Date post: | 19-Feb-2019 |
Category: |
Documents |
Upload: | truongcong |
View: | 216 times |
Download: | 0 times |
1
L’effetto del titolo di studio sui comportamenti
riproduttivi di uomini e donne in Italia
di
Stefano Cantalini
Paper for the Espanet Conference
“Sfide alla cittadinanza e trasformazione dei corsi di vita: precarietà, invecchiamento e migrazioni”
Università degli Studi di Torino, Torino, 18 - 20 Settembre 2014
Università degli Studi di Milano [email protected]
2
Abstract
L’istruzione è considerata uno dei fattori principali alla base dei livelli di fertilità e dei
comportamenti riproduttivi. L’obiettivo di questo lavoro è quello di evidenziare
analogie e differenze tra uomini e donne nell’impatto del livello di istruzione sulla
transizione al primo figlio in Italia. La fonte di dati utilizzata è l’Indagine Longitudinale
sulle Famiglie Italiane (Ilfi) e vengono stimati modelli di Event History Analysis. I
risultati mostrano un effetto negativo del titolo di studio sulle dinamiche di transizione
al primo figlio sia per gli uomini che per le donne. L’istruzione può così essere vista
come un indicatore di capitale umano, nonostante si tratti di una questione legata ai
costi opportunità, come teorizzato dalla New Home Economics, per le donne, e a
differenze nei meccanismi salariali e di carriera lungo il corso di vita per gli uomini.
Vengono infine proposti alcuni risultati preliminari relativi all’associazione tra settore
di studio frequentato alla scuola superiore o all’università e nascita del primo figlio: essi
mostrano che le donne effettuano la transizione al primo figlio più velocemente se
laureate in un settore di studio umanistico-relazionale, diversamente dagli uomini, che
accelerano le decisioni di fertilità se laureati in percorsi di tipo tecnico-scientifico.
1. Introduzione
L’istruzione è da sempre considerata uno dei fattori principali alla base dei livelli di
fertilità, dei processi di formazione della famiglia e delle dinamiche di transizione alla
nascita del primo figlio. La letteratura socio-demografica si è concentrata sullo studio
della relazione tra istruzione e fertilità facendo particolare riferimento alle donne. Esse,
infatti, sono ancora viste come le prime responsabili delle attività domestiche e della
cura dei figli, a differenza degli uomini, specializzati nel lavoro al di fuori della
famiglia. Inoltre, è stato ipotizzato che la crescente partecipazione femminile al sistema
educativo e, di conseguenza, i più alti livelli di istruzione conseguiti dalle donne e la
loro maggiore indipendenza economica siano tra le più importanti determinanti dei
cambiamenti nelle dinamiche di fertilità degli ultimi anni, come il calo dei tassi di
3
fecondità e il continuo rinvio della prima gravidanza, conosciuto nella letteratura
internazionale come postponement syndrome (Marini 1984, Blossfeld e Huinink 1991,
Kravdal 1994, Billari et al. 2006).
Al contrario, sono pochi gli studi che si focalizzano sulla relazione tra istruzione e
fertilità dal punto di vista maschile. Shryock et al. (1976) hanno individuato tre ragioni
storiche e “pratiche” che spiegano perché gli studiosi sono soliti trascurare la fertilità
maschile. Innanzitutto, il periodo riproduttivo degli uomini non è ben definito come
quello delle donne. In secondo luogo, gli uomini sono meno facilmente rintracciabili per
un’intervista, poiché hanno maggiori probabilità di trovarsi fuori casa per lavoro; infine,
in caso di divorzio o gravidanze al di fuori del matrimonio, è alle madri che più di
frequente vengono affidati i figli. Ciononostante, ci sono altrettante riflessioni che
legittimano lo studio della fertilità maschile. Primo, la validità attuale dei fattori sociali
sottolineati da Shryock et al. (1976) può essere chiaramente criticata: al giorno d’oggi,
infatti, il numero di donne attive nel mercato del lavoro si sta avvicinando a quello degli
uomini; allo stesso modo, la custodia legale dei figli alle madri in caso di divorzio non
deve essere data per scontata, ma è un prodotto di circostanze storiche; infine, le donne
non sposate possono avere difficoltà a fornire informazioni attendibili agli intervistatori
riguardo le preferenze di fertilità dei propri compagni (Goldscheider e Kaufman 1996).
Secondo, sebbene processi culturali e socio-economici abbiano portato a una maggiore
indipendenza femminile e il ruolo maschile all’interno della famiglia sia diminuito in
termini di impegno (Goldscheider e Kaufman 1996, Hakim 2003), le scelte di fertilità
possono ancora essere considerate come il risultato di “negoziazioni” tra i partner
(Bernardi 1999, Martín García 2009a). Terzo, è stato mostrato che il crescente rinvio
nella formazione della famiglia non è legato soltanto a una maggiore attività delle donne
nel mercato del lavoro, ma anche a un peggioramento della condizione economica degli
uomini, che si trovano sempre più ad affrontare problemi di stabilità lavorativa
(Oppenheimer et al. 1997).
L’obiettivo di questo articolo è quello di trovare differenze e analogie tra uomini e
donne nell’impatto dell’istruzione sulla fertilità. In particolare ci si concentra
sull’effetto del livello di istruzione sulla transizione al primo figlio in Italia, ma viene
fornito anche qualche spunto di riflessione relativo al ruolo del settore di studio
frequentato alle scuole superiori o all’università.
4
Lo studio di questo tema in un paese come l’Italia è interessante per diverse ragioni.
Innanzitutto, a differenza di paesi come la Spagna (Martín García 2009a) o i Paesi Bassi
(Liefbroer e Corijn 1999), non ci sono studi che si focalizzano sull’effetto
dell’istruzione sui comportamenti di fertilità degli uomini né che effettuano
comparazioni di genere relativamente a questo argomento1.
Inoltre, come tutti i paesi dell’Europa meridionale, l’Italia è caratterizzata da livelli
di fertilità molto bassi, definiti in letteratura lowest-low fertility levels (Billari 2004).
Questa non è una costante della situazione italiana, che fino a qualche decennio fa
presentava livelli di fecondità considerevoli, grazie in particolare all’elevato tasso di
fertilità nelle regioni meridionali del paese (Panichella in press). A partire dagli anni
Settanta, però, a causa del crescente rinvio nella formazione della famiglia e nella prima
gravidanza, dell’aumento di nuclei familiari senza figli e, soprattutto, della riduzione del
numero di coppie con più di due figli, la fertilità è fortemente diminuita. Se il tasso di
fertilità delle donne italiane nate nella coorte degli anni Trenta era di 2.16 figli per
donna, esso è sceso fino a 1.57 per quelle nate negli anni Sessanta, nettamente al di
sotto del livello di sostituzione (2.1 figli per donna) (González e Jurado-Guerrero 2006,
Dalla Zuanna e Impicciatore 2010).
In aggiunta, la forma istituzionale di famiglia che predomina in Italia fa ancora
riferimento al modello familista tradizionale, caratterizzato da un alto grado di divisione
di genere all’interno del nucleo familiare. Infatti, le donne sono ancora considerate
come le responsabili delle attività domestiche, mentre gli uomini hanno maggiori
probabilità di lavorare nel mercato del lavoro, come male breadwinners (Bernardi 1999,
Liefbroer e Corijn 1999, McDonald 2000, Tanturri e Mencarini 2008).
Inoltre, l’Italia è caratterizzata da un regime di welfare cosiddetto mediterraneo
(Regini 2009), che ostacola la formazione della famiglia e le decisioni riproduttive e
intensifica le differenze di genere, dal momento che non favorisce la conciliazione tra
attività domestiche e lavorative, diversamente dai sistemi liberali e social-democratici.
Infatti, una porzione rilevante di donne, in particolare coloro che lavorano in modo
1 Un’interessante ricerca che confronta la fertilità maschile e femminile è proposta da Bernardi e Nazio
(2005). Ciononostante, gli autori si sono concentrati in generale sull’influenza della globalizzazione sulla
transizione alla vita adulta. Un secondo studio che ha analizzato i comportamenti riproduttivi degli
uomini in Italia è stato scritto da Guetto e Panichella (2013). Anche in questo caso, però, i due autori non
hanno fatto preciso riferimento all’associazione tra istruzione e fertilità, ma hanno studiato la transizione
al primo figlio a seconda di diversi tipi di migrazione territoriale interna.
5
autonomo oppure in piccole imprese o “in nero” o, ancora, che hanno contratti di
collaborazione occasionale, non è protetta dalla legislazione che garantisce la
compatibilità tra famiglia e lavoro (Bernardi 1999). Il welfare state italiano, inoltre,
offre scarso supporto alle famiglie in termini di servizi sociali, soprattutto per quanto
riguarda asili e scuole materne e agevolazioni nelle spese di affitto per le giovani coppie
(Bernardi 1999, González e Jurado-Guerrero 2006).
Infine, la condizione di uomini e donne nel mercato del lavoro italiano è seriamente
peggiorata negli ultimi decenni, a causa delle pressioni economiche legate alla crisi del
fordismo e al passaggio all’economia dei servizi. Aumentano i problemi di ingresso nel
mercato del lavoro e i tassi di disoccupazione e diminuisce la stabilità lavorativa.
Nonostante la transizione scuola-lavoro in Italia sia stata sempre definita “lenta ma
buona” (Bernardi et al. 2004: p. 23) per il ritardo dell’ingresso nel mondo del lavoro
affiancato, però, da un’elevata sicurezza lavorativa (Scherer 2005), al giorno d’oggi
un’ampia porzione di giovani è occupata con contratti “atipici” (Esping-Andersen e
Regini 2000, Ballarino e Bratti 2009). Inoltre, la de-regolazione parziale e selettiva del
mercato del lavoro ha contribuito al rinvio della transizione al primo figlio, in
particolare nei paesi dell’Europa mediterranea (Esping-Andersen e Regini 2000,
Bernardi e Nazio 2005).
L’articolo è organizzato in cinque paragrafi. Questa breve introduzione è seguita da
un paragrafo teorico centrato sui fattori alla base dell’associazione tra istruzione e
comportamenti riproduttivi, alla luce dei quali vengono delineate alcune ipotesi di
ricerca. Il terzo paragrafo presenta dati, variabili e metodo utilizzati per l’analisi
empirica, mentre i risultati sono mostrati nel quarto. Infine, l’ultima parte riassume
brevemente le principali evidenze empiriche e fornisce alcune considerazioni
conclusive.
2. La relazione tra istruzione e comportamenti riproduttivi: framework
teorico
La letteratura economica e socio-demografica ha evidenziato il ruolo di diversi
meccanismi per spiegare l’associazione tra livello di istruzione e dinamiche familiari e
6
di fertilità. Questo lavoro si focalizza su tre spiegazioni alla base di questa complessa
associazione. Innanzitutto, si fa riferimento all’approccio della New Home Economics e
alla teoria del vantaggio comparativo, secondo cui il titolo di studio ha effetti opposti
sulla fertilità: negativo per le donne e positivo per gli uomini. In seguito, ci si concentra
su una spiegazione connessa ai ruoli di genere e alle aspettative sociali ad essi legati,
che predice un’influenza positiva dell’istruzione sulle scelte riproduttive delle donne.
Infine, si richiama un’interpretazione che sottolinea il ruolo dei meccanismi di carriera
degli uomini e che ipotizza un effetto negativo del titolo di studio sui comportamenti
riproduttivi maschili.
La prima spiegazione della relazione tra istruzione e formazione della famiglia è
stata suggerita da Becker e dalla New Home Economics (Becker 1981). Questo
approccio teorico rappresenta un’estensione della teoria del consumatore elaborata dagli
economisti neoclassici e considera la famiglia come un’unità produttiva con gli obiettivi
di massimizzare l’utilità comune dei suoi membri e di raggiungere il benessere
domestico. La famiglia deve quindi ottimizzare l’allocazione delle sue risorse e decidere
come dividere le attività domestiche e lavorative tra i suoi membri. Confrontando le
produttività marginali di queste diverse attività per marito e moglie risulta che il primo
ha un vantaggio comparativo sulla seconda per quanto riguarda le attività cosiddette di
mercato. Perciò, la scelta ottimale è una divisione di genere del lavoro all’interno del
nucleo familiare: gli uomini si specializzano nelle attività di lavoro, mentre le donne si
specializzano nelle attività domestiche.
A fianco di questo approccio, è importante discutere brevemente quanto la teoria del
capitale umano sostiene relativamente all’associazione tra istruzione e reddito (Becker
1964). Secondo questa teoria, la produttività individuale dipende dagli investimenti in
capitale umano. Uno dei più importanti strumenti per aumentare la produttività è
l’istruzione. Perciò, le decisioni educative possono essere considerate come investimenti
per migliorare la propria produttività, che sarà ricompensata con retribuzioni più elevate
una volta nel mercato del lavoro. Si tratta, quindi, di una connessione meccanica tra
istruzione e reddito: maggiore la prima, maggiore anche il secondo (Ballarino 2006,
Ballarino 2007).
Mettendo insieme queste riflessioni riguardo al titolo di studio come indicatore di
capitale umano e alla divisione di genere nel lavoro come scelta ottimale per il nucleo
7
familiare, Becker evidenzia due meccanismi che regolano la relazione tra livello di
istruzione e formazione della famiglia: l’effetto sostituzione e l’effetto reddito. Secondo
il primo, la formazione della famiglia e, in particolare, la nascita di un figlio implicano
costi opportunità, poiché il tempo speso nel mercato del lavoro e i rendimenti economici
dell’istruzione sono necessariamente inferiori. Dunque, poiché il titolo di studio è
positivamente associato con le prospettive di carriera, chi è più istruito può trovarsi ad
affrontare costi opportunità legati alla nascita di un figlio tanto elevati da spingerlo a
rinviare le scelte di fertilità rispetto a chi ha un livello di istruzione inferiore (Blossfeld
e Huinink 1991, Liefbroer e Corijn 1999). Al contrario, secondo l’effetto reddito gli
individui più istruiti, in quanto meglio retribuiti, hanno maggiori probabilità di far
fronte ai costi della formazione della famiglia e della nascita di un figlio rispetto ai
meno istruiti e, di conseguenza, sono più propensi, nonché più veloci, ad avere figli.
L’applicazione di queste considerazioni alle differenze di genere ha portato Becker e
la New Home Economics a suggerire i seguenti meccanismi. Per le donne, la relazione
tra titolo di studio e formazione della famiglia è dominata dall’effetto sostituzione.
Infatti, dal momento che le donne sono specializzate nelle attività domestiche e di cura
dei figli, le più istruite sarebbero costrette a rinunciare a stipendi più elevati rispetto alle
meno istruite qualora decidessero di ridurre le ore lavorative o abbandonare il mercato
del lavoro per svolgere tali compiti. Per questo, si ipotizza che il livello di istruzione
influisca in maniera negativa sui comportamenti di fertilità femminili. Per gli uomini,
invece, la stessa relazione è regolata dall’effetto reddito. Essi sono infatti specializzati
nelle attività di mercato e quindi il processo di formazione della famiglia non dovrebbe
interferire con il loro ruolo di male breadwinners. Al contrario, coloro che hanno un
titolo di studio più elevato hanno anche redditi più elevati, che permettono loro di
mantenere più facilmente la famiglia. Di conseguenza, le teorie citate ipotizzano che il
titolo di studio abbia un impatto positivo sui comportamenti riproduttivi maschili.
Il secondo fattore alla base della relazione tra istruzione e fertilità fa riferimento ai
ruoli di genere e alle norme sociali a essi legati e suggerisce un diverso meccanismo per
le donne. Secondo le aspettative sociali riguardo ai ruoli femminili, le donne che
frequentano scuole o università hanno meno probabilità di sposarsi e avere figli. I ruoli
di studentessa e madre, infatti, sono in conflitto tra loro: poiché le donne sono
specializzate nelle attività domestiche e di cura dei figli, la conciliazione di queste
8
ultime con lo studio potrebbe non essere facile (Martín García e Baizán 2006). Perciò, il
rinvio della prima gravidanza per le donne con un alto titolo di studio potrebbe essere
dovuto non tanto a una questione di capitale umano e costi opportunità, come suggerito
dalla New Home Economics, quanto a periodi più lunghi nel sistema scolastico, che
implicano un ritardo generale nel processo di transizione alla vita adulta. Se l’iscrizione
a scuola o università è tenuta in considerazione, le donne più istruite che hanno
posticipato la gravidanza per finire gli studi effettuano la transizione al primo figlio
prima delle donne meno istruite. Esse vengono infatti spinte a “velocizzare” le proprie
scelte riproduttive dalla pressione di due fattori (Blossfeld e Huinink 1991, Kravdal
1994, Låppegard e Rønsen 2005). Il primo è biologico e si riferisce al più breve periodo
riproduttivo che caratterizza le donne che finiscono gli studi più tardi: assumendo che le
laureate escano dal sistema educativo a un’età media di 27 anni, esse hanno meno
tempo a disposizione, prima della conclusione del periodo biologico di fecondità, per
concepire un figlio rispetto alle diplomate che hanno completato il percorso scolastico
all’età di 19 anni. Il secondo fa riferimento alle aspettative sociali riguardo ai ruoli
femminili, in particolare alle norme sociali secondo cui la prima gravidanza dovrebbe
collocarsi attorno ai 30 anni2.
La terza e ultima spiegazione della relazione di interesse si focalizza sui diversi
meccanismi di carriera di chi ha diversi livelli di istruzione e può essere presa in
considerazione per interpretare un eventuale effetto negativo del titolo di studio sui
comportamenti riproduttivi degli uomini (Liefbroer e Corijn 1999). Infatti, chi entra nel
mercato del lavoro con un titolo di studio basso segue di solito un pattern retributivo
caratterizzato da un aumento rilevante nel reddito all’inizio della carriera lavorativa e da
una relativa stabilità nel tempo rimanente. Al contrario, l’aumento nei redditi di chi ha
livelli di istruzione elevati è più graduale e cresce in maniera costante lungo la carriera
occupazionale: all’aumentare di età ed esperienza lavorativa, anche le retribuzioni
aumentano, almeno fino a un certo livello. Perciò, per gli uomini laureati la scelta di
formare presto una famiglia non dovrebbe influire sui redditi attuali, ma potrebbe
2 La conflittualità dei ruoli di studente e genitore si potrebbe chiaramente applicare anche agli uomini.
Ciononostante, questo meccanismo non viene approfondito nel presente articolo per due motivi: da una
parte, l’effetto positivo del titolo di studio sui comportamenti riproduttivi maschili a parità di permanenza
nel sistema scolastico andrebbe nella stessa direzione di quanto ipotizzato dall’approccio della New
Home Economics; dall’altra, la pressione delle norme sociali coinvolge in maniera inferiore gli uomini,
soprattutto per quanto riguarda la durata del periodo di fecondità.
9
mettere a rischio le prospettive salariali future, dal momento che non permetterebbe loro
di investire tempo ed energie nel mercato del lavoro o in attività di formazione in grado
di aumentare l’esperienza lavorativa. Oppure, gli uomini laureati potrebbero decidere di
rinviare la paternità per accumulare esperienza e guadagnare i mezzi necessari per
supportare una famiglia. Secondo la prima alternativa, gli uomini non vogliono che le
dinamiche di formazione del nucleo familiare interferiscano con l’accumulazione del
loro capitale umano, utile a raggiungere elevati livelli di reddito in futuro; questo
ragionamento prettamente economico fa un passo avanti rispetto all’approccio della
New Home Economics, poiché considera possibile che la formazione della famiglia e le
attività domestiche coinvolgano anche i mariti. Nella seconda alternativa, invece, gli
uomini desiderano accumulare una certa quantità di capitale umano per essere in grado
di mantenere la moglie e i figli. Nonostante queste differenze, entrambe le
considerazioni predicono un possibile effetto negativo del livello di istruzione maschile
sui processi di formazione della famiglia e di fertilità, almeno all’inizio della carriera
lavorativa.
Le riflessioni effettuate consentono di formulare quattro ipotesi di ricerca relative
alle (possibili) differenze di genere nell’associazione tra livello di istruzione e
transizione al primo figlio in Italia.
Le prime due ipotesi fanno riferimento all’approccio della New Home Economics e
alla teoria del vantaggio comparativo. L’ipotesi effetto sostituzione sostiene che le
donne più istruite effettuano la transizione al primo figlio più tardi rispetto a quelle
meno istruite, poiché devono affrontare costi opportunità più elevati. L’ipotesi effetto
reddito afferma che gli uomini con un alto titolo di studio hanno maggiori probabilità di
diventare padri prima di chi ha livelli di istruzione inferiori, poiché possono fare
affidamento su redditi più elevati che permettono loro di affrontare più facilmente i
costi legati alla formazione della famiglia.
Le due ultime ipotesi suggeriscono effetti opposti a quelli predetti dalla teoria della
New Home Economics, rispettivamente per donne e uomini. L’ipotesi effetto catching-
up predice che una volta completato il percorso di studi, le donne più istruite hanno il
primo figlio più velocemente delle donne meno istruite, a causa della pressione di
norme sociali relative all’età della prima gravidanza e di un più breve periodo di
fecondità. Infine, secondo l’ipotesi meccanismi di carriera, gli uomini con elevati titoli
10
di studio effettuano la transizione al primo figlio più lentamente rispetto a coloro che
hanno livelli di istruzione inferiori, poiché preferiscono investire completamente il loro
tempo e le loro energie nell’accumulare esperienza utile ad aumentare i guadagni futuri
o attendere di avere redditi maggiori che consentono di mantenere più facilmente una
famiglia.
3. Dati, variabili e metodo
La fonte di dati utilizzata per l’analisi empirica è l’Indagine Longitudinale sulle
Famiglie Italiane (Ilfi). Si tratta di uno studio longitudinale costituito da cinque ondate:
la prima, condotta nel 1997, è un’indagine retrospettiva, mentre quelle successive hanno
aggiornato le informazioni di partenza a cadenza biennale fino al 2005. Tale studio ha
coinvolto circa 10,000 individui maggiorenni, con l’obiettivo di ricostruire le loro storie
di vita per quanto riguarda la mobilità geografica, le carriere educative e occupazionali,
il matrimonio e le dinamiche riproduttive. Mettendo insieme le cinque ondate
disponibili, è stata ottenuta una matrice dati mensilizzata costituita da 3,369 uomini e
2,810 donne (N=6,179) nati nel periodo compreso tra il 1931 e il 1980.
La variabile indipendente, definita time-varying poiché può assumere diversi valori
nel corso di vita dell’individuo, fa riferimento al livello di istruzione. Essa è costituita
da tre categorie: fino a licenza media, diploma, laurea o post-laurea. Alcune analisi
aggiuntive utilizzano una tipologia di istruzione che tiene conto anche della sua
dimensione orizzontale. In questo caso la variabile assume le seguenti modalità: fino a
licenza media, diploma umanistico-relazionale (liceo classico, liceo linguistico, liceo
artistico e istituti magistrali), diploma tecnico-scientifico (istituto tecnico commerciale,
istituto tecnico industriale e istituto tecnico per geometri), altro diploma, laurea
umanistico-relazionale (nei seguenti settori universitari: letterario, psicologico,
insegnamento, politico-sociale, giuridico e medico), laurea tecnico-scientifica (nei
seguenti settori universitari: scientifico, economico-statistico, ingegneria e architettura),
altra laurea.
Per tenere in considerazione lo sviluppo sociale ed economico e il processo di
espansione dell’istruzione negli anni, tutti i modelli di regressione controllano per
11
cinque coorti di nascita: 1931-1940, 1941-1950, 1951-1960, 1961-1970, 1971-1980.
Due ulteriori variabili di controllo sono incluse nelle analisi. La prima, costante nel
tempo (time-constant), è la classe sociale di origine, codificata in quattro modalità, a
partire da una variante della classificazione standard proposta da Erikson, Goldthorpe e
Portocarrero (EGP): borghesia (imprenditori, liberi professionisti e dirigenti) e classe
media impiegatizia, piccola borghesia urbana (artigiani, commercianti e piccoli
imprenditori urbani), classe operaia urbana (lavoratori manuali nell’industria e nel
terziario, qualificati e non), classi agricole (piccola borghesia agricola, ossia proprietari
agricoli, e classe operaia agricola, ossia braccianti)3. La seconda, time-varying, fa
riferimento alla zona geografica di residenza ed è costituita da tre modalità: Nord,
Centro, Sud e Isole.
Infine, i modelli controllano per altre tre variabili time-varying. La prima è una
variabile dummy che indica se l’individuo sta ancora frequentando la scuola o
l’università. La seconda fa riferimento alla condizione occupazionale e può assumere tre
categorie: fuori dalle forze lavoro (studenti, casalinghe, pensionati), disoccupato o
lavoratore instabile (occupati con contratti di lavoro “atipici”), lavoratore stabile
(occupati con contratti di lavoro a tempo pieno e indeterminato o lavoratori autonomi).
La terza è una variabile dummy che indica se l’intervistato è sposato e/o convive oppure
si trova in un’altra condizione (celibe, nubile, divorziato, vedovo)4.
Il comportamento riproduttivo studiato fa riferimento alla transizione al primo figlio.
La finestra osservativa comincia al quindicesimo anno di età degli intervistati e si
conclude con la nascita del primo figlio o con il compimento del quarantacinquesimo
anno di età per i casi censurati a destra. La decisione di restringere il campione fino
all’età di 45 anni è legato a due fattori. Innanzitutto, molti studi empirici sulla fertilità
femminile utilizzano questa strategia, poiché per le donne è più difficile avere figli oltre
i 45 anni per ragioni sia biologiche sia culturali. Inoltre, nonostante il periodo
riproduttivo maschile sia formalmente più lungo di quello femminile, è stato mostrato
che anche gli uomini sono meno inclini a diventare padri superata una certa età.
3 La scelta di considerare borghesia e classe media impiegatizia come un’unica categoria risiede nel fatto
che i comportamenti di fertilità non variano in maniera statisticamente significativa a seconda
dell’appartenenza a una di queste due classi. Per lo stesso motivo si è scelto di non separare le due classi
agricole. 4 Seguendo l’esempio di Guetto e Panichella (2013), le convivenze vengono considerate alla stregua di
matrimoni, poiché costituiscono una porzione molto piccola delle unioni incluse nel campione.
12
Le dinamiche di transizione alla nascita del primo figlio sono studiate attraverso
modelli di regressione Cox5. Si tratta di modelli semi-parametrici proporzionali di Event
History Analysis (Blossfeld e Rohwer 1995) che, rispetto ai modelli parametrici, non
presuppongono assunti riguardo la distribuzione degli hazard rates. Per analizzare le
differenze e le analogie tra uomini e donne, tali modelli vengono stimati separatamente
per genere.
4. Risultati empirici
Il grafico 1 mostra le età mediane alla transizione al primo figlio per coorte, genere e
livello di istruzione. Si può innanzitutto notare che, in generale, le donne effettuano
questa transizione a un’età inferiore rispetto agli uomini. Infatti, un quarto delle donne
ha il primo figlio già prima dei 23 anni, la metà di loro entro i 27 e ormai quasi tutte
diventano madri prima di averne compiuti 34. Queste evidenze sono coerenti con la
letteratura socio-demografica che ha mostrato come le norme sociali spingano le donne
a non ritardare troppo la transizione al primo figlio e a effettuarla non tanto più tardi dei
30 anni (Blossfeld e Huinink 1991, Kravdal 1994, Låppegard e Rønsen 2005).
Coerentemente con ciò che accade in Spagna (Martín García 2009b), inoltre, anche in
Italia è possibile che il rinvio prolungato della maternità aumenti il rischio di rimanere
senza figli, come mostrano alcune analisi aggiuntive. Per quanto riguarda gli uomini, un
quarto di loro diventa padre prima dei 27 anni, mentre l’età mediana è di circa 30 anni.
Nonostante essi effettuino la transizione al primo figlio più tardi delle donne, tuttavia
anche per loro il rischio di non avere figli sembra aumentare con il passare degli anni.
[circa qui grafico 1]
Sia per gli uomini che per le donne, comunque, si può osservare un andamento a “U”
o a “campana rovesciata” nelle dinamiche di transizione al primo figlio nel tempo.
5 Per far fronte alle situazioni in cui diversi individui falliscono nello stesso momento (ties) è stato
utilizzato il metodo di Breslow. Inoltre, i modelli sono stati stimati con errori standard robusti alla
potenziale violazione dell’assunto di indipendenza tra le diverse osservazioni corrispondenti a uno stesso
individuo.
13
Infatti, gli individui nati nei primi decenni del XX secolo sono diventati genitori a
un’età relativamente alta, probabilmente perché hanno dovuto far fronte alle difficoltà
economico-sociali legate agli effetti recessivi della grande depressione e alle due guerre
mondiali; coloro che sono nati attorno alla metà del secolo, invece, hanno accelerato i
propri comportamenti riproduttivi, spinti da un periodo particolarmente fiorente, di
sviluppo industriale e modernizzazione, conosciuto in Italia come miracolo (o boom)
economico; infine, le ultime coorti hanno ulteriormente posticipato le proprie scelte di
fertilità, a causa degli effetti dei processi di de-regolazione del mercato del lavoro, da
una parte, e di espansione del sistema educativo, dall’altra (Guetto e Panichella 2013).
È inoltre possibile notare importanti differenze a seconda del livello di istruzione.
Maggiore il titolo di studio, infatti, maggiore l’età mediana al primo figlio sia per gli
uomini che per le donne. Due gruppi emergono chiaramente dal grafico: da una parte,
chi ha un titolo uguale o inferiore alla licenza media effettua la transizione al primo
figlio abbastanza velocemente; dall’altra, i diplomati e i laureati diventano genitori a
un’età maggiore. L’andamento a “U” descritto poco sopra è evidente indipendentemente
dal titolo di studio, ma è interessante osservare come gli individui più istruiti abbiano
cominciato a rinviare i propri comportamenti di fertilità circa un decennio prima dei
meno istruiti. Ciò può essere legato, coerentemente con la tesi della Seconda transizione
demografica (Lesthaeghe 1995) alla crescente diffusione di valori post-materialisti
come l’individualismo e l’autonomia: si può ragionevolmente pensare che questi ultimi
si siano diffusi prima negli strati più istruiti della popolazione e solo successivamente
agli individui meno istruiti, plausibilmente più legati a valori tradizionali, causando così
fenomeni come la dissoluzione della coppia, il rinvio delle decisioni riproduttive e la
generale riduzione della fertilità.
Al di là del momento in cui individui con diversi titoli di studio hanno cominciato a
posticipare i propri comportamenti riproduttivi, tema che meriterebbe analisi più
approfondite, le evidenze relative al legame tra istruzione e postponement syndrome
presentate nel grafico sembrano essere coerenti con entrambi gli approcci suggeriti nella
parte introduttiva di questo lavoro: da una parte, gli uomini rinviano le scelte di fertilità
finché non hanno un certo grado di sicurezza economica e stabilità lavorativa, che negli
ultimi anni è molto difficile da raggiungere a causa di un forte peggioramento delle
condizioni del mercato del lavoro; dall’altra, poiché le donne hanno visto crescere la
14
loro indipendenza economica, esse tardano la prima gravidanza così da non dover
rinunciare a una posizione nel mercato del lavoro che sono finalmente riuscite a
guadagnarsi.
I risultati emersi dal grafico 1 sembrano quindi suggerire che il livello di istruzione
può essere considerato un indicatore di capitale umano sia per gli uomini che per le
donne. Gli uomini con elevati titoli di studio rinviano la transizione al primo figlio
finché non hanno i mezzi economici necessari per affrontarne i costi, così come le
donne più istruite posticipano le scelte di fertilità per i costi indiretti che questi
comportano. Controllando per la coorte di nascita, i modelli Cox dovrebbero rimuovere
l’effetto della crescente indipendenza economica femminile e del deterioramento della
condizione lavorativa degli uomini, mostrando il reale impatto del titolo di studio sulle
dinamiche di transizione alla nascita del primo figlio. Nella tabella 1 vengono presentati
tali modelli per quanto riguarda i comportamenti riproduttivi delle donne.
Il modello 1 stima l’effetto del titolo di studio sulla transizione al primo figlio,
tenendo costante la coorte di nascita. L’effetto non lineare di quest’ultima è coerente
con le analisi descrittive sopra discusse, che hanno mostrato un andamento a “U” nei
processi di fertilità del campione studiato. Infatti, le donne nate nelle coorti centrali
diventano madri più velocemente di quelle nate nei primi e negli ultimi decenni del XX
secolo. Le evidenze descrittive sono confermate anche per quanto riguarda il livello di
istruzione. Avere una laurea o un diploma rispetto a un titolo fino alla licenza media,
infatti, aumenta l’attesa della nascita del primo figlio. Perciò, il modello 1 mostra un
effetto negativo e significativo del titolo di studio delle donne sulle loro dinamiche
riproduttive.
[circa qui tabella 1]
Il modello 2 controlla l’associazione di interesse per alcune caratteristiche ascritte,
come la classe sociale di origine e l’area geografica di residenza. Le donne provenienti
dalla piccola borghesia urbana o dalla classe operaia urbana non hanno comportamenti
riproduttivi significativamente diversi da quelli delle figlie della borghesia o della classe
media impiegatizia. Al contrario, le donne provenienti dalle classi agricole sono
caratterizzate da una più veloce transizione al primo figlio. Questo risultato è coerente
15
con altri studi empirici (i.e. Guetto e Panichella 2013) e mostra che il modello familista
italiano, secondo cui le donne sono le uniche responsabili delle attività domestiche e gli
uomini sono i principali breadwinners, è caratteristico principalmente delle famiglie
agricole cresciute in un contesto rurale. Per quanto riguarda la zona di residenza, il
modello mostra che vivere al Nord diminuisce l’hazard rate legato al primo figlio,
aumentando i tempi di transizione alla fertilità. Anche questa evidenza è coerente con la
letteratura socio-demografica, secondo cui gli alti tassi di fecondità che hanno
caratterizzato l’Italia sino agli anni Sessanta sono stati particolare merito delle famiglie
meridionali (Panichella in press). Anche a parità di caratteristiche ascritte, comunque,
l’impatto del titolo di studio sui processi di fertilità femminili rimane negativo.
Nel modello 3 viene introdotta un’importante variabile di controllo, ossia una
dummy che indica se la donna frequenta ancora la scuola o l’università. Controllando
per questa variabile, si stima la transizione dall’uscita dal sistema scolastico alla nascita
del primo figlio. L’effetto negativo e statisticamente significativo del coefficiente
conferma che frequentare il sistema scolastico diminuisce le probabilità di avere figli,
coerentemente con le evidenze empiriche secondo cui i ruoli di studentessa e madre non
sono facilmente conciliabili. Nonostante l’introduzione di questa variabile, l’effetto
negativo dell’istruzione non scompare, a prova del fatto che le donne più istruite non
effettuano la transizione alla maternità più velocemente di quelle meno istruite una volta
conclusi gli studi.
Nel modello 4 la relazione tra titolo di studio e dinamiche riproduttive femminili
viene stimata anche al netto della condizione occupazionale. Tale variabile ha un effetto
negativo e statisticamente significativo: far parte della popolazione attiva nel mercato
del lavoro aumenta in modo significativo la durata della transizione al primo figlio.
Questo risultato conferma quanto evidenziato nella letteratura socio-demografica,
secondo cui le donne inattive hanno maggiori probabilità di diventare madri presto
(Liefbroer e Corijn 1999, Bernardi e Nazio 2005). Tenere costante la condizione
occupazionale porta a un indebolimento dell’effetto del titolo di studio: il coefficiente
relativo alle donne diplomate aumenta da -0.34 a -0.16 (ossia l’hazard rate passa da
0.71 a 0.85), mentre quello relativo alle laureate perde di significatività statistica.
Infine, il modello 5 controlla l’associazione di interesse anche per una variabile
dummy che indica se la donna è sposata e/o convivente. In questo modo, viene stimata
16
la distanza temporale tra il matrimonio (o la convivenza) e la nascita del primo figlio.
Questa variabile ha un forte effetto positivo e significativo, dal momento che il
matrimonio in Italia è strettamente connesso alla nascita del primo figlio. Inoltre, a
parità di stato civile l’effetto dell’istruzione cambia: il coefficiente relativo al diploma
perde di significatività statistica, mentre quello legato alla laurea diventa positivo e
significativo. Una volta sposate, quindi, le donne più istruite diventano madri più
velocemente di quelle meno istruite. Questo risultato sembra essere coerente con un
effetto catching-up, secondo cui le donne con un titolo di studio elevato hanno il loro
primo figlio immediatamente dopo essersi sposate, a causa di norme sociali e biologiche
che le spingono a velocizzare le dinamiche di transizione alla vita adulta. Aggiungere lo
stato civile come controllo porta a cambiamenti rilevanti anche in altri coefficienti. Ad
esempio, l’effetto della coorte diventa lineare: al diminuire dell’età cresce sempre più
l’attesa tra il matrimonio e la nascita del primo figlio, in maniera forse coerente con i
meccanismi proposti dalla tesi della Seconda transizione demografica. Inoltre, si
rafforza l’effetto della zona geografica di residenza, che nel modello 4 aveva perso
significatività statistica: una volta sposate, le donne centro-settentrionali attendono
molto più tempo il primo figlio rispetto a quelle meridionali. Tale evidenza è attesa,
poiché è plausibile pensare che al Sud sia più diffuso un modello di famiglia
tradizionale, in cui prevale un percorso caratterizzato dal matrimonio in giovane età,
seguito in breve tempo dalla prima gravidanza. Al contrario, si indebolisce, pur
mantenendo la significatività, l’effetto della condizione occupazionale, mentre non si
riscontrano più differenze significative tra le donne dentro e fuori il sistema scolastico.
Riassumendo, questi risultati mostrano un impatto negativo del titolo di studio delle
donne sulla nascita del primo figlio: maggiore il livello di istruzione, più lenta la
transizione alla fertilità. Facendo riferimento all’approccio della New Home Economics,
ciò suggerisce che l’istruzione può essere considerata un indicatore di capitale umano
per le donne. Infatti, le più istruite preferiscono rinviare la prima gravidanza a causa dei
costi opportunità che questa comporta. Ciò è coerente con un’ulteriore evidenza emersa
dal modello, relativa alla minore propensione ad avere figli delle donne attive nel
mercato del lavoro rispetto a quelle inattive. Tuttavia, quando l’associazione di interesse
è controllata per il mese della prima unione, l’effetto del titolo di studio diviene
opposto. Il lasso temporale tra il matrimonio (o la prima convivenza) e la nascita del
17
primo figlio, infatti, è inferiore per le donne laureate o con un titolo superiore. Ciò può
essere legato a un effetto catching-up, secondo cui un periodo riproduttivo più breve e
norme sociali riguardo l’età della prima gravidanza spingono le donne ad accelerare le
proprie scelte riproduttive.
La tabella 2 presenta i modelli di regressione Cox che stimano la transizione al primo
figlio per gli uomini. Le variabili inserite nei modelli sono le stesse discusse nella
tabella 1.
Nel modello 1 l’associazione tra livello di istruzione e comportamenti di fertilità è
controllata solo per coorte di nascita. Come per le donne, l’effetto di questa variabile
rispecchia l’andamento a “campana rovesciata” osservato nell’analisi descrittiva. Per
quanto riguarda l’effetto del titolo di studio, esso è negativo e statisticamente
significativo. Infatti, avere un diploma o un titolo superiore rallenta la transizione al
primo figlio.
[circa qui tabella 2]
Tenendo in considerazione alcune caratteristiche ascritte (modello 2), l’impatto del
livello di istruzione non cambia in maniera rilevante. Tuttavia, è interessante
commentare l’effetto di entrambe le variabili inserite. Riguardo la zona di residenza, gli
uomini che vivono al Centro-nord mostrano una minore propensione ad avere figli
rispetto ai meridionali, come evidenziato anche dalla letteratura socio-demografica (i.e.
Guetto e Panichella 2013). Relativamente alla classe sociale di origine, come per le
donne, provenire dalle classi agricole fa aumentare l’hazard rate, diminuendo i tempi di
transizione al primo figlio.
Il modello 3 stima la distanza tra l’uscita dal sistema scolastico e la nascita del primo
figlio, poiché l’associazione di interesse è controllata per una variabile che indica se
l’individuo è iscritto o meno al sistema scolastico. Il coefficiente negativo e
statisticamente significativo implica che l’istruzione e la famiglia non sono attività poco
conciliabili solo per le donne, ma anche per gli uomini, tradizionalmente non
considerati come i principali responsabili delle attività domestiche. Infatti, il
completamento del percorso di studi è un importante passaggio nella transizione alla
18
vita adulta anche per gli uomini. Inoltre, come per le donne, l’effetto del titolo di studio
non cambia controllando per la frequenza al sistema scolastico.
La condizione occupazionale è una determinante importante dei comportamenti
riproduttivi maschili, come mostra il modello 4. Infatti, far parte della popolazione
attiva e, in particolare, avere un lavoro stabile aumentano le probabilità di avere un
figlio presto. Questo risultato è opposto a quello osservato per le donne, la cui
condizione occupazionale ha un’influenza negativa sulla nascita del primo figlio. Ciò è
legato all’importante ruolo che hanno le risorse economiche nelle scelte di fertilità degli
uomini: essi possono decidere di rinviare la paternità fino a che non hanno raggiunto
una sicurezza economica, garantita ad esempio da un’occupazione stabile, tale da
permettere loro di affrontare i costi legati alla famiglia. Anche a parità di condizione
occupazionale, comunque, l’effetto dell’istruzione non cambia.
Infine, nel modello 5 viene stimato il processo di transizione dalla prima unione
(matrimonio o convivenza) alla nascita del primo figlio, attraverso l’aggiunta di una
variabile dummy che indica se l’intervistato è sposato oppure no. A differenza di ciò
che accade per le donne, il peso di alcuni fattori, come la condizione occupazionale e,
soprattutto, il livello di istruzione, scompare. Ciononostante, è possibile confermare
nuovamente il forte legame tra matrimonio e nascita del primo figlio anche per gli
uomini.
I modelli stimati sul campione di uomini, quindi, suggeriscono la presenza di un
impatto negativo del titolo di studio sulle scelte di fertilità. Come per le donne, il
diploma e la laurea contribuiscono a una più lenta transizione al primo figlio. Inoltre,
una determinante centrale dei comportamenti riproduttivi maschili è la condizione
occupazionale: migliore quest’ultima, prima si diventa padri. Questi risultati possono
apparire contrastanti tra loro, dal momento che una buona condizione nel mercato del
lavoro, come un’occupazione stabile e ben retribuita, dovrebbe essere positivamente
associata a un elevato livello di istruzione. Tuttavia, è possibile che gli uomini più
istruiti decidano di posporre la nascita del primo figlio fino a quando non raggiungono
una sicurezza economica tale da rendere più facile il mantenimento della famiglia.
Oppure, essi possono attendere di accumulare un buon livello di esperienza lavorativa e,
di conseguenza, di reddito, così da poter affrontare i costi legati alla famiglia e ai figli.
In questo modo, il titolo di studio maschile può anch’esso essere visto come un
19
indicatore di capitale umano, ma non nel senso di quanto suggerito dai sostenitori della
New Home Economics, che predicono una connessione meccanica tra istruzione e
reddito senza tenere conto delle differenze nei meccanismi di carriera e nei corsi di vita.
L’impatto dell’istruzione sui comportamenti riproduttivi può nascondere anche
differenze legate al tipo di scuola superiore o università frequentata sia per gli uomini
che per le donne. La tabella 3 mostra alcuni risultati preliminari relativi all’associazione
tra settore di studio e transizione al primo figlio.
[circa qui tabella 3]
Il modello 1 stima la relazione di interesse separatamente per uomini e donne,
tenendo costanti le variabili incluse nel modello 4 presentato nelle tabelle 1 e 2. Il
modello 2, invece, introduce anche una variabile dummy che indica se l’individuo è
sposato oppure no, come nel modello 5 di tabella 1 e 2. Per quanto riguarda le donne, il
modello 1 non mostra particolari differenze a seconda del tipo di scuola o facoltà
frequentata. Tuttavia, quando viene stimata la distanza tra prima unione e nascita del
primo figlio (modello 2), emerge che le donne che si sono laureate in un settore di
studio umanistico-relazionale, come il letterario, lo psicologico o il medico, sono tra le
prime a diventare madri. Questi risultati sembrano corrispondere a quelli emersi in
ricerche su altri paesi, come la Norvegia, la Spagna o la Svezia, secondo cui i percorsi
di studio legati agli aspetti culturali e di cura possono positivamente influenzare le
dinamiche di fertilità per diverse ragioni: innanzitutto, una più facile conciliazione tra i
compiti di cura dei figli e i prevalenti sbocchi occupazionali garantiti da tali studi, come
il settore pubblico e le occupazioni part-time o tipicamente femminili (Låppegard e
Rønsen 2005, Hoem et al. 2006); in secondo luogo, l’impatto dei meccanismi di
socializzazione durante l’infanzia e l’adolescenza, che possono contribuire a sviluppare
orientamenti particolarmente legati alla vita familiare e spingere alla scelta di questi
settori di studio (Martín García e Baizán 2006); infine, il basso contenuto tecnologico
delle competenze trasmesse in questi studi, che non si deteriorano nel caso in cui si
abbandoni temporaneamente il mercato del lavoro per occuparsi delle attività
domestiche (Hoem et al. 2006).
20
Relativamente agli uomini, il modello 1 mostra che coloro che hanno ottenuto il
titolo di studio in una scuola superiore o in una facoltà tipicamente femminile hanno
una minore propensione a diventare padri, mentre chi ha conseguito la laurea in settori
come ingegneria o scienze non ha tempi di transizione al primo figlio statisticamente
diversi da chi ha al massimo la licenza media. Queste evidenze sembrano confermare
quanto osservato da Martín García (2009a) riguardo la Spagna e da Guetto e Panichella
(2011) sull’Italia, secondo cui la dimensione orizzontale dell’istruzione è per gli uomini
un indicatore di capitale umano associato alle opportunità occupazionali che può offrire.
Coloro che hanno seguito percorsi di studio tipicamente maschili possono accelerare i
propri comportamenti riproduttivi perché tali percorsi garantiscono loro migliori
sbocchi occupazionali per mantenere la famiglia, in termini economici e di stabilità
lavorativa, rispetto a settori di tipo umanistico e relazionale. Questo pattern non viene
confermato nel modello 2, probabilmente perché per gli uomini l’istruzione non è
considerata una determinante centrale per spiegare la transizione dal matrimonio (o
convivenza) alla nascita del primo figlio (modello 5, tab. 2).
Nonostante tutto, si tratta tuttavia di risultati preliminari, che necessitano di ulteriori
approfondimenti per poter raggiungere conclusioni rilevanti.
5. Conclusioni
Questo lavoro ha cercato di trovare analogie e differenze tra uomini e donne
nell’impatto del titolo di studio sulla transizione al primo figlio in Italia.
Alcune analisi descrittive hanno sottolineato come le donne effettuino la transizione
studiata a un’età inferiore rispetto agli uomini, mentre per entrambi il ritardare troppo le
scelte di fertilità fa aumentare il rischio di rimanere senza figli. È inoltre comune a
uomini e donne un andamento a “U” nelle dinamiche di transizione al primo figlio nel
tempo, secondo cui i nati nella metà del XX secolo sono diventati genitori più
velocemente rispetto ai nati nei decenni precedenti e successivi, beneficiando del
periodo di sviluppo industriale e modernizzazione definito miracolo economico.
Dai modelli di regressione è emersa una relazione negativa tra livello di istruzione
delle donne e comportamenti riproduttivi, anche a parità di caratteristiche ascritte, come
21
la classe sociale di origine e la zona geografica di residenza, frequenza al sistema
scolastico, condizione occupazionale e coorte di nascita. Tale risultato è coerente con
quanto proposto dall’approccio della New Home Economics e del vantaggio
comparativo, secondo cui le donne più istruite devono affrontare costi indiretti legati
alle attività domestiche e alla cura dei figli più elevati rispetto alle meno istruite, poiché
hanno investito più tempo in istruzione con lo scopo di accumulare capitale umano da
far fruttare nel mercato del lavoro. Perciò, l’ipotesi effetto sostituzione è confermata
empiricamente. Ciononostante, l’analisi della distanza tra matrimonio (o prima
convivenza) e nascita del primo figlio ha mostrato che le donne laureate effettuano la
transizione studiata più velocemente rispetto alle donne con al massimo la licenza
media. Questo risultato fornisce un parziale supporto anche all’ipotesi effetto catching-
up, per la quale esistono norme sociali e biologiche che spingono le donne più istruite
ad accelerare le proprie decisioni di fertilità.
I modelli hanno confermato un effetto negativo dell’istruzione sulla transizione al
primo figlio anche per gli uomini, al netto di diverse variabili di controllo. È possibile
che i più istruiti decidano di rinviare la nascita del primo figlio fino a quando non
trovano un’occupazione che garantisce loro stabilità lavorativa o non accumulano un
livello di esperienza di lavoro e di reddito sufficiente a mantenere la propria famiglia.
Per questo motivo, l’istruzione può essere considerata un indicatore di capitale umano
anche per gli uomini, anche se non nel senso proposto dall’approccio della New Home
Economics, che vede nel rapporto tra titolo di studio e reddito una connessione
meccanica, senza tenere in considerazione le differenze nei corsi di vita degli individui.
Perciò, i dati hanno confermato l’ipotesi meccanismi di carriera, mentre hanno smentito
l’ipotesi effetto reddito.
Questo lavoro ha quindi mostrato che il titolo di studio ha un impatto negativo sui
comportamenti riproduttivi sia femminili che maschili. Per entrambi l’istruzione può
essere vista come un indicatore di capitale umano, ma in modi diversi. Si tratta infatti di
una questione di costi opportunità per le donne, mentre è legata a differenze nei
meccanismi salariali e di carriera durante il corso di vita per gli uomini.
Nella parte finale del paragrafo precedente, sono stati proposti alcuni risultati
preliminari relativi all’effetto del settore di studio sulle dinamiche di transizione al
primo figlio. Si tratta di un interessante e necessario sviluppo del tema che lega
22
istruzione e comportamenti riproduttivi, dal momento che i sistemi educativi non sono
caratterizzati soltanto da una stratificazione di tipo verticale, ossia da percorsi di diversa
lunghezza come la scuola media, il diploma o la laurea, ma anche da una stratificazione
di tipo orizzontale, ossia da percorsi di uguale lunghezza ma diversi contenuti, che al
giorno d’oggi è un importante fattore alla base dei rendimenti dell’istruzione in svariati
ambiti sociali. I risultati ottenuti sembrano confermare quanto già osservato dalla
letteratura in altri paesi come la Spagna, la Norvegia e la Svezia, secondo la quale le
donne effettuano la transizione al primo figlio più velocemente se laureate in un settore
di studio umanistico-relazionale, diversamente dagli uomini, che accelerano le decisioni
di fertilità se laureati in percorsi di tipo tecnico-scientifico. Tali risultati devono però
essere investigati più a fondo, dal momento che l’istruzione può essere considerata
come un concetto multi-dimensionale capace di influenzare le scelte e i comportamenti
riproduttivi in molti modi diversi.
A fianco di un maggiore approfondimento riguardo alla dimensione orizzontale
dell’istruzione, questo lavoro necessita sicuramente di almeno due ulteriori
accorgimenti empirici. Innanzitutto, sarebbe interessante e importante includere nei
modelli di regressione un termine che interagisca le variabili relative al titolo di studio e
alla coorte di nascita. In questo modo si potrebbe osservare con maggiore attenzione
l’andamento dell’associazione tra istruzione e dinamiche di fertilità nel tempo, mostrato
solo in termini descrittivi. In secondo luogo, sarebbe necessario controllare la relazione
di interesse per il livello di istruzione del partner oppure concentrarsi sulla coppia come
unità di analisi, dal momento che le scelte riproduttive si caratterizzano come il risultato
di “negoziazioni” tra i partner.
23
Bibliografia
Ballarino, G. (2006), Stratificazione educativa e stratificazione sociale in Italia: il
rendimento occupazionale del titolo di studio universitario, in G. Ballarino, D.
Checchi (eds.), Sistema scolastico e disuguaglianza sociale. Scelte individuali e
vincoli strutturali, Bologna, il Mulino, pp. 137-179.
Ballarino, G. (2007), Sistemi formativi e mercato del lavoro, in M. Regini (ed.), La
sociologia economica contemporanea, Bari, Laterza, pp. 231-257.
Ballarino, G., Bratti, M. (2009), Field of Study and University Graduates’ Early
Employment Outcomes in Italy during 1995-2004, Labour, 23(3): 421-457.
Becker, G. (1964), Human capital. A Theoretical and Empirical Analysis, with Special
References to Education, New York, National Bureau of Economic Research.
Becker, G. (1981), Treatise on the family, Cambridge, Cambridge University.
Bernardi, F. (1999), Donne fra famiglia e carriera. Strategie di coppia e vincoli sociali,
Milano, Franco Angeli.
Bernardi, F., Gangl, M., Van de Werfhorst, H. G. (2004), The From-School-to-Work
Dynamics. Timing of Work and Quality of Work in Italy, The Netherlands and The
United States, 1980-1998, Working Paper N. 201, CEACS, Fundacion Juan March.
Bernardi, F., Nazio, T. (2005), Globalization and the transition to adulthood in Italy, in
Blossfeld, H.P., Klijzing, E., Mills, M. and Kurz, K. (eds.)., Globalization,
Uncertainty and Youth in Society, London/New York, Routledge, pp. 347-372.
Billari, F. C. (2004), Becoming an Adult in Europe: A Macro(/Micro)-Demographic
Perspective, Demographic Research, SC 3(2): 15-44.
Billari, F. C., Liefbroer, A. C., Philipov, D. (2006), The Postponement of Childbearing
in Europe: Driving Forces and Implications, Vienna Yearbook of Population
Research 2006: 1-17.
Blossfeld, H. P., Huinink, J. (1991), Human Capital Investments or Norms of Role
Transition? How Women’s Schooling and Career Affect the Process of Family
Formation, American Journal of Sociology, 97(1): 143-168.
Dalla Zuanna, G., Impicciatore, R. (2010), Fertility and Education in Contemporary
Northern and Southern Italy, Working Paper n. 2008-2009.
24
Esping-Andersen, G., Regini, M. (2000), Why Deregulate Labour Markets?, Oxford,
Oxford Press.
Goldscheider, F. K., Kaufman, G. (1996), Fertility and Commitment: Bringing Men
Back In, Population and Development Review, 22, Supplement: Fertility in the
United States: New Patterns, New Theories: 87-99.
González, M. J., Jurado-Guerrero, T. (2006), Remaining Childless in Affluent
Economies: a Comparison of France, West Germany, Italy and Spain, 1994-2001,
European Journal of Population, 22(4): 317-352.
Guetto, R., Panichella, N. (2013), Geographical mobility and reproductive choices of
Italian men, European Sociological Review, doi: 10.1093/esr/jcr068.
Hakim, C. (2003), A New Approach to Explaining Fertility Patterns: Preference Theory,
Population and Development Review, 29(3): 349-374.
Hoem, J. H., Neyer, G., Andersson, G. (2006), Education and Childlessness. The
Relationship between Educational Field, Educational Level, and Childlessness
among Swedish Women Born in 1955-59, Demographic Research, 14(15): 331-380.
Kravdal, O. (1994), The Importance of Economic Activity, Economic Potential and
Economic Resources for the Timing of First Births in Norway, Population Studies,
48(2): 249-267.
Låppegard, T., Rønsen, M. (2005), The Multifaceted Impact of Education on Entry into
Motherhood, European Journal of Population, 21: 31-49.
Lesthaeghe, R. (1995), The second demographic transition in Western countries: an
interpretation. In Mason, K. O. and Jensen, A.-M. (eds.), Gender and Family Change
in Industrialized Countries, Oxford, Oxford University Press.
Liefbroer, A. C., Corijn, M. (1999), Who, What, Where, and When? Specifying the
Impact of Educational Attainment and Labour Force Participation on Family
Formation, European Journal of Population, 15: 45-75.
Marini, M. M. (1984), Women’s Educational Attainment and the Timing of Entry into
Parenthood, American Sociological Review, 49(4): 491-511.
Martín García , T., Baizán, P. (2006), The Impact of the Type of Education and of
Educational Enrolment on First Births, European Sociological Review, 22(3): 259-
275.
25
Martín García , T. (2009a), ‘Bring Men Back In’: A Re-examination of the Impact of
Type of Education and Educational Enrolment on First Births in Spain, European
Sociological Review, 25(2): 199-213.
Martín García , T. (2009b), The Effect of Education on Women’s Propensity to Be
Childless in Spain: Does the Field of Education Matter?, Collegio Carlo Alberto
Working Paper n. 114.
McDonald, P. (2000), Gender Equity, Social Institutions and the Future of Fertility,
Journal of Population Research, 17(1): 1-16.
Oppenheimer, V. K., Kalmijn, M., Lim, N. (1997), Men’s Career Development and
Marriage Timing During a Period of Rising Inequality, Demography, 34(3): 311-330.
Panichella, N. (in press), Meridionali al Nord. Migrazioni interne e società italiana dal
dopoguerra ad oggi, Bologna, Il Mulino.
Regini, M. (2009), Ascesa e declino del modello sociale europeo, in L. Sciolla (eds.),
Processi e trasformazioni sociali. La società europea dagli anni Sessanta ad oggi,
Roma-Bari, Laterza, pp. 65-88.
Scherer, S. (2005), Patterns of Labour Market Entry – Long Wait or Career Instability?
An Empirical Comparison of Italy, Great Britain and West Germany, European
Sociological Review, 21(5): 427-440.
Shryock, H. S., Siegel, J. S., Stockwell, E. G. (1976), The Methods and Materials of
Demography, San Diego, Academic Press.
Tanturri, M. L., Mencarini, L. (2008), Childless or Childfree? Paths to Voluntary
Childlessness in Italy, Population and Development Review, 34(1): 51-77.
26
Tabelle e grafici
Grafico 1. Stime Kaplan e Meier dell’età mediana al primo figlio per donne (parte sinistra del grafico) e
uomini (parte destra del grafico), per titolo di studio, coorti di nascita 1931-1980
Fonte: Ilfi (1997; 1999; 2001; 2003; 2005)
21
24
27
30
33
36
39
1931
-194
0
1941
-195
0
1951
-196
0
1961
-197
0
1971
-198
0
coorte
<= Media Diploma
>= Laurea
Età mediana al primo figlio per istruzione (donne)
21
24
27
30
33
36
39
1931
-194
0
1941
-195
0
1951
-196
0
1961
-197
0
1971
-198
0
coorte
<= Media Diploma
>= Laurea
Età mediana al primo figlio per istruzione (uomini)
27
Tabella 1. Transizione al primo figlio per le donne (15-45 anni). Modelli Cox. Coefficienti Beta e livelli
di significatività
Modello 1 Modello 2 Modello 3 Modello 4 Modello 5
Livello di istruzione
[rif. Fino a licenza media]
Diploma -0.42*** -0.39*** -0.34*** -0.16*** 0.07
Laurea o post-laurea -0.26*** -0.22** -0.22** 0.10 0.24**
Coorte [rif. 1931-1940]
1941-1950 0.19** 0.20*** 0.19** 0.28*** 0.00
1951-1960 0.30*** 0.32*** 0.33*** 0.42*** -0.08
1961-1970 -0.11 -0.09 -0.09 0.03 -0.24**
1971-1980 -0.61*** -0.58*** -0.58*** -0.51*** -0.53***
Classe sociale di origine
[rif. Borghesia e classe media impiegatizia]
Piccola borghesia urbana
0.04 0.03 0.06 0.03
Classe operaia urbana
0.10 0.08 0.11 0.00
Classi agricole (PBU + COU)
0.15* 0.14* 0.17* 0.10
Area geografica di residenza
[rif. Sud e Isole]
Centro
-0.02 -0.02 0.05 -0.18**
Nord
-0.11* -0.11* -0.05 -0.33***
Iscritto al sistema scolastico
-0.59*** -0.66*** -0.16
Condizione occupazionale
[rif. Fuori dalle forze lavoro]
Disoccupato o occupato instabile
-1.45*** -0.43***
Occupato stabile
-1.39*** -0.63***
Sposato
4.25***
N. casi 2,810 2,810 2,810 2,810 2,810
N. failures 1,898 1,898 1,898 1,898 1,898
N. osservazioni 317,564 317,564 317,564 317,564 317,564
Log-likelihood -13311.235 -13306.501 -13294.847 -13019.135 -11333.567
***: p<0.01; **: p<0.05; *: p<0.1
Fonte: Ilfi (1997; 1999; 2001; 2003; 2005)
28
Tabella 2. Transizione al primo figlio per gli uomini (15-45 anni). Modelli Cox. Coefficienti Beta e livelli
di significatività
Modello 1 Modello 2 Modello 3 Modello 4 Modello 5
Livello di istruzione
[rif. Fino a licenza media]
Diploma -0.29*** -0.24*** -0.21*** -0.22*** -0.04
Laurea o post-laurea -0.25*** -0.18** -0.19** -0.18** -0.04
Coorte [rif. 1931-1940]
1941-1950 0.15** 0.19*** 0.19*** 0.18*** -0.08
1951-1960 0.14** 0.17*** 0.16** 0.15** -0.16**
1961-1970 -0.37*** -0.35*** -0.36*** -0.36*** -0.49***
1971-1980 -1.06*** -1.02*** -1.04*** -1.00*** -0.62***
Classe sociale di origine
[rif. Borghesia e classe media impiegatizia]
Piccola borghesia urbana
0.08 0.06 0.06 0.03
Classe operaia urbana
0.11 0.09 0.09 -0.01
Classi agricole (PBA + COA)
0.17** 0.14* 0.15* 0.21**
Area geografica di residenza
[rif. Sud e Isole]
Centro
-0.27*** -0.28*** -0.30*** -0.27***
Nord
-0.37*** -0.38*** -0.41*** -0.37***
Iscritto al sistema scolastico
-0.59*** -0.56*** -0.30**
Condizione occupazionale
[rif. Fuori dalle forze lavoro]
Disoccupato o occupato instabile
1.23*** 0.46
Occupato stabile
1.41*** 0.44
Sposato
4.91***
N. casi 3,369 3,369 3,369 3,369 3,369
N. failures 2,202 2,202 2,202 2,202 2,202
N. osservazioni 447,405 447,405 447,405 447,405 447,405
Log-likelihood -15911.887 -15880.068 -15867.137 -15852.088 -13336.622
***: p<0.01; **: p<0.05; *: p<0.1
Fonte: Ilfi (1997; 1999; 2001; 2003; 2005)
29
Tabella 3. Effetto della dimensione orizzontale dell’istruzione sulla transizione al primo figlio per uomini
e donne (15-45 anni). Modelli Cox. Coefficienti Beta e livelli di significatività
Donne Uomini
Modello 1 Modello 2 Modello 1 Modello 2
Livello di istruzione
[rif. Fino a licenza media]
Diploma umanistico-relazionale -0.18** 0.11 -0.27** -0.06
Diploma tecnico-scientifico -0.14* 0.06 -0.22*** -0.01
Altro diploma -0.19* 0.03 -0.17 -0.13
Laurea umanistico-relazionale 0.15 0.29** -0.27** -0.05
Laurea tecnico-scientifica 0.11 -0.03 -0.07 -0.09
Altra laurea 0.03 0.42*** -0.28* 0.12
N. casi 2,810 2,810 3,369 3,369
N. failures 1,898 1,898 2,202 2,202
N. osservazioni 317,564 317,564 447,405 447,405
Log-likelihood -13018.674 -11331.048 -15850.851 -13335.485
***: p<0.01; **: p<0.05; **: p<0.1
Fonte: Ilfi (1997; 1999; 2001; 2003; 2005)
Modello 1: controlla per coorte, classe sociale di origine, area geografica di residenza,
iscrizione al sistema scolastico e condizione occupazionale.
Modello 2: modello 1 + stato civile.