ma il risultato finale è che le cellule immunitarie e le sostanze da esse secrete uccidono le cellule neo- plastiche preesistenti e in via di sviluppo nella parete della vescica. Di conseguen- za, i pazienti che ricevono BCG come te- rapia post-operatoria di solito presentano un rischio molto inferiore di recidive. Sebbene l'esempio di questo vaccino illustri le potenzialità delle immunotera- pie non specifiche, esso agisce local- mente e provoca infiammazione solo nella vescica. La maggior parte dei tu- mori ha esito mortale perché si diffonde e dà origine a metastasi in siti lontani; per evitare la diffusione neoplastica, le immunoterapie devono quindi essere in grado di agire contro i tumori incipienti. A questo scopo, negli anni settanta e ot- tanta molti ricercatori presero in consi- derazione una classe di molecole che l'organismo produce in risposta a infe- zioni batteriche e virali: queste sostanze, le citochine, aiutano a orchestrare la ri- sposta immunitaria. Le citochine com- prendono proteine come gli interferoni, le interleuchine e il fattore di necrosi tu- morale (TNF). All'inizio vi erano note- voli speranze che la terapia basata su questi composti potesse fornire risulta- ti eccellenti, ma ampie sperimentazioni cliniche di questo approccio non specifi- co hanno smorzato gli entusiasmi. Q ueste sostanze potrebbero rivelarsi più utili in combinazione fra loro o con altri trattamenti; nel frattempo, tutta- via, gli scienziati hanno cercato modi più mirati per combattere le cellule tumorali. Un metodo immunoterapeutico deve es- sere in grado di individuare le cellule neoplastiche e di distinguerle da quelle normali. Un mezzo che permette al siste- ma immunitario di riconoscere le diffe- renze fra cellule è fornito dagli antigeni, molecole che sono esposte sulla superfi- cie cellulare. Da tempo si sa che le cellu- le neoplastiche a volte presentano mole- cole che le individuano come anomale; se si riuscisse a identificare questi antige- ni tumorali specifici, si potrebbero presu- mibilmente trovare metodi per renderli più visibili al sistema immunitario. In al- tri termini, gli antigeni potrebbero essere trasformati in bersagli di un attacco im- munitario, allo stesso modo in cui gli an- tigeni batterici e virali avvertono l'orga- nismo della presenza di agenti patogeni. La scoperta degli anticorpi alla fine del XIX secolo fornì i mezzi per cercare gli antigeni tumorali e in seguito aprì la strada ad ampi studi sugli anticorpi stes- si come potenziali immunoterapie per il cancro. Componenti fondamentali del sistema immunitario, gli anticorpi circo- lano nel sangue e si legano agli antige- ni estranei; così facendo, essi contrasse- gnano gli invasori, in modo che possano venire distrutti da speciali cellule spazzi- ne, i macrofagi, da altre cellule e da par- ticolari componenti proteiche del san- gue, denominate collettivamente sistema complemento. La capacità degli anticorpi di ricono- scere minime differenze fra molecole è ciò che li rende estremamente preziosi nella ricerca degli antigeni tumorali. Nel secolo scorso molti ricercatori inocula- rono cellule neoplastiche umane in ca- valli, pecore, conigli, topi e ratti e ana- lizzarono attentamente gli anticorpi che gli animali producevano come risposta. Se il sistema immunitario degli animali avesse reagito alle cellule tumorali estra- nee producendo anticorpi che non inte- ragivano con le cellule normali, ciò avrebbe indicato la presenza di antigeni Un campione di tessuto di carcinoma del colon è stato colorato utilizzando due anticorpi monoclonali, ciascuno dei quali si lega a proteine distinte esposte sulla superficie di differenti popolazioni cellulari. In questo caso il colore verde indica le cellule neoplastiche e quello arancione rivela il tessuto connettivo (stroma). Poiché gli anticorpi riconosco- no cellule specifiche, possono essere uti- lizzati per cercare e distruggere seletti- vamente le cellule neoplastiche nonché i tessuti che le sostengono e le alimentano. che potevano essere identificati e usati come bersagli per terapie basate su anti- corpi. Molti studiosi tentarono questo approccio e sostennero di aver identifi- cato antigeni specifici dei tumori, ma purtroppo nessuna delle loro afferma- zioni superò una verifica più attenta. L ricerca degli antigeni tumorali di- venne più semplice nel 1975, gra- zie a una scoperta compiuta da César Milstein e Georges J. F. Kòhler dell'U- niversità di Cambridge. Essi dimostra- rono che si potevano far sopravvivere a tempo indefinito le cellule che pro- ducono anticorpi se le si fondeva con cellule tumorali. Questa tecnica, che valse loro il premio Nobel, permise di ottenere quantità illimitate di anticorpi identici, o monoclonali, perché ogni data cellula produttrice di anticorpi sintetizza solo una singola specie di 98 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 99
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LE TERAPIE DEL FUTURO

Le nuove conoscenze sul sistema immunitarioaprono la via a metodi per attaccareil cancro sfruttando le difese dell'organismo

L'immunoterapiadel cancro

di Lloyd J. Old

N

el corso dell'ultimo secolo laprospettiva che le straordinariecapacità del sistema immunita-

rio di combattere le malattie potesserovenire utilizzate per distruggere i tumo-ri ha suscitato di volta in volta entusia-smo e scoraggiamento. Oggi i dubbisono svaniti, e innumerevoli ricercatorisono al lavoro per trasformare questapossibilità in nuove ed efficaci terapie.

Dati clinici a sostegno dell'idea che ilsistema immunitario potesse limitare losviluppo del cancro emersero nel secoloscorso, quando si notò che talvolta i tu-mori regredivano quando un pazientecontraeva un'infezione batterica. Wil-liam B. Coley, chirurgo al Memorial Ho-spital di New York dal 1892 al 1936, de-dicò tutta la propria esistenza alla messaa punto di terapie basate su questa osser-vazione. Egli tentò deliberatamente di in-fettare pazienti affetti da cancro con bat-teri e in seguito usò un vaccino prodottocon batteri uccisi per sollecitare una ri-sposta contro i tumori. Questi trattamen-ti portarono a una remissione dei tumoriin alcuni individui, ma non vennero am-piamente accettati, data l'imprevedibilitàdegli esiti.

All'inizio di questo secolo altri ricer-catori fecero ulteriori tentativi per met-tere a punto terapie basate sul sistemaimmunitario, ma nessuno ottenne risul-tati convincenti. Tuttavia il legame fraimmunità e cancro continuò a essere te-nuto ben presente da molti. Negli annisessanta e settanta, per esempio, fu am-piamente accettato il modello dell'«im-munosorveglianza» proposto da LewisThomas della New York University eda MacFarlane Burnett dello Hall Insti-

tute di Melbourne in Australia. Secon-do questa teoria, il sistema immunitariocerca costantemente e distrugge le cel-lule neoplastiche che si formano; i tu-mori insorgerebbero dunque qualoraquesta attività di pattugliamento fallis-se. Negli anni successivi, tuttavia, unamassa crescente di dati indicò che il si-stema immunitario attacca solo i tumoricausati da infezioni virali; dato chequesti tipi di cancro sono una minoran-za, la teoria sembrava avere basi fragili.

Di recente, però, nuove rivoluziona-rie scoperte hanno dato luogo a un rin-novato interesse per l'immunoterapiadel cancro. In particolare, sono stateisolate le cellule e le sostanze che per-mettono al sistema immunitario di di-fendere l'organismo dagli attacchi e dieliminare i tessuti infettati e danneggia-ti. Studiando queste componenti, gliimmunologi hanno costruito un quadrodettagliato del funzionamento del siste-ma immunitario nell'organismo sano, egli oncologi hanno raccolto conoscenzepreziose sui meccanismi e sulle mole-cole che forse un giorno consentirannodi tenere sotto controllo il cancro.

Oggi descriveremmo l'approccio diColey alla terapia antitumorale co-

me non specifico: esso cercava di raffor-zare l'attività complessiva del sistemaimmunitario anziché attivare selettiva-mente gli elementi più adatti a combatte-re i tumori. Nello scorso decennio, gliscienziati hanno sviluppato tutta una se-rie di altre immunoterapie non specifi-che. La tattica che sta alla base di tuttiquesti interventi è stata paragonata alclassico scossone che si dà a un apparec-

chio televisivo per farlo funzionare. Nonè noto esattamente quale componente, ocombinazione di componenti, uccida lecellule tumorali, ma comunque questatattica ha fatto segnare concreti successi.

Per esempio, un tipo di cancro che siforma sulla parete interna della vescica -il carcinoma superficiale della vescica - ètrattabile con un vaccino utilizzato percombattere la tubercolosi, il bacillo diCalmette-Guérin o BCG. I microrgani-smi contenuti nel BCG non provocanopatologie perché sollecitano un'energicarisposta immunitaria. Il carcinoma super-ficiale della vescica tipicamente recidivaanche dopo l'asportazione chirurgica e,in fase avanzata, invade la parete dellavescica e metastatizza. Ma l'introduzio-ne di BCG nella vescica per mezzo di uncatetere induce una risposta infiammato-ria cronica, il che implica un'attivazioneprolungata delle cellule immunitarie checombattono l'invasione. Non si conoscenei dettagli come agisca il meccanismoinfiammatorio, ma il risultato finale èche le cellule immunitarie e le sostanzeda esse secrete uccidono le cellule neo-plastiche preesistenti e in via di svilupponella parete della vescica. Di conseguen-za, i pazienti che ricevono BCG come te-rapia post-operatoria di solito presentanoun rischio molto inferiore di recidive.

Sebbene l'esempio di questo vaccinoillustri le potenzialità delle immunotera-pie non specifiche, esso agisce local-mente e provoca infiammazione solonella vescica. La maggior parte dei tu-

mori ha esito mortale perché si diffondee dà origine a metastasi in siti lontani;per evitare la diffusione neoplastica, leimmunoterapie devono quindi essere ingrado di agire contro i tumori incipienti.A questo scopo, negli anni settanta e ot-tanta molti ricercatori presero in consi-derazione una classe di molecole chel'organismo produce in risposta a infe-zioni batteriche e virali: queste sostanze,le citochine, aiutano a orchestrare la ri-sposta immunitaria. Le citochine com-prendono proteine come gli interferoni,le interleuchine e il fattore di necrosi tu-morale (TNF). All'inizio vi erano note-voli speranze che la terapia basata suquesti composti potesse fornire risulta-ti eccellenti, ma ampie sperimentazionicliniche di questo approccio non specifi-co hanno smorzato gli entusiasmi.

Queste sostanze potrebbero rivelarsi

più utili in combinazione fra loro ocon altri trattamenti; nel frattempo, tutta-via, gli scienziati hanno cercato modi piùmirati per combattere le cellule tumorali.Un metodo immunoterapeutico deve es-sere in grado di individuare le celluleneoplastiche e di distinguerle da quellenormali. Un mezzo che permette al siste-ma immunitario di riconoscere le diffe-renze fra cellule è fornito dagli antigeni,molecole che sono esposte sulla superfi-cie cellulare. Da tempo si sa che le cellu-le neoplastiche a volte presentano mole-cole che le individuano come anomale;se si riuscisse a identificare questi antige-

ni tumorali specifici, si potrebbero presu-mibilmente trovare metodi per renderlipiù visibili al sistema immunitario. In al-tri termini, gli antigeni potrebbero esseretrasformati in bersagli di un attacco im-munitario, allo stesso modo in cui gli an-tigeni batterici e virali avvertono l'orga-nismo della presenza di agenti patogeni.

La scoperta degli anticorpi alla finedel XIX secolo fornì i mezzi per cercaregli antigeni tumorali e in seguito aprì lastrada ad ampi studi sugli anticorpi stes-si come potenziali immunoterapie peril cancro. Componenti fondamentali delsistema immunitario, gli anticorpi circo-lano nel sangue e si legano agli antige-ni estranei; così facendo, essi contrasse-gnano gli invasori, in modo che possanovenire distrutti da speciali cellule spazzi-ne, i macrofagi, da altre cellule e da par-ticolari componenti proteiche del san-gue, denominate collettivamente sistemacomplemento.

La capacità degli anticorpi di ricono-scere minime differenze fra molecole èciò che li rende estremamente preziosinella ricerca degli antigeni tumorali. Nelsecolo scorso molti ricercatori inocula-rono cellule neoplastiche umane in ca-valli, pecore, conigli, topi e ratti e ana-lizzarono attentamente gli anticorpi chegli animali producevano come risposta.Se il sistema immunitario degli animaliavesse reagito alle cellule tumorali estra-nee producendo anticorpi che non inte-ragivano con le cellule normali, ciòavrebbe indicato la presenza di antigeni

Un campione di tessuto di carcinomadel colon è stato colorato utilizzandodue anticorpi monoclonali, ciascuno deiquali si lega a proteine distinte espostesulla superficie di differenti popolazionicellulari. In questo caso il colore verdeindica le cellule neoplastiche e quelloarancione rivela il tessuto connettivo(stroma). Poiché gli anticorpi riconosco-no cellule specifiche, possono essere uti-lizzati per cercare e distruggere seletti-vamente le cellule neoplastiche nonché itessuti che le sostengono e le alimentano.

che potevano essere identificati e usaticome bersagli per terapie basate su anti-corpi. Molti studiosi tentarono questoapproccio e sostennero di aver identifi-cato antigeni specifici dei tumori, mapurtroppo nessuna delle loro afferma-zioni superò una verifica più attenta.

Lricerca degli antigeni tumorali di-venne più semplice nel 1975, gra-

zie a una scoperta compiuta da CésarMilstein e Georges J. F. Kòhler dell'U-niversità di Cambridge. Essi dimostra-rono che si potevano far sopravviverea tempo indefinito le cellule che pro-ducono anticorpi se le si fondeva concellule tumorali. Questa tecnica, chevalse loro il premio Nobel, permise diottenere quantità illimitate di anticorpiidentici, o monoclonali, perché ognidata cellula produttrice di anticorpisintetizza solo una singola specie di

98 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 99

IMMUNOTERAPIANON SPECIFICA

IMMUNOTERAPIAADOTTIVA

IMMUNIZZAZIONE PASSIVA IMMUNOTERAPIA ATTIVA(TERAPIE BASATE SU ANTICORPI) (TERAPIE BASATE SU VACCINI)

Tappe fondamentali nella storia dell'immunoterapia dei tumori

INIZIA LA SPERIMENTAZIONECLINICA CON LINFOCITI

PRELEVATI DAI PAZIENTI

PRIMA DIMOSTRAZIONEMEL TOPO DELLA POSSIBILITÀDI TRASFERIRE L'IMMUNITÀANTITUMORALE TRAMITE

I LINFOCITI T

SCOPERTAE SPERIMENTAZIONE

DELLE CITOCHINE:INTERFERONI, TNF, IL-2,

IL-12, GM-CSF

INIZIA LA SPERIMENTAZIONECLINICA DI ANTICORPI

«UMANIZZATI»

INIZIA LA SPERIMENTAZIONECLINICA DI ANTICORPI

MONOCLONALI DI TOPO

ENZI NEDELLA TECNOLOGIAPER LA PRODUZIONE

DI ANTICORPI MONOCLONALIDI TOPO

INIZIA LA SPERIMENTAZIONE'CLINICA DI VACCINI A BASE

DI PEPTIDI TUMORALI

CLONAZIONE DI ANTIGEIT117DI TUMORI UMANI

RICONOSCIUTIDAI LINFOCITI T

INDIVIDUAZIONE NELL'UOMODI ANTICORPI E LINFOCITI T

CON FUNZIONEANTITU MORALE

—1111

INIZIA LA SPERIMENTAZIONEDEL BCG NEGLI ANIMALI

E NELL'UOMO

L'ATTIVITÀ ANTITUMORALEDEI PRODOTTI BATTERICI

È STUDIATA IN ANIMALI

RICONOSCIMENTODEL RUOLO DEI LINFOCITI T

NEL'IMMUNOLOGIADEL CANCRO

STUDI SUGLI ANTICORPINELLA DIAGNOSI E

NELLA TERAPIA DEL CANCRO

PRIMA SOMMINISTRAZIONEDELLE TOSSINE DI COLEY

INIZIA LA RICERCADI ANTICORPI

DIRETTI CONTRO ANTIGENISPECIFICI DEL CANCRO

— OGGI

—1880

1---- IDENTIFICAZIONEDI ANTIGENI SPECIFICI I

IN TUMORI DI TOPO j

LE TERAPIE DEL FUTURO

Le metastasi di carcinoma del colon nel-l'addome e in altri siti appaiono scure inquesta immagine radiografica perchéhanno assorbito e concentrato l'anticor-po monoclonale A33 marcato con un iso-topo radioattivo. Anche le cellule nor-mali assorbono A33, ma non lo tratten-gono. (La tiroide assorbe l'isotopo ra-dioattivo liberato.) Questo accumulo se-lettivo di anticorpi monoclonali nei tu-mori fa sperare nella possibilità di tera-pie mirate con meno effetti collaterali ri-spetto alle chemioterapie convenzionali.

anticorpo. Il metodo ha avuto unaprofonda influenza sull'immunologiadel cancro, per svariate ragioni. In pri-mo luogo, ha reso accessibile un meto-do nuovo e potente per cercare antigenitumorali; inoltre ha permesso finalmen-te di ottenere anticorpi ben individuatiin quantità sufficienti per mettere allaprova le terapie basate sugli anticorpi.

Naturalmente questa tecnica suscitògrandi aspettative, nonché affermazionipremature e irrealistiche secondo cui glianticorpi sarebbero stati «proiettili magi-ci». Si sperava che gli anticorpi mono-clonali identificassero le cellule tumorali(riconoscendo gli antigeni specifici) escatenassero un attacco immunitario ca-pace di distruggerle ignorando nel con-

tempo le cellule sane. Molti si aspettava-no che questi proiettili potessero essereresi più micidiali «caricandoli» con so-stanze tossiche; gli anticorpi avrebberotrasportato le tossine direttamente all'in-terno dei tumori, permettendo loro di di-struggere le cellule neoplastiche. L'on-data di entusiasmo portò l'industria far-maceutica e molti investitori privati a ri-versare somme considerevoli in questaricerca, ma, dal momento che le prospet-tive non furono concretizzate rapidamen-te, molti non esitarono a dichiarare chequesta tecnica era un fallimento. Larealtà è però molto più positiva: il con-cetto di base è solido, e si stanno facendoprogressi lenti ma costanti nel mettere apunto terapie basate sugli anticorpi.

Gli anticorpi monoclonali hanno rive-lato che nelle cellule tumorali esisteun'ampia schiera di antigeni. Purtroppoquasi tutti si trovano anche nelle cellulesane, che potrebbero quindi essere dan-neggiate da una terapia basata sugli and-corpi. Questa sovrapposizione, tuttavia,non preclude il loro impiego come bersa-gli terapeutici per svariate ragioni: gli an-tigeni dei tessuti sani potrebbero non es-sere accessibili agli anticorpi trasportatiin circolo; le cellule neoplastiche potreb-bero esprimere una maggior quantità diantigeni rispetto a quelle sane; infine, idanni indotti dagli anticorpi nelle cellulenormali potrebbero essere reversibili.

Si possono inoltre progettare anticor-pi capaci di agire, oltre che sulle celluleneoplastiche stesse, su altre cellule emolecole necessarie per la crescita deitumori. Per esempio, gli anticorpi posso-no neutralizzare i fattori di crescita equindi inibire l'espansione di un tumore;oppure possono avere come bersaglio lostroma, ossia il tessuto connettivo inter-posto fra le cellule tumorali.

In assenza dello stroma, che può co-stituire anche il 60 per cento o più di u-na massa neoplastica, un tumore nonpuò superare dimensioni microscopi-che. Presso il Memorial Sloan-KetteringCancer Center di New York, WolfgangJ. Rettig, Pilar Garin-Chesa e io abbia-mo identificato un antigene, chiamatoFAP-alfa, che viene fortemente espressodalle cellule dello stroma in una grandevarietà di tumori umani. Questo e altriantigeni che identificano lo stroma o ivasi sanguigni di un tumore sono diven-tati bersagli interessanti per coloro checercano di sviluppare terapie basate su-gli anticorpi.

Oggi gli anticorpi monoclonali si ot-tengono in genere da topi che sono statiimmunizzati con tumori umani. Nei testclinici, però, i soggetti umani general-mente presentano una risposta immuni-taria che inattiva le molecole di origine

animale; si sta quindi tentando di co-struire anticorpi umani, che dovrebberosfuggire al riconoscimento immunita-rio. Nel frattempo si cerca di «masche-rare» gli anticorpi murini, rendendoli ilpiù possibile simili a quelli umani. Aquesto scopo si sostituiscono tutte lestrutture non essenziali dell'anticorpomurino con le corrispondenti parti del-l'anticorpo umano. Questo stratagem-ma, detto di umanizzazione, ha permes-so di ottenere anticorpi che, nei primitest clinici, sono riusciti a eludere il si-stema immunitario. Tecniche di inge-gneria degli anticorpi vengono anchesfruttate per perfezionare altre caratteri-stiche delle molecole umanizzate, al fi-ne di renderle più efficaci nel legarsiagli antigeni e nel penetrare nei tumori.

Una volta che si è identificato un an-tigene bersaglio e si è prescelto un

anticorpo, bisogna decidere quale tipo di«messaggio tossico» si vuole recapitare aun tumore. Vi sono due approcci ben di-stinti: uno sfrutta la capacità degli anti-corpi stessi di distruggere le cellule tu-morali; l'altro, come era stato previstofin dall'inizio, utilizza gli anticorpi perveicolare un composto tossico - un agen-te chemioterapico o una sostanza ra-dioattiva, una tossina vegetale o batterica- nel sito di un tumore. Si sono scopertimolti nuovi anticorpi e bersagli antigeni-ci: tanti, anzi, che non tutti possono esse-re sottoposti a sperimentazione clinica.

Un criterio per stabilire se valga la pe-na di sperimentare un anticorpo è la pro-babilità che esso venga assunto dai tessu-ti tumorali in quantità significativamentesuperiore che non dai tessuti normali.Per vedere se un anticorpo risponde aquesto criterio, lo si marca con iodio ra-dioattivo (I-131), lo si inietta in un vo-lontario e se ne segue la diffusione nel-l'organismo. Per una valutazione più ac-curata dell'accumulo dell'anticorpo neltumore, si effettua una biopsia. Dato chenessuno dei bersagli antigenici finorastudiati esiste esclusivamente nei tumori,questi studi sono importanti anche perstabilire la quantità di anticorpo che sifissa ai tessuti sani. Gli anticorpi chehanno mostrato buone caratteristiche inqueste prove sono i migliori candidatiper una sperimentazione clinica.

Si consideri lo studio di un anticorpomonoclonale di topo chiamato A33,che viene effettuato da Sydney Welt edal nostro gruppo del Memorial Sloan-Kettering. Questo anticorpo individuaun antigene che viene espresso dallecellule normali dell'intestino e da pres-soché tutti i carcinomi del colon. Studiclinici che utilizzavano A33 marcatocon un isotopo radioattivo hanno evi-

denziato una considerevole affinità perle cellule del carcinoma del colon; an-che lo 0,01 per cento dell'anticorpoiniettato si accumulava nella massa tu-morale. Inoltre l'anticorpo era in gradodi penetrare fino al centro del tumore.

Questi risultati favorevoli giustifica-no il compimento del passo successivo:la sperimentazione clinica a scopo tera-peutico dell'A33. Abbiamo «caricato»l'anticorpo con dosi di radioisotopomolto più alte che in precedenza, inmodo che potesse irradiare le celluleneoplastiche a sufficienza per distrug-gerle, e ci siamo posti due domande

chiave: l'anticorpo può raggiungere iltumore in quantità adeguata, e qualeeffetto può avere sulle cellule norma-li dell'apparato gastrointestinale? Datoche i partecipanti alla sperimentazionepresentavano una risposta immunitariache neutralizzava l'A33 di origine mu-rina, era possibile inoculare la molecolauna sola volta. (Ulteriori inoculazionisarebbero state inutili perché il sistemaimmunitario avrebbe riconosciuto edeliminato l'anticorpo prima che questopotesse raggiungere il tumore.) Anchecon un dosaggio così limitato, in alcunipazienti la massa tumorale si è ridotta.

La cosa più importante e sorprendenteche abbiamo osservato è che l'anticorponon ha causato alcun effetto tossico nel-l'intestino, pur accumulandosi in questasede. Riteniamo che le cellule dell'inte-stino non siano danneggiate dal farmacoperché lo eliminano rapidamente, al con-trario delle cellule tumorali. Ora è statamessa a punto una versione umanizzatadell'A33, attualmente in fase di speri-mentazione clinica. Per dare un'idea del-la scala di tempo di questi studi, l'antige-ne fu identificato nel 1982; le prime pro-ve cliniche iniziarono nel 1988; la spe-rimentazione terapeutica cominciò nel

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LE TERAPIE DEL FUTURO

Agenti antitumorali veicolati dagli anticorpi

Q

uando agiscono da soli, gli anticorpi si legano agli antigeni esposti sulla superfi-cie delle cellule tumorali; così facendo. essi contrassegnano queste cellule in

modo che vengano distrutte da altre componenti del sistema immunitario oppureche si autodistruggano. Gli anticorpi possono anche riconoscere e attaccare i vasisanguigni che irrorano una massa tumorale oppure il tessuto connettivo (stroma)che la sostiene. Inoltre possono neutralizzare o bloccare l'azione dei fattori di cresci-ta, che sono necessari per la proliferazione tumorale. Oltre a tutto ciò, gli anticorpipossono essere utilizzati come «missili guidati», ossia veicoli che trasportano nel si-to del tumore una varietà di sostanze tossiche (alcune delle quali sono qui elencate).

Gli isotopi radioattivi, come lo iodio 131 o l'ittrio 99, uccido-no le cellule neoplastiche danneggiandone il DNA.

Altre tossine possono raggiungere il sito di un tumore tra-sportate dagli anticorpi. Un esempio ben studiato è quello del-la ricina, che è ottenuta dai semi del ricino; essa inibisce lasintesi delle proteine e limita la proliferazione neoplastica.Prodotti tossici di batteri e altri microrganismi inibiscono an-ch'essi la crescita delle cellule neoplastiche in laboratorio.Inoltre molti potenti farmaci antitumorali, troppo tossici per es-sere usati singolarmente - fra cui il 00-1065, la calicheamici-na e i maytansinoidi - possono essere impiegati quando sonofissati a un anticorpo.

Farmaci usati in chemioterapia spesso raggiungono i tumoriin dosi più alte, e quindi più efficaci, quando sono veicolati daun anticorpo.

Enzimi capaci di convertire «profarmaci» in-nocui in agenti citotossici possono dirigersispecificamente su un tumore quando sonofissati ad anticorpi. Dato che gli enzimi atti-vano i profarmaci solo nel sito del tumore, itessuti sani dell'organismo non vengonodanneggiati.

I farmaci genetici esistono in una varietà di forme. Le cosid-dette molecole di DNA antisenso bloccano la produzione diproteine necessarie per le cellule tumorali. Altri costrutti genicisintetizzano proteine che uccidono le cellule neoplastiche; igeni possono essere legati direttamente agli anticorpi o «im-pacchettati» in particelle virali modificate in modo da avere an-ticorpi fissati sulla superficie.

Le molecole infiammatorie, che comprendono il fattore di ne-crosi tumorale (TNF) e altri messaggeri molecolari del sistemaimmunitario oltre a certi prodotti di microrganismi, suscitanouna reazione infiammatoria che distrugge i tessuti nel sito diun tumore.

Le cellule immunitarie guidate dagli anticorpi, come linfociti Tmodificati con tecniche di ingegneria genetica, possono indur-re la lisi delle cellule tumorali.

1991; e l'anticorpo umanizzato vennesomministrato ai primi pazienti nel 1995.

Forse il principale successo ottenutofinora in questo campo deriva dallo stu-dio di un anticorpo che si lega a un anti-gene presente sia sui linfociti B sani -cellule immunitarie che, una volta atti-vate, producono anticorpi - sia nei un-forni derivati da linfociti B. Stuart F.Schlossmann del Dana-Farber CancerInstitute di Boston è stato il primo adescrivere questo bersaglio antigenico,chiamato CD20; da allora esso è statostudiato da numerosi gruppi, fra cuiquelli di Mark S. Kaminski dell'Univer-sità del Michigan e di Oliver W. Pressdella School of Medicine dell'Universitàdi Washington. I risultati sono assai po-sitivi. L'anticorpo da solo può provocareregressione tumorale, ma quando lo sicombina con 1-131 l'effetto è più rile-vante e prolungato. Inoltre la terapia hapochi effetti collaterali. Sappiamo quin-di che, :-.mche se un antigene è espressosu cellule normali, può, come si sperava,servire ugualmente in alcuni casi da ber-saglio utile per la terapia.

Come avviene per gran parte delle te-rapie sperimentali per il cancro, anchequelle basate sugli anticorpi vengonogeneralmente sperimentate su pazienti infase avanzata; questi trattamenti peròpotrebbero essere di gran lunga più effi-caci se usati prima. Gert Riethmiillerdell'Università di Monaco di Baviera hastudiato l'effetto dell'anticorpo mono-donale 17.1A in pazienti affetti da car-cinoma del colon-retto in fase abbastan-za precoce. Egli ha iniziato la terapiacon anticorpi in questi soggetti imme-diatamente dopo l'asportazione chirurgi-ca del tumore. Nonostante l'intervento,molti pazienti rimangono ad alto rischioa causa delle cellule neoplastiche resi-due. Ma gli individui trattati con anticor-pi nello studio di Riethmiiller hanno mo-strato una frequenza di recidive signifi-cativamente più bassa della norma. Ef-fettuare un trattamento su cellule neo-plastiche residue è un'idea molto ragio-nevole, e senza dubbio tutte le forme diimmunoterapia si concentreranno in fu-turo su questo obiettivo.

Nelle terapie che si basano su anti-corpi, l'anticorpo inoculato è di

origine animale; in futuro potrebbe es-sere sintetizzato in vitro. In ogni caso,il trattamento può essere consideratoun'immunoterapia passiva: le molecoleimmunitarie sono somministrate ai pa-zienti, che non le producono nel loro or-ganismo. Un vaccino, invece, è un'im-munoterapia attiva perché sollecita unarisposta immunitaria nell'individuo.

I tentativi di trattare il cancro con vac-

cini risalgono alle origini stesse dell'im-munologia. Negli anni, molte centinaiadi soggetti ammalati di cancro sono stativaccinati con cellule neoplastiche - quel-le del paziente stesso, oppure cellule pre-levate da un altro individuo - di solito ir-radiate per prevenire un ulteriore svilup-po del tumore. Sebbene si siano osservatioccasionalmente buoni risultati, questeprime strategie di vaccinazione presenta-vano notevoli inconvenienti. Il più signi-ficativo era l'impossibilità di controlla-re l'effetto del vaccino sul siste-ma immunitario. Quando venneromessi a punto i vaccini contro ma-lattie infettive come la poliomielite,la loro efficacia poteva essere facil-mente verificata cercando gli anti-corpi specifici da essi indotti. Mafino a epoca recente gli scienziatinon hanno avuto informazioni pa-ragonabili sugli antigeni tumorali esulla relativa risposta immunitaria.Senza queste conoscenze, non sipoteva sperare di capire perché iltrattamento avesse successo in al-cuni casi ma non in altri. I progres-si compiuti negli ultimi decenni cihanno ora condotto a un punto incui possiamo dare solide basiscientifiche alla messa a punto divaccini contro il cancro.

La storia moderna dei vaccinicominciò negli anni quaranta e cin-quanta con una scoperta fonda-mentale: quando una sostanza chimica oun virus davano origine a cancro nei to-pi, le cellule tumorali recavano antigeniche potevano immunizzare altri topi del-lo stesso ceppo contro il trapianto diquel tumore. Studi successivi mostraro-no che i linfociti T estratti dagli animaliimmunizzati potevano trasferire l'immu-nità ai tumori ad animali sani dello stes-so ceppo. Vennero inoltre messe a puntotecniche che dimostrarono come i linfo-citi T dei topi immunizzati potessero uc-cidere anche cellule tumorali fatte svi-luppare in vitro. Viceversa gli anticorpiindotti dalle cellule tumorali general-mente non potevano trasferire l'immu-nità o uccidere le cellule neoplastiche.

Come passo successivo, dovevamovedere se nell'uomo avesse luogo una ri-sposta immunitaria paragonabile. Per ra-gioni etiche e pratiche, non potevamoservirci dello stesso approccio utilizzatonegli studi su animali. Ci concentrammoperciò su reazioni immunitarie che po-tessero essere ampiamente analizzate invitro. Il nostro gruppo decise di esamina-re cellule di melanoma, anche perché èsemplice farle sviluppare in laboratorio.Nel corso di 10 anni, abbiamo studiatoun gran numero di pazienti affetti da me-lanoma, cercando di evidenziare una ri-

sposta degli anticorpi o dei linfociti T diquesti individui alle cellule neoplastichedel loro stesso organismo. Abbiamo os-servato che una piccola percentuale deisoggetti presentava reazione immunitariaspecifica alle proprie cellule tumorali, eabbiamo anche ricavato l'impressioneche il decorso clinico di questi pazientifosse nel complesso più favorevole.

La sfida successiva consistette nell'i-solare gli antigeni tumorali così ricono-sciuti in modo che potessero essere spe-

rimentati in un vaccino. Thierry Boon ecolleghi del Ludwig Institute for CancerResearch a Bruxelles hanno messo apunto un metodo adatto al caso di anti-geni riconosciuti dai linfociti T (si vedal'articolo Come combattere il cancroattivando il sistema immunitario diThierry Boon in «Le Scienze» n. 297,maggio 1993). Questa tecnica ha portatoa identificare due categorie principali diantigeni tumorali che inducono una ri-sposta dei linfociti T in pazienti affettida melanoma. La prima comprende anti-geni chiamati MAGE, BAGE e GAGE,che vengono prodotti dalle cellule neo-plastiche ma non dalle cellule sane, aparte quelle dei testicoli. L'altra catego-ria di antigeni, comprendente la tirosina-si e il Melan A, è composta dai cosid-detti antigeni di differenziazione; essivengono prodotti sia dalle cellule di me-lanoma sia dai melanociti normali, apartire dai quali si sviluppa il tumore.

I linfociti T non «vedono» l'intero an-tigene proteico sulla cellula neoplastica,ma solo alcune parti di esso, i peptidi.Quando una cellula neoplastica elaboral'antigene proteico, espone questi peptidisulla propria superficie insieme con gliantigeni di istocompatibilità. Si sta orarapidamente aggiornando un elenco di

antigeni tumorali proteici e peptidici, i-dentificati grazie al metodo di clonazio-ne messo a punto da Boon e colleghi.Tutte queste molecole sono eccellenticandidati all'impiego in un vaccino, etecniche ancora più nuove potrebberoestendere l'elenco dei possibili vaccini.

Un'altra fonte di informazioni su pos-sibili antigeni tumorali è costituita dallamole di scoperte riguardanti le alterazio-ni geniche nelle cellule neoplastiche.Qualsiasi anomalia in una cellula turno-

rale che possa essere riconosciuta dal si-stema immunitario è manna dal cieloper l'immunologo. Fra i bersagli più in-teressanti per un vaccino vi sono le pro-teine anomale che vengono sintetizzatequando una mutazione trasforma un ge-ne normale in un gene che promuove ilcancro. Un lungo elenco di geni correla-ti al cancro - oncogèni e geni oncosop-pressori - è in via di compilazione (siveda l'articolo Come insorge il cancrodi Robert A. Weinberg a pagina 28). Enaturalmente i tumori umani provocatida virus, come il carcinoma della cervi-ce uterina, sono bersagli adatti per le te-rapie basate su vaccini.

Come accade per le terapie che sfrut-tano gli anticorpi monoclonali, vi sonoora più vaccini di quanti se ne possanosperimentare sui pazienti. E, sebbene lavasta esperienza accumulata con i vacci-ni contro le malattie infettive possa fareda guida in questo settore, il territorioinesplorato è ancora molto vasto. I vac-cini a base di cellule neoplastiche intere,modificate con tecniche di ingegneriagenetica o meno, lasceranno probabil-mente il posto a vaccini che contengonoantigeni tumorali specifici. Inoltre, es-sendo facili da sintetizzare, i vaccini co-stituiti da peptidi stanno assumendo un

I test cutanei offrono un modo per rivelare se il sistema immunitario riconosce gli antigenipeptidici esposti dalle cellule tumorali: in questo caso sulla cute compare un'irritazione,sotto forma di reazione di ipersensibilità ritardata. La reazione cutanea iniziale (a sinistra)in questo paziente affetto da melanoma è diventata più pronunciata dopo inoculazione diuna citochina che potenzia l'immunità, la GM-CSF (a destra). Questa risposta assomigliaalla reazione della tubercolina che, dopo vaccinazione contro la tubercolosi, viene usa-ta per controllare se il vaccino abbia stimolato come previsto il sistema immunitario.

102 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 LE SCIENZE n. 339, novembre 1996 103

Le tattiche usate dai tumori per sfuggireall'attacco immunitario

Alterare le proprie caratteristicheSotto l'attacco da parte del sistema immunitario, le cellule tumorali generano variantiprive di quelle caratteristiche che le contrassegnano come bersagli dei linfociti T, dialtre cellule killer e degli anticorpi. Questo processo, chiamato immunoselezione,può dare origine a cellule neoplastiche che non possiedono antigeni tumorali o anti-geni del maggior complesso di istocompatibilità, i quali presentano gli antigeni tumo-rali alle cellule immunitarie. Le cellule neoplastiche possono anche essere prive dimolecole costimolatorie, che attivano i linfociti T, e delle molecole di segnalazionenecessarie per reagire alle citochine (come l'interferone gamma), che promuovonola distruzione delle cellule tumorali tramite meccanismi immunitari.

Sopprimere la risposta immunitariaLe cellule tumorali possono provocare alterazioni nell'ospite che riducono o elimina-no un'efficace reazione immunitaria contro di esse. Si ha una immunosoppressionespecifica quando le cellule tumorali inviano segnali inappropriati o inefficaci ai linfoci-ti T, riducendone il numero o la capacità di reazione. Una immunosoppressione nonspecifica è causata da altri prodotti delle cellule neoplastiche, come il TGF-beta, op-pure da farmaci antitumorali o irradiazione.

Nascondersi al sistema immunitarioLe reazioni immunitarie sono meno efficaci, o anche assenti, in diversi siti dell'orga-nismo, come il cervello, sicché i tumori qui insediati evitano l'attacco immunitario.Inoltre un denso stroma tumorale costituito da tessuto connettivo può riparare le cel-lule neoplastiche sottraendole al riconoscimento immunitario e alla distruzione.

Sfruttare l'«inesperienza» del sistema immunitarioLe cellule tumorali possono crescere senza indurre alcuna risposta immunitaria; maè possibile suscitare una reazione efficace contro di esse mediante immunizzazionecon antigeni tumorali: ciò indica che la potenzialità di un attacco immunitario esiste,ma non è sempre attivata.

Superare in velocità la risposta immunitariaLe cellule tumorali possono semplicemente proliferare a velocità tale che la reazioneimmunitaria non riesce a mantenere la loro crescita sotto controllo.

Categorie di vaccini antitumorali

devono indurre i linfociti Te altre componenti del sistema immunitario a riconoscere e attaccare vigoro-stici.

Le cellule neoplastiche inattivate e i loro estratti possono «dare uno scossone» al sistema immunitario.Cellule tumorali modificate in modo da secernere citochine, come IL-2 o GM-CSF, potenziano analoga-mente l'immunità antitumorale. Cellule progettate per esprimere molecole costimolatorie, come B-7, ac-crescono la capacità dei linfociti T di riconoscere le cellule neoplastiche.

I peptidi tumorali, frammenti di proteine tumorali riconosciuti dai linfociti T, sono inoculati da soli o conadiuvanti che potenziano l'immunità.

Le cellule che presentano gli antigeni incorporano le proteine tumorali inoculate e le scompongono inframmenti peptidici che vengono riconosciuti dai linfociti T.

Queste cellule che presentano gli antigeni sono isolate dal sangue, esposte a peptidi tumorali o modifica-te in modo che producano proteine tumorali, e infine iniettate nel paziente.

L'organismo umano produce anticorpi contro queste molecole - come per esempio GM2 - che si trovanosulla superficie delle cellule neoplastiche. Le sperimentazioni cliniche hanno dimostrato che i pazienti af-fetti da melanoma che possiedono anticorpi contro GM2 hanno una prognosi più favorevole.

Ceuesti costituenti cellulari di solito a a F.,ptidi. L'inoculaziona di proteine da sheck termico isc..lateda tumori stimola l'immunità antitumorale nei topi.

Geni che codificano per gli antigeni tumorali vengono incorporati nel genoma di virus o batteri. Quandosono inoculati, questi agenti infettivi alterati suscitano una risposta immunitaria contro se stessi e gli anti-geni codificati.

Il DNA e l'RNA che codificano per antigeni tumorali sollecitano le cellule normali a produrre questi antigeni.

Queste scansioni tomografiche computerizzate mostrano u-na sezione trasversale del torace di un uomo di 41 anni pri-ma e dopo il trattamento per un linfoma con una radioim-munoterapia basata sull'anticorpo CD20. 1 grandi cerchineri corrispondono ai polmoni. Nonostante tre precedenti

cicli di chemioterapia, il paziente aveva una patologia in faseavanzata, segnalata da molti linfonodi ingrossati (a sinistra).Tuttavia, dopo un singolo trattamento con CD20 (a destra),la patologia è scomparsa. Il paziente, a due anni di distanzadal trattamento, continua a essere in remissione completa.

I vaccini contro il cancrosamente i tessuti neopla

Cellule neoplasticheintere

LE TERAPIE DEL FUTURO

Peptidi tumorali

Proteine tumorali

Cellule dendritiche

Gangliosidi

Proteine cia shocktermico

Vettori viralie batterici

Acidi nucleici

posto privilegiato nelle sperimentazionicliniche. Nei primi test è già stata os-servata in alcuni casi la regressione deltumore. Alcuni immunologi ipotizzanoche le proteine intere possano essere piùefficaci come vaccini perché possonosollecitare il sistema immunitario con ungran numero di peptidi differenti. Siaspetta con ansia che diventino disponi-

sostenitore della sperimentazione clinicadi questo metodo, e si continua tuttora alavorare per rendere la terapia più effi-cace, più breve e meno costosa.

L'immunoterapia adottiva può rivelar-si particolarmente preziosa nel tratta-mento di infezioni virali e tumori in pa-zienti il cui sistema immunitario sia statoindebolito dallo stato patologico e dalleterapie. Per esempio, un malato di leuce-mia, prima di ricevere un trapianto di mi-dollo osseo, viene sottoposto a chemiote-rapia e radioterapia per distruggere tuttele cellule leucemiche. Ciò lo lascia vul-nerabile a infezioni come quella da cito-megalovirus (CMV). Ma vi sono ora in-dicazioni che l'inoculazione di linfociti TCMV-specifici possa ridurre il rischio diquesta infezione nei pazienti sottoposti atrapianto di midollo. Inoltre si può otte-nere una remissione dei linfomi di origi-ne virale che insorgono in pazienti sotto-posti a trapianto iniettando semplice-mente linfociti di un donatore sano. Datoche queste cellule immunitarie non subi-scono gli effetti dei farmaci immunosop-pressori, conservano la capacità di com-battere le cellule tumorali.

Nonostante le grandi speranze ripo-ste nell'immunoterapia, una minac-

cia incombe su tutti i tentativi di control-lare il cancro con meccanismi immunita-ri: le cellule neoplastiche sono maestre diinganno e travestimento, per eludere ilriconoscimento e l'attacco immunitario(si veda la finestra in questa pagina).Data questa competizione tra controlloimmunitario e meccanismi di elusione, lemigliori strategie per combattere il can-cro dovrebbero prevedere un attacco supiù fronti. Diverse sono le possibilità inesame: la realizzazione di vaccini checombinino una varietà di antigeni (vacci-ni polivalenti); la sperimentazione delfunzionamento combinato delle terapie abase di anticorpi e di vaccini; e la combi-nazione di immunoterapie, specifiche enon, con altri trattamenti antitumorali.

Altri potenziali ostacoli richiedono at-tenzione. Come abbiamo detto per glianticorpi, è concepibile che i vaccini

LLOYD J. OLD si è laureato in me-dicina nel 1958 all'Università della Ca-lifornia a San Francisco. Subito dopoha iniziato a lavorare presso il Memo-rial Sloan-Kettering Institute for Can-cer Research, dove dal 1973 al 1983 èstato direttore associato della ricerca.Attualmente è direttore dell Ludwig In-stitute for Cancer Research di NewYork. Questo è il suo terzo articolo per«Le Scienze».

contro il cancro possano danneggiare incerta misura le cellule normali. Esiste unbuon numero di patologie, le cosiddettemalattie autoimmuni, che insorgonoquando il sistema immunitario attacca itessuti normali dell'organismo. Alcuniesempi sono l'artrite reumatoide, la scle-rosi multipla e certe malattie renali. Puòdarsi che un modesto livello di autoim-munità sia il prezzo da pagare per un ef-ficace vaccino contro il cancro.

Considerando la storia dell'immuno-logia dei tumori - contrassegnata da cicliricorrenti di grandi speranze e di delu-

sioni - dobbiamo essere molto prudentinell'avanzare previsioni. Ma vi sono pa-recchie opportunità promettenti in attesadi studio, e questo ci dà un buon motivoper sperare che un giorno l'immunotera-pia del cancro possa divenire realtà.

Forse con queste terapie sarà possibi-le conseguire guarigioni definitive. Piùrealistico, tuttavia, può essere lo svilup-po di terapie tali da rendere il cancrocontrollabile per lunghi anni. Non sareb-be l'ideale, ma costituirebbe una diffe-renza enorme per coloro che sono affettida tumori oggi non facilmente trattabili.

bili in quantità antigeni tumorali puri permettere alla prova questa ipotesi.

Un ulteriore approccio all'immunote-rapia è in fase di studio. Chiamato im-munoterapia adottiva, consiste nello sti-molare i linfociti T esponendoli in labo-ratorio a cellule o antigeni tumorali epoi inoculando nei pazienti i linfociti co-sì trattati dopo averli fatti moltiplicare.

Contrariamente a quanto accade neglistudi su topi dello stesso ceppo, dove ilinfociti T possono essere liberamentetrasferiti da un animale all'altro, i linfo-citi T umani provocano generalmente ri-getto. Per questa ragione il paziente fun-ge sia da donatore sia da ricevente deilinfociti T. Steven A. Rosenberg del Na-tional Cancer Institute è stato il primo

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