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LE VIE MAESTRE - Giuliano VOLPE · (dall’Atlante delle Locationi di Antonio e Nunzio Michele di...

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LE VIE MAESTRE

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A chi ha voluto condividere questo percorsoe a chi vorrà continuare a cercare sempre nuove strade

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In copertina: Locatione di Castiglione, particolare della città di Foggia(dall’Atlante delle Locationi di Antonio e Nunzio Michele diRovere, fine del XVII secolo, Foggia. Archivio di Stato).

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Giuliano Volpe

LE VIE MAESTRE

Bari 2013

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Volume pubblicato con il contributo della Fondazione Apulia Felix

© 2013 Edipuglia srl, via Dalmazia 22/b - 70127 Bari-S. Spiritotel. 0805333056-5333057 (fax) - http://www.edipuglia.it - e-mail: [email protected]

Redazione: Valentina NataliCopertina: Paolo Azzella

ISBN 978-88-7228-704-0

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INTRODUZIONE

Nel settembre del 2012 il direttore di un giornalefoggiano, L’Attacco, un foglio animato da un forte spi-rito critico e interessato ad indagare la realtà locale conun occhio attento ai fermenti di novità percepibili inogni settore della vita politica, sociale, economica e cul-turale, mi propose una rubrica settimanale, nella qualeaffrontare, liberamente, senza alcun vincolo, le que-stioni che ritenevo più utili e interessanti, con unosguardo privilegiato, com’era ovvio, all’Università.Poiché ho sempre ritenuto un ‘dovere etico’ offrire, inqualità di rettore, il massimo di informazione e di tra-sparenza sull’Università, da me sentita e vissuta comeuno dei principali motori del cambiamento della realtàlocale, accettai, pur essendo consapevole della diffi-coltà nel riuscire a sviluppare ogni settimana un temache potesse riscuotere un certo interesse generale. Hosempre avuto attenzione per la comunicazione, utiliz-zando tutti gli strumenti a disposizione, come il blogdel rettore (che in questi anni ha superato 750 articolie 35.000 contatti), il profilo Facebook (che ha oltrepas-sato 10.000 ‘mi piace’, ponendosi ai primi posti tra le

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pagine universitarie in rapporto alla popolazione stu-dentesca), Twitter, il canale universitario You Tube.Non si tratta di esibizionismo o presenzialismo, comepure qualcuno pensa, ma di un impegno consapevoledi trasparenza, di apertura all’esterno e di contattocontinuo e diretto con i docenti, i collaboratori, gli stu-denti e con chiunque abbia interesse per le vicendeuniversitarie.

Superato il trentesimo articolo, mi sono reso contoche i testi di volta in volta pubblicati contengono moltispunti e varie considerazioni su questa mia esperienza,sia pur concentrati in un periodo alquanto ridotto, inuna fase di ancor più rapidi cambiamenti. Alcuni arti-coli, peraltro, affrontano anche temi di altra natura edi portata più generale, relativi in particolare alla po-litica dei beni culturali. Ho pertanto pensato, avvian-domi ormai alla fase conclusiva del mio mandato, chepotesse essere utile raccoglierli in un volumetto, ancheper conservare, almeno in parte, una qualche memoriadi questo mio impegnativo e faticoso, ma anche entu-siasmante e appassionante, percorso, con la speranzache le idee e le riflessioni qui contenute possano essereconsiderate di un qualche interesse.

Due parole sono forse utili per spiegare il senso deltitolo (della rubrica giornalistica, poi anche televisiva,ed ora del volume), che nasce da un gioco di parolecon la denominazione della strada nella quale abito aFoggia nel centro storico, via Le Maestre. Il nome ri-chiama, quindi, la scelta di vivere e lavorare a Foggia,

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di privilegiare la parte vecchia della città sia per la re-sidenza personale sia per le politiche edilizie dell’Uni-versità, sottolineando anche in questo la centralitàdella storia e della cultura. Ma soprattutto tenta di evi-denziare lo sforzo nel cercare (più che nell’indicare) levie da percorrere, insieme agli altri, purché siano viemaestre. Non ho mai amato, infatti, certe scorciatoie,tipiche della furbizia e dell’opportunismo italico. In-fine, indica, con un po’ di civetteria, una delle funzioniproprie di un docente universitario: ho avuto straor-dinari maestri, che mi hanno insegnato tanto, e sonoimpegnato da anni nel costruire, prima a Bari poi aFoggia una scuola di archeologia, perché considero lescuole, cioè quel patrimonio di competenze, di progettie di strutture di ricerca, e soprattutto di persone, lacosa più bella e utile della buona accademia.

Licenziando questo volumetto, voglio rivolgere ancora una volta,al termine del mio mandato, il mio più sincero ringraziamento aicolleghi docenti, al personale tecnico-amministrativo e agli studentidell’Università di Foggia, ed in particolare ai miei più stretti colla-boratori, l’efficiente e rigoroso Direttore generale Costantino Quar-tucci, l’ex prorettore Andrea Di Liddo e l’attuale prorettore GiuseppeCarrieri, l’ex dirigente Antonio Tritto, tutti i delegati che hannosvolto con generosità e competenza un ottimo lavoro, il mio colto,positivo e affidabile Capo di Gabinetto Tommaso Campagna, l’atti-vissima e capace responsabile della comunicazione Maria Lops, lamia efficiente e affettuosa segreteria, Marianna Lamarca, GerardoCarapella e Francesca Rinaldi, il mio paziente e bravo autista NicolaSacco, i capi area, cioè tutti coloro che hanno condiviso e sentito come

Introduzione 9

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proprio questo progetto. Un grazie al Nucleo di Valutazione e al Col-legio dei Revisori dei conti, ai componenti, passati e attuali, del Se-nato Accademico e del Consiglio di Amministrazione, ai Presidi e aiDirettori dei Dipartimenti, ai componenti di tutte le commissioni diAteneo.

Un grazie alle istituzioni e alle amministrazioni locali – la Re-gione, la Provincia, il Comune di Foggia e le tante altre città di Ca-pitanata – alla Prefettura, ai Tribunali e alla Procure di Foggia eLucera, alle forze dell’ordine, alle Fondazioni bancarie, alle organiz-zazioni sindacali e politiche, alle tante associazioni, per averci dimo-strato, in tanti modi, vicinanza, attenzione, sostegno e anche affetto.

Ho dedicato quasi interamente cinque anni della mia vita al go-verno dell’Università, pur cercando, con progressive difficoltà, dinon abbandonare del tutto la didattica, ma soprattutto non dimen-ticando mai di essere un ricercatore, e quindi dedicando il mio pocotempo libero allo studio, riuscendo anche a seguire, sia pure a di-stanza, gli scavi e le ricerche sul campo. Insisto su quest’aspetto per-ché avevo promesso, innanzitutto a me stesso, che non sareidiventato un burocrate gestore del ‘potere accademico’. Merito prin-cipale per questo va certamente al mio straordinario gruppo di bra-vissimi collaboratori e allievi, che sono sicuramente tra quanti hannosubito maggiormente i risvolti negativi del mio impegno da rettore,reggendo tutto il carico di lavoro e responsabilità. Ringrazio pertantoi miei amici e colleghi del gruppo storico-archeologico foggiano, trai quali alcuni collaboratori ormai ‘storici’, Caterina Annese, Gio-vanna Baldasarre, Antonella Buglione, Giuliano De Felice, Alessan-dra De Stefano, Giovanni De Venuto, Riccardo Di Cesare, AnnalisaDi Zanni, Silvia Evangelisti, Pasquale Favia, Roberta Giuliani, Ro-berto Goffredo, Anna Introna, Danilo Leone, Daniela Liberatore,Nancy Mangialardi, Maria Luisa Marchi, Vincenza Morizio, Ma-rida Pierno, Valentino Romano, Saverio Russo, Giusy Sibilano,Maria José Strazzulla, Mariuccia Turchiano, Francesco Violante, etutti gli allievi più giovani.

Un grazie a Piero Paciello, direttore de «L’Attacco», non solo per

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aver sollecitato e continuamente stimolato i miei interventi sul suogiornale, ma anche per aver autorizzato la ripubblicazione degli ar-ticoli.

Una delle novità più interessanti di quest’ultimo anno è statarappresentata dalla nascita della Fondazione Apulia Felix, costituitada alcuni imprenditori foggiani che hanno messo a disposizione di-sinteressatamente risorse e impegno per sostenere la formazione, laricerca e la cultura, offrendo un segnale fortemente positivo alla so-cietà di Foggia e della Capitanata. Ringrazio tutti i soci non solo peraver voluto che io fossi Presidente della Fondazione, ma anche per ilsostegno personale manifestatomi in tante occasioni, compresa lapubblicazione di questo volume.

Edipuglia ha accolto, con le consuete disponibilità e competenza,anche questo libro, atipico rispetto alla mia produzione scientifica:anche per questo sono grato con affetto all’ing. Renzo Ceglie e a tuttala Casa editrice.

Anche le scelte e le vie percorse in questa ‘tranche de vie’, comele riflessioni raccolte in queste pagine, sono il risultato della co-stante condivisione, del confronto quotidiano, delle vivaci discus-sioni e dei ragionamenti con mia moglie Titti e i nostri figli Valeriae Alessandro.

Gli articoli conservano la stessa sequenza di pubblicazione sulgiornale (apparsi, normalmente, tranne qualche eccezione, il gio-vedì); pertanto i testi sono stati pubblicati nei numeri del 22, 29 set-tembre, 4, 11, 18, 25 ottobre, 1, 8, 15, 22 , 29 novembre, 6, 13, 20, 29dicembre 2012, 10, 17, 23, 31 gennaio, 7, 14, 21, 27 febbraio, 7, 14,21, 28 marzo, 4, 18, 27 aprile, 3, 9, 16, 23 maggio 2013. Anche nei ti-toli ho deciso di conservare, quasi sempre, quelli scelti dalla reda-zione. L’ultimo scritto è apparso anche in «Post ClassicalArchaeologies», 2, 2013: ringrazio l’amico Gian Pietro Brogiolo peraverne autorizzato la ripubblicazione.

Introduzione 11

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IL FUTURO APPARTIENE ALLE CITTÀ BELLE

La città di Foggia ha enormemente accresciuto lasua estensione dal dopoguerra ad oggi, offrendo uncontributo essenziale al consumo di territorio che statrasformando il Belpaese in una colata di cemento.Come è emerso dalle recenti statistiche, ogni giorno inItalia si perdono ben cento ettari di suolo agricolo eanche in Capitanata il processo è da tempo in pienosvolgimento. Di questo passo il tradizionale equilibriotra città e campagna, la fisionomia dei paesaggi rurali,l’identità culturale e la stessa base economica della Ca-pitanata rischiano di essere completamente stravolti,con ripercussioni drammatiche sotto vari profili. Eccoperché sarebbe necessario ripensare completamente ilmodello di sviluppo della città e del territorio.

In una città in cui proliferano nuove costruzioni, siallargano a dismisura periferie squallide e prive di ser-vizi, si progettano ‘Foggia 2’ e altre nuove ‘cittadelle’satellite, nuovi stadi e centri commerciali, da molti con-siderati ormai come l’unica prospettiva di sviluppo; inuna città che dimostra scarsa attenzione, sia da partedei privati che degli enti pubblici, per il recupero del

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centro storico e dell’edilizia dell’Otto-Novecento; inuna città tuttora dominata politicamente ed economi-camente dalla ‘cultura’ del mattone; in una città sporcae sfregiata dai suoi stessi cittadini; in una città difficile,con ampi strati di vecchia e nuova povertà, con preoc-cupanti fenomeni di degrado sotto il profilo sociale,economico e urbanistico, e soprattutto etico, servonoidee e prassi nuove.

In questo contesto l’Università sta tentando di svol-gere un ruolo essenziale anche in campo urbanistico,con un vero e proprio progetto a scala urbana, finaliz-zato ad un campus urbano, fondato principalmente sulrecupero e la rifunzionalizzazione di pezzi di città.

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Veduta aerea di Foggia: si noti la grande espansione recente e il notevole con-sumo di territorio (foto Laboratorio Archeologia dei Paesaggi, Unifg).

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L’impegno dell’Università per il recupero di edifici storici. Il complesso degliex Ospedali di Foggia in via Arpi, ora sede del Dipartimento di Studi Uma-nistici.

Una veduta degli ex Ospedali in una foto degli inizi del Novecento.

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Un particolare del chiostro del convento di Santa Caterina ritrovato durantei lavori di restauro (foto Mimmo Attademo).

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Sono quasi del tutto conclusi i lavori di ristruttura-zione degli ex ospedali di via Arpi, sede del nuovo Di-partimento di Studi Umanistici (che accorpa le prece-denti Facoltà di Lettere e Scienze della Formazione).Posta nel cuore della città medievale, il nuovo polouniversitario, costituito anche dalla vicina strutturadell’ex Maternità, ospiterà aule, laboratori, studi, unagrande biblioteca umanistica. L’intervento di recuperoha portato alla riscoperta di elementi, ormai occultatida superfetazioni recenti, relativi al convento medievaledi Santa Caterina, come l’antico chiostro annesso allachiesa di San Giovanni di Dio e una serie di pregevolivani ipogeici. Da anni sollecitiamo la pedonalizzazione

Il futuro appartiene alle città belle 17

Veduta aerea dell’IRIIP (Istituto regionale di incremento ippico) (1), in partegià ristrutturato e utilizzato dall’Università per l’aula magna e la sede delDipartimento di Economia. Si notano a destra e in alto le Palestre ex GIL divia Galliani (2) e di via Amm. Da Zara (3), la Caserma Miale (4) e l’ex Tri-bunale (5) (foto Comando Provinciale Carabinieri, Foggia).

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di via Arpi (se non tutta, come sarebbe auspicabile, al-meno del tratto interessato dall’isola universitaria), checonsentirebbe ai cittadini di godere del proprio centrostorico, facendo dell’antica arteria la strada della culturae delle arti (con il Museo Civico, il Conservatorio U.Giordano, la Fondazione Banca del Monte, l’Audito-rium S. Chiara, il Museo del Territorio, le sedi di varieassociazioni, come la Merlettaia, ecc.). Si intende cosìcontribuire alla rivitalizzazione del centro storico, allasua rinascita anche dal punto di vista economico, spin-gendo, con il proprio esempio, altri enti pubblici e sog-getti privati ad investire nel recupero del notevole pa-trimonio immobiliare, altrimenti condannato ad unalenta ma inesorabile obsolescenza.

Stanno finalmente per avviarsi (sia pure con ritardiassurdi dovuti esclusivamente alle farraginose, bizan-tine, spesso astruse e personalistiche, procedure per ilrilascio di autorizzazioni e permessi - e un giorno forsebisognerà raccontare come, invece di facilitare opera-zioni di pubblica utilità, ben diverse da speculazioniprivate, enti e solerti funzionari si prodigano, con l’au-silio di regolamenti, codicilli e cavilli, a far pesare leproprie firme sulle autorizzazioni) i lavori di recuperoe ristrutturazione delle ex palestre GIL di via Gallianie di via Ammiraglio da Zara, destinati al Dipartimentodi Economia: anche qui troveranno posto aule, labora-tori, studi, servizi per gli studenti; in tal modo si libe-reranno gli spazi dell’ex Tribunale, che sarà interamentedestinato al Dipartimento di Giurisprudenza.

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La palestra ex GIL di via Galliani, assegnata in comodato gratuito dalla Re-gione Puglia, ora in corso di recupero, destinata a sede del Dipartimento diEconomia.

La palestra-piscina ex GIL di via Ammiraglio da Zara, assegnata in como-dato gratuito dalla Regione Puglia, ora in corso di recupero, destinata a sededel Dipartimento di Economia.

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In questa strategia, occupa un posto per più versicentrale (dal punto di vista tanto topografico quantofunzionale) l’acquisizione della Caserma Miale, sven-duta in maniera scandalosa nel 2005 e per la quale loStato continua a versare annualmente un canone di1.200.000 euro (oltre 3.000 euro al giorno pagati daicontribuenti!) per una struttura ormai quasi vuota e inprogressivo degrado: nelle prossime settimane è final-mente prevista la sottoscrizione dell’accordo di pro-gramma tra Regione Puglia e Ministero per la Coesioneper cui, vincendo anche i vari tentativi di acquisizionea fini speculativi da parte di privati, procederemo al-l’acquisto, restituendo alla città un monumento dalgrande significato simbolico.

Ecco come, con atti concreti, l’Università di Foggiaintende proporre una nuova idea di città, sollecitandola classe dirigente locale ed anche l’imprenditoria e so-prattutto i cittadini a progettare insieme un nuovo mo-dello urbano, che privilegi il rispetto della memoria,della cultura, della storia e della bellezza, contro la bu-limia del cemento e del progressivo e inarrestabile con-sumo di territorio. Voglio precisare, in conclusione, chequeste non sono scelte rubricabili come aspirazionipoetiche di anime belle, ma sono pezzi di un diversoprogetto di sviluppo. Avere una Università che crescein qualità e servizi, una Università che attrae iscritti daaltri territori, che favorisce la residenza di docenti estudenti, che blocca l’emigrazione verso altre sedi si-

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Veduta aerea della Caserma Miale e, a sinistra, dell’ex Tribunale, ora sededel Dipartimento di Giurisprudenza e di parte di quello di Economia (fotoMimmo Attademo).

La Caserma Miale, ex sede della Scuola di Polizia, in corso di acquisizioneda parte dell’Università di Foggia.

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gnifica favorire notevolmente la crescita dell’economiaurbana.

Inoltre dobbiamo definitivamente essere consapevoliche le città belle sono le uniche ad avere un futuro.Perché una città brutta, una città di cemento, una cittàsporca, una città incivile, non è accogliente né per chici è nato e per chi ci vive, che non vede l’ora di fuggire,né per chi si vorrebbe attrarre. Non si tratta più diun’opzione, ma, a mio parere, di una necessità: attuarepolitiche per potenziare la cultura, l’investimento nellearti, nella bellezza (uso volutamente questo termineun po’ desueto) delle città e delle campagne. Questa èuna vera rivoluzione produttiva oltre che culturale.

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VI DICO IO COSA MANCA AGLI OSPEDALI RIUNITI

La sanità in Puglia ha certamente numerosi problemie ancora molta strada da fare per diventare un sistemaefficiente capace di garantire elevati livelli di assistenzaa tutti i cittadini. La nostra Regione è sottoposta ad unduro Piano di rientro, che blocca i fondi e soprattuttoimpedisce nuove assunzioni anche a fronte di esigenzedrammatiche, che ormai colpiscono addirittura i servizidi Pronto Soccorso, oltre a limitare fortemente l’usodelle sale operatorie e di altri servizi essenziali. Le ra-gioni delle difficoltà attuali sono numerose e complessee le radici risalgono assai indietro nel tempo. Ma è pos-sibile conciliare la qualità e l’efficienza, con un controllorigoroso dei conti, un’assistenza di alto profilo per tuttie l’adozione di nuove tecnologie con i risparmi, la ridu-zione del numero di pugliesi che si rivolgono a strutturesanitarie di altre regioni con i tagli? Non è facile, non cisono bacchette magiche, ma certamente sono necessariescelte coraggiose.

Diamo un’occhiata alla situazione in Capitanata. La-sciamo da parte in questa sede le questioni legate agli

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sprechi e alla corruzione, che ovviamente vanno com-battuti con tutti gli strumenti possibili, e ragioniamosu alcuni aspetti del funzionamento del sistema. Sonoconvinto che anche in questo campo prevalgano posi-zioni assurdamente campaniliste, con la difesa di pri-vilegi e di rendite di posizione e un eccesso di retorica,tutta a danno dei reali interessi dei cittadini e della sa-lute che si dice di voler difendere. In questo territorio,oltre ad un ospedale privato di grande prestigio comeCasa Sollievo della Sofferenza, è attiva l’Azienda Uni-versitaria Ospedaliera Ospedali Riuniti, un grandeospedale che si sta dotando di nuove strutture ma chenon riesce a svolgere in modo compiuto la sua funzionedi secondo grande Policlinico di Puglia: basti pensareche, pur essendo ora disponibili le professionalità ne-cessarie e nuove sale operatorie, per la mancanza di al-cune attrezzature e soprattutto di infermieri e medici,in particolare anestesisti, non è ancora possibile effet-tuare trapianti e varie altre prestazioni chirurgiche emediche di altissimo livello. Ed ora addirittura sono arischio anche le prestazioni ‘ordinarie’. Gli OspedaliRiuniti, che – è bene ricordarlo – non sono solo l’ospe-dale di Foggia ma dell’intera Capitanata, dovrebberoessere un grande e moderno ospedale di insegnamento:qui si formano i medici e gli infermieri del futuro, si ef-fettua una ricerca di alto profilo (come ha recentementedimostrato il prestigioso riconoscimento ad un giovanericercatore, Gaetano Serviddio, mentre un altro nostroricercate, Luigi Di Biase, attualmente negli USA, è stato

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Vi dico io cosa manca agli Ospedali Riuniti 25

Vedute aeree dell’Azienza ospedaliera-Universitaria ‘Ospedali Riuniti diFoggia’, con varie nuove strutture in costruzione o ristrutturazione (fotoComando Provinciale Carabinieri, Foggia).

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Veduta aerea con in primo piano gli impianti sportivi del CUS Foggia e sulladestra gli Ospedali Riuniti (1) e la nuova sede della Facoltà di Medicina incostruzione (2) (foto Comando Provinciale Carabinieri, Foggia).

Cantiere della nuova sede della Facoltà di Medicina (maggio 2013).

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appena nominato associate professor in cardiologia aNew York; ma gli elementi di prestigio scientifico sonodavvero tantissimi). È bene sottolineare che competenzeelevate sono presenti tanto tra gli universitari quantotra gli ospedalieri, ma c’è chi ancora sobilla conflitti traqueste due componenti di un organismo unitario, chipropone duplicazioni insensate oltre che costose, chistraparla di presunte invasioni e valuta un medico sullabase del certificato di nascita (che credo nessun pazientechiederebbe al suo medico come garanzia di qualitàfacendo il suo ingresso in sala operatoria) più che sullereali competenze cliniche e scientifiche.

Tutti gli addetti ai lavori (se sorretti da un minimodi onestà intellettuale) sanno bene che questi due grandiospedali sarebbero in realtà in grado da soli di soddi-sfare tutte le esigenze di posti letto della provincia, manon si ha il coraggio di affermare questa semplice anchese impopolare verità. Un ospedale oggi è un sistemaintegrato complesso e soprattutto è inconcepibile senzaaltissime professionalità e tecnologie di avanguardia.Al contrario si continuano a difendere piccoli ospedalidi paese, nei quali si moltiplicano gli stessi reparti, lestesse prestazioni, al posto dei quali sarebbero moltopiù necessari poliambulatori e strutture sanitarie terri-toriali alternative al ricovero ospedaliero (spesso inap-propriato), poste realmente al servizio dei cittadini. E,in tal modo, si accresce il numero di quanti si rivolgonoad importanti ospedali di altre regioni, prevalentementeal Nord, con costi enormi per la sanità pugliese. È una

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vera assurdità, accertata e ben nota, ma certa politicalocale continua a difendere piccoli e grandi interessi eprivilegi locali, cavalcando le proteste e sobillando leposizioni di certo sindacalismo corporativo, in realtàdifendendo, più che gli interessi reali della salute deicittadini, i propri interessi clientelari e i privilegi di pri-mari, medici e infermieri (indisponibili a spostarsi an-che di pochi chilometri per svolgere le proprie funzioniin grandi strutture ospedaliere). Così si crea il paradossoche in alcuni attuali ospedali assai poco utilizzati – neiquali spesso si effettuano ricoveri quasi solo per dimo-strare una qualche attività – si registra un esubero dipersonale, mentre si è ormai al collasso nel Policlinicodi Capitanata, dove non si è ancora in grado di attivarestrutture essenziali, come ad esempio quella di chi-rurgia vascolare o di cardiochirurgia. Questi stessi di-fensori ad oltranza di piccoli ospedali di provincia, incaso di bisogno per se stessi o parenti, non esitano,ovviamente, a ricorrere agli ospedali principali, anchefuori regione, mentre al semplice cittadino si lascianoservizi sanitari di basso profilo. Pochissimi ospedalidi alto livello e servizi sanitari territoriali efficienti ediffusi: ecco la soluzione che coniuga efficienza e rigoredei conti, contro ogni becera logica populista e cam-panilista.

La stessa logica che mi ha portato – mi si scuserà unriferimento ‘personale’ ad altro ambito – per il benestesso degli studenti, a disporre la chiusura delle variesedi universitarie diffuse in alcuni centri della provincia,

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che in nulla assicuravano un livello universitario mi-nimamente decente: chiusura che ha garantito anchesignificativi risparmi per le magre finanze dei Comuniinteressati. Scelte, queste, effettuate sulla base di valu-tazioni strategiche, ben prima di essere obbligati dallacrisi e dai tagli.

Ecco un altro obiettivo strategico dell’Università aFoggia: contribuire a garantire una sanità di migliorequalità, più innovativa, più tecnologica, realmente alservizio non di interessi particolari ma di tutti i cittadini.

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PERCHÉ NON POSSIAMO NON SENTIRCI PUGLIESI

Brutti sporchi e cattivi. I meridionali sono italiani? è iltitolo di un saggio di Giovanni Valentini, giornalistade La Repubblica ed ex direttore de L’Espresso, che stoleggendo in questi giorni e sul quale conto di tornareancora su queste pagine. Un atto d’amore per il Sud,per l’Italia, per l’Europa, lo definisce l’autore. È unalettura utile, come altre, per chi voglia studiare e impe-gnarsi per un Sud diverso e migliore, per chi ami ilSud senza condividerne difetti ed errori, guardandosibene dalle facili derive populistiche o da certe sirenesecessionistiche sudiste e neoborboniche. Come giusta-mente scrive Valentini «l’amore non può essere cieco …,non m’impedisce di vedere anche le debolezze, i difetti, i vizi,le colpe dei miei ‘conterroni’».

Ed ecco un bell’esempio di difetti e vizi indicato daValentini nelle prime pagine del libro: le false pensionidi invalidità. In Puglia si concentra il 50% dell’interocontenzioso nazionale, con un record di falsi invalidi,truffe, denunce, avvocati e medici compiacenti, fortiinteressi della malavita organizzata. Nella sola Foggia

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è pendente il 15% dell’intero contenzioso dell’Inps, concirca 30.000 falsi braccianti. Generalmente non si trattadi contadini bisognosi ma di manovali della criminalitàorganizzata al soldo dei clan. Un avvocato è arrivatoad accumulare da solo parcelle per oltre dieci milionidi euro per le cause contro l’Inps.

Il problema è complesso, risale molto indietro neltempo, i dati non sono del tutto attendibili, ma questoè certamente uno dei tanti esempi possibili di quel com-promesso che a lungo è stato accettato e sostenuto daicittadini e dalle classi dirigenti meridionali: assisten-zialismo e clientelismo al Sud al posto di investimentistrutturali e di servizi (realizzati invece al Nord).Esempi analoghi potrebbero essere indicati nella sanità,nella gestione dei rifiuti, nelle politiche industriali, nellapubblica amministrazione, ecc. Combattere queste aber-razioni, il cui peso grava sui tanti cittadini onesti, ènon solo necessario ma possibile: nell’esempio degliinvalidi, basterebbe effettuare controlli serrati e scien-tificamente rigorosi, come ha recentemente propostol’Università di Foggia per migliorare l’attività dellecommis- sioni di invalidità (la cui redditizia partecipa-zione è assai ambita nel sottogoverno locale), abbat-tendone gli enormi costi ed eliminandone la gestionespesso clientelare, mediante la creazione di pochi qua-lificati servizi di medicina legale all’interno del sistemasanitario regionale in stretta collaborazione con ilmondo universitario. È solo un piccolo esempio.

Ma potremmo citare molti altri casi di serietà e di

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rigore, che i giornali nazionali si guardano bene dal se-gnalare. Ho scovato nella rete qualche giorno fa un do-cumento passato del tutto inosservato, elaborato daldott. Enrico Bondi, pubblicato solo da Milano Finanza esubito occultato, riguardante una ipotesi di spendingreview delle Università. Il documento top secret è statoimmediatamente ritirato dopo le accese proteste delleUniversità più colpite, quasi tutte settentrionali. Comeho già detto, sono convinto che quel provvedimentopunitivo sia assolutamente sbagliato ed è stato un beneche sia stato immediatamente ritirato. Ne siamo felici,perché riteniamo assurdo continuare a colpire il sistemauniversitario. Ne siamo felici anche per quelle Univer-sità che sarebbero state più colpite da questo ingiustoprovvedimento. È, comunque, interessante visionare ildocumento predisposto dal dott. Bondi, perché da essoemerge una graduatoria diversa da quelle spesso spa-rate nelle prime pagine di certi giornali. Milano Finanzaannota: «Come si vede dalla tabella pubblicata in questa pa-gina la classifica delle università più spendaccione vede aiprimi posti gli atenei settentrionali e i politecnici. ... Al con-trario, sempre seguendo il metodo della spending review, ipiù virtuosi risultano essere i grandi atenei generalisti delMezzogiorno». Nella lista di Bondi per l’Università diFoggia sarebbe stato previsto un taglio solo del 1,1%(risultando in termini assoluti l’Università più ‘vir-tuosa’), mentre a molti atenei settentrionali sarebberostati inflitti tagli tra il 20 e il 30%, fino ad un massimodi addirittura il 60% del finanziamento statale. Fortu-

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natamente così non sarà: resta la consolazione di poterdimostrare come al Sud, dove si è campioni nell’operarein una sistematica condizione di scarsità di risorse, laspending review è stata una pratica adottata ben primache la inventassero Monti e Bondi.

Ma torniamo un attimo alla domanda (retorica) diValentini: i meridionali sono italiani? E poniamoci un’altradomanda (retorica): i foggiani sono pugliesi? Uno dei ri-tornelli più ricorrenti e fastidiosi consiste, infatti, nellalamentazione locale contro Bari matrigna e contro i ba-resi invasori, con proposte assurde di Moldaunie e dialtre fantasiose secessioni evidentemente sostenute piùdal motto beati monoculi in terra caecorum che da unqualche progetto politico, economico e culturale. È lastessa logica del ‘meglio di niente’, della sufficienzacome filosofia di vita, dell’autoattribuzione di un’ec-cellenza e di un talento spesso tutti da dimostrare, delrifiuto del confronto con altre realtà più avanzate.

Trovo questa fuga dalla Puglia non solo inaccettabiledal punto di vista storico e culturale (è quasi ovvio perun archeologo, che, nato in un paese del barese, ha vis-suto per anni a Bari, a Roma e a Teramo, prima di sce-gliere di vivere e lavorare a Foggia) ma profondamentedannosa soprattutto dal punto di vista politico, econo-mico e sociale. Limitiamoci in questa sede all’aspettostorico-culturale: quest’area è ed è stata sempre parteintegrante di quel territorio che oggi chiamiamo Puglia.Se, infatti, la definizione degli attuali confini regionaliè fenomeno alquanto recente, la nascita e il consolidarsi

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Un esempio della ricchezza dell’Apulia in età romana e tardoantica: la villadi Faragola in corso di scavo da parte dell’Università di Foggia e una rico-struzione virtuale della sala da pranzo estiva della villa (elaborazione Labo-ratorio Archeologia Digitale, Unifg).

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di una vera e propria identità regionale sono invecel’esito di un processo di lunghissima durata, affermatosinegli ultimi tre secoli, ma risalente molto indietro neltempo, addirittura fino all’epoca dell’unico originarioceppo iapigio, articolato nelle tre componenti di Daunia,Peucezia e Messapia. La denominazione Apulia, cheoggi in maniera un po’ semplicistica si usa per definirel’intera regione, indicava in realtà in età romana la partecentro-settentrionale della regione, cioè sostanzialmentela precedente Daunia e la successiva Capitanata. Se-condo il geografo Strabone, anzi, gli ‘Apuli propria-mente detti’ erano gli abitanti della parte settentrionaledella Daunia e del Gargano. Ci sono stati periodi, comel’età romana e in particolare quella tardoantica (IV-VIsec. d.C.), durante i quali questo territorio ha costituitola parte più ricca e vitale dell’intera regione. Una posi-zione di rilievo vissuta anche in alcuni momenti delMedioevo e dell’età moderna, che non si comprendeper quale motivo non possa tornare a conquistare. Que-ste non sono solo motivazioni storiche e archeologiche,relative al passato. Sono quelle radici profonde di unterritorio necessarie per l’elaborazione di un solido econsapevole progetto di futuro. Un progetto che ri-chiede competenze provate, la capacità e la creativitàprogettuale, il rigore etico e l’affermazione della legalitàad ogni livello, la volontà di selezionare una classe di-rigente migliore, la difesa degli interessi generali; unprogetto che, al tempo stesso, abbandoni definitiva-mente le logiche del clientelismo, del familismo e del

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favoritismo, della corruzione e della promozione dellamediocrità, della chiusura in se stessi. Se Bari o Lecceraccolgono maggiori risultati, se elaborano più progettivincenti, se risultano culturalmente più dinamiche, seesprimono una classe imprenditoriale, professionale epolitica (relativamente) più colta e capace, la soluzionenon sta nello scaricare le responsabilità sugli altri, nelpiangersi addosso, nel lamentarsi con il ‘destino cinicoe baro’, nel privilegiare scorciatoie di basso profilo.

«Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato adamarla. Perché il vero amore consiste nell’amare ciò che nonci piace per poterlo cambiare», ha sostenuto un grande si-ciliano e un grande italiano come Paolo Borsellino. Unascelta che dovremmo fare nostra per Foggia, la Capita-nata, la Puglia.

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VALENTINI E IL CORAGGIO DEL CAMBIAMENTO NEL NUOVO SUD

Questa sera (11 ottobre 2012) presso la FondazioneBanca del Monte si presenta il libro di Giovanni Valen-tini, Brutti sporchi e cattivi. I meridionali sono italiani?, unlibro al quale ho già fatto riferimento nel mio prece-dente intervento. Gli spunti di riflessione in questolibro sono numerosi, tanto nella denuncia dei tanti di-fetti, dei limiti, degli sprechi, della malasanità malatadi politica, degli abusi edilizi e del consumo di territo-rio, dell’illegalità diffusa e delle mafie, quanto nella se-gnalazione e valorizzazione delle tante opportunità epotenzialità più o meno inespresse, dei segnali positividi cambiamento.

Tra questi, mi preme sottolineare il tema della for-mazione e della ricerca.

Valentini illustra un catastrofico rischio che sta perabbattersi sul Sud: lo tsunami demografico, secondol’efficace definizione di Luca Bianchi della Svimez. «IlSud è destinato a perdere circa due milioni e mezzo digiovani, per calo della natalità o perché costretti a emi-grare al Nord non per scelta o preferenza, ma per ne-

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cessità». Il Sud da terra di giovani e di intelligenze ri-schia di trasformarsi in un ‘ospizio virtuale’, con unnumero di ultraottantenni di gran lunga superiore aquello del Nord. Si riduce il numero degli iscritti alleUniversità (60,9% dei diplomati rispetto alla media na-zionale del 64,6%) e il Sud conferma di avere il minornumero di laureati con un misero 15,6% rispetto allamedia italiana del 22,4 ed europea del 33,6. In questoquadro preoccupante, l’unica nota positiva viene for-nita, anche in questo caso, dalle donne: si è elevato sen-sibilmente il tasso di scolarizzazione delle ragazze me-ridionali, dall’85,1% del 2000-01 al 93,9% del 2008-09,più alto di un punto rispetto alla media nazionale del92,9%. E le donne meridionali laureate, in un’età com-presa tra 30 e 34 anni, rappresentano il 18,9%, con unapercentuale superiore alla componente maschile(12,3%), che, anche se ancora inferiore al 27,1% delledonne nel resto del Paese ed anche alla media com-plessiva italiana (19,8%), segna uno straordinario balzoin avanti rispetto al passato.

Segnalo questi dati soprattutto per denunciarequanto sta accadendo nel nostro Paese da alcuni annie in particolare in questa fase di Governo tecnico: unprocesso sistematico di smantellamento del sistemauniversitario pubblico, per affermare un modello, ba-sato, da un lato, su poche Università pubbliche e privatee su Politecnici di qualità, al Nord, e una serie di Uni-versità minori, dall’altro, al Sud. Condannare le Uni-versità meridionali alla marginalità, ad una sorta di li-

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cealizzazione, o, in alcuni casi, anche alla chiusura, si-gnifica privare il Sud forse dell’unica arma a disposi-zione per tentare un rilancio.

Immaginiamo cosa sarebbe oggi la Capitanata senzal’Università di Foggia. Mi permetto di fornire qualchedato. Limitandomi solo al 2010 (AlmaLaurea), faccionotare che il 66% dei nostri laureati è costituito dadonne rispetto alla media italiana del 60%. Su circa cin-quantamila giovani di Capitanata iscritti all’Universitàsono quasi quindicimila quelli che scelgono altre sediin altre regioni: un flusso che comporta anche un flussodi soldi (oltre centocinquanta milioni di euro l’anno)che le famiglie foggiane destinano ad altri territori.L’Università di Foggia cerca di interrompere questaemorragia, per consentire anche ai ragazzi appartenentia famiglie disagiate di poter accedere a quegli studiuniversitari che altrimenti sarebbero loro preclusi. Edecco, infine, un dato che a me, ogni volta, preme sotto-lineare, perché lo considero emblematico per compren-dere il ruolo che l’Università svolge e deve svolgerenel processo di crescita complessiva della realtà locale.La Provincia di Foggia, prima della nascita dell’Uni-versità di Foggia, aveva la percentuale più bassa ri-spetto a tutte le altre province italiane nel rapporto lau-reati-popolazione lavorativa. Nel corso di questi ultimianni abbiamo riequilibrato il rapporto per lo menonella fascia dei giovani tra i 18 e i 25 anni e siamo rien-trati nella media italiana. Infine, due dati relativi allaprovenienza sociale dei nostri laureati: il 34% appar-

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tiene alla classe operaia, rispetto al 24,2% dell’Italia;l’84% dei nostri laureati proviene da famiglie in cui igenitori non sono laureati, ma sono al massimo diplo-mati o sono privi del tutto di un titolo di studio. È inatto, cioè, una vera rivoluzione sociale.

Tutto questo accade in una situazione di sottofinan-ziamento e di profonda sperequazione, oltre che di og-gettiva difficoltà per il contesto economico-sociale.

Il nuovo meccanismo introdotto dal ministro Pro-fumo per distinguere le Università ‘virtuose’ da quellenon dotate di una virtù misurata solo con il parametroeconomico-finaziario, regolarizza, per così dire, la spe-requazione. Si fissa, infatti, all’80% il rapporto massimotra le spese per il personale e le entrate, costituite dalfinanziamento statale (FFO-Fondo di FinanziamentoOrdinario) e dalle tasse studentesche. Ora, bisogna sa-pere che lo Stato finanzia in maniera molto diversificatale varie Università, quasi ci siano studenti di serie A,B, C. Si registra, infatti, un’oscillazione tra un massimodi € 6.485 per studente ad un minimo di € 2.209: la no-stra Università si pone nella parte bassa della lista con€ 3.648 per studente. La media italiana è pari a € 4.306.Al Nord è di € 4.580, al Centro è € 4.504, al Sud e nelleIsole € 3.857. Tra le 23 Università che ricevono unaquota/studente superiore alla media nazionale solo 2sono meridionali, mentre tra le 19 Università che rice-vono meno di € 4.000 per studente solo una è setten-trionale.

A ciò si aggiunga che le tasse studentesche nelle

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Università meridionali sono decisamente più basse.Quelle della nostra Università sono tra le più bassed’Italia, nonostante mi sia assunto alcuni anni fa l’onereimpopolare di rivedere la tassazione, in modo da ga-rantire il raddoppio delle entrate nel giro di alcuni anni.Il costo massimo è pari a € 1.000 per gli studenti piùricchi e meno capaci, mentre la media è ora di circa €560 annui (di gran lunga inferiore alla media italianadi circa € 1.000 ed anche alla media delle Universitàmeridionali di € 650 – dati 2009 –, con picchi di oltre €2.000 in molte Università statali italiane, per non parlaredelle private).

Bisogna, inoltre, considerare l’alto numero di stu-denti del tutto esonerati – e, sottolineo, giustamente –perché appartenenti a famiglie con basso reddito: aquesti studenti esonerati – a Foggia sono 1600! –, chedunque non pagano un solo euro di tasse, l’Universitàdeve ovviamente garantire gli stessi servizi, senza ri-cevere né da loro né dallo Stato alcun contributo.

Con il nuovo sistema questa sperequazione vienelegittimata: pertanto le Università con una tassazionealta avranno un migliore rapporto tra entrate e speseper il personale e saranno considerate ‘virtuose’, mentrele Università, come quella di Foggia, con tasse basse,saranno condannate definitivamente. È evidente che ilGoverno voglia costringere le Università ad un au-mento generalizzato delle tasse, proseguendo in unapolitica di progressivo disimpegno pubblico: questodeve essere ben chiaro a tutti. Trovo questa politica

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assai dannosa e ingiusta e intravedo il rischio di unafuoriuscita dalle Università di molti studenti prove-nienti da famiglie in difficoltà economiche.

In tali condizioni, è evidente come la famosa compe-titività, la tanto declamata concorrenza, sia fatta con armicompletamente diverse. È come se un atleta, che si allenisu piste precarie, e, in più, sia appesantito con una za-vorra di piombo, possa competere con un atleta ben al-lenato, e magari anche un bel po’ dopato, dotato di at-trezzature d’ultima generazione e con ricchi sponsor!Ecco perché considero inaffidabili, oltre che inique, certegraduatorie del Sole 24 Ore o del Censis-Repubblica.

Denunciare queste ingiustizie non significa affattolamentarsi. Significa solo chiedere pari opportunità euna vera valutazione. Sono, infatti, pienamente d’ac-cordo con Valentini quando dice che «oggi i ‘terroni’devono trovare la dignità e la forza di dire a gran voce‘il Sud siamo noi’, con l’orgoglio e la fierezza delle pro-prie radici, senza rifugiarsi nelle lamentele, nelle recri-minazioni più o meno consolatorie, negli alibi indivi-duali e collettivi». Noi conosciamo bene i nostri limitied anche le nostre potenzialità. Chiediamo solo il dirittodi essere criticati quando sbagliamo, ma incoraggiati esostenuti quando mostriamo il coraggio del cambia-mento, quando costruiamo con fatica frammenti di unnuovo Sud, quando scriviamo pagine di legalità, ditrasparenza e di merito in democrazia.

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CLASSE DIRIGENTE, COME EVITARE DI SCEGLIERE IL PEGGIO

Sono comparsi in città manifesti tre per sei con varimessaggi ispirati alla promozione di un maggior sensocivico. Mostrano scene di sporcizia diffusa, cassonettidebordanti e cumuli di spazzatura, parcheggi in doppiafila, scippi.

Sono manifesti efficaci ed anonimi, se si esclude lapresenza di un simbolo raffigurante un occhio. Ignorochi li abbia commissionati. Non si tratta certamente dienti pubblici, di fondazioni o di associazioni beneficheo di volontariato. Spero solo che non sia un sistema dicomunicazione efficace, che, sfruttando un messaggiomolto sentito dalla parte migliore della cittadinanza,celi in realtà ambizioni politiche di un singolo o di ungruppo, magari con l’intento di riciclarsi e di rifarsi unaverginità, della vecchia classe politica, più o meno ma-scherata, la stessa che è all’origine di quelle immaginidi degrado urbano, sociale, culturale.

Su quei manifesti potrebbero essere rappresentatemolte altre scene di inciviltà: parcheggi abusivi, trafficoe guida spericolata, motociclisti senza casco, parchi e

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giardini devastati, spazi e strutture pubbliche maltrat-tati. Ognuno di noi ha la sua lista, che aggiorna quoti-dianamente.

Chi scrive ha deciso di vivere nel centro storico diFoggia e potrebbe stilare un lungo elenco di casi, alconfine tra scarso senso civico e micro delinquenza. Gi-rando per la città capita a tutti di cogliere segnali di im-barbarimento diffuso, di violenza verbale, di litigiositàgratuita, di degrado comportamentale: vari tentativi difurto e atti vandalici a danno dell’auto (vetri sfondati oserrature divelte solo per rubare la batteria o la ruotascorta!), parcheggi selvaggi imposti con arroganza an-che in presenza di posti liberi nelle zone riservate, senzaun criterio che non sia quello di tenere la propria autoincollata alla porta di casa, litigi rumorosi con vicini,musica assordante diffusa dalle auto parcheggiate inappendice all’abitazione, bottiglie di birra o di altre be-vande acquistate nei chiassosi bar e nei pub che hannoinvaso il centro storico e abbandonate dappertutto, so-prattutto nelle ‘fioriere’, in questi giorni utilizzate daragazzi e anche da bambini per far esplodere all’internopiccole bombe che spargono vetri dappertutto, con esitipericolosissimi per loro stessi e per gli altri frequentatoridella piazza. Per non parlare dei cassonetti debordantie soprattutto del deposito degli oggetti più vari, daicartoni e imballaggi abbandonati dai gestori dei bar epub di cui sopra, a elementi vari di arredo domesticoed elettrodomestici. Giorni fa un frigorifero abbando-nato più o meno nei pressi di un cassonetto, non saprei

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Classe dirigente, come evitare di scegliere il peggio 47

Un esempio di degrado e di inciviltà urbana: Parco San Felice in stato di ab-bandono (estate 2012).

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Un esempio di stupidità urbana: scritte sui muri del Dipartimento di StudiUmanistici realizzate pochi giorni dopo la fine dei lavori di recupero dell’edi-ficio storico.

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se per equilibrio instabile o perché spinto da un passantein cerca di facile divertimento, ha ammaccato pesante-mente la mia auto! A pensarci bene, dovrei, però, iostesso autodenunciarmi: ogni giorno infatti mi indignoe al tempo stesso mi vergogno perché, dopo aver fattoin casa una raccolta differenziata (per abitudine e pernon cedere alla rassegnazione), deposito le varie bustecon plastica, vetro, carta nello stesso cassonetto, accom-pagnate normalmente da un’imprecazione; per salvarmila coscienza poi, quando posso, riempio il bagagliaiodi questi sacchetti che scarico nei cassonetti della rac-colta differenziata di altre città, spesso a Bari o nel miopaese di origine. Qualche giorno fa ho segnalato alcunescritte comparse sui muri freschi di intonaco e pitturadella nuova sede del Dipartimento di Studi Umanistici,gli ex Ospedali di via Arpi, e tempo fa avevo denunciatola pessima abitudine degli studenti di gettare cicche disigarette, bottigliette e cartacce dai balconi nella corteinterna o le scritte comparse sui banchi appena sistematinelle aule. Anche nell’Università, nel luogo della culturae dell’alta formazione, può manifestarsi lo scarso ri-spetto di beni comuni, che proprio gli studenti dovreb-bero per primi difendere?

Che fare? Rassegnarsi al dato ‘antropologico’ o ad-dirittura ‘biologico’, immutabile e immodificabile, delmeridionale, del foggiano, privo di senso civico? Cer-tamente no.

Un maggior controllo pubblico è indispensabile, edanche una sana repressione, quando serve. Le multe

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non devono servire solo a fare cassa, ma anche a incul-care forzosamente comportamenti più corretti. Mi è ca-pitato a volta di notare vigili urbani (quando ci sono)quasi distratti, o anche loro rassegnati, di fronte adesempi di microillegalità o di scarso senso civico: hodovuto segnalare loro alcune macchine parcheggiatescorrettamente o addirittura la presenza di un’autosenza pneumatici abbandonata da mesi oppure chiederel’intervento per rumori molesti o altre amenità varie.Bisogna denunciare tali violazioni e richiamare le au-torità al rispetto delle loro funzioni di controllo, anchea costo di passare per rompiscatole.

Ma anche questo non basta. Serve un’azione educativacontinua, permanente, dalla scuola materna in poi.Solo investendo nella cultura, nelle arti, nella formazione,nella scuola, solo con una crescita culturale complessivasi potranno apportare cambiamenti significativi.

E ancora. Serve una cittadinanza attiva, serve la co-munità, serve il senso di appartenenza. Perché da noideve essere normale tollerare acriticamente e con in-differenza il cittadino che sporca, il collega assenteista,l’incapace e nullafacente raccomandato, il dipendenteche esce a fare la spesa durante le ore di lavoro, il falsoinvalido, pensando magari che sia più furbo, che cosìsi fa per andare avanti? Perché non si ha il coraggio diribellarsi e di denunciare?

E serve l’esempio. Perché il meridionale ‘antropolo-gicamente e biologicamente incivile’ nel momento incui si sposta in un’altra città modifica le sue abitudini,

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si adatta a modi di vita diversi (e nel peggiore dei casi,finisce addirittura per assumere atteggiamenti razzisticinei confronti della sua comunità di origine?). Mi è ca-pitato in una città con milioni di abitanti nella quale èopera ardua o quasi impossibile vedere una cartacciaper strada, nella quale esistono rare piccole énclavesall’aperto riservate esclusivamente ai fumatori, vedereun amico fumatore arrossire di vergogna quando di-strattamente ha gettato la cicca a terra e una signora,senza dire una parola, ma con atteggiamento disgustato,si è fermata a raccoglierla e l’ha gettata in un cestino.

Serve innanzitutto l’esempio di chi ha responsabilitàdi governo, ad ogni livello. Sarà una posizione un po’retrò (quindi forse, secondo certa ideologia nuovista,già da rottamare?), ma continuo a credere nel valorepedagogico dell’esempio quotidiano di chi ha compitidi responsabilità. È un fatto di credibilità. Come puòsollecitare il senso civico, chi occupa una posizione dipotere solo per favorire se stesso e il proprio gruppo,chi dimostra manifesta incapacità, chi non è dotato diuna limpida etica pubblica e privata, chi assume amicie parenti, chi cura solo le clientele, chi dispensa favoriinvece di garantire diritti?

Il grande meridionalista Gaetano Salvemini facevanotare come al suo tempo la classe dirigente rappre-sentasse per il 20% il meglio della società, per il 20% ilpeggio e per il restante 60% rispecchiasse esattamentela società. Oggi certamente il 20% in alto si è assottigliatodi molto e il 20% in basso si è visibilmente ingrossato,

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ma resta confermato che la parte prevalente della classepolitica è specchio fedele della società. C’è chi sostieneche anche i condannati in via definitiva possano sederein Parlamento: evidentemente in tal modo si dà rap-presentanza a quella parte di società costituita dallemafie e da varie forme di delinquenza. Del resto 27.000persone hanno espresso la loro preferenza per Fiorito eanche per evitare un lungo elenco è meglio non indicarei tanti eletti con migliaia di voti, anche in questa città ein questo territorio, pur trattandosi di persone notoria-mente incolte, in lotta continua con la lingua italiana e,cosa più importante, prive di idee e di ideali, incapacie/o corrotte, espressione di precisi gruppi di potere edi interesse economico, se non addirittura di clan ma-lavitosi.

Ebbene, in un momento tragico come questo, unmomento da ‘fine dell’impero romano’ (con la diffe-renza essenziale rispetto a millecinquecento anni fa chein questo caso i barbari sono all’interno dei confini,sono tra noi, spesso sono al potere), l’unica speranzasta nel fare crescere di molto, con le scelte dei cittadini,quel 20% espressione della società migliore. Sarà così?O i cittadini sceglieranno il peggio, salvo poi lamentar-sene?

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IL VALORE (ANCHE) CULTURALE DEL PATRIMONIO CULTURALE

Oggi (25 ottobre2012) sono ospite dell’Universitàdell’Aquila, invitato per tenere la prolusione in occa-sione dell’inaugurazione della nuova sede del Diparti-mento di Scienze Umane. Considero una notizia stra-ordinaria l’inaugurazione di una nuova sedeuniversitaria in una città colpita dal tragico terremotoed in particolare di una sede degli studi umanistici, unanuova casa della cultura, della formazione, della ricerca.È un segnale forte quello che viene dall’Aquila: unacittà si ricostruisce, torna a vivere con la cultura, recu-perando il centro storico, contro l’assurda filosofia dellenew towns. Qualche giorno fa si è inaugurato un Audi-torium progettato da Renzo Piano. Oggi è la volta delDipartimento di Scienze Umane.

La popolazione del Friuli dopo il terremoto del 1976volle fortemente, autotassandosi, tra le prime iniziativedella ricostruzione, istituire l’Università di Udine, cheoggi è il principale motore di sviluppo di quella regione.Ed anche in Basilicata all’indomani del terremoto del1980 si creò un’Università: è oggi l’unica realizzazione

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post-sismica sopravvissuta e in piena attività, le altresono tutte fallite.

Credo che possa essere utile proporre anche ai lettorialcuni stralci della mia prolusione, dedicata in partico-lare al ruolo dell’Università e delle scienze umane peril territorio.

Le domande potrebbero essere tante, a partire dauna fondamentale: serve oggi la ricerca umanistica? Ese serve, a chi serve? E chi può valutarla e sulla base diquali criteri? E cosa sono esattamente le scienze umanee sociali?

La ricerca umanistica in Italia conta su una lungagloriosa tradizione, rappresenta un vero primato italianoin tutti i campi, da quello filologico-letterario a quellofilosofico, storico, artistico, archeologico, pedagogico,sociologico, giuridico, ecc. Non c’è dubbio che nelmondo l’Italia sia considerata una delle patrie della cul-tura e delle arti e degli studi umanistici. Eppure questoampio e articolato settore scientifico è oggi fortementepenalizzato nel suo insieme. È diffuso un pregiudizio:che la ricerca coincida innanzitutto e quasi esclusiva-mente con le scienze cd. esatte e le tecnologie. Tale pre-giudizio si concretizza in numerosi interventi di naturapolitica e finanziaria: dalla sempre maggiore scarsità difinanziamenti alla quasi totale esclusione dai principaliprogetti europei, dalla spinta sempre più forte versostrategie autonome di ricerca di finanziamenti nel settoreprivato, che certamente privilegia discipline più facil-mente ‘monetizzabili’, alla definizione dei criteri pre-

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posti alla valutazione. Nel momento in cui le scienzeumane sono rappresentate e sentite come inutili (e bastiricordare la nota, indigesta, battuta di un autorevoleministro del recente passato sull’impossibilità di man-giare con la cultura o le assurde polemiche leghiste peri finanziamenti destinati a quelle ‘quattro pietre di Pom-pei’, che – si badi bene - rappresentano solo la punta diun iceberg la cui base è molto più ampia nella societàitaliana e occidentale), il rischio di marginalizzazionesociale è assai forte. La contrapposizione tra le due cul-ture, affrontata già negli anni Cinquanta da CharlesPercy Snow, è, a mio parere, non solo sterile ma anchepericolosa e improduttiva, oltre ad essere una dellecause (e comunque uno degli effetti) del disagio che vi-viamo.

Un grande intellettuale come Umberto Eco ha de-nunciato «questa politica [che] deprime le facoltà umanistiche,mette in discussione lo sviluppo armonico dei saperi e conse-gna il paese a una nuova forma di barbarie e dipendenza co-loniale».

Facciamo l’esempio dei beni culturali, da anni al cen-tro del tema del rapporto tra economia e cultura. Si ri-pete spesso che il patrimonio culturale sia anche unarisorsa economica. È vero, è innegabile. Ne sono con-vinto anch’io. Questa affermazione è però insufficientee impropria, se contrapposta al valore della cultura insé, cioè ad un valore immateriale, in mancanza del qualetutto perde valore. In questo senso dovremmo intendercisul significato di valorizzazione, parola che dovremmo

Il valore (anche) culturale del patrimonio culturale 55

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liberare da due opposti: che sia un sinonimo rozzo esbrigativo di mercificazione o che con essa, al contrario,si produca la perdita della presunta purezza della cul-tura.

La valorizzazione del patrimonio culturale, infatti,può e deve certamente contribuire ad accrescere ancheil livello economico di una comunità, ma le ricaduteche un museo, un parco archeologico, un archivio o unabiblioteca possono avere sono diverse e ben più ‘remu-nerative’ rispetto ad una malintesa visione mercantili-stica del bene culturale, come hanno compreso anche ipiù avvertiti economisti della cultura. Bisognerebbe, alcontrario, valutare ed anche quantificare i vantaggi intermini di miglioramento del benessere e della qualitàdella vita, intesa come crescita culturale e civile, comeaffermazione di una matura ‘coscienza di luogo’, comestimolo alla conoscenza della propria storia, come con-solidamento dell’identità culturale della comunità lo-cale, come apertura verso orizzonti culturali altri.

Un bravo economista come Massimo Montella ci ri-corda che valorizzare il nostro patrimonio consiste nelfare in modo che «il valore dei documenti di storiavenga percepito quanto meglio da quante più personepossibili». Questo deve essere un impegno dell’interomondo delle scienze umane, trasformando la propriaattività di conoscenza in un’operazione culturale col-lettiva, cioè in un impegno civile. Dobbiamo tornare acomunicare, a saper raccontare, ad esprimere una verapassione comunicativa e civile, interrompendo la lunga

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separazione fra ricerca e pubblico, senza cadere neces-sariamente nel volgare uso pubblico della storia, anzicontribuendo ad evitare questo rischio che anche l’Italiaha conosciuto nel suo recente passato

Abbandonando la bieca retorica della cultura e delpatrimonio culturale sempre sbandierato nei media enei discorsi di certa politica, è necessario affermare a li-vello sociale la convinzione che l’investimento in culturaè una delle ancore di salvezza per il nostro Paese, altri-menti destinato ad una triste inesorabile retrocessionesenza futuro.

Il patrimonio culturale non appartiene né agli stu-diosi né ai professionisti della tutela: è un bene comune.Allo stesso modo il passato appartiene a tutti. Come hasottolineato Daniele Manacorda, non esiste un solo pas-sato buono per tutti, anche perché, lo abbiamo imparatoda tempo, la storia del passato si fa sempre nel presente.Ecco perché per una conservazione delle testimonianzemateriali e immateriali del passato e per non perdere ilfilo di quella comprensione della realtà, senza la qualerischiamo di perdere la rotta, serve una percezione dif-fusa del loro valore.

Il patrimonio culturale è, come ci ricorda da anniSalvatore Settis «un dato essenziale dell’essere Italiani, che,come i gesti e la lingua, si trasmette e si radica senza che cene accorgiamo». Lo respiriamo, è intorno a noi, fa partedi noi. Ancor di più il paesaggio, vero e proprio museovivente dell’evoluzione culturale, palinsesto di paesaggi

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stratificati, patrimonio di immagini condivise da unacomunità.

Se devo pensare al futuro di Taranto e dell’intera Ita-lia, in particolare del Mezzogiorno, non riesco a pensareall’ILVA ma alla straordinaria bellezza del suo paesag-gio, pur violentato in questi anni, e ai suoi beni cultuali.Immagino cioè la capacità di applicare l’innovazionenon solo all’industria manifatturiera, la cui crisi appareirreversibile in un mondo in cui ci sarà sempre un luogoin cui il costo del lavoro e delle materie prime sarà piùbasso, ma anche e soprattutto al mondo della cultura edei beni culturali.

È questa una riflessione che può e deve riguardareanche Foggia e la Capitanata che solo nella cultura,nella formazione, nella valorizzazione dei beni culturalie del paesaggio, oltre che nell’agricoltura e nell’alimen-tazione di qualità, può costruire un futuro.

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LA TRASPARENZA PRIMA DI TUTTO

Domenica 21 ottobre 2012, il Corriere del Mezzogiornoha pubblicato un articolo di Michelangelo Borrillo che,prendendo le mosse dal ben noto caso della retribuzionedel segretario della Camera di Commercio di Foggia,ha analizzato la situazione dei manager più pagati diPuglia. In quella tabella ho trovato inserito, con miasomma meraviglia, anche il mio nome, posto addiritturanella parte alta della classifica. Ci sono voluti pochi se-condi per capire l’errore, perché la cifra riportata, inmaniera estremamente scorretta, indicava, peraltro sba-gliata nell’importo, l’intero mio reddito personale.

Ho contattato l’autore dell’articolo per chiedere spie-gazioni e anche per contestare il dato pubblicato e hopoi inviato, d’accordo con il giornalista, una nota direttifica al Direttore del giornale, con la richiesta di pub-blicazione. Il martedì successivo la mia nota non è statapubblicata, come pure mi era stato garantito, ma è com-parso un articolo relativo alle retribuzioni dei quattrorettori pugliesi, nel quale si riportava una mia dichia-razione stralciata dal mio testo. Approfitto quindi diquesto spazio, per tornare sull’argomento, non tanto

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per contestare la notizia giornalistica (cosa che ritengoinutile ed anche improduttiva, sapendo bene che unarettifica è una notizia data due volte) ma soprattuttoperché ho fatto della trasparenza, insieme al rigore etico,alla rispetto della legalità e alla valorizzazione del me-rito, la scelta della mia vita e del mio impegno univer-sitario, culturale e sociale, ed anche perché quell’articolocolpisce una scelta di massima trasparenza.

Ed è sul buon uso della trasparenza che vorrei sti-molare qualche riflessione.

Nella buona ricerca così come nella buona informa-zione è necessario acquisire e analizzare dati affidabilied anche comparabili. Il dato riportato nella tabella delCorriere è infatti profondamente sbagliato, perché,come ho detto, si riferisce al mio reddito complessivomesso a confronto con gli stipendi degli altri manager.

Ebbene, anche monsieur de La Palice capirebbe che,in questo caso, si sarebbe dovuto mettere a confronto ole retribuzioni o i redditi. Nel primo caso, si sarebbedovuto precisare che la mia indennità come rettore èpari a € 33.446,61, cioè a poco più di mille euro mensiliin busta paga, com’è chiaramente indicato nella sezionesulla Trasparenza del sito Unifg. Un compenso che,francamente, non mi sembra scandaloso per governareuna struttura con circa 800 dipendenti, 11.000 studenti,un bilancio complessivo di oltre 100 milioni annui. Nonso quanti manager pubblici e privati guadagnino cifresimili per occuparsi di strutture di pari complessità.Ovviamente, voglio chiarire che non mi lamento affatto,

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mi considero anzi un fortunato, appartenente ad unafascia alquanto benestante, a fronte di tante situazioniben più difficili e problematiche. Preciso che al mo-mento della mia nomina, molto prima cioè che altrovealtri cominciassero a realizzare piccole sforbiciate sulleindennità, abbiamo tagliato del 40% la mia e tutte leindennità di carica dell’Università e che, inoltre, graziealla recente riorganizzazione, abbiamo eliminato piùdi quaranta indennità di carica, tra presidi, direttori,consiglieri di amministrazione e senatori accademici,con un bel risparmio per il bilancio di ateneo.

Nel sito dell’Università ho voluto rendere pubblicanon solo la mia indennità, nel rispetto delle norme sullatrasparenza, ma anche la mia dichiarazione dei redditi(cosa non dovuta e, credo, caso unico o assai raro nelleUniversità italiane e nelle amministrazioni pubbliche eprivate), perché ritengo questo un dovere etico primaancora che istituzionale per chi abbia cariche di governo.Non mi sembra cosa da poco, se si considera che ancheil Ministero della Pubblica Amministrazione ha certifi-cato su 8.318 presìdi statali, solo un misero 6% ha pub-blicato dati su stipendi e curricula. Un vero fallimentodell’operazione trasparenza, confermando che si trattadi una vera e propria allergia tutta italiana questa resi-stenza a rendere noti ai cittadini certe informazioni.

Ecco, però, che il giornalista del Corriere invece dilimitarsi al dato dell’indennità di carica, ha ritenuto diindicare, nel mio caso, l’intero reddito (del 2010, maora si renderà disponibile quello del 2011), nel quale è

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compreso il mio stipendio di professore ordinario (circa€ 70.000), un mestiere che continuo regolarmente a svol-gere, sia tenendo ben due corsi universitari (mentre,da rettore, potrei esserne esonerato) sia facendo ricerca,come testimoniano le numerose pubblicazioni apparseanche in questi quattro anni di rettorato, verificabilidal mio curriculum, anch’esso pubblicato sul sito uni-versitario, e come ora conferma la recente approvazioneda parte del MIUR di un Progetto di Rilevante InteresseNazionale, da me coordinato, unico con coordinamentonazionale per la nostra Università e uno dei due di am-bito archeologico a livello nazionale, con ben dodiciunità di ricerca di Università italiane e del CNR e ilcoinvolgimento di numerose Università e istituti di ri-cerca stranieri. Il reddito comprende, inoltre, anche po-che altre attività svolte al di fuori dell’impegno uni-versitario (consulenze scientifiche, conferenze, lezioni,diritti per pubblicazioni, ecc.) pari a circa € 6.000, edinfine la rendita da fabbricati derivanti dalla mia primae unica abitazione (€ 2.400) acquistata qualche anno facontraendo un mutuo. Non soddisfatto, il giornalistaha pensato bene anche di arrotondare il mio reddito,indicandolo in € 140.000 (impropriamente presentatocome stipendio da ‘manager’), mentre in realtà è statodi € 125.787 nel 2010 (come si può verificare, appunto,nella dichiarazione 2010 pubblicata sul sito Unifg), edi € 113.736 nel 2011. Un reddito per il quale pago re-golarmente le tasse fino all’ultimo centesimo, convinto

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che l’evasione sia il più grave socialmente ed eticamenteinaccettabile dei reati.

In questo caso, dunque, un ‘eccesso’ di trasparenzaè stato strumentalizzato per dare un’informazione scor-retta, che rischia di contribuire a quel pericoloso attualeclima di caccia alle streghe, di attacchi a vere o presuntecaste, di furore ‘rottamatore’, di antipolitica dominante,nel quale il ‘sono tutti della stessa razza’ sembra forseinevitabile nelle chiacchiere da bar, ma non dovrebbeessere praticato sulle pagine di un giornale che do-vrebbe approfondire i problemi e produrre un’infor-mazione corretta, soprattutto quando si trattano materiecosì delicate. Un argomento, che potrebbe avere – nonlo si sottovaluti – anche risvolti rischiosi in un fase digrande difficoltà sociale, di crisi, di diffusa disoccupa-zione e precariato.

Ho voluto riprendere questo tema, che altri avreb-bero occultato confidando nella rapida perdita di me-moria collettiva, sia perché non ho nulla da nascondere,sia perché, come ho detto in premessa, credo fortementenella massima trasparenza personale da parte di chi ri-veste cariche di responsabilità, sia perché, infine, sonofortemente persuaso dell’assoluta necessità, per unaclasse dirigente che voglia essere credibile e rispettata,di adottare ‘il valore pedagogico dell’esempio quoti-diano’, in particolare da parte di chi è quotidianamenteimpegnato nel cambiamento e nel tentativo faticoso dimiglioramento della nostra realtà.

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PERCHÉ IL LOGO DELL’UNIVERSITÀ DI FOGGIA È UNA COSA SERIA

L’Università di Foggia ha deciso, a tredici anni dallasua istituzione, di modificare in parte il suo logo. Nonsi tratta, com’è ovvio, solo di un’operazione di facciata,di semplice e banale restyling, anche perché è inseritain un più ampio progetto di comunicazione e di predi-sposizione di un manuale di identità visiva dell’Uni-versità. Quello elaborato nel 2000 da Claudio Grenzi epresentato dal rettore Antonio Muscio nella cerimoniad’inaugurazione dell’anno accademico 1999-2000 era eresta un bel logo, assai significativo e molto gradevoleanche dal punto di vista grafico: il profilo della città ri-produce un dettaglio della Reintegra dei tratturi delreggente Ettore Capecelatro (1651), con la dicitura, nellaparte superiore, ‘Università degli Studi di Foggia’. Lacittà, senza mura, direttamente connessa al territoriorurale circostante, indicato dai campi di grano, volevasimboleggiare l’apertura della città e della sua Univer-sità: un messaggio che resta pienamente confermato. Ilnuovo logo, infatti, è in perfetta continuità con quelloprecedente, anche d’intesa con il mio predecessore.

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Nella nuova versione, però, alla scritta “Universitàdegli studi di Foggia” si sostituisce “Fogia regalis sedesinclita imperialis”, tratta dalla nota iscrizione posta sullafacciata del palatium federiciano di Foggia (i cui lavorifurono avviati nel 1223), attualmente sistemata, dopovarie peripezie, sulla parete esterna del Museo Civico.

Il testo completo, posto sulla cornice inferiore del-l’iscrizione, così recita “Hoc fieri iussit Federicus Cesar uturbs sit Fogia regalis sedes inclita imp(er)ialis”: si celebranoi rapporti tra Federico II e la città di Foggia, indicatacome urbs regia e sede imperiale. L’iscrizione, nel suoinsieme, è stata studiata e pubblicata da Francesco Ma-gistrale, grande paleografo, caro amico e collega auto-revole, purtroppo recentemente scomparso, nel volumesu Foggia medievale, edito dalla Banca del Monte diFoggia nel 1997.

Il nuovo logo dell’Università di Foggia adottato nel gennaio 2013 (progettografico C. Grenzi).

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Reintegra dei tratturi del reggente Ettore Capecelatro (1651), da cui è statatratta la raffigurazione della città di Foggia per il logo dell’Università.

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Perché dunque questo intervento? Le motivazionisono molteplici. La principale, che, come si può facil-mente intuire, risulta prevalente nelle intenzioni di chiscrive, consiste nel voler stabilire un legame ancor piùsolido con la storia e la cultura di Foggia e della Capi-tanata, individuando in un momento e in un monu-mento particolarmente significativo un riferimento im-prescindibile. Un collegamento con una fase per cosìdire fondativa della storia della città, alla quale si do-vrebbe guardare, non per retorica e per crogiolarsi inpassati più o meno mitologici, ma per un bisogno di

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Iscrizione relativa al palazzo federiciano di Foggia da cui è stata tratta lascritta del logo dell’Università.

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conoscenza, per riallacciare un filo spezzato, per ritro-vare la capacità di progettare un nuovo futuro.

Federico II di Svevia, in questo senso, è un perso-naggio emblematico di un certo uso pubblico e abusoretorico di un passato mitistorico, come da anni non si

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Carta di Foggia degli inizi del XVIII secolo, Archivio di Stato di Foggia: ladefinizione medievale è qui riprodotta con alcune varianti.

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stanca di denunciare un ottimo storico del Medioevocome Raffaele Licinio. Si abusa del suo nome e del suomito, non solo nelle denominazioni di negozi, agenzie,acque minerali, compagnie aeree, ecc. (secondo unaconsuetudine diffusa e sostanzialmente poco grave),ma anche in certe manipolazioni, distorsioni e inven-zioni fantastoriche e fantarcheologiche, prodotte inbuona o in cattiva fede, e, soprattutto – cosa ben piùgrave – in certe pericolose strumentalizzazioni del con-cetto di identità. Si è abusato retoricamente di FedericoII e al tempo stesso si sono distrutti i resti materiali delMedioevo (e non solo), si è abbandonato al progressivodegrado il centro storico, nucleo originario della città,ancora oggi non adeguatamente tutelato e valorizzato.Si pensi all’area di località Pantano, nella zona dellabella masseria di età moderna ormai ridotta ad un ru-dere diroccato, dove si collocava la Domus Pantani, unadelle residenze di caccia preferite dall’imperatore, nelMedioevo caratterizzata dalla presenza di una zonaumida con varie specie di animali, oggetto di nostriscavi e sempre più assediata dall’espansione edilizia econdannata al degrado tipico delle nostre periferie.

Come ha ben sottolineato un bravo e giovane storicomedievista della nostra Università, Francesco Violante,«il mito positivo di Federico II, che per molti aspetti è possibileconsiderare un mitomotore, un mito politico costitutivo diuna comunità, all’interno della più generale considerazionedel periodo denominato ‘Medioevo’, come di un contenitoreideale per rivendicazioni politiche, oltre che, naturalmente,

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religiose, sociali ed economiche, si riveste di una serie di pri-mati – l’anticipatore dello Stato moderno, l’imperatore tolle-rante, pacifista, ambientalista, animalista – che possono essereconsiderati tali solo rimuovendo dalla storia, così come pra-ticata sulle fonti, la concretezza, il conflitto, la multidimen-sionalità, la contradditorietà».

La nostra piccola operazione di modifica del logo,va in direzione diametralmente opposta: vuole certa-mente restituire dignità a Foggia, ma vuole essere unsegnale del bisogno di studiare la complessità del pas-sato, di scandagliare la storia nelle sue varie fasi, neisuoi momenti alti e nei suoi passaggi drammatici, diapprofondire la conoscenza attraverso lo studio, pernon perdere il filo di quella comprensione della realtà,senza la quale ci sentiamo andare allo sbando e senzatimone.

Questa iscrizione, questo documento storico super-stite di un passato in gran parte perso, distrutto, sfre-giato, violentato, dimenticato, ci parla, insieme ad altriscarsi documenti, della storia della città, ma ancor dipiù ci parla delle persone e ci aiuta a capire meglio noistessi. È un’operazione che, insieme a molte altre, vuolecontribuire a risvegliare la memoria, associando i do-cumenti materiali alle tracce immateriali del ricordo.Ma la memoria non può essere imposta, deve essereculturalmente rimotivata di continuo. Per noi italianiil patrimonio culturale è parte integrante del nostroDNA. Ancor di più il paesaggio, vero e proprio museovivente dell’evoluzione culturale, palinsesto di paesaggi

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stratificati, patrimonio di immagini condivise da unacomunità. Lo respiriamo, è intorno a noi, fa parte dinoi. Dovrebbe essere lo stesso, ma purtroppo non lo è,anche per gli abitanti di Foggia e della Capitanata.

In tal senso, anche il logo di un’istituzione così im-portante come l’Università può trasformarsi in unostrumento assai efficace per contrastare l’oblio, la per-dita di memoria, che rappresenta uno dei grandi rischidel nostro tempo.

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LE BATTAGLIE CHE OGGI AVREBBE COMBATTUTO DI VITTORIO

Ieri (14 novembre 2012) è stata una giornata di lottae di mobilitazione a livello europeo contro le politichedi rigore e di austerity. Politiche attuate interpretandoil (giusto e necessario) risanamento dei conti pubblicisolo a danno dei più deboli, dei giovani, delle donne.Montagne di debiti accumulati negli anni da classi po-litiche corrotte e demagogiche e disastri economici pro-vocati dalle speculazioni finanziarie il cui prezzo nonè pagato da chi quei disastri ha provocato, arricchendosie continuando a godere di indecenti privilegi, ma daiceti e dai territori più disagiati. Le manifestazioni hannoriempito le piazze di tante città e anche a Foggia so-prattutto i giovani, gli studenti, da sempre più sensibilia questi temi, hanno sfilato in corteo.

Due cose in particolare mi hanno colpito e mi hannofatto riflettere in questa giornata. La prima è la nuovaesplosione della violenza, provocata anche da un’in-quietante recrudescenza dei movimenti neofascisti edi gruppi di provocatori, che hanno prodotto disordiniin molte città italiane, scontri con le forze dell’ordine,

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decine di feriti. Se torna la violenza, se torna la tristestagione degli anni di piombo, se tornano le strategiedella tensione, le infiltrazioni, si preparano tempi assaibui, considerata l’attuale stagione di demagogie, dicapipopolo, di antipolitica, di paura, di egoismi loca-listi: una miscela esplosiva che l’Europa e l’Italia hannoconosciuto in altri momenti drammatici della loro sto-ria recente. Contro questi rischi bisognerebbe reagirecon la partecipazione di massa, con l’unione dei lavo-ratori (che alcuni tentano di dividere, mettendo gliuni contro gli altri), degli studenti, dei giovani, delleassociazioni della società civile: insomma con la de-mocrazia.

La seconda riguarda il tema centrale delle proteste:il diritto al lavoro. Il lavoro non più sentito solo comemerce o come concessione o come privilegio, ma comeun diritto, con la sua dignità. I giovani, in particolare,non hanno più oggi la speranza nel futuro che solo conil lavoro si può costruire, vivono la precarietà comecondizione non momentanea, occasionale, ma quasicome una condizione ontologica. E la precarietà pro-voca paure, disperazioni, conflitti, spesso tra poveri.

A 55 anni dalla scomparsa di Giuseppe Di Vittorio,sembra che si sia tornati indietro di un secolo: ancoraoggi la priorità è il lavoro. Il 3 novembre a Foggia e Ce-rignola si sono tenute due importanti manifestazioniper ricordare Di Vittorio e il suo straordinario progettodel Piano per il Lavoro. A distanza di un secolo quel-l’intuizione del dopoguerra è ancora valida ed attuale.

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È su questo che si dovrebbe misurare una classe diri-gente adeguata al proprio ruolo. Capendo innanzituttoche il lavoro non è solo un ‘fatto sindacale’ ma è il temapolitico di fondo: un lavoro dignitoso, non precario,adeguato alle capacità e alla formazione. Eliminando iprivilegi, i nepotismi, i favoritismi e favorendo real-mente il merito.

Mi preme, a questo punto chiarire una cosa fonda-mentale. Il ‘merito’ (di cui spesso si parla a vanvera)non coincide, come spesso si ritiene, solo con il talento,che è una dote innata, e in quanto tale donata ad alcunie, purtroppo, non ad altri. Il talento è solo una parte,quasi minima. Il ‘merito’ coincide principalmente conl’impegno, con il lavoro, con la fatica, con lo studio,con la determinazione, con la forza di volontà. Se ridu-ciamo il merito al talento ne diamo una interpretazionelimitata, elitaria ed anche, per certi aspetti, selettiva eclassista, tipica di certe posizioni iperliberiste. Ecco per-ché più che di meritocrazia preferisco parlare di ‘meritoin democrazia’, cioè di pari opportunità offerte a tutti,prescindendo da censo, provenienza familiare e sociale,appartenenza politica, religiosa.

Ecco perché un altro tema essenziale delle protestedi ieri e di questi mesi è rappresentato dalla difesa edallo sviluppo della scuola pubblica, dell’Università,dell’educazione.

Anche questo è un altro punto fermo delle battagliedi Di Vittorio, valido oggi più che mai: il diritto al-l’istruzione, alla formazione, alla cultura. «Il distacco

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dalla scuola fu una grande amarezza. Amavo molto la letturae ogni pagina di libro era come una rivelazione per me. Avevosete di quelle rivelazioni». È una delle sue frasi celebri,una delle tante sue prese di posizione sulla centralitàdella scuola, della formazione, della cultura, come stru-mento di riscatto, di crescita individuale e collettiva.Anche nel Piano del Lavoro, pur centrato su altri obiet-tivi, il tema della formazione, della lotta all’analfabeti-smo, dell’elevazione culturale dei lavoratori come fat-tore di libertà è ben presente. È un tema costante nellebattaglie di Di Vittorio, che aveva sperimentato in primapersona come solo attraverso lo studio fosse stato pos-sibile per lui diventare un leader sindacale e politico diindiscussa autorevolezza a livello nazionale e interna-zionale. Una battaglia influenzata anche da grandi me-ridionalisti come Tommaso Fiore e Gaetano Salvemini.

Come ha sostenuto un altro grande uomo, NelsonMandela, fattosi dal nulla e diventato una grande guidadel suo popolo, capace di portalo con l’arma della non-violenza alla liberazione dalla segregazione razziale,«L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale. Ègrazie all’educazione che la figlia di un contadino può di-ventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o unbambino nato in una famiglia povera il presidente di unagrande nazione».

Se Di Vittorio fosse un politico e un sindacalista dioggi e dovesse lavorare ad un nuovo piano, ad unnuovo progetto per il Paese, e per il Sud in particolare,alla costruzione di una visione per il futuro, credo che

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considererebbe centrale non più ovviamente la lottaall’analfabetismo (anche se non bisogna sottovalutarel’analfabetismo di ritorno), ma l’accesso alla formazionesuperiore, la ricerca e l’innovazione. Le politiche degliultimi governi italiani, compreso quello attuale, vannoinvece in tutt’altra direzione.

La scuola pubblica, la formazione, la cultura sentitinon solo come mero fattore di sviluppo economico, chepure è strettamente legato, come dimostrano tutti glistudi economici, ma come consapevolezza politica chesolo la crescita culturale e la formazione sono in gradodi costruire comunità libere, cosmopolite, riflessive etolleranti, aperte al confronto, dopo la desertificazioneculturale prodotta da una visione economicistica dellaconoscenza.

Ecco il programma per il futuro, per consentire oggia quei milioni di giovani, di donne, di precari, schiac-ciati in Europa, in Italia, al Sud, dalle politiche di au-sterity, di tornare a costruire o anche solo ad immagi-nare un futuro. Tocca a tutti noi riprendere con nuovistrumenti, con nuove idee, con un nuovo impegnoquelle battaglie politiche e culturali alle quali quel con-tadino, quel ‘cafone’ di Cerignola, quello straordinariomeridionale ha dedicato la sua vita.

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STO CON VENDOLA CONTRO FURBIZIE E ITALICO OPPORTUNISMO

Le vie maestre crescono. Partendo da una sollecita-zione del direttore di questo giornale e vincendo alcunimiei dubbi e perplessità, legati anche all’oggettiva dif-ficoltà di incastrare una rubrica settimanale fissa tra itanti impegni, questo spazio sta forse creando un qual-che interesse. Così anche Teleradioerre mi ha chiestodi tenere una rubrica settimanale di alcuni minutinell’ambito della nuova trasmissione File. Ho preferitoconservare la stessa denominazione, anche se i temiaffrontati sulla carta e in video non saranno necessa-riamente gli stessi.

Il tema del mio primo intervento in video ha ri-guardato le primarie del centrosinistra, un argomentoal centro dell’attenzione di queste settimane, e soprat-tutto di questi ultimi giorni prima del voto di dome-nica 25 novembre. Sono convinto, come tanti, che leprimarie siano un esempio di buona politica, un mo-mento di partecipazione, di confronto tra i candidatie gli elettori. E bisogna riconoscere che queste prima-rie, molto più di altre esperienze analoghe del passato,

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sono vere, con una competizione sentita, che sta coin-volgendo migliaia di persone. In un momento di verae propria ‘emergenza democratica’, di antipolitica, disospensione della politica nell’età dei tecnici, ritornarea confrontarsi, a discutere, a schierarsi è molto positivo,è un segnale di vitalità quasi insperato. Una cosa utileper tutti, a sinistra e a destra. Ecco perché sono con-vinto che ora più che mai sia necessario uscire alloscoperto, avere coraggio delle proprie idee, rispettandole idee degli altri, cogliendo le sollecitazioni e le sug-gestioni utili di cui ognuno è portatore, ma difendendoapertamente le proprie posizioni.

Sono convinto che in un momento difficile comequesto, di grandi trasformazioni, di scelte decisive travisioni diverse della società e del futuro del nostropaese, sia necessario, anche per chi riveste una caricanon nascondersi dietro ipocrite ‘neutralità istituzio-nali’. In questo momento sono quotidianamente, inprima persona (in un contesto alquanto distratto e di-sinteressato), impegnato una specie di ‘guerra’ per di-fendere l’Università di Foggia e con essa la Scuola el’Università pubblica e libera, soprattutto al Sud.

Qualcuno ha già contestato la scelta di esplicitarela mia posizione. Non ho mai nascosto le mie convin-zioni politico-culturali, anche quando mi sono candi-dato. Ma ho sempre dato prova di un assoluto rigoreistituzionale, ho lavorato benissimo con docenti, edanche miei delegati, che hanno posizioni politiche di-verse o diversissime dalle mie, ho collaborato bene

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con sindaci e amministratori tanto di centro-destraquanto di centro-sinistra, con associazioni e gruppicon posizioni culturali, ideali, religiose diverse. Sfidochiunque a dimostrare il contrario.

La mia adesione alla sinistra è nota da sempre. Nonmi si può chiedere, certo, di sostenere chi ha prodottola legge Gelmini, chi ha sistematicamente attaccato lascuola e l’Università pubblica, chi ha abbandonato ilSud al suo destino di emarginazione, chi ha fatto dellaprecarietà una condizione esistenziale di intere gene-razioni. Non ho tessere di partito, ma questo non si-gnifica non avere idee e convinzioni.

Le mie posizioni sulla centralità della cultura, deibeni culturali e del paesaggio, della formazione, dellaricerca, dell’innovazione trovano le affinità maggioricon le posizioni di Nichi Vendola. Ed è per questo cheoggi sento di dover sostenere le sue posizioni, spe-rando che esse entrino a far parte dell’agenda del pros-simo governo del paese.

Conosco Nichi da sempre, abbiamo studiato e fattotante battaglie giovanili insieme, abbiamo anche avutoposizioni molto diverse e talora contrasti, ma conoscoda sempre le sue capacità, il suo rigore etico, la suaintelligenza, le sue idealità profonde. Apprezzo la suagestione della Puglia, nella quale ha dimostrato sulcampo capacità di governo, ed anche una maturitànel necessario compromesso con posizioni diverse, sa-pendo coniugare radicalità ideale e concretezza. Cisono anche, ovviamente, cose che non ho condiviso

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pienamente, so bene che altre cose avrebbero potutoessere realizzate o fatte diversamente. Anch’io ho go-vernato in questi anni una realtà alquanto complessae ho esperienza diretta di quanto sia difficile realizzareanche solo la metà di quanto si vorrebbe, soprattuttoin un momento di crisi e di tagli feroci. Ma questi annici hanno restituito anche la dignità e l’orgoglio di es-sere pugliesi e meridionali, come chiunque può veri-ficare quando va in altre regioni e all’estero.

Alcuni hanno criticato questa mia scelta. Alcuni lohanno fatto in maniera strumentale, per attaccare lemie posizioni nella gestione universitaria o in altriambiti legati, come la sanità, le politiche urbanistiche,sociali e culturali. Non mi preoccupo molto di questo.Si tratta di persone che mi hanno sempre sentito comeun corpo estraneo, uno degli ‘invasori e colonizzatori’,persone che evidentemente speravano in un’Univer-sità da controllare, provinciale, fatta solo di locali, pos-sibilmente parenti, amici e clienti. Persone che evi-dentemente non sanno nulla di cosa sia realmenteun’Università, un mondo aperto e libero, tanto mi-gliore quanto più ricco di apporti esterni. Ignoranoche una classe di docenti locali si forma nell’arco didecenni, grazie a scuole create da professori venutida fuori, esattamente come è accaduto in tutte le Uni-versità, dal Medioevo in poi, e come sta accadendoanche a Foggia.

Altri hanno criticato la mia esposizione per un le-gittimo timore che questo potesse creare imbarazzo e

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difficoltà negli studenti. È una critica legittima, seria,che merita considerazione. Credo che la trasparenzasia un bene assoluto, strettamente collegato con la de-mocrazia. Difendendo le ragioni della cultura e del-l’Università pubblica, mi auguro di poter rappresen-tare le istanze di tutti gli studenti, che ovviamentehanno e devono avere posizioni diverse. Con loro econ le varie associazioni studentesche il rapporto èproficuo, dialettico, spesso anche (giustamente) con-flittuale, ma assolutamente rispettoso della diversitàdi posizioni.

Sono convinto che un giovane preferisca – almenospero – la chiarezza, il coraggio delle scelte e la tra-sparenza all’ipocrisia, all’opportunismo e al ponzio-pilatismo. Anche per questo mi sono trovato a volted’accordo in alcune battaglie con studenti con posi-zioni molto lontane dalle mie, se non addirittura op-poste. Uno studente, dichiaratamente appartenentealla ‘destra sociale’, intervenendo in un dibattito apertosul web ha dichiarato che «la posizione espressa dal ret-tore non mi infastidisce né mi imbarazza, anzi sono parti-colarmente sereno, proprio perché la presenza di una caricaaccademica ‘dichiaratamente schierata’ - e che, in questocaso, essendo io studente dell’Università di Foggia, mi rap-presenta - oltre che suscitare stima personale (lo schierarsi‘prima’ è una responsabilità rara sul suolo italico!) non puòche apportare migliorie verso la stessa mia (e del Rettore)Università. Il problema è che in Italia dovrebbe finire il tabùdello schieramento politico; abbiamo sempre una concezione

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‘bellica’ della politica e/o di chi la pensa diversamente danoi, come se fossimo in un campo di battaglia. Non bisognaavere nessun timore nello schierarsi ‘a priori’ per uno o perun altro schieramento: il bello della diversità (di pensieropolitico) è proprio la mancanza di monotonia, lo scambiodelle idee e delle opinioni che impreziosiscono il confronto».Lo ringrazio molto. È uno studente maturo, impegnatonegli studi, appassionato, attivo. Ho scoperto solo inquesto scambio di opinioni le sue posizioni culturali equesto me lo fa stimare ancor di più. Perché, dunque,questa posizione di trasparenza dovrebbe essere im-pedita ad un rettore? Non ho mai pensato che un ret-tore debba essere un burocrate o un semplice ‘notaio’.Ecco perché ritengo necessario dichiarare pubblica-mente le mie scelte, esattamente come ho fatto e faccioogni giorno nel mio impegno di rettore.

Don Michele de Paolis, un altro ‘colonizzatore e in-vasore’ venuto da lontano, una vita dalla parte degliultimi e degli emarginati, ha dichiarato in un incontropubblico di sentirsi anche lui di parte, di volersi schie-rarsi apertamente, senza nascondersi, esattamentecome un partigiano era Cristo.

Un italiano che ha dato la vita per la democrazia inquesto paese (e che mi sarebbe piaciuto vedere inclusonel pantheon indicato dai candidati), sostenne moltianni fa: «L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliac-cheria, non è vita. … Odio gli indifferenti anche per questo:perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito

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che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciòche ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. … Vivo,sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli in-differenti» (Antonio Gramsci). Ecco un insegnamentosul quale i tanti, troppi, silenti opportunistici cultoridi una presunta ‘correttezza istituzionale’ e pavidi se-guaci di Ponzio Pilato dovrebbero forse meditare.

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LA MARCIA DI SABATO PER RITORNARE A SPERARE

Esplodono le bombe a Foggia con un ritmo semprepiù frequente e inquietante. È un segnale pericoloso,inaccettabile, al quale bisogna reagire presto. Lo scorso6 novembre, nell’aula magna del Dipartimento di Giu-risprudenza dell’Università di Foggia, i vent’anni dal-l’assassinio di Giovanni Panunzio sono stati ricordaticon un’assemblea molto sentita, assolutamente privadi retorica, caratterizzata da una grande partecipazionedi istituzioni, di magistrati e, in particolare, di ragazzi,con la presenza di Tano Grasso e del commissario na-zionale antiracket. Si sono poste, in quell’occasione, lepremesse per la nascita dell’Associazione Antiracket‘Giovanni Panunzio’ a Foggia. La risposta non si è fattaattendere. Prima una bomba ad un negozio di com-mercianti cinesi e poi ancora un’esplosione in un ne-gozio di abbigliamento in pieno centro. Il racket, la ma-fia foggiana, gli usurai non scherzano, intendono farcapire chi comanda.

A questo punto non sono più possibili cedimenti,tentennamenti, rinvii. L’associazione antiracket deve

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La marcia antiracket promossa da Libera e dall’Università di Foggia il 24novembre 2012 (foto Michele Sepalone).

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essere costituita. E l’iniziativa non può che essere nellemani di commercianti ed imprenditori e delle loro as-sociazioni di categoria. Chi non ci sta dimostra di essereoggettivamente, sia pur involontariamente, compliceo acquiescente o perlomeno di sottovalutare un pro-blema fin troppo evidente, anzi – è proprio il caso didire – esplosivo.

Le condizioni per scoprire e colpire – speriamo pre-sto – i responsabili ci sono, grazie alla magistratura in-quirente, guidata dall’ottimo procuratore VincenzoRusso, alle forze di polizia con l’attività sempre più ef-ficace della Polizia, diretta dall’energico questore MariaRosaria Maiorino, e dei Carabinieri comandati dall’at-tivissimo colonnello Antonio Basilicata, alla determi-nazione del nuovo Prefetto Luisa Latella. Ma non è suf-ficiente. Servono la volontà e la spinta dal basso dellasocietà civile.

A poche ore dall’ultima esplosione si è sviluppatauna reazione, spontanea (e quindi ancor più autentica),di sdegno, di rifiuto, di ribellione. Chi scrive (in quelmomento a Roma per impegni istituzionali) si è mossosubito mobilitando l’Università di Foggia e stabilendoimmediati contatti con la realtà più attenta e viva nellalotta contro le mafie a livello nazionale e locale, Libera.Sono iniziati contatti anche con le varie Istituzioni locali,la Prefettura, il Comune, la Provincia, con l’Ufficio sco-lastico, con le associazioni studentesche e con le asso-ciazioni dei commercianti. In poche ore, d’intesa conDaniela Marcone e con gli amici di Libera, si è deciso

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di organizzare una marcia silenziosa per le strade diFoggia, il sabato sera. Nel frattempo si era sviluppatasul web, il nuovo grande canale di comunicazione e direlazioni sociali, un’iniziativa spontanea del Gruppodegli Amici della Domenica e anche di altre associa-zioni, oltre che di singoli cittadini. Un fatto altamentepositivo, incoraggiante, segno di una vitalità nascostasotto lo strato di cenere che soffoca da tempo le forzevive della società foggiana.

Si è, però, immediatamente anche sviluppata unapolemica promossa dagli immancabili professionistidel conflitto ad ogni costo, della dietrologia, del so-spetto. È stato triste e doloroso assistere a scontri cattivie a velenosi scambi di ‘cortesie’, francamente incom-prensibili e inaccettabili di fronte alle bombe del racket,alla violenza della delinquenza organizzata, alla so-praffazione di chi vorrebbe trasformare la nostra cittàin un nuovo far west.

Ci sono stati in questi giorni, anche prescindendoda queste vicende, vari altri segnali di una preoccu-pante balcanizzazione, con contrasti alimentati tra cor-porazioni, tra gruppi, tra singoli, tra associazioni, traistituzioni. Sono stati anche rispolverati mai sopiti con-flitti ‘etnici’, tra foggiani e ‘invasori-colonizzatori’. Que-ste reazioni sono, a parere di chi scrive, ancor più pre-occupanti delle stesse bombe, perché creano un climadi sospetto, di polemica continua, che non può nonavere come esito l’immobilismo e la rassegnazione deitanti stanchi di assistere impotenti. Le bombe sono, in-

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fatti, chiaramente riferibili ad un nemico, al nemico,contro il quale bisognerebbe lottare uniti. La polemicacattiva, il sospetto, i veleni, invece, sono più subdoli, siinsinuano nel corpo sociale sano e lo corrodono dal-l’interno. Si badi bene: non si tratta certo di proporreposizioni stucchevolmente ireniche o politicamente cor-rette. Ma di avere la consapevolezza che la mafia hasempre vinto grazie alle divisioni, oltre che alle collu-sioni. Uno dei suoi obiettivi consiste nel distruggere lefondamenta della convivenza civile, nel seminarepaura, nell’imporre il silenzio.

Il clima di disperazione, di crisi, di precarietà, dimancanza di prospettive alimenta reazioni di questotipo, nelle quali sguazzano l’antipolitica, il qualunqui-smo, la facile accusa del ‘sono tutti uguali’, ‘sono tuttiladri’.

Poi arriva il pomeriggio di sabato scorso e davantial Municipio cominciano a raccogliersi, prima sparuti,poi via via più numerosi, ragazzi, studenti, scout, as-sociazioni di volontariato, associazioni dei commer-cianti, esponenti politici, rappresentanti delle istituzioni,semplici cittadini, tutti dietro le sagome bianche e lostriscione di Libera. Un migliaio di persone (effettiva-mente non tantissime come ci sarebbe piaciuto, mamolte di più di quanto avevamo temuto) percorre illungo tragitto, sosta davanti ai due negozi fatti esplo-dere, ascolta e applaude le parole di figli che hannoperso i genitori vittime del racket e della mafia, e ilgrazie balbettato da un quasi stupito commerciante ci-

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nese che sa dire poco altro in italiano e da una ragazzaitaliana che non riesce a dire molto altro per l’emozione.Ma quel ‘grazie’ contiene tutto. La mattina seguente il‘sit in’ raccoglie nuovamente molti cittadini in vialeXXIV maggio.

La stessa domenica offre un altro spettacolo inco-raggiante, quello delle lunghe file di cittadini che scel-gono il proprio candidato, che chiedono di tornare acontare, di uscire definitivamente dagli anni del rim-bambimento sociale, delle illusioni e delle bugie. Unospettacolo che certamente sarà piaciuto anche a chi,con altre idee e altre posizioni, non può non desiderareil ritorno alla partecipazione democratica.

In queste ore di tristezza e di speranza mi sono tor-nati alla mente alcuni versi famosissimi di BertoltBrecht, un grande poeta e drammaturgo che un tempoaveva grande fortuna tra i giovani, ma ormai un po’dimenticato. «Nessun uomo è un’isola / Prima vennero aprendere gli zingari e fui contento perché rubavano / Poivennero a prendere gli ebrei e tacqui perché mi erano antipa-tici / Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevatoperché erano fastidiosi / Poi vennero a prendere i comunistied io non parlai perché non ero comunista / Un giorno ven-nero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a prote-stare».

Queste parole, riferite ad una delle più grandi tra-gedie che l’umanità abbia conosciuto, possono essereancora utili per una riflessione approfondita oggi qui aFoggia, al Sud.

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PRIMI IN ITALIA ABBIAMO VINTO IL PREMIO GUBBIO 2012

Questa settimana dedico questo spazio ad una bellanotizia per la nostra Università e per la città, sulla qualespero si possa sviluppare una riflessione più generale.

Nel fine settimana scorso (1-2 dicembre 2012) a Gub-bio l’Università di Foggia è stata premiata con una men-zione d’onore dall’Associazione Nazionale Centri Sto-rico-artistici, nell’ambito del Premio Gubbio 2012. Nellatavola rotonda dedicata al tema “Oltre i centri storici:recupero dei paesaggi storici”, le politiche urbanistichedella nostra Università, insieme alle attività di ricercavolte alla conoscenza del patrimonio culturale del ter-ritorio di Foggia (Carta dei Beni Culturali di Foggia,per il nuovo PUG) e dell’intera regione (Carta dei BeniCulturali della Puglia, nell’ambito del nuovo Piano pae-saggistico territoriale regionale) sono state molto ap-prezzate, tanto che l’ANCSA ha proposto di organizzareproprio a Foggia uno dei suoi prossimi appuntamenti,da dedicare specificamente al ruolo delle Universitànelle città. L’ANCSA è un’associazione che riunisce pre-stigiosi architetti, urbanisti, storici, storici dell’arte; l’at-

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tuale Presidente è Anna Marson, docente dello IUAVdi Venezia e Assessore all’Urbanistica della Regione To-scana. Il Premio Gubbio, giunto alla sua settima edi-zione, è un riconoscimento molto prestigioso e assaiambito. Basti ricordare che la scorsa edizione è statavinta da Renzo Piano per un progetto realizzato a Ve-nezia e che quest’anno sono stati premiati il progettodella nuova Biblioteca Hertziana di Roma del noto ar-chitetto spagnolo Juan Navaro Baldeweg, il progettodel riuso dell’ex carcere Le Murate di Firenze, il recuperodella Borgata Paraloup a Ritanna (Cn) della FondazioneNuto Revelli. La nostra Università è il primo ateneo inassoluto ad essere premiato.

Molto significativa la motivazione, di cui riportoqualche stralcio: «L’Università di Foggia, a differenza diquanto avvenuto negli anni più recenti per molte altre Uni-versità italiane, ha perseguito il disegno di tenere nella cittàle sei sedi dipartimentali, le strutture amministrative e iservizi agli studenti: nel centro storico medievale, ma anchenelle sue immediate espansioni – la ‘Grande Foggia’ deglianni ‘30 – utilizzando edifici già esistenti e gradatamente ab-bandonati: nel cuore della città medievale il Dipartimento diStudi Umanistici nel Complesso degli Ex Ospedali, e, nonlontano, il Centro Linguistico di Ateneo nell’antico PalazzoRicciardi; nella Foggia ‘moderna’ i Dipartimenti di Giuri-sprudenza e di Economia, e presto, con l’acquisizione dell’ot-tocentesca Ex Caserma Miale, il rettorato, l’amministrazionecentrale e laboratori e servizi per gli studenti, che verrannoestesi all’ex palestra e all’ex piscina». L’ANCSA ha giusta-

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Alcuni momenti della cerimonia del Premio Gubbio: la relazione sugli in-terventi urbanistici dell’Università di Foggia e la consegna del Premio.

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mente apprezzato la filosofia che ispira questo vastoprogramma, in buona parte realizzato, «orientato al re-cupero di grandi edifici abbandonati, perseguendo un modellourbanistico inteso come un ‘campus urbano’ ben integratonella città storica; e ha condiviso, in questo, l’impegno teso

PREMIO GUBBIO 2012

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PREMIO GUBBIO 2012

PREMIO GUBBIO 2012

PREMIO GUBBIO 2012

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Il progetto dell’Università di Foggia ‘METAmorfosi di una città’ (graficaarch. Michele Stasolla e Claudio Grenzi editore).

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alla rivitalizzazione delle aree contermini alle sedi: la centra-lissima via Arpi, nella città medievale, condotta a divenire lastrada della cultura e delle arti, e Piazza Italia, cuore dellapiù intensa frequentazione studentesca nella città nuova».

È una motivazione che dovrebbe essere attentamenteletta e valutata e sulla quale si dovrebbe riflettere aproposito delle politiche urbanistiche, economiche, cul-turali della città.

In una Foggia tuttora largamente fondata ancorasull’economia del mattone; in una città spesso sfregiatadai suoi stessi cittadini (basti pensare, solo per citareun ultimo caso, alle scritte che hanno imbrattato unmonumento come la Genesi di Deredia), non educatialla cura degli spazi comuni; in una città difficile, po-vera e ampiamente degradata sotto il profilo sociale,economico e urbanistico, l’Università intende proporreuna nuova idea di città (non a caso il progetto presen-tato a Gubbio si chiama METAmorfosi di una città), sol-lecitando la classe dirigente locale ed anche l’impren-ditoria e soprattutto i cittadini a progettare un nuovomodello urbano, che privilegi il rispetto della memoria,della cultura e della storia, attraverso il recupero e larivitalizzazione di parti abbandonate e degradate dellacittà, contro la bulimia del cemento e del progressivo einarrestabile consumo di territorio.

Lunedì scorso (3 dicembre 2012) abbiamo tenuto unaconferenza stampa nella nuova sede del Dipartimentodi Studi Umanistici in via Arpi per illustrare la motiva-zione del premio e le attività in corso e in programma,

Primi in Italia abbiamo vinto il Premio Gubbio 2012 97

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PREMIO GUBBIO 2012

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PREMIO GUBBIO 2012

PREMIO GUBBIO 2012

PREMIO GUBBIO 2012

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PREMIO GUBBIO 2012

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PREMIO GUBBIO 2012

PREMIO GUBBIO 2012

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Primi in Italia abbiamo vinto il Premio Gubbio 2012 99

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come la realizzazione di una bella cancellata e di unaparete artistica lungo via Fuiani-via Arpi, che, insiemealla sistemazione della biblioteca e dell’aula magna,completeranno l’intervento di recupero degli ex Ospe-dali, l’avvio a gennaio (finalmente, dopo tanti ritardiprovocati da mille cavilli e impedimenti burocratici) delcantiere di recupero dell’ex Palestra GIL di via Galliani,il progetto di sistemazione dell’ex Palestra GIL di viaAmmiraglio da Zara (ancora bloccato a causa di altricavilli), il prossimo acquisto della Caserma Miale (se laLegge di Stabilità non confermerà l’assurdo blocco del-l’acquisto di immobili anche per quelle pubbliche am-ministrazioni, come la nostra, che dispongono già difondi europei finalizzati proprio all’acquisto di un im-mobile). Insomma tanti progetti realizzati o in pro-gramma, che si sta cercando disperatamente di attuare,districandosi in una vera e propria giungla fatta di bloc-chi, di ritardi nelle autorizzazioni, di pareri discordantie spesso del tutto personalistici di vari funzionari, mentremilioni di euro giacciono da anni inutilizzati in banca etutti deplorano la mancanza di investimenti pubblici.

A quella nostra conferenza stampa sono stati pre-senti pochissimi giornalisti. Ho saputo che i giornalistierano presi da altri due avvenimenti contemporanei,che hanno, a mio parere, un significativo e simbolicorapporto – per contrasto – con l’argomento della con-ferenza stampa all’Università. Si trattava, infatti, del-l’operazione della Guardia di Finanza che ha portatoal sequestro di vari cantieri edili ed aree edificabili del

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valore di alcune centinaia di milioni in relazione a pre-sunte finte polizze fideiussorie. Era in corso, inoltre, ilConsiglio Comunale, nel quale, tra gli altri argomenti,si sarebbe discusso finalmente della variante urbanisticaper l’ex Palestra GIL di via Ammiraglio da Zara, ne-cessaria per poter procedere alla pubblicazione delbando di ristrutturazione. Il sindaco Mongelli e l’as-sessore Marasco si sono molto spesi per raggiungerequesto obiettivo in questi ultimi mesi burrascosi. È pas-sato oltre un anno dall’avvio delle procedure e dallaprima di una lunga serie di inconcludenti conferenzedi servizi, e, finalmente, dopo una lunga attesa, si eragiunti all’esame del consiglio comunale: l’assenza diuna serie di consiglieri ha indotto ad un rinvio (e nonentro nel merito delle considerazioni espresse da unesponente politico, perché il livello non è tale da meri-tare commenti).

Insomma, da un lato un tentativo di ‘città nuova’che riceve un riconoscimento internazionale perl’azione di recupero della memoria e della storia, dicultura, di costruzione di una nuova politica urbana,dall’altro la ‘città vecchia’ con le vecchie logiche, durea morire, fatte di abusi, di connivenze, di interessi pri-vati a danno di quelli pubblici, di politici poco interes-sati al bene comune, o, peggio ancora, contrari al cam-biamento e difensori di un passato di cemento e diprivilegi privati.

La società civile, le associazioni, i cittadini decidanoin quale Foggia vogliono vivere.

Primi in Italia abbiamo vinto il Premio Gubbio 2012 101

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Le celebri parole finali con le quali Marco Polochiude il suo dialogo con Kublai Khan – nell’aureo li-bretto di Italo Calvino, Le città invisibili – possono essereassunte come un manifesto programmatico: «L’infernodei viventi non qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello cheè già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamostando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primoriesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte finoal punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esigeattenzione e apprendimento continui: cercare e saper ricono-scere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlodurare e dargli spazio».

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IL PIACERE DEL DONO E UN SANO RISPARMIO, CIOÈ UN LIBRO

Si avvicinano le vacanze natalizie. Saranno, per lamaggior parte dei foggiani e degli italiani, vacanze al-l’insegna del risparmio e della massima austerità: unacosa di per sé non negativa, secondo un autentico spi-rito natalizio, tanto per i credenti quanto per chi cre-dente non è, se non fosse che l’austerità non nasce dauna scelta di fede o di stile di vita ma dalla sempremaggiore ristrettezza di risorse, da una precarietà sem-pre più diffusa, dalla mancanza del lavoro che colpiscesoprattutto i giovani.

Il desiderio di fare un regalo, però, persiste. Non c’èmodo migliore per conciliare queste due opposte esi-genze, il risparmio e il piacere del dono, che regalareun libro. L’Italia è un paese nel quale si legge purtroppoassai poco e Foggia certamente non si sottrae a questopoco felice primato, che anzi al Sud e nella nostra realtàraggiunge livelli particolarmente elevati. A Foggia èattiva da anni un’importante biblioteca provinciale, LaMagna Capitana, che non solo possiede un ingente pa-trimonio librario, ma svolge da sempre un’intensa e

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qualificata attività culturale. È un importante punto diriferimento per tanti giovani. Ad essa ora si affiancanole biblioteche universitarie, specializzate in vari ambiti,che costituiscono una presenza sempre più significativa,nonostante i drammatici tagli ai finanziamenti che nonhanno risparmiato il settore bibliotecario. Nelle pros-sime settimane l’inaugurazione della biblioteca del Di-partimento di Studi Umanistici in via Arpi, con alcunedecine di migliaia di volumi acquisti in poco più didieci anni, rappresenterà un nuovo caposaldo dellacultura a Foggia. Nella nostra città e in provincia man-cano, però, quelle grandi librerie presenti in tutte leprincipali città, spesso anche in quelle con una popola-zione di gran lunga inferiore. Ma bisogna dare atto adalcune recenti positive iniziative imprenditoriali l’averdotato la città di librerie alquanto vivaci. In particolareUbik di Michele Trecca, che, favorita anche da una po-sizione centrale e sostenuta da una politica di promo-zione particolarmente attiva, con numerose presenta-zioni e iniziative culturali di vario tipo, ha certamenteavvicinato molti foggiani alla lettura e all’acquisto deilibri. Anche la Libreria Stile Libero, pur collocata inuna zona periferica non proprio ideale, curata da unvero bibliomane che interpreta la funzione del libraioquasi come una missione, si segnala per una particolarecura nella proposta di autori meno noti, di libri di qua-lità, di case editrici di nicchia: un libro consigliato daMauro si traduce sempre, per esperienza diretta, inun’ottima lettura. La Libreria Dante e la Mondadori

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completano un quadro in crescita, che, però, sembraancora inadeguato per una città di centosessantamilaabitanti, al centro di un territorio ampio e popoloso.

Ammetto di far parte della categoria di persone in-capaci di concludere la giornata senza aver letto almenoqualche pagina di un libro (esclusi ovviamente quelliconsultati per studio). La lettura di un romanzo o diun saggio rappresenta un momento magico, uno spaziopersonale, nel quale vivere esperienze che ti portanoin luoghi, in situazioni, in periodi storici, in questioni,in approfondimenti e in problemi tra i più vari. Unvero e proprio piacere intellettuale ed anche sensoriale,certamente più intenso di tanti altri, fatto anche delgusto dell’attesa tra la sospensione e la ripresa dellalettura del libro che ti ha conquistato, della voglia diparlarne con altri, amici o familiari, di scambiarsi opi-nioni e commenti, di condividere con gli altri le emo-zioni e le riflessioni, di consigliare o regalare un libroche ti è piaciuto.

È quello che, appunto, intendo fare io oggi, appro-fittando di questo spazio. Si tratta di alcuni dei libriletti recentemente, ma non tutti recentissimi, che ov-viamente rispondono solo ai gusti di chi scrive. Librileggeri, non particolarmente impegnativi, di piacevolee rapida lettura.

Comincio con un volume recentemente presentatoa Foggia alla presenza del suo giovanissimo autore,Yvan Sagnet, un ragazzo senegalese venuto in Italiaper studiare ingegneria al Politecnico (di Torino, scelto

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non tanto per la qualità universitaria ma perché postonella città della sua squadra del cuore, la Juventus), in-namorato dell’Italia, della sua storia, della sua cultura:Ama il tuo sogno (Fandango Libri). È la storia di un so-gno trasformatosi in un incubo, nel momento in cui,come accade a tanti ragazzi stranieri come lui, e anchemolto più sfortunati di lui (che non è irregolare, è arri-vato con un permesso di studio, proviene da una fami-glia non poverissima del Senegal), ha conosciuto il la-voro nero, lo sfruttamento, la perdita di dignità, lamancanza di ogni sia pur minimo diritto nelle campa-gne pugliesi. Finché lui, unico senegalese tra tanti ra-gazzi di diverse nazionalità, etnie e lingue africane,convince i suoi compagni di sventura a dire basta, edorganizza uno sciopero, il primo tra i migranti impe-gnati nella raccolta dei pomodori. È una realtà che Fog-gia conosce (o dovrebbe conoscere) bene, fatta di mi-gliaia di giovani costretti a vivere e a lavorare incondizioni disumane nelle campagne della Capitanata,stipati nelle baracche del Ghetto nei pressi di RignanoGarganico o nelle tende e nella case rurali abbandonatenei dintorni di Stornara e di tanti altre località. Unmondo sul quale abbiamo cercato di fare luce anche inoccasione della scorsa cerimonia di inaugurazione del-l’anno accademico. È un bel libro, scritto benissimo, ilracconto di una storia vera che ha il ritmo e lo stile diun romanzo, narrato da un giovane che ha trovato nellacultura e nello studio la capacità di crescere e la forzadi ribellarsi non rinunciando al proprio sogno; la storia

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di un senegalese che ama il nostro paese molto più ditanti italiani.

Restando in tema di sogni, non posso non ricordareil bel libro di Massimo Gramellini (Fai bei sogni, Longa-nesi), certamente orami ben noto a tutti per il grandesuccesso ottenuto. Ma non per questo non merita unasegnalazione, per la delicatezza e la prosa elegante, iro-nica, con la quale narra la drammatica vicenda auto-biografica.

Ammetto di avere una certa passione per i ‘gialli’,soprattutto per quelli che hanno come protagonistapersonaggi dalla forte personalità, intelligenti, ironici(l’ispettrice catalana Petra Delicado di Alicia Giménez-Bartlett è tra i miei preferiti), con storie avvincenti bennarrate e luoghi ben descritti. Tra questi segnalo unvolumone di quasi settecento pagine, che si leggonoalla velocità della luce, di Roberto Costantini (Tu sei ilmale, Marsilio), con una storia assai complessa che sisviluppa a Roma nell’arco di oltre vent’anni, e un libromolto più agile, con una vicenda paradossale ed un in-treccio di grande tensione (Francesco Recami, La casadi ringhiera, Sellerio). Dello stesso editore è un elegantegiallo ambientato nel 1895 in una residenza aristocraticatoscana, che ha per investigatore il grande PellegrinoArtusi (Odore di chiuso), opera brillante e ricca anche (eovviamente, visto il protagonista) di grande attenzioneal cibo, di un autore di notevole talento come MarcoMalvaldi, cui si devono altri gustosissimi volumi.

Di tutt’altro argomento e ambientazione il libro di

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Michael Dahlie (Guida per gentiluomini all’arte di viverecon eleganza, Nutrimenti), che narra le divertenti e unpo’ paradossali vicende di Arthur Camden, abbando-nato dalla moglie, colpevole del fallimento dell’aziendadi famiglia, goffo e privo di carisma e di doti particolari,capace infine di convivere felicemente con la propriainadeguatezza.

Chiudo con la segnalazione di un volumetto di Lu-ciano Canfora (“E’ l’Europa che ce lo chiede! Falso!, EditoriLaterza), filologo classico da sempre attento osservatoredelle vicende storiche contemporanee, che affronta conil consueto acume e profondità di analisi un tema digrande attualità: le politiche europee determinate daipoteri finanziari e bancari, spesso presentate dalla re-torica di un malinteso europeismo (assai lontano daiprincipi sinceramente democratici di Spinelli o di De-lors) come un dogma che non è possibile mettere in di-scussione, in realtà funzionali alla crescita di grandiricchezze, all’aumento della sperequazione tra paesi e,al loro interno, tra ceti e allo smantellamento dello statosociale.

Sono solo alcuni consigli, assai parziali e personali,che metto a disposizione, sperando di contribuire unpo’ alla scelta di un regalo utile e piacevole, qualunquesia il libro che ognuno vorrà scegliere tra questi e tramolti altri, per far viaggiare la propria mente e quelladi amici, figli, genitori, parenti.

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I MIEI AUGURI ‘DEMOCRATICI’ PER LA FESTA DEL NATALE

«Si sta per concludere un periodo con importanti respon-sabilità, coinciso con un momento di grave crisi e di difficoltà,vissuto insieme a tanti altri con dedizione e impegno, trasperanze e amarezze, entusiasmi e delusioni.

In occasione delle festività natalizie, oltre alla profondagratitudine per chi ha condiviso e sostenuto questo progetto,rivolgo a tutti l’augurio sincero che si voglia procedere insiemenella crescita della nostra comunità, sviluppando il confrontolibero e la partecipazione attiva, sconfiggendo la logica dannosadel sospetto e della polemica strumentale, le chiusure e gliegoismi, affermando la coesione e lo spirito di appartenenza.

Un augurio in particolare ai giovani perché amino i lorosogni e non consentano a nessuno di distruggerli, perchésappiano cambiare e migliorare se stessi e la società attraversolo studio, la formazione, la conoscenza, la cultura, l’impegno,cioè, con gli unici reali strumenti democratici per un’auten-tica crescita individuale e collettiva».

È questo il testo degli auguri per Natale e per ilNuovo Anno che ho inviato alla comunità accademicafoggiana e che ho voluto estendere alle istituzioni, alle

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associazioni, alle organizzazioni sindacali, alle imprese,ai cittadini di Foggia e della Capitanata.

In questi quattro anni ho sempre voluto, o almenotentato, in occasione delle feste natalizie, di esprimereauguri che non fossero banali, retorici, rituali, ma cheinvitassero anche a riflettere. Rileggendoli di seguito,emergono degli indirizzi costanti, che sono stati e sonoanche una guida nella mia azione di governo dell’uni-versità e nell’impegno culturale e civile: l’insistenzasulla centralità della formazione e della cultura, l’invitoa migliorarsi, ad impegnarsi, a dare sempre il massimoper sé e per gli altri, a non rassegnarsi, ad avere fiduciae speranza nel futuro, pur in un momento così difficile.

Negli anni passati ho preferito ricorrere alle paroledi uomini e donne fuori del comune, esempi straordi-nari di impegno per la pace, per la solidarietà, per ladignità e i diritti dei popoli, contro le discriminazioni,le ingiustizie, le violenze, le guerre.

Penso che possa essere utile riproporre di seguito ailettori i vari ‘pensieri augurali’.

Nel 2008 iniziai questa consuetudine con le lumi-nose, fiduciose, parole di don Tonino Bello, grande ve-scovo di Molfetta, sempre schierato dalla parte degliultimi e attivo testimone di pace in tante aree di guerra:«Vi faccio questo augurio. Che anche voi, scrutando i segni,possiate dire così: resta poco della notte perché il sole sta giàinondando l’orizzonte».

Nel 2009 proposi le parole di Martin Luther Kingche invitavano ad essere sempre il meglio di ciò che

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ciascuno è, a costruirsi un progetto di vita e a realizzarlocon impegno: «Se non puoi essere un pino sul monte, siiuna saggina nella valle, ma sii la migliore, piccola sagginasulla sponda del ruscello. Se non puoi essere un albero, sii uncespuglio. Se non puoi essere un’autostrada, sii un sentiero.Se non puoi essere il sole, sii una stella. Sii sempre il megliodi ciò che sei. Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato adessere; poi mettiti con passione a realizzarlo nella vita».

L’anno successivo, il 2010, è stata la volta di NelsonMandela (Lungo cammino verso la libertà, 1995), che spie-gava, anche sulla base della propria esperienza perso-nale, come solo con la scuola, con la formazione, conla cultura si può realizzare una possibilità di crescita:«L’educazione è il grande motore dello sviluppo personale.È grazie all’educazione che la figlia di un contadino può di-ventare medico, il figlio di un minatore il capo miniera o unbambino nato in una famiglia povera il presidente di unagrande nazione. Non ciò che ci viene dato, ma la capacità divalorizzare al meglio ciò che abbiamo è ciò che distingueuna persona dall’altra».

Lo scorso anno, poi, ho pensato di prendere in prestitole parole del premio Nobel per la pace Aung San SuuKyi (Liberi dalla paura, 2005), che invita a non aver paurae ad effettuare quotidianamente piccoli atti di coraggio:«Una forma molto insidiosa di paura è quella che si mascheracome buon senso o addirittura saggezza, condannando comesciocchi, inconsulti, insignificanti o velleitari i piccoli atti dicoraggio quotidiani che contribuiscono a salvaguardare lastima per se stessi e la dignità umana».

I miei auguri ‘democratici’ per la festa del Natale 111

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Spero non si voglia confondere con un atto di gravepresunzione o di preoccupante e narcisistico egocentri-smo, dopo una sequenza di tali personalità, la sceltafatta quest’anno di utilizzare più semplicemente paroleproprie: si tratta, molto più modestamente, di un mes-saggio lasciato nell’ultima occasione augurale primadella chiusura del mandato.

I temi toccati mi sembrano validi non solo per la co-munità universitaria ma anche per l’intera comunitàlocale, anch’essa troppo spesso pervasa da polemichestrumentali, da contrapposizioni che non nascono daun libero e prezioso confronto di idee e di progetti masoprattutto da conflitti di interessi personali e di cor-porazioni, anch’essa bisognosa di recuperare una realecapacità progettuale, di costruzione di una visione, disuperamento della logica perversa dell’emergenza, an-ch’essa desiderosa di sviluppare forme di partecipa-zione, di cittadinanza attiva, di trasparenza.

L’augurio principale va ai giovani, ai nostri studentie, con loro, a tutti i ragazzi della Capitanata: ho ricavatol’espressione ‘amare i propri sogni’ dal libro di YvanSagnet, di cui ho già parlato, un ragazzo di colore chesi batte contro la discriminazione e lo sfruttamento di-sumano nelle campagne pugliesi e che, nonostante que-ste difficoltà, continua a credere nel suo sogno di venirein Italia, di studiare, di diventare un ingegnere e di tor-nare in Camerun per dare il suo contributo allo svi-luppo del suo paese, restando cittadino del mondo, in-namorato dell’Italia. La Capitanata e il Sud rischiano

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di perdere progressivamente i propri ragazzi costrettiad emigrare, di trasformarsi in una società di anziani,di non essere più un paese per giovani. Allora auguroloro di conservare la grinta, la voglia di cambiamento,la generosità, l’innocenza, la capacità di sognare in unmondo più giusto, meno precario, meno brutto, menoviolento.

Intanto non possiamo ignorare che in queste setti-mane e nei prossimi mesi si effettueranno scelte im-portanti per il prossimo futuro, come la scelta dei pros-simi rappresentanti a livello nazionale di un territorio,che da sempre lamenta una scarsa rappresentatività,un’esclusione dai luoghi decisionali e una marginalità,troppo spesso attribuite a responsabilità altrui. La se-lezione della classe dirigente rappresenta una delleoperazioni principali per ogni comunità e, pertanto,l’augurio sincero è che la scelta questa volta sia all’al-tezza della difficoltà delle sfide, che si ponga fine aduna sorta di darwinismo al contrario, che si selezioninopersone che abbiano dimostrato nei fatti, con le scelte,con i risultati documentati, con la responsabilità di ge-stione di strutture complesse, alcune indispensabiliqualità politiche e personali: competenza, preparazione,impegno, volontà di interpretare esclusivamente gli in-teressi generali e soprattutto dei ceti più deboli, capacitàprogettuale e decisionale, propensione all’ascolto e allacollaborazione, trasparenza, integrità e rigore etico, cul-tura, intelligenza. Vedremo cosa sarà capace di espri-mere la Capitanata.

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LE COSE POSITIVE DELL’ANNO CHE VA VIA

Il direttore di questo giornale mi ha chiesto di scri-vere un pezzo con alcune osservazioni personali a bi-lancio del 2012. Sinceramente non c’è nulla di più dif-ficile in questi tempi così confusi e difficili. Ho, pertanto,cominciato a stilare un elenco di cose negative e posi-tive, relative alla nostra città e al territorio di Capitanata,verificatesi nell’anno che sta per concludersi. Ma misono subito bloccato, perché soprattutto sulla secondacolonna gli appunti scarseggiavano, decisamente a sca-pito della prima. Ho cercato di integrarli, valutandoanche i risultati dell’Università di Foggia, per poi pro-porre un auspicio per il 2013.

Partiamo da alcuni dati negativi, che potrebberoriempire una lista lunga ma che rischiano di aggiungerepoco agli elenchi stilati da tanti altri. Fallimenti, chiu-sure, crisi, degrado sono sotto gli occhi di tutti. Parlaredella spazzatura che invade periodicamente la città,raggiungendo livelli assolutamente insopportabili inquesto periodo festivo, equivale a sparare sulla CroceRossa. E poi non mi sembra utile aggiungermi al coro.Ciò che, però, anche in questa vicenda, come in molte

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altre, colpisce è la preoccupante e assurda miscela fattadi rassegnazione, di accettazione di quasi tutto comesi trattasse di un’emergenza ‘naturale’, di scarsa capa-cità nel prevedere anche a breve e medio termine leconseguenze di problemi noti da tempo e aggravatisinegli anni (incapacità che impedisce di evitare l’emer-genza e, comunque, di affrontarla con maggiore pre-parazione) e, infine, di demagogia e di irresponsabilitàda parte di tanti, di troppi, anche con responsabilitàimportanti. Trovo sinceramente semplicistico, sbagliatoe ingeneroso addossare tutte le responsabilità al SindacoGianni Mongelli, una persona perbene, onesta e capar-bia, alla quale esprimo, ora più che mai, la mia sinceraamicizia ed anche la stima per il coraggio dimostratonell’affrontare una sfida quasi disumana; un foggianoche considero un autentico Cireneo, che si è fatto caricodi una croce pesantissima, mentre pochi si sono residisponibili a dare una mano per reggerne il peso, emolti si sono affannati a colpirlo, tra urla e bestemmie,con spintoni, sgambetti, sputi, bastonate. Forse si po-trebbe attribuire al mio amico Gianni la ‘colpa’ di nonaver saputo sfruttare, molto di più di quanto ha potuto,il sostegno della Foggia migliore, dei cittadini impe-gnati, dell’associazionismo, di quanti, cioè, hanno vis-suto il suo tentativo con la speranza di un’autenticasvolta, di non aver potuto realizzare con più forza una‘operazione verità’ sulla drammaticità della situazionee di aver comunicato meno di quanto la società con-temporanea richieda, ma al contrario, di essere rimasto

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oggettivamente intrappolato, pur contro la sua volontà– ne sono certo –, nella palude delle vecchie logiche dicerta politica locale, di essersi ‘costretto’ ad una sortadi solitudine nell’impegno a contrastare la frana (l’im-magine mi è stata fornita dallo stesso Sindaco, quandomi disse, all’inizio del suo mandato, di sentirsi comeun alpinista che cercava di bloccare una frana solo conle sue mani), pagando prezzi personali altissimi in ter-mini di serenità, di affetti familiari, di salute, di attivitàprofessionale.

Ma ci sono due elementi che più di tutti sono emersinella mia riflessione di fine anno, che non attengono ascelte politiche o amministrative ma alla percezione disentimenti diffusi, ad aspetti che potremmo definire di‘psicologia sociale’: l’imbarbarimento civile, l’incatti-vimento generalizzato, l’esplosione di sospetti, dietro-logie, veleni ad ogni livello. Si tratta di un fenomenodiffuso nei momenti di particolare difficoltà e di crisi,nei quali rischia di prevalere la logica dell’homo hominilupus, ma che nel nostro caso appare ancor più esaspe-rato per la mancanza di una capacità di direzione, dicoordinamento, di indirizzo, di progetto, di prospettiva.Sembra anzi che chi ha responsabilità di governo, adogni livello, non solo politico, contribuisca notevol-mente ad accrescere questo clima di scontro tanto vio-lento e permanente quanto inconcludente e sostanzial-mente autolesionista. A ciò si aggiungano due diffuseposizioni opposte e perfettamente speculari, tipiche diuna società in progressivo stato confusionale: un aprio-

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ristico ‘amore’ per la propria terra (di per sé ovviamentemolto positivo) incapace però di intravvedere anche lebrutture più manifeste e un’ostilità altrettanto apriori-stica, un’autoflagellazione esasperata, una disistimaesagerata. Il web e i social network costituiscono, daquesto punto di vista, un osservatorio privilegiato. Le-gato a questi fenomeni, ho riscontrato anche (perso-nalmente) un pericoloso incremento di una più diffusaostilità verso quanti sono considerati da alcuni ‘stra-nieri’, da altri addirittura ‘invasori’, ‘colonizzatori’,‘persone che sono venute qui appositamente per farecarriera visto che nei luoghi di provenienza non ave-vano alcuna possibilità’. Anche questi sarebbero feno-meni comprensibili in momenti di crisi, ai quali nor-malmente sarebbe da attribuire scarsa importanza,rubricandoli come atteggiamenti subculturali sostan-zialmente ‘razzistici’ (come sempre, quando si valutauna persona, non per le proprie capacità, idee e azioni,ma per il certificato di nascita, o per il colore della pelle,il genere, le scelte sessuali, ecc.), se non fosse che spessosono promossi anche dalla cosiddetta classe dirigentee da quanti affermano in ogni occasione di ‘amare que-sto territorio’, evidentemente non accorgendosi dellasua condizione (che non risulta essere stata determinata,a vari livelli, negli ultimi decenni dall’opera di ‘inva-sori’). Si tratta di un fenomeno ancor più pericoloso inuna terra, come la Capitanata, che ha da sempre nel-l’accoglienza, nell’apertura all’esterno, nell’integrazioneuna delle sue peculiarità migliori.

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Tra i dati positivi del 2012, mi piace sottolineare cer-tamente la ripresa di iniziativa e di protagonismo deipiù giovani, in particolare gli studenti delle scuole su-periori, che anche a Foggia hanno dato prova di grandevitalità, di impegno nella difesa della scuola pubblica,di voglia di cambiare con gli strumenti della parteci-pazione e della protesta pacifica. Stessa valutazionepositiva va attribuita alla crescita di forme sempre piùdiffuse di cittadinanza attiva, di associazionismo cul-turale e sociale, di impegno civico, da Libera a Emer-gency, al GADD e a tanti altri, che contrastano il rischio,ancor più forte in momenti di difficoltà, della rasse-gnazione e della fuga e che sono capaci di trasformarel’indignazione in partecipazione. Tra tutte le manife-stazioni di questo fenomeno mi limito a ricordare l’im-mediata e sentita risposta alle bombe e al racket.

Per quel che riguarda l’Università di Foggia, ancheil 2012 è stato un anno non facile, con ulteriori gravi ta-gli del finanziamento statale e numerosi altri problemi;ma è stato anche un anno che ha visto la completa rior-ganizzazione con l’istituzione dei nuovi organi di go-verno e dei dipartimenti, la realizzazione di nuove im-portanti strutture, alcune già completate, come il PoloUmanistico in via Arpi, altre in corso di realizzazionee di prossima inaugurazione, come la nuova sede diMedicina e la nuova residenza studentesca in via G. DiVittorio, altre ancora con cantieri di prossima attiva-zione, come le due palestre di via Galliani e di via Am-miraglio da Zara destinate al Dipartimento di Econo-

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mia: iniziative che, insieme ad altre, hanno contribuitoad assegnare all’Università di Foggia il Premio Gubbio2012 per i centri storici.

Un segnale molto positivo è stato poi rappresentatodalla nascita della Fondazione Apulia Felix, costituitada un gruppo di imprenditori foggiani che hanno de-ciso di destinare proprie risorse e il proprio impegno afavore della cultura, della ricerca, della formazione,della crescita della società di Capitanata: è un segnaleincoraggiante, per alcuni versi ‘rivoluzionario’, chespero sia imitato e seguito da molti altri imprenditorilocali. Le iniziative messe in campo nei pochi mesi diattività, che questo giornale ha sempre seguito con at-tenzione, dimostrano la positività di questa iniziativa.

Quanto all’auspicio per il 2013, mi limito ad augu-rare, sinceramente, che si affermi una maggiore coe-sione, una maggiore volontà di lavorare insieme per ilbene comune, una maggiore capacità di costruzione diun progetto condiviso, una maggiore voglia di impegnodiffuso, di spinta dal basso, di partecipazione demo-cratica: solo così la nostra realtà potrà ricominciare aricomporre i pezzi, ora sfilacciati e sconnessi, di unaidentità più forte e consapevole.

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CARO MONTI L’UNIVERSITÀ DI FOGGIA NON FALLIRÀ

Sta finalmente per concludersi la peggiore delle le-gislature della storia italiana per quel che riguardal’Università e la scuola pubblica, la cultura, e, pur-troppo, per molti altri settori della vita civile, dellasocietà e della economia.

Nelle scorse settimane, dopo la funesta legge distabilità, che ha provocato un ulteriore taglio di 300milioni di euro alle Università statali italiane, sonocomparsi articoli su vari giornali ed anche su TV na-zionali sulle università ad un passo dal dissesto: primadella lista l’Università di Foggia, che già il Sole 24 Oreaveva posto al primo posto a causa del cattivo rap-porto tra entrate e spese per il personale. Insieme al-l’Università daunia sono state indicate anche Univer-sità storiche come quella di Sassari, o più recenti, postein altri territori ‘marginali’, come quella di Cassino.

La legge di stabilità ha rappresentato solo l’ennesimoschiaffo all’Università: una legge che peraltro, come lepeggiori finanziarie della prima repubblica, contienemance elargite a destra e sinistra (l’elenco sarebbe lun-ghissimo, dai maestri di sci ai tanti interventi per unacittà o un monumento, per questo castello o quella

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chiesa, per un istituto o un’associazione patrocinati dalparlamentare di turno). Una legge che ha messo in con-correnza in maniera indecente i fondi per l’Università equelli per i malati di SLA. Nulla di nuovo, dunque, conil governo dei professori-rettori: c’è sempre una ‘emer-genza’ che prevale sulle ragioni della formazione, dellacultura, della ricerca: ora per i camionisti ora per l’Ali-talia (a favore della quale quattro anni fa, in nome diun malinteso nazionalismo, furono dirottati consistentifondi dell’Università e che ora è nuovamente in fase disvendita agli stessi acquirenti che in quel momentol’avrebbero ben pagata), per non parlare dei caccia F35che da soli costano ai cittadini quasi il doppio dell’interofinanziamento per tutte le Università italiane. Tutto que-sto con buona pace del Ministro Profumo e delle suetardive proteste e ‘lacrime di coccodrillo’.

Ho denunciato per tempo in molti miei interventiquello che sta accadendo da anni nel sistema univer-sitario italiano e che oggi conosce un’accelerazionecon questo nuovo taglio ed anche con la bozza deldecreto ministeriale sulla programmazione triennaleche, con perfetto tempismo, è stata presentata mentresi materializzava la mattanza in Parlamento. Siamoalla schizofrenia pura: le risorse finanziarie copronoormai a mala pena a livello nazionale le sole spesedel personale e sono a rischio anche i servizi essenziali,ma al contempo si chiede alle Università di program-mare in materia di didattica, di ricerca, di internazio-nalizzazione. Non pare un caso che in questa pro-

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grammazione si calchi la mano sul fronte delle fusionidi due o più atenei, delle federazioni che somiglianoa fusioni (con un unico Consiglio di Amministra-zione), degli accorpamenti su base regionale dei corsidi studio, in particolare di quelli magistrali, che po-trebbero portare molti atenei più piccoli, con la solalaurea triennale, ad una sorta di licealizzazione. Il pro-getto è chiaro: salvare una decina di Università e la-sciare le altre al loro destino, mettendo fine ad unapeculiarità italiana, al modello democratico e di qua-lità dell’Università, pubblico, libero e accessibile atutti i ‘capaci e meritevoli anche se privi di mezzi’,come recita l’art. 34 della nostra Costituzione.

Ci sono stati e ci sono ancora progetti, promossi daprecisi ambienti accademici, finanziari e politici e so-stenuti da alcuni grandi giornali e ben rappresentatidai governi Berlusconi prima e Monti poi, che avrebberovoluto la chiusura di molte Università, soprattutto alSud: una delle prime di questa lista di atenei da cassareè stata considerata proprio l’Università di Foggia. At-tribuisco alla nostra strenua battaglia – condotta su duepiani, in casa con il rigore degli investimenti per la cre-scita e della promozione della qualità, a livello nazionalecon una forte difesa del ruolo svolto in Capitanata – ilmerito di aver annullato questo disegno. Mi ha fatto ri-flettere la telefonata di un paio di giorni fa di un auto-revole collega, tra gli autori della legge Gelmini, unodei collaboratori più stretti degli ultimi due ministridell’Università, e uno dei fautori della chiusura di varie

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Università ‘minori’, tra cui Foggia, che, appena appresala notizia della mia candidatura al Senato, ha volutochiamarmi per complimentarsi e per tessere le lodi delmio impegno da rettore di un’Università dinamica e at-tiva: è evidente che l’impegno ha dato i suoi frutti.

L’altro elemento che emerge con sempre maggiorechiarezza è la volontà di costringere le Università adun aumento generalizzato delle tasse studentesche,proseguendo in una politica di progressivo disimpe-gno pubblico. Tutto questo mentre in altri paesi euro-pei le tasse studentesche, già ora ben più basse diquelle italiane, stanno per essere ulteriormente ridotteo del tutto eliminate, ad esempio in Germania, a frontedi ulteriori massicci investimenti pubblici, per favorirele iscrizioni e l’aumento del numero dei laureati. Danoi invece scendono le immatricolazioni e cresce iltriste primato della più bassa percentuale di laureati.

L’Università di Foggia ha effettivamente il peggiorerapporto tra spese per il personale ed entrate, pariall’89,16%, ma mi preme precisare ancora una voltache questo rappresenta il risultato ovvio del perversomeccanismo introdotto dalla Legge Gelmini e dal Mi-nistro Profumo con un decreto (D.lgs. 49/2012) checonsidera il rapporto tra le spese di personale e le en-trate (cioè il finanziamento statale sempre più ridottoe distribuito in forma fortemente sperequata e le tassestudentesche, notoriamente molto variabili in Italia,con una media di € 982, e oscillazioni che vanno dai €1.350 del Nord, ai € 1.000 del Centro e ai € 650 del

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Sud, mentre a Foggia la media è di soli € 560, in ra-gione del contesto socio-economico). Ecco dove si na-sconde il ‘trucco’ che danneggia in particolare le Uni-versità meridionali e quelle poste in aree disagiate.

A Foggia, abbiamo subito un taglio del finanzia-mento statale di oltre 5 milioni di euro negli ultimianni quattro anni, e di 1,5 milioni solo con quest’ul-tima ‘mazzata’, ma abbiamo già approvato il nostrobilancio preventivo per il 2013, ancora una volta inpareggio, senza un solo euro di debito.

Da noi il rigore dei conti e l’eliminazione di ogniminimo spreco sono realtà da anni, ben prima che siintroducesse la spending review. Fin dal 2008 quandocominciarono a profilarsi le difficoltà, noi abbiamoadottato misure draconiane di risparmio e di rigore,affiancate a sostanziose politiche d’investimento so-prattutto nelle infrastrutture. Nel corso dell’anno ap-pena iniziato le strutture per la didattica e per la ri-cerca raddoppieranno grazie ai vari cantieri in fase dicompletamento o in corso. Il prossimo rettore avràmolti nastri da tagliare di strutture realizzate in questianni. Il bilancio è sano e resta sano, anzi si è provve-duto a garantire per il bilancio futuro del 2014 risorseche ne consentiranno la sostenibilità. Questo dovrebbesempre essere un impegno di chi governa, non lasciaredebiti e scaricare problemi irrisolvibili su chi segue!

A breve lascerò il rettorato ma non lascerò mail’impegno per la difesa e la crescita della nostra Uni-versità insieme al territorio di Capitanata. Tra alcuni

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giorni, dopo la cerimonia di inaugurazione dell’annoaccademico del 15 gennaio, partirà la mia ‘autoso-spensione’ (compresa ovviamente l’indennità) per evi-tare improprie sovrapposizioni tra impegni accade-mici e attività elettorale: spero che anche questosegnale etico venga colto. Non ho voluto dimettermiimmediatamente solo per senso di responsabilità, pernon dare nemmeno minimamente l’impressione divoler abbandonare in fretta ‘la barca’ (che peraltromai abbandonerò), per garantire una regolare e sere-natransizione, per risolvere alcuni delicati problemiin sospeso, per dare il tempo necessario per organiz-zare le prossime procedure elettorali per il rettore.

Voglio rassicurare tutti: l’Università di Foggia nonfallirà né nel 2013 né dopo! E, ne sono certo, non falli-ranno neanche le altre Università considerate a rischio.Continueremo, noi e le altre Università, a lavorare peril bene dei nostri studenti, e a conseguire ancora straor-dinari risultati nella formazione, nella ricerca, nell’in-ternazionalizzazione, nel trasferimento tecnologico, maanche nel rigore etico, nella trasparenza, nell’afferma-zione della legalità e della democrazia nel nostro Paese.

Certo saranno necessari ancora molti i sacrifici maproseguiranno, spero, anche gli investimenti, graziealla nostra capacità di attrarre fondi e di utilizzare i fi-nanziamenti europei, e al prezioso sostegno della Re-gione Puglia, una regione che in materia di investi-mento in formazione, ricerca e cultura può insegnaremolto al prof. Monti.

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PIERO ANGELA E LA CREDIBILITÀ DELL’UNIVERSITÀ DI FOGGIA

La cerimonia di inaugurazione dell’anno accade-mico 2012-13 dell’Università di Foggia, svoltasi martedìscorso (15 gennaio 2013), è stata indubbiamente un suc-cesso. Un successo non solo mio e dell’Università, maun successo di Foggia e della Capitanata. Una paginabella della breve storia del nostro ateneo, ma anche unmomento alto per le istituzioni e i cittadini in un pe-riodo segnato da tanti problemi e insoddisfazioni. Lapresenza di tanti rettori di tante Università italiane, daPadova a Palermo, da Napoli Federico II a Bologna, daBergamo a Siena, da Roma La Sapienza a Napoli 2,oltre alle Università della federazione di Puglia, Basili-cata e Molise e ad altre ancora, testimonia della credi-bilità dell’Università di Foggia. La partecipazione diPiero Angela, persona di straordinaria cultura e di pre-gnante umanità, che ho avuto il piacere e l’onore di co-noscere personalmente in questa occasione, alla qualela comunità accademica e la cittadinanza hanno mani-festato profonda ammirazione e riservato un’acco-glienza che lo ha commosso (come lui stesso mi ha con-

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fessato), ha rappresentato la maniera migliore per ca-ratterizzare la conclusione del mio ciclo rettorale, so-prattutto perché mi ha consentito di toccare il tema piùimportante, quello che dovrebbe caratterizzare l’es-senza stessa dell’Università: il ruolo sociale della co-noscenza, della ricerca, della formazione.

E, inoltre, quell’aula magna debordante come forsemai si è visto in precedenza, anche alla presenza dialtri autorevoli ospiti, quella partecipazione viva, chesi percepiva forte, una commozione che ha preso anchechi scrive, soprattutto quando ho ricordato le personepiù vicine, quelli che mi hanno sostenuto con forza econvinzione, i miei colleghi, i miei collaboratori, i mieiallievi, la mia famiglia. Non nascondo che il lungo af-fettuoso applauso che ha segnato la conclusione dellamia relazione sia stato uno dei momenti più toccanti ecommoventi di questi miei anni da rettore.

Certo, non nascondo anche un certo dispiacere perla contestazione da parte di un gruppo di studenti eper quanto ha affermato il loro rappresentante nel suointervento, che pure ho apprezzato in larga parte (comeho apprezzato, interamente, l’intervento del rappre-sentante del personale tecnico-amministrativo). Avevosperato (e avevo rivolto un invito in tal senso agli stu-denti, anche in occasione di un lungo incontro-con-fronto con loro) che la cerimonia di inaugurazione del-l’anno accademico fosse riservata solo alle questioniaccademiche e che si rispettasse lo spirito autentico diquesta festa, di questo momento di riflessione, anche

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Due momenti della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico 2012-13, dedicata al rapporto tra scienza e società, con la partecipazione di PieroAngela (foto Mimmo Attademo).

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critica (non polemica), di questa occasione di rapportocon la società. Ho provato pari delusione – non lo na-scondo – anche nel ritrovare su alcuni organi di stampaun’enfasi quasi esclusiva riservata a tale protesta, fran-camente marginale e minoritaria, rispetto a tutto quelloche questa cerimonia e soprattutto questi anni hannorappresentato per l’Università e per la città. Sono,quindi, costretto a motivare ancora una volta la miadecisione di ‘autosospensione’ (che, forse è bene preci-sarlo, prevede anche la sospensione dell’indennità dicarica): sono convinto che sia una scelta eticamenteineccepibile e un atto di responsabilità nei confrontidell’istituzione. Al contrario, le invocate dimissioni sa-rebbero state solo un atto irresponsabile di fuga im-provvisa, di egoismo e di opportunismo (facile ancheda ‘vendere’ sul piano mediatico ed elettorale). Lo sta-tuto della nostra Università prevede, infatti, che in casodi impedimento del rettore (come per l’autosospen-sione), tutte le funzioni vengano svolte dal prorettore:tutte le attività quindi possono proseguire regolar-mente, gli organi di governo possono operare, si pos-sono emettere decreti di urgenza, etc. Nel caso di di-missioni, al contrario, subentra il decano dei professoriordinari “fino alla nuova elezione e limitatamente al-l’attività di ordinaria amministrazione e all’adozionedegli atti urgenti e indifferibili” (art. 13, c. 2). Quindi,non possono essere assunte decisioni rilevanti e nonpuò essere preso alcun provvedimento che prevedaspese o impegni per il futuro: in sostanza un blocco,

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che mi sembra alquanto grave in una fase così delicata.Inoltre, lo statuto prevede che il Consiglio di Ammini-strazione sia presieduto dal rettore e, in sua assenza,dal prorettore (art. 18). Io ritengo che in caso di dimis-sioni, il decano non possa presiedere il CdA, non fa-cendone parte e non essendo prevista questa possibilitàdallo Statuto, pena l’illegittimità degli atti assunti. Altreinterpretazioni sono possibili, ma si tratta di interpre-tazioni, che creano rischi di legittimità e di regolarefunzionamento delle istituzioni, che devono costituirela preoccupazione principale di chi assume cariche digoverno. Inoltre sono previste in queste settimane de-cisioni e atti importanti. Mi limito a citarne solo due: a)l’assunzione dei docenti idonei nei concorsi banditi nel2008 ed espletati nel 2010, grazie ora al Piano straordi-nario per i professori associati di prossima pubblica-zione in Gazzetta Ufficiale; dopo due anni di attesa ilegittimi aspiranti hanno il diritto di veder risolto unproblema creato dal blocco delle assunzioni di questianni; b) l’approvazione del progetto e del bando per laristrutturazione della Palestra ex GIL di via Ammiraglioda Zara, da anni atteso, dopo aver finalmente ottenutole necessarie autorizzazioni. Certo si potrebbe attenderequalche mese anche per queste decisioni, ma io allapolitica del rinvio non mi sono mai rassegnato.

Infine, nei prossimi giorni, su mia sollecitazione, ildecano provvederà a indire le nuove elezioni, fissandoi tempi più opportuni per la presentazione delle can-didature, per lo svolgimento di una campagna eletto-

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rale che consenta ai candidati di illustrare i propri pro-grammi, per le varie tornate. Dov’è dunque il pro-blema? Mi auguro soltanto che queste polemiche stru-mentali per le dimissioni non siano legate alla miascelta di candidarmi con SEL: altri rettori candidati inaltre liste non hanno, infatti, conosciuto richieste e po-lemiche simili! Si contesta, infine, di voler utilizzarel’Università come serbatoio di voti e trampolino di lan-cio: se così fosse, tutti i rettori sarebbero candidati, macosì non è, mi sembra. Forse varrà un po’ quanto unrettore ha fatto, quanto si è speso, quanta considera-zione e credibilità ha costruito nel corso del tempo. Lameritocrazia vale anche per i rettori!

Come ho detto nella parte conclusiva della mia re-lazione, la fine del mio rettorato, sarà certamente, comeritengo naturale e fisiologico, salutata senza rimpiantie forse con un sospiro di sollievo da parte di alcuni maanche, almeno lo spero, con un po’ di tristezza da partedi altri. Mi auguro solo che anche i primi vogliano ri-conoscere che ho cercato di svolgere questo incaricocon il massimo di impegno possibile di tempo e dienergie, con passione totalizzante, con onestà intellet-tuale e morale, con forza decisionale ma, spero, anchecon equilibrio, preferendo sempre dire la verità, anchese dura e sgradevole, invece di promettere illusioni de-magogiche. Ho cercato di tenere alto il prestigio, la cre-dibilità e l’onore della nostra Università, spendendomiin prima persona, sia a livello locale sia a livello nazio-nale e internazionale. Altri diranno se questi sforzi sono

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stati utili. Ho cercato anche di promuovere il massimodi trasparenza e di comunicazione, sia all’interno dellanostra comunità sia all’esterno, stabilendo contatti, svi-luppando collaborazioni, dando concretezza all’ideadi un’istituzione aperta al dialogo, alla collaborazionee all’impegno per il bene comune. In questi anni, ho ri-cevuto e ho risposto a migliaia di mail, di contatti sulblog e sui social network, ho incontrato chiunque miavesse chiesto un colloquio, ho partecipato a innume-revoli conferenze, convegni, dibattiti, incontri: qualcunomi ha anche rimproverato di esagerare in presenziali-smo e in comunicazione e sono pronto ad accettarequesta critica. Ma avevo promesso di essere un rettoremilitante e ho cercato di mantenere questo impegno,per affermare un’Università che si mette in gioco, chesi apre al contesto locale e non solo, che si sporca lemani conservando limpida la coscienza. Il mio essereinnanzitutto un archeologo militante ha forse influitonon poco su questa impostazione di lavoro sul campo.

E tra tutti i destinatari dei miei sentiti ringraziamentici sono anche e soprattutto gli studenti, compresi quelliche hanno protestato e steso uno striscione. Un graziesincero ai nostri studenti, alle loro associazioni e ai lororappresentanti con i quali ho avuto un rapporto aperto,franco, mai ipocrita, a volte anche conflittuale, ma sem-pre, spero lo riconoscano, finalizzato esclusivamentealla creazione di migliori condizioni di studio e di cre-scita culturale e umana.

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BENI CULTURALI, LA RICCHEZZA NEGLETTA DEL BELPAESE

Quando sono crollati i muri della domus dei Gladia-tori il mondo intero ha gridato allo scandalo. Quelcrollo ha assunto un significato paradigmatico della si-tuazione di sfascio del sistema della tutela e valorizza-zione del patrimonio culturale italiano. Ma quel crollonon è l’unico dramma, purtroppo. Quotidianamentesiti archeologici, monumenti, chiese, palazzi storici, maanche musei, gallerie, archivi perdono pezzi, vannoalla malora, tra il disinteresse generale e la disperazionee l’impotenza dei pochi addetti alla tutela e di pocheassociazioni di volontariato.

Ultimo in ordine di tempo il grido d’allarme lanciatoda alcuni archeologi, colleghi calabresi, in relazione alsito archeologico della colonia greca di Sibari, uno deipiù importanti siti archeologici della Magna Grecia.

Sibari è scomparsa sotto milioni di metri cubi di ac-qua e di fango a causa di un cedimento, le cui causedevono essere ancora accertate, degli argini del fiumeCrati. Le idrovore stanno ancora pompando fuori dalloscavo di Parco del Cavallo l’acqua, ma il problema più

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Un esempio di bene culturale allo sbando: il sito archeologico di Herdonia,oggetto di scavi sistematici tra il 1962 e il 2000 e ancora in proprietà privatae in condizioni di abbandono.

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grave sarà l’enorme quantità di fango che rimarrà sullestrutture e sugli strati antichi e che dovrà essere rimossaimmediatamente, prima che abbia il tempo di solidifi-carsi e rendere tutte le operazioni di verifica dei danni,scavo, pulizia e restauro molto difficili o, addirittura,impossibili.

I sottoscrittori dell’appello, tra cui chi scrive, chie-dono al Presidente della Repubblica, al Presidente delConsiglio, al Ministro dei Beni Culturali e a tutti gliEnti competenti di intervenire senza indugio per salvarele strutture antiche di un sito che è uno dei patrimoniculturali più importanti della Calabria, dell’Italia e ditutta l’umanità. Chiedono anche che vengano destinatifondi e mezzi straordinari per la ripulitura, la messa insicurezza ed il ripristino dello scavo archeologico.

Ancora un disastro! E ancora un’emergenza!La situazione non è meno drammatica in altre parti

d’Italia, come anche in Puglia e in Daunia, uno dei ter-ritori più ricchi di testimonianze culturali. Si pensi adesempio al caso emblematico di Herdonia, un’interacittà romana, solo in parte scavata, indagata per oltretrent’anni da archeologi belgi e italiani, ma ancora inproprietà privata e condannata ad un assurdo e penosostato di abbandono. Per un decennio ho diretto io gliscavi, l’area archeologica era sempre pulita, avevamoattrezzato un percorso di visita con pannelli illustrativie una guida a stampa, con la realizzazione anche unaguida on line e l’organizzazione di spettacoli teatrali emusicali: ora è nuovamente tutto in abbandono. Ma

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potrei citare tanti altri casi, da Fiorentino a Montecor-vino, da Siponto ad Arpi, da Teanum Apulum a Salapia:siti archeologici importantissimi, in stato di abbandonoo sottoposti alla piaga dello scavo clandestino. Anchenei casi in cui si è avviato un progetto innovativo diparco archeologico, come a Faragola (Ascoli Satriano),le attività di completamento della sistemazione sonostate sospese, mentre il museo civico, dove sono espostigli splendidi marmi policromi, vive vita difficile, con ilsolo impegno del locale Comune. Limito qui il cahierdes doleances, che sarebbe possibile estendere a vari tipidi monumenti e di beni culturali, come i lettori sannobene.

Non c’è partito o uomo politico che non sottolinei,nei suoi discorsi, l’importanza del patrimonio culturale.Salvo dimenticarsene subito dopo. I fondi destinati aibeni culturali sono risibili, il Ministero e le Soprinten-denze vivono in uno stato di agonia, il personale èprivo di mezzi, invecchiato e demotivato, le immissionidi giovani, portatori di nuove competenze e di entu-siasmo si contano sulle dita della mano, numerosi sonoi casi di direttori regionali e soprintendenti costretti agestire più regioni per mancanza di dirigenti. Da alcunimesi sono componente del Consiglio Superiore per iBeni Culturali e Paesaggistici e ho potuto verificare an-cor più direttamente lo stato di frustrazione e di crisi.Poche decine di milioni di euro suddivisi tra tutte lesoprintendenze, i musei, le biblioteche, gli archivi ita-liani e nessuna possibilità di reale programmazione.

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Ascoli Satriano: la parte musealizzata dell’area archeologica di Faragola el’esposizione dei marmi policromi al Museo Civico-Diocesano.

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Del resto, che i beni culturali continuino ad essere assaiscarsamente considerati lo dimostra la scelta dei mini-stri: nel governo tecnico di Monti, l’unico ministro nontecnico è Lorenzo Ornaghi (ex rettore della Cattolica epolitologo), assente e disinteressato, tanto da essereconsiderato da Salvatore Settis, già presidente del Con-siglio Superiore – dimessosi per dissenso nei confrontidelle politiche ministeriali – peggiore del peggiore mi-nistro dei beni culturali della storia repubblicana, il‘poeta’ Sandro Bondi.

Il problema dei finanziamenti destinati alla culturaè centrale, prioritario, ma non è l’unico. Investire piùrisorse migliorerebbe molti problemi ma non garanti-rebbe, se non accompagnato da interventi di riorga-nizzazione, la soluzione globale.

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L’ASCENSORE SOCIALE FERMO AL PIANO TERRA

«Io credo di essere rappresentativo di quegli strati profondidelle masse popolari più umili e più povere che aspirano allacultura, che si sforzano di studiare e cercano di raggiungerequel grado di sapere che permetta loro non solo di assicurarela propria elevazione come persone singole, di sviluppare lapropria personalità, ma di conquistarsi quella condizione checonferisce alle masse più popolari un senso più elevato dellapropria funzione sociale, della propria dignità nazionale eumana» (Giuseppe Di Vittorio, Congresso della Culturapopolare, Bologna 1953).

«È stato grazie ad esempi del genere [di E. Mattei e N.Mandela] che ho capito quanto servano a poco le idee senzala forza di un gesto che le trasformi. Ma questo sarebbe suc-cesso anni dopo: al liceo ero solo una spugna che incameravapiù informazioni possibili. Ero affamato di tutto, e affascinato,in eguale misura, sia dalle rivoluzioni degli altri che dalleregole ferree della fisica e della matematica … L’incontro conun professore che non avrei mai dimenticato, all’ultimo annodel liceo, mi fece capire che c’era molto di più oltre allesemplici regole» (Yvan Sagnet, Ama il tuo sogno, 2012).

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Medici di Emergency e volontari impegnati nell’assistenza sanitaria e nellaformazione presso il campo dei migranti ‘Il Ghetto’ nelle campagne di Ri-gnano Garganico.

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Parto da queste due citazioni diverse eppure cosìsimili, di due persone distanti nel tempo eppure cosìvicine nelle stesse lotte a difesa degli ultimi, contro losfruttamento e a favore dei diritti, per sottolineare comesolo la scuola, la formazione, la cultura possano ga-rantire la libertà, la dignità, la prospettiva per una cre-scita individuale e collettiva.

Di Vittorio dovette lottare contro l’analfabetismoche lo condannava, come tutti i braccianti, ad uno statodi subalternità culturale prima ancora che materiale,ebbe la fortuna di incontrare maestri che gli insegna-rono i rudimenti e poi studiò per tutta la vita diven-tando uno dei leader più importanti del sindacato ita-liano e mondiale. Sagnet ha studiato in Camerun e poiha deciso di venire a studiare ingegneria in Italia, peramore del nostro paese, con il sogno di tornare nel suopaese e contribuire alla sua crescita. Poi ha conosciutolo sfruttamento nelle campagne pugliesi e ha organiz-zato per la prima volta uno sciopero dei lavoratori mi-granti, ha creato coesione tra culture, etnie, lingue di-verse: lo ha fatto grazie alla sua formazione culturale,scolastica, universitaria.

Le battaglie per la Scuola e l’Università pubblichein Italia, per il diritto allo studio, per l’elevazione del-l’obbligo scolastico (che vorremmo portare a 18 anniper tutti), per l’applicazione piena della Costituzione,sono state battaglie di civiltà, negli ultimi anni messefortemente in discussione, quasi dimenticate. Il dirittoalla formazione è nuovamente a rischio. Si riaffermano

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idee che pensavamo ormai confinate in soffitta: percorsidifferenziati a seconda del censo, sostegno a Scuole eUniversità di élites riservate ai più ricchi, nuovi cospicuifinanziamenti a Scuole e Università private, taglio in-discriminato dei fondi alle strutture pubbliche.

Ma, soprattutto, in questi anni abbiamo assistitoalla delegittimazione della Scuola, alla perdita di ognidignità degli insegnanti, dei docenti, cioè delle figurepiù importanti, più preziose in una società, quelle allequali affidiamo le persone cui teniamo di più, i nostrifigli. Non molto tempo fa essere professore di liceoconferiva un’immagine di rispetto sociale. Oggi coincidecon la realtà di precario, di mestiere malpagato e bi-strattato dallo stato, dalle famiglie, dalla società. Pro-fessori che a 50 anni sono ancora precari, costretti a gi-randole tra le scuole a tutto danno della continuità di-dattica, privi di strumenti, spesso – dobbiamo ammet-terlo – anche poco preparati per colpa di percorsi for-mativi non adeguati. Abbiamo avuto recentemente mi-nistri incompetenti (Gelmini), che hanno tentato di di-struggere non solo l’Università ma anche una dellerealtà formative più apprezzate al mondo, la scuolaelementare, o ministri tecnocratici (Profumo), che pen-sano che la soluzione sia solo nel dotare gli studenti diIpad (ovviamente benvenuti, come ogni miglioramentotecnologico) e nell’eliminazione dei libri cartacei, senzaattenzione ai contenuti: un iPad o un computer pienodi stupidaggini è inutile, anzi dannoso!

Sarebbe, invece, necessaria una vera ‘rivoluzione’

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Alcuni momenti della cerimonia di inaugurazione dell’Anno Accademico2011-12 dedicata al tema dei migranti e allo sfruttamento nelle campagnedella Capitanata, con la partecipazione della Presidente di Emergency CeciliaStrada (foto Mimmo Attademo).

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copernicana, per riportare la scuola, la formazione, lacultura, al centro delle priorità del paese, non solo coninvestimenti adeguati, per rinnovare edifici scolasticicadenti, per dotare le scuole di laboratori, di strumen-tazioni, di biblioteche, di opportunità di scambi inter-nazionali, ecc., ma soprattutto liberando la scuola daimpostazioni iper-burocratiche e pseudo-aziendaliste,qualificando la classe docente anche attraverso percorsidi aggiornamento continuo, aprendo le scuole a mol-teplici esperienze, alle differenze culturali, allo stessomondo del lavoro con stages e tirocini di qualità, le-gando maggiormente la Scuola all’Università con realipercorsi di orientamento.

La Scuola e l’Università devono tornare ad essere ilvero ascensore sociale, anzi devono accrescere forte-mente questo ruolo. Tengo molto a tale aspetto, ancheper esperienza personale. Non ho mai fatto mistero diprovenire da una famiglia modesta, con genitori cheavevano come titoli di studio la terza elementare (miamadre) e la terza ‘avviamento’ (mio padre), con cinquefigli (ed io sono l’unico laureato); una casa senza un li-bro, tranne qualche Topolino e qualche fascicolo del‘Reader’s digest’ (che molti lettori più giovani non co-nosceranno!). Ho avuto la fortuna di incontrare docentibravissimi, impegnati, appassionati, che mi hanno in-segnato non solo la letteratura, la storia, il latino, ilgreco e le scienze, ma anche e soprattutto a pensare, asforzarmi di interpretare la realtà, a leggere libri, adaprire gli orizzonti mentali. Poi ho avuto la fortuna di

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ottenere il ‘presalario’ all’Università di Bari, di non pa-gare le tasse per merito e reddito, di scoprire il mondodello studio, della ricerca, di frequentare altre Univer-sità italiane e straniere con borse di studio, e poi divincere concorsi da ricercatore, da professore associato,da professore ordinario, senza avere genitori potenti esenza avere legami familiari con professori universitari.Addirittura diventare Rettore di una Università. Eb-bene, io vorrei che queste e ancora altre opportunitàpossano essere garantite a tutti, senza distinzioni dicenso, di famiglia, di clientela, ai tanti giovani capaci,impegnati, appassionati dello studio, della cultura, de-siderosi di crescita personale e professionale. Ecco per-ché sono fortemente schierato contro la distruzionedella Scuola e dell’Università pubbliche, contro le pri-vatizzazioni del sapere, contro il ritorno ad una societàdelle élites.

La Scuola e l’Università possono e devono, in parti-colare, contribuire a migliorare il Paese, la nostra societàrincitrullita da vent’anni di televisione commerciale,di disvalori, di illusioni sul facile successo privo difatica e capacità, di involgarimento generalizzato, va-lorizzando il merito in condizioni di pari opportunità,e contribuendo, soprattutto al Sud, a costruire un arginecontro il vero e proprio tsunami demografico che nelgiro di alcuni decenni rischia di svuotare il Mezzo-giorno d’Italia delle migliori risorse, cioè dei giovani.

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LE VERITÀ TERRIBILI DEL CARCERE DI FOGGIA

Il tema che voglio affrontare in queste pagine non èun argomento di cui si parla spesso, anzi è un argo-mento di cui si preferisce non parlare, lo si rimuove,così come si rimuove quel luogo di disperazione. Anchein campagna elettorale si tratta di un tema assai pocotoccato, lo si evita; anzi anche in questo caso lo si con-sidera un argomento pericoloso, di cui non parlare,perché ‘politicamente scorretto’. Si tratta del carcere edella mancanza delle minime condizioni di vivibilità edi dignità umana, alle quali sono condannate migliaiadi persone. Persone che hanno certamente sbagliato,ma che non meritano di essere costrette a disumaniz-zarsi, in un luogo che dovrebbe al contrario favorirneil recupero e il reinserimento sociale.

Parlo in particolare di una realtà a noi vicinissima,il carcere di Foggia, posto nella periferia della città, main realtà collocato in un altrove fisico e mentale. Po-chissimi volontari ne parlano, pochissimi ne conosconol’esistenza, pochissimi si impegnano per garantire mi-nime forme di aiuto.

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Ho visitato il carcere in varie occasioni, ma ho avutosolo recentemente la possibilità di conoscerlo un po’meglio in occasione di una visita fatta con l’assessoreDario Stefàno e la consigliera regionale Anna Nuzziello.Abbiamo incontrato una delegazione di detenuti e poieffettuato un giro in alcuni reparti. Un dato positivo ècostituito dalla recente istituzione, da parte della Re-gione Puglia, delle figure del Garante dei detenuti, chesi occupa di tutte le carceri regionali, Pietro Rossi, delpreposto Antonio Vannella, responsabile del carcere diFoggia, e della Garante dei minori Rosi Paparella. Per-sone preziose, riferimenti importanti per i detenuti eper la stessa amministrazione carceraria. I detenutihanno parlato con noi liberamente e con molta dignità,consapevoli degli errori compiuti, senza chiedere coseirrealizzabili. Le loro richieste sono state minime: acquacalda per fare una doccia, il riscaldamento per non sof-frire un freddo glaciale (vivono perennemente imbac-cuccati con tute e giacconi) o un sistema che mitighi ilcaldo afoso da serra d’estate, possibilità di formazione.Soprattutto hanno lamentato le condizioni di sovraf-follamento che caratterizza il carcere di Foggia, cometanti altri, nei quali sono continuamente ‘scaricati’ de-tenuti, spesso per piccoli reati che potrebbero prevederemolte forme alternative di pena, o migranti privi dipermesso di soggiorno o detenuti per reati minori (an-che se a Foggia questo fenomeno è ancora marginale,in altre realtà carcerarie sono ormai la maggioranza). Ilcarcere di Foggia, inoltre, è una struttura vecchia, de-

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gradata, per molti anni abbandonata a se stessa senzaalcun intervento di manutenzione e miglioramento.Strutture fatiscenti, grigie, tristi, sporche. Alcuni inter-venti di miglioramento sono stati avviati recentementegrazie all’impegno di una donna straordinaria, energicae sensibile al tempo stesso, l’attuale direttrice, moltobenvoluta dagli stessi detenuti: Mariella Affatato (daRuvo di Puglia, un’altra ‘colonizzatrice’ che a Foggiasta dando molto, una delle donne, insieme all’attualeprefetto e all’attuale questore, che occupano posti deli-cati, impegnativi, tradizionalmente maschili, che stannofacendo molto bene a Foggia). Mi ha fatto una certaimpressione, assai piacevole, trovare quei corridoi grigie tristi trasformati e colorati con belle rappresentazionidi monumenti significativi di tante città di Puglia e dialtre regioni dalle quali provengono i detenuti: bei di-segni di castelli, cattedrali, vedute di città e paesaggi.

Insieme ai detenuti, soffrono per le condizioni divita e di lavoro difficilissime gli stessi agenti di poliziapenitenziaria, costretti a ritmi massacranti per il sotto-dimensionamento dell’organico e per il sovraffolla-mento di detenuti da gestire.

Ma il tema principale che voglio sottolineare è quellodella dignità umana, qui calpestata e mortificata inogni momento della giornata. La difesa della dignitàumana è una conquista importante, frutto di battagliemillenarie, dall’Antichità ad oggi, contro la schiavitùed ogni forma di sfruttamento, di marginalizzazione,di subalternità, sui posti di lavoro, in famiglia, nella

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società. Credo che garantire condizioni di vita dignitosesia ancor più necessario in un luogo, come il carcere,che deve aiutare chi ha commesso un errore a ricredersi,a migliorare, a ristabilire un corretto rapporto con lasocietà.

Nei giorni in cui ho effettuato questa visita al carcerefoggiano, del tutto casualmente stavo leggendo un bellibro che proprio del mondo carcerario parla: Dentro,di Sandro Bonvissuto (Einaudi, 2012); un libro bellis-simo e durissimo, scritto in maniera splendida, capacedi far vivere sensazioni che altrimenti sarebbe impos-sibile provare per chi del carcere non ha idea alcuna.

Ecco perché per comunicare anche ai lettori alcunesensazioni che consentano loro di cogliere, sia pure inparte, la drammaticità del problema, riproduco unapagina di questo libro, dedicata al problema principale:lo spazio.

«La vera punizione corporale inflitta a chi stava lì dentroera dunque proprio dover vivere in una continua carenza dispazio. Tutto il resto veniva dopo. Ed era una cosa, questa,che segnava una radicale inversione di tendenza rispetto acome si era abituati a vivere. Fuori magari c’era poco tempoma tanto spazio. Ed era quello il cortocircuito che ti facevaimpazzire. Venti ore al giorno dentro tre metri per due inquattro persone. Una cosa che nessuno avrebbe mai potutocambiare. Per questo, quando si sentiva qualcuno dire cheprima o poi avrebbero risolto il problema della sovrappopola-zione nei penitenziari, non c’era uno ormai che gli credesse.Mi avevano detto di altri istituti dove c’erano celle di quatto

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metri per quattro che contenevano fino a dieci brande so-vrapposte, più tavolo, sedie, stipetti per tutti. Dicevano chelì dentro noi vivevamo in conformità ad un modello di de-tenzione istituito, il modello “quattro per due”, quattro de-tenuti in spazi pensati per due. Di questa storia dello spazioparlavamo spesso in cella; eravamo tutti d’accordo che ci fa-cesse male quell’inevitabile vicinanza. Una vicinanza cheinduceva i sensi a ridurre le informazioni trasmesse al cervelloe costringeva a vivere in una stasi emotiva. Le sensazioni di-ventavano lì dentro cose stanche, minori, lontane, avvolteda una nebbia perenne. E tutto si predisponeva al regressoinesorabile: il ritorno allo stadio fetale, quando percepivi ilmondo come se ti trovassi dentro l’acqua».

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DIRITTO ALLO STUDIO, IL DIKTAT DEL MINISTRO PROFUMO

In questi giorni sta per essere emanato un decretoche potrebbe modificare sensibilmente le condizioni distudio per migliaia di ragazzi e ragazze appartenenti afamiglie non agiate. Il ministro Francesco Profumo, conuna determinazione degna di miglior causa, intendeemanare il decreto sul diritto allo studio, pur contro ilparere della stragrande maggioranza delle associazionistudentesche e addirittura con il veto delle regioni ita-liane, che peraltro del diritto allo studio hanno la com-petenza. In Conferenza Stato-Regioni l’opposizione allostravolgimento del diritto allo studio è guidata dallaRegione Puglia. Nonostante tutto questo, FrancescoProfumo intende ugualmente approvare il decreto ilprossimo 21 febbraio, pochi giorni prima delle elezionipolitiche e della fine del suo mandato di ministro. Unatto grave e arrogante, che avrà forti ripercussioni neiprossimi anni. Ecco perché bisogna bloccarlo e affidareal nuovo governo il compito di deliberare in una mate-ria così delicata per la vita di tante persone, di tante fa-miglie, di tanti giovani.

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Per sottolineare in maniera ancor più evidente lagravità della situazione, mi riferisco alla nostra Uni-versità di Foggia. Attualmente, sugli oltre 11.000 stu-denti iscritti, sono circa 1.600 quelli che per motivi direddito hanno diritto all’esonero totale dalle tasse, allaborsa di studio e alla possibilità di un alloggio pressole residenze studentesche. Quest’anno la Regione Pu-glia, facendo un notevole sforzo, riuscirà a garantire laborsa di studio al 92% degli aventi diritto a livello re-gionale, mentre a Foggia il 100% otterrà la borsa. Unrisultato straordinario, in linea con una politica di in-vestimento nella formazione, nella ricerca e nel dirittoallo studio. Per la prima volta la Puglia primeggia anchein questo settore rispetto a molte regioni del Nord. Inol-tre sono in fase di realizzazione nuove residenze stu-dentesche, a Lecce, a Bari, a Taranto e anche a Foggia.Lo scorso anno è stata inaugurata la residenza ‘MarinaMazzei’ (che ho proposto di intitolare all’indimentica-bile amica e archeologa, anche per ricordare ai più gio-vani il suo esempio di impegno e rigore), attualmenteinteramente utilizzata dagli studenti. A breve sarà com-pletata la nuova residenza nell’area dell’IPAB MariaCristina. Finalmente Foggia potrà disporre di un nu-mero adeguato di posti letto e offrire così un reale ser-vizio agli studenti idonei, degno di una città che ambi-sca a diventare sempre più una città universitaria.

Ebbene, mentre nella nostra regione e nella nostracittà si ottengono questi risultati, il Ministro Profumopredispone un decreto che rappresenta di fatto una ri-

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La residenza studentesca Marina Mazzei dell’Adisu, inaugurata nel gennaio2012.

La nuova residenza studentesca in corso di completamento e di prossimainaugurazione.

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duzione del diritto allo studio, in particolare per lefasce sociali più deboli e per le regioni meridionali. Lospirito ‘leghista’ che caratterizza il provvedimentoemerge chiaramente dal tentativo di voler introdurrefasce di reddito diversificate per macroregioni (calcolatesulla dichiarazione ISEE): € 14.300 al Sud, € 17.100 alCentro, € 21.000 al Nord. L’attuale limite per accedereall’idoneità è costituito da € 17.000 ISEE, che rappre-senta già ora un limite alquanto basso, perché riguardaprincipalmente famiglie monoreddito che stanno sof-frendo moltissimo le conseguenze della crisi. Pertanto,quegli studenti che attualmente hanno un reddito com-preso tra € 14.300 e € 17.000 euro perderanno questodiritto, e, non solo non otterranno la borsa di studio,ma dovranno pagare le tasse studentesche e non po-tranno avere accesso alle residenze studentesche. Conle nuove norme circa 600-700 nostri studenti potrebberotrovarsi in tali condizioni. Questa misura, inoltre, in-centiverà ulteriormente gli studenti meridionali che sitrovassero in tali condizioni reddituali a preferire il tra-sferimento a Nord, dove il limite ISEE è più alto, edove quindi avrebbero diritto a borsa di studio, esonerodalle tasse e posto letto. Ecco un altro intervento distampo ‘leghista’.

L’uso della residenza studentesca, inoltre, sarà im-pedito anche a quelle tipologie di studenti che attual-mente sono considerati fuorisede e che invece il prov-vedimento di Profumo trasformerà in pendolari, cioècoloro che risiedono in una località la cui distanza dalla

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sede universitaria non superi i 75 minuti di percorso.Immaginiamo le conseguenze per gli studenti di areeperiferiche come il Gargano o i Monti Dauni. Potremmodunque trovarci in questa situazione paradossale: averefinalmente residenze studentesche nuove, ma vuoteper mancanza di studenti idonei a poterne fare uso!

Il modello che da alcuni anni si sta cercando di rea-lizzare in Italia, non come esito di un progetto o di unariforma, ma attraverso un insieme di misure, come que-sta sul diritto allo studio, prevede la sopravvivenza dipoche Università pubbliche e private considerate diqualità, sulle quali concentrare le risorse, e di una seriedi Università, prevalentemente meridionali, lasciate alloro destino di marginalità, di licealizzazione o di defi-nitiva chiusura, per agonia.

La sperequazione che questo decreto introduce è,peraltro, in linea con l’attuale assurda situazione delfinanziamento statale distribuito in maniera fortementeiniqua tra le Università in rapporto al numero deglistudenti.

Questo un provvedimento è, quindi, perfettamentecoerente con le politiche di questi ultimi anni, finalizzatea promuovere il ritorno ad una Università di élite, adespellere dall’Università masse di studenti appartenentia famiglie disagiate (e il crollo delle immatricolazioni alivello nazionale sta a dimostrarlo), a condannare leUniversità meridionali a condizioni di sotto-finanzia-mento e di marginalità, a chiudere una serie di strutture,soprattutto le più piccole e più giovani, come quella di

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Foggia. Ecco perché si insiste spesso su un dato asso-lutamente falso, spesso sostenuto dai soliti grandi gior-nali, secondo cui le Università in Italia sarebbero troppee alcune andrebbero chiuse. Falso! Il nostro Paese hameno Università per milione di abitanti rispetto a Spa-gna, Regno Unito, Paesi Bassi, Germania, Francia, USA.

Le Università italiane rischiano di commettere lostesso grave errore di certa classe politica italiana, cheha pensato di salvare il Nord abbandonando il Sud,privandolo di risorse, ritenendo che così il Nord si sa-rebbe sviluppato autonomamente e avrebbe raggiuntogli standard dei paesi nord-europei, per poi rendersiamaramente conto che la crisi ha colpito tutti, anche leregioni settentrionali, che pensavano di poterne essererisparmiate. È lo stesso drammatico errore che rischiadi fare l’Europa nei confronti della Grecia, della Spagnae della stessa Italia.

Come al sistema Paese serve un Sud sviluppato,economicamente produttivo, dotato di infrastrutture ecapace di valorizzare la sue tante risorse, così al sistemauniversitario italiano servono Università meridionalivitali, capaci di mettere a frutto tutte le capacità di for-mazione e ricerca, di valorizzare i giovani meridionali,di stimolare lo sviluppo del tessuto imprenditoriale edi costituire presidi di legalità e di qualità nel Mezzo-giorno.

Ecco perché è necessario proseguire la battaglia perla difesa e la crescita dell’Università di Foggia e dellealtre Università meridionali. Ed è quello che intendo

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continuare a fare, con ancora più forza e incisività, an-che per salvaguardare i diritti di quegli studenti cheoggi il ministro Profumo tenta di colpire ingiustamente.

Come ha detto recentemente Barack Obama nel suobel discorso di insediamento per il secondo mandato,in un momento di crisi un paese che non investa sullaformazione, sulla ricerca, sui giovani è come il pilotadi un aereo in avaria che per alleggerire il peso del ve-livolo e salvarlo, decida di gettare il motore e il carbu-rante!

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QUELLO CHE HO VISTO IN CAMPAGNA ELETTORALE

Sono queste le ultime ore di una strana campagnaelettorale, la prima condotta in pieno inverno. Ma nonsolo per questo motivo assai fredda. Una campagnaelettorale tutta giocata in Tv, soprattutto a livello na-zionale, tra i grandi leader, con discussioni assai poveredi contenuti, tutte fondate su accuse reciproche, su pro-messe tanto esagerate quanto inapplicabili (se solo siavesse un minimo di pudore e di memoria), su presuntealleanze nascoste, su patti possibili, su accordi futuribili,dati per certi, smentiti, sussurrati. Accanto alle pro-messe si rinnegano scelte compiute solo pochi mesi fa,si prendono in giro i cittadini, si specula sulle difficoltàed anche sulla disperazione. Tutto questo mentre si re-gistra un sempre più pericoloso allontanamento di ampisettori della popolazione, una sempre più ampia delu-sione e una sempre maggiore disaffezione. Chi abbiaun po’ di memoria storica e di conoscenza dei fatti delNovecento sa bene che già altri momenti, tra le dueguerre, caratterizzati da una forte recessione economica,da straordinari tassi di disoccupazione e di povertà,

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Alcuni momenti della campagna elettorale per le politiche 2013: presenta-zione dei candidati capilista scelti a livello nazionale da SEL a Roma (inalto); inizio della campagna elettorale a Foggia e conclusione a Terlizzi concomizio con Nichi Vendola.

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da estrema polarizzazione sociale, da grande degradomorale, hanno conosciuto analoghe situazioni di estre-mismi populisti, demagogici e demolitori. Anche inquelle occasioni personaggi un po’ folkloristici e ini-zialmente sottovalutati dal mondo politico e culturaleraccolsero enormi consensi proponendo la distruzionedel sistema: sulle macerie sono poi nati regimi totalitarie sono esplose guerre. Alcune spie presenti in Europaed anche nel nostro Paese, con tutte le ovvie differenzelegate ai diversi contesti storici, troppo spesso ignorateo addirittura assecondate benevolmente, dovrebberofar riflettere.

Tornando alla campagna elettorale che sta per con-cludersi, propongo ai lettori qualche prima riflessioneed anche un breve bilancio di questa esperienza.

Ho cercato di fare una campagna elettorale vera, unpo’ vecchio stile. Ho messo insieme un gruppo di per-

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sone, prevalentemente giovani, molti delle quali privedi precedenti esperienze politiche, ho allestito una sede– non il solito comitato elettorale – nella quale organiz-zare riunioni, incontri, iniziative varie. Ho soprattuttovoluto girare il territorio, in particolare quello di Capi-tanata, ma anche altre zone della Puglia, oltre ad alcunepuntate romane per iniziative nazionali. Il poco tempoa disposizione non mi ha consentito di essere dapper-tutto, come avrei voluto, anche perché gli incontri neinostri paesi si possono svolgere quasi solo di sera, nel-l’arco di poche ore. Ho girato con la mia auto, percor-rendo alcune migliaia di chilometri in pochi giorni,senza autisti, al massimo accompagnato da un amico oda Giuseppe Beccia, giovane e capace candidato allaCamera, con il quale ho tenuto numerosi interventi.Ho voluto parlare di problemi veri, di temi sui qualiho competenza specifica (Scuola, Università, ricerca,cultura, beni culturali e paesaggistici) e per i quali in-tendo battermi, ho voluto assumere solo impegni cheritengo di poter tentare di mantenere. L’ho fatto conpochi mezzi, con l’impegno personale e il sostegno dialcuni amici e colleghi, con il lavoro dei nostri volon-tari.

Sotto questo profilo è stata una bella esperienza, fa-ticosa fisicamente e psicologicamente, ma entusia-smante, anche se non priva di preoccupazione per ilvenir meno di spazi reali di confronto e di partecipa-zione. Spesso mi è capitato di parlare anche a piccoligruppi di persone, ma non per questo il confronto è

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stato meno prezioso. Parlare di formazione e di culturain vari centri dei Monti dauni e del Gargano, alcunianche assai piccoli (da Troia a Bovino, da Orsara a Ca-stelluccio dei Sauri, da Ascoli Satriano a San GiovanniRotondo), in città grandi e piccole (da Bari a Lecce, daCerignola a Lucera, da Barletta ad Andria, da Biscegliea Corato, da Trani a Martina Franca, da Ordona a Mi-nervino, da Gravina a Toritto e Bitetto), in sedi di partitoo di associazioni (come a Bitonto, a Barletta, a Vieste, aSan Ferdinando e a Terlizzi), o in sale affollate, trovandosempre grande e sincero interesse, è stato per più versisalutare: vuol dire che ci sono ancora ampi margini perriavviare forme di partecipazione e di confronto de-mocratico, ci sono ancora autentiche spinte dal bassoche attendono solo di essere comprese e sostenute.

Ho trovato situazioni variegate sia con segnali po-sitivi sia con elementi di preoccupazione. Ho incontratosia giovani brillanti e motivati, come Ilaria ad Orsara,studentessa nella nostra Università, o associazionimolto attive e impegnate sul fronte culturale e socialema prive di affidabili sponde politiche, piccoli gruppidi cittadini senza riferimenti, energie fresche e qualifi-cate, ma anche tanta disperazione, tanta sfiducia, oltrea persone del tutto inadeguate, a personaggi discutibili,a mediocri capetti privi di qualsiasi seguito. Il mio giu-dizio complessivo è positivo: c’è tanto da fare, ma sonodisponibili nel territorio daunio anche tante energie ecapacità, tante realtà associazionistiche e imprendito-

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riali positive, tanti giovani ancora con la voglia di im-pegnarsi.

Come ho già detto, ci sono anche elementi di preoc-cupazione. Già da candidato sono stato raggiunto darichieste di favori, di aiuti, di posti di lavoro. La tragicadifficoltà del momento rende alcune di queste richiestecomprensibili – ne sono umanamente e politicamenteconsapevole –, ma emerge anche una concezione dellapolitica come favore e clientela, del candidato o delparlamentare come riferimento per la soluzione di pro-blemi personali o di specifiche categorie. È una conce-zione che è diventata così tanto diffusa e pervasivanella società italiana, e – dobbiamo ammetterlo – meri-dionale in particolare (perché, come mi sento ripetere,‘così si fa da anni’, ‘così fanno gli altri’), che diventa ar-duo rispondere di no, far capire che non sono dispostoa fare favori, non per insensibilità ma per scelta etica epolitica, precisare che il mio impegno sarà per la difesadi interessi generali, anche per la Capitanata, per so-stenere l’agricoltura di qualità, per la valorizzazionedel patrimonio culturale e paesaggistico, per il turismo,per la difesa e la crescita dell’università, della ricerca edell’innovazione. Che la creazione di opportunità dilavoro qualificato per i giovani è una priorità assolutache va affrontata, non per singoli casi, ma con un pianostraordinario che eviti di perdere le straordinarie risorsesenza le quali il Sud è destinato alla crisi e al declino.

Volere un Sud fiero delle proprie capacità e non su-balterno, protagonista e non accattone, desideroso di

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un cambiamento vero, che non si accontenti di mance,di veleni e di lusinghe mafiose, significa anche questo:affermare una diversa idea della politica e del politico,contribuire a portare in Parlamento e al Governo unarappresentanza di qualità, di serietà, di competenza,di onestà, di impegno per la difesa degli interessi ge-nerali dei cittadini, soprattutto dei più deboli.

Ci sono stati anche momenti di grande emozione,nell’incontro di amici che non vedevo da anni, nell’af-fetto che mi ha circondato nella bella iniziativa orga-nizzata nel mio paese natale, Terlizzi, nelle strette dimano e nelle parole di apprezzamento di tante persone,anche molto anziane, al termine dei miei interventi.

Tra tutte, mi ha colpito l’incontro a Bitonto di unmio professore del liceo classico, Nicola Pice, un pro-fessore che ha segnato la mia vita, con il suo insegna-mento e con il suo modello di rigore etico, di impegnocivile, di amore per lo studio. In ogni mio interventopubblico in questa campagna elettorale, ho sempre sot-tolineato il ruolo indispensabile della scuola pubblicadi qualità come ascensore sociale e ho sempre ricordatola funzione fondamentale che hanno avuto alcuni mieidocenti nell’aiutarmi a crescere, ad imparare a com-prendere la realtà, a sviluppare la capacità critica, a co-struire un progetto di vita; e ogni volta, insieme ad altribravi professori, il mio pensiero andava in particolarea Nicola Pice. Nell’incontro bitontino, al termine deimiei interventi e del dibattito, il mio professore di liceoha chiesto di intervenire, ricordando un episodio di 38

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anni fa, quando io ero suo studente al terzo liceo clas-sico a Terlizzi e lui era un giovanissimo docente diprima nomina. Ha ricordato di avermi consigliato lalettura di alcuni libri di storia, per la preparazione diuna tesina sulla democrazia degli Antichi, che lui avevaconservato come una reliquia e che aveva portato consé. Ha voluto leggere la conclusione di quel mio testodattiloscritto, con una copertina rossa ormai sbiadita,che, lo confesso, avevo quasi dimenticato, e che ha vo-luto regalarmi. Riporto la parte di quel mio scritto gio-vanile che Nicola Pice ha letto, provocando la commo-zione mia ed anche degli altri partecipanti all’incontro:«Ma il messaggio che dobbiamo cogliere da quella fantasticaesperienza politica [cioè, della democrazia ateniese] (natu-ralmente analizzata storicamente) è quello di un modo diversodi far politica, è quello di un diverso rapporto tra leaders po-litici e masse, è quello di una necessaria partecipazione po-polare alla vita politica, è quello di superare gli strumentitradizionali delle democrazie occidentali di abbattere la teoriaelitista con la sua visione del ‘politico professionista comeeroe’, è quello di costruire una società diversa, a misura diuomo, del popolo e per il popolo, in cui difatti il libero sviluppodi ciascuno sia condizione indispensabile del libero sviluppodi tutti».

Un testo giovanile, anche un po’ ingenuo, scritto 38anni fa, che, come ha detto il mio professore di allora,sembra ispirare ancora l’odierno impegno civile e po-litico.

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LA SINISTRA CHE NON SA PARLARE DI COSE POPOLARI

Si è conclusa la campagna elettorale e i risultati sonostati per più versi imprevedibili e imprevisti da politici,sondaggisti, giornalisti. Anche da chi scrive. Personal-mente prevedevo un risultato importante per Grillo eil Movimento 5 Stelle, pari a quello effettivamente ri-cevuto. L’avevo percepito parlando con la gente, con igiovani, anche con persone da sempre orientate a sini-stra. È un voto di disperazione, di rifiuto, di disgusto,ma anche di speranza. Personalmente ritengo che sitratti di una speranza priva di sbocchi, fondata più suuna prospettiva distruttiva che costruttiva, e troppoancorata, ancora una volta pericolosamente, su un’en-tità salvifica e capace di purificare il mondo, assai pocodemocratica. Altre volte, nella storia recente, si sonoverificate situazioni analoghe, tra crisi profonde socialied economiche, disoccupazione a livelli inaccettabili,mancanza di prospettive future, disgusto per una classedirigente incapace e corrotta. Ci si è affidati a chi pro-metteva cambiamenti epocali e ci si è trovati, nell’inca-pacità generale – anche della sinistra di allora – di com-prendere cosa stesse succedendo, in regimi totalitari e

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in guerre. Non sono così rozzo e schematico da equi-parare situazioni diversissime (la storia non si ripetemai nello stesso modo e l’insegnamento che bisognasaper trarre dai fatti del passato consiste soprattuttonel cogliere le differenze rispetto al presente) ma sa-rebbe certamente irresponsabile sottovalutare i rischidella situazione attuale. Basterebbe guardare cosa stasuccedendo in Grecia. Le ragioni, le critiche, la rabbia,lo sdegno espressi da chi ha votato M5S sono fondatee comprensibili, ma Grillo rappresenta il termometrodi un malessere, non certo la medicina. È responsabilitàdei partiti, incluso quello per il quale sono stato candi-dato (anche in considerazione del forte travaso di con-sensi, anche da sinistra, che soprattutto in Puglia si èrealizzato, tra i giovani e i meno giovani), comprendere,prima che sia troppo tardi, il senso profondo di quellemotivazione e sapere offrire rispose credibili e nuove.

Abbiamo tutti sottovalutato la capacità di ripresa diBerlusconi e del centrodestra, che, dopo un anno ‘sab-batico’ garantito dal governo Monti, che ha fatto di-menticare rapidamente tutte le sue responsabilità nellaproduzione della crisi che viviamo, ricorrendo ai solitistrumenti populistici e demagogici e grazie ad unaforza comunicativa e mediatica impressionante, ha sa-puto ancora una volta parlare alla pancia e al portafo-glio della gente, ai suoi bisogni primordiali.

La sinistra dovrà saper tornare a parlare di cosesemplici, popolari, serie, abbandonando intellettualismicerebrali e soprattutto sapendo presentarsi come una

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vera alternativa, una reale novità, libera da ogni giocodi potere, da politicismi e da un’immagine di meraconservazione, con una classe dirigente nuova, libera,pulita, capace.

Per quel che mi riguarda personalmente, come hogià precisato in una mia nota di commento, non na-scondo la delusione per il risultato del centrosinistra ela preoccupazione per il futuro immediato del Paese.Sono sinceramente felice per l’ingresso in Parlamentodi Sinistra Ecologia e Libertà, che certamente farà ditutto per rappresentare le istanze della sinistra, e perl’elezione di molte persone competenti, preparate e im-pegnate, alcune delle quali ho apprezzato nel corsodella campagna, a livello nazionale e pugliese. A tuttiloro va il mio più affettuoso augurio di buon lavoro.

In Capitanata mi sembra sia stato, di fatto, bloccato,anche per colpa di questa assurda ed iniqua legge elet-torale, qualsiasi tentativo reale di cambiamento nellarappresentanza parlamentare, in tutti i partiti. Non do-vrebbero esserci, quindi, grandi novità per questo ter-ritorio.

Non nascondo, in particolare, la delusione per lamia mancata elezione. Mi sono impegnato molto inquesta campagna elettorale, portando nel dibattito, tramille difficoltà, i temi a me più cari della Scuola e del-l’Università, della ricerca e dell’innovazione, della cul-tura e dei beni culturali e paesaggistici. Non è bastato.Sono convinto che avrei potuto e, credo, saputo realiz-zare molte cose positive.

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Sono molto grato ai tanti elettori che hanno votatoSEL, che in Puglia ha avuto un risultato discreto, siapur inferiore alle aspettative, anche in territori come laCapitanata, dove non era affatto scontato, anche pervia di un diffuso scontento – poco importa se giustifi-cato o meno – nei confronti di Vendola e del governoregionale. Ringrazio in particolare quanti – e credo nonsiano pochi – hanno votato per la stima e la considera-zione nei miei confronti e che mi hanno dimostrato invari modi una convinta adesione. Un grazie di cuore aquanti hanno sostenuto concretamente, con molto im-pegno e con enorme generosità, la mia campagna elet-torale, tanto faticosa quanto entusiasmante.

Ho già detto nel mio precedente intervento che hotrovato, percorrendo il territorio, situazioni diversifi-cate, alcune anche molto preoccupanti; ma ho intercet-tato anche tante energie giovanili, tante capacità, tanteforti volontà di impegno, tanti desideri di non rasse-gnarsi e di reagire.

Tra i numerosi messaggi di solidarietà che ho rice-vuto in queste ore, riporto quello di una cara amica,che mi ha ricordato la frase pronunciata da non ricordochi: “non importa quante volte uno prende una batosta,ma quante volte si rialza”. Io sono nuovamente in piedi,sono e resto un ‘militante’, sia come archeologo, siacome rettore, sia come politico.

Anche per questo motivo, nonostante la delusione,confermo pienamente la mia volontà a continuare, oltreal mio amato lavoro di docente, di ricercatore e di ar-

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cheologo, l’impegno culturale, civile e politico: oggipiù che mai penso che ci sia bisogno di impegno, ancheper arginare le pericolose derive populistiche, dema-gogiche e irrazionali e in alternativa alle soluzioni libe-riste che hanno portato il nostro paese nell’attuale si-tuazione di grave crisi economica e sociale, lavorandoalla prospettiva di una sinistra aperta, inclusiva, inno-vativa, realmente capace di rappresentare il cambia-mento, sia a Foggia, in Capitanata e in Puglia sia inItalia e in Europa.

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IL ROGO DI BAGNOLI E LA NECESSITÀ DI RIPARTIRE DALLA CULTURA

La Città della Scienza di Bagnoli è ridotta in cenere.Credo che si tratti di uno dei disastri più gravi degliultimi anni. Un museo straordinario, visitato da mi-gliaia di persone, soprattutto giovani, ragazzi e bam-bini, il simbolo più significativo del tentativo, difficilee incompleto, di scrivere una storia nuova per il Sud,l’unico esempio di trasformazione di una zona dein-dustrializzata, degradata ecologicamente, urbanistica-mente e socialmente, stuprata da modelli di sviluppovecchi e inadeguati, utilizzando l’arma della cultura edella scienza, è stato annientato dalle fiamme, quasi si-curamente appiccate dolosamente dalla mano di chiha altri obiettivi, altri interessi, altre visioni del Sud. Èun disastro che dovrebbe richiamare l’attenzione dellasocietà italiana, e meridionale in particolare, e non solodelle Istituzioni (a partire dal sincero dolore manifestatodal Presidente della Repubblica), molto più di quantosi stia registrando. Forse non si è colta appieno la por-tata di questo gesto simbolico, forse ancor più grave diquello del rogo del Petruzzelli di Bari.

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La Città della Scienza non aveva avuto – dobbiamoammetterlo – la portata di cambiamento e di inversionedi rotta paragonabile a quella espressa, ad esempio,dal Guggenheim di Bilbao, forse perché non accompa-gnata adeguatamente da altre iniziative e da una vi-sione d’insieme, ma ha rappresentato in questi anniuna speranza, in un Sud nel quale si è andata regi-strando una crisi sistemica di un certo modello di svi-luppo, dall’ILVA di Taranto alla Bridgstone di Bari, perlimitarci solo alle tragiche notizie di questi giorni. UnSud che anche in questa campagna elettorale è statocolpevolmente dimenticato, anche dai partiti di sinistra,e che, ancora una volta, si è dimostrato terreno di cacciaideale per i populismi, le facili promesse, i ribellismi,oltre che per l’endemico voto di scambio e/o il controllodelle varie mafie.

Di segnali tristi per la cultura e le istituzioni culturaliil Sud è purtroppo assai ricco, a cominciare dal nostroterritorio e dalla nostra stessa città, dal Teatro Giordanoalle aree archeologiche di Herdonia o di Arpi, dalle con-dizioni pietose di molti musei alla qualità scadente ditante iniziative pseudoculturali, solo per citare alcuniesempi.

Dalle ceneri della Città della Scienza di Bagnoli dob-biamo, quindi, sperare che rinasca presto una speranza,non solo con la sua ricostruzione materiale ma con l’af-fermazione e la disseminazione del messaggio di cuiquella Città era portatrice: il Sud può rinascere solo

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con la cultura, con la formazione, con la ricerca, conl’innovazione.

Anche per questo motivo (ma non solo, evidente-mente), sono tra i più convinti sostenitori dell’iniziativalanciata dalla trasmissione radiofonica Caterpillar diproporre Salvatore Settis alla Presidenza della Repub-blica. Studioso di altissimo profilo, conosciuto e ap-prezzato a livello internazionale, archeologo e storicodell’arte raffinatissimo, dalla cultura sterminata, per-sona di assoluto rigore morale, ex Direttore della ScuolaNormale Superiore di Pisa, ex Presidente del ConsiglioSuperiore per i Beni Culturali (dimessosi in polemicacon le politiche di tagli e di destrutturazione del Mini-stero da parte del Governo Berlusconi), ex direttore delGetty Center for the History of Art and the Humanitiesdi Los Angeles, membro dell’European Research Coun-cil e del Comitato dei Garanti della Scuola Galileianadi Studi Superiori dell’Università di Padova, presidentedel Comitato scientifico del Louvre di Parigi, destina-tario di numerosi premi e riconoscimenti, oltre che diben due lauree honoris causa in Giurisprudenza, daparte delle Università di Padova e di Roma Tor Vergata,per i suoi studi sulla Costituzione italiana in riferimentoai beni culturali e al paesaggio. È una personalità dicui andare orgogliosi, esponente della migliore tradi-zione culturale italiana, con un grande prestigio inter-nazionale e con una grande esperienza istituzionale, eal tempo stesso da sempre vicino alle istanze dei mo-vimenti ambientalisti e dell’associazionismo culturale.

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Settis ha sempre associato, infatti, al suo straordinariolavoro scientifico e didattico un attivissimo impegnocivile. In particolare negli ultimi anni ha pubblicato al-cuni volumi che sono diventati rapidamente punti diriferimento essenziali per la denuncia delle politichegovernative e per la sensibilizzazione dell’opinionepubblica verso temi come la distruzione del patrimonioculturale e paesaggistico, la vendita dei beni pubblici,l’attenzione ai beni comuni: da Italia S.p.A. L’assalto alpatrimonio culturale (Torino, Einaudi 2002), che denunciai guasti e i profitti privati provocati dalle cartolarizza-zioni del Governo Berlusconi, a Passaggi e paesaggi (conSaverio Calocero, Roma, Donzelli 2003), dal Futuro del“classico” (Torino, Einaudi 2004), che riprende il temadella conoscenza e tutela dell’antico per un paese comel’Italia, a Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzionie profitto (Electa, Milano 2005) e, in particolare, PaesaggioCostituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro ildegrado civile (Torino, Einaudi, 2010), che affrontano iltema del paesaggio e del consumo di territorio, fino alrecente Azione Popolare. Cittadini per il bene comune (To-rino, Einaudi, 2012), che analizza il fenomeno dell’in-dignazione popolare, dei giovani e l’emergere dei mo-vimenti per la difesa dei beni comuni, a partiredall’antico strumento previsto dalle leggi romane perdifendere gli interessi popolari contro gli eccessi deimagistrati e dei potenti.

Salvatore Settis è anche, non lo nascondo, un auto-revole collega e un caro amico, con il quale ho condiviso

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alcune battaglie per la difesa del patrimonio culturalee del paesaggio.

A breve sarà a Foggia. L’ho invitato per tenere unalectio magistralis e sarà un’occasione per i foggiani perconoscere direttamente lo spessore culturale e moraledi un intellettuale di primissimo ordine.

Tra quanti mi hanno manifestato sostegno nella re-cente campagna elettorale, Settis è stato tra i più con-vinti; un messaggio inviatomi all’indomani della miacandidatura, diceva: «I miei più affettuosi auguri: farò iltifo per te! Aggiungo un mio articolo di ieri [pubblicato suL’Espresso del 25.1.2013], spero che tu sia d’accordo e chein Senato ti batta per questa linea! grazie, le speranze sonopoche ma una sei tu. Un abbraccio».

Ora sono io a fare convintamente il tifo per lui e miauguro che abbia molta più fortuna di me. Soprattuttoper il bene del Paese, per la cultura, per la scuola, perla ricerca, per la tutela del paesaggio contro la cemen-tificazione e il consumo di suolo, per la difesa dei prin-cipi costituzionali, ed anche, perché no, per il Sud, checon un uomo come Salvatore Settis, originario di Ro-sarno in Calabria, porterebbe al vertice dello Stato unodei suoi esponenti migliori.

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ELEZIONI E NUOVE POVERTÀ

È stato reso noto il XV rapporto Almalaurea sullasituazione occupazionale dei laureati, i cui risultatisono stati presentati all’Università Ca’ Foscari di Vene-zia martedì 12 marzo 2013 al convegno “Investire neigiovani: se non ora quando?”, con le conclusioni affi-date al Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

Come ha sottolineato il Presidente di Almalaurea,Andrea Cammelli, il peso maggiore della crisi ricadesulle fasce più deboli della popolazione, in particolaresui giovani. La disoccupazione giovanile a gennaio2013 ha registrato un ulteriore incremento, che fa se-guito alla crescita della disoccupazione negli ultimi dueanni, in Europa e in Italia, a causa delle politiche di au-sterity, diversamente dalla media dei paesi OCSE e da-gli Stati Uniti, dove si è maggiormente investito sullacrescita. La situazione è stata resa in Italia ancor piùgrave dalle misure sull’innalzamento dell’età delle pen-sioni, che, com’era facilmente prevedibile, hanno ri-stretto ancor di più gli spazi per i giovani. La condizionegiovanile è ancor più drammatica al Sud. I giovani ita-liani, in particolare i meridionali, compresi i laureati,

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hanno, infatti, molte più difficoltà che altrove nell’in-gresso nel mercato del lavoro, anche se la tanto di-sprezzata laurea (è drammatico il dato della riduzionedei nuovi immatricolati e dei laureati a livello nazio-nale) continua a rappresentare un elemento favorevole,come dimostra il 12% di maggiore occupabilità dei lau-reati rispetto ai diplomati. È questo un elemento che,insieme a molti altri, dovrebbe indurre il nostro paese,ed anche le famiglie, ad investire nella formazione uni-versitaria, mentre invece l’Italia occupa ancora triste-mente gli ultimi posti per il numero di laureati, e siamomolto lontani dall’obiettivo assunto con la Commis-sione Europea di portare al 40% il numero dei laureatirispetto alla popolazione di età compresa tra 30 i 34anni entro il 2020 (oggi siamo ad un misero 20% e nellamigliore delle previsioni raggiungeremo il 26-27% nel2020): condividiamo questo ‘primato’, insieme alla Ro-mania.

Anche un’occhiata ai dati relativi all’Università diFoggia, nel contesto meridionale, offre la possibilità diproporre alcune considerazioni interessanti. Bisognapartire dal constatare che la situazione occupazionaledel Mezzogiorno è molto più difficile anche per i lau-reati: a cinque anni dalla laurea al Nord trova lavorol’89% dei laureati quinquennali, contro l’80% del Sud.In particolare il tasso di disoccupazione della popola-zione tra 18 e 29 anni nella provincia di Foggia è peg-giore anche in relazione al resto della Puglia: il 38% ri-spetto al 32%.

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I nostri neolaureati triennali trovano lavoro nel35,6% dei casi, a fronte di una media nazionale del44%. Trova un lavoro stabile, a un anno dalla laurea,solo il 33,7% dei laureati triennali occupati (la medianazionale è del 34%), mentre ben il 65,6% non ha unlavoro stabile. Anche la retribuzione (in media di € 866)è più bassa rispetto alla media nazionale di € 1.040.Stessa situazione per i laureati quinquennali, che adun anno dalla conclusione degli studi, sono occupatinel 52% dei casi, a fronte di una media nazionale del59%. Il 40% dei laureati quinquennali specialistici fog-giani cerca lavoro, contro il 29% del totale in Italia.Unico dato positivo riguarda il numero dei giovanifoggiani con un lavoro stabile ad un anno dalla laureaquinquennale, il 39% rispetto alla media nazionale del34%.

Pur in questo contesto preoccupante, appare evi-dente come la presenza dell’Università di Foggia abbiasvolto e svolga una funzione decisiva per contrastareil rischio di declino di questo territorio.

I dati, che meritoriamente Almalaurea mette a nostradisposizione annualmente, sono tali da sottolineare ilvero grande problema del nostro Paese: la devastazionedi intere generazioni giovanili, in particolare al Sud,costrette alla precarietà, alla disoccupazione, all’emi-grazione. Insieme al fenomeno del calo delle nascite,questa situazione, se non si porranno urgenti e seri ri-medi, provocherà un vero tsunami demografico e sociale

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nel giro dei prossimi decenni, che condannerà definiti-vamente il Sud.

Eppure per sconfiggere la crisi e per rinnovare ilPaese e il Sud noi avremmo bisogno dei giovani più diquanto loro stessi abbiano bisogno di noi. Di giovaniben formati, con solide competenze culturali e profes-sionali, con orizzonti aperti al mondo intero. Ma perdare sostanza a questa scelta bisognerebbe investiremassicciamente in formazione, in ricerca, in innova-zione, e bisognerebbe, soprattutto, garantire peso e spa-zio reali ai giovani, bisognerebbe considerare la cono-scenza (non le ‘conoscenze’) e la competenza qualielementi irrinunciabili tanto nella selezione quantonella valorizzazione delle persone. Le scelte del nostroPaese sembrano andare pericolosamente in direzionidiametralmente opposte.

La disoccupazione, le nuove povertà, la precarietàcome sistema esistenziale spiegano molto meglio ditante analisi politologiche i recenti risultati elettorali,che, al di là dei gravi rischi che comportano in terminidi tenuta del Paese, indicano anche una forte e inelu-dibile necessità di cambiamento, di novità, di inversionedi rotta. Il successo, anche in Puglia e a Foggia, delM5S, movimento nel quale pure sono presenti compo-nenti diversissime e a volte anche ambigue e tra loroopposte, insieme al dato crescente dell’astensionismoe ad altre forme di voto di protesta, sottolinea con forzaquesta esigenza, alimentata dal disgusto per una classedirigente in larga parte incapace e corrotta, dalla stan-

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chezza per l’inutile attesa di cambiamenti che non ar-rivano mai, dalla disperazione per la mancanza di fu-turo, dalla richiesta di un nuovo protagonismo, di mo-ralità, di diritti civili, di un nuovo ambientalismo, diun nuovo spirito comunitario contro l’individualismoproprietario ed egoistico finora prevalente. Non con-divido affatto, e trovo anzi preoccupante, la logica del‘tutti a casa’, che non distingue chi ha lucrato nella po-litica e nelle istituzioni, curando esclusivamente i propriinteressi, da chi tra mille difficoltà ha operato con one-stà, impegno e competenza, curando gli interessi col-lettivi, sono anche preoccupato per la diffusione di unasorta di ‘rancore’ sociale che si esprime contro tutto econtro tutti, senza la necessaria capacità di distinzione,ma sarebbe un errore gravissimo, suicida, non coglierela richiesta di un forte cambiamento, che invece pareancora una volta gravemente disattesa, come dimostra– bisogna avere l’onestà intellettuale di ammetterlo –anche la composizione vecchia e vecchissima della‘nuova’ rappresentanza parlamentare di Capitanata,tanto a destra quanto a sinistra, o la persistenza miopedi certi politicismi e di certe pratiche ancora in voga inquesti giorni.

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LE PAROLE DELLA BOLDRINI APPLICATE A FOGGIA

Gli ultimi giorni hanno lanciato alcuni messaggi po-tentissimi di novità e di cambiamento. A livello mon-diale, con la scelta di papa Francesco, la Chiesa ha di-mostrato, dopo le recenti polemiche, le trame, le crisi,e, infine, le coraggiose dimissioni di papa BenedettoXVI, una straordinaria capacità di cogliere il segnaleproveniente dai credenti di tutto il mondo, preferendouna guida lontanissima dalle logiche della curia ro-mana, vicina alle persone che soffrono e ai poveri, sem-plice, umile e straordinariamente umana. Una sceltache anche per i non credenti rappresenta un importantemessaggio di fiducia e di speranza.

Ma, tralasciando le questioni di fede e le coraggiosescelte dei cardinali e valutando i fatti che ci riguardanopiù da vicino in quanto cittadini italiani, una forte ac-celerazione nel senso di un vero e positivo cambia-mento è venuta dalla scelta dei nuovi presidenti delledue Camere del Parlamento. Di un Parlamento che,peraltro, vede per la prima volta una presenza preva-

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lente di nuovi eletti, con moltissimi giovani e moltis-sime donne.

Pur prescindendo dalle valutazioni politiche cheognuno vorrà dare, non si può non essere d’accordosulla portata della novità costituita dall’affidamentodella presidenza a due neo-eletti, pochi giorni dopoaver fatto il loro primo ingresso. Una novità da nonconfondere con la retorica del nuovismo, con l’improv-visazione, con il dilettantismo: non basta essere giovanio donne per rappresentare novità positive. Anni fa unascelta ‘nuova’ fu fatta con la giovanissima Irene Pivetti,e si è visto come è andata a finire. Sono anzi convintoche sia da rifiutare l’insistenza retorica sulle ‘personenormali’, su ‘l’uomo della strada’ eletto in Parlamentoo ad una carica rappresentativa di rilievo: in Parla-mento, al governo del paese o di una città, alle carichedi responsabilità dovrebbero essere preferite personeselezionate perché portatrici di novità positive, di di-mostrate competenze, di storie di impegno e di capacità,di una credibilità costruita nel tempo nei diversi settoridella società. Persone, che, conservando la normalità(una dote assai apprezzabile) ed evitando la arroganzae la spocchia di tanti politici, rappresentino il megliodi una comunità. Molti politici amano utilizzare reto-ricamente, al momento del voto, la formula: «sono unocome te». A costoro verrebbe da dire: «Perché devo de-legare ad una certa carica uno uguale a me? Ci vorrebbeuno meglio di me! Altrimenti perché non dovrei andarciio e dovrei delegare te?». Una società che non sa seria-

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mente selezionare la propria classe dirigente è una so-cietà destinata al declino.

I nuovi parlamentari e Presidenti delle CamereLaura Boldrini e Piero Grasso hanno alle loro spalleanni di impegno civile e professionale, la prima nel so-ciale, nelle zone di guerra e di crisi umanitaria, a difesadei rifugiati, delle vittime della fame e delle malattie, ilsecondo nella guerra alla mafia, allievo di Caponnettoe collaboratore di Falcone (che non a caso ha ricordato,insieme ad altre vittime della mafia e del terrorismo,nel suo discorso). I loro discorsi di insediamento sonostati bellissimi, ricchi di sentimento e di valori: sono fi-nalmente discorsi che ci fanno sentire orgogliosi diquelle Camere, discorsi vicini alla forza innovatrice deldiscorso di insediamento di Barack Obama e lontanis-simi dalle trite, vuote, tristi, parole rituali di tanti politicidi professione.

Ripercorriamo alcune parti di quei discorsi così ca-richi di forza, di passione, di speranza, pronunciati dainuovi Presidenti. «Arrivo a questo incarico dopo aver tra-scorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degliultimi in Italia come in molte periferie del mondo. È un’espe-rienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto alservizio di questa Camera. Farò in modo che questa istitu-zione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno»,ha detto Laura Boldrini. E ha aggiunto: «Dovremo im-parare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arrivada lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con laricchezza interiore inesplorata di un disabile». E, ancora,

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una bellissima definizione di quella che dovrebbe essereogni sede della decisione pubblica: «Facciamo di questaCamera la casa della buona politica. Rendiamo il Parlamentoe il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietàche dobbiamo agli italiani».

Piero Grasso ha insistito sulla legalità, sulla giustizia,sul rispetto delle regole: «Giustizia e cambiamento: questaè la sfida che abbiamo davanti». E da neofita della politicaha aggiunto: «Penso a questa politica alla quale mi sonoappena avvicinato che ha bisogno di essere cambiata e ripen-sata dal profondo, nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoiriti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendoai segnali che i cittadini ci hanno mandato e ci mandano e cicontinuano a mandare». Infine, anche per lui il sognodella trasparenza: «Sogno che questa aula diventi una casadi vetro e che questa scelta possa contagiare tutte quante lealtre istituzioni».

Le parole della Boldrini sono valide anche per Fog-gia e per la Capitanata, un territorio con drammaticiproblemi economici e sociali, con una dilagante povertàvecchia e nuova, con tassi preoccupanti di disoccupa-zione, con storie di emarginazione, una terra di immi-grazione e di diritti negati. E, allo stesso modo, anchele parole di Grasso suonano come uno sprone a com-battere senza paure e senza accondiscendenza alcunale mafie, la delinquenza organizzata, le connivenze trapolitica, affari e malavita: parole quanto mai attuali inoccasione della Giornata della Legalità nel ricordo di

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Francesco Marcone e delle altre vittime foggiane dellamafia e del racket.

Bisognerebbe saper trarre una lezione importanteda queste recenti e coraggiose scelte, dai forti segnalidi cambiamento e di svolta che questi ultimi giorni cihanno offerto. Coerentemente con la forte domanda dipartecipazione, di trasparenza, di onestà, di rigore etico,di competenza, di equità, di giustizia sociale che, siapure spesso in forme ancora confuse ed anche ambigue,emerge con sempre maggiore forza. Dovrebbero farlotutti, i partiti, i sindacati, le associazioni di categoria, leistituzioni e la stessa società civile, dimostrando di sa-persi liberare dalla paura del cambiamento, dalle pri-gioni dalla cattiva politica del passato più vecchio escreditato, dalle catene che, al contrario, ancora recen-temente la Capitanata ha dimostrato di non essere com-pletamente in grado di rompere.

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L’AGGRESSIVITÀ E I VELENI CHE DOMINANO I RAPPORTI SOCIALI

Da parecchio tempo pensavo di dedicare una diqueste mie note al tema dell’incattivimento sociale. Melo ha sollecitato anche il direttore di questo giornale,che ha nel suo DNA, fin dal titolo della testata, un at-teggiamento certamente non compiacente nei confrontidi istituzioni, partiti, associazioni ed anche singole per-sone. Ma per un giornale che ha deciso di essereun’anima critica e di praticare un giornalismo d’inchie-sta si tratta di un atteggiamento quasi doveroso, anchese io stesso a volte non condivido certi eccessi. Non è,però, del diritto di critica, anche dura, che voglio parlare(un diritto peraltro essenziale e vitale per ogni demo-crazia), ma di qualcosa di diverso e di molto grave. Miriferisco al livore, all’aggressività, ai veleni che ormaicaratterizzano i normali rapporti sociali nel nostroPaese. Si tratta di aspetti anche, per certi versi, com-prensibili in un momento di grave crisi e di vera e pro-pria disperazione, che, però, stanno trasformando pro-fondamente la natura e l’immagine di quello che untempo era considerato il Bel Paese, il luogo non solo

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ricco di cultura e di paesaggi mozzafiato, ma anche si-nonimo di cordialità, di simpatia e di gentilezza. Comeha recentemente scritto Michele Serra in una delle suebrillanti e acute rubriche su La Repubblica (24.3.2013, p.24), diverso era un tempo «il nostro segno distintivo: ilmito della dolce vita e del buon vivere ci rendeva ‘simpatici’e invidiati malgrado la fama di pasticcioni e di furbi», mentreora «l’Italia sta diventando un paese ‘cattivo’, dove il mala-nimo reciproco è fuori controllo, le ostilità sociali non piùtemperate dalla politica», tanto che basta andare all’estero,anche in paesi ben più poveri del nostro, per accorgersidella differenza, trovando altrove una situazione dinormale urbanità, di normale educazione, di normalemancanza di aggressività. Una normalità che si è andataperdendo nelle relazioni sociali, nella vita urbana, neltraffico, negli uffici pubblici.

C’è un clima di violenza e aggressività anche nellanostra città e nel nostro territorio, che la rete e i socialnetwork enfatizzano: basti frequentare alcune ‘discus-sioni’ in alcuni gruppi e a volte anche sulle pagine disingole persone per cogliere questo clima. Provate ainserire su Facebook una pacata riflessione su un qual-siasi tema di carattere generale o su una qualsiasi que-stione riguardante Foggia e troverete nel giro di pochiminuti interventi velenosi, invettive, parolacce. In brevetempo inevitabilmente le polemiche si moltiplicano, sene sviluppano altre tra gli intervenuti, senza più alcunlegame con il tema iniziale. È un’esperienza vissutavarie volte anche personalmente. Al di là dei profes-

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sionisti della polemica, si registra una diffusa tendenzaall’aggressività, più o meno gratuita.

Si tratta indubbiamente di uno dei risultati dellacrisi economica e sociale, quasi fossimo in uno stato diguerra civile o di fame (ma ci siamo assai vicini, se nonsi prenderanno misure drastiche e urgenti), cioè inquelle situazioni che normalmente alimentano il con-flitto sociale e la violenza nei rapporti tra le persone. Inaltri paesi che versano in condizioni di maggiore diffi-coltà, però, non si manifesta un tale livello di incattivi-mento. È forse anche il risultato di certa politica che daanni non solo rappresenta (cosa ovvia in democrazia)ma soprattutto incarna, enfatizzandone e giustifican-done i difetti, il peggio di quell’Italia volgare e incolta,imbrogliona, priva di senso civico, che evade le tasse,che considera normali l’abusivismo e la raccomanda-zione, che non ama fare la coda, che urla al telefonino,quell’Italia perfettamente rappresentata da tante po-polari trasmissioni televisive. Si tratta di una respon-sabilità che ricade anche sull’altra parte politica, prin-cipalmente di sinistra, ma non solo, che guarda confastidio e con la ‘puzza sotto il naso’ a questa ormaipreponderante fascia sociale, mostrandosi anche inca-pace di capirla e di farsi capire e, soprattutto, di rap-presentarla in maniera diversa. È la crisi definitiva an-che di una politica ‘pedagogica’, che si ponga l’obiettivodi migliorare le persone. Rischia di essere la crisi defi-nitiva anche delle forme della rappresentanza demo-cratica tradizionale. Il risultato è una sempre maggiore

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polarizzazione sociale, una frammentazione delle formedella rappresentanza, la mutazione dei partiti in tifo-serie, una metamorfosi dei cittadini in ultras, una tra-sformazione del confronto civile, capace di esprimerele proprie idee e interessato a capire quelle degli altri,in rissa. La risposta non può essere, però, solo il rim-pianto dei bei tempi andati e delle vecchie forme parti-tiche e sindacali. Bisognerebbe essere capaci di innovareprofondamente, di utilizzare le nuove forme della par-tecipazione e della comunicazione per dare nuova linfaalla democrazia, di realizzare reali prassi di trasparenzae di legalità, di dare spazio e voce alle richieste, a volteanche scomposte e ambigue, di un nuovo protagoni-smo.

Altrimenti la pratica politica del ‘vaffa’ lanciato con-tro tutto e contro tutti, l’orgoglioso rifiuto di distinguere,l’inclusione in una indeterminata ‘casta’ di tutti, com-preso chi in questi anni difficilissimi si è impegnatopersonalmente in tanti campi per difendere la legalità,per affermare forme di giustizia sociale, per conquistarediritti e sviluppare battaglie culturali, per sperimentarepezzi di cambiamento, rischierà di trasformare defini-tivamente quella che viene presentata come una praticaliberatoria di nuove energie e l’affermazione di unnuova partecipazione in una tendenza sociale e politicaassai pericolosa di una nuova ‘caccia alle streghe’.

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I MUSEI, CHE NOIA!

È stata pubblicata di recente la graduatoria delbando regionale per i musei. Si tratta di un’iniziativamolto apprezzabile ed importante, con risorse signifi-cative a disposizione del sistema museale pugliese, chepotrà, si spera, migliorare il livello qualitativo degli al-lestimenti, dei sistemi di sicurezza, della gestione. I ri-sultati della valutazione, condotta con grande serietà erigore, sono per più versi interessanti e sollecitano varieriflessioni: rinvio per questo all’importante analisi resanota recentemente dall’ottimo assessore regionale al-l’urbanistica e ai beni culturali Angela Barbanente. Iomi limito in questa sede solo a qualche considerazionerelativa alla situazione dei musei in Capitanata.

Dei 100 progetti (in realtà 99 poiché uno è risultatoduplicato), sui 142 presentati, ritenuti ammissibili dopola preistruttoria tecnico-amministrativa, 23 vedonocome proponenti Enti locali e Enti ecclesiastici dellaProvincia di Foggia; 19 ricadono nella provincia di Bari,9 nella BAT, 29 nella provincia di Lecce, 9 in quella diBrindisi e infine 10 in quella di Taranto; dei 100 progetti,40 sono stati avanzati da enti locali e 60 da enti ecclesiali;

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63 sono stati presentati sulla prima tipologia (musei incorso di attivazione, 10 milioni, max 800.000 per pro-posta), 35 sulla seconda (musei in stato di funziona-mento, 7,5 milioni, max 500.000) e 1 sulla terza (museiin stato di funzionamento avanzato, 7,5 milioni, max300.000). Emerge innanzitutto un’attiva iniziativa daparte ecclesiastica, rispetto alle proposte degli Enti lo-cali. Il patrimonio religioso è certamente rilevante anchenella nostra regione, ma il maggior numero di progettipresentati conferma in realtà una più spiccata capacitàd’iniziativa da parte vescovile al confronto con quelladei sindaci.

Per la Capitanata i 23 progetti presentati costitui-scono un buon risultato in termini di partecipazione,non c’è che dire. Molto diversa è, però, la valutazionese si guarda la graduatoria di merito elaborata al ter-mine dell’approfondito lavoro, sia di tipo tecnico-am-ministrativo, condotto dagli uffici regionali, sia di tiposcientifico-culturale, condotto da una commissione dispecialisti del mondo universitario, di cui io stesso hofatto parte (coadiuvato, come supplente, da DaniloLeone, che di fatto ha condotto il lavoro; ho infatti presoparte solo all’avvio della valutazione, ma poi, essendostato impegnato nello stesso periodo in un’altra attività,anche per evitare possibili conflitti e/o strumentaliz-zazioni, mi sono astenuto dal lavoro, lasciando al prof.Leone questo compito, insieme ai competenti colleghidelle altre Università pugliesi; sottolineo con piacereche, con una apprezzabile attenzione alla necessaria

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trasparenza, i verbali sono integralmente pubblicati esono consultabili sul sito della Regione Puglia. I progettifoggiani collocati nella parte alta della graduatoria sonosolo pochi, come quelli di Cerignola-Torre Alemanna,Castelluccio Valmaggiore, Ordona. Alcuni progetti,inoltre, pur risultando finanziabili, hanno ricevuto ungiudizio non particolarmente positivo per gli aspetticulturali, anche se si sono poi collocati bene in gradua-toria grazie ad una buona impostazione formale e alrispetto di alcuni parametri di tipo amministrativo.

Emerge, al contrario – ed è giusto darne merito – unsuccesso significativo delle proposte presentate dagliEnti locali del Salento, che conquistano numerose po-sizioni alte della graduatoria. I progetti salentini si ca-ratterizzano per un generale buon livello delle proposte,quasi tutte elaborate, non a caso, in stretta collabora-zione con l’Università del Salento, con il diretto coin-volgimento nella progettazione di molti miei colleghiuniversitari: è questo il caso di Lecce, Oria, Mesagne,Poggiardo, Vaste, Castro, Cavallino, Nardò, Martano,Ugento, Muro Leccese, e altri ancora. Se, infatti, esclu-dendo i musei ecclesiastici, per i quali le Diocesi im-piegano normalmente liberi professioni di loro fiduciae che si sono ben piazzati in graduatoria, consideriamosolo le prime dieci proposte nelle due graduatorie deimusei in attivazione e in funzionamento, presentatedagli Enti locali (la terza linea riguarda solo Albero-bello), ricaviamo questo emblematico risultato: Lecce3+7, Brindisi 3+1, Bari, 3+1, Foggia 1+1. Il Salento, cioè,

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conquista complessivamente le 14 prime posizioni su20: un dato sul quale riflettere, quando si propongonole solite lamentazioni locali.

La collaborazione universitaria e la capacità di faresistema risultano purtroppo molto ridotte in Capita-nata, dove gli enti proponenti hanno preferito normal-mente far da soli, affidandosi spesso a progettisti, amicie improvvisati, elaborando proposte spesso assai mo-deste, se non del tutto inconsistenti, sotto il profiloscientifico e culturale. Una situazione che pare acco-munare la Provincia di Foggia e la BAT a Taranto; maanche molte proposte della Provincia di Bari in questocaso non sono risultate di alto profilo.

È spesso evidente la mancanza di un vero progettoculturale, insieme all’utilizzazione di personale pocoattrezzato sotto il profilo scientifico, sia per gli aspettipropriamente contenutistici, sia per quelli museologici.Spesso si pensa che un museo sia solo un insieme divetrine piene di oggetti, e a volte si ritiene di colmare ilvuoto culturale con le ‘tecnologie’, cioè acquistando unpo’ di computer e più o meno inutili megaschermi.

Sperimentazione, narrazione, dinamicità, coinvol-gimento, identità: queste dovrebbero essere le parolechiave per musei capaci di raccontare la storia di unacittà o di un territorio. Si dovrebbe saper proporre alvisitatore (o meglio, alle varie categorie di visitatori)una visita piacevole, capace di stimolare approfondi-menti e curiosità con una partecipazione attiva, con di-versi livelli di comunicazione funzionali a diversi e ben

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individuabili percorsi di visita per un pubblico diver-sificato per età, cultura, sensibilità, esigenze e tempo adisposizione.

Al contrario, troppo spesso i nostri musei si riem-piono di pannelli, spesso verbosi e incomprensibili, contesti scritti con il tipico insopportabile linguaggio eso-terico iper-tecnicistico dei cosiddetti ‘addetti ai lavori’.

Eppure grazie alle nuove tecnologie, utilizzate conintelligenza, grazie a innovativi progetti di fruizionemultimediale, sarebbe possibile offrire ai visitatori glistrumenti per dialogare con i reperti esposti e di navi-gare nell’enorme mare di informazioni che essi tra-smettono e alle quali rinviano, attraverso sistemi di fa-cile e piacevole utilizzazione, fortemente interattivi,con contenuti scientificamente solidi ma resi con lin-guaggio semplice e immediato (possibilmente in piùlingue), senza alcun cedimento alla banalizzazione,continuamente aggiornabili e modificabili.

Un museo può essere un luogo noioso (ed ancheodioso!), elitario e ostile, oppure un luogo di crescitaculturale, di piacere e di emozioni. Spesso visitandoun museo il visitatore avverte una sensazione di ina-deguatezza, perché non comprende compiutamente ilmessaggio degli oggetti esposti. Né è agevolato daisupporti didattici a volte presenti, ma poco chiari, o, ilpiù delle volte, del tutto assenti. Capita di frequente,infatti, ancora oggi che il visitatore si aggiri nelle saledi musei, di fatto riservati solo a specialisti o ad unpubblico particolarmente colto. Agli altri, al pubblico

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‘normale’, si concede al massimo una sorta di contem-plazione acritica.

Mettendo da parte ogni visione meramente econo-micista e commerciale, i musei, soprattutto quelli civici,dovrebbero saper svolgere la funzione di veri e propricreatori del patrimonio culturale, luoghi di identifica-zione delle comunità e di trasmissione intergenerazio-nale della cultura.

In questo contesto, le tecnologie non dovrebbero es-sere utilizzate in quanto tali o come strumento di spet-tacolarizzazione, ma dovrebbero essere funzionali aicontenuti proposti e porsi al servizio di un progettoculturale. Non si tratta, infatti, solo di trasmettere unaserie di informazioni in forma divulgativa, ma di pro-porre una vera esperienza didattica ed educativa, coin-volgendo in maniera interattiva i fruitori. Il raccontoche un museo deve saper proporre va ascoltato con in-teresse e curiosità, ma va anche stimolato con le do-mande che la sensibilità e la curiosità di ogni visitatorepossono proporre. Non ci si deve limitare, pertanto, aduna semplice trasmissione di dati e di messaggi tra de-stinatore e destinatario, che in tal modo svolgerebbeun ruolo passivo, ma si deve tentare di fornire indica-zioni di metodo, sollevare problemi, suscitare curiosità,suggerire punti di vista. Dovremmo sapere allestire unmuseo, insomma, che non solo cerchi di fornire risposte,ma, anche e soprattutto, di stimolare domande, e, altempo stesso, di suscitare emozioni.

È quanto abbiamo tentato, ad esempio, di realizzare,

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Inaugurazione di Palazzo Branciforte a Palermo con la partecipazione delPresidente della Repubblica Giorgio Napolitano: visita alla collezione archeo-logica con l’allestimento curato dall’Università di Foggia. Uno dei tavolicon touch screen con un innovativo prodotto multimediale elaborato dagliarcheologi foggiani.

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con la mia équipe universitaria, nel nuovo allestimentodella collezione archeologica della Fondazione Sicilianello splendido contesto di Palazzo Branciforte a Pa-lermo, avendo il piacere e l’onore di lavorare insiemealla grande Gae Aulenti.

Ma da queste parti si preferisce continuare a rivol-gersi al progettista amico e cliente, spendere soldi invetrine e computer, affidare la gestione a nipoti e parentidell’assessore di turno invece di avvalersi delle com-petenze specialistiche presenti, anche, ma non solo,nella nostra Università. Salvo poi lamentarsi di esserestati maltrattati e nelle cerimonie infarcire i vuoti di-scorsi della solita insopportabile retorica della culturae dello sviluppo del territorio.

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TUTTE LE FALSITÀ DETTE SULLE MIE SCELTE DI RETTORE

È finalmente giunta la bella notizia della sottoscri-zione dell’accordo di programma tra il Ministero dellaCoesione, il Ministero dell’Università e la Regione Pu-glia relativo alle infrastrutture per le Università pugliesi.È una notizia che attendevamo da molti mesi, dal 30settembre 2011, data della delibera CIPE; in realtà l’at-tendiamo da anni, visto che è dal mio insediamentocome rettore nel 2008 che perseguo questo obiettivo. Sitratta di ben 315 milioni, 270 per interventi strutturaliche porteranno alla realizzazione di una grande resi-denza universitaria per l’Università e il Politecnico diBari (80 milioni) e di una parte del nuovo campus aValenzano per la facoltà di Agraria (75 milioni), oltreal completamento del CIASU-Centro alti studi univer-sitari a Fasano per l’Università di Bari (5 milioni), divarie strutture universitarie a Lecce (80 milioni) e, perla nostra Università, alla ristrutturazione delle due pa-lestre GIL di via Galliani e di via Ammiraglio da Zara(5 milioni) e all’acquisto e ristrutturazione della Ca-serma Miale (25 milioni). I restanti fondi saranno de-

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stinati alla ricerca: con queste risorse abbiamo previsto,di comune accordo tra le Università e la Regione, l’at-tivazione di almeno 200 posti di ricercatore a tempodeterminato in tutti i settori disciplinari, una ventinadei quali almeno dovrebbero essere destinati all’Uni-versità di Foggia: una boccata d’ossigeno in questitempi assai tristi per i nostri giovani ricercatori. Ma,più in generale, si tratta di un tassello importante perla costruzione dell’Università di Foggia dei prossimianni.

C’è ora da sperare di non dover attendere altri mesio anni, visti i limiti legati al rispetto del Patto di Stabilità,che di fatto impedisce alla Regione di erogare i finan-ziamenti. Nel caso della Caserma Miale, oltre all’inte-resse specifico dell’Università di Foggia, c’è quello delMinistero degli Interni, desideroso di interromperel’emorragia dell’inutile pagamento del canone di ben1.200.000 euro all’anno per una struttura ampiamentesottoutilizzata. Si tratta di 3.000 euro al giorno pagatidai contribuenti, del tutto inutilmente, per un immobileche, com’è noto, fu ceduto per 11 milioni nel 2005 econtestualmente fu preso in locazione fino al 2023: unvero e proprio scandalo tutto italiano che ha richiamatol’attenzione anche della stampa nazionale, da Gian An-tonio Stella a Ballarò. La stessa ministra Cancellieri hain più occasioni manifestato il suo interesse per l’ac-quisizione da parte dell’Università di Foggia, in mododa porre fine a questo assurdo esborso di danaro pub-blico a carico della Questura di Foggia.

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La caserma Miale, monumento simbolo della cittàdi Foggia, potrebbe non solo ospitare il rettorato e tuttele strutture amministrative, ma anche i servizi centra-lizzati per gli studenti, le residenze per studenti e do-centi, la biblioteca economico-giuridica, gli spazi cul-turali. Potrebbe, inoltre, garantire una sede adeguataanche per il Dipartimento interateneo di ‘Ingegneriadel territorio, dell’agroalimentare e della salute’ (nonquindi una generica struttura di Ingegneria, ma unarealtà originale e fortemente integrata con le vocazioniscientifiche dell’Università di Foggia e con il tessutoimprenditoriale della Capitanata), al quale anche inquesti mesi continuo a lavorare con il collega e amicorettore del Politecnico di Bari, Nicola Costantino.

Certamente la mia attenzione principale si è con-centrata, in questi anni, nella realizzazione di struttureedilizie per la didattica e la ricerca, poiché la situazionestrutturale rappresentava, e rappresenterà ancora nel-l’immediato futuro, il problema principale del nostroateneo

Siamo in periodo elettorale per scegliere il/la collegache mi sostituirà alla guida della nostra Università: cer-tamente mi guardo bene dall’intervenire nel dibattito,che, però, ovviamente seguo con attenzione e grandeinteresse, perché in questa Università continuerò a svol-gere la mia attività di docente. Trovo naturale, quasi ov-vio, che si rivolgano critiche all’attuale amministrazionee ritengo inevitabile, quasi fisiologico (anche se non con-divido affatto questa pratica, sia nelle campagne elettorali

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politiche sia e soprattutto nel caso di un luogo di forma-zione, di studio, di elaborazione critica e di approfondi-mento dei problemi qual è l’Università) che in una cam-pagna elettorale si facciano promesse di tutti i tipi (fondiper le attività più varie, posti, progressioni, ecc.), salvopoi non indicare in nessun modo con quali risorse e conquali strumenti normativi, al momento assai restrittivi,queste promesse potranno essere mantenute.

Ma non accetto le falsità sulle mie difficili sceltecompiute da rettore, avendo vissuto il periodo forsepeggiore della storia dell’Università italiana, in anni incui molti hanno tentato di ridimensionare, emarginare,fondere con altri atenei o addirittura chiudere questanostra giovane realtà.

Ingiusta e ingenerosa considero, ad esempio, la cri-tica di chi accumuna le politiche da me adottate a quelledel governo Monti, che ho al contrario sempre com-battuto a livello locale e nazionale in ogni sede: rigoredei conti, equilibrio di bilancio e nessuna attenzionealla crescita. È falso! Considero certamente il rigore deiconti e la responsabilità un dovere etico, prima ancorache amministrativo, per chi governa un ente pubblico:uno dei danni del nostro Paese è sempre consistito nellairresponsabilità nel moltiplicare i debiti, lasciati sullespalle dei successori; in tal modo si sono addossati a fi-gli e nipoti debiti enormi che loro non hanno mai con-tratto. È sufficiente leggere i giornali, anche di questigiorni, per comprendere quanti danni hanno prodottocerte gestioni ‘allegre’, per il cui risanamento sono stati

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necessari draconiani piani di rientro. I debiti sono ne-cessari, ed anche opportuni, solo se si effettuano inve-stimenti nella costruzione di strutture e di beni e serviziche consentano lo sviluppo e la crescita del patrimonio.In caso contrario, è evidente che si ritenga che sia unbene provocare il dissesto di un ente, oppure accumu-lare debiti non pagando canoni, fornitori o addiritturalo stipendio del personale (com’è avvenuto in altre Uni-versità). Non mi risulta, infatti, che un’Università possabattere moneta in proprio per far fronte alle tante pro-messe! Bisognerebbe dire dove si pensa realisticamentedi trovare le risorse, e dove non sono state finora cercatee reperite, oppure da quali capitoli di bilancio si recu-pereranno i fondi da destinare ad altro.

Ricordo che la nostra Università, nonostante le si-gnificative e drammatiche riduzioni di personale inquesti ultimi anni (circa 120 unità, compresi i precari),ha tuttora il peggiore rapporto tra entrate e costo delpersonale, cosa che di fatto riduce i margini di ogni fu-tura programmazione in termini di assunzioni e/o pro-gressioni, rese ancor più restrittive dalle norme recenti.

Personalmente ho ritenuto che l’esigenza principaleper la nostra Università fosse quella di disporre di spazie di strutture didattiche e scientifiche adeguate per unavera Università. E abbiamo anche contratto mutui eprestiti per dotarci di queste strutture.

In questi cinque anni siamo passati da una superficiecomplessiva di 46.197,50 m2, con 12 strutture a 80.147,50m2 e 21 strutture disponibili prossimamente, non ap-

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pena saranno completati, tra alcuni mesi, una serie dicantieri. A queste superfici si aggiungeranno i 15.000m2 della Caserma Miale. Per gli spazi didattici passiamodai 5.500 posti a sedere in aula ad oltre 8.000. Ma so-prattutto vado fiero della scelta politica di privilegiarela ristrutturazione di edifici esistenti contribuendo alrecupero di strutture degradate, cosa che ha garantitoalla nostra Università la menzione d’onore della giuriadel prestigioso Premio Gubbio 2012.

Mi limito solo a qualche cifra per indicare l’entitàdegli investimenti effettuati: 9,2 milioni (fondi dellaRegione e dell’Università) per la ristrutturazione degliex Ospedali di via Arpi, 17,5 milioni per la costruzionedella nuova facoltà di Medicina (mutuo e fondi del-l’Università), 5 milioni (fondi Unifg, che prossimamentesaranno recuperati al bilancio grazie ai citati fondi FAS)per la ristrutturazione delle due palestre ex GIL per ilDipartimento di Economia, 5,1 milioni (fondi MIUR,legge 338 con progetto dell’Università) per la costru-zione della nuova casa dello studente in via G. Di Vit-torio, 500 mila euro per la ristrutturazione della palestradell’ENAIP-ACLI per la nuova sede della clinica odon-toiatrica e del corso di laurea in Odontoiatria, 1,2 milionidi euro per la locazione e la sistemazione di laboratoriscientifici del Bioagromed, 900 mila euro per l’adegua-mento del Rosati per le aule di Medicina. Il totale supera38 milioni investiti nel corso di questi ultimi 4 anni, inuna fase di tagli drammatici al finanziamento pubblicoe di crisi economica. A queste si aggiungano due ope-

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razioni, seguite personalmente fin dal 2009 che, graziead accordi di programma, d’intesa con la Regione e ilComune, consentiranno di ottenere a costo zero perl’Università due nuove strutture, una di oltre 1.000 m2

per Agraria nell’area dell’attuale Dipartimento su viaNapoli (accordo con imprese Marinari-Vitozzi), l’altradi 6.000 m2 per Medicina (accordo con impresa Tonti),posta accanto alla nuova sede della Facoltà, dove saràpossibile sistemare tutti gli spazi didattici per i corsi diMedicina, comprese Scienze Motorie e Odontoiatria,in modo da accorpare il polo medico nei pressi degliOspedali Riuniti e degli impianti sportivi del CUS. Ecertamente dimentico molte altre cose, limitandomisolo agli interventi strutturali. Altro che poco coraggioe scarsa capacità d’investimento nella crescita! Michiedo quale altra Università abbia fatto, proporzio-nalmente al proprio bilancio, investimenti di tale entitàin questi anni ed anche quale sia stata in grado di por-tare a termine i cantieri in tempi così rapidi, se si con-siderano i mille problemi burocratici e finanziati legatiagli appalti per le opere pubbliche. Questi investimenti,i cui effetti saranno ancor più visibili nel prossimo fu-turo, certamente contribuiranno a guadagnare posizioninelle graduatorie, che finora ci hanno penalizzato.

A fronte di tali investimenti, abbiamo eliminatoogni forma di minimo spreco e abbiamo adottato taglipesanti su alcuni costi di gestione: mentre gli spazisono cresciuti e le strutture si sono moltiplicate e no-nostante i costi energetici siano aumentati in questi

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anni, le spese correnti sono diminuite sensibilmente(certamente non senza disagi) da € 2.765.000 del 2008al € 2.280.000 del 2012 con evidenti risparmi conseguitinei consumi telefonici (passati da € 370.000 euro del2008 a € 100.000 del 2012), per la pulizia degli ambienti(da € 1.700.000 nel 2008 a € 1.200.000 del 2012) e per lavigilanza (da € 285.000 del 2008 a € 35.000 del 2012).

Ma anche sul fronte della ricerca la nostra capacitàdi attrarre risorse ha conosciuto in questi ani un progressoesaltante, passando da 3,8 milioni di euro circa del 2008a 19,6 milioni del 2012, con un incremento del 518%,che ci pone tra le Università maggiormente capaci direperire risorse esterne in rapporto al Fondo di Funzio-namento Ordinario. Analoghi successi sono stati raggiuntinel campo dell’internazionalizzazione, con il passaggioin questi anni da 3 a 8 progetti, da 12 a 350 accordi dicooperazione, da 59 a 87 studenti Erasmus all’anno inuscita e da 72 a 140 in entrata. E mi fermo qui, mal’elenco potrebbe essere molto più lungo.

Anche su questo giornale sono state raccolte criticheda parte di autorevoli colleghi. Lo trovo normale inuna dialettica tra posizioni diverse, anche se nonposso nascondere il dispiacere quando gli attacchisono non solo ingenerosi ma soprattutto ingiusti e in-fondati, come, ad esempio, quelli espressi da uncollega secondo il quale avrei mortificato l’area uma-nistica (al contrario altri, altrettanto ingiustamente,mi accusano di averla favorita). Strana tesi da sostenerein anni che hanno visto decine di attività culturali di

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ambito umanistico promosse dall’Università, tra cui,solo a titolo di esempio, il grande convegno interna-zionale Adrias sulla cooperazione culturale in ambitoadriatico e la laurea ad honorem a Dacia Maraini, e, so-prattutto, la realizzazione di una bella e ampia sedeper il polo umanistico, degna di una struttura didatticae scientifica universitaria di livello internazionale,come affermano tutti i colleghi ospiti di altri ateneiitaliani e stranieri che l’hanno visitata in questi mesi.Un Dipartimento con ampi studi, quasi tutti singoli(un vero miraggio in molte Università!) per i docentie il personale tecnico-scientifico, efficienti uffici per ilpersonale amministrativo, numerosi laboratori, un’am-pia e comoda aula magna, attrezzata anche per spet-tacoli (certo non il cine-teatro che avevo sperato direalizzare, pubblicando anche uno specifico bando,

La cerimonia di conferimento della Laurea honoris causa a Dacia Maraini(18.11.2010) (foto Mimmo Attademo).

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ma sono mancati i partner imprenditori), oltre cheper le attività didattiche, le conferenze, i convegni,numerose aule ben attrezzate, una splendida biblioteca(un autorevole collega romano l’ha definita bella comeuno scriptorium medievale), sempre più ricca di volumie riviste. So per certo che c’è chi avrebbe preferitocontinuare ad avere sedi inadeguate pur di disporredi risorse per le proprie attività. Ma bisognerebbeporre la domanda in particolare agli studenti, che pa-gano le tasse e che dubito preferiscano spazi degradati(come nel caso dei ragazzi di Ingegneria o, per restarenella nostra Università, quelli di Medicina da anni ri-spettivamente costretti nei fatiscenti sottoscala del-l’istituto Altamura o nelle aule, impraticabili in casodi pioggia, del Rosati) ad aule e laboratori confortevolio ad una biblioteca ben attrezzata.

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La nuova Biblioteca del Dipartimento di Studi Umanistici: sala di lettura.

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LA MIA UNIVERSITÀ ‘GRANAIO’

Non molto tempo fa ho dedicato la mia rubrica alrogo della Città della Scienza di Bagnoli, che presentavocome la metafora dell’attuale condizione del nostroPaese e del Sud in particolare. Un Paese allo sbando,senza una prospettiva condivisa, senza una classe diri-gente all’altezza dei problemi e delle sfide, provincialee immobile. Un Sud in mano alla delinquenza organizzatae alla facile demagogia populista, combattuto tra la di-sperazione provocata dalla disoccupazione e dalla pre-carietà e le lusinghe dell’illegalità diffusa, tra il desideriodi assistenzialismo straccione e il rivendicazionismoseparatista. Pensavo allora, e lo penso oggi più chemai, che solo un vigoroso investimento in cultura e informazione possa consentire una reale inversione ditendenza. Ed anche per questo motivo auspicavo che ilnuovo Presidente della Repubblica fosse espressionedel mondo della cultura. Ma scelte del genere richiedononon solo molto tempo, ma soprattutto lungimiranza ecoraggio, merce assai rara di questi tempi. È ben notala definizione degasperiana «un politico pensa alle prossimeelezioni, uno statista pensa alle prossime generazioni»: oggi

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abbondano i politici, anche tra coloro che brandisconola clava dell’antipolitica, mentre sono rarissimi nondico gli statisti (che per definizione sono rari) ma gliamministratori capaci di guardare un po’ più in là, dilavorare per costruire condizioni di vita migliori dellepersone e dei beni loro affidati, i cui effetti si possanocogliere ben oltre la fine del loro mandato.

È di questi giorni la pessima notizia della chiusuradell’ODA teatro: non entro nel merito dei problemitecnici perché non li conosco in maniera adeguata, enon amo le approssimazioni, i giudizi infondati, il chiac-chiericcio, i veleni gratuiti (che, ad esempio, come alsolito, hanno ingolfato il dibattito su Facebook), per cuimi astengo dall’esprimere giudizi. Mi interessa, però,

Il Teatro Giordano di Foggia.

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sottolineare come la chiusura di un altro importantepresidio culturale in questa città abbia effetti devastanti.Rischia di andare in crisi una delle tante struttureculturali realizzate durante gli anni del governo provincialedi Antonio Pellegrino, insieme al Teatro del Fuoco, alMuseo del Territorio, al potenziamento della BibliotecaProvinciale, e ad altre ancora. Se pensiamo alla persistentechiusura del Teatro Giordano, alle condizioni di degradopostbellico del Teatro Mediterraneo, all’inutilizzabilitàdell’Auditorium di Santa Chiara (che speriamo prestopossa essere sistemato adeguatamente e gestito a curadella Fondazione Apulia Felix) o anche alla situazionepenosa di vari musei della Capitanata, è evidente comela chiusura dell’ODA rappresenti un ulteriore preoccu-pante segnale di crisi delle istituzioni culturali.

Ho grande stima per la compagnia Il Cerchio di

L’Auditorium Santa Chiara nella città vecchia.

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Gesso, alla quale esprimo la più convinta solidarietà(ho anche sottoscritto il loro appello). Conosco i braviattori che ne fanno parte e ammiro il loro tenace tentativodi garantire, anche in un contesto non facile, un’attivitàprofessionale in campo teatrale, non limitata solo allacompagnia, ma estesa alla gestione di un teatro, apprezzol’impegno nello svolgere una continua e preziosa azionedi sensibilizzazione e di educazione teatrale in favoresoprattutto dei bambini e dei ragazzi, di effettuare unanecessaria sperimentazione. Ho assistito a vari spettacoli,ho stima per la loro professionalità. Hanno spesso col-laborato, con grande generosità, con l’Università e am-metto che avrei voluto (o meglio vorrei) poter sostenerequesti meritevoli sforzi molto più di quanto mi è statopossibile finora, in un momento di scarsissime risorse:considero, infatti, il sostegno all’industria culturale unodegli impegni dell’Università.

Di industria culturale, infatti, si tratta e come taleandrebbe considerata, cioè come un’attività altamenteprofessionale, con elevate competenze specifiche, sianella produzione artistica sia nella gestione manageriale,un’attività capace di produrre sì crescita culturale e mi-glioramento della qualità della vita ma anche benessere,lavoro qualificato, crescita economica. Dicendo questonon sostengo affatto una visione esclusivamente e roz-zamente economicistica della cultura: voglio soloprecisare che anche in campo culturale servono profes-sionalità, competenza, capacità gestionale. Invece spesso

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prevalgono l’improvvisazione, il dilettantismo, il clien-telismo. Ne ho già parlato a proposito dei musei.

Condivido, quindi, la posizione di chi sostiene cheoltre a costruire un contenitore culturale sia necessariopensare al contenuto ed anche alla gestione. Tutti at-tendiamo con ansia la riapertura del Giordano, ma unavolta riaperto – tutti speriamo presto – chi ne curerà lagestione, chi la direzione artistica, chi la ricerca di fondi,chi la programmazione, chi la promozione? Un analogodiscorso andrebbe fatto per le altre strutture culturali.

A volte mi è capitato di assistere a spettacoli o a con-certi imbarazzanti sotto il profilo qualitativo. Ma ho as-sistito anche a spettacoli teatrali o musicali di livello al-tissimo prodotti e realizzati da artisti foggiani, chegodono di un prestigio e di una circolazione nazionaleed internazionale: potrei citare vari esempi, ma milimito alla rassegna ‘Musica Civica’, un vero esempiodi produzione culturale di alto profilo.

Troppo spesso ci si imbatte in personaggi che si au-toattribuiscono o ai quali viene facilmente attribuitaun’eccellenza tutta da dimostrare. Bisognerebbe saperdistinguere il professionismo di qualità dall’associazio-nismo culturale, dal volontariato, dal gruppo teatrale omusicale dilettantistico (anche se tale non si ritiene).Non sottovaluto affatto l’attività preziosa, fondamentale,anche come forma di democratizzazione della cultura edi partecipazione attiva, condotta da tali soggetti, maovviamente quando parliamo di industria culturale e diprofessioni culturali ci riferiamo ad altro. È un po’ la

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Uno degli incontri di Musica Civica con conferenza e concerto (stagione2011-12) (foto Mimmo Attademo).

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differenza che passa tra lo storico dilettante o l’appas-sionato di archeologia che pubblica sul giornalino localee il ricercatore di professione che pubblica in sedi scien-tifiche dotate di sistemi di valutazione internazionale. Ilproblema è che troppo spesso questa differenza nonviene colta da coloro che dovrebbero occuparsi dipolitiche culturali, a volte persone di dubbio livello cul-turale e di scarsa capacità di valutazione di un curriculum.

Auspico che rapidamente i problemi tecnici sianorisolti e che presto l’ODA teatro sia riaperto e che IlCerchio di Gesso possa riprendere la sua programmazione.Sarebbe, infine, auspicabile la costruzione di un sistemaintegrato di gestione delle strutture culturali, in particolarequelle teatrali, perché è assai difficile che ogni contenitorepossa operare autonomamente garantendo al tempostesso qualità dell’offerta culturale e sostenibilità econo-mica. Concludo, quindi, ribadendo l’importanza didotare la città di strutture culturali adeguate, e di saperleconservare e ben gestire, con le persone giuste (competenti,capaci, rigorose) ai posti giusti, perché si possa costruireun percorso di crescita fondato sulla cultura, sullabellezza, sulla qualità della vita. È stato questo anche ilmio impegno come rettore, convinto che un’Universitàdegna di questo nome non dovesse rassegnarsi ad averestrutture inadeguate alla didattica, alla ricerca, al lavoroamministrativo, ai servizi per gli studenti. L’Universitàè certamente, al momento, la più grande e importanterealtà culturale di Foggia e della Capitanata e mi auguroche sappia essere difesa e sviluppata, come abbiamo

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fatto in questi difficilissimi anni, salvaguardandone lacredibilità e la qualità culturale ed etica.

Ho chiuso la mia relazione all’ultima cerimonia diinaugurazione dell’anno accademico citando e parafra-sando la celebre definizione di Marguerite Yourcenar aproposito delle biblioteche; una defniziaone che po-tremmo adattare molto bene anche ai teatri, ai musei,agli archivi, e che ripropongo in relazione all’Università.È un pensiero, peraltro, che mi sembra particolarmenteappropriato in riferimento alla storia di Foggia e dellaCapitanata, da sempre granaio d’Italia: «Fondare Uni-versità è come costruire ancora granai pubblici, ammassareriserve contro l’inverno dello spirito che da molti indizi, miomalgrado, vedo venire».

Sono passati solo 14 anni dall’autonomia dell’Uni-versità di Foggia e quella riserva, quel granaio di intel-ligenze giovanili, è ancora in costruzione, ma i primiraccolti sono stati promettenti e quelli futuri si annun-ciano, nonostante l’inverno che stiamo attraversando,ancor più ricchi. Bisogna continuare, però, tutti insieme,docenti, tecnici-amministrativi, studenti, enti, istituzioni,imprese, cittadini, con grande spirito di coesione e diappartenenza, con orgoglio e impegno, a seminare e acostruire il nostro ‘granaio pubblico’, che in questi anniqualcuno ha tentato di distruggere, ma che siamo staticapaci, tutti insieme, di difendere come un vero eproprio bene comune. Se poi fossimo riusciti anche adaccrescere anche solo un po’ la quantità e la qualità diquei ‘semi’, potremmo allora dirci soddisfatti.

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ELOGIO DELLA COESIONE

La comunità accademica ha scelto il prossimo Ret-tore nella persona del prof. Maurizio Ricci, unico can-didato al secondo turno, dopo il ritiro degli altri trecandidati, con un risultato certamente importante, peril quale ho il massimo rispetto, com’è giusto e correttoin una comunità democratica. È stato eletto Rettoredalla comunità e dall’1 novembre prossimo sarà ancheil mio Rettore, con assoluta lealtà e spirito di collabora-zione.

Ha vinto chi si è impegnato per più tempo, dimo-strando anche una straordinaria caparbietà, presentan-dosi per la terza volta consecutiva, in alternativa primaad Antonio Muscio, poi a chi scrive, effettuando unacampagna elettorale sistematica durata molti anni. Rin-novo al nuovo Rettore i miei personali auguri di buonlavoro, non solo per bon ton istituzionale ma anche esoprattutto per il grande amore che ho nei confrontidella nostra Università. Poco importa che cinque annifa non ricevetti un gesto analogo da parte sua.

La nuova parola d’ordine, più volte ripetuta anchenegli ultimi messaggi elettorali e nelle dichiarazioni

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alla stampa, è coesione. Immagino che tale insistenzaintenda mettere in evidenza la mancanza di uno spiritodi coesione in questi ultimi anni. Qualcuno vorrebbeattribuire a me questo deficit, e sono pronto ad assu-mere anche la mia parte di responsabilità. Ma la coe-sione è il risultato di una volontà condivisa, e mi pia-cerebbe che anche altri siano disponibili ad ammetterele loro responsabilità. La coesione (vedo che opportu-namente si evita la parola ‘concordia’, ormai irrime-diabilmente connessa alla malasorte) richiede unità diobiettivi e di metodi e dovrebbe rappresentare quasiun’esigenza comune nei momenti difficili, tanto inquelli trascorsi in questi ultimi anni quanto in quelliche continueremo a vivere prossimamente. In caso con-trario, sembrerebbe affermarsi uno strano principio,secondo cui la coesione non vale quando si è all’oppo-sizione mentre la si invoca quando si è al governo. Equando si governa, dopo aver sentito le ragioni di tutti,bisogna decidere e fare delle scelte, che possono esserenell’interesse generale (anche se impopolari) o in quellodi una sola parte o addirittura di una sola persona.Coesione è, infatti, una bella parola, solo se coniugataall’interesse generale, al cambiamento e alla responsa-bilità. Per questo motivo credo sia necessario un dove-roso chiarimento a questo proposito, ora che la campa-gna elettorale si è conclusa, soprattutto nei confrontidella comunità accademica, proprio per l’ampio con-senso tributato al nuovo Rettore.

Mi fa piacere, infatti, che ora la coesione venga pro-

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posta e sostenuta anche da chi per anni l’ha di fattoimpedita, cavalcando malcontenti (ovvii in momentidi difficoltà economiche), sostenendo ogni forma diopposizione, favorendo rotture, non senza anche il ri-corso a qualche sgambetto.

Lo dico con serenità, senza alcun rancore, quasi conl’approccio ormai distaccato dello storico che intenderaccontare alcuni fatti, in un paese dalla memoria cor-tissima.

È noto a tutti che Maurizio Ricci, dopo le precedentisconfitte elettorali, abbia interpretato il suo ruolo, deltutto legittimamente, come quello dell’oppositore. L’hosostenuto apertamente nella sua prima competizionecontro Muscio (poiché non condividevo la decisionedi tenere un terzo mandato, dopo aver modificato lostatuto), ma non ho poi condiviso questa sua imposta-zione, a mio parere impropria nel mondo universitario,quasi che un Senato Accademico o un Consiglio di Am-ministrazione siano equiparabili al Parlamento o ad unConsiglio Comunale. Per questo le nostre strade si sonoseparate. Poi ci siamo confrontati e sono stato eletto.

In questi anni ci siamo spesso divisi ed anche scon-trati su decisioni importanti. Mettendo da parte gli attiquasi quotidiani, mi limito a ricordare solo pochi casiemblematici che hanno visto accese contrapposizioniin momenti difficili e decisivi per l’Università. Proprioagli esordi del mio mandato, dopo l’adozione del Co-dice Etico, per certi aspetti più imposto a parte dellacomunità che condiviso (non a caso da anni si discuteva

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una bozza senza mai giungere ad un esito) e la deci-sione impopolare di chiudere tutte le sedi decentratenel territorio, vissi anche l’esperienza della bocciaturadel bilancio di previsione e dell’esercizio provvisorio.Non mancarono in quei giorni tentativi occulti di for-zare la mano per provocare le mie dimissioni. I nodierano costituiti dai primi tagli ministeriali al Fondo diFunzionamento Ordinario, ai quali volli far fronte im-mediatamente avviando una politica di assoluto rigoredei conti e di lotta agli sprechi e ai privilegi che ci hagarantito in questi anni di evitare il dissesto, che hacolpito non poche Università (cosa che avrebbe rap-presentato un trauma difficilmente superabile perun’Università giovanissima come la nostra, non ancoraconsolidata): si trattava di ridurre dolorosamente il nu-mero dei precari per ridimensionare un eccessivo costodel personale, divenuto insostenibile per il nostro bi-lancio (la nostra Università aveva il più alto rapportod’Italia tra amministrativi e docenti), e al tempo stessodi effettuare i notevoli investimenti, anche con il ricorsoad un mutuo e ad una procedura di autofinanziamento,per la costruzione della nuova sede di Medicina, se-condo un progetto avviato già dal precedente Rettore.Se non avessimo affrontato il peso di questo investi-mento, la nuova sede di Medicina, ormai quasi prontae di prossima inaugurazione, non sarebbe stata costruitae di conseguenza, grazie ai ribassi d’asta, non avremmopotuto disporre delle risorse necessarie per ristrutturareanche le due strutture nel frattempo ottenute gratuita-

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mente dalla Regione e destinate ad Economia; una so-luzione, questa, che, finalmente, consentirà anche allastessa Giurisprudenza di disporre dell’intera sede del-l’ex Tribunale. Dunque un investimento che sta per ga-rantire finalmente la soluzione dei problemi degli spaziper ben quattro Dipartimenti. Se a questo si aggiungel’ulteriore straordinario risultato di poter rendicontaretali spese sia per un PON sia per i fondi FAS, con il re-cupero al bilancio di oltre 8 milioni di euro (5 dei qualilascio in eredità al prossimo Rettore), si comprendebene il rilievo di tali iniziative condotte a buon fine,ma sempre con la ferrea opposizione di alcuni.

Quel bilancio non passò, infatti, con il voto contrariodei docenti di Giurisprudenza e dei rappresentati deglistudenti e degli amministrativi, un blocco di opposi-zione che si è rinnovato anche in altre occasioni. Adesempio quando si è trattato di affrontare la difficile eancora una volta impopolare revisione della tassazionestudentesca, chiedendo un sacrifico agli studenti e alleloro famiglie, che ha previsto, però, anche l’introdu-zione di innovativi criteri di perequazione per meritoe reddito e di serrati controlli antievasione della Guar-dia di Finanza. La media delle tasse a Foggia era di ap-pena € 373 mentre ora è di € 560, ancora decisamentepiù bassa non solo rispetto alla media italiana di circa€ 1.000, ma anche a quella di € 650 delle Università delSud. È stata una decisione che ha consentito di recupe-rare risorse assolutamente necessarie, addirittura perpagare gli stipendi del personale (portando da 3,2 a ol-

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tre 7 milioni queste entrate), pur conservando una delletassazioni più basse d’Italia, com’è giusto in un difficilecontesto socio-economico. Oppure, in occasione dellarecente riorganizzazione dell’Ateneo e, in particolare,nel caso del tentativo di dar vita ad un anomalo Dipar-timento che sarebbe stato costituito da parti di Agrariae di Economia, in conflitto con i rispettivi dipartimenti,senza un reale credibile progetto scientifico-culturale:una iniziativa assurda che avrebbe avuto come unicoesito la rottura e, forse, la crisi di due importanti realtàdidattiche e scientifiche, con gravi danni anche per glistudenti. O, ancora, più recentemente, quando si è trat-tato di procedere all’assunzione di un gruppo di docentirisultati idonei in concorsi banditi dalla nostra Univer-sità fin dal 2008 e svolti nel 2010: i limiti normativi in-trodotti successivamente hanno impedito queste as-sunzioni, che stiamo effettuando progressivamente.Finora siamo riusciti ad assumere undici su sedici ido-nei tra professori ordinari ed associati e a programmarenei prossimi mesi – anche grazie ad uno specifico con-tributo regionale – l’assunzione di altri quattro ordinari.Ad essi si aggiungono altri sei professori associati dellanostra Università vincitori in concorsi per professoreordinario banditi da altre Università, la cui assunzionerisulta ancor più problematica. Se, al contrario, comeproponeva anche il prof. Ricci, avessimo effettuato l’as-sunzione di tutti, in contrasto con le norme vigenti (ri-cordo che la nostra Università è ben al di sopra del li-mite dell’80% fissato per legge tra entrate e spese per il

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personale ed ha anzi rapporto peggiore per questo pa-rametro tra tutte le Università italiane), avremmo subitopesanti penalizzazioni che avrebbero forse messo a re-pentaglio la stessa sopravvivenza dell’Università.

Cosa succederà ora? Ci dovremo attendere riduzionedelle tasse, l’immediata presa di servizio di tutti gli ido-nei, nuove assunzioni e promozioni di carriera, incentivial personale, consistenti fondi per la ricerca e la didattica?Io non credo proprio, se non altro perché le difficoltàpersistono ed anzi si vanno accentuando. I tagli finan-ziari continuano, le norme di controllo della spesa sonoancor più stringenti (non a caso ho voluto un magistratodella Procura contabile come Presidente del Collegiodei Revisori dei Conti), i sistemi ministeriali di valuta-zione e di accreditamento sono sempre più rigorosi (perquesto da quattro anni il nostro Nucleo di Valutazioneè composto da specialisti ed è presieduto da uno deimassimi esperti, ora nominato coordinatore dei nucleidi tutte le Università italiane). Ma attendo con curiositàdi vedere quali soluzioni saranno proposte e con qualirisorse e con quali strumenti normativi si farà fronteagli impegni assunti. Ma è facile prevedere che le tante,troppe, promesse fatte non potranno essere rispettate. Echissà se la tanto invocata coesione sarà sufficiente aplacare le inevitabili delusioni e i malcontenti che po-trebbero manifestarsi. Con una differenza: non ci sarànessuno (e certamente non sarà chi scrive) a sollecitarli.

Vedo che ora c’è anche chi inneggia addirittura alla‘liberazione’! Non mi meravigliano la gioia e le spe-

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ranze soprattutto di chi in questi anni ha perso privilegie rendite di posizione e si illude di un ritorno a certepratiche di un passato che credo pochissimi rimpian-gano. Ma ritengo – o almeno spero – che anche costororestino presto delusi.

Certo, per molti aspetti si colgono i segni di un ri-torno al passato, della fine di quella che alcuni hannoconsiderato, forse a ragione, ‘un’anomalia’.

Lascio un’Università non solo in buona salute neiconti ma anche con un patrimonio strutturale decisa-mente più consistente, un’Università che non solo haresistito alle difficoltà ma è anche cresciuta, ma soprat-tutto un’Università dotata di una grande credibilità (av-vertita forse più all’esterno ed anche a livello nazionalee internazionale, che al suo interno): una credibilità chenon è stata mai scalfita, nemmeno minimamente, né daun’indagine della magistratura o anche solo da controlliper presunti illeciti o da denunce per vantaggi personalio favoritismi, né da un solo articolo di stampa con datioggettivi negativi. Chi legge i giornali sa bene, invece,quanto discredito abbia colpito in questi anni moltealtre realtà, anche universitarie, con denunce di cattivagestione amministrativa, di buchi di bilancio o rischi didissesto, di clientelismo e nepotismo.

È un patrimonio importante di credibilità che mi au-guro possa essere conservato ed accresciuto, per il benedella nostra Università, spero finalmente con una realecoesione, ora da tutti invocata, alla quale continuerò adare serenamente e fattivamente il mio contributo.

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ARCHEOLOGIA, IL RUOLO SOCIALE E CULTURALE

In questo e in prossimi interventi, mi occuperò dialcune questioni che mi vedono impegnato a livellonazionale in un dibattito sulla situazione attuale e sulleprospettive della mia disciplina, l’archeologia, e più ingenerale dell’intero settore dei beni culturali: la forma-zione e l’insegnamento universitario, il ruolo e l’orga-nizzazione del Ministero per i Beni e le Attività Cultu-rali, le professioni e il futuro dei giovani, la funzionedell’archeologia e dei beni culturali nella società attuale.Sono temi ai quali sono interessato da sempre e chenon ho abbandonato nemmeno in questi ultimi anni,nonostante il mio impegno prevalente nel governodell’Università di Foggia – a breve avrò certamente piùtempo e possibilità di occuparmene –, operando nelleconsulte universitarie e nella Società degli ArcheologiMedievisti Italiani e nel Consiglio Superiore per i BeniCulturali e Paesaggistici. Sono stati alcuni dei temi postianche al centro della mia candidatura al Senato e chesperavo di poter portare in Parlamento.

Nel mondo universitario sono attivi da sempre orga-

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nismi di rappresentanza e coordinamento dei docentidi un determinato settore disciplinare, in alcuni casi de-nominati collegi, in altre consulte. Nel campo delle di-scipline archeologiche sono attualmente attive quattroConsulte universitarie, una per la Preistoria e Protostoria,una per l’Archeologia Classica (la più numerosa), unaper la Topografia, una, infine, per le Archeologie po-stclassiche. Alcune di queste sono nate più recentemente,per gemmazione da quella di Archeologia Classica, peraffermare specificità e favorire aggregazioni più omo-genee, anche alla luce di una modifica dei settori scien-tifico-disciplinari effettuata una decina di anni fa.

Recentemente mi sono fatto promotore di un’inizia-tiva di rassemblement delle attuali consulte, per darvita ad un nuovo organismo di rappresentanza, unitarioe plurale, proponendo un appello, sottoscritto da oltreottanta docenti di numerose Università italiane e affe-renti a diversi settori disciplinari archeologici, che quiripropongo in parte.

L’archeologia ha conosciuto negli ultimi decenni unprocesso di profondo rinnovamento, tanto nei metodiquanto negli obiettivi. Contestualmente a questo pro-cesso – certamente non unilineare e non privo di osta-coli, contrapposizioni ed errori – si è andata affermandouna maggiore consapevolezza di un nuovo ruolo cul-turale e sociale della nostra disciplina, anche se c’è an-cora molto da fare per conquistare una maggiore con-siderazione sociale della ‘utilità’ dei nostri studi nellasocietà italiana.

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Nell’ambito delle discipline archeologiche si sonoandati formando nel tempo settori specialistici, compe-tenze raffinate, scuole guidate da autorevoli maestri,nicchie di alto prestigio internazionale, anche se i pro-cessi in atto nell’Università italiana stanno mettendo arischio la loro stessa sopravvivenza. La necessaria e giu-sta consapevolezza della ricchezza e qualità delle nostretradizioni di studi non deve impedire, però, di guardareavanti e di progettare nuovi orizzonti. Appaiono, pe-raltro, del tutto superate e anacronistiche le rigide divi-sioni settoriali, fondate su scansioni cronologiche o te-matiche, a fronte della creazione e affermazione, nellateoria e nella prassi, di ambiti comuni rappresentati nonsolo dalle metodologie della ricerca e dalle tecnologie,ma anche e soprattutto dallo sviluppo di approcci fon-dati sulla multidisciplinarità (ben oltre i confini dellenostre stesse discipline), sulla multifattorialità, sulla dia-cronia nelle loro dimensioni specialistiche e al tempostesso contestuali e territoriali. Non si tratta, infatti, dinegare l’utilità degli specialismi, tutt’altro, ma di evitareil rischio denunciato da più parti che, anche nel nostroambito, l’iperspecializzazione e la tecnicizzazione fa-voriscano la perdita proprio di quella di autorevolezzasociale, politica e culturale, con i risultati che ogni giornodi più sono sotto gli occhi di tutti.

In tale contesto di profondi e rapidi cambiamenti,che riguardano sia la formazione e la ricerca, sia gliambiti della tutela, della valorizzazione e della comu-nicazione, credo sia necessario, oltre che opportuno,

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dar vita a spazi comuni di confronto, di analisi e diprogettazione, tra tutti gli archeologi operanti nelleUniversità, andando oltre e sviluppando ulteriormentel’esperienza delle attuali Consulte settoriali, che hannosvolto una funzione importante di aggregazione, in al-cuni casi promuovendo l’incontro di settori in prece-denza separati, se non addirittura in conflitto. Le attualiConsulte universitarie archeologiche, peraltro, non sonosocietà scientifiche, che abbiano per oggetto sociale losviluppo degli studi su un determinato tema o periodostorico, ma aggregazioni di docenti interessati a difen-dere e valorizzare il ruolo delle discipline archeologichenell’Università. Com’è ben noto a tutti, i problemi ri-guardanti le nostre discipline non sono esclusivi di unospecifico settore disciplinare, ma sono comuni a tutti:penso, solo a titolo di esempio, all’organizzazione delladidattica e della ricerca nei dipartimenti, ai laboratori,ai nuovi corsi di dottorato, ai finanziamenti per i pro-getti di ricerca, alle concessioni di scavo e in generaleai rapporti con il MiBAC, all’archeologia preventiva,alla figura professionale dell’archeologo, al futuro dellaScuola di Archeologia di Atene, ecc.

Più volte, recentemente, le varie Consulte si sonomobilitate insieme, si sono date forme di coordinamentoe di azione comune, con risultati certamente positivi. Ègiunto forse il momento per effettuare un ulteriorepasso in avanti, con un po’ di coraggio e in tempi ab-bastanza rapidi, visti i continui veloci cambiamenti – enon sempre in meglio – della situazione universitaria

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italiana. I temi e i problemi da affrontare sono, infatti,sempre più comuni, non riguardano e non possono ri-guardare l’archeologia preistorica diversamente dal-l’archeologia classica, dall’etruscologia, dalle archeologiepostclassiche, dalla topografia antica. La scommessariguarda, semmai, la difesa e lo sviluppo dell’archeologiatout court e non certo, in maniera ottusamente corpora-tiva, di questo o quel settore specialistico, in una fasein cui pare prevalere una visione tecnocratica dell’uni-versità ed è l’intero comparto delle scienze umane adessere sotto tiro, come dimostra una serie di interventidi natura politica e finanziaria: dalla sempre maggiorescarsità di finanziamenti alla quasi totale esclusionedai principali progetti europei, dalla spinta semprepiù forte alla ricerca di finanziamenti nel settore privato,alla definizione dei criteri preposti alla valutazionecon l’imposizione di sistemi bibliometrici e di parametritratti dalle scienze dure.

Una Consulta altro non è che un organismo demo-craticamente funzionante che ha il compito di rappre-sentare al di fuori del nostro ambito esigenze, idee,proposte sentite e discusse innanzitutto fra di noi. UnaConsulta deve rappresentarci in Parlamento e nelle suecommissioni,  presso il Governo, e in particolare alMIUR e al MiBAC e ai suoi diversi organi, come adesempio il CUN o il Consiglio Superiore per i BCP;deve portare la nostra voce al Parlamento e alla Com-missione europea, alla Conferenza delle regioni, al-l’ANCI, presso i più importanti organi della stampa e

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della comunicazione digitale. Deve cioè fare un’operadi sensibilizzazione e di pressione, esercitando in modotrasparente e colto  la nostra autorevolezza (se c’è) làdove si decidono cose fondamentali per noi e non soloper noi.

Una Consulta unitaria non toglie nulla al dibattitointerno, anzi lo ampia. La Consulta potrà sempre arti-colarsi liberamente in sezioni o aggregazioni che af-frontino  in qualunque momento problemi specifici, làove si presentino. È difficile credere, al contrario, aduna articolazione federativa. In questi anni, ogni voltache si è prospettata l’esigenza di una fusione degli at-tuali organismi, si è avanzata la proposta di creare unafederazione. Se ne parla da circa 15 anni e nulla è suc-cesso. Un motivo ci sarà. Un eccesso di pavori diplo-matici ci fa stare fermi. Tutti insieme potremo invecedimostrare che abbiamo ancora tante cose da dire etante proposte colte e concrete da mettere in campo sututti i temi che riguardano l’archeologia. L’importanteè non avere paura e prendere l’iniziativa nelle propriemani.

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A PROPOSITO DEI RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E SOPRINTENDENZE

Convenzione o collaborazione?Il 4 dicembre 2012 una circolare del Direttore Gene-

rale alle Antichità del Ministero per Beni e le AttivitàCulturali, Luigi Malnati, ha nuovamente affrontato iltema delle concessioni di scavo, cioè quel sistema pre-visto dalla legge che consente anche alle Università ead istituti di ricerca italiani e stranieri di condurre scaviin Italia. È un istituto antico, risalente all’Ottocento,quando regolava soprattutto gli interventi di privati eriguardava essenzialmente la scoperta di tesori. Poi èstato via via adattato ai rapporti con le Università: at-tualmente sono circa 300 gli scavi condotti in regimedi concessione. Nell’ultima circolare si prevedeva dinegare la concessione, salvo motivate eccezioni, per gliscavi condotti in terreni di proprietà privata, a causadel progressivo aumento dei costi legati al premio dirinvenimento, previsto dalle norme per i proprietaridei terreni.

Al di là della gravità della questione specifica in sè,questo provvedimento è, a parere di chi scrive, un’en-

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nesima spia del tipo di rapporti esistenti tra il MiBACe le Università italiane. Questa circolare fa seguito aduna serie di misure precedenti, tra cui la circolare del16 marzo 2011, con la quale si introducevano alcune si-gnificative limitazioni, e l’abrogazione del sistema piùflessibile della convenzione. Si tratta, cioè, di misureorganiche ad una certa visione della tutela e della ri-cerca archeologica in Italia e toccano dunque un aspettoculturale, metodologico e politico prima ancora che or-ganizzativo o economico.

Mettendo da parte le questioni specificamente nor-mative e anche quelle di ordine costituzionale, mipreme inserire questo tema, che ha recentemente creatonon poca preoccupazione nel mondo universitario, aseguito della bocciatura di numerose concessioni, nelquadro delle relazioni MiBAC-Università.

Premetto che non sottovaluto affatto la gravità delproblema economico, indicato ora quale causa princi-pale per la bocciatura delle concessioni di scavo alleUniversità nel caso di indagini condotte in terreni diproprietà privata: dalla Direzione Generale hanno resonoto che, a fronte di uno stanziamento di soli € 23.000per i premi di rinvenimento nel 2012, ci sarebbe bisognodi oltre 4,5 milioni per far fronte alle richieste pervenute.

Si tratta di un dato inconfutabile, che non può essereignorato. Ma mi permetto di dubitare che il problemaeconomico dei premi di rinvenimento sia esclusiva-mente posto dagli scavi universitari, che rappresentanonotoriamente una percentuale minima rispetto all’in-

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sieme degli scavi archeologici eseguiti in Italia. Ognunodi noi conosce, infatti, decine di scavi condotti dalleSoprintendenze in proprietà private sia per attività pre-ventive e per esigenze propriamente di tutela, sia ancheper vere e proprie attività di ricerca. Inoltre, pur vo-lendo limitare i possibili costi, sarebbe stato opportunoevitare un blocco generalizzato, verificando le situazionispecifiche e valutando casi particolari, come gli scavieseguiti in proprietà private di enti ecclesiastici, asso-ciazioni, fondazioni, che mai in passato hanno fatto ri-chiesta del premio di rinvenimento.

Anche la soluzione successivamente proposta, a se-guito delle proteste del mondo universitario ed anchedi un certo rilievo mediatico assunto dal problema,consistente nell’attribuire alle Università il carico delpremio di rinvenimento, costituisce una soluzione soloapparente (anche se non pochi colleghi si sono imme-diatamente tranquillizzati, ritenendo ormai risolto ilproblema). Perché: a) il costo grava pur sempre sul bi-lancio statale, sia pur a carico dei bilanci delle Univer-sità (che sono – è il caso di ricordarlo, perché pare chespesso questo dettaglio sia spesso dimenticato – partidello stesso Stato); b) diventerà sempre più difficileprogrammare uno scavo universitario ed elaborare unpiano delle spese autorizzato dai Consigli dei Diparti-menti e dai Consigli di Amministrazione, a causa del-l’imprevedibile costo per il premio di rinvenimento.Per la prima volta nella storia dell’archeologia sarà con-

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siderata una iattura la scoperta di oggetti di pregio, diun tesoretto di monete, di una scultura!

Conosco il problema anche per esperienza perso-nale, sperimentata già prima delle recenti disposizioni:ho diretto, infatti, per un decennio gli scavi nella cittàantica di Herdonia in Puglia, un sito pluristratificato ab-bandonato, posto in terreni di proprietà privata; primadi me, per quasi un trentennio, gli scavi erano stati di-retti da Joseph Mertens. A partire dal 2000, nel pienodi un ampio progetto di scavi di una grande missioneitalo-belga, le concessioni non sono più state più rin-novate, poiché – questa era la motivazione – i proprie-tari chiedevano l’erogazione del premio di rinveni-mento, con un grande dispendio di energie e di lavoroper la Soprintendenza oltre che di cospicue risorse fi-nanziarie. Un problema reale, dunque, che non potevaessere ignorato. Bisognerebbe, però, considerare anchealtri aspetti quali: a) la sospensione (formalmente finoall’acquisizione dell’area al patrimonio pubblico) diuna delle poche ricerche scientifiche sistematiche plu-riennali condotte in una città abbandonata; b) la finedella serie di edizioni degli scavi, composta finora daben 11 volumi oltre a numerosissimi articoli, monogra-fie, convegni; c) il venir meno di uno dei più grandicampi scuola di archeologia d’Europa; d) infine, l’ab-bandono totale dell’area, che fino ad allora, a cura dellemissioni universitarie belga e italiana, era stata tenutapulita, manutenuta ed anche dotata di un minimo disupporti didattici per la visita. L’area archeologica, pe-

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raltro, è tuttora in proprietà privata. Non sono da con-siderare anche questi come ‘costi’ pubblici, in terminidi danno alla ricerca, alla formazione, alla conserva-zione e fruizione del patrimonio? Con le norme attuali,gli scavi di Herdonia (come tanti altri in Italia) non sa-rebbero mai stati eseguiti e il nostro livello di cono-scenze sulla Daunia preromana, romana e medievalesarebbe oggi irrimediabilmente più povero. Oppure,troveremmo oggi su quell’area un quartiere residenzialeo dei capannoni. Rischiando di dire una banalità, ri-cordo che la conoscenza è la prima tappa, imprescin-dibile, della tutela.

Il rifiuto delle concessioni per gli scavi in terreni diproprietà privata comporta una serie di ricadute, checerco rapidamente di schematizzare. Innanzitutto, silimita l’attività di ricerca, che risulta condizionata nongià dal tipo di sito prescelto, sulla base di precise do-mande storiche, ma dalla natura giuridica del sitostesso. Come si può pensare che gli scavi possano esserecondotti solo in aree demaniali o all’interno di parchiarcheologici, che rappresentano notoriamente un nu-mero piccolissimo rispetto alle migliaia di siti archeo-logici presenti in Italia? Anche sotto questo profilo, gliarcheologi universitari costituiscono forse l’unica cate-goria di studiosi pubblici la cui ricerca è così fortementecondizionata, limitata o addirittura impedita dai vincolidi una concessione.

Inoltre, si condiziona l’attività formativa, che – èbene sottolinearlo – ormai include organicamente nei

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curricula archeologici le attività sul campo. È questol’effetto di un profondo cambiamento dell’idea stessadi archeologia, oggi non più immaginabile senzal’aspetto sperimentale del lavoro appreso su uno scavoo in un laboratorio. Ormai non c’è più – e per fortuna –una sola Università che non preveda l’inserimento for-male delle attività di scavo nei piani di studio e neicontratti formativi con gli studenti, a volte anche conl’erogazione di un numero significativo di crediti. Al-cuni decenni orsono gli scavi universitari in Italia sicontavano sulle dita di una mano e la partecipazionedegli studenti riguardava numeri ridottissimi, mentreoggi centinaia di allievi sono coinvolti in attività sulcampo di varia natura. Pensare che questo tipo di for-mazione possa o debba essere svolta solo nelle énclavesdei parchi archeologici significa limitare, o almeno for-temente condizionare, il curriculum di formazione ar-cheologica. Una delle critiche, che spesso i colleghidelle Soprintendenze ed anche, ora, gli archeologi pro-fessionisti, che sempre più numerosi operano in Italia,rivolgono – a mio parere, in alcuni casi, a ragione – allaformazione archeologica universitaria, riguarda proprioquel clima ‘sereno’ e ‘tranquillo’, con tempi rilassati eprocedure raffinate tipiche di uno scavo universitario.La critica è, certamente, ingenerosa ed ingiusta (cantierinei quali ci sia la necessaria tranquillità per capire comeoperare correttamente sono indispensabili anche perprepararsi ad affrontare in futuro situazioni di emer-genza), ma sottolinea il rischio di un’eccessiva separa-

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zione tra uno stile di ricerca universitaria e la ‘dura re-altà’ della professione dell’archeologo: i cantieri di scavoprofessionale sono di tutt’altra natura, caratterizzatispesso da tempi strettissimi e stressanti, da difficili con-dizioni operative tipiche dell’archeologia preventiva,dei cantieri edili o delle grandi opere, tra rigide normedi sicurezza, problemi logistici, attenzione agli aspetticontrattuali ed economici. Ebbene, la soluzione per evi-tare questa separazione dovrebbe prevedere un coin-volgimento sempre maggiore delle Università anchein questo tipo di operazioni, non già la loro emargina-zione in ‘aree protette’. Non si riflette forse abbastanzasul ruolo svolto dall’Università per garantire una for-mazione qualificata e adeguata ai tempi degli stessifunzionari del MiBAC oltre che dei liberi professionisti.Anche per questo motivo servirebbero politiche capacidi avvicinare ed integrare le tre componenti dell’ar-cheologia moderna: Soprintendenze, Università e pro-fessionisti. Limitare, al contrario, l’attività universitariasul campo non può non avere ripercussioni negativeper la stessa creazione di figure professionali con com-petenze adeguate alle nuove sfide del mondo del la-voro, tanto nel caso dei futuri funzionari delle Soprin-tendenze quanto in quello degli archeologi impegnatinelle varie attività svolte per conto delle stesse Soprin-tendenze.

Il tema del premio di rinvenimento è, però, solo unaspetto, e non il più rilevante, della questione politico-culturale della ‘concessione di scavo’, una procedura

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prevista dalle norme vigenti, che anche nella denomi-nazione conserva un sapore ottocentesco e che negliultimi anni si è andata sempre più appesantendo dalpunto di vista burocratico-procedurale, tanto da somi-gliare più alle vicende kafkiane narrate da Andrea Ca-milleri nel suo La concessione del telefono che a una pro-cedura valutativa di ordine tecnico-scientifico. Unaprocedura dal carattere fortemente limitativo che è stataspesso estesa in maniera impropria anche ad altri tipidi ricerca archeologica sul campo, ad esempio le rico-gnizioni di superficie, come, non a caso, rileva lo stessoDirettore Generale nella sua circolare del dicembre2012. Di questo passo, non possiamo escludere il rischioche si preveda in futuro il rilascio di concessioni ancheper le attività diagnostiche geofisiche o per le prospe-zioni aeree!

Condivido la necessità di effettuare controlli severie di limitare o bloccare le attività nel caso di gravi ina-dempienze, come nel caso di scavi universitari rimastiinediti, privi delle relazioni e di documentazioni ade-guate. Ebbene, non si autorizzino questi scavi univer-sitari, ma non si penalizzi l’intero sistema in manieraindiscriminata. Del resto, problemi analoghi riguardanoanche gli scavi condotti dalle Soprintendenze: la mon-tagna di inedito costituisce un vero dramma dell’ar-cheologia italiana, mentre per centinaia di scavi non sidispone, negli archivi delle stesse Soprintendenze, diuna pianta o di una scheda e spesso si impedisce ad unricercatore di prendere visione di materiali o dati di

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scavi inediti da decenni: non mi sembra che queste si-tuazioni abbiano mai impedito ad alcuni di continuarea condurre attività sul campo. Quanto alle Università,sarebbe auspicabile l’adozione di una sorta di codicedi comportamento, con precisi obblighi in relazionealla corretta esecuzione degli interventi, alla rapidapubblicazione scientifica e divulgativa, al ripristino delterreno dopo lo scavo e ad interventi di conservazionee/o di valorizzazione.

L’articolo 88 del D.Lgs. 42/2004 riserva esclusiva-mente al Ministero (MiBAC) «le ricerche archeologichee, in genere, le opere per il ritrovamento delle cose …in qualunque parte del territorio nazionale», mentre,significativamente, il precedente articolo 85 del D.Lgs.490/1999 attribuiva questa competenza allo ‘Stato’.Con un emblematico passo indietro nel tempo, le normedel 2004 hanno riproposto quanto prevedeva la leggeBottai (art. 43, L. 1089/1939) che assegnava al «Ministroper l’educazione nazionale» la «facoltà di eseguire ri-cerche archeologiche». In tale ritorno all’esclusività mi-nisteriale, al posto di una visione globale e più articolatadello Stato, si nasconde, a mio parere, molto più diquanto possa apparire a prima vista. Non solo, infatti,si ripropone una visione alquanto arcaica della ricercaarcheologica, quasi coincidente con «le opere per il ri-trovamento delle cose», che speravamo definitivamentesuperata, ma soprattutto – ed è questo ciò che mag-giormente conta – si ratifica una netta separazione trail Ministero per i Beni Culturali e le Università, limi-

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tando oggettivamente, come si è detto, la ricerca scien-tifica e la formazione, con legittimi dubbi di incostitu-zionalità.

In realtà, bisognerebbe uscire definitivamente dauna logica di contrapposizione e avviarsi finalmente,tutti insieme, verso una visione di sistema statale inte-grato. Per questo ribadisco che il problema reale non è(soltanto) economico ed organizzativo quanto meto-dologico, culturale e politico. Ritengo, infatti, che seoggi, per effetto di una sorta di miracolo, fossero di-sponibili ingenti risorse, i problemi reali della ricerca,della tutela e della valorizzazione del patrimonio ar-cheologico non sarebbero risolti, come non lo eranoquando, anche in un recente passato, le risorse eranocertamente maggiori di quelle attuali.

Bisognerebbe avere la capacità di innovare, gua-rendo dalla sindrome del torcicollo, che porta molti aguardare (rimpiangendolo) solo al passato e impediscedi cercare soluzioni condivise e innovative per il futuro.

Contro la settorialità e per la globalità

Come ho già detto, la questione delle concessioni discavo andrebbe inquadrata nel contesto più generaledel MiBAC e dei rapporti con l’Università.

L’archeologia si è andata rinnovando radicalmentenell’ultimo mezzo secolo, ha modificato i suoi metodie i suoi obiettivi: dall’antico come luogo privilegiatodel passato all’intero arco di tempo dell’esperienza

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umana, dal vecchio continente all’intero pianeta, dagliaspetti culturali a quelli (anche) ambientali, dall’evo-luzione storica alla prospettiva (anche) antropologica,dallo studio della forma a quello della materia, dal pri-vilegio per l’arte a quello (onnicomprensivo) per i pro-dotti del lavoro. Si va sempre più affermando un’ar-cheologia realmente globale, che privilegia l’impiegointegrato di una moltitudine di approcci, di fonti e distrumenti di indagine diversi e si avvale dell’apportodi una pluralità di discipline umanistiche e scientifiche,di tecniche e tecnologie innovative. Si tratta, cioè, dipassare da una ‘archeologia statica’ e settoriale ad una«archeologia dinamica che cerca di definire l’evoluzione degliambienti socioculturali nella diacronia» secondo una defi-nizione di G.P. Brogiolo. Contestualmente all’innova-zione metodologica, si è andato affermando un nuovoruolo culturale e sociale: non a caso si va sviluppandoanche in Italia l’archeologia pubblica.

A fronte del profondo processo di rinnovamentodell’archeologia in relazione alle fasi della ricerca, dalladiagnostica allo scavo stratigrafico e all’archeologia deipaesaggi, alle applicazioni delle scienze e delle tecno-logie innovative, si registra un ritardo culturale e orga-nizzativo nel sistema di tutela, definito agli inizi delsecolo scorso e sostanzialmente legato ancora ad unaconcezione ottocentesca, caratterizzata da un’imposta-zione antiquaria e accademica. Gli sconvolgimenti le-gislativi e organizzativi degli ultimi decenni hanno resoquesta struttura ancor più farraginosa ed elefantiaca,

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senza, però, mai mettere in discussione la sostanza, lefinalità e gli esiti della tutela. I rischi di tale situazionesono assai gravi: oltre alla perdita di interi insiemi didati, un danno ancor più rilevante consiste nella pro-gressiva perdita di un ruolo nella società, nell’incapacitàdi coinvolgimento di ampi settori della popolazione inun’azione condivisa di salvaguardia e valorizzazionedi un bene comune, nell’affermazione di una conce-zione esclusivamente turistica ed economicistica deibeni culturali (pur non essendo affatto da sottovalutareil loro apporto in termini di sviluppo anche economico),nell’identificazione della tutela solo con un’iniziativadi tipo repressivo e poliziesco, avvertita come fastidiosae inutile, anche perché resa spesso inefficace a causadell’inefficienza del sistema.

La risposta a questi problemi non può più consisteresemplicemente nell’arroccamento e nella difesa dellasituazione esistente o addirittura in un irrealistico eanacronistico ritorno al passato o tradursi nella meradenuncia (peraltro giusta e necessaria) delle sempremaggiori difficoltà in cui operano le Soprintendenze,prive di mezzi e di personale adeguati ai compiti asse-gnati.

Chi pone fortemente, come lo scrivente, il problemadi un ripensamento profondo del sistema della tutelanon condivide affatto certi atteggiamenti strumental-mente ostili al Ministero, tipici di certi ambienti, ma alcontrario propone una battaglia nel senso dell’innova-zione, fatta per il rilancio di strutture e attività ormai

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irrimediabilmente in crisi, con un sincero sostegno alleSoprintendenze e ai colleghi che in quelle strutture tramille difficoltà operano. Negare la crisi, questa sì che èuna posizione che porterà inevitabilmente alla disso-luzione, prima o poi, del sistema. Troppo spesso si hal’impressione di intravvedere nell’atteggiamento diconservazione dello status quo di tanti colleghi l’imma-gine di un soldato messo a guardia di un bidone dibenzina: un bidone, però, ormai vuoto. Un soldato,che, impegnato in battaglie contro presunti nemiciesterni, non si rende conto che in realtà il tarlo sta ope-rando all’interno del sistema della tutela.

Nel Ministero, e in particolare nelle sue articolazioniperiferiche, ai problemi legati alle ridotte risorse, alloscarso personale, sempre più anziano, al limitatissimoturn over, si associa una diffusa sensazione di impo-tenza e di frustrazione, che spesso si traduce in arroc-camento, in difesa di rendite di posizione, in contrap-posizioni contro altre componenti dello stesso Stato,con le quali, al contrario, oggi più che mai sarebbe ne-cessaria, anzi obbligata, un’alleanza.

L’affermazione del fondamentale e insostituibileruolo pubblico della tutela non può, infatti, non tradursiin un radicale riesame del significato stesso della tutelae nella progettazione di nuove soluzioni adeguate aitempi. Come ha sottolineato D. Manacorda, «se il passatoè di tutti, il problema si sposta sulle forme in cui metteretutti in condizione di possederlo, cioè di conoscerlo: è dunqueun problema politico». La perdita di solidarietà, di soste-

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gno, di attenzione, non solo da parte del ceto politico,ma anche, cosa più importante, da parte della societàin cui operiamo, rischia di accelerare l’inesorabile di-sgregazione, a cui da tempo assistiamo, del sistemadella tutela.

Nell’opera di tutela e valorizzazione, come in quelladi ricerca, andrebbe abbandonata definitivamente unaconcezione ‘puntiforme’, limitata al singolo sito o ma-nufatto, cioè quella visione ‘filatelica’ dei beni culturaliche finisce per considerare i singoli ‘beni’ come franco-bolli, estendendo l’azione ad interi contesti territoriali.La nuova parola d’ordine deve essere, quindi, globalità:e, prima di tutto, globalità di approccio, di fonti, distrumenti, di competenze, di sensibilità. Salvatore Settisinsiste da tempo sulla vera peculiarità dei beni culturaliitaliani, cioè la presenza diffusa, il continuum di beni,grandi e piccoli, nelle città, nelle campagne, lungo lecoste, nelle acque, che contrasta con l’idea, finora pre-valente, della tutela, che nella prassi finisce per frantu-mare proprio quel continuum.

Come ha più volte sottolineato Riccardo Francovich,bisogna esser consapevoli che «la tutela non è l’eserciziodi un’azione asettica e oggettiva, ma l’opzione operata sullabase di scelte che cambiano nel tempo e nella qualità dellaformazione di chi la esercita; … è ovvio che più soggetti, piùsensibilità e ‘saperi’ nuovi saranno inclusi nei processi deci-sionali, maggiori prospettive esisteranno per chi intende con-tribuire alla soluzione dei problemi della salvaguardia e dellavalorizzazione del patrimonio». Basti pensare all’enorme

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dilatazione dei campi di applicazione dell’archeologiadalla Preistoria più remota all’età moderna e contem-poranea, all’estensione del concetto stesso di reperto atutti gli oggetti fino alle soglie della contemporaneità,ben oltre gli ormai tradizionali confini della stessa etàmedievale, all’attenzione ora riservata non solo ai ma-nufatti ma anche agli ecofatti e all’ambiente. Solo ilcoinvolgimento di più soggetti e competenze potrebbeaprire maggiori prospettive per la salvaguardia e la va-lorizzazione del patrimonio.

Andrebbero pertanto ripensati il ruolo e la strutturadel Ministero per i Beni e le Attività Culturali, riportatoall’originaria fisionomia tecnico-scientifica, superandol’attuale conflitto di funzioni e di competenze tra centroe periferia e la confusione di ruoli tra Soprintendenze(settoriali e territoriali), Direzioni Regionali (uniche eterritoriali) e Direzioni Generali (settoriali e nazionali).

È improprio, infatti, concentrarsi su un’alternativatra centralismo e decentramento, mentre dovremmopreoccuparci di trasformare le strutture della tutela daapparati corporativi e autoreferenziali in strutture in-clusive, capaci di coordinare, nell’interesse generale, leattività di studio, di salvaguardia e di valorizzazionedel patrimonio culturale.

Servirebbero un centro agile, forte ed autorevole,con compiti di indirizzo, coordinamento e rigido con-trollo, garante di una politica di tutela organica sull’in-tero territorio nazionale, e unità operative perifericheuniche e non più settoriali. Strutture periferiche fondate

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su reali e strette collaborazioni, a livello locale, tra tuttele componenti del sistema pubblico. Collaborazioni nonpiù legate esclusivamente ai momentanei buoni rap-porti tra il singolo ricercatore e il Soprintendente o ilfunzionario di zona, ma inserite in un sistema organico.

Si potrebbe dar vita anche a unità operative mistedelle Soprintendenze, delle Università, delle Regioni edegli Enti locali, veri e propri ‘policlinici dell’archeolo-gia’ (secondo una felice definizione proposta in varieoccasioni da Andrea Carandini) o, meglio, ‘policlinicidei beni culturali e del paesaggio’ (secondo una pro-posta spesso avanzata da chi scrive), aperti all’innova-zione metodologica e tecnologica. È fin troppo evidenteche la definizione di ‘policlinico’ è solo esemplificativae quasi provocatoria, anche nella consapevolezza cheessa non è sempre legata, in ambito sanitario, ad un’ideadi efficienza. Gli strumenti diagnostici tipici delle mo-derne discipline dei beni culturali e dei paesaggi, daltelerilevamento alle prospezioni geofisiche, dalle ap-plicazioni scientifiche in campo bioarcheologico e geo-archeologico all’archeometria e al restauro, dalla rico-gnizione sistematica allo scavo, dalle nuove tecnichedi rilievo, documentazione e comunicazione ai sistemiinformativi territoriali, potrebbero offrire un contributostraordinario. Solo così si potrebbe attuare una più ef-ficace opera di tutela e valorizzazione diffusa, attentaai contesti territoriali, ai centri storici e ai paesaggi stra-tificati, collegandola strettamente alla ricerca, abban-donando vecchie rendite di posizione, separando la ge-

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stione dal controllo (ancora oggi nelle stesse mani), esoprattutto avviando politiche ‘inclusive’ e non esclu-sive e ottusamente centraliste e superando definitiva-mente quel conflitto che oggi contrappone Soprinten-denze, Università ed Enti locali, mettendo in comunestrutture, competenze, professionalità.

Innovare per valorizzare una gloriosa tradizione

L’Italia ha un glorioso e riconosciuto primato nelcampo degli studi e della tutela del patrimonio cultu-rale; un primato che stiamo progressivamente depau-perando. La forza, la qualità e la ricchezza di tale tra-dizione non devono costituire, però, un impedimentonella capacità di guardare al futuro. Da anni, invece,siamo bloccati all’interno di un sistema stanco, esausto,incapace di esprimere quella vitalità che pure possiedeancora, insieme a straordinarie competenze e profes-sionalità. Posizioni contrapposte si ostacolano vicen-devolmente, ancorate a certezze inossidabili, che nonconsentono di vedere la ruggine che sta corrodendodall’interno il sistema.

Non è più accettabile una visione che separa pezzidi un patrimonio unitario, le architetture e le opered’arte dalle stratificazioni poste al disotto, le strutturemurarie dalle pitture o dalle sculture, i mosaici daglispazi di cui erano parte, i monumenti dalle strade, lecittà dal territorio rurale. Per questo ritengo che sareb-bero più efficaci strutture periferiche capaci di affrontare

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il tema del patrimonio culturale e paesaggistico conuna visione olistica, superando la concezione settorialeche frammenta un insieme organico in distinzioni ditipo disciplinare – queste sì accademiche – quali ‘benearcheologico’ o ‘bene architettonico’ o ‘bene artistico’,che poco ci dicono sulla reale natura dei beni culturali.Dovremmo al contrario organizzare una tutela inno-vativa capace di superare la separazione tra categoriedi beni, coinvolgere più competenze in équipes miste,abbandonare assurde e anacronistiche divisioni crono-logiche, che si traducono a volte anche in conflitti traSoprintendenze settoriali e/o tra queste e studiosi im-pegnati in attività di ricerca: sono testimone degli scon-tri, alcuni anni fa (segnati anche da continue sostituzionidi serrature) tra una Soprintendenza ai beni architetto-nici che si occupava del restauro di un battistero pa-leocristiano ben conservato in elevato, effettuando an-che scavi all’interno del monumento, e quella ai beniarcheologici che conduceva scavi nell’area circostantedove è stata individuata la cattedrale paleocristiana.Insieme al battistero, la chiesa era ovviamente parteintegrante dello stesso complesso sacro, peraltro svi-luppatosi su quartieri di età romana e necropoli prero-mane e interessato da forme di rioccupazione e riusoin età medievale e moderna: un caso assai consueto inItalia. Un collega mi ha raccontato tempo fa dell’assurdarichiesta della Soprintendenza ai beni artistici di estra-polare dai sacchetti delle varie unità stratigrafiche diuno scavo da lui condotto i materiali di età moderna,

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perché di propria competenza. E in una recente riunionedel Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesag-gistici, del quale faccio parte, abbiamo esaminato il ri-corso di un comune che contestava l’opposto pareresull’interesse culturale di un edificio storico di sua pro-prietà, considerato privo di interesse dalla Soprinten-denza per i beni archeologici e di notevole valore daquella per i beni architettonici, con inevitabili confu-sioni, conflitti, perdite di tempo e di risorse. Ma gliesempi potrebbero essere innumerevoli.

L’elemento comune, il tessuto connettivo, il filo chelega tutti gli elementi del patrimonio culturale è il pae-saggio, che va, pertanto, posto al centro dell’azione ditutela, con le sue stratificazioni, le sue architetture, isuoi arredi e corredi d’ogni tempo, gli uni indissolu-bilmente legati agli altri. Dovremmo finalmente, cioè,considerare globalmente l’insieme delle opere del-l’uomo e della natura, così come si sono storicamentestratificate nello spazio e nel tempo, con una visioneglobale, diacronica e contestuale. Un approccio che do-vrebbe coniugarsi strettamente con la pianificazioneurbanistica e territoriale.

Un’analoga innovazione dovrebbe, ovviamente, ri-guardare anche il mondo della formazione, conside-rando le Università non più il luogo nel quale si for-mano professionalità improbabili nel campo dei beniculturali, ma il luogo nel quale, in stretta collaborazionecon le Soprintendenze (esattamente come avviene incampo medico nelle Aziende Ospedaliere Universita-

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rie), i giovani possano confrontarsi direttamente con lediverse realtà del patrimonio culturale, misurandosicon problemi concreti, come fanno i medici in forma-zione operando nei policlinici. Le Università dovreb-bero saper rendere più omogenei a livello nazionale ipercorsi formativi, eliminare l’eccesso di frammenta-zione e di duplicazione di corsi di studio di primo e se-condo livello e delle Scuole di Specializzazione, darvita a corsi interateneo di maggiore qualità. Un progettointeressante potrebbe riguardare la creazione di uncorso quinquennale a ciclo unico in Beni Culturali, condiversi indirizzi (che superi l’attuale sistema 3+2, par-ticolarmente inadeguato in questo campo), da elaborarein stretta collaborazione tra MIUR e MiBAC.

Uno Stato forte e maturo dovrebbe saper manifestarela sua autorevolezza anche nella consapevole cessionedi potere, separando la gestione dal coordinamento/controllo/valutazione, superando, cioè, l’assurda con-cezione ‘proprietaria’, oggi prevalente. Troppo spessosi registrano, infatti, situazioni di oggettivo conflitto diinteresse tra gestione e controllo e, in alcuni casi estremi,anche anomali e poco trasparenti rapporti con le im-prese che finanziano i lavori e le società di ricerca ar-cheologica e/o i singoli archeologi professionisti im-pegnati nelle ricerche archeologiche, spesso posti inuna posizione di oggettiva subalternità, se non di veroe proprio ricatto. Andrebbero, al contrario, realizzatiprocessi realmente inclusivi che favoriscano processidi sistematica collaborazione con il mondo universitario

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e della ricerca, di partecipazione attiva della cittadi-nanza, di coinvolgimento dell’associazionismo, di fon-dazioni di partecipazione, certamente con le necessarieforme di sostegno, indirizzo e monitoraggio.

Ancora. Andrebbe istituita un’agenzia indipendenteper la valutazione della qualità della tutela dei beniculturali e paesaggistici, capace di indicare parametri,standard qualitativi, protocolli, di premiare e incenti-vare le buone prassi, di valorizzare l’ottimo lavoro ditutela e di ricerca svolto da numerosi funzionari e,quando necessario, di censurare, sulla base di dati certie di valutazioni rigorose, pratiche e operazioni di bassoprofilo.

Infine, uno Stato libero, aperto, europeo, dovrebbesaper garantire e favorire l’accesso ai dati e la loro liberacircolazione, contro una concezione proprietaria cheancora oggi impedisce assurdamente, nel rispetto dileggi anacronistiche nell’età del web, dell’open accesse degli open data, anche la libera riproduzione dei beniculturali pubblici.

Concludendo queste note, che non hanno alcunapretesa di indicare soluzioni univoche, ma che inten-dono esclusivamente proporre alcune riflessioni e sug-gerire qualche spunto propositivo, mi auguro chepossa svilupparsi presto un confronto ampio, libero,costruttivo.

Ci sono ampi margini per introdurre importanti in-novazioni positive anche utilizzando le norme vigenti.Si tratta di innovazioni che non richiedono investimenti

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(che pure sarebbero necessari, in maniera adeguata,per rilanciare la conoscenza, la tutela e la valorizzazionedel patrimonio culturale e paesaggistico) e, pur essendopertinenti alla sfera culturale e teorica, potrebbero avereimmediate ricadute nella gestione del patrimonio enella formazione di chi sarà domani chiamato a gestirlo.

È un’impresa non facile, impegnativa, faticosa, per-ché richiede il coraggio della politica e la capacità crea-tiva dei tecnici, necessita di generosità e di voglia di ri-mettersi in gioco, scuote strutture organizzative quasisecolari, anelastiche ed anchilosate, sconvolge il quietovivere burocratico e si oppone all’inerzia di chi intendeconservare posizioni di rendita.

Ma è anche un’impresa esaltante, oltre che necessariaed improcrastinabile, che richiede l’apporto attivo ditutti.

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Questo testo è stato pubblicato in un dossier in «Post Classical Archaeo-logies», 3, 2013, con contributi anche di A.M. Ardovino, G.P. Brogiolo,L. Malnati, R. Zucca, ai quali si rinvia per un quadro complessivo deitemi affrontati.

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INDICE

INTRODUZIONE 7

IL FUTURO APPARTIENE ALLE CITTÀ BELLE 13

VI DICO IO COSA MANCA AGLI OSPEDALI RIUNITI 23

PERCHÉ NON POSSIAMO NON SENTIRCI PUGLIESI 31

VALENTINI E IL CORAGGIO DEL CAMBIAMENTO NEL NUOVO SUD 39

CLASSE DIRIGENTE, COME EVITARE DI SCEGLIERE IL PEGGIO 45

IL VALORE (ANCHE) CULTURALE DEL PATRIMONIO CULTURALE 53

LA TRASPARENZA PRIMA DI TUTTO 59

PERCHÉ IL LOGO DELL’UNIVERSITÀ DI FOGGIA È UNA COSA SERIA 65

LE BATTAGLIE CHE OGGI AVREBBE COMBATTUTO DI VITTORIO 73

STO CON VENDOLA CONTRO FURBIZIE E ITALICO OPPORTUNISMO 79

LA MARCIA DI SABATO PER RITORNARE A SPERARE 87

PRIMI IN ITALIA ABBIAMO VINTO IL PREMIO GUBBIO 2012 93

IL PIACERE DEL DONO E UN SANO RISPARMIO, CIOÈ UN LIBRO 103

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I MIEI AUGURI ‘DEMOCRATICI’ PER LA FESTA DEL NATALE 109

LE COSE POSITIVE DELL’ANNO CHE VA VIA 115

CARO MONTI L’UNIVERSITÀ DI FOGGIA NON FALLIRÀ 121

PIERO ANGELA E LA CREDIBILITÀ DELL’UNIVERSITÀ DI FOGGIA 127

BENI CULTURALI, LA RICCHEZZA NEGLETTA DEL BELPAESE 135

L’ASCENSORE SOCIALE FERMO AL PIANO TERRA 141

LE VERITÀ TERRIBILI DEL CARCERE DI FOGGIA 149

DIRITTO ALLO STUDIO, IL DIKTAT DEL MINISTRO PROFUMO 155

QUELLO CHE HO VISTO IN CAMPAGNA ELETTORALE 163

LA SINISTRA CHE NON SA PARLARE DI COSE POPOLARI 171

IL ROGO DI BAGNOLI E LA NECESSITÀ DI RIPARTIRE DALLA CULTURA 177

ELEZIONI E NUOVE POVERTÀ 183

LE PAROLE DELLA BOLDRINI APPLICATE A FOGGIA 189

L’AGGRESSIVITÀ E I VELENI CHE DOMINANO I RAPPORTI SOCIALI 195

I MUSEI, CHE NOIA! 199

TUTTE LE FALSITÀ DETTE SULLE MIE SCELTE DI RETTORE 207

LA MIA UNIVERSITÀ ‘GRANAIO’ 217

ELOGIO DELLA COESIONE 225

ARCHEOLOGIA, IL RUOLO SOCIALE E CULTURALE 233

A PROPOSITO DEI RAPPORTI TRA UNIVERSITÀ E SOPRINTENDENZE 239

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Finito di stampare nel mese di giugno 2013da GLOBAL PRINT SRL per conto di EDIPUGLIA SRL, Bari-S.Spirito

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