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Lettere PersianeCollezione di saggi critici diretta da Luigi Weber

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Massimo Fusillo

L’altro e lo stessoTeoria e storia del doppio

nuova edizione

Mucchi Editore

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ISBN 978-88-7000-557-8

Tutti i diritti riservati. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nel limite del 15% di ciascun volume o fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’ac-cordo stipulato tra siae, aie, sns e cna, confartigianato, casa, claai, confcommercio, confesercenti il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni per uso differente da quello persona-le potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’editore. È vieta-ta la pubblicazione in Internet.

grafica Mucchi Editore (MO), stampa GECA spa (MI)

© Mucchi EditoreVia Emilia Est, 1527 - 41122 Modenainfo@mucchieditore. itiscritta: confindustria, aie, uspi

I edizione La Nuova Italia 1998II edizione Mucchi Editore 2012

quellapiccola
completo
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ad Angelo, Adele e Andrea(in memoria dei gemelli Giuseppe e Manrico Fusillo)

(La Dissociazione è la struttura delle strutture:lo Sdoppiamento del personaggio in due personaggiè la più grande delle invenzioni letterarie)

Pier Paolo Pasolini, Bestia da stile, VII

Mi sono risoltoMi sono voltato indietro

Ho scortouno per uno negli occhii miei assassini.Hanno– tutti quanti – il mio volto.

Giorgio Caproni, Rivelazione (1980),da Il franco cacciatore (1973-82)

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Indice sommarioPrefazione .............................................................................................9

Introduzione .......................................................................................17 1. Il «ritorno della critica tematica» ................................................19 2. Tendenze della tematologia ........................................................22 3. Definizioni del doppio ..............................................................24 4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata ..................................27 5. Situazioni del doppio ................................................................36 6. Qualche considerazione conclusiva ............................................39 Ringraziamenti ..............................................................................43

I. L’identità rubata: doppi divini, magici, demonici .............................45 1. Immagini antiche del doppio.....................................................47 2. Il doppio come seduzione distruttiva: l’Elena di Euripide ..........53 3. «Omnes Congeminavimus»: inganno, metamorfosi e

follia nell’Anfitrione di Plauto ..................................................71 4. Variazioni su un mito: l’Anfitrione sulla scena moderna .............90 5. I labirinti dell’io: Gli elisir del diavolo di

E.T.A. Hoffmann ..................................................................110 6. La duplicità demonica: le Confessioni di un peccatore eletto

di James Hogg ......................................................................130 7. Una versione manichea: Il cavaliere sdoppiato di

Théophile Gautier .................................................................145 8. Dalla letteratura al cinema (e viceversa):

Lo studente di Praga ...............................................................153 9. Il doppio allegorico: sesso e sacro in Petrolio

di Pier Paolo Pasolini .............................................................169

II. La somiglianza perturbante: proiezioni, introiezioni, identificazioni ....................................................................................179 1. Antropologia della somiglianza ................................................181 2. L’amicizia eroicizzata: Ami et Amile ..........................................184 3. «è cosa indegna d’uomo il non amar se stessi»:

Narciso e Androgino nel labirinto barocco (Il Calloandro Fedele di Marini) .............................................187

4. Il doppio umoristico di Jean Paul (Siebenkäs)...........................209

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5. Conrad e la costruzione dell’io (Il Compagno Segreto) ...............223 6. Lo smontaggio parodico di Nabokov (Disperazione) ................239

III. La duplicazione dell’io .................................................................251 1. Un prologo antico: Narciso .....................................................253 2. L’allucinazione “simmetrica”: il William Wilson di Poe .............256 3. Il linguaggio scisso del signor Goljadkin (Il Sosia di

Fedor Dostoevskij) ................................................................268 4. L’io virtuale: L’angolo prediletto di Henry James ........................285 5. Sguardi novecenteschi: il neofantastico, la paraletteratura ........298

Appendice .........................................................................................305 1. Ombre, specchi, gemelli, e altri doppi nel cinema ...................307 2. Lo scrittore si sdoppia. Una variante metaletteraria

del doppio nel Novecento ......................................................318 3. La gemellarità, il nomadismo, e la ricerca dell’identità .............331 4. Ombre e doppi ........................................................................340

Bibliografia ........................................................................................350 Dei testi ......................................................................................350 Dei saggi .....................................................................................351

Indice dei nomi .................................................................................385

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Prefazione

Della necessità d’esser sempre i persiani di qualcun altro

Come si fa a essere persiani?La risposta è un nuovo interrogativo: Come si fa a essere ciò che si è?Si tratta di una domanda che ci fa uscire da noi stessi non appena la elaboriamo; ci vediamo subito come qualcosa di impossibile.Immediatamente si riproducono lo stupore di essere qualcuno, il ridicolo di ogni figura e di ogni esistenza particolare, l’effetto critico provocato dal raddoppiamen-to dei nostri stessi gesti, delle nostre credenze e delle nostre persone. Tutto ciò che è sociale si fa carnevalesco. Tutto ciò che è umano si fa troppo umano, singolari-tà, demenza, meccanismo, bazzecola. Il sistema di convenzioni di cui parlavo poc’anzi diventa allora comico, sinistro, insopportabile da considerare, quasi incredibile! Le leggi, la religione, gli usi e i co-stumi, l’abbigliamento, le parrucche, la spada, le credenze, tutto sembra una pura curiosità, una mascherata, roba da fiera o da museo. Ma per ottenere questo scarto e questo potente effetto di meraviglia, e così anche il riso, e poi il sorriso che sorge sulle labbra del modello davanti alla propria im-magine, esiste un artificio molto semplice, quasi infallibile.[…]Mescolarsi agli altri per confonderne le idee, far loro la sorpresa di sorprendersi di ciò che essi sono, di ciò che essi pensano e che non hanno mai concepito altri-menti, significa – facendo leva su un’ingenuità pretesa o reale – offrire l’occasio-ne di sentire tutta la relatività di una civiltà, di un’abitudinaria fiducia nell’Ordine costituito… E significa anche profetizzare il ritorno a qualche tipo di disordine, e persino far qualcosa di più che semplicemente predirlo. 1

Queste parole, tratte dal mirabile saggio-divagazione con cui Valéry affrontava il libro «perfetto» di Montesquieu, di cui «nulla fu mai scritto di più elegante», e tuttavia anche libro «di incredibile sfrontatezza», intro-ducono a mio parere perfettamente se non forse il senso almeno l’intona-zione iniziale dell’intrapresa che con il presente volume si offre al giudizio del pubblico, simile in questo al vocalizzo preparatorio del tenore, o all’ac-cordatura sempre un poco straniante dell’orchestra prima del concerto.

Quando, nell’estate del 2011, l’editore Mucchi, con il quale avevo avuto il privilegio di collaborare fin dall’ormai lontano 2003 come redat-tore della rivista di letteratura italiana contemporanea «Poetiche», organo

1 P. Valéry, Préface aux «Lettres Persanes» (1926), ora in Œuvres, vol. I, Paris, Galli-mard, 1957. La traduzione italiana è di Lorenzo Flabbi, pubblicata in appendice all’edizione Mondadori delle Lettere Persiane, Milano, 2010, pp. 325-335.

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Prefazione

del Dipartimento di Italianistica di Bologna, mi interpellò circa l’ipote-si di dar vita a una nuova collana di critica letteraria, e mi propose di di-rigerla, la mia immediata sensazione fu che tale intento – e del pari quel-la proposta, tanto lusinghiera – richiedessero, come è ovvio, un indugio, un’adeguata valutazione, poiché impegno siffatto andava preparato con cura e commisurato alle condizioni esterne, oggettive, del mercato libra-rio e del panorama culturale del presente; ma, in più, e forse proprio in virtù di tali condizioni, che sarebbe eufemistico definire difficili, in più, ripeto, tale intento e tale proposta mi parvero talmente inattesi, talmen-te inattuali, da meritare, necessitare, imporre, quasi, un’assunzione di re-sponsabilità, e un assenso, dunque.

Mi sono formato, fin dai tempi degli studi universitari, umanamen-te e culturalmente, ascoltando e rileggendo più volte con una qualche ver-tigine il primo mio maestro, Fausto Curi, e indirettamente il Suo mae-stro, se così si può dire, ossia Luciano Anceschi, che sempre ammonivano sul tema della «responsabilità» del critico, e del suo identificarsi come cri-tico solo nell’atto della «scelta», che è – deve esserlo –, in una certa misura, non esigua, anche pericolosa, o se si preferisce ardimentosa; ed è, guarda caso, non soltanto «scelta» da intendersi come atto di giudizio bensì, talo-ra, anche come concreta prassi, opzione editoriale. Anceschi alla metà de-gli anni Cinquanta creò «il verri»; Curi, dopo esserne stato una colonna per un quarantennio, dette vita proprio a «Poetiche». Il racconto esempla-re, che sempre sovviene, e deve sovvenire, perché davvero resta fondativo ed emblematico, narra di un influente critico-filosofo, identificato da una generazione come il più autorevole alfiere teorico della cultura poetica che si definì «ermetica», il quale sceglie di far pubblicare l’opera d’esordio di un giovanissimo e sconosciuto autore, e così facendo condanna quella stagio-ne tutta, ermetica e post-ermetica, a un’irrimediabile, rapida, estinzione. Il critico era appunto Anceschi, l’opera Laborintus, naturalmente. Ascoltavo di quella scelta, così imprevista allora, e così feconda di conseguenze, con la vertigine di chi si domanda se mai, nella vita, di fronte a una tale occasione, uno di noi – o chiunque altro, forse – avrebbe avuto la stessa lungimiran-za, lo stesso coraggio, la stessa dote di antivedere un futuro tutto ancora da scrivere. Lo stesso coraggio nell’anteporre a un ordine rassicurante un di-sordine necessario, che per esser necessario non cessa di essere allarmante.

Il mondo, s’intende, è molto mutato, muta sempre. Nessun para-gone diretto è mai sostenibile. Ma la lezione, se non altro dell’interrogarsi su cosa si sarebbe fatto in un frangente similare, su cosa si dovrebbe fare sempre, in risposta alle sfide rese più inquietanti dalla connaturata opa-cità del venturo, scese in profondità dentro di me. Di fronte ai preoccu-panti dati recenti sulla lettura in Italia, secondo cui il 44-49 per cento de-gli abitanti del paese oggi non acquista e non legge più di un libro all’an-

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Della necessità d’esser sempre i persiani di qualcun altro

no, di fronte al progressivo rastremarsi degli spazi espositivi nelle librerie per tutto ciò che non sia narrativa di consumo, di fronte, infine, all’ine-vitabile assottigliarsi dell’offerta editoriale per ampie zone della saggisti-ca, e soprattutto, temo, per quella di argomento letterario, la volontà di un editore di fondare una collana di studi letterari mi pareva non doves-se andare inascoltata.

Pensai dunque, per battezzare tale futura collana – che qui si pre-senta al pubblico orgogliosamente con il suo primo volume, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, di Massimo Fusillo, in una nuova edizio-ne accresciuta –, di attingere a un titolo recante in sé a un tempo il buon auspicio di un’ascendenza illustre, di un modello luminoso, quale quel-lo del capolavoro di Montesquieu, Lettere persiane, e la possibilità di una lettura attualizzante.

Come nell’opera di Montesquieu, che in un certo modo inaugura l’età dell’Illuminismo, la critica migliore a me è sempre parsa una “lette-ra persiana”, un messaggio che viene da una posizione dislocata rispetto alla pratica della letteratura e alla rete delle convenzioni sociali del presen-te, illuminando entrambe grazie a un felice spiazzamento. è una scienza di salvataggio, in primo luogo salvataggio della letteratura stessa, oppressa dai troppi libri e dal nessun senso di molti di essi, come insegnava Steiner in una pagina famosa di Vere presenze, che è utile anche se letta a rovescio. Per far questo, per far sì cioè che la critica, da gesso astringente nel quale il testo è catafratto e sepolto, diventi ambra ingioiellante un insetto, sal-vato e restituito, impreziosito perfino, agli occhi dei posteri o dei coetanei ignari, occorrono nuovi sguardi, nuove scritture, nuove baldanze. E si po-trebbe dire nuove metodiche, se la parola non fosse troppo algida. Occor-re un pessimismo euforico, posto che mi si conceda l’ossimoro.

Il regno dell’ordine – scrive ancora Valéry – che è quello dei simboli e dei segni, conduce sempre a un disarmo pressoché generale, il quale ha inizio con l’abban-dono delle armi visibili e a poco a poco si afferma sulle volontà. Le spade si fan-no più rare finché non scompaiono del tutto, i caratteri si smussano. Così, im-percettibilmente, ci si allontana dall’età in cui il dominio era esercitato dal fatto. Con il nome di previsione e di tradizione, l’avvenire e il passato, che non sono al-tro che prospettive immaginarie, dominano sul presente e gli pongono dei limiti. Il mondo sociale, che si regge come per magia, ci appare invece naturale tanto quanto lo è la natura stessa. Ma, in verità, questo sistema che si basa su pure fin-zioni, ovverosia scritture, parole a cui si obbedisce, promesse che si mantengono, immagini efficaci, abitudini e convenzioni che vengono osservate, non è forse un edificio di incantesimi? 2

2 Ivi, p. 326.

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Prefazione

Nell’epoca della crisi e dell’angoscia per le sorti di un sistema-mon-do iniquo e impazzito, abbiamo più che mai bisogno di euforia. Ma con “euforia” non indicherei solo un sentimento, anzi. Mi piace concepirla soprattutto come un’azione. Nel magnifico Il re degli ontani (Le roi des Aulnes) di Michel Tournier, autore troppo poco presente alla cultura ita-liana attuale, e di cui invece Massimo Fusillo si occupa in questo libro – concentrandosi di necessità sul romanzo “gemellare” del 1975, Les Météo-res – si tematizza in maniera superba la “forìa”, un grecismo che significa l’azione di portare, di sorreggere, e che viene rappresentata nell’immagi-ne di un adulto con in braccio un fanciullo; ma potrebbe essere parimen-ti il pio Enea che reca in spalla Anchise, come nel celebre disegno di Raf-faello eternato sui muri delle Stanze Vaticane. Anche la critica migliore è una foria, anzi un’euforia, una foria buona, poiché nel reggere le membra stanche di un testo ormai appesantito da idee preconcette, o nell’adiuvare quelle deboli, instabili, di una creatura giovane, che sta muovendo i pri-mi passi nel mondo su zampe tremolanti, il critico ha un ruolo di nobile ausiliarità, e, pur non sostituendosi mai a chi accompagna, lo aiuta a per-correre vie nuove. Tale vuol essere il compito di questa nuova collana di studi letterari sul Novecento e sull’oggi.

L’incontro di «Lettere Persiane» con Massimo Fusillo è stato, se si volesse accreditare alle coincidenze un qualsivoglia valore, un segno di ot-timo auspicio, anzi il segno, per “gigionare” un poco freudianamente, che non tutto ciò che era familiare ed è stato rimosso, altresì detto unheimli-che, provoca angoscia quando si ripresenta. L’altro e lo stesso uscì nel 1998 per i tipi prestigiosi della fiorentina La Nuova Italia, e da allora è stato let-to, meditato, annotato, citato da legioni di studenti e di studiosi, sì che non v’è tesi di laurea né saggio scientifico che in qualsiasi maniera, tan-gente o secante, incontri l’ambito della «letteratura fantastica», che possa esimersi dal farne menzione. E, nondimeno, quel libro era passo passo di-ventato introvabile, tanto che spesso le copie conservate nelle biblioteche, persino in quelle universitarie, copie stremate di sottolineature, sciancate da reiterate sessioni di fotocopiatura, a volte non più disponibili per il pre-stito a causa del logorìo, venivano direttamente sottratte da qualche più impaziente lettore, lasciando solo la mesta traccia di un foglietto recitante «scomparso». Che è, per un verso, destino men che raro e più che lusin-ghiero per un saggio critico, e tuttavia costituisce un vulnus alla circola-zione delle idee e del sapere.

Si penserà, forse, che decidere di inaugurare una nuova collana di studi letterari ripubblicando un testo notissimo – quando è opinione co-mune, non dico fondata ma comune, che la vita media di un buon libro sia al massimo di un decennio, prima che ci si debba rassegnare a conside-rarlo «superato» – non sia esattamente sintomo di coraggio e di inclinazio-

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Della necessità d’esser sempre i persiani di qualcun altro

ne al nuovo. Esistono però due casi, e qui si danno embricati, in cui l’o-biezione cade: il primo è quando si tratti di un libro fuori catalogo assurto allo status di classico del genere, per forza, compiutezza, originalità, quali-tà di scrittura; il secondo è quando quel libro, nel tempo, si è arricchito di sezioni e contributi che, pur senza spostarne il fuoco o diluirne la concen-trazione, lo rinnovellano, permettendogli di riattingere la presa sull’attua-lità. Al suo ormai classico studio sull’arcitema del doppio, Fusillo ha infat-ti aggiunto un’appendice con quattro nuovi saggi, composti tra il 2005 e il 2010, grazie ai quali si manifesta maggiormente una tendenza metodologi-ca già insita nel lavoro originale, ma certo conclamatasi e slatentizzatasi so-prattutto nell’ultimo decennio. Decennio che ha visto la pubblicazione da parte dell’autore di importanti volumi presso l’editore Il Mulino, come Il dio ibrido: Dioniso e le Baccanti nel Novecento (2006), Estetica della lettera-tura (2009) e il recentissimo Feticci: letteratura, cinema, arti visive (2012). A proposito di quest’ultimo nato, ha scritto Gianluigi Simonetti su «Le parole e le cose» che «il libro coltiva l’ambizione […] di proporsi come esempio di una nuova saggistica, a metà tra filologia e studi culturali, rigorosa certo ma ‘fluida’ e transmediale – agilissima nel muoversi dal-la letteratura al cinema, dalla pittura tradizionale alle installazioni con-temporanee, non senza qualche rapida puntata nel mondo della mu-sica e del teatro musicale. Ideologicamente questo tipo di critica pun-ta alla costruzione di un sapere non solo enciclopedico, ma anche an-tigerarchico (e antimetafisico); metodologicamente afferma la ricerca di una campionatura non solo accurata, ma anche vivace e seducente. Mentre la stilcritica e lo strutturalismo indugiavano sul particolare per raffigurare un intero, qui prevale il gusto della galleria e del catalogo, e il dettaglio prezioso vale quanto o più dell’insieme – in piena omo-logia con l’enfasi collezionistica e accumulatoria tipica della creatività feticista. […] Feticci somiglia in questo a Lezioni americane, di cui con-divide la rapidità, la leggibilità a volte glamour e il gusto postmoderno per “uno storicismo onnivoro e libidico” (Ceserani)» 3.

Ebbene, quando parlavo dello slatentizzarsi di una tendenza già presente ne L’altro e lo stesso, pensavo esattamente a questo: per gran tem-po l’accusa più severa che il rigoroso sistema della critica poteva riserva-re a un prodotto difficilmente classificabile secondo una tassonomia basa-ta su scuole è stata appunto quella di eclettismo, sebbene già uno Spitzer, per spendere un nome significativo, stese alcune delle sue pagine migliori proprio sconfiggendo tale tabù, e in Italia Ezio Raimondi più di tutti ha dimostrato quanto lo sguardo di un critico, nella misura in cui accanto al filologo in lui vive anche uno storico delle idee e della cultura, abbiso-

3 Cfr. http://www.leparoleelecose.it/?p=4403.

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Prefazione

gni di aggiunte, piuttosto che di esclusioni; L’altro e lo stesso, specie nella sua versione rinnovata e ampliata, fa mostra di una analoga, vertiginosa, curiosità e apertura. La fortuna del libro, io credo, si deve non poco alla sua formidabile affabilità, pur in presenza di un rigore fuori dal comune: dopo una densa introduzione teorica sul «ritorno della critica tematica», Fusillo esordisce esponendo in greco i versi di Omero, e più avanti ampi brani dall’Elena di Euripide; fa lo stesso con l’Amphitruo di Plauto, di cui insegue anche la fortuna traduttoria in Spagna, Italia, Francia e Por-togallo; si muove attraverso i secoli e le culture, toccando il Manierismo e il Barocco, il Settecento e l’Ottocento, il teatro e la novella, Molière e Dryden, Il Calloandro fedele di Marini e Siebenkäs di Jean Paul, i racconti di Hoffmann e di Poe, Hogg e Gautier, Dickens e Dostoevskij, Conrad e James, fino a Despair di Nabokov e Petrolio, fino a Tournier e Agota Kri-stof, Philip Roth e Stephen King, passando per il cinema espressionista e quello contemporaneo, sempre con una stupefacente copia di osservazio-ni sintetiche ma penetranti, veri saggi in nuce. Una babelica Wunderkam-mer nella quale, paradossalmente, il lettore anche non specialista non si trova mai veramente disorientato, grazie anche alla tenuta, pur nelle me-tamorfosi diacroniche, del campo tematico preso in esame, vale a dire la «costante transculturale, ricca di implicazioni antropologiche e psicanali-tiche» (così Fusillo), del doppio o dell’identità sdoppiata.

Lo stesso Fausto Curi, che mai si potrebbe sospettare di eclettismo, ebbe a scrivere: «quanto alla critica, conviene chiedersi, innanzitutto, se si possa davvero parlare di autonomia a proposito di una disciplina che per esercitare pienamente la sua funzione e per raggiungere risultati plau-sibili, ha bisogno di appoggiarsi ad altre discipline: la linguistica, la retori-ca, la psicoanalisi, la filosofia, la sociologia, l’antropologia, la nuova “sto-ria totale” di cui parla Le Goff» 4. La verità dei nostri giorni è quella di un tempo in cui le suggestioni più feconde per leggere Flaubert ci sono venu-te da un sociologo come Bourdieu, e vi sono stati critici come Jameson e Said, filosofi come Agamben, Sloterdjik e Žižek, studiosi di cultural stu-dies e gender studies come Appadurai, Spivak, Butler, Bhabha, di geocritica come Westphal, storici – anche nelle loro, spesso radicali, contrapposizio-ni – come Ginzburg, De Certeau, Hall e Gilroy (tutti autori che ne L’al-tro e lo stesso non compaiono, ma vi sono come preconizzati), capaci di ri-formulare potentemente il sistema dei saperi e delle formazioni discorsive, aprendolo a questioni fondamentali e non più procrastinabili 5. Questioni che rimettono al centro di ogni operazione intellettuale la considerazione

4 F. Curi, Il critico stratega. Saggi di teoria e analisi letteraria, Modena, p. 12.5 Un quadro dettagliato e aggiornato delle questioni qui ancor meno che sfiorate lo

offrirà a breve il volume di Giuliana Benvenuti - Remo Ceserani, La letteratura nell’età glo-bale, in corso di pubblicazione per il Mulino.

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Della necessità d’esser sempre i persiani di qualcun altro

dialettica del rapporto tra generi, tra culture, tra luoghi, linguaggi, tradi-zioni, tra centri e periferie, tra dominati e dominanti, tra desiderio e re-pressione, tra simbolico e fattuale, tra soma e psiche. Invece di dissolvere le specificità della vicenda dell’Occidente in un’indifferenziata Weltlitera-tur (o Weltmarket) – come alcuni temono o altri auspicano, dato l’avven-to della globalizzazione –, l’operazione di Fusillo ricostruisce qui un per-corso di senso che ha attraversato due millenni di culture europee, senza per questo mai peccare di tardivo eurocentrismo.

Perdura da molto tempo ormai la geremiade sulla crisi o sulla morte della critica, sia per eccesso di specializzazione, sia per mancanza di coin-volgimento entro un autentico dibattito culturale. Di fatto la critica, pur continuando a usare il suo linguaggio, e a svolgere il suo compito con il massimo della scientificità, non deve essere di pochi, anzi solo se trova i lettori, e se recupera per loro oggetti preziosi salvandoli dal diluvio delle troppe informazioni effimere, la sua missione acquista un senso. La criti-ca si pone a un tempo come un doppio nascosto dietro le quinte, in as-senza, rispetto alla letteratura che si offre in piena luce sulla scena, e come una valida uscita di sicurezza dalle certezze spesso imbalsamate della tra-dizione, dei cliché, delle interpretazioni convenzionali. La pratica e la pas-sione per la lettura possono liberarsi dalla stretta del consumo, e ritornare esperienza, dialogo, rinnovamento, svecchiamento. Per «Lettere Persiane» vorremmo proporre al pubblico, pur consapevoli dell’altezza del modello iniziale, tutti libri dell’«eleganza» e dell’«incredibile sfrontatezza», per ri-prendere le parole di Valéry, di questo vecchio/nuovo libro di Massimo Fusillo. Il nostro impegno, mio e dell’editore Mucchi, sarà esser degni di una simile sfida.

Luigi Weber

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Introduzione

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1. Il «ritorno della critica tematica»

1. Il «ritorno della critica tematica»

Negli ultimi anni la critica letteraria si occupa sempre più sistema-ticamente di temi, cioè di quegli elementi piuttosto difficili a definirsi in astratto ma ben riconoscibili per ogni lettore, che collegano opere molto diverse fra di loro per epoca e cultura, e che sono tratti dall’universo ex-traletterario dei referenti reali 1. E molto semplice, e persino ovvio, indi-viduare le radici di questo passaggio da un atteggiamento antitematico a una vera e propria “tematologia”: si tratta di una reazione al formalismo talvolta esasperato della critica strutturalistica, ma anche al decostruzioni-smo e al suo smontaggio del senso. Molto meno semplice è mettere a fuo-co i tratti di questo fenomeno complesso ed eterogeneo. Se inteso in senso lato, si può far rientrare nell’attuale «ritorno della critica tematica» (un ri-torno che fa seguito a un lungo interdetto, se si pensa a Croce e a Wellek) 2 anche la grande svolta della critica politicamente impegnata che domina oggi la cultura americana, e che si concentra su temi cruciali come il ge-nere sessuale o l’identità etnica. I gender studies, i post-colonial studies, i gay and lesbian studies, gli afro-american studies sono tutti accomunati dal porre l’accento sul “che cosa ci dicono i testi” al di là della formalizzazio-ne letteraria. Estremizzato, questo atteggiamento porta all’autobiografi-smo del personal criticism, cioè di una critica che mira a eliminare le bar-riere fra teoria e sfera personale 3. Più in generale, si sente esprimere sem-pre più spesso da critici di provenienza svariata (fra cui il più autorevole è George Steiner) una sfiducia radicale nei confronti della teoria 4. Si tratta certo di fenomeni assai diversi fra loro, accomunati comunque da un ri-schio latente che altrove ho chiamato «spontaneismo ermeneutico» 5 e che fra l’altro ispira molte iniziative editoriali recenti: l’idea che le opere lette-rarie si possano e si debbano affrontare in un corpo a corpo diretto, senza la mediazione di commenti o di altre strumentazioni. Quando non risul-

1 Pavel 1993: 121: «one of the most significant changes in literary criticism in the last decade has been the shift from the antithematic bias of the 1970s to a renewal of inte-rest in thematics».

2 Sulla diffidenza idealistica nei confronti delle costanti e sull’eccezione rappresen-tata in Italia dal celebre saggio di Mario Praz, pur nei suoi retaggi positivistici, cfr. Orlan-do 1996a.

3 Cfr. Izzo 1996: 78-82, che fa riferimento a un intervento di Jane Tompkins – dal titolo molto vicino fra l’altro al doppio, Me and My Shadow – rivolto contro la gerarchia pubblico/privato applicata agli studi letterari.

4 Steiner 1989; in Italia le sue posizioni sono state riprese dal pamphlet di Trevi 1994. Si possono anche ricordare, da una prospettiva del tutto differente, le posizioni rigo-rosamente intenzionalistiche di Knapp e Benn Michaels (1982 e 1987).

5 Fusillo 1996c: 39.

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Introduzione

ta tirannica e soffocante, la mediazione critica è invece il presupposto es-senziale perché il lettore sia posto in grado di gestire poi in proprio la sua libera e personale fruizione.

Tutte queste tendenze critiche privilegiano dunque, ognuna a suo modo, i temi rispetto alle forme; esistono però delle differenze sostanzia-li fra quella che possiamo chiamare la critica tematica in senso stretto e la critica politicamente impegnata; quest’ultima è sempre infatti program-maticamente e dichiaratamente parziale: si focalizza su opere provenien-ti da aree marginali, oppure evidenzia nei testi canonici tematiche repres-se, rimaste latenti per secoli o mai individuate prima, come la costruzio-ne dell’identità sessuale o l’immagine dell’altro. Con il suo riuso tutto tendenzioso dei testi è una critica che, come suggerisce Thomas Pavel, va considerata più una sintomatologia che una tematologia: una tendenzio-sità che nelle sue forme più radicali finisce con l’appiattire i testi lettera-ri sulla loro ideologia. 6

C’è un’altra differenza fra la critica tematica in senso stretto e le ten-denze poststrutturaliste: la prima ha quasi sempre un’impostazione tran-sculturale, le seconde si focalizzano invece su singole culture, e ancor più su singoli testi e su singoli contesti. Quest’orientamento metodologico è particolarmente marcato nel «nuovo storicismo» (New Historicism), che ha come suo presupposto fondante il rifiuto di ogni distinzione tra sfon-do storico e testo, fra discorso sociale e discorso letterario. Leggiamo una dichiarazione programmatica del capofila di questo movimento, Stephen Greenblatt, tratta da un suo saggio sul Rinascimento tradotto dalla rivi-sta «L’asino d’oro» 7.

Non vi è dubbio che nella nostra cultura le opere d’arte siano separate dai discorsi quotidiani, ma questa demarcazione è essa stessa un evento collettivo e non deno-ta l’obliterazione del sociale bensì il suo riuscito assorbimento in essa tramite im-plicazione o esplicita articolazione. Questo avvenuto assorbimento – vale a dire la presenza nell’opera d’arte della sua essenza sociale – permette all’arte, come sostie-ne Bachtin, di sopravvivere al venir meno delle condizioni sociali che ne avevano determinato l’origine, laddove il discorso quotidiano, maggiormente dipendente dalle condizioni pragmatiche non verbali, scivola rapidamente nell’insignifican-za e nell’incomprensibilità. Perciò il geniale spirito di sopravvivenza dell’arte e la felice accoglienza tributatale da un pubblico cui pure non era mai stata destina-ta non sono indici della sua autonomia da ogni altra sfera esistenziale, così come l’articolazione della prassi sociale internamente all’opera d’arte non le conferisce

6 Pavel 1993: 124-128 «Criticism becomes symptomatology» (128); cfr. anche l’In-troduzione di Sollors 1993: XII-XIII.

7 Greenblatt 1985 [1993: 37].

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1. Il «ritorno della critica tematica»

una coesione formale indipendente dal mondo situato al di là dei suoi confini. AI contrario, le forme artistiche sono l’espressione di valutazioni e pratiche sociali.

Mi sembra siano senz’altro da condividere il rilievo dato alla sociali-tà dell’arte, direttamente ispirato da Bachtin, e la contestazione di un vec-chio mito strutturalista, lo specifico letterario, già ampiamente attaccato a suo tempo dall’estetica della ricezione e dal ruolo sempre crescente dato al lettore nella critica 8. Credo però che il «geniale spirito di sopravvivenza» e la «felice accoglienza» delle opere artistiche presso pubblici assai diversi e assai lontani da quelli per cui erano state composte non possano essere spiegate solamente in questi termini, ma siano spesso (non sempre) frut-to della tematizzazione di costanti transculturali, cioè di temi che hanno risonanza in culture e in contesti differenti perché attingono a realtà psi-chiche e antropologiche, come è appunto il tema del doppio di cui ci stia-mo per occupare. Transculturale non significa infatti universale (e quindi depurato da ogni elemento sociale, come voleva la tradizione idealistica), in quanto si tratta pur sempre di un numero determinato di culture. La contestazione del canone occidentale eurocentrico e sessista, propugnata dai vari movimenti post strutturalisti, mi sembra un fenomeno non solo inevitabile, ma anche positivo – la difesa appassionata dell’idea di canone fatta da Harold Bloom non suona convincente 9 – a patto che non si tra-sformi in un nuovo canone altrettanto basato su di una censura. è giusto quindi smettere di presentare la cultura occidentale come unica e univer-sale, senza per questo rinunciare a studiarne le forme e le tematiche. Pro-prio in questa dialettica fra costanti (letterarie) e varianti (storico-cultura-li), fra l’uno e il molteplice 10, sta la differenza fra storia letteraria e storia sociale che il nuovo storicismo vorrebbe negare in toto.

8 In Italia la critica alla nozione di letterarietà è venuta soprattutto dai lavori di Di Girolamo (1978) e di Brioschi (1983); per una panoramica delle varie teorie della lettura cfr. F. Bertoni 1997: parte I.

9 Bloom 1994. 10 Guillén 1985: da vedere in particolare il cap. XIV sui temi.

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Introduzione

2. Tendenze della tematologia

Quella che abbiamo chiamato critica tematica in senso stretto per differenziarla dalla «tematologia non dichiarata» 11 delle tendenze poststrut-turalistiche, appare comunque un fenomeno molto variegato e polifonico. Se, ad esempio, si consultano gli atti dei tre convegni internazionali Per una tematica, tenutisi nel corso degli anni Ottanta 12, si ottiene un quadro abbastanza ampio dei rami molteplici che formano questa corrente di ri-cerca, dagli studi narratologici sulle funzioni alle ricerche sui topoi che si richiamano alla tradizione tedesca e belga, dalle riflessioni di filosofia del linguaggio, soprattutto sul rapporto fra topic e comment, alle applicazioni della nozione di tema alla musica e alle arti visive 13. è una polifonia non solo inevitabile, ma anche assolutamente auspicabile, in quanto sarebbe in-sensato volere circoscrivere lo spettro dei metodi, e cercare una definizione univoca di tema; come sostiene Remo Ceserani, l’eclettismo è una delle ri-sposte più valide alla crisi che investe oggi la critica letteraria 14. Si possono individuare comunque alcuni punti costanti, che ricorrono un po’ in tut-ti i contributi della “neotematologia”. Innanzitutto l’idea di tema lettera-rio come di un’entità fluida e proteiforme, a metà fra l’astrazione pura del concetto e la concretezza testuale del motivo. Claude Bremond esemplifica bene la prima opposizione facendo riferimento alla differenza fra il concet-to di patto sociale in Rousseau e il tema della rêverie nello stesso autore 15. Più delicata è l’opposizione fra tema e motivo, che ha suscitato un’infini-tà di definizioni opposte, anche se in genere si tende a considerare il mo-tivo come una (breve) manifestazione concreta di un tema, in genere desi-gnato da una coppia di elementi che rimandano all’articolazione narrativa (ad esempio “il cuore mangiato”, “il cacciatore cacciato”) 16. Al di là dei no-minalismi, è proprio il carattere sfuggente, elastico, e poco sistematico del tema che spiega la diffidenza strutturalista verso questo oggetto di ricerca: un carattere che era stato comunque già colto dagli studiosi di topoi (i qua-li non sono altro che dei temi standardizzati, con una configurazione più

11 Sollors 1994: 159 n. 8. 12 Pour une thématique I, II, III, rispettivamente nel 1984, 1986 e 1988, e poi pub-

blicati dalle riviste «Poétique» nel 1985, «Communications» nel 1988, e «Strumenti criti-ci» nel 1989.

13 Altri numeri speciali di riviste dedicati alla tematologia sono: «Revue des langues vivantes» 43, 1977 e «New Comparison» 6, 1988; una buona bibliografia è quella curata da N. Dolan in Sollors 1993: 301-32 1; cfr. anche Giglioli 2001; Viti 2011.

14 Ceserani 1999, XXXIII-V. 15 Bremond 1985. 16 Cfr. soprattutto Leroux 1985; Segre 1988; Wolpers 1993; Vanhelleputte 1993; e

la sintesi di De Grève 1995: cap. 1.

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2. Tendenze della tematologia

stabile), come Otto Pöggeler, che definisce la topica una forma di pensie-ro non sistematica 17. Il tema non si può ridurre infatti al soggetto di un’o-pera: una serie di testi che raccontano la stessa storia – ad esempio il mito di Faust – possono tematizzare elementi diversi: possono concentrarsi sulla sete di assoluto o sulla redenzione finale, con esiti spesso molto lontani fra di loro. Il tema, o meglio i temi, sono dunque i quadri di riferimento con cui leggiamo un’opera e che consideriamo esemplificati da quell’opera e da una serie di opere correlate.

Veniamo così a un punto di forte rilievo teorico: la tematizzazio-ne, che gioca un ruolo guida in tutte le branche della critica tematica 18. La tematizzazione è infatti il processo ermeneutico con cui il critico in-dividua il quadro di riferimento concettuale, il tema, e analizza di conse-guenza sia gli elementi strutturali, formali, semantici di un singolo testo (livello intratestuale) sia le ricorrenze costanti di un gruppo di testi (livel-lo intertestuale). Ma è anche il processo con cui i singoli lettori organiz-zano la propria ricezione personale, evidenziando e privilegiando i diver-si nuclei tematici a seconda del proprio contesto culturale e della propria esperienza esistenziale. Questo aspetto si incrocia ovviamente con uno dei nodi dell’ermeneutica letteraria contemporanea, su cui ha molto insisti-to Umberto Eco, soprattutto nei Limiti dell’interpretazione 19. Esiste una differenza fra buona e cattiva interpretazione (e quindi tematizzazione)? E quali sono i criteri in base ai quali stabilirlo? oppure ogni tematizzazio-ne, in quanto prodotto storico di un singolo momento culturale, sarebbe da considerarsi pienamente legittima? Non intendo certo affrontare que-ste questioni qui; ma si può tentare di fissare alcuni punti problematici. è giusto rinunciare all’assolutezza e all’oggettività “scientifica” a cui mira-vano le letture strutturalistiche e semiologiche, ed essere quindi consape-voli della relatività storica di ogni atto interpretativo; ma ciò non implica la rinuncia totale alla differenza fra le vari ricezioni di un testo, e alla ri-cerca di criteri coerenti con cui costruire un suo universo tematico. Una tematizzazione della Recherche di Marcel Proust sulla base della categoria tempo (ma anche della pittura, della musica, della gelosia) ha più chances di risultare feconda e produttiva rispetto a una che si basi, per esempio, sull’alienazione del lavoro industriale, anche se certo nessuna può mirare a esaurire le potenzialità infinite del romanzo, il quale, come tutti i capo-lavori (ma l’osservazione è valida anche per molte opere di livello meno alto), può subire tematizzazioni ulteriori, infinite ma non illimitate.

17 Cfr. Pòggeler 1960: 3. 3 [1973: 95], in particolare: «Topik als nichtsystemati-sche Denkform».

18 Cfr. Prince 1985; Brinker 1985; Purdy 1989. 19 Eco 1990; cfr. anche Eco 1992, e la relativa discussione con Rorty, Brooks-Ro-

se, Culler.

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Introduzione

3. Definizioni del doppio

I problemi teorici della tematizzazione si percepiscono con molta chiarezza se si affronta un tema come il doppio, che rappresenta una co-stante transculturale ricca di implicazioni antropologiche e psicanalitiche, e quindi particolarmente adatta a misurare la dialettica con le numerosis-sime varianti storiche. Si tratta infatti, come è noto, di un tema che a par-tire dall’antichità classica si dirama in svariate epoche e in svariate lette-rature nazionali, soprattutto in momenti di crisi della soggettività come il barocco o il romanticismo. Il primo problema assai spinoso che si pre-senta è la messa a fuoco del tema, anche se il senso concreto e immediato non sembrerebbe così elusivo. Proviamo a dare perciò una prima defini-zione provvisoria, a mo’ di introduzione: si parla di doppio quando, in un contesto spaziotemporale unico, cioè in un unico mondo possibile crea-to dalla finzione letteraria, l’identità di un personaggio si duplica: un uno diventa due; il personaggio ha dunque due incarnazioni: due corpi che ri-spondono alla stessa identità e spesso allo stesso nome. Questa è una defi-nizione ristretta e letterale del doppio: nella bibliografia critica su questo tema, sempre più ampia, si ritrova spesso però un reimpiego metaforico del termine, con uno spettro di applicazioni assai disparate che a mio pa-rere gli fanno perdere di specificità e di concretezza. Dato che la nostra de-finizione va dunque un po’ controcorrente, vediamo prima alcuni esempi significativi dell’uso dominante. Sulla scia dei libro pionieristico di Otto Rank (1914) e del saggio di Freud sul perturbante (1919) direttamen-te ispirato dal suo allievo letterato, negli anni Settanta compaiono alcuni contributi organici sul doppio con una chiara impostazione psicanalitica. Il saggio di Robert Rogers, pubblicato negli Stati Uniti nel 1970, parte da una svalutazione programmatica del «doppio manifesto» (cioè la nostra definizione ristretta di doppio), in quanto procedimento melodrammati-co e manicheo, che susciterebbe scarsa identificazione, mentre viene esal-tato il «doppio latente», che corrisponderebbe meglio alle varie funzioni psichiche del lettore 20 (Rogers si richiama a un noto saggio di Simon Les-ser e alla sua teoria freudiana della ricezione 21). Fin qui si resta nell’ambito della valutazione estetica inevitabilmente soggettiva. Il problema si pone quando nella seconda categoria vengono fatti rientrare non solo il Compa-gno segreto di Conrad, che, come vedremo, è pienamente pertinente all’u-niverso del doppio, ma anche una serie di coppie provenienti da testi sva-riati: Dioniso-Penteo dalle Baccanti di Euripide, Macbeth-Lady Macbeth

20 Rogers 1970. Molto simile la posizione già sostenuta a suo tempo da Rosenfield 1963. Per un’applicazione dello stesso metodo al romanzo storico cfr. Rignali 1984.

21 Lesser 1957.

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3. Definizioni del doppio

e Otello-Jago da Shakespeare, Myskin-Rogožin dall’Idiota di Dostoevskij, Marlowe-Kurtz da Cuore di tenebra di Conrad e così via. In questo modo la nozione di doppio perde il suo valore euristico: ogni volta che due per-sonaggi presentano un minimo di specularità ci troveremmo di fronte a un caso di sdoppiamento. L’origine di questo metodo è comunque freu-diana: in Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicanalitico (1916) Freud analizza, riprendendo un’idea di Ludwig Jekels, alcuni suggestivi effetti di rifrazione fra l’esperienza di Macbeth e quella di Lady Macbeth, giun-gendo alla conclusione che si tratta di un unico carattere scomposto in due personaggi (forse ispirato da un modello reale unico…). Quella che in Freud era una breve esemplificazione all’interno di uno studio caratte-riologico e non letterario diventa nel saggio di Rogers un principio guida un po’ arbitrario: mi sembra dunque un esempio di tematizzazione poco omogenea e poco rigorosa. Le cose non cambiano molto con un altro sag-gio americano, quello di Carl F. Keppler 22, che rifiuta giustamente il bio-grafismo selvaggio di Rogers, proponendo una nozione di «Second Self» come di un’unità ridotta a dualità, né puramente oggettiva né puramen-te soggettiva, che avrebbe come fine l’integrazione della personalità e l’e-spansione del sé nella socialità (concetti mutuati esplicitamente da Jung e da Buber). Nell’ampia e interessante tipologia proposta («Twin brother, Pursuer, Vision of Horror, Saviour, Beloved») rientrano però alla fine i testi più disparati, ben lontani da ogni dinamica di sdoppiamento, da Bil-ly Budd alla Morte a Venezia, da Delitto e castigo a Cime tempestose. Anche nei contributi più recenti apparsi negli anni Ottanta, che si concentrano in genere su un corpus di testi più ristretto e omogeneo, si notano talvolta discrepanze e fluttuazioni: ad esempio nei saggio di Romana Rutelli 23 la-scia un po’ perplessi l’inclusione del Frankenstein di Mary Shelley accanto a Hogg, Stevenson, Conrad, in quanto lo sdoppiamento fra l’inventore e la sua creatura mostruosa è – semmai – latente, e non gioca comunque un ruolo centrale. So bene che tutto ciò può suonare come un’inutile osses-sione nominalistica; mi sembra però che ci siamo imbattuti in un proble-ma metodologico fondamentale della tematologia e della comparatistica: la necessità di ritagliare bene il tema dal continuum dei referenti, e di met-tere a fuoco gli elementi costanti proprio per fare risaltare meglio le va-rianti storiche e le qualità specifiche dei singoli testi. è un’esigenza che si impone soprattutto nelle ricerche che affrontano la lunga durata (cosa che comunque Rutelli non fa, dedicandosi invece alla fascinazione del diverso nella letteratura inglese fra Otto e Novecento): per poter cogliere l’oscil-lazione tra l’uno e il molteplice bisogna che l’uno sia circoscritto, e che il

22 Keppler 1972. 23 Rutelli 1984.

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Introduzione

corpus abbia quindi una sua omogeneità. Una tematizzazione deve cerca-re di basarsi su criteri coerenti, anche se conserverà sempre un carattere re-lativo e soggettivo: anche se non potrà mai esaurire le potenzialità dei te-sti prescelti, inviluppati in altre reti tematiche. Un non potere che non va considerato un limite negativo, dovuto alla fallibilità a cui ogni interpre-te è sottoposto, ma un aspetto positivo e in fondo vitale: è bene diffidare dalle interpretazioni che si presentano come definitive, e che vorrebbero tacitare ogni ulteriore sollecitazione ermeneutica.

Una proposta per definire e circoscrivere il tema del doppio ci vie-ne da un articolo di Lubomír Doležel, apparso nel 1985. Doležel indivi-dua un campo tematico, concepito come un mini-sistema di temi apparen-tati, strutturato per giochi di opposizione. Si enucleano così (1) il tema di Orlando (dal famoso romanzo di Virginia Woolf): quando un solo indi-viduo esiste in due o più mondi fittizi alternativi tra di loro (noto anche come tema della reincarnazione). (2) Il tema di Anfitrione: due individui con due identità distinte si rivelano omomorfi nello stesso mondo fitti-zio; assumono cioè per un certo lasso di tempo lo stesso aspetto fisico e la stessa identità. (3) Il tema del doppio: due incarnazioni alternative di uno stesso individuo coesistono in un unico mondo fittizio, come nel William Wilson di Poe. Il terzo caso produce la manipolazione più radicale dei trat-ti semantici di compossibilità (cioè la partecipazione a una stessa realtà) e di identità personale, a differenza del tema di Anfitrione, basato su di una confusione conoscitiva che alla fine si scioglie, riportando la realtà allo sta-dio anteriore, con la separazione delle due identità. Il campo è visualiz-zato da un triangolo, con relative zone intermedie (gli esseri discontinui, la possessione), varianti sintagmatiche e paradigmatiche (simultaneità ed esclusività; similarità/contrasto e antagonismo/cooperazione), diverse tec-niche di sdoppiamento (la fusione: Il sosia di Dostoevskij; la fissione: Il naso di Gogol’; la metamorfosi: Dr. Jeckyll e Mr. Hyde di Stevenson), e in-fine con varianti di autenticità (la problematica del fantastico). Si tratta certo di una proposta assai stimolante, ma che conserva tutti i difetti del metodo strutturalista: prospetta infatti un sistema triadico eccessivamente chiuso, e non mostra alcun interesse per gli aspetti diacronici.

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4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

Possiamo partire proprio dalla nozione di campo tematico usata da Doležel, intendendola però in un’accezione aperta e continua, molto vi-cina a quella proposta da Claude Bremond 24. Si individua così una serie potenzialmente illimitata di temi e di motivi parenti, che sono tutte varia-zioni su di un tema-base: una sorta di “arcitema” che possiamo chiamare l’identità sdoppiata. Il sosia e il doppio risulteranno così due temi – che af-fronteremo poi più da vicino, articolandoli in tre itinerari storico-compa-rativi – all’interno di una vasta famiglia. Nel delineare questo campo te-matico seguiremo comunque un principio ordinatore, ispirato alla dialet-tica tra istanze della repressione e istanze del represso che la retorica freu-diana di Francesco Orlando ha riconosciuto come meccanismo fonda-mentale della scrittura letteraria 25. Una dialettica che si può senz’altro tra-sferire dall’ambito morale e comportamentale all’ambito razionale, come suggerisce lo stesso Freud quando parla di ritorno del superato nel saggio sul perturbante 26. Il tema del doppio costituisce infatti un attacco plate-ale alla logica dominante con cui leggiamo il mondo, basata sui principi aristotelici di identità e non contraddizione; un attacco che, come in tut-te le tematiche del fantastico, implica il riemergere di un sapere magico e arcaico, di una totalità indistinta, omogenea e indifferenziata, insomma di quella logica simmetrica in cui la riformulazione matematica di Freud operata da Matte Blanco ha individuato la cifra fondante dell’inconscio 27. Vi sono vari dosaggi e vari esiti possibili di questa dialettica repressione/represso: innanzitutto un esito euforico, che concretizza una «fantasia di trionfo» 28 sulle costrizioni del reale, e che si trova soprattutto nelle opere comiche, o un esito disforico, che concretizza l’angoscia atavica di fronte al non esserci, alla ripetizione dell’uguale, all’annullamento dei tratti indi-viduali, e che caratterizza le opere a carattere perturbante; ma le soluzioni

24 Bremond 198: 418-420. Doležel procede dal discontinuo (i tre apici del trian-golo) al continuo (i casi intermedi e incerti), mentre Bremond pratica il tragitto opposto, partendo dalle infinite variazioni sul tema per individuare manifestazioni privilegiate, più astratte e generali («arcitemi»), e manifestazioni secondarie («sottotemi»). Un campo tema-tico del doppio e di temi parenti viene ripercorso nel libro di Hildenbrock 1986, che però procede sempre per libera associazione; più equilibrato fra teoria e storia il panorama de-lineato da Jourde e Tortonese 1996; si veda anche Pelicier 1990; e Moraldo 1994 e 1996.

25 Cfr. soprattutto Orlando 1972 e 1979; cfr. anche il suo ampio contributo di cri-tica tematica del 1993, dedicato a una tipologia di represso “antifunzionale” quasi per nulla battuta dalla critica precedente.

26 Cfr. Freud 1919: in particolare par. 3. 27 Matte Blanco 1978: in particolare parti 2 e 3; sulla funzione sovversiva del fan-

tastico cfr. Jackson 1981. 28 Mauron 1964: 104-107.

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Introduzione

intermedie sono tendenzialmente infinite. Utilizzare come principio ordi-natore la progressione dalla presenza minore di represso razionale alla pre-senza maggiore non deve significare quindi ingabbiare la fluidità dei testi e dei temi in un numero chiuso di categorie rigide 29: il campo tematico non va definito come una gerarchia di motivi, ma come una progressione aperta, suscettibile di essere ampliata e arricchita di nuove voci.

Inoltre i testi che esemplificano i singoli motivi possono essere coinvolti in altri campi tematici: la loro presenza in questa progressione non ne esaurisce lo spessore semantico (anche se si privilegeranno le opere che hanno come tema primario lo sdoppiamento perturbante). Procede-remo dunque con un’elencazione sommaria dei temi che formano il cam-po tematico dell’identità sdoppiata e che non saranno oggetto di questo libro (in realtà ognuno di loro potrebbe riempire più di un saggio). Può sembrare strana questa lunga introduzione in negativo, ma spero servirà sia a mettere a fuoco per contrasto il tema del doppio in senso stretto, sia a mostrare come tutti i temi correlati siano ossessivamente presenti nella letteratura occidentale. All’inizio della progressione collocherei due moti-vi che segnano il confine di questo campo tematico: solo in senso lato si può parlare infatti di identità sdoppiata, in quanto le singole individua-lità restano comunque del tutto autonome; i personaggi speculari, in cui l’opposizione dei caratteri è così marcata da suggerire una unità latente: la doppia Isotta che compare nel romanzo medievale di Thomas 30, o il con-trasto fra Justine e Juliette in Sade, o ancor più i due fratelli protagonisti del Signore di Ballantrae (Master of Ballantrae, 1889) di Stevenson (anche nel melodramma romantico la topica specularità tenore/baritono mostra talvolta delle incrinature significative) 31; e i personaggi complementari, in cui l’integrazione armonica dei tratti caratteriali allude ancor più a una fu-sione tendenziale delle identità. Si possono citare due racconti novecen-teschi in cui questa dinamica è assai esplicita: Pari (1907) di Luigi Piran-dello (notoriamente ossessionato dai temi dell’identità) 32 e Le teste scam-

29 Il che mi sembra il punto debole del metodo di Orlando, il suo retaggio struttu-ralista più forte.

30 Sul doppio in Thomas e sul nesso con la morte cfr. Moi 1992. 31 A questo proposito si rimanda al saggio di Paduano 1991. 32 Pubblicato per la prima volta sulla «Rivista di Roma», Pari fu ristampato nella

raccolta La vita nuda (Milano, Treves, 1911) e poi più volte a partire dalla seconda edizio-ne delle Novelle per un anno. Sempre di Pirandello sono molto vicini a questa dinamica del-la complementarietà i Dialoghi tra il Gran Me e il Piccolo Me (1895-1897), strutturati come dialoghi tra due metà dello stesso individuo; da ricordare anche le commedie La signora Morli, una e due (1922), e Come tu mi vuoi (1930), e ovviamente il romanzo Uno, nessuno e centomila (1926); a riguardo è da leggere il bel saggio di Gardair 1972, che analizza il proce-dimento di raddoppiamento sia a livello formale che tematico in tutta l’opera pirandelliana; da vedere anche Caprettini 1981.

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4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

biate (Die vertauschten Köpfe, 1940) di Thomas Mann, che, ispirandosi a una leggenda indiana, dà a questo motivo una concretizzazione sopranna-turale del tutto paradossale: lo scambio reciproco di teste e di corpi, con il finale catartico del suicidio comune (una soluzione simile compare in un film hollywoodiano assai affascinante, Face off di John Woo) 33. Come si vede, questi due motivi – molto simili fra di loro e talora non facilmente distinguibili, perché la complementarietà deriva spesso dalla specularità, come nella classica coppia padrone/servo, sul tipo Don Giovanni e Lepo-rello o Don Chisciotte e Sancio Panza 34– sono assai vicini al «doppio la-tente» di Rogers, e a quel tipo di ricerche soggette al rischio di arbitrarietà assoluta (ogni personaggio può diventare il doppio di un altro): mi sem-bra giusto privilegiare quindi i testi in cui questa dinamica è più esplicita. Possiamo parlare di doppio apparente quando il racconto ci presenta uno sdoppiamento interno ad una singola persona (e quindi non una duplica-zione effettiva), che può essere frutto di una possessione demonica se sia-mo in ambito fantastico (una riscrittura interessante di questo tema si tro-va nel Ritorno [The Return, 1910] di Walter de La Mare) 35, o di dissocia-zione schizofrenica se siamo in un ambito scientifico o parascientifico. è il grande tema psichiatrico della doppia personalità o della personalità mul-tipla 36, che si ritrova in due opere di Stevenson – scrittore particolarmente attratto da questo tema 37– il dramma Deacon Brodie o la doppia vita (Dea-con Brodie or the Double Life. A Melodram, con W. E. Henley, 1880) ispi-rato da un fatto di cronaca, e il racconto Markheim (1885), in cui il pro-tagonista è ossessionato dalla propria immagine allo specchio; o nel dram-ma L’altro (Der Andere, 1906: il cinema espressionista tedesco ne realizzò due versioni 38) di Paul Lindau, in cui il giudice che indaga su un delitto

33 USA 1997, con Nicholas Cage e John Travolta; è un film che ruota intorno allo scambio temporaneo dei volti fra un commissario e un famigerato assassino, prodotto chi-rurgicamente per estorcere una confessione: da ricordare, fra le varie scene di duello, quella davanti a uno specchio, in cui ognuno punta sulla propria immagine che è di fatto l’imma-gine dell’altro; il carattere assolutamente manicheo del film, molto chiaro nell’happy end, non esclude un’attrazione latente fra i due poli (che risalta nel particolare del figlio dell’as-sassino adottato alla fine dal commissario).

34 Sulla prima si veda Rank 1922; sulla seconda Celati 1975: 167-217. 35 La storia del libertino francese che si impadronisce dei tratti esteriori di un bana-

le borghese britannico di due secoli dopo è tutta giocata sul rapporto esterno/interno, fisico/psichico: cfr. Jourde e Tortonese 1996: 104-105.

36 Si veda l’interpretazione marxistica di Walch 1980; sulla personalità multipla si veda il saggio di Hawthorn 1982, che mette in rilievo il rapporto con la scienza psichiatri-ca, affrontando anche vari testi di doppio in senso stretto, come il Sosia di Dostoevskij e il Compagno segreto di Conrad.

37 Cfr. Ciocca 1990: cap. 4. 38 Una di Mack del 1913 e una di Wiene del 1930: cfr. più oltre I.8.

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Introduzione

scopre alla fine di essere lui il colpevole (anche nel romanzo giallo, in cui il doppio è in genere vietato per la sua scarsa razionalità, si trova spesso un’identificazione fra detective e criminale o fra detective e vittima) 39; o ancora, passando alla narrativa italiana del Novecento, in Un’anima persa (1966) di Giovanni Arpino, in cui lo zio del ragazzo protagonista si sdop-pia in un fratello immaginario asociale e aggressivo 40. E a proposito di si-mulazione si possono individuare incroci con altri temi autonomi: quel-lo del travestitismo (ad esempio Leonce e Lena [Leonce und Lena, 1836] di Büchner), e quello dello scambio di identità (ad esempio lo Zauberspiel co-mico romantico Il re delle Alpi e il nemico dell’umanità [Der Alpenkönig und der Menschenfeind, 1827] di Ferdinand Raimund, e, per rimanere nella stessa area, il racconto Il faggio degli ebrei [Die Judenbuche, 1842] di Annette von Droste-Hülshoff; o ancora, per passare al nostro secolo, Il ca-valiere svedese [Der schwedische Reiter, 1936] di Léo Perutz, e Moon Palace [1989] di Paul Auster; una fascinosa variante onirica di questo tema si ri-trova nella letteratura giapponese, nel racconto La felicità [Kofuku, 1942] di Nakajima Atsushi 41). Sempre all’interno di questo gruppo, ma ancora più calzante con l’identità sdoppiata è il romanzo di Umberto Eco L’iso-la dei giorno prima (1994), in cui compare un vero e proprio sosia, frutto però tutto mentale dell’ossessione che perseguita il protagonista 42 (la si-tuazione opposta si trova nel Sosia di Stelio Mattioni (1963), in cui l’al-tro sembra frutto dell’ossessione del mondo circostante, estranea invece al protagonista). Una variante di questa serie di temi dominati dall’appa-renza è il doppio onirico, in cui la scissione del personaggio avviene solo in sogno, come nell’amara fiaba drammatica di Grillparzer Il sogno, una vita (Der Traum, ein Leben, 1834) tutta centrata sull’irrecuperabilità di una vita eroica, o come nel romanzo decadente di Eduard Schuré Il doppio (Le

39 Ad esempio nei romanzi di Manuel Allein e René Sameistre scritti fra il 1911 e il 1914, con al centro i personaggi di Juve e di Fantomas; per la codificazione del giallo si pos-sono ricordare le venti regole di Van Dine, o il decalogo di Ronald Crox, in cui il doppio è bandito come soluzione troppo poco razionale e verosimile. La situazione tipo del giudice che si scopre colpevole, che spesso si vuole fare risalire al mito di Edipo, ritorna anche nel noto sceneggiato americano Twin Peaks.

40 In 1934 di Moravia (1982) il personaggio femminile Beate simula una gemella, Trude, dal carattere opposto.

41 La storia di uno schiavo e di un padrone che sognano l’uno di diventare l’altro, e che lo diventano in effetti gradualmente: si può leggere in Cronaca della luna sul monte, a cura di Giorgio Amitrano, Venezia, Marsilio 1989.

42 L’ascendenza è soprattutto dal romanzo barocco (su cui cfr. più oltre II. 3), come dimostra il capitolo VIII tutto metaletterario: «Il Sosia è un riflesso che il personaggio si tra-scina alle spalle o da cui è preceduto in ogni circostanza. Bella macchinazione, per cui il let-tore si ritrova nel personaggio, con cui condivide l’oscuro timore di un Fratello Nemico» (Bompiani, Milano, p. 78).

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4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

double, 1899) in cui il sosia appare al pittore protagonista, nella classica veste del persecutore demoniaco. Si può accostare a questa serie il tema della reincarnazione (di cui Orlando [1928] di Woolf è una variante ori-ginalissima): un personaggio assomiglia in modo perturbante a un altro personaggio morto, fino a sembrarne una replica soprannaturale, un dop-pio post mortem. Un tema prediletto da Edgard Allan Poe e dal suo eros necrofilo (Ligeia, Morella, Eleonora), e che si ritrova, sempre nella varian-te della donna amata risorta, in Sylvie (1854) di Nerval, in due romanzi di fine secolo ricchi di risonanze decadenti e simbolistiche, La somiglianza (La ressemblance, 1874) di Luigi Gualdo, e Bruges la morta (Bruges la mor-te, 1892) di Georges Rodenbach (da cui Erich Wolfgang Korngold tras-se l’opera La città morta [Die tote Stadt, 1920]) 43; e infine nel capolavoro di Hitchcock, Vertigo (1958, tratto dal romanzo Fra i morti [D’entre les morts] di Pierre Boileau e Thomas Narcejac), di cui Brian De Palma ha girato un rifacimento, Obsession (1976, distribuito in Italia con il titolo Complesso di colpa: la sosia si rivela essere la figlia scomparsa). Il tema può assumere altre forme oltre a questa fortunatissima della reincarnazione di una donna amata (che è alla base anche del romanzo di Nadia Fusini Due volte la stessa carezza, 1997): nel racconto di Charles Nodier Paul o la so-miglianza (Paul ou la ressemblance, 1821), l’esperienza traumatica coin-volge un padre che crede di ritrovare il figlio morto, mentre nel racconto Il trovatello (Der Findling, 1811) di Kleist il trovatello è sia un sostituto del figlio morto che un sosia dell’uomo amato dalla matrigna.

Un tema che ha diramazioni altrettanto ampie di quelle del dop-pio, con cui viene spesso confuso, è il tema dei gemelli, in cui lo sdoppia-mento ha una chiara spiegazione biologica, ben inscritta nel vissuto quo-tidiano, anche se non priva di una sua intrinseca eccezionalità 44. Se si esa-minano i due archetipi classici del tema dei gemelli e di quello del dop-pio, le commedie di Plauto i Menecmi e l’Amphitruo, si coglie subito una differenza sostanziale: nella prima i due gemelli non si incontrano mai (se non nello scioglimento finale), e l’intreccio è tutto basato sugli equivoci comici e sugli scambi di persona provocati dalla somiglianza, mentre la se-conda si basa essenzialmente sull’esperienza traumatica dell’incontro con il proprio sosia e sul furto dell’identità. E infatti nella tradizione moderna il tema dei gemelli ha avuto soprattutto realizzazioni nel teatro comico,

43 Su Gualdo e sulla tecnica della «donna composta», avvicinabile alla condensazio-ne onirica teorizzata da Freud, cfr. Roda 1991: capp. 3 e 5; nel Piacere di D’Annunzio An-drea Sperelli confonde in uno stato semi-onirico i volti di Elena Muti e di Maria Ferres, sen-za che però fra le due ci sia una somiglianza e una duplicazione. Su Rodenbach cfr. Dèci-na Lombardi 1997.

44 Sugli aspetti psicologici ed esistenziali cfr. Zazzo 1960 e 1984; Torre Valente 1989.

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Introduzione

dal Cinquecento (ad esempio nella Calandria di Bibbiena) ai Due gemel-li veneziani di Goldoni, realizzazioni che non escludono comunque tona-lità ambigue e perturbanti nel momento in cui sottolineano effetti di ri-specchiamento fra le personalità dei due gemelli, o quando introducono la variante bisessuale che si richiama al mito dell’androgino: da Boiardo ad Ariosto alla Dodicesima notte di Shakespeare, fino alla Valchiria di Wa-gner, e poi al capolavoro di Musil e al rapporto tra Ulrich e Agathe 45. Nel nostro secolo il tema si stacca totalmente dal rapporto privilegiato con la commedia (in cui comunque non scompare, se si pensa al Mio doppio e mia metà [Mon double et ma moitié, 1931] di Sacha Guitry), diventando figura del formarsi dell’identità attraverso la dualità: basta ricordare Le meteore (Les météores, 1981) di Michel Tournier, Sulla collina nera (On the Black Hill, 1982) di Bruce Chatwin, Piazza d’Italia (1975), romanzo d’e-sordio di Tabucchi, fino alla riscrittura in negativo da parte di due gemel-li, Giorgio e Nicola Pressburger (L’elefante verde, 1987; Giorgio riaffron-terà il tema in due opere successive: La legge degli spazi bianchi del 1989 e I due gemelli del 1996). Come avviene per il doppio, i gemelli diventa-no subito un tema molto amato dal cinema: famosi due capolavori hol-lywoodiani, L’anima e il volto (A Stolen Life, 1946, remake dell’omonimo film del 1939) di Curtis Bernhardt 46 con Bette Davis, e Lo specchio scuro (Dark Mirror, 1957) di Robert Siodmak con Olivia de Havilland, ma il tema si ritrova anche nella sperimentazione della nouvelle vague (Nouvel-le vague di Godard) 47, mentre non si può dimenticare il bel film di David Cronenberg Inseparabili (Dead Ringers, 1988).

Passerei ora a una serie di temi in cui lo sdoppiamento non si pro-duce fra due persone umane, ma fra un personaggio e un oggetto esterno. Ad esempio nel tema del ritratto, che recupera un’antichissima tradizio-ne antropologica relativa al potere magico delle immagini, capaci di du-plicare la realtà e quindi anche la persona umana, ben espressa dai miti di Pigmalione e di Narciso 48, e che si ritrova nel Ritratto ovale (Oval Por-trait, 1845) di Poe, nell’Opera (L’Œuvre, 1886) di Zola, e nel Ritratto di

45 Cfr. Ferroni 1980: 65-162, e 43-83 sul raddoppiamento come categoria dram-maturgica; e Ferroni 1981; cfr. anche Guidotti 1992, con un ultimo capitolo sulle trasfor-mazioni otto-novecentesche; per la presenza ben radicata dei gemelli nella cultura romana cfr. Mencacci 1996.

46 Lo stesso regista (di origine tedesca: nato a Worms nel 1899 e formatosi a Berli-no, si chiamava Kurt) affronterà l’anno successivo un caso di schizofrenia in Possessed, con Joan Crawford (distribuito in Italia con il titolo Anime in delirio).

47 Francia 1990, con Alain Delon e Domiziana Giordano; ruota intorno ai dupli-ce amore di una donna manager per due gemelli: prima per il più inetto, e poi, dopo la sua morte, per l’altro dal carattere assolutamente antitetico.

48 Cfr. Bettini 1992; Perosa 1996: cap. 4.

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4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

Dorian Gray (The Picture of Dorian Gray, 1891) di Oscar Wilde, per cita-re solo tre casi molto noti. O nel tema dello specchio, che si collega ugual-mente a una serie di credenze folkloriche ampiamente studiate da Rank 49, e che troviamo nella Storia del riflesso perduto (Die Geschichte des verlore-nen Bildes) dalle Avventure della notte di San Silvestro (Die Abenteuer der Silvesternacht, 1813-15) di Hoffmann, o in Monsieur de miroir di Haw-thorne (che però è più una riflessione generalizzante che una narrazio-ne), e poi nel film Lo studente di Praga di Stellan Rye. O ancora nel tema dell’ombra, che ha diramazioni letterarie e folkloriche altrettanto ampie, oltre ad avere un rapporto stretto con la nozione junghiana di «Ombra» come parte oscura della persona; fra le sue realizzazioni più note sono da ricordare La storia straordinaria di Peter Schlemihl (Peter Schlemihls wun-dersame Geschichte, 1814) di Adalbert von Chamisso, spesso considerata uno dei capolavori del doppio, anche se si tratta in realtà del procedimen-to opposto, della scissione e della perdita di una parte del sé (come nel Naso di Gogol’, nella Donna senz’ombra di Hofmannsthal, e nel Viscon-te dimezzato di Calvino); e l’Ombra (Der Schatten, 1847) di Andersen, in cui l’ombra prende invece consistenza autonoma, incarnando le pulsio-ni represse dello scienziato protagonista e giungendo alla fine a un ama-ro, paradossale ribaltamento di ruoli 50 (lo stesso meccanismo narrativo impronta un film di Maurizio Nichetti, Luna e l’altra, 1996; un dialogo con la propria ombra è al centro di un romanzo di Ladislav Fuks, Il signor Theodor Mundstock [Pan Mundstock, 1963]). Una variante paradossale, che potremmo formalizzare come tema del vestito, si trova in un raccon-to proveniente dall’area sudamericana che in questo secolo ha visto una rinascita del fantastico, I vestiti pericolosi (Las vestiduras peligrosas, 1970) della scrittrice argentina Silvina Ocampo: la protagonista Artemia si fa confezionare vestiti audaci, e il giorno dopo averli indossati apprende che una ragazza con lo stesso vestito è stata violentata e uccisa, finché sarà lei la vittima, uscita intenzionalmente con abiti maschili per sfuggire a que-sto tragico sdoppiamento 51. Si possono ascrivere a questo gruppo anche i temi della maschera, di grandissima diffusione, e della creatura artificiale, in cui l’identità si sdoppia fra un personaggio e una creazione meccani-ca, come nella leggenda ebraica del Golem, mostro creato nel Cinquecen-to dal rabbino di Praga che nel racconto di Gustav Meyrink (Der Golem, 1915) – dominato da una marcata dimensione onirica e da una continua vacillazione dell’identità – è capace di riprodurre i tratti della persona con

49 Rank 1914: cap. 4. 50 Cfr. Trevi 1982; Minuzzo. Bachiega 1984, molto centrato sulla Frau ohne Schat-

ten di Hofmannsthal; e Valcarenghi 1990. 51 Cfr. Poggi 1978; il racconto fa parte della raccolta Los días de la noche.

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Introduzione

cui interagisce 52. Il tema è notoriamente la cifra della scrittura fantastica di Hoffmann, e torna poi, ovviamente trasformato, in un romanzo del caposcuola del nouveau roman, Alain Robbe-Grillet (Dijin, 1981-1985), nel cinema (Metropolis di Fritz Lang), e nel fumetto: ad esempio in Super-man II 53; risulta inoltre assai adatto alla critica dell’intelligenza artificiale e dell’omologazione contemporanea, come nei racconti Il doppio meccanico (Der mechanische Doppelgänger, 1959) di Hermann Kosack e The Dummy (1978) di Susan Sontag 54. Una variante recente è la clonazione, in cui il doppio diventa multiplo, molto presente nella fantascienza e reimpiegato anche in chiave comica nel cinema.

Come il doppio, anche la metamorfosi mette apertamente in crisi il principio di identità: alla fissità e alla rigidità dell’universo quotidiano si contrappone un universo fluido e sfuggente. è un tema che si configura nei secoli essenzialmente come un dialogo intertestuale con il poema di Ovidio, da Dante a Petrarca a Marino, ma che subisce nuove geniali rivi-sitazioni nel Novecento (ovviamente Kafka). La riscrittura di questo tema da parte di Stevenson nello Strano caso di Dr. Jeckyll e Mr. Hyde (Strange Case of Dr. Jeckyll and Mr. Hyde, 1885) rientra nella dinamica dell’iden-tità sdoppiata, in quanto la personalità dello scienziato si scompone nel-la sua metà pulsionale, anche se Jeckyll e Hyde ovviamente non si posso-no mai incontrare né possono interagire (in ciò sta la differenza tra dupli-cazione e metamorfosi; Doležel parla in proposito di «doppio esclusivo», contrapposto al più autentico «doppio simultaneo» 55). Al vertice di questa progressione troviamo due temi strettamente interrelati, il sosia e il dop-pio, entrambi basati sulla duplicazione di un personaggio e delle sue mar-che di identificazione (nome, corpo, nascita ecc.). Nel tema del sosia i due personaggi restano due entità distinte (in genere con nomi diversi), uni-te da una somiglianza “naturale” assolutamente eccezionale, che può an-che risultare non perturbante, come nella novellistica rinascimentale o nel Principe e il povero (The Prince and the Pauper, 1882) di Mark Twain, ba-sato sul topico scambio di identità fra due personaggi di rango sociale op-posto (motivo onnipresente: lo si trova, ad esempio nella pochade Pulce nell’orecchio di Feydeau, e lo ritroveremo in chiave parodica in Nabokov). Questo tipo di scambio è diffuso nel teatro spagnolo del Seicento nella variante del sosia del sovrano (una versione attualizzata di questo topos è

52 Sul motivo del Golem cfr. Held 1927, con un’interessante appendice sull’essen-za del doppio.

53 Frezza 1995: capp. 3-4. 54 Moraldo 1994: 46-49. 55 Cfr. Doležel 1985: 470, che parla di «nature périphérique de la métamorphose

dans la typologie du double. L’essence même du thème semble devoir être exprimée par les doubles simultanés».

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4. Il campo tematico dell’identità sdoppiata

alla base del romanzo di Roberto Andò, Il trono vuoto, Bompiani 2012), che condensa (e ‘scorona’, direbbe Bachtin) la sacralità ambivalente del potere (Il re per somiglianza [El Rey por semejanza, 1600] di Grajales; Con-fusione al palazzo [El palacio confuso, 1630], attribuito a Lope de Vega; e L’avventura del nome [La Ventura con el nombre, 1630], di Tirso da Moli-na, in cui il sosia si rivela essere un fratellastro) 56; una variante che ritorna nella leggenda francese della maschera di ferro ripresa da Dumas, in von Arnim, Nerval, e in un capolavoro del cinema giapponese, Kagemusha (1980) di Akira Kurosawa. Il sosia può avere anche una realizzazione epi-sodica e funzionale all’intreccio all’interno di opere con altri temi domi-nanti, come nei Miserabili (Les misérables, 1862) di Victor Hugo, dove Champmathieu incarna il passato incancellabile di Jean Valjean. Trovia-mo infine il tema del doppio, in cui la duplicazione è completa, e coin-volge ogni tratto della persona, come nel William Wilson di Poe; un tema ovviamente molto calato nelle dinamiche del fantastico.

Questa rassegna inevitabilmente rapida e sommaria di temi definiti in astratto e brevemente esemplificati potrà almeno avere suggerito la va-stità e la ricchezza di questo campo tematico: la letteratura è stata sempre ossessionata da sdoppiamenti, scissioni, rifrazioni e trasformazioni della persona, e ha continuamente messo in crisi l’idea unitaria dell’io. La de-finizione circoscritta di un tema del doppio in senso stretto da cui erava-mo partiti risulta così la punta più esplicita e più avanzata di una rete di temi parenti, a sua volta parte di un universo semantico ancora più am-pio, quello dell’identità e dei suoi turbamenti, che costituisce una sorta di dimensione fondamentale della letteratura: del suo incrinare i ruoli so-ciali e sessuali prefissati, del suo sovvertire le logiche dominanti, della sua tendenziale regressività (aspetti che si sono fatti più acuti nella nostra età postfreudiana). Lo sdoppiamento esplicito può sembrare ad alcuni, come infatti è sembrato, un effetto ingenuo e quasi rozzo (una valutazione este-tica su cui ovviamente non concordo), soprattutto se paragonata alle infi-nite sfaccettature dell’io che la narrativa del Novecento ha rappresentato a partire dagli io multipli di Proust, o dalle splendide soluzioni visiona-rie di Kafka, che nel Castello raffigura un universo continuamente minac-ciato nella sua stabilità dalla somiglianza. All’interno del campo tematico ora delineato, l’identità sdoppiata, l’esplicitezza rappresenta comunque il culmine di un attacco sistematico al principio di identità, in cui diventa particolarmente chiaro quel ritorno di credenze magiche e infantili supe-rate dal maturare della razionalità che costituisce secondo Freud l’essenza dell’effetto perturbante.

56 Cfr. Frenzel 1988: 96-97, che cita svariati altri drammi spagnoli con successi-ve rielaborazioni.

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Introduzione

5. Situazioni del doppio

In questo libro ci occuperemo dei temi del sosia e del doppio (che per la loro contiguità e per comodità espositiva chiameremo tout court tema del doppio). Pur essendo legato al suo interno da una serie di co-stanti su cui torneremo, il corpus di opere su questo tema è così comples-so e stratificato da imporre un’articolazione diacronica 57. Per coniugare la teoria con la storia comparata abbandoneremo dunque le definizioni astratte, e articoleremo il tema non per opposizioni o per categorie, ma attraverso tre percorsi testuali basati su tre situazioni narrative, che cor-rispondono grosso modo ai tre momenti cruciali nella storia del doppio (l’antichità classica, il barocco, l’Ottocento), anche se le loro diramazio-ni sono ben più ampie. Nella prima situazione, l’identità rubata, lo sdop-piamento è provocato da una forza esterna, connotata di assoluta alterità, che si appropria con violenza dell’identità del personaggio; è la situazione tipica dell’antichità classica, in cui il doppio non è mai frutto di patolo-gie interiori, ma è sempre esteriorizzato e attribuito agli dèi, ben inscritto quindi nei codici di una cultura magico-sacrale. Ciò non toglie che que-sta situazione possa essere rielaborata a partire dalla grande svolta ideolo-gica che più caratterizza la modernità, la rivoluzione industriale, dando vita a soluzioni in cui la forza esterna che provoca lo sdoppiamento as-sume caratteri demonici (d’altronde il Mercurio che nell’Anfitrione ruba l’identità di Sosia era stato spesso letto in età moderna come un diavolo). La persistenza di questa prima situazione giunge fino al cinema, cioè alla forma d’arte che nel Novecento grazie ai suoi forti poteri di visualizza-zione si appropria del doppio, mentre la letteratura percorre le strade del metalinguaggio allegorico o parodico. Nella seconda situazione narrati-va, la somiglianza perturbante, le due metà sono invece sullo stesso piano (una somiglianza in aequalibus, direbbe Agostino): sono due personaggi distinti, accomunati però da una somiglianza eccezionale, spesso marcata da una nascita nello stesso giorno e alla stessa ora, che produce fenomeni di identificazione e di proiezione-introiezione. è la situazione narrativa tipica dell’universo barocco, e della sua idea di realtà metamorfica e pro-teiforme, in cui i confini tra io e mondo, tra verità e finzione, sono asso-lutamente labili; non mancano comunque antecedenti medievali, né ri-frazioni in ambito otto-novecentesco. Infine la terza situazione narrativa, la duplicazione dell’io, si basa sull’identificazione totale con una coscienza scissa in due, senza esplicitare mai le cause (presumibilmente allucinato-rie) dello sdoppiamento: il lettore può quindi immergersi completamen-

57 Sui problemi della storicizzazione nelle ricerche tematiche cfr. Ceserani 1996b: 96-98.

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5. Situazioni del doppio

te in un mondo fittizio in cui esistono due incarnazioni dello stesso per-sonaggio. è la situazione tipica del romanticismo e del suo interesse per la follia e per ogni forma di patologia mentale: un interesse strettamente legato alle costruzioni sociali e culturali operate dalla psichiatria nascen-te. Un’organizzazione tripartita è particolarmente soggetta al rischio di volere essere troppo hegelianamente perfetta: di volere esaurire tutta la ricca casistica. In particolare, trattandosi di un tema che è parte integran-te dell’universo fantastico (ma non sempre e non necessariamente), può sorgere il sospetto che si stia ricalcando la tripartizione proposta a suo tempo da Todorov per questo genere letterario: quella fra strano (quan-do il testo, dopo una certa oscillazione, fornisce al lettore una spiegazio-ne naturale degli eventi), fantastico (quando il testo lascia sospesa l’oscil-lazione fra naturale e soprannaturale) e meraviglioso (quando il testo raf-figura un universo retto da leggi soprannaturali) 58. Si tratta di una teoria ingegnosa, non priva di un suo fascino, ma che lascia insoddisfatti da di-versi punti di vista. Fra le varie discussioni suscitate dal saggio todorovia-no mi sembrano da condividere le critiche espresse nel volume collettivo La narrazione fantastica, pubblicato a Pisa nel 1983: in particolare le os-servazioni di Remo Ceserani sull’assenza di dimensione storico-culturale, e quelle di Lucio Lugnani sull’eccessiva disomogeneità fra i tre termini, soprattutto fra il meraviglioso, che copre l’arco di millenni e svariati ge-neri letterari, e il fantastico, strettamente circoscritto a Otto e Novecen-to (mentre lo strano è contrapposto a un inesistente genere normale) 59. I tre itinerari testuali alla base dei tre capitoli non sono categorie astrat-te: sono le modalità attraverso le quali il tema del doppio si concretizza e si trasforma nel corso delle varie dinamiche storico-culturali, il che non esclude ovviamente intersezioni fra i singoli percorsi. La scelta dei testi che li esemplificano non vuole essere nemmeno lontanamente esausti-va, né tantomeno canonica: si è proceduto a una campionatura di alcu-ne opere che sono sembrate particolarmente significative, preferendo una serie di letture ravvicinate all’accumulo frammentario di brevi menzioni. Al lettore spetta poi di riempire le caselle vuote e di arricchire gli itinera-ri con altri esempi tratti anche da altri ambiti. La scelta è comunque tut-ta interna alla tradizione euro-americana e alla forma narrativa (in senso lato, comprensivo cioè del dramma), più consona alla rappresentazione delle dinamiche di sdoppiamento (ciò non toglie che il tema sia presente anche nella poesia lirica soprattutto novecentesca, ad esempio in Sylvia Plath o in Giorgio Caproni; così come è presente anche fuori dalla lette-

58 Todorov 1970. 59 Ceserani 1983; Lugnani 1983 a. Sintesi e rassegne critiche in Finné 1980: cap. 1;

Bonifazi 1982: parte 1; e Ceserani 1996b.

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Introduzione

ratura nelle arti visive) 60. La prima delle due limitazioni, quella alla tra-dizione europea, è oggi una scelta assai delicata. Come accennavo prima, l’allargamento (o la contestazione tout court) del canone non deve tra-sformarsi in un nuovo canone alternativo, che censuri la tradizione euro-pea la quale, per quanto sia una nozione oggi in crisi forse irreversibile, conserva per il passato una sua unità (un’unità fatta comunque di con-flittualità e di policentrismo) 61. Anche le ricerche sull’identità sessuale, di stampo tanto femminista quanto omosessuale, hanno in fondo percorso un iter simile: dall’esaltazione della differenza attraverso il gynocriticism, e quindi dalla riscoperta delle scritture marginali, al ripensamento critico dei testi canonici e delle loro latenze, fino alla “indifferenziazione” ibrida e performativa della queer theory 62.

60 Si veda l’analisi di Limentani Virdis 1981, focalizzata sulla mise en abyme nella pittura fiamminga e olandese.

61 A riguardo si possono confrontare le posizioni piuttosto differenti di Moretti 1993, che sottolinea gli elementi pluralistici e il distacco dalla tradizione antica, e di Padua-no 1993, che insiste invece sull’unità della tradizione europea, preferendo questo termine al più diffuso “occidentale” perché meno valutativo e più storicamente determinato (si potreb-be mai definire la letteratura australiana una letteratura occidentale?).

62 Su cui cfr. Pustianaz 1996: 124-126.

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6. Qualche considerazione conclusiva

6. Qualche considerazione conclusiva

Anche se molto diversificati nello spazio e nel tempo, i testi sul dop-pio hanno una loro omogeneità – altrimenti non avrebbe più senso parla-re di un unico tema letterario 63– prodotta da una serie di costanti: la cri-si della lettura razionale del reale e dello spaziotempo, che produce l’in-crocio con temi paralleli come la follia, il sogno, l’allucinazione, la droga, e che può portare talvolta al ribaltamento dell’opposizione vero/falso; il conflitto tra istanze psichiche opposte e la scomposizione dell’identità: un conflitto che cela contenuti repressi di vario genere e che sfocia quasi ine-vitabilmente nell’eliminazione di una delle due metà, nell’omicidio-suici-dio, come se l’identità sdoppiata non potesse sussistere a lungo; la disso-nanza tra l’io e il mondo, tra il protagonista e l’universo sociale, che im-plica talvolta un blocco narcisistico e una difficoltà nella relazione amo-rosa; e infine, per suggerire una certa correlazione fra tematologia e forme espressive, una netta predilezione per i generi ibridi e riflessivi (quindi in fondo sdoppiati), come la tragicommedia e il metaromanzo, e per le tec-niche soggettive, come (nei testi narrativi) la focalizzazione ristretta che è infatti la cifra dominante del racconto fantastico. Sono tutti tratti che ri-corrono non sempre e non sempre con la stessa intensità, ma che possono dare una prima idea del corpus, che sarà chiara solo alla fine degli itinerari.

Perché poi questo tema sia così presente nelle letterature di tutti i tempi è una questione complessa, forse oziosa o forse pretenziosa, a cui comunque non si può rispondere in modo univoco. Una prima risposta può venire dalla psicanalisi, una scienza in cui la nozione di doppio ha giocato e gioca un ruolo significativo, dal perturbante freudiano all’om-bra junghiana, dall’identificazione kleiniana allo specchio lacaniano, fino al gemello immaginario di Bion e ad altri sviluppi 64. Il saggio Sul pertur-bante (Das Unheimliche, 1919) è senz’altro il più bello fra quelli dedicati da Sigmund Freud alla letteratura, perché abbandona la prospettiva bio-grafistica e si concentra sul momento della ricezione letteraria: l’effetto perturbante si produce nel lettore per il ritorno di credenze infantili legate al pensiero primitivo (animismo, magia, onnipotenza dei pensieri, e tutte gli altri fenomeni indagati in Totem e tabù) e superate dal maturare del-la razionalità. Il prefisso negativo del termine tedesco unheimlich (un ter-mine intraducibile in altre lingue) suggellerebbe la dialettica repressione/

63 Data la grande epidemia di doppi nell’Ottocento romantico, Jourde e Tortonese 1996 parlano di preistoria del doppio per le epoche precedenti; mi sembra però che questa soluzione, in sé senz’altro comprensibile, tenda troppo a sminuire il potere perturbante di tutta la tradizione antica e barocca.

64 Per una messa a punto si veda Couvreur, Fine e Le Guen 1995.

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Introduzione

represso: ciò che era familiare un tempo, diventa ora sinistro. Il tema del doppio, per il suo essere intrinsecamente connesso a un’indistinzione pri-maria tra io e non io, rientra pienamente in questa ampia fenomenologia letteraria. Per mettere meglio a fuoco questo elemento dell’indistinzione possiamo ricorrere alla riformulazione del pensiero freudiano da parte del-lo psicanalista cileno Ignacio Matte Blanco, a cui abbiamo già fatto rife-rimento 65. Secondo Matte Blanco l’inconscio non va identificato, come si fa spesso, con il rimosso, né va considerato una zona a sé o un’istanza, ma una vera e propria logica autonoma, dominata dai principi della generaliz-zazione e della simmetria, che agli occhi della logica aristotelica dominan-te, del tutto asimmetrica e basata sui principi di identità e non contrad-dizione, appare un vero e proprio regno dell’illogico. Per la logica dell’in-conscio non esistono differenze tra individuo e classe, e non esistono rela-zioni che non siano simmetriche: se il piede è una parte del corpo, anche il corpo è una parte del piede. Ne deriva un modo di essere che tende a una totalità omogenea e indivisibile, non separa tra il sé e il non sé, e non conosce la frammentazione dello spaziotempo; un modo opposto a quel-lo del pensiero conscio, basato sulla differenziazione e sulla divisione spa-ziotemporale. è ovvio che il modo di essere della logica inconscia non è concepibile allo stato puro, in quanto coinciderebbe con il caos assoluto: il linguaggio può descriverlo solo attraverso una formazione intermedia come il concetto di infinito. Matte Blanco insiste a lungo sull’importanza di questi elementi bi-logici (cioè partecipi di entrambe le logiche) come l’infinito, dato che anche il pensiero più razionale possiede sempre delle sacche di simmetria. Ed è proprio questo rapporto inestricabile fra le due logiche che ci può aiutare a mettere meglio a fuoco il doppio in letteratu-ra. L’indistinzione tra il non sé e il sé, tra l’altro e lo stesso, non è dunque esprimibile mai pienamente. Il doppio è uno dei modi con cui il linguag-gio e la letteratura possono però veicolare l’alterazione dei tratti fonda-mentali dell’identità: possono formalizzare la scomposizione della persona in diverse istanze conflittuali (le varie forme del represso, morale sessuale razionale), la frantumazione dell’io nel tempo (le diverse personalità che si assumono nelle varie fasi dell’esistenza), la proiezione di parti di sé negli altri (i vari fenomeni di identificazione, con cui si costruisce l’identità non solo soggettiva, ma anche culturale e di comunità 66). Per quanto queste generalizzazioni vadano sempre fatte con cautela, si può cogliere qui uno dei tratti fondamentali della scrittura letteraria; il suo continuo oscillare

65 Cfr. Matte Blanco 1978 e 1988. 66 Molte suggestioni a riguardo in Orlando 1996b, testo della «lezione Sapegno» de-

dicata ai rapporti tra letteratura, arte e identità nazionali; come è noto oggi è un tema com-plesso e spinoso, soprattutto nella prospettiva postcoloniale, su cui si sofferma nello stesso libro Gorlier.

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6. Qualche considerazione conclusiva

fra ordine e disordine, fra censura ed eversione. Da un lato la letteratura attinge come pochi altri linguaggi alla logica simmetrica dell’inconscio, e predilige gli elementi regressivi e trasgressivi; dall’altro, in quanto istitu-zione sociale, deve rendere comunicabile al suo pubblico l’incomunicabi-le (non a caso la censura gioca un ruolo primario nell’estetica di Freud, cosa che i surrealisti non capirono) 67. Come vedremo nel corso dell’anali-si testuale, le opere sul doppio organizzano delle opposizioni nette, incar-nate dai due personaggi sdoppiati (le più ovvie sono quelle fra coscienza morale e pulsioni libidiche), e questo corrisponde certo all’aspetto dell’e-sprimibilità e della comunicabilità (cioè al momento repressivo e raziona-le); ma nello stesso tempo tendono sempre a destabilizzare queste opposi-zioni, scardinando ogni fissità dei ruoli sociali, sessuali, culturali (e questo è certo il momento del represso e dell’indistinto). Il doppio è insomma un mezzo nello stesso tempo per incrinare la logica dominante, e per for-malizzare questa rottura e questa violazione del principio di identità. L’a-nalogia di fondo fra il doppio e la scrittura letteraria trova conferma nei processi di produzione e di ricezione: come è stato spesso notato, l’auto-re proietta sempre un’altra immagine di sé nell’opera, sdoppiandosi, così come simmetricamente il lettore deve assumere un altro io, un sosia, per entrare appieno nel mondo fittizio 68; entrambi gli sdoppiamenti sono po-tenziati dagli effetti di rispecchiamento dell’opera nell’opera (la cosiddetta mise en abyme) 69, e quindi da tutti i casi in cui un’opera contiene dentro di sé un altro testo, un altro racconto e un altro pubblico fittizio. Non è un caso forse che le opere del nostro corpus prediligano questi procedimenti metaletterari: dal metateatro di Euripide e di Plauto ai manoscritti ritro-vati di Hoffmann e Hogg, dal metaromanzo sterniano di Jean Paul al mo-dernismo autocosciente di James e Conrad, dal pastiche parodico di Na-bokov (che suona già quasi postmoderno) alla riscrittura allegorica di Pa-solini. Le opere sul doppio non si limitano solo a fare emergere una logica altra dell’indistinto, ma rappresentano anche lungamente la relazione che si instaura fra i due personaggi: una relazione che nella narrativa moder-na diventa talvolta triangolare, con quella mistione fra attrazione e rivalità in cui Girard ha individuato il desiderio mimetico; il doppio diventa così veicolo privilegiato per esprimere contenuti oggetto di repressione secola-re, come la pulsione narcisistica o l’attrazione omosessuale.

In un famoso libro del 1968 Paul Zweig ha dimostrato che il narci-sismo costituisce una sorta di eresia che attraversa tutta la cultura occiden-tale: sempre demonizzato, riaffiora solo in alcuni momenti chiave del pen-

67 Cfr. Lavagetto 1985: parte 5, in particolare 317-328. 68 Su questo importante fattore della lettura letteraria cfr. F. Bertoni 1997: 188-198. 69 Su questo concetto critico trasposto dall’araldica alla critica letteraria da André

Gide si veda il saggio ormai classico di Dällenbach 1978.

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Introduzione

siero e della letteratura come preservazione positiva dell’io dalla dispersio-ne e dalla frammentazione del mondo. Anche la psicanalisi, che l’ha de-scritto scientificamente sottraendolo alla valutazione morale e universaliz-zandolo come fenomeno primario, tende talvolta (almeno nella sua vulga-ta), per una sua intrinseca teleologia, a considerare il narcisismo come una fase necessariamente transitoria, che dovrebbe concludersi in una relazio-ne oggettuale matura 70. La letteratura sul doppio mostra splendidamen-te come ogni forma di eros e di rapporto sia caratterizzato da una profon-da ambivalenza, e implichi sempre una proiezione di parti del sé: quella confusione fra altro e lo stesso che è stata espressa per la prima volta e nel modo più fascinoso dal mito di Narciso.

70 Bisogna ovviamente distinguere fra narcisismo primario, presente in ogni essere umano come un elementare attaccamento all’esistenza, e narcisismo secondario e patologi-co, fonte di svariate nevrosi; quello che spesso si trascura è quanto di narcisistico possiede ogni relazione oggettuale, anche la meno nevrotica; sulla costellazione narcisismo, omoses-sualità, doppio si veda Braunschweig 1995.


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