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Larissa Ione

Traduzione dall’inglese di Vanessa Valentinuzzi

IL caVaLIere eTerno

FANUCCI EDITORE

romanzo

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Della stessa autrice abbiamo già pubblicato:

Dal catalogo Leggereditore

Serie Demonica:

Brivido eternoDesiderio eternoPassione eterna

Di prossima pubblicazione:

Il cavaliere immortale

Prima edizione: aprile 2012Titolo originale: Eternal Rider© 2011 by Larissa Ione Estell© 2012 by Fanucci Editorevia delle Fornaci, 66 – 00165 Romatel. 06.39366384 – email: [email protected] internet: www.fanucci.itThis edition published in agreementwith the author, c/o BAROR INTERNATIONAL, INC.,Armonk, New York, USA.Proprietà letteraria e artistica riservataStampato in Italia – Printed in ItalyTutti i diritti riservatiProgetto grafico: Grafica Effe

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Larissa Ione

IL cavaLIere eterno

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Prologo

Il suo nome era Lilith, ed era una malvagia demone succube. Il suonome era Yenrieth, ed era un angelo buono.

Dopo aver passato centinaia di anni a sedurre esseri umani, Lilithera annoiata. Così, decise di conquistare Yenrieth, la sfida finale. Luile resistette. Lei lo inseguì. Lui le resistette ancora. Andarono avantiper decenni, finché accadde l’inevitabile. Dopotutto, lei era bella e alui piaceva un po’ troppo il buon vino.

Nessuno sa cosa accadde a Yenrieth dopo la loro notte di passionema, nove mesi dopo, Lilith diede alla luce quattro bambini, tre maschie una femmina. Li chiamò Reseph, Ares, Limos e Thanatos. Lilith ten-ne Limos, la bambina, con lei a Sheoul, e destinò i maschi al mondodegli umani, scambiandoli con i neonati di famiglie ricche e potenti.

Quei ragazzi crebbero fino a diventare uomini, senza mai sospet-tare nulla delle proprie origini. Almeno fin quando i demoni non siribellarono diffondendo terrore e cercando di usare i figli di Lilithcontro la specie umana. Limos fuggì da Sheoul, trovò i suoi fratellie gli rivelò la verità sulla loro discendenza.

Ormai i figli di Lilith avevano visto le loro terre e famiglie distrut-te dai demoni e, accecati dall’odio e dal bisogno di vendetta, incorag-giarono gli umani – manipolandoli e, a volte, usando la forza – adaiutarli per combattere infinite battaglie contro gli abomini del mon-do delle tenebre. Ma tutto ciò non fu ben visto nel regno dei cieli.

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Zachariel, un angelo dell’Apocalisse, guidò sulla Terra una legio-ne di angeli che si scontrò contro le orde del demonio. Quando la ter-ra e le acque furono inondate da fiumi di sangue e gli umani non po-terono più sopravvivere in quelle terre velenose, Zachariel fece unpatto con il diavolo.

I figli di Lilith dovevano essere puniti per aver trascinato la raz-za umana sull’orlo della catastrofe pur di seguire il loro egoisticoproposito di vendetta. Visto che avevano quasi provocato la fine delmondo, gli spettò il compito di custodi dell’Armageddon. Difensorio istigatori, la scelta sarebbe ricaduta sulle loro spalle.

A ognuno di loro fu dato un Sigillo, e a ogni Sigillo erano legatedue profezie. Se fossero riusciti a proteggere i Sigilli nei tempi rive-lati dalla profezia della Bibbia, le loro anime e la razza umana sareb-bero state salve.

Ma se avessero lasciato che i Sigilli fossero prematuramente spez-zati, come era scritto nella Daemonica, la bibbia dei demoni, lorosarebbero diventati malvagi e conosciuti per sempre con il nome diPestilenza, Guerra, Carestia e Morte.

E fu così che nacquero i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.

Sei mesi prima...

«Mmm... mi piace la storia della tua nascita. Non ti fa ve-nire i brividi quando la ascolti?»

Ares, seduto al bancone di un pub negli inferi, tentò diignorare la donna dietro di lui, ma era difficile farlo mentrequella gli strusciava il seno sulla schiena e lasciava scivolare lemani delicate dalla vita verso il suo interno coscia. Il calore dilei bruciava attraverso la sua dura corazza di pelle.

«Sì. Brividi.» C’era sempre qualche idiota che leggeva ad al-ta voce la targa appesa al muro ogni volta che lui era lì... il checapitava spesso. La taverna, che guadagnava principalmentegrazie ad Ares e ai suoi fratelli, era la sua seconda casa. Era no-ta come I Quattro Cavalieri e quando arrivava Ares la mag-gior parte dei demoni si dileguavano verso il fondo o si preci-

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pitavano fuori tramite la porta sul retro. Saggio. Ares disprez-zava i demoni e questo, unito al suo debole per le scazzottate,portava a... brutte conseguenze... per i tirapiedi dell’inferno.

Ma il sesso opposto era un po’ più coraggioso, o forse piùeccitato. Demoni mutaforma, licantropi, e vampiri femminafrequentavano quel pub ogni giorno della settimana, a ogniora, nella speranza di mettere mani, zampe o zoccoli su Ares ei suoi fratelli. Dannazione! Ares non poteva muoversi senzache il suo cazzo ne urtasse una. Di solito era un po’più apertoall’alcol, al gioco d’azzardo, e in generale al cacciarsi nei guai,ma qualcosa non andava quel giorno. Era nervoso. Irrequieto.

Non si sentiva mai così.Stava perfino rischiando di perdere la partita a scacchi con-

tro Oni, quel roseo e grassoccio barman, e Ares non perdevaa nessun gioco di strategia da... be’, da sempre.

«Oh, Guerra.» Cetya, una femmina di demone Sora, glipassò la lingua lungo la parte alta dell’orecchio. «Devi sape-re che questo ci fa eccitare.»

«Il mio nome,» disse a denti stretti «è Ares. E non vi consi-glio di rimanere in giro il giorno in cui diventerò Guerra.»Mosse la torre, tracannò metà della birra, e stava facendo cen-no per ordinarne un’altra quando sentì la mano della demo-ne tra le sue gambe.

«Preferisco sempre Guerra.» La sua voce era un fremito se-duttivo, le sue dita svelte nel cercare la cerniera dei pantaloni.«E Pestilenza... un nome così sexy.»

Solo un demone poteva pensare che Pestilenza fosse unaparola eccitante. Ares si tolse di dosso quella mano rossa. Leiera una delle usuali compagne di letto di Reseph, una dellecentinaia di ammiratricidei Cavalieri che amavano farsi chia-mare Le ammiratrici del Giorno del giudizio.

Si erano addirittura suddivise in sottogruppi a seconda dichi fosse il loro Cavaliere preferito; alle ammiratrici di Arespiaceva farsi chiamare Seguaci. Le Seguaci di Guerra.

Il barman fece una mossa stupida con il cavallo e Ares na-scose un sorriso nel boccale di birra.

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La demone, in tutto simile a un fumetto, tracciò con l’un-ghia il profilo dello stallone tatuato sull’avambraccio di Ares.«Lo adoro.»

Poco importava che Battle fosse sotto la sua pelle o sotto lasua sella, era il suo cavallo e quindi parte di lui quanto lo era-no i suoi stessi organi; Ares si irrigidì alla sensazione di quel-le carezze sul braccio e sulla testa contemporaneamente.Ogni tipo di contatto con quel tatuaggio gli procurava una se-rie di sensazioni perturbanti alle parti corrispondenti del suocorpo, il che poteva essere estremamente fastidioso. O piace-volmente inopportuno...

Ares lanciò il boccale lungo il bancone del bar e fece scivo-lare la regina con una mossa vincente. Una sensazione di tri-onfo gli vibrò attraverso tutto il corpo, gratificando quella par-te della sua anima affamata di vittoria. «Scaccomatto.»

Il barman imprecò, il demone Sora rise, e Ares si alzò in pie-di. Con i suoi quasi due metri di altezza faceva sembrare pic-cola la demone, che tuttavia non si turbò e premette su di luitutto il suo corpo vestito di una canottierina e minigonna.

La coda sibilò sul pavimento coperto di fieno, le corna ruo-tarono come puntute antenne satellitari, e se il suo sguardofosse diventato più bollente, ad Ares avrebbero cominciato adar fastidio i pantaloni.

Odiava la reazione del suo corpo ai demoni, non si era maieccitato davvero per una donna che non avesse almeno lesembianze umane.

Alcuni rancori durano una vita.«Me ne vado.» Nonostante il bel colpo a scacchi, l’agitazio-

ne cominciò a prudergli sotto la pelle come quando stava perscoppiare una guerra globale. Doveva tornare alla caccia diuna sua ex amica di letto, una demone chiamata Sin che ave-va dato inizio a un‘invasione di licantropi, owarg, come ama-vano farsi chiamare. Ares e i suoi fratelli avevano scoperto so-lo di recente, che lei era la chiave di una profezia che, se sifosse avverata, avrebbe spezzato il Sigillo di Reseph per tra-sformarlo in ciò che Cetya desiderava: Pestilenza.

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Sin doveva morire prima che scoppiasse una guerra civiletra licantropi.

Incapace di rimanere ancora lì fermo, lanciò un marco diSheoul al barman con tre occhi. «Offro io.»

Con una presa decisa fece scansare un demone Velcrouscendo a grandi passi dalla taverna verso il crepuscolo eter-no. Un’aria calda e fangosa che puzzava di zolfo gli riempì ipolmoni, e i suoi stivali sprofondarono nel terreno spugnosoche caratterizzava la regione dei sei laghi di Sheoul, il regnodel demonio nel cuore della Terra.

Battle si dimenò sulla pelle di Ares, impaziente di correre.«Vai» comandò Ares, e in un batter d’occhio, il tatuaggio

sul suo braccio si offuscò, si espanse e si materializzò trasfor-mandosi in un rosso, gigantesco stallone baio. Battle gli die-de un colpetto con il muso per salutarlo o, più probabilmen-te, per qualche zolletta di zucchero.

«Hai dimenticato questo.»Sempre pronto a mantenere alta la sua reputazione, Battle

mostrò i denti al demone Sora che era in piedi sulla porta del-la taverna, la coda attorcigliata intorno al manico di un pu-gnale con cui giocherellava.

La proposta indecente nel suo sguardo voluttuoso gli ri-velò che era stata lei a sfilargli via l’arma, ma lui lo sapeva.Non lasciava mai armi al suo passaggio.

Certo, non se le faceva neanche rubare. Quella femminaera brava. Molto brava. E, anche se di solito non gli piaceva-no i demoni, doveva ammettere che ammirava il suo talento.Non c’era da stupirsi se a Reseph piaceva così tanto. ForseAres avrebbe fatto un’eccezione alla sua regola niente-demo-ni-con-l’aspetto-di-demoni...

Sorrise, si avvicinò a lei... e si fermò di colpo.Sentì un formicolio alla nuca come avvertimento. Con un

nitrito furioso Battle si sollevò su due zampe, e dalla foresta dialberi scuri guizzò fuori un segugio degli inferi grosso quan-to un bisonte. Ares scrutò attentamente il fianco sinistro dellabestia, cercando, senza trovarla, la cicatrice dentellata che

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avrebbe identificato la vile creatura che cercava da migliaia dianni. Fu scosso dalla delusione anche mentre spingeva via dalì il demone Sora, una mossa stupida che per poco non lo fe-ce finire tra le sue zanne schioccanti.

Ares e i suoi fratelli erano immortali, ma il morso di un se-gugio degli inferi era veleno per i Cavalieri; li avrebbe para-lizzati e poi sarebbe cominciata la vera sofferenza.

Planò a terra mentre Battle assestò un colpo con il potentezoccolo, agganciò l’altro animale alle costole e lo fece ruzzola-re fino alla porta della taverna. Il cane si riprese così veloce-mente da far sembrare il colpo di Battle il morso di una pulce,e puntò il demone Sora, che arrancò all’indietro poggiandosisu mani e piedi. Il terrore di lei era palpabile, come piccoli col-pi di frusta sulla pelle di Ares; intuì che era alla sua primaesperienza con un segugio degli inferi.

Un dannato modo di perdere quel tipo di verginità.«Ehi!» Distrai. Ares fece una capovolta, balzò in piedi ed

estrasse la sua spada. Provoca. «Sono qui, bastardo pezzo dimerda.» Finisci.

Gli occhi purpurei del cane scintillavano nell’attesa men-tre si muoveva oscillando, fondendosi in una forma del ma-le nera come l’inchiostro. Ares lo affrontò direttamente, sfer-rando il colpo carico del quintale d’armatura. Quando quellamole di acciaio si scontrò con le ossa fece un rumore che la-cerò l’aria. Un tremore dovuto all’impatto colpì le braccia diAres e un copioso fiotto di sangue sgorgò dal petto del segu-gio degli inferi.

Un ringhio raccapricciante fuoriuscì dalla gola del segugiomentre lanciava un sorprendente contrattacco, scagliando l’e-norme zampa sul petto di Ares. Gli artigli gli graffiarono i pet-torali, Ares fece un balzo all’indietro schiantandosi contro unacolonna di pietra per le adunanze. Il dolore sulla parte superio-re del suo corpo fu lancinante, poi il segugio degli inferi fu dinuovo su di lui e le sue zanne si chiusero violentemente a unmillimetro dalla sua giugulare. L’alito fetido gli bruciò gli occhi,e una saliva pungente e schiumosa gli colò sulla pelle. Gli arti-

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gli della bestia gli strapparono l’armatura, e ci volle ogni forzarimasta per impedire al cane di squarciargli la gola. Anche seBattle continuava a colpire il corpo di quel cane, la creaturacombatteva fino all’ultimo per azzannargli un pezzo di carne.

Ares infilzò la pancia dell’animale spingendo con violen-za la lama verso l’alto. Mentre la bestia urlava di dolore, Aresruotò con il corpo, si contorse e mise la spada in una posizio-ne tale da formare un bizzarro arco.

Bizzarro o no, quel colpo tranciò di netto la testa del cane.Quella cosa cadde a terra, in preda agli spasmi, e dal colloaperto uscì, sibilando, del vapore.

Il terreno assorbì tutto il sangue prima che potesse espan-dersi, e centinaia di denti anneriti spuntarono dalla fanghiglia,azzannarono il corpo del cane e cominciarono a masticare.

Battle nitrì divertito. Quel cavallo aveva un senso dell’u-morismo che gli permetteva sempre di ridere del cadaveredel nemico, come fanno i corvi appollaiati davanti alla forca.

Prima che la terra reclamasse la bestia, Ares pulì accurata-mente la lama sul suo pelo, ringraziando ripetutamentechiunque lo stesse ascoltando per non essere stato morso dalsegugio degli inferi. Quel solo pensiero era un orrore senza fi-ne, la paralisi non interrompeva il dolore... o la voglia di gri-dare. Ares lo sapeva per esperienza diretta.

Aggrottò le sopracciglia mentre un pensiero gli frullò perla testa. I vili canidi erano predatori, assassini, ma general-mente cacciavano in branco, perché questo era da solo?

Cos’era successo?Ares gettò uno sguardo verso la porta della taverna. Il de-

mone Sora era scomparso, probabilmente era al bancone delbar intenta a buttar giù bicchierini di Demonfire e, cavolo, eragrandioso il fatto che nessuno fosse uscito fuori per aiutare.Poi pensò che nessun demone sano di mente avrebbe volutoavere a che fare con un segugio degli inferi, neanche con tut-to l’amore per la carneficina, e la maggior parte dei demoniamava la carneficina.

Un luce comparve all’improvviso, e neanche una ventina

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di metri più in là un Varco dei Dannati scintillò tra una neramassa boschiva di alberi storti. I normali Varchi dei Dannatierano passaggi permanenti attraverso i quali potevano viag-giare le creature del mondo delle tenebre, ma i Cavalieri pos-sedevano l’abilità di evocarli quando volevano, il che rendevapiù semplici gli attacchi a sorpresa e le fughe veloci.

Ares rinfoderò la spada mentre Thanatos emergeva dalpassaggio, proiettando ombre minacciose dove non avrebbe-ro dovuto esserci. Sia lui, sia il suo cavallo grigio scuro, Styx,gocciavano sangue denso mentre le narici dello stallone gor-gogliavano.

Non era un’immagine inusuale, ma c’era stata una stranacoincidenza nella tempistica e Ares imprecò mentre balzavain sella a Battle. «Cos’è successo?»

L’espressione di Thanatos si fece scura mentre recuperaval’animale morto. «La stessa cosa che è successa a te, pare.»

«Hai notizie di Reseph o Limos?»Gli occhi gialli di Thanatos scintillarono. «Io andrò da Re-

seph. Tu occupati di Limos.» Non aspettò la risposta di suofratello. Spronò Battle ad attraversare il Varco, il destrierosaltò e i suoi zoccoli atterrarono su un ripiano roccioso resoliscio da secoli di vento e tempeste di ghiaccio.

Era il nascondiglio di Reseph sull’Himalaya, un labirintogigantesco di caverne invisibile all’occhio umano. Ares sceseda cavallo con un solo agile movimento, e i suoi stivali batte-rono sulla pietra emettendo un rumore che echeggiò senzafine nell’aria pungente.

«A me.»In un istante, il destriero si dissolse in una nuvola di fumo

storcendosi e aviluppandosi come un viticcio intorno alla ma-no di Ares fissandoglisi sull’avambraccio, come un tatuaggio.

Ares si spinse dentro la caverna e non aveva ancora fattouna dozzina di passi quando fu colpito lungo la spina dorsa-le da una scossa elettrica da diecimila volt.

È tempo di ballare.Era già senza scampo quando estrasse la spada, il suono me-

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tallico della lama sguainata simile al sospiro di un amante du-rante i preliminari. Non gli importava di essersi appena battu-to contro un nemico; amava combattere, desiderava ardente-mente quel rilascio di tensione che colpiva il suo corpo con laforza di un orgasmo, e aveva deciso molto tempo prima chepreferiva combattere piuttosto che scopare.

Anche se doveva ammettere che dopo una bella zuffa nonc’era niente di meglio che scaricare la tensione con una fem-mina lussuriosa e sensuale. Forse sarebbe tornato alla taver-na dopo, per cercare una delle Seguaci di Guerra.

Con l’adrenalina che gli pompava potente nelle vene, Aresgirò dietro un angolo spigoloso così velocemente che dovettelasciarsi scivolare per cambiare direzione e poi fece irruzionenella zona in cui viveva Reseph.

Suo fratello, con la mano sull’ascia insanguinata, era in pie-di al centro della stanza tinta di fresco sangue colante. Resephansimò, aveva le spalle accasciate, la testa inclinata e i capellibiondo cenere gli nascondevano il volto. Era immobile, i suoimuscoli completamenti contratti. Dietro di lui giaceva il cada-vere di un segugio degli inferi e, in un angolo, un altro deci-samente molto vivo lasciò uscire un ringhio rauco, e le suefauci mostrarono i denti appuntiti.

«Reseph.»Il fratello di Ares non mosse un muscolo.Cazzo. Era vittima di un morso paralizzante.La bestia mosse la testa irsuta in direzione di Ares. Gli oc-

chi rossi brillarono per la sete di sangue mentre recuperava laposizione con le zampe posteriori. Ares calcolò la distanza dalbersaglio in un millesimo di secondo e con una mossa velocelanciò un coltello che si conficcò nell’occhio del segugio degliinferi. Ares sfruttò il vantaggio con un colpo orizzontale allabocca della creatura che ne tagliò di netto la mandibola infe-riore. Il segugio agonizzante ululò furiosamente, inciampò ecadde dando ad Ares l’opportunità di infilare la sua lama pro-prio dritta in quel nero cuore.

«Reseph!» Ares lasciò la spada dov’era e corse dal fratello,

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i cui occhi blu erano sconvolti e vitrei per il dolore. «Comehanno fatto a entrare?»

«Qualcuno,» disse Reseph con un gemito «deve averli...mandati.»

Questo era chiaro ormai. Ma pochi esseri erano in grado digestire e controllare un segugio degli inferi. Quindi, se qualcu-no aveva mandato quelle bestie, era seriamente intenzionato aeliminare Ares e i suoi fratelli, e probabilmente anche Limos.

«Dovresti sentirti speciale» disse Ares, con una leggerezzache non gli apparteneva. «Hai preso due segugi degli inferi,e io solo uno. Chi ti ha fatto incazzare?» Ares avvolse delica-tamente il petto di Reseph con le braccia e lo poggiò a terra.

«Non ti ho detto...» Reseph inspirò a fatica. «L’altra sera...il mio... Sigillo.»

Ares diventò di ghiaccio fino al midollo, e con le mani chegli tremavano strappò via la maglietta di Reseph scoprendola catena che aveva al collo. Il Sigillo era intero, ma quandotoccò con il palmo della mano il medaglione d’oro una vibra-zione densa di malanimo gli colpì il braccio.

«La calamità delle warg...» disse Reseph tra i denti, e tra so-spiri crepitanti. «Peggio. Questo non... va... bene.»

Dire ‘non va bene’, era mantenere un basso profilo. Men-tre Ares stringeva il medaglione, una sottile frattura lo divisea metà. La caverna cominciò a tremare.

Reseph gridò mentre il suo Sigillo si spaccava.Il conto alla rovescia verso l’Armageddon era iniziato.

«Il primo Cavaliere dell’Apocalisse è stato liberato.»Il sergente di plotone Arik Wagner, uno dei rappresentan-

ti dell’unità paranormale dell’esercito degli Stati Uniti, l’R-XR,perse il passo mentre percorreva la lunghezza della sala con-ferenze all’interno del quartier generale dell’Aegis a Berlino.I due poli avevano lavorato indipendentemente per decenni,ma recentemente avevano unito le loro forze per combatterela minaccia sempre più incombente del mondo degli inferi.Arik non aveva mai preso alla leggera le informazioni milita-

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ri dell’Aegis, ma doveva ripetersi in testa le parole di Kynanalmeno un paio di volte prima di afferrarne il senso, figuria-moci per crederci.

Con un sospiro tremante, si concentrò sul percorso da farecercando di non cadere in avanti mentre lanciava sguardi ve-loci a Kynan e agli altri undici Anziani seduti attorno al tavo-lo. Era ovvio che molti erano già informati, ma altri... no, a giu-dicare dallo shock e dalla paura dipinta sui loro volti. Lo shockera prevedibile; ma la paura innervosì Arik. L’Aegis era un’an-tica organizzazione che combatteva i demoni e aveva assisti-to a scenari da fine del mondo ripetutamente, dunque vede-re i suoi capi impauriti... era maledettamente preoccupante.

«Dannazione.» Regan, uno schianto di donna dalla carna-gione bronzea, fin troppo giovane per essere chiamata Anzia-na, si portò la lunga coda di cavallo sulla spalla con un gestoveloce e cominciò a giocare con le punte dei capelli neri, un’a-bitudine, Arik lo sapeva, a cui ricorreva quando era nervosa.

Decker, il partner normalmente imperturbabile di Arik,aveva perso il colorito sul volto e ora si appoggiava allo stipi-te della porta per tenersi dritto in piedi.

«Quando? Come?»«L’ho appena scoperto, stamattina.» Gli occhi blu intenso

di Kynan brillarono mentre spingeva la Daemonica, la bibbiadei demoni, verso il centro del tavolo e la apriva per rivelareuna pagina verso la fine. «È tutto in questo passaggio: ‘Coleiche è una mezzosangue e non dovrebbe esistere porta con séil potere di diffondere calamità e pestilenze. Quando la batta-glia avrà inizio, la conquista sarà sigillata.’» La tensione gli fe-ce corrugare il viso mentre guardava attorno al tavolo. «‘Co-lei che è una mezzosangue’è mia cognata, Sin. Lei ha lanciatola calamità che ha colpito la comunità di lupi mannari e hacondotto al conflitto tra le due specie un paio di giorni fa. Co-me indica la profezia, ‘quando la battaglia avrà inizio, la con-quista sarà sigillata’. La battaglia è ciò che ha spezzato il Sigil-lo del Cavaliere.»

Arik continuò la sua routine faticosa, gli anfibi battevano

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a terra sordi come proiettili attutiti. «Quindi stai dicendo chequesta è una profezia demoniaca?»

Ci fu una lunga pausa prima che Kynan pronunciasse ilsuo inquietante sì con voce roca. Durante il suo periodo nel-l’esercito un demone gli aveva quasi tagliato la gola, e ne sfog-giava le cicatrici e la voce ruvida come una medaglia d’onore.

«Qual è la differenza tra la profezia dei demoni e quella de-gli umani?» Decker aveva recuperato un po’di colorito, il cheandava bene perché altrimenti con quei suoi occhi grigio-blu ei capelli biondi rischiava di sembrare un cadavere rianimato.

Kynan, con i jeans consumati e una maglietta grigia aderen-te, si appoggiò allo schienale della sedia mettendo le mani su-gli addominali. «Sembra che se la profezia della Daemonica siavvererà, i Cavalieri diventeranno una sola cosa con la lorometà oscura, trasformandosi in puro male. Se si realizzerà laprofezia della Bibbia, i Cavalieri somiglieranno all’angelo cheli generò, combattendo dalla parte del bene.»

Arik si fermò all’improvviso. «Cosa? I Cavalieri sono malva-gi. Avete letto il Libro delle rivelazioni? Quando arriverà la finedel mondo porteranno pestilenza, guerra, carestia e morte.»

«Questa è l’interpretazione più diffusa dei passaggi dellaBibbia.» Uno dei capi più anziani, Valeriu, che era anche pa-rente alla lontana di Arik per un matrimonio in famiglia, tam-burellò le dita sul tavolo di quercia. «Ma alcuni studiosi, com-preso me, ritengono che i Sigilli dei Cavalieri saranno spezzatida Gesù, e che i Cavalieri ci condurranno alla fine del mondo,e questa non è necessariamente una cosa cattiva.»

«Certo che no» mormorò Arik. «Ogni Apocalisse è una fe-sta. Porta le tue birre, i pretzel, e le tue armi semiautomatiche.»Regan gli lanciò uno sguardo infastidito. A quanto pareva ilsarcasmo non era apprezzato dal quartier generale dell’Aegis.E neanche dall’R-XR, ma principalmente perché Arik era anco-ra malvisto dopo che aveva fatto un’assenza non autorizzatain servizio, qualche giorno prima, invece di rivelare dove sitrovava la sorella licantropo.

Avere a che fare con l’Aegis era parte della sua punizione.

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«Quindi cosa significa per noi il primo Sigillo spezzato? Pos-siamo ripararlo? Impedire che si spacchino gli altri?»

«Non lo so.» Kynan si lasciò sfuggire un sospiro di frustra-zione. «Dovremo indagare a fondo in tante teorie, profezie,ogni frammento di informazione che possiamo rimediare.»

Merda, ad Arik sarebbe servito un buon drink dopo quel-lo. «Sappiamo cosa farà spezzare il prossimo Sigillo?»

«Abbiamo solo quello che dice la frase successiva dellaprofezia.» Valeriu sfogliò la catasta di fogli di fronte a lui e tiròfuori una sola pagina. «‘L’errore di un angelo porterà la guer-ra, e la sua morte romperà la sua spada. Eppure siate pruden-ti, il cuore di un segugio potrebbe sconfiggerlo.’»

Arik si passò la mano sui capelli rasati, era un’occasione stra-na per notare che aveva bisogno di accorciarli. «Cosa diavolosignifica?»

«Parla del secondo Cavaliere, Guerra.» Valeriu si sistemògli occhiali sul naso. «Non la capiamo tutta, ma crediamo chel’agimortus di Guerra sia un Non caduto.»

Un Non caduto... un angelo caduto confinato sulla terra,non ancora entrato a Sheoul dove diventerebbe irreversibil-mente malvagio. Interessante. «Aspetta.» Arik scosse la testa.

«Agimortus?»«Sì» disse Valeriu. «L’innesco in grado di spezzare il Sigil-

lo. Può essere una persona o un evento.»«Il Sigillo di Pestilenza è stato spezzato a causa di un even-

to» spiegò Kynan. «Sin era un agimortus le cui azioni hannoscatenato una circostanza che ha portato il Sigillo alla rottura.Ucciderla prima che la calamità che aveva lanciato portasse al-la guerra avrebbe evitato la rottura. Ma crediamo che l’agimor-tus di Guerra sia una persona. Uccidere questo essere spez-zerà il Sigillo.»

Arik fece una pausa. «Se sapevi della prima profezia, cheSin era un agimortus, perché non l’hai uccisa?»

Kynan fece un sospiro nervoso. Sin era la sorella dei suoi mi-gliori amici... demoni. «Con il senno di poi è ovvio, ma alloranon lo sapevamo. Eravamo troppo vicini.»

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«Tu eri così vicino.» Regan era in piedi, il suo corpo alto eformoso attirò lo sguardo ammirato di Arik. Non che fosse in-teressato, amava donne più docili e meno ti-uccido-su-due-piedi, ma lei gli ricordava che era un bel po’di tempo che nonfaceva della sana ginnastica da camera. È difficile rimorchia-re quando devi mentire su tutto: dal tuo nome, al tuo lavoro,fino alla storia della tua vita.

Delle macchie rosse screziarono le guance di Kynan. «Sì. Èvero. Avevo letto la profezia un milione di volte, quindi avreidovuto capire da subito che lei era l’agimortus. Ciò che dobbia-mo ricordare è che le profezie vogliono avverarsi. Sono oscureper una ragione. Quindi dobbiamo essere più aggressivi nel-l’impedire che gli altri Sigilli si spezzino.»

Arik considerò tutto quello che gli era stato detto. «La pro-fezia menziona i segugi. I segugi degli inferi hanno per casoa che fare con tutto questo?»

Kynan aggrottò le sopracciglia scure. «Perché?»«L’R-XR ha ricevuto un numero inusuale di segnalazioni di

avvistamenti di segugi degli inferi.»I Guardiani si scambiarono delle occhiate, e Val infine disse:

«Abbiamo notato anche noi un aumento degli avvistamenti. Inostri Guardiani ne hanno visti molti di più la scorsa settima-na che nell’intero anno passato.» Prima che Arik potesse chie-derglielo, Val scosse la testa. «Non sappiamo perché.»

«Okay, quindi dobbiamo trovare un modo per impedire alSigillo di Guerra di spezzarsi. E gli altri Cavalieri? I Sigilliposso essere rotti senza seguire un ordine preciso?»

«Secondo la Daemonica, il Sigillo di Pestilenza doveva spez-zarsi per primo, ma gli altri posso farlo in qualsiasi momen-to. E c’è di peggio» disse Val con aria triste. Fantastico, ora c’e-ra anche di peggio. I drink di Arik sarebbero diventati due.Con un bicchierino di rinforzo in mezzo. «Se uno dei due Si-gilli si spezzerà anche gli altri crolleranno, senza nessun agi-mortus. Una volta che tutti e quattro i Sigilli saranno rotti,sprofonderemo nell’Armageddon.»

Arik sentì i suoi pensieri sparpagliarsi come coriandoli do-

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po un tornado. Aveva così tante domande e intuiva che nonci sarebbero state risposte. «Ci dobbiamo aspettare l’immi-nente rottura di altri Sigilli? O questa storia andrà avanti persecoli?»

«Tecnicamente, potrebbe andare avanti.» Lo sguardo di Re-gan era torvo, la sua voce rauca e cupa. «Ma la morte di Pesti-lenza è già grave. Le malattie si stanno diffondendo in tutto ilmondo, sorgenti sono contaminate da batteri, e l’attività deidemoni è fuori da ogni controllo. Vogliamo davvero che tut-to ciò continui per secoli?»

Val si schiarì la gola. «È scritto che la distruzione di un Si-gillo indebolisce gli altri. Infatti, provocherà eventi che ne ve-locizzeranno la rottura. Un oggetto indispensabile per spez-zare un Sigillo, ad esempio, può improvvisamente venire allaluce dopo esser rimasto nascosto per migliaia di anni. E sicu-ramente, Pestilenza, come essere totalmente malvagio, si staattivando per rompere i Sigilli dei suoi fratelli. I Cavalieri so-no le creature degli inferi più potenti, assieme a Satana in per-sona. Praticamente regneranno sulla Terra se la Battaglia fi-nale dovesse terminare con la vittoria del male.»

«Fantastico» brontolò Arik. «Quindi qual è il piano? Do-vremmo controllare oppure uccidere questi Cavalieri in mo-do che se i loro Sigilli si dovessero spezzare non abbiano effet-ti distruttivi, oppure lavorare insieme a loro per evitare chealtri Sigilli vengano rotti?»

«Non sappiamo se sia possibile controllarli o ucciderli.» Re-gan spinse la sua tazza da caffè sotto alla macchinetta. «Nonsappiamo quasi nulla.»

«Indagherò su cosa sanno i miei parenti acquisiti e sco-prirò qualcosa» disse Kynan. «Hanno una conoscenza ecce-zionale delle tradizioni demoniache.»

«Buona idea.» La voce di Regan era zuccherosa, più delsuo caffè.

«Fatti aiutare dai demoni.»«Abbiamo bisogno di tutto l’aiuto possibile.» Kynan in-

trecciò le mani dietro la testa e fissò il quadro medievale die-

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tro ad Arik, quello che ritraeva una battaglia tra angeli e de-moni. «Anche da parte dei Cavalieri.»

«È saggio?» chiese Decker. «Vogliamo davvero entrare incontatto con questa gente? Se sono malvagi, non vogliamocerto essere sui loro radar.»

Kynan scosse la testa. «Secondo le storie dell’Aegis, lavo-ravano in stretta collaborazione con noi.»

«Perché hanno smesso?»«Stupidità moderna. Intorno al Medioevo, l’Aegis abbrac-

ciò il fanatismo religioso. Maledizione! Dietro alla persecuzio-ne delle streghe c’è l’Aegis. Ci fu un cambiamento di pensieroche portò a giudicare il soprannaturale come frutto del male,compresi i Cavalieri.» Kynan lanciò a tutti uno sguardo seve-ro. «È solo da un paio di anni che siamo tornati alle origini.»

Arik rispose con un ampio sorriso a quell’ultima frase schiet-ta. Anche se si era scontrato con la resistenza degli Anziani, Ky-nan era responsabile della nuova linea di condotta verso le crea-ture degli inferi. Non solo era sposato a una mezza demone, mascorreva anche sangue di angelo nelle sue vene.

In più, gli angeli gli avevano lanciato un incantesimo, desti-nandolo a giocare un ruolo nella Battaglia finale, e Kynan nonaveva paura di usare il suo status per forzare gli Anziani a con-dividere il suo stesso punto di vista.

«Dunque, fondamentalmente,» disse Arik brusco «dobbia-mo chiedere l’aiuto a questi tizi che potrebbero covare risenti-mento verso l’Aegis e che hanno il potere di dare inizio alla fi-ne del mondo.»

Kynan fece un sorriso divertito al pensiero di quella biz-zarra situazione. «Benvenuto nell’Aegis.»

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Guerra è l’inferno. WILLIAM TECUMSECH SHERMAN

Sherman era la mia puttana. GUERRA

Oggi...

Ares, anche noto come Guerra nel mondo degli umani e inquello dei demoni, secondo dei Quattro Cavalieri dell’Apoca-lisse, stava montando il suo stallone nei sobborghi di un vil-laggio senza nome in Africa, il corpo e la mente vibranti dienergia. Era scoppiata una battaglia, e due signori della guer-ra locali, con i cervelli devastati da una malattia trasmessa daun insetto, stavano litigando a causa di un po’d’acqua che ave-va formato una pozzanghera in fondo al pozzo del villaggio.

Ares si aggirava in quella zona da giorni, attirato dalle osti-lità come un drogato dall’eroina, incapace di smettere di cu-riosare finché il sangue non si fosse fermato. Tuttavia era uncircolo vizioso, dato che bastava la sua presenza in un luogoa scatenare violenza, alimentando la sete di sangue di ogniumano nel raggio di cinque miglia.

Maledetto Reseph.

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No, non Reseph. Non più. Il fratello più spensierato, gio-cherellone, il fratello che aveva tenuto uniti Ares e gli altri, erascomparso da sei mesi. Adesso era diventato Pestilenza, e conil nome e la trasformazione erano arrivati i poteri malefici cheminacciavano la razza umana come mai nessuno prima. Pe-stilenza vagabondava sulla terra causando malattie, infesta-zioni da insetti e roditori, devastando raccolti semplicementecon un morso o con il tocco di un dito oppure con un solo pen-siero. Mentre i disastri si diffondevano, scoppiavano semprepiù guerre come questa, e più Ares veniva condotto in batta-glia, più si allontanava dal suo impellente compito: trovareBatarel, l’angelo caduto che aveva in mano il suo destino.

Come attuale possessore dell’agimortus di Ares, se Batarelfosse morta, il suo Sigillo si sarebbe spezzato, scatenandoGuerra sulla terra.

Inseguita senza tregua da Reseph, e da ogni demone chevoleva dare inizio all’Apocalisse, Batarel era scomparsa, ilche sfortunatamente rese Ares incapace di proteggerla.

In ogni caso, anche se l’avesse trovata, la sua capacità di di-fenderla sarebbe stata limitata grazie a un sortilegio aggiun-to alla sua maledizione che lo indeboliva in prossimità di chiportava il suo agimortus.

La battaglia davanti ad Ares si placò, finalmente, e la scos-sa elettrica che lo aveva tenuto in ostaggio svanì, rimpiazzatadal solito torpore. Donne e bambini erano stati massacrati, lepoche capre sopravvissute al flagello erano state prese per es-sere mangiate e scopate... Questa era solamente una delle sce-ne che si ripetevano in quel continente.

La sua corazza di pelle scricchiolò mentre stringeva nel pu-gno il medaglione, chiudeva gli occhi, e si concentrava.Avrebbe dovuto sentire un sibilo distante attraverso il Sigil-lo, un segnale per localizzare Batarel.

Nulla. In qualche modo, Batarel aveva nascosto le sue vi-brazioni.

Una brezza calda soffiò via il disgustoso odore di sanguee budella lungo la terra arsa, arruffando la criniera di Battle

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contro il manto rosso bruno del collo. Ares diede una paccadecisa alla bestia. «Abbiamo finito qui, amico.»

Battle batté le zampe a terra. Gli umani non videro nulla ditutto questo, almeno fin quando Ares rimase dentro al khote,un incantesimo che gli consentiva di viaggiare in modo invi-sibile in tutto il mondo umano, muovendosi solo come unospettro, senza poterli toccare. Reseph era uscito più volte dalkhote per sorprendere gli umani e spaventarli. Al contrario diAres, la presenza di Reseph non aveva avuto conseguenze su-gli umani. Tranne che sulle femmine. Reseph aveva certamen-te avuto a che fare con loro.

Ares non guardò più i resti raccapriccianti del conflitto. In-vece, evocò un Varco dei Dannati, e Battle ci saltò dentro per con-durli all’ingresso della fortezza di suo fratello Thanatos, a Green-land. L’antico castello, protetto dalla magia degli elementi chelo rendeva invisibile agli occhi umani, si ergeva come una bale-na arenata su una spiaggia in un terreno scosceso e desolato.

Ares scese da cavallo, atterrando su una lastra di ghiaccio.«A me.»

Il destriero si ricompose sulla sua pelle, mentre entrava inquella magione decorata lussuosamente congedando con ungesto di saluto gli ossequiosi vampiri profusi in inchini, da se-coli al servizio di Thanatos. Trovò suo fratello in palestra inten-to a dar pugni a un sacco da pugilato. Come al solito, quandoera a casa, Thanatos indossava dei pantaloncini sportivi, nien-te maglietta, e una bandana sui fulvi capelli lunghi fino allespalle. Aogni pugno, i suoi tatuaggi sembravano muoversi sul-la pelle abbronzata: dalle ossa spezzate e sanguinanti incise sul-le mani alle varie armi che decoravano le braccia, fino alle raffi-gurazioni di morte e distruzione sulla schiena e sul petto.

«Thanatos. Mi serve il tuo aiuto. Dov’è Limos?» Ares ag-grottò le sopracciglia alla vista della macchia scura sul pavi-mento dietro al fratello. «E quella cos’è?»

«Una succube.» Poi si asciugò il sudore dalla fronte con ildorso della mano.

«Reseph me ne ha mandata un’altra per tentarmi.»

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«Non è più Reseph, ormai.» La voce di Ares riverberò inquell’aria fredda come una valanga sul punto di scatenarsi.«Chiamalo con il suo nome.» Molto più facile a dirsi che a far-si, visto che neanche Ares si era abituato.

Gli occhi giallo pallido di Thanatos fissarono intensamen-te quelli quasi neri di Ares. «Mai. Possiamo farlo tornare.»

«I Sigilli non possono essere riparati.»«Troveremo un modo.» Il tono di voce di Than era duro,

definitivo. Era sempre stato intransigente come la morte cherappresentava.

«Dobbiamo ucciderlo.»Intorno a Thanatos svolazzarono ombre, muovendosi tanto

più veloci quanto più lui si agitava. Era sempre stato il più ve-loce dei quattro ad attaccare, e poi ecco cosa facevano a un uo-mo centinaia di anni di celibato. Per questo viveva in mezzo alnulla; un suo sbalzo d’umore poteva uccidere qualsiasi esserevivente nel regno umano nel giro di qualche chilometro.

«Ti ricordi che Reseph viaggiava intorno al mondo per cer-care le mele più dolci per i nostri cavalli? E che non tornava maisenza riportare un regalo? E quando uno dei nostri servi era fe-rito o malato cercava le medicine assistendolo finché non gua-riva?»

Certo che Ares ricordava. Reseph si era anche comportatoda playboy irresponsabile con le donne, ma con coloro che con-siderava della famiglia era stato attento e premuroso. Si eraperfino preoccupato dei due Custodi quando non si erano fat-ti vedere per qualche mese. Reaver, un angelo che rappresen-tava la Squadra del paradiso, e Harvester, un angelo cadutoche militava nella Squadra di Sheoul, non avevano bisognoche Reseph si preoccupasse per loro, ma lui aveva sempreprovato sollievo nel vederli di nuovo. Era sempre stato così daquando il loro Custode di Sheoul originario aveva fatto mol-to di più che sorvegliare i Cavalieri. Eviscerator aveva soffertoper mesi prima di morire in un modo che si confaceva al suonome per aver rivelato senza alcun permesso quale materia-le era stato usato per comporre l’agimortus di Limos.

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«Niente di tutto questo incide sulla nostra situazione at-tuale» disse Ares.

«Non lo uccideremo.»Non c’era motivo di litigare. Non solo non possedevano gli

strumenti necessari per mettere fine alla vita del fratello, maThan non avrebbe mai cambiato idea, e la mascella di Arespulsava ancora di dolore dall’ultima volta che avevano di-scusso. Non che Ares volesse uccidere Pestilenza, ma di certonon lo avrebbe lasciato al comando dell’Armageddon.

«Quindi ritieni che la profezia della Daemonica sia quellapiù prossima ad avverarsi?»

Le profezie umane, anche se variavano, favorivano tutte iterrestri nella Battaglia finale, lasciando ai Cavalieri la possi-bilità di combattere dalla parte del bene. Se si fosse avveratala profezia dei demoni, il male avrebbe avuto in mano le car-te vincenti.

E il male barava sempre.Than sferrò un ultimo colpo da KO contro il sacco. «Non so-

no un idiota, fratello. Ho dato la caccia ai tirapiedi di Reseph,e sono riuscito a... convincere... uno di loro a parlare.»

«Convincere, torturare, come preferisci.» Ares incrociò lebraccia sopra al petto, e le dure placche in pelle della sua co-razza crepitarono sfregandosi l’una contro l’altra. «Quindi, co-s’hai capito?»

«Che devo cercare un tirapiedi che ne sappia di più» bor-bottò Than. «Ma ho scoperto che Reseph ha mandato squa-dre di demoni a cercare Deliverance.»

«Allora dobbiamo batterlo sul tempo» disse Ares.Thanatos prese un asciugamano dalla panca e si asciugò la

faccia. «È dal 1300 che cerchiamo il pugnale, senza successo.»«Allora cerchiamo meglio.»«Te l’ho detto...»Ares zittì il fratello. «Possedere Deliverance non significa

doverlo usare. Ma è meglio averlo e non averne bisogno cheil contrario. Se Res... Pestilenza lo trova per primo, si assicu-rerà di non farlo mai cadere nelle nostre mani.»

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Thanatos fece dei lunghi passi verso Ares, e lui si preparò alottare. Non importava che fossero fratelli; Ares viveva percombattere, e anche in quel momento l’adrenalina gli corsenelle vene, cancellando quel maledetto torpore.

«Quando prenderemo il coltello,» grugnì Than «lo terrò io.»La frustrazione rese la voce di Ares nervosa perché, male-

dizione, era lui a voler possedere Deliverance. Era l’unica co-sa che poteva uccidere Pestilenza, era l’arma per la guerra ditutte le guerre, e come ogni buon comandante, lui voleva ilcompleto controllo del suo arsenale. «Discuteremo di questoquando lo avremo trovato.»

«Cosa,» fece una voce profonda e divertita provenientedalla porta «voi due non starete mica litigando di nuovo?»

Ares si girò verso Reseph, che stava in piedi sulla porta,mentre dalle giunture della corazza macchiata colava una so-stanza. Teneva ben salda, nella mano protetta da un guanto,la testa mozzata di una donna.

Ares sentì una morsa stringergli lo stomaco. «Batarel.»Frugò in cerca del medaglione attorno al suo collo.

Il sollievo dovuto al fatto che non si era spezzato si scontròcon la collera, la confusione e il bisogno di prendere a calci inculo suo fratello.

Cazzo se era una miscela di sensazioni divertente quella.«Ovviamente,» disse Reseph «dal momento che non stai

sfoggiando zanne nuove di zecca che farebbero eccitare ognidonna, il tuo Sigillo non si è spezzato. Quell’idiota dell’ange-lo caduto ha trasferito l’agimortus a qualcun altro.»

Reseph lasciò cadere a terra la testa di quell’idiota di ange-lo caduto. Il corpo di Batarel si sarebbe dovuto disintegrare al-la sua morte, il che significava che o era stata uccisa in unastruttura costruita da demoni o in una protetta da un incante-simo dell’Aegis, oppure su un territorio abitato da esseri so-prannaturali.

Battle cominciò ad agitarsi sul braccio di Ares, le sue emo-zioni erano legate a quelle del suo padrone.

«Dove l’hai trovata?» disse Ares digrignando i denti.

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«Questa vigliacca puttana si era rintanata in un Varco deiDannati» disse Reseph, il che spiegò per quale motivo Aresnon era stato in grado di avvertirla. «Ho dovuto sguinzaglia-re dei ratti degli inferi pieni di aculei per trovarla.»

Certo. Reseph poteva comunicare con parassiti e insetti econtrollarli usandoli per diffondere calamità e pestilenze tragli umani. E, a quanto pareva, li usava come spie.

Thanatos si spostò verso il fratello, con i piedi nudi silen-ziosi sul pavimento di pietra.

«Reseph, a chi ha trasferito l’agimortus Batarel?»«Non ne ho idea.» Reseph replicò con il sorriso di chi è sta-

to colto in flagranza, mostrando così ‘le sue zanne nuove dizecca.’ «Ma lo scoprirò presto. Forse non appena scatenerònuove calamità. Quelle toste, con i bubboni e l’incontinenza.»Aprì un Varco dei Dannati, ma si fermò prima di entrare. «Do-vreste smetterla di combattere contro di me. Ho il SignoreOscuro dalla mia parte. Più osteggiate l’inevitabile, più i vo-stri cari soffriranno.»

Il Varco dei Dannati si chiuse di colpo e, imprecando, Aressi girò di scatto, diede un colpo al sacco da pugile e – maledi-zione – in quel momento avrebbe solo voluto che quella fos-se la faccia di Pestilenza. Reseph non era mai stato crudele nédisumano, aveva vissuto con la paura di soccombere alla suaparte maligna. E se lui era così cattivo ora che il suo Sigillo siera rotto... Ares era fottuto.

«Dammi la mano.»Ares si girò bruscamente verso Thanatos, che gli porse gli

occhi di Batarel. Solo gli occhi. E un orecchio.Ares aveva smesso di provare disgusto per i suoi regali

molto tempo prima. Chiuse il palmo intorno agli occhi, e siabbandonò a una visione.

«Cosa vedi?» chiese Than.«La spada di Reseph.» L’enorme spada aveva riempito la

visuale di Batarel, e quella era l’ultima cosa che aveva visto.Ares attese che le immagini andassero a ritroso, fino a... lì.

L’occhio di Batarel vibrò, dei suoni si aggiunsero alle visio-

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ni. «Un uomo biondo. Di nome Sestiel. Sta urlando. Non vuo-le l’agimortus.»

«Be’, chi vorrebbe un bersaglio sul culo?»L’agimortus non era esattamente un bersaglio, ma certo fa-

ceva di chiunque lo custodisse un facile obiettivo per la lamadi Pestilenza. Tuttavia era strano che a portarlo fosse un uo-mo. La profezia si sbagliava? Era cambiata?

Uno dei servi vampiri si affrettò a pulire i resti di Batarel efece un inchino ad Ares. «Potrei togliervi di dosso quei bran-delli di carne, signore?»

Era così educato. Ovviamente, la maggior parte delle crea-ture erano ruffiane con i Quattro Cavalieri dell’Apocalisse.

E questo probabilmente era un comportamento saggio.No, non probabilmente. Decisamente.

Rassegnati adesso, mondo, perché una volta che i Sigilli sarannospezzati sarà tempo di piegarsi.

Niente di buono è in arrivo se si sente bussare alla porta alletre al mattino, e mentre Cara Thornhart trascinava i passi versola porta d’ingresso ebbe una brutta, tremenda sensazione.

Il rumore divenne sempre più incalzante, ogni colpo sul le-gno era come un calcio che le faceva palpitare il cuore a unritmo irregolare.

Respira, Cara. Respira.«Thornhart! Apri, cazzo!» Quell’imprecazione le era fami-

liare, e quando accostò l’occhio allo spioncino riconobbe all’i-stante l’uomo in piedi davanti al portone come il figlio di unodei suoi vecchi clienti.

Ross Spillane era anche uno dei tanti ventenni delinquen-ti disoccupati e con sei bambini avuti da sei donne diverse. Aquanto sembrava, l’unico supermercato in città non vendevapreservativi.

Cara tirò su le maniche del suo pigiama di flanella e comin-ciò a fissare la serratura a scatto, la catena e il chiavistello dellaporta. Un guizzo di terrore le attraversò velocemente la schie-na. Viveva in campagna, in mezzo al nulla, e mentre si chiede-

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va se Ross fosse un pazzo assassino, sapeva di aver sempreavuto un sesto senso affidabile e in quel momento sentiva chesarebbe successo qualcosa.

O forse sei solo paranoica. Il suo psicologo aveva detto che eranormale avere momenti di panico, solo che erano passati dueanni dall’ultima seduta.

Non avrebbe dovuto essere in grado, ormai, di aprire laporta senza tremare come un coniglietto spaventato?

«Cos’è che non va, Ross?» gridò, perché ancora non riusci-va a far funzionare le serrature.

«Apri questa maledetta porta! Ho investito un fottutissimocane.»

Un cane? Merda.«Non esercito più ormai. Portalo in clinica.»«Non posso.»No, certo che non poteva. Ross sembrava ubriaco, e il ve-

terinario in città era casualmente sposato con il capo della po-lizia. Il veterinario era anche un bastardo corrotto che rinca-rava le parcelle, risparmiava sulle cure e i materiali medici,ed era famoso per essersi rifiutato di aiutare animali così ma-leducati da ammalarsi o ferirsi dopo l’orario di ufficio.

«Maledizione, Thornhart. Non ho tempo per questo.»Aiuta il cane. Rassegnati e aiuta il cane. Il sudore le imperlò le

tempie e i palmi delle mani mentre girava la serratura e apri-va la porta. Prima di irrompere in casa, Ross le mise il cane scu-ro come la pece tra le braccia, facendola indietreggiare di unpasso.

«Grazie.» Ross prese le scale verso il portone.«Aspetta!» Stranamente, riuscì a spostare il cane che pesa-

va una trentina di chili abbondanti. «Non dovresti guidare.»«Lascia stare. Saranno un paio di chilometri.»«Ross...»«Bacia il mio bel culetto» farfugliò prendendo il viale di

ghiaia verso il pick-up della Ford.«Ehi!» Non poteva fermarlo, lo sapeva, ma aveva un pas-

seggero, una biondina che sembrava appena uscita dal liceo.«La tua amica sa guidare?»

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Aprì la portiera dalla parte del guidatore e lanciò le chiavialla ragazza. «Sì.»

Mentre Ross inciampava, girando davanti al pick-up, la ra-gazza sbucò fuori e Cara gli urlò: «Perché mi hai portato il ca-ne?» Sottotesto: Perché non hai lasciato morire il cane a bordo strada?

Ross si fermò, si afferrò i passanti dei pantaloni con i pol-lici e guardò in basso verso i suoi stivali da cowboy. Quandoparlò, Cara dovette sforzarsi per sentirlo. «Perché nessun ca-ne bastardo mi ha mai accoltellato alla schiena.»

Cara lo fissò. Vai a capire, era sempre stata giudicata dura-mente da persone che non la conoscevano, e ora si era com-portata così con lui.

Poi Ross fece un urlo di incitamento, diede una pacca su-gli shorts di jeans della ragazzina, e sputò una palla di tabac-co a terra, ribadendo di nuovo uno stereotipo, ma be’... alme-no amava i cani.

Cara serrò la porta nervosamente e portò quello zoppican-te fagottino di pelo in una stanza che aveva chiuso a chiave dueanni prima.

«Dannazione.» La sua imprecazione accompagnò lo scric-chiolio di alcuni cardini mentre teneva aperta la porta con laspalla. L’aria stantia puzzava di fallimento, e per quanto pro-vasse a comportarsi da adulta e a farsi coraggio, le mani le tre-mavano ancora mentre adagiava il cane sul tavolo medico eaccendeva la luce.

Il manto nero del cane era tutto macchiato di sangue, unadelle zampe posteriori era storta in modo innaturale, e la partefinale di un osso gli perforava la pelle. Il cane aveva bisogno diun vero veterinario. Non di qualcuno che guariva con le vibra-zioni che perfino lei dubitava fossero vere. L’unica esperienzapratica che avesse fatto era da tecnico veterinario nello studio disuo padre, e risaliva a otto anni prima, quando era adolescente.

Fece marcia indietro prima di spingersi troppo oltre, si in-filò i guanti, e quando si girò indietro, si ritrasse. Il cucc... –be’, nonostante la stazza aveva i tratti tondi e dolci di un cuc-ciolo – la stava guardando. E i suoi occhi erano... rossi.

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Sangue, deve essere sangue. Il che non spiegava l’inquietan-te scintillio dietro l’iride.

«Mmm... ehi, amico.»Il muso rivelò dei denti estremamente affilati, ed estrema-

mente grandi. A che razza apparteneva? Sembrava un incro-cio tra un lupo e un pitbull, forse anche con qualcosa delgrande squalo bianco, e per quello che poteva indovinare,doveva avere all’incirca quattro mesi. Solo che possedeva lastazza di un siberian husky adulto.

E quei denti. E quegli occhi.C’era una base militare lì vicino, e dal giorno in cui si era

trasferita in quella città della Carolina del Sud, aveva sentitoparlare di esperimenti, di strane creature che il governo sta-va creando artificialmente. Per la prima volta, Cara prese inconsiderazione quella possibilità perché quel cane non era...normale.

Il cucciolo si spostò sul tavolo guaendo di dolore a ogni pic-colo movimento, e d’improvviso non le importò da dove ve-nisse o se fosse una creatura da laboratorio, una mutazionegenetica, o un alieno. Odiava veder soffrire un animale, spe-cialmente quando c’era così poco che lei potesse fare.

«Ehi» sussurrò, allungando la mano. Il cucciolo la guardòcon diffidenza ma lasciò che gli accarezzasse il muso. E sì, eraun lui. Non doveva guardare... lo sapeva e basta. Era semprestata in grado di avvertire le sensazioni degli animali, e anchese le vibrazioni emanate da quella creatura erano strane...sconnesse... continuava comunque a percepirle.

Lentamente, in modo da non spaventare il cane, fece sci-volare le mani lungo il suo corpo.

Adesso, il massimo che potesse fare era accudirlo, mante-nerlo in vita fino a che non l’avesse visto il dottor Happs.Quell’idiota avrebbe addormentato per sempre il povero ca-ne se nessuno avesse pagato per le cure, il che voleva dire cheCara avrebbe dovuto scegliere tra pagare la parcella del ve-terinario o pagare il mutuo.

Le sue dita si immersero dentro una ferita profonda e il cuc-

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ciolo guaì per il dolore, il corpo tremante. «Scusami, amico.»Dio, era un foro di proiettile. Qualcuno doveva aver sparato aquel cane prima che venisse investito dal pick-up di Ross.

Il cucciolo si dimenava sofferente, piagnucolando, e Carasentì il suo dolore fino al midollo. Letteralmente. Era ciò chela rendeva diversa da chiunque altro conoscesse, questo talen-to che era sempre stato la sua benedizione, ma anche la suamaledizione.

Aveva giurato di non farvi più ricorso, ma vedere il canesoffrire era troppo. Doveva farlo, anche se la sua mente si op-poneva.

«Okay,» mormorò «proverò qualcosa. Tieni duro.»Chiudendo gli occhi, impose le mani sul suo corpo, i pal-

mi sollevati di due centimetri dal pelo. Si sforzò di rilassarsi,concentrandosi finché le sue emozioni e l’energia non si foca-lizzarono sulla testa e sul torace. Non aveva una formazioneaccademica per curare attraverso lo spirito o l’energia, maquel dono aveva sempre funzionato con lei.

Finché non aveva ucciso.Scosse la testa schiarendosi i pensieri. Gradualmente sentì

un formicolio addensarsi e poi espandersi dentro di lei, quin-di iniziò a pulsare con un battito cardiaco proprio.

Visualizzò l’energia come un bagliore purpureo che fuoriu-sciva dal suo petto fino a raggiungerle le mani. Il cucciolo sicalmò, rallentò il respiro, si placarono i lamenti. Non poteva farnulla per le ossa rotte o gli organi danneggiati, ma riusciva arallentare il sanguinamento o ad alleviare il dolore, e quel po-vero cucciolo aveva bisogno di tutto ciò che era in suo potere.

L’energia crebbe, le vibrò attraverso tutto il corpo come senon vedesse l’ora di liberarsi.

Come era successo quella notte.La memoria le squarciò il cervello come lo sparo di un fu-

cile, proiettandola di colpo verso quella notte quando il suodono si era trasformato in qualcosa di sinistro per riversarsinon su un cane, ma su un uomo. Gli occhi di lui, pieni di ter-rore, si erano gonfiati mentre il sangue gli zampillava dal na-

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so e dalle orecchie. Le sue urla erano state silenziose, ma nonquelle dei suoi compagni.

Smettila di pensare! Il suo potere sparì d’improvviso, allonta-nato dalla paura. La stanza prese a girare, le gambe le trema-rono, sembrava la casa degli orrori di un luna park. Ma senzadivertimento. Un lamento la riscosse violentemente dalla suatrance, e inciampò sulla vecchia cassapanca in cui teneva tuttele attrezzature mediche tradizionali appartenute a suo padre.

«Mi spiace, amico,» disse in tono aspro «dovremo usare lemaniere di una volta.» Non aveva frequentato Veterinaria, maaveva lavorato con suo padre per anni, e sapeva molto beneche quel cane sarebbe morto se non fosse intervenuta subito.

Nonostante le mani tremanti, preparò il più velocementepossibile un carrello con strumenti e farmaci, e lo portò accan-to al cane che era sdraiato immobile, con il respiro molto piùaffannato di prima. Intorno alla ferita da arma da fuoco la car-ne si stava rapidamente gonfiando, e quando guardò più davicino, rimase senza fiato. Sotto ai suoi occhi, i muscoli e la pel-le si stavano disintegrando. Se non l’avesse visto lei stessamentre succedeva, avrebbe detto che la ferita era peggioratanell’arco di una settimana. Era andata in cancrena e il puzzodi carne morta invase la stanza.

«Mio dio,» sospirò «cosa sta succedendo?»Aveva paura di perdere un secondo di più, così afferrò il

bisturi e sperò che il cane non la mordesse, perché quello chestava per fare gli avrebbe fatto male.

Con molta attenzione, praticò una piccola incisione sullaparte intorno al foro del proiettile. Il cucciolo piagnucolò, marimase fermo mentre lei puliva pus e sangue e poi prendevail forcipe. «Resta immobile, piccolo.»

Cara trattenne il fiato e pregò che la sua mano rimanesseferma. Fallo. Fallo ora...

Lavorò con il forcipe dentro la ferita, rabbrividendo al suonosfrigolante del metallo sulla carne in decomposizione. Anche senon aveva invocato i suoi poteri, una goccia di quell’energia,che non poté fermare, le fluì lungo il braccio percorrendolo fi-

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no alla mano. Niente panico. In qualche modo mantenne il con-trollo finché sentì il forcipe urtare contro la pallottola. Il caneguaì, ma quando afferrò il proiettile non si mosse né... morse.

Estrasse la pallottola nel modo più dolce possibile. Stra-no... era d’argento. Ripose il forcipe sul vassoio, prese le ben-de e si voltò verso il cane.

E gridò.Il cucciolo stava su due zampe sul tavolo, la testa in alto a

la lingua a penzoloni come se si fosse felicemente scatenatoin un parco invece di essere stato a un passo dalla morte.

Ciò che restava della ferita era il sangue che gli aveva mac-chiato il pelo colando anche sul pavimento e sul tavolo.

Le gambe cominciarono a tremarle, poi cedettero e avverti-rono il freddo del pavimento. Cara sbatté la testa sulla piastrel-la, e l’unica cosa che vide in seguito fu il cucciolo accanto a lei,con gli occhi rossi che brillavano. La lingua le scivolava lungo ilviso e la bocca, e la saliva sapeva di pesce marcio. Lo allontanòdolcemente, ma quello si avvicinò di nuovo e le si gettò sopra.

Ansimava, il suo alito era così pesante che funzionò da sa-li ammoniacali, e lei ebbe dei conati di vomito perfino mentreriacquistava conoscenza.

«Puah» sibilò portando la mano verso la bocca per allonta-nare quel puzzo. «Dobbiamo fare qualcosa per la tua alitosi in-fernale.» Dio, stava perfino parlando come se fosse tutto vero.

Non lo era. Non poteva esserlo. Lei era probabilmente an-cora a letto, e quello era un sogno.

All’improvviso, Alitosi si tirò su, si rannicchiò accanto a leie un ringhio gli fece vibrare il petto. Non un ringhio normale,comunque. Era rauco, ruvido, qualcosa che si sarebbe aspet-tata da un drago. O da un demone. Spaventoso.

Di colpo ci fu un’esplosione di schegge che aprì la portacon violenza, e quattro uomini irruppero nella casa.

Un grido le serrò la gola, ma rimase lì, bloccato dal terro-re. Non di nuovo, non di nuovo.

Entrarono i ricordi dell’invasione in casa che le aveva rovi-nato la vita, e si confondevano con gli eventi attuali; Cara si

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fece di ghiaccio, era così paralizzata che perfino i polmoninon riuscivano a espellere il respiro trattenuto.

Si udì uno sparo, un grido... e poi urla inquietanti. Il san-gue si riversò sul pavimento, sulle pareti, su di lei... che uscìda quello stato di paralisi per arrancare sulle gambe.

Al sbatté uno degli uomini contro il pavimento, affondan-do i suoi artigli – che per qualche ragione si erano allungaticome quelli di un felino – nel petto dell’uomo mentre gli al-tri due tentavano di infilzarlo con strane armi dotate di lame.

Cara cercò di localizzare un’arma delle sue nella stanza,qualsiasi cosa. Scattò verso un pesante barattolo di vetro peril cotone, ma fu spinta indietro da un lampo accecante. Unbellissimo uomo dai capelli biondi comparve nel mezzo del-la stanza. Dalla punta delle dita si scatenarono fiamme, men-tre una palla di fuoco balzò in aria e scoppiò trasformandosiin una rete metallica che cadde su Al, intrappolandolo.

«No!» Cara si fiondò a recuperare il cane, ma qualcuno laafferrò da dietro. Al impazzì, usava denti e artigli per scappa-re dalla rete. Volarono maledizioni, e qualcuno sparò un col-po contro il nuovo arrivato che si beccò una pallottola in pet-to reagendo come se fosse stato punto da un’ape; poi raccolsela rete con Al dentro, e con un altro bagliore improvviso, sparì.

Un uomo strinse le braccia attorno a Cara, e uno degli al-tri zoppicò verso di lei, il suo braccio sinistro penzolava, ilvolto era segnato dalla rabbia. «Cosa sei?» disse sbattendo lepalpebre.

«Co... cosa?»«Ho detto,» disse lui con tono rabbioso «cosa sei?»«Non capisco.»La sua mano la attaccò così velocemente che lei non vide

nulla finché la sua guancia non venne colpita. «Che razza didemone sei?» gridò lui spruzzandole saliva sulla faccia.

Oh, dio, quegli uomini erano pazzi. L’intera situazione erapazza. Quello era il regno della pazzia, e lei ne era la regina.

«Perché...» Inspirò in modo irregolare e cercò di restare cal-ma. Non era facile quando l’uomo che la teneva stretta in una

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morsa feroce le stava comprimendo l’aria nei polmoni. «Perchépensi che io sia un demone?» Forse erano fanatici religiosi, co-me quelli che l’avevano accusata di praticare la stregoneria pri-ma che imparasse a nascondere il suo potere di guaritrice.

La sua teoria si smontò quando il terzo uomo, quello ingi-nocchiato vicino al tizio morto sul pavimento, si alzò in piedie afferrò la pallottola estratta al cane. La strinse porgendola aCara. «Perché,» disse, con una voce calma e inquietante «soloun demone può guarire un segugio degli inferi.»

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