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Che cos'è l'empatia di Anna Bosetti Nel testo di Albiero e Matricardi, qui precisamente riassunto, si approfondisce il fenomeno multidimensionale dell'empatia, esperienza di partecipazione/condivisione delle emozioni vissute dall’altro secondo molti autori, capacità di comprendere il punto di vista dell’altro secondo altri. Vengono esposti i principali modelli degli autori che si sono occupati di studiare il fenomeno, si specificano le sindromi che possono compromettere la capacità empatica, si evidenziano gli strumenti per studiarla. Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca Facoltà: Scienze dell'Educazione Corso: Scienze dell'Educazione Esame: Psicologia dello sviluppo Docente: Ilaria Grazzani Gavazzi Titolo del libro: Che cos'è l'empatia Autore del libro: Albiero P., Matricardi G. Editore: Carrocci Anno pubblicazione: 2006
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Che cos'è l'empatia

di Anna Bosetti

Nel testo di Albiero e Matricardi, qui precisamente riassunto, si approfondisce il

fenomeno multidimensionale dell'empatia, esperienza di

partecipazione/condivisione delle emozioni vissute dall’altro secondo molti

autori, capacità di comprendere il punto di vista dell’altro secondo altri.

Vengono esposti i principali modelli degli autori che si sono occupati di studiare

il fenomeno, si specificano le sindromi che possono compromettere la capacità

empatica, si evidenziano gli strumenti per studiarla.

Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca

Facoltà: Scienze dell'EducazioneCorso: Scienze dell'Educazione

Esame: Psicologia dello sviluppoDocente: Ilaria Grazzani Gavazzi

Titolo del libro: Che cos'è l'empatiaAutore del libro: Albiero P., Matricardi G.

Editore: CarrocciAnno pubblicazione: 2006

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1. L’empatia tra cognizione e affettività In psicologia lo studio dell’empatia è stato caratterizzato da due differenti modi di concettualizzarla: L’unoche la considera un’esperienza di partecipazione/condivisione delle emozioni vissute dall’altro(attribuendole, dunque, una natura primariamente affettiva); l’altro che la identifica con la capacità dicomprendere il punto di vista dell’altro (attribuendole una natura innanzitutto cognitiva).

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2. L’empatia come comprensione e condivisione A partire dagli anni ottanta, l’empatia è stata considerata un’esperienza primariamente affettiva, in cui,tuttavia, i processi cognitivi giocano un ruolo altrettanto importante. La persona empatica non solocomprende, ma anche condivide e partecipa allo stato emotivo dell’altro. Va comunque precisato che alcuniautori, anche ai giorni nostri, distinguono e scindono chiaramente le due dimensioni che definiscono iprocessi empatici. Feshbach è la prima autrice nell’ambito della letteratura psicologica che considera l’empatia come unconcetto multicomponenziale. Secondo questa studiosa empatizzare con qualcuno significa provareesattamente l’emozione sperimentata da chi stiamo osservando. Si tratta di un’esatta concordanza affettiva, in cui, tuttavia, vi è piena consapevolezza che l’emozionecondivisa deriva dall’emozione dell’altro (condivisione vicaria). In quest’ottica, la componente affettiva equella cognitiva svolgono un’azione integrata per generare una risposta empatica. Secondo Hoffman, con tutta probabilità lo studioso più autorevole dell’argomento, l’empatia può esseredefinita in termini funzionali (cioè orientati a esplicitare i processi sottostanti alle reazioni empatiche) come«la scintilla che fa scaturire la preoccupazione umana per gli altri, mentre in termini fenomenologici (cioèvolti a descrivere un fenomeno nel suo manifestarsi) consiste in «una risposta affettiva più appropriata allasituazione di un altro che alla propria». Secondo Hoffman per poter parlare di empatia non è indispensabile riuscire a mettersi nei panni dell’altro,dal momento che una partecipazione/condivisione può avvenire attraverso diversi processi, il cuifondamento è lo sviluppo progressivo della capacità di differenziare il sé dall’altro, così da comprenderesempre più chiaramente che la causa del proprio vissuto consiste nell’emozione dell’altro. Nel modello diHoffman, si può essere empatici fin dalle primissime fasi della nostra vita.

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3. L’empatia tra fattori individuali e interpersonali Davis descrive l’empatia come una serie di fattori che entrano in gioco ogniqualvolta si assisteall’esperienza emotiva di qualcuno. Anche Davis propone un approccio integrato che identifica il ruolocongiunto di cognizione e affetti. La novità dell’approccio proposto da Davis consiste nel sottolinearefortemente come gli elementi cognitivi e quelli affettivi presenti nell’empatia concorrano congiuntamente adefinire la natura multidimensionale dei processi empatici. Per introdurre i punti chiave dell’approcciointegrato, Davis parte dalla definizione dell’ “episodio prototipico” empatico, costituito da tre vertici: ilsoggetto che osserva; il soggetto osservato mentre sperimenta una situazione emotiva; la rispostadell’osservatore. Le componenti cognitive e affettive dell’empatia che caratterizzano le risposte empatiche dell’osservatore,secondo Davis sono quattro: le prime due concernono le abilità cognitive e sono l’abilità di adottare il puntodi vista di un’altra persona e la tendenza a immaginarsi in situazioni fittizie. Le altre due componenti siriferiscono alla reazione emotiva del soggetto, che può essere orientata verso la condivisione dell’esperienzaemotiva dell’altro (considerazione empatica) oppure diretta verso la comprensione dei propri stati di ansia edi preoccupazione in situazioni relazionali (disagio personale). Vreeke e Van der Mark propongono una definizione di empatia che interessa anche il contesto comunicativoin cui la risposta empatica si origina e si evolve. In quest’ottica, l’empatia è identificabile come una rispostacomportamentale ed emotiva a una specifica domanda dell’altro; empatizzare con qualcuno significa capirequal è il bisogno che l’altro esprime e rispondervi in modo adeguato.

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4. L’empatia culturale ed etnoculturale Di recente lo sforzo di molti studiosi si è rivolto allo studio delle forme che l’empatia può assumere incontesti specifici, come ad esempio la scuola, e delle relazioni che si instaurano in specifici contestilavorativi e organizzativi, culturali ed etnici. Tutto ciò ha portato all’individuazione di particolari forme,come l’empatia culturale e l’empatia etnoculturale. Il termine “empatia culturale” consiste nella capacità diprovare un interesse nei confronti delle altre persone e di avere un’accurata percezione dei loro pensieri,sentimenti, comportamenti ed esperienze. L’empatia culturale ha dunque a che fare con la disponibilità adaccettare modi di fare e abitudini tipiche di un contesto culturale diverso dal proprio. Negli ultimi anni gli studiosi hanno anche cercato di comprendere che forma assuma l’empatia se rivolta apersone che non solo appartengono a gruppi culturali, ma anche a etnie diverse dalla propria. Questatipologia di responsività prende il nome di “empatia etnoculturale”. Oltre alle tradizionali componentiaffettive e cognitive, nell’empatia etnoculturale riveste grande importanza la componente comunicativa, valea dire la capacità di comunicare agli altri i propri sentimenti e pensieri di comprensione della condizione chevivono le persone appartenenti ad altre etnie e la capacità di accettare le differenze culturali.

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5. Empatia e role taking Il role taking è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, assumendone il ruolo anche se diverso dal nostro,senza che questo processo elimini la consapevolezza del nostro punto di vista. C’è un generale accordo tragli autori nel riconoscere all’interno del role taking tre dimensioni: una emozionale, una percettiva e unacognitiva. Il role taking emozionale consiste nella capacità di riconoscere le emozioni dell’altro e dirispondere affettivamente in modo appropriato. Questa componente coincide, dunque, con una sorta dipreoccupazione empatica. Il role taking cognitivo è un processo attraverso il quale un individuo abbandonail proprio punto di vista e prova a comprendere gli stati interni e i pensieri di un’altra persona mettendosicognitivamente nella situazione dell’altro. Il role taking percettivo riguarda l’abilità di capire come unoggetto, o un insieme di oggetti, è visto da un altro che non occupa la nostra stessa posizione nello spazio.Tale definizione coincide con quella che da molti autori è definita capacità di perspective taking.

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6. Empatia, simpatia, disagio personale e contagio emotivo La risposta simpatetica (o simpatica): con il termine “simpatia” si identifica una modalità di rispostaaffettiva orientata al vissuto dell’altro che si esplicita nel provare dispiacere, preoccupazione, interesse perqualcuno e si traduce nell’urgenza di agire in qualche modo per intervenire a favore o sostenere la personaper cui si prova simpatia. Diversamente dall’empatia, che potremmo descrivere un “sentire come” qualcunaltro, la simpatia è meglio resa dall’espressione “sentire per” qualcun altro. La risposta simpatetica differiscedall’empatia perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente simile a quella provatadall’altro. La risposta di disagio personale (personal distress): Batson (1991) ha definito il personal distress,identificandolo precisamente con l’esperienza di uno stato emotivo negativo (ansia o preoccupazione) e cheporta a una reazione o a preoccupazione orientata su di sé, egoistica. Hoffman chiama il disagio personaleoverarousal empatico e lo descrive come un sentimento involontario che occorre quando il sentimentocondiviso dall’osservatore diventa così carico di dolore e intollerabile che si trasforma in disagio personale,che porta l’individuo ad allontanarsi dalla situazione. Fin qui, la definizione è molto simile a quella diBatson. I due autori constatano che, di fatto, quando l’osservatore ha un forte legame con la persona che inquel momento è la fonte del suo disagio, o quando egli ha un ruolo che lo responsabilizza a intervenire inqualche modo, ai vissuto di disagio possono far seguito dei comportamenti di aiuto. Ciò che differenzia leposizioni di Hoffman e Batson sono le motivazioni che i due ipotizzano sottostare a questi comportamenti diaiuto. Batson, ritiene che il fatto di provare personal distress sia riconducibile esclusivamente a motivazionidi tipo egoistico. Per cui egli attribuisce il comportamento di aiuto al fatto che il ruolo o il sentimento che lega le due personerappresenta un vincolo che rende impossibile la fuga e, quindi, il modo più rapido di smorzare il propriodisagio diventa quello di prestare aiuto all’altro. Hoffman, d’altro canto, sembra affermare che l’overarousalempatico, sebbene motivi anche comportamenti di tipo egoistico, a volte può avere motivazioni altruisticheed essere orientato verso l’altro. In quest’ultimo caso lo spettatore, in virtù del ruolo che riveste e del legameaffettivo con la persona in stato di bisogno, sarebbe spinto a spostare il proprio focus sulla sofferenza dellavittima e per questo cercherebbe di aiutarla. La risposta di disagio personale è simile all’empatia, madifferisce da questa perché l’emozione sperimentata dall’osservatore non è necessariamente in sintonia conquella provata dall’osservato. Hoffman si riferisce all’empatia con il termine di arousal empatico e definisce il disagio personale come unoverarousal empatico. Da questo punto di vista, sembrerebbe che il disagio personale differisca dall’empatiaper un eccesso di attivazione. Si potrebbe perciò immaginare che un’esperienza di condivisioneparticolarmente intensa provochi un vissuto talmente forte da risultare difficile da gestire e, quindi, dasuscitare il disagio personale. Il contagio emotivo: è la prima forma di condivisione affettiva che i bambini manifestano già nelle prime oredi vita. Infatti, come sostiene Hoffman, nei primi mesi dopo la nascita i bambini non sono ancora in grado didistinguere sé dall’altro e quindi, nel momento in cui percepiscono l’emozione di qualcuno, non sono ingrado di capire che l’emozione ha una causa esterna (l’altro soffre) e le “attribuiscono” una causa interna (iosoffro).

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7. Neuroni specchio ed empatia Alcuni neuroscienziati hanno indagato i substrati neurali delle funzioni psichiche negli uomini. Il team di ricercatori individuò nel cervello una particolare classe di neuroni premotori, che si attivano nonsolo quando si esegue una specifica azione (come ad esempio afferrare un oggetto), ma anche quando siosserva un altro individuo (conspecifico o umano) compiere quella stessa azione. Gli autori hanno battezzatoquesto tipo di neuroni i “neuroni specchio”. Il nucleo centrale di questa scoperta starebbe nel fatto che, nelmomento in cui si è testimoni di un’azione, si mette in moto quello stesso sistema neurale che si attivamentre la si esegue; l’osservatore, quindi, comprenderebbe le azioni degli altri perché le “mima” dentro di sée, automaticamente, ne fa esperienza.

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8. Norma Feshbach: il primo modello multidimensionale di empatia Il grande merito di questa autrice consiste nell’aver sviluppato, per la prima volta nella letteraturapsicologica, un modello che, superando la visione dell’empatia come un’abilità monolitica, le attribuisce uncarattere multidimensionale. Processi cognitivi e affettivi si integrano. Feshbach elabora il primo strumento per rilevare la responsività empatica, il FASTE (Feshbach AffectiveSituation Test for Empathy). Il modello multidimensionale di empatia L’autrice, nelle sue ricerche, ha dedicato una particolare attenzione a tre aspetti: a) i risvolti socialidell’empatia, osservando se essa fosse in grado di migliorare i rapporti interpersonali, inibendol’aggressività e pro- muovendo il comportamento prosociale; b) gli sforzi per misurare l’empatia; e) iltentativo di elaborare programmi specifici per incrementare le capacità empatiche. Feshbach sostiene che l’empatia coniughi al suo interno elementi cognitivi e affettivi e sia costituita da trecomponenti. Queste componenti coincidono con altrettante abilità che, svolgendo un’azione integrata, possono generarecomportamenti empatici. Esse possono essere così definite e riassunte: • la capacità di decodificare gli stati emotivi vissuti da altre persone; • la capacità di assumere il ruolo e la prospettiva di un altro; • la capacità di rispondere affettivamente alle emozioni provate da un ‘altra persona. Le prime due componenti sono abilità cognitive, mentre la terza inserisce l’empatia in una dimensioneaffettiva ed emotiva. Solo e soltanto se si prova dentro di sé l’emozione che l’altro vive, si può parlare compiutamente diesperienza empatica. Adottando il quadro di riferimento piagetiano, che ha influenzato il modello di Feshbach, l’abilità didecentramento avviene con il passaggio allo stadio operatorio concreto, attorno ai 6 anni. È dunque a tale etàche si verifica la responsività empatica. Nel corso dello sviluppo, con il progredire delle capacità cognitive,essa diventa sempre più frequente e accurata. Il contributo dell’autrice tuttavia è eccessivamente restrittivo nella definizione, poiché esclude tutte lerisposte affettive vicine non identiche a quelle osservate; per certi versi risulta semplicistico, poiché tratta lecapacità cognitive coinvolte nell’empatia come costrutti monodimensionali, mentre la letteratura hadimostrato il loro carattere multidimensionale. Inoltre, il modello non spiega forme di condivisione affettiva rudimentali che compaiono nei primi anni divita e che coinvolgono processi cognitivi più semplici.

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9. La teoria di Martin Hoffman: l’empatia e lo sviluppo morale La teoria di Martin Hoffman: l’empatia e lo sviluppo morale

Il modello elaborato da Hoffman fornisce una descrizione dello sviluppo dell’empatia più articolata e

complessa di quella di Feshbach. Hoffman, infatti, estende la definizione di empatia a una serie più ampia di

reazioni affettive coerenti con il sentimento provato dall’altro e colloca le prime manifestazioni di empatia

nei primissimi giorni di vita. Egli, inoltre, non considera più l’empatia come “unitaria”, ma l’articola in

diverse forme che, man mano che procede lo sviluppo, diventano più mature e sofisticate.

Un modello a tre componenti: affettiva, cognitiva e motivazionale

Secondo Hoffman l’empatia si manifesta fin dai primi giorni di vita. Questa considerazione riflette la

maggiore autonomia e rilevanza attribuita alla dimensione emotiva dell’empatia, ridimensionando il peso

dato da Feshbach alle abilità cognitive. Nelle primissime manifestazioni empatiche, infatti, è la dimensione

affettiva ad avere il ruolo di maggior rilevanza, mentre la dimensione cognitiva è pressoché assente.

Procedendo nello sviluppo, la componente cognitiva acquisirà un’importanza crescente e si compenetrerà

sempre di più con quella affettiva, permettendo lo sviluppo di forme più evolute di empatia.

Oltre alla componente cognitiva e a quella affettiva, secondo Hoffman interviene nell’esperienza empatica

un terzo fattore: la componente motivazionale. L’esperienza di empatizzare con una persona che sta

soffrendo, infatti, rappresenterebbe una motivazione per mettere in atto comportamenti di aiuto. L’effetto

motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, soccorrendolo, fa provare a chi aiuta uno

stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sé un senso di colpa.

Lo sviluppo della responsività empatica

Hoffman definisce cinque ipotetiche forme o manifestazioni del sentimento empatico:

• distress empatico globale: nei primi mesi di vita i neonati non sono in grado di percepire se stessi e gli altri

come entità distinte. Quando i neonati percepiscono la sofferenza di qualcuno, ne fanno propria l’emozione,

vivendola come se quello stato emotivo non avesse una causa esterna (quel bambino è triste), ma interna (io

sono triste). Al suo primo apparire, quindi, l’empatia si connota come una reazione affettiva, automatica e

involontaria, che in molti autori prende il nome di contagio emotivo;

• distress empatico egocentrico: intorno al primo anno di vita, con l’acquisizione della permanenza

dell’oggetto, i bambini cominciano a percepire una distinzione tra sé e l’altro, anche se non sono ancora in

grado di distinguere tra i propri stati interni e quelli altrui. In questa fase i bambini mimano le emozioni

provate dall’altro, spesso lo guardano silenziosamente, talvolta mettono in atto comportamenti che

potrebbero apparire tentativi di aiuto, ma che di fatto sono finalizzati ad attenuare il proprio stato di

angoscia.

• distress empatico quasi-egocentrico: tra il primo e il secondo anno, nei bambini si fa più chiara la

distinzione tra i propri stati interni e quelli degli altri. Iniziano così a mettere in atto comportamenti tesi a

confortare l’altro (abbracciandolo, accarezzandolo), ma l’egocentrismo permane nella scelta di utilizzare,

per dare conforto, gli oggetti che sono significativi per se stessi. Ad esempio, un bambino che vede un altro

piangere, potrebbe offrirgli il proprio orsetto;

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• vera empatia per lo stato d’animo di un ‘altra persona: la Consapevolezza che gli altri hanno stati interni

(pensieri, sentimenti) diversi dai propri emerge intorno ai 2 anni. Acquisita questa capacità, lo stesso

bambino che, pochi mesi prima, per confortare un compagno triste gli avrebbe portato il proprio orsetto,

adesso andrebbe a cercare quello del compagno. Il bambino riesce, ora, a empatizzare con i sentimenti e i

desideri dell’altro in modo più profondo e il suo aiuto risulterà più efficace. Verso i 6 anni si sviluppa una

maggiore competenza linguistica, che consente ai bambini di interagire più appropriatamente con significati

simbolici e si consolida la capacità di decentramento, che rende i bambini più abili nell’assumere il ruolo

dell’altro;

• distress empatico oltre la situazione: a partire dai 9 anni, i bambini, avendo sviluppato un senso di sé

stabile e coerente, realizzano sempre più compiutamente che anche gli altri individui hanno una propria

identità e che quest’ultima influenza i loro comportamenti nelle diverse situazioni. Da questo momento in

poi la conoscenza della vita degli altri e delle loro esperienze passate inizia a influenzare le risposte

empatiche. L’empatia, nella sua forma più matura, si caratterizza, quindi, come una risposta a un insieme (li

stimoli comprendenti il comportamento, l’espressività e tutto ciò che si conosce dell’altro. L’acquisizione di

questa funzione, dato l’alto livello di complessità dei meccanismi cognitivi implicati, ha un’evoluzione

graduale che trova, in buona parte delle persone, pieno compimento intorno ai 13 anni.

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10. Il modello multidimensionale dell'empatia di Janet Strayer Da un punto di vista teorico, quello di Hoffman è senza dubbio il modello più esaustivo che ha trattato losviluppo dell’empatia. Un limite che si può imputare al suo autore è quello di essersi frequentementelimitato a una riflessione su dati empirici provenienti da altri ricercatori, senza avere sistematicamentesottoposto a verifica le proprie assunzioni teoriche attraverso esperimenti appositamente ideati. Gli studi diStrayer prendono spunto dal modello di Hoffman, ma, a differenza di quest’ultimo, la sua produzionesull’argomento è basata su numerose e accurate ricerche empiriche. Nell’empatia, secondo Strayer, durante lo sviluppo le componenti cognitive si integrano progressivamentecon quelle affettive, organizzandole e permettendo l’instaurarsi di forme via via più mature. Nella visionedell’autrice la condivisione emotiva è basilare per lo sviluppo dell’empatia ed è sperimentata anche daibambini molto piccoli, nella forma del contagio emotivo. Tuttavia, secondo Strayer, il contagio emotivo èuna forma di partecipazione emotiva automatica e involontaria. Per vivere un’esperienza autenticamenteempatica è necessario che intervengano forme di mediazione cognitiva. Alla luce di queste considerazioni,Strayer si disinteressa delle manifestazioni di condivisione affettiva vicaria che caratterizzano i primi anni divita e individua due forme di empatia vera e propria: l’una per condivisione parallela e l’altra percondivisione partecipatoria. Il processo di sviluppo che fa evolvere il bambino dalla prima forma allaseconda prende avvio in età prescolare e trova completamento nella prima adolescenza, procedendo con unaprogressiva focalizzazione sul vissuto dell’altro. L’empatia per condivisione parallela è mediata da processi cognitivi poco sofisticati (associazione diretta,condizionamento classico). In questa forma di empatia, l’osservatore focalizza l’attenzione sull’evento che sta interessando l’altro erichiama alla mente una propria esperienza simile, rivivendo l’emozione che aveva provato in quellacircostanza. L’empatia per condivisione partecipatoria è la forma di empatia più evoluta, è mediata dameccanismi cognitivi complessi (role taking e perspective taking) ed è basata sulla rappresentazione delvissuto dell’altro. I bambini, tra i 7 e i 12 anni, acquisiscono in modo progressivamente più completo lacapacità di condividere l’emozione vissuta dall’altro, mettendosi nei suoi panni. In questo modo focalizzanola propria attenzione sul vissuto interno di chi osservano, comprendendo che l’altro, avendo una propriaidentità, può sperimentare emozioni diverse da quelle che essi sperimenterebbero nelle stesse circostanze.

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11. I modello di empatia di Davis Il modello di Davis è ricco di interazioni complesse, che evidenziano la valenza relazionale delcomportamento empatico. L’autore definisce l’empatia come una serie di costrutti fortemente interrelati traloro, che entrano in gioco ogniqualvolta si assiste all’esperienza emotiva di qualcuno, e che comprende unaserie di variabili sociali molto ampia. - Processi non cognitivi Nelle prime fasi dello sviluppo l’empatia è mediata da processi che Davis definisce non cognitivi poichéautomatici e involontari: la reazione circolare primaria e l’imitazione motoria. Per reazione circolareprimaria si intende una tendenza imitativa innata, che si esprime nella tendenza del neonato a piangerequando sente il pianto di un altro bambino. Per imitazione motoria si intende un processo involontario dirisposta alle emozioni altrui che induce l’osservatore ad assumere spontaneamente la postura e l’espressionefacciale di un’altra persona. - Processi cognitivi semplici I processi cognitivi semplici implicano l’esistenza di una mediazione cognitiva, anche se nonparticolarmente sofisticata. Compaiono a partire dal primo anno di vita e si sviluppano progressivamentenell’età prescolare. Davis individua tre tipi di processi cognitivi semplici: il condizionamento classico,l’associazione diretta e l’etichettamento. Il condizionamento classico, come in Hoffman, è il processo di apprendimento che rende lo stimolo neutrocapace da solo di provocare la risposta. Rispetto all’empatia, questo processo si verifica quando una personaosserva l’espressione dell’emozione di un altro mentre anche lui prova la stessa emozione. L’esempioclassico è quello del bambino che è triste mentre la mamma ha un’espressione triste. Per associazione diretta s’intende l’associazione tra gli stimoli espressivi osservati e quelli che si ricordacaratterizzavano una situazione simile vissuta in passato, rivivendo anche l’emozione provata in quellacircostanza. Il processo di etichettamento si verifica nel momento in cui un soggetto viene esposto direttamente a unparticolare stimolo; quest’ultimo risulta così rilevante per il soggetto che in futuro basterà da solo a evocarel’emozione collegata a quella situazione. - Processi cognitivi avanzati I processi cognitivi avanzati sono i più sofisticati e si sviluppano nell’arco di tempo che inizia con l’etàscolare e arriva fino alla preadolescenza. Questi sono; l’associazione mediata dal linguaggio e il role taking. Nell’associazione mediata dal linguaggio non è necessaria l’esposizione diretta alla situazione dell’altro: èsufficiente la descrizione verbale. L’associazione diretta mediata dal linguaggio differiscedall’etichettamento perché nel primo caso è la similitudine tra l’esperienza che l’altro vive e la nostraesperienza che evoca il vissuto emotivo, nel secondo è un termine particolarmente significativo per noi. Il secondo processo avanzato è il role taking.

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12. Bischof-Köhler: l’empatia nei primi due anni di vita Bischof-Kohler ritiene che l’empatia sia definibile come l’esperienza attraverso cui si comprende lo statoemotivo di un altro condividendone l’emozione, ma restando consapevoli che tale emozione, pur condivisa,appartiene all’altro. Lo sviluppo della responsività empatica Bischof-Kohler traccia le tappe fondamentali dello sviluppo dell’empatia, che evolve parallelamente alsistema cognitivo e si attiva in risposta a stimoli espressivi e situazionali. Le forme embrionali di empatia.Nei primi due anni di vita, Bischof Kohler ritiene che non si possa parlare compiutamente di empatia. Se ineonati percepiscono la sofferenza dell’altro, e la condividono in modo involontario, ciò accade perché, inquesta fase evolutiva, i bimbi non hanno la capacità di differenziare sé e l’altro. L‘empatia indotta da stimoli espressivi. intorno ai 2 anni e mezzo, si sviluppa un concetto di sé riflessivo,cioè i bambini riconoscono se stessi come diversi dagli altri a livello fisico e psicologico e sono quindicapaci di oggettivare il sé. L’apparire di questa abilità favorisce l’emergere di uno dei prerequisitidell’empatia vera e propria, cioè la capacità di riconoscere le emozioni altrui. Grazie a questa acquisizione,la componente affettiva si arricchisce di quella sociocognitiva, che consente di condividere l’emozionedell’osservato, restando consapevoli che l’emozione condivisa proviene dall’altro. L ‘empatia indotta da stimoli situazionali. Perché si sviluppi pienamente la capacità di oggettivazione del sé,il bambino deve acquisire la padronanza di una categoria percettiva, definita “identificazione sincronica”. Lacapacità di identificazione sincronica permette al bambino di creare un nesso tra un oggetto reale e la suaimmagine mentale. È grazie all’identificazione sincronica che i bambini possono: riconoscere se stessi allospecchio, riconoscere altri nelle foto, etichettare le emozioni. Questo meccanismo è fondamentale nellosviluppo dell’empatia indotta da stimoli situazionali. Infatti, nella relazione empatica, l’osservatore percepisce che i fatti che accadono all’altro possonorappresentare eventi che sono accaduti, accadono o potrebbero accadere a lui; per cui, la situazione chel’altro vive sarà percepita come se la si vivesse in prima persona. Questa peculiare capacità prende il nomedi” induzione di prospettiva”, una sorta di precursore involontario della più matura capacità di perspectivetaking.

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13. Empatia tra fattori di personalità e relazionali I fattori di personalità sono considerati da Vreeke e Van der Mark quelle caratteristiche interne che restanostabili nei diversi contesti. L’influenza dei tratti di personalità sarà diversa a seconda che si interagisca conqualcuno che non si conosce o con qualcuno che si conosce. I fattori relazionali dipendono dalle esperienze relazionali che abbiamo vissuto. Tra i fattori relazionali, unpeso notevole è svolto dalla relazione genitore-bambino. In particolare, se i genitori sono stati a loro voltaempatici con i figli e se, nella loro educazione e nel loro modo di prendersi cura dei bambini, hanno datoimportanza al comportamento che si ha verso qualcuno in difficoltà, allora i bambini percepiranno il legamecon i genitori come sicuro, si apriranno con fiducia al mondo e saranno più empatici con gli altri. Nel momento in cui si percepisce lo stato emotivo di un altro, ad esempio la tristezza, i comportamentipossibili sono aiutarlo o mettere in atto strategie di evitamento. La scelta di propendere per uncomportamento o per l’altro è mediata, secondo gli autori, dall’intervento di due sistemi di controllo: quellodi giudizio e quello di regolazione delle emozioni. Il sistema di giudizio fa sì che ci si possa interrogare e, quindi trovare delle risposte, circa il propriopersonale ruolo e le proprie responsabilità nelle diverse situazioni sociali. Il sistema di regolazione delleemozioni serve a guidare la capacità di controllare le proprie emozioni. Nella risposta empatica, il fatto diosservare le emozioni in un altro fa sì che noi viviamo la stessa emozione che l’altro vive e, in alcuni casi,può capitare di non essere in grado di gestirla. Solo se riusciamo a gestire il nostro vissuto emotivo saremoin grado di aiutare l’altro in difficoltà. Come in altri modelli multidimensionali, anche in quello di Vreeke e Van der Mark, le componenti affettivee cognitive si integrano, dando luogo a risposte empatiche sempre più mature. In particolare, gli autorisostengono che gli stadi di sviluppo dell’empatia partano dal contagio emotivo, passino per l’emozionalitàparallela e arrivino infine all’emozionalità reattiva. Solo quest’ultima forma di empatia è considerata dagliautori compiutamente una forma di empatia, poiché si inserisce nel contesto dialogico della comunicazione.Vreeke e Van der Mark, infatti, inseriscono l’empatia in una dimensione comunicativa e considerano larisposta empatica come la reazione al bisogno particolare che l’altro esprime. L’empatia con emozionalitàreattiva motiva il comportamento prosociale, perché porta a capire il punto di vista dell’altro, a condividerela sua sofferenza, a preoccuparsi per lui e, quindi, a cercare di offrirgli conforto, interpretando la suasofferenza come una richiesta d’aiuto.

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14. Il ruolo del contesto comunicativo sulle risposte empatiche Il contesto comunicativo interviene nella regolazione del mantenimento o del cambiamento delle risposteempatiche. Infatti, un individuo che empatizza con un altro modificherà le sue reazioni future se quello chel’altro prova non è congruente rispetto a quanto si sarebbe aspettato provasse. Che cosa succede quando si empatizza con qualcuno? Quando empatizziamo con qualcuno, ci mettiamo in gioco con la nostra personalità (fattori di personalità) ele nostre esperienze passate (fattori relazionali) e cerchiamo di capire qual è il bisogno che l’altro, vivendoquella particolare emozione, ci vuole comunicare. A questo punto ci chiediamo se è nostro compito aiutarlo(sistema di giudizio) e se emotivamente riusciremmo a farlo (sistema di controllo delle emozioni). Se a queste domande rispondiamo di no, evitiamo la situazione; se rispondiamo di sì, empatizziamo conl’altro e cerchiamo di rispondete al bisogno che abbiamo intuito in lui. Ma quella che abbiamo di fronte èuna persona con le sue caratteristiche particolari, con le sue esperienze, che può reagire al nostro tentativo diaiuto in modo diverso da quello che ci aspettiamo. Quindi, ci troviamo nuovamente di fronte a un bivio:rispondiamo adeguatamente alla domanda dell’altro e quindi il nostro aiuto è efficace, oppure non ciriusciamo e il nostro aiuto non è efficace. Se riusciamo a confortare con successo l’altro, in situazioni futureripeteremo questo comportamento. In caso contrario, cercheremo di fare tesoro dell’esperienza e, in futuro,modificheremo la nostra risposta empatica (contesto comunicativo).

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15. I bambini con sindrome di Down e l’empatia A 3 anni i bambini con sindrome di Down sono in grado di identificare correttamente e di etichettare alcuneemozioni fondamentali (gioia, tristezza, rabbia) e la loro prestazione è del tutto paragonabile a quella dibambini con sviluppo normale della stessa età. Il divario, però, si acuisce se il confronto viene ripetutoquando i bambini hanno 4 anni. Lo sviluppo cognitivo, che nei primi anni di vita segue l’andamentonormale, rallenta con l’avanzare dell’età; tra i 7 e i 12 anni i bambini raggiungono una stasi. I bambini con sindrome di Down risultano decisamente meno empatici rispetto ai bambini con svilupponormale. Questa discrepanza nella prestazione è motivata dal fatto che immaginare se stessi in situazioniipotetiche richiede l’impiego di processi cognitivi troppo complessi per i bambini con sindrome di Down. Tuttavia, questi bambini manifestano un forte interesse alla relazione con l’altro, sono attenti al suo vissutoemotivo e cercano di confortarlo se lo vedono in difficoltà.

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16. I bambini autistici e l’empatia La difficoltà principale dei bambini autistici sta nella compromissione grave e perdurante dell’interazionesociale. In termini più concreti, questi bambini manifestano anomalie in diversi comportamenti non verbaliche regolano la comunicazione con gli altri (ad esempio evitano lo sguardo diretto, sono poco espressivi nelvolto, rigidi nelle posture ecc.). A questa grossa difficoltà relazionale spesso si aggiungono disturbi del linguaggio e modalità dicomportamento ripetitive e stereotipate. I bambini con sindrome autistica faticano enormemente a riconoscere e condividere le emozioni di chi glista accanto e non riescono a capire chiaramente il significato dei termini affettivi. Il disagio che i bambini con autismo provano quando devono interagire con gli altri si ripercuote nella loroprestazione in situazioni in cui si chiede loro di empatizzare in situazioni vicine all’esperienza reale.

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17. L’empatia e i problemi legati alla sua misurazione Lo sforzo di misurare l’empatia ha avuto un considerevole incremento grazie agli studi condotti nell’ambitodella psicologia dello sviluppo. A partire dalla misura elaborata da Feshbach, il FASTE, sono statisuccessivamente proposti numerosi indici per rilevare l’empatia. Ciascuno strumento o procedura ponel’enfasi su aspetti diversi del sentire empatico. Indici per misurare l'empatia che si basano sui resoconti verbali Questa famiglia di indici e strumenti è stata cronologicamente la prima a essere ideata e messa a punto. E, atutt’oggi, continua a essere quella più frequentemente impiegata. Essa si basa sull’impiego di strumenti qualile storie figurate, le interviste e i questionari. Tutti questi indici, pur con sostanziali differenze, si basano suiresoconti verbali che i soggetti forniscono quando vengono posti di fronte a determinare situazioni stimolo.Gli stimoli possono essere costituiti da vignette, diapositive, oppure domande scritte nei questionari. Attraverso le risposte che i soggetti forniscono a tali stimoli, è possibile cercare di comprendere eclassificare il modo in cui si originano e si esperiscono le esperienze empatiche, nonché misurare il livellocon cui tale capacità si manifesta.

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18. Le storie figurate per valutare l'empatia Lo studio di Feshbach elabora per la prima volta una misura in forma di storie figurate, il FASTE, pervalutare l’empatia espressa verbalmente dai bambini. Proprio perché la prova richiede determinate capacitàlinguistiche, è stata pensata e utilizzata con bambini a partire dai 6-7 anni. Il FASTE consiste in brevi storie,presentate in sequenza. Il protagonista delle storie è un bambino/a coinvolto/a in situazioni emotivamenterilevanti. Al termine di ogni storia è condotta un’intervista, durante la quale vengono rivolte due domande albambino: 1. “Cosa provi?”; 2. “Cosa prova il protagonista della storia?”. Nel FASTE l’empatia è rilevatacome un’esatta corrispondenza affettiva tra due stati emotivi. Il successo del FASTE va ascritto ai numerosivantaggi che esso presenta: un chiaro modello teorico di riferimento; una facile maneggevolezza eapplicabilità; consente la valutazione delle esperienze e dei vissuti interni dei soggetti; permette, infine,un’analisi della conoscenza e della consapevolezza che i bambini hanno del fenomeno. Tuttavia, all’inizio degli anni ottanta, la misura dell’empatia basata sull’esclusivo impiego di storie figurateè stata messa in discussione attraverso un’articolata serie di critiche, elaborate per primo da Hoffman eriprese in seguito da numerosi studiosi. Esse possono essere riassunte come segue: • passare velocemente da storia a storia e, dunque, da un’emozione all’altra pone dei problemi tutt’altro chetrascurabili, dal momento che gli stati emotivi e i vissuti interni non sono così agilmente manipolabili; • le storie figurate valutano la responsività empatica anche in base alla capacità di sapere correttamenteetichettare le varie categorie emotive: il rischio è quello di confondere competenze linguistiche con abilitàempatiche; • non è detto che il bambino riesca a verbalizzare i suoi pensieri o che lo voglia fare; • uno stesso evento è in grado di sollecitare più emozioni concomitanti e emozioni diverse. Per tale ragione,alcune storie possono essere rappresentative di più di un’emozione, mentre spesso una sola è quellaconsiderata corretta per ciascuna storia; • operazionalizzare l’empatia come un’esatta corrispondenza affettiva è eccessivamente riduttivo. PerHoffman tale modo di misurare l’empatia riflette, in termini teorici, un’attenzione predominante verso lecomponenti cognitive, a discapito di quelle affettive. Tutto ciò ha portato di recente a cercare, all’interno di tali tipi di misura, di operazionalizzare l’empatia inuna maniera che rendesse maggior conto della complessità del fenomeno in questione. Strayer ha introdotto una procedura multidimensionale di assegnazione dei punteggi, l’Empathy ContinuumScoring System (ECSS), che rileva sia la componente affettiva sia quella cognitiva dei processi empatici.Esso si basa sulla distinzione tra “empatia generica” ed “empatia specifica”. Nell’empatia generica vi è unacongruenza generica tra le emozioni provate dal soggetto e quelle attribuite al soggetto osservato. Nell’empatia specifica, al contrario, vi è una corrispondenza esatta tra le due emozioni. Strayer ritiene che per valutare l’empatia sia necessario prendere in considerazione anche l’intensità con cuiun soggetto esperisce un sentimento, confrontando l’intensità del sentimento empatico con quelladell’emozione osservata nell’altro. La dimensione affettiva è valutata confrontando la corrispondenza affettiva tra l’emozione osservata nelpersonaggio stimolo e quella provata dal soggetto. Il punteggio finale (EC score) è dato dall’intersezione dei punteggi assegnati alle due dimensioni, quellaemotiva e quella cognitiva.

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19. I questionari per valutare l'empatia Nell’ambito degli studi sull’empatia basati sui resoconti verbali, al fianco delle storie figurate, si è diffusol’impiego di questionari appositamente creati per rendere conto delle caratteristiche del sentire empatico inparticolare nei soggetti preadolescenti adolescenti e adulti. Alcuni questionari presentano tra loro sostanziali differenze. Ciascuno di essi, infatti, riflette un diversomodello teorico sottostante e, pertanto sonda aspetti differenti del comportamento e del sentire empatico. I questionari rilevano un’empatia in termini di “tratto” piuttosto che di “stato”. Chiedono, cioè, di descriverequanto frequentemente e in quali condizioni capita di vivere una certa esperienza di condivisione emotivae/o cognitiva e in tal modo descrivono una sorta di stile comportamentale-relazionale che caratterizzastabilmente l’individuo. Rispetto alle storie figurate, i questionari risultano di più facile somministrazione e valutazione. Lo strumento da molti lustri più utilizzato per la rilevazione del sentire vicario è l’indice di reattivitàinterpersonale di Davis. Se l’impiego di questionari per la misura dell’empatia intesa in senso “generale” vanta una lunga econsolidata tradizione di ricerca, in anni recenti sono state elaborate scale in grado di rilevare alcunispecifici tipi di empatia: l’empatia culturale ed etnoculturale. Per misurare l’empatia culturale, ad esempio, èpossibile utilizzare il questionario di personalità MPQ — Multicultural Personality Questionnaire. Lo strumento prevede un’apposita sottoscala “empatia culturale” per la misura della capacità di crearerelazioni interpersonali favorevoli.

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20. La SEE: una scala per la misura dell’empatia etnoculturale Wang e collaboratori hanno creato un questionario di autovalutazione per misurare l’empatia etnoculturale,la Scala di empatia etnoculturale. Con la locuzione “empatia etnoculturale” si fa genericamente riferimentoall’empatia che si può provare nei confronti di persone appartenenti a etnie diverse dalla propria.

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21. Gli indici somatici per valutare l'empatia In questa seconda tipologia di procedure e di strumenti, l’empatia viene misurata osservando la frequenza ela durata di comparsa di alcuni indici o indicatori somatici. Il termine, coniato da Hoffman, si riferisce alfatto che la misura dell’empatia prende in considerazione un’ampia gamma di espressioni comportamentaliesplicitate attraverso il corpo. Esse sono: i comportamenti, le posture, gli sguardi e le espressioni facciali, ivocalizzi. Gli indici somatici non sono influenzati dal modo in cui il bambino pensa di essere o vuolepresentarsi agli altri (come avviene per gli indici verbali), ma riflettono il modo in cui egli si comportarealmente nel corso delle sue interazioni. Questo è particolarmente vero nella prima e seconda infanzia. Apartire dalla fanciullezza, infatti, i bambini diventano sempre più in grado di inibire, nascondere e simulareintenzionalmente e sistematicamente la manifestazione di comportamenti spontanei.

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22. L’empatia come tratto La capacità empatica evolve seguendo un percorso che procede all’interno di un contesto sociale, culturale,affettivo, che è diverso per ognuno. Come conseguenza di quest’intreccio complesso tra individuo econtesto, prende forma una capacità di risposta empatica che può differire da soggetto a soggetto e che siindividua come una disposizione soggettiva a condividere le emozioni altrui nelle varie situazioni della vitadi ogni giorno; in altre parole, quella che gli studiosi hanno definito empatia di tratto. Tuttavia, nei comportamenti empatici di ogni persona ci sono delle variazioni che dipendono strettamentedalle caratteristiche di una specifica situazione. In questo caso ci si riferisce a un’empatia di stato.

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23. Empatia e concetto di sé Il concetto di sé si può definire come la rappresentazione che un individuo ha di se stesso. Il concetto di sé si sviluppa in modo sostanzialmente relazionale, come conseguenza di un continuo processodi interazione tra l’individuo, il suo ambiente e le persone che ne fanno parte. L’individuo agiscesull’ambiente e l’ambiente a sua volta reagisce influenzando l’individuo. Lo sviluppo di un concetto di sé positivo è facilitato dal fatto di vivere in un contesto che, anche al di làdella relazione con il caregiver, sia caratterizzato da empatia, accettazione e supporto. A questo punto restada chiarire se il fatto di avere un concetto di sé positivo possa, a sua volta, facilitare la messa in atto dicomportamenti empatici. Alcuni studi sembrerebbero dimostrare che lo sviluppo di un buon concetto di sé può incentivare i bambini aessere più empatici. La ragione ditale propensione si può rintracciare, secondo gli autori, nel fatto chel’avere un buon concetto di sé fa sì che i bambini si sentano meno minacciati dagli stati d’animo deicompagni e più capaci di alleviare il loro disagio. Essere empatici con gli altri, se da un lato consente di avere una vita relazionale ricca e soddisfacente,dall’altro significa essere continuamente esposti a vissuti emotivi intensi e questo continuo coinvolgimentoemozionale si può tradurre, a lungo andare, in una sorta di instabilità emotiva, di ansietà, di insicurezza.

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24. Empatia e aggressività In questa sezione la nostra attenzione si focalizzerà sul modello descritto da Bjorkqvist, Lagerspetz eKaukiainen che, tra le altre cose, ha la peculiarità di considerare le varie forme di aggressivitàcontestualizzandole in un’ottica evolutiva. Gli autori individuano tre fondamentali forme di aggressività: • l’aggressività fisica diretta è la prima forma a comparire nell’infanzia, poiché è l’unica possibile quando lecompetenze verbali sono insufficienti per esprimere i propri stati d’animo. Le manifestazionidell’aggressività fisica di tipo diretto sono evidenti e facilmente leggibili: picchiare o spintonare qualcuno,lanciargli contro degli oggetti, fare intenzionalmente un fallo in una partita di calcio ecc.; • l’aggressività verbale diretta si aggiunge a quella fisica dal momento in cui i bambini acquisiscono unabuona padronanza del linguaggio, come quando ci si rivolge a qualcun altro attribuendogli nomignolisgradevoli, insultandolo, ridicolizzandolo ecc.; • l’aggressività indiretta compare con l’acquisizione di abilità sociali sofisticate (social skills), chepermettono ai bambini di manipolare le proprie reti sociali per danneggiare la persona oggetto della propriaaggressività. Sono ascrivibili all’aggressività indiretta comportamenti come: fare amicizia con una personaper infastidirne un’altra, consigliare a qualcuno di evitare una particolare persona, spettegolare o diffonderevoci negative sul conto di qualcuno. L’aggressività dei maschi e delle femmine non è quantitativamente diversa, bensì viene espressa attraversomodalità differenti. Più precisamente sarebbero discriminanti: • la forza fisica: i maschi sono strutturalmente più forti delle femmine. Di conseguenza, per loro, mettere inatto forme di aggressione fisica diretta è più efficace e meno rischioso di quanto lo sia per le femmine; • il livello di sviluppo cognitivo: intorno ai 10-11 anni, si sviluppano le abilità metacognitive che consentonodi avere non solo un’idea della prospettiva dell’altro, ma anche della metaconoscenza che si ha dell’altro eche l’altro ha di noi e che sono necessarie alla messa in atto di forme di aggressione indiretta. Le femmineapprendono più celermente dei coetanei maschi tali abilità metacognitive; • la struttura dei gruppi di amici: mentre i maschi socializzano preferibilmente in gruppi numerosi di amiciin cui i legami interindividuali non sono molto stretti, le femmine prediligono gruppi di amicizie piùesclusivi, a volte limitati a “un’amica del cuore”. Questo modo di vivere le amicizie diventa un terrenofertile per far attecchire strategie aggressive manipolative che coinvolgono le proprie reti sociali. L’empatia modera l’aggressività? Gli studiosi condividono un sostanziale accordo nel ritenete che l’empatia, a partite dalla fanciullezza, sia ingrado di inibire le condotte aggressive fisiche e verbali, i comportamenti antisociali e criminali Il ruolo della componente cognitiva: L’abilità di adottare la prospettiva di un’altra persona, soprattutto insituazioni conflittuali, permette al soggetto di avere maggiore comprensione e tolleranza della posizionealtrui, rendendo di fatto meno probabile la messa in atto di un comportamento aggressivo. Il ruolo della componente affettiva:  Rendersi conto che l’altro sta soffrendo e condividere questosentimento non solo inibisce il perseverare nell’aggressione verbale, ma può indurre a modulare la propriacondotta anche in situazioni future.

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25. Definizione di bullismo Il bullismo è una particolare manifestazione di aggressività, perpetrata da uno o più individui (bulli o bulle)ai danni di uno o più individui (vittime). Un bullo può aggredire la vittima in modo diretto (picchiandola oinsultandola) o in modo indiretto (escludendola, diffondendo calunnie sul suo conto). Bullismo ed empatia I bulli sono bambini con capacità empatiche più scarse rispetto ai compagni meno aggressivi. Dunque, nelmomento in cui vedono la loro vittima terrorizzata e sofferente, essi non ne condividono il dolore. Di conseguenza i comportamenti di offesa che i bulli mettono in atto non hanno in loro una risonanzaaffettiva che potrebbe smorzarne la condotta aggressiva. Emerge come l’empatia sia una capacità centralenel modulare comportamenti e ruoli in fenomeni di bullismo. Queste considerazioni sono rilevanti da unpunto di vista applicativo e diventano un ulteriore stimolo per promuovere programmi di educazioneaffettiva che dedichino una particolare attenzione allo sviluppo della capacità empatica.

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26. Empatia e comportamento prosociale Tra i comportamenti di aiuto, particolare interesse hanno suscitato i comportamenti prosociali e icomportamenti altruistici. Prosocialità e altruismo fanno riferimento a concetti differenti. I comportamentiprosociali comprendono tutte quelle azioni volte a produrre, mantenere e accrescere il benessere delle altrepersone. Sono, dunque, comprese in questo insieme tutte le azioni sociali positive, considerate a prescinderedalla motivazione che le ha generate e che può essere quella di aiutare l’altro, ma anche di ottenere beneficipersonali o vantaggi secondari. I comportamenti altruistici identificano, invece, quella gamma di azionivolte ad aiutare gli altri, che si mettono in atto a prescindere da benefici attesi (riconoscimenti sociali,evitamento dei sensi di colpa) e dal fatto che possono comportare un elevato costo individuale. Le primemanifestazioni di comportamento prosociale compaiono in fasi molto precoci dello sviluppo. Conl’acquisizione di un sé distinto dagli altri e di meccanismi cognitivi più sofisticati, vengonoprogressivamente raggiunti livelli di empatia più maturi e le proposte di aiuto si fanno più raffinate eappropriate allo specifico vissuto di quella particolare persona, in quella specifica situazione. L’empatia motiva il comportamento prosociale? Vi è un sostanziale accordo tra gli studiosi nel considerare l’empatia una molla importante per mettere inatto comportamenti prosociali e altruistici. Il principale meccanismo di motivazione dei comportamenti prosociali ha a che fare con le componentiemotive dell’empatia e può verificarsi attraverso due modalità differenti. Entrambe sono caratterizzate dauna reazione emotiva originata dal disagio e dalla sofferenza altrui. La prima reazione, di disagio personale(personal distress), sarebbe caratterizzata da una motivazione egoistica: osservare la sofferenza dell’altrodeterminerebbe nell’osservatore un forte stato d’ansia e di tensione. La seconda, la considerazione empatica(empathic concern), avrebbe invece una motivazione altruistica.

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27. Empatia etnoculturale e pregiudizio Il fenomeno dell’immigrazione ha portato con sé ripercussioni non solo nella realtà politica ed economica,ma ha assunto anche una forte rilevanza psicosociale. La diffusione di pregiudizi negativi può diventare un vero e proprio problema sociale, così come accade peri pregiudizi nei confronti di etnie diverse dalla propria. Il pregiudizio interetnico Negli ultimi anni alle più tradizionali forme di pregiudizio diretto si sono affiancate forme di pregiudizio chesi esprimono in modo più sottile. La prima forma di pregiudizio viene definita pregiudizio manifesto, è plateale e diretta e caratterizza chi sidefinisce apertamente contrario all’integrazione razziale. Si esplicita nel rifiuto di qualsiasi relazione conpersone appartenenti a etnie o razze diverse dalla propria. La seconda forma di pregiudizio è definita pregiudizio latente. Questa forma si esplicita attraverso modalitàcomunicative socialmente accettate nelle società occidentali come: la difesa dei valori tradizionali dellapropria etnia, un’accentuazione delle differenze tra la propria e altre culture, il rifiuto delle emozionipositive nei confronti dell’out-group. La diffusione di pregiudizi interrazziali accresce la distanza tra etnie diverse che pur convivono nella stessanazione, ostacolandone l’integrazione e la valorizzazione delle rispettive differenze. L’effetto dell’empatia sul pregiudizio sarebbe mediato dal percepirsi meno distanti e diversi dall’altro, checessa pertanto di essere visto come una minaccia. L’empatia etnoculturale si può definire come l’empatia che si sperimenta nei confronti di persone conretroterra culturali o etnie diverse dalla propria. Le persone che provano empatia etnoculturale verso individui di altri gruppi o nazioni condividono i lorostati d’animo di frustrazione o rabbia quando vengono discriminati, si sforzano di comprendere i disagidell’essere straniero in un paese in cui ci si cerca di inserire, provando ad accogliere le tradizioni culturali dicui le persone di etnie diverse si fanno portavoce.

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28. Stili parentali ed empatia Hoffman sostiene che essere genitori empatici, ad esempio esprimendo solidarietà per gli altri e rilevando lesomiglianze con persone con retroterra culturali diversi dal proprio, può incentivare i propri figli a fare lostesso nella loro vita di tutti i giorni. Lo stile educativo che, secondo Hoffman, è più adatto a sviluppare le capacità empatiche dei figli è quello“induttivo”, in cui i genitori fanno attenzione alla sofferenza altrui e fanno comprendere chiaramente aibambini quali loro azioni cagionano danni ad altri. Uno stile educativo autorevole è positivamente correlatocon elevate capacità empatiche, e un concetto di sé positivo dei figli.  I genitori autorevoli sono caldi edisponibili ma fermi, e sono coinvolti nella vita dei figli (sanno dove i figli sono, conoscono i loro amici),non perché sono intrusivi, ma perché si curano di loro. Empatia e legame di attaccamento Uno dei primi fattori che è stato individuato in letteratura come importante nello sviluppo dell’empatia è larelazione che si instaura tra genitore e bambino. Secondo la teoria dell’attaccamento i bambini manifestanola tendenza innata a stringere legami privilegiati con le proprie figure di attaccamento, cioè le persone che siprendono cura di loro (i caregivers). Coloro che in questa esperienza sono stati accuditi da una persona che si è dimostrata responsiva rispetto ailoro primi bisogni e che li ha supportati quando erano in difficoltà interiorizzeranno questa modalitàrelazionale e, nei rapporti futuri, aiuteranno chi si trova in difficoltà cercando di cogliere e rispondere ai suoibisogni.

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29. L’empatia e la scuola Gli educatori empatici cercano di proporsi come modello morale, sforzandosi di considerare ciascun allievocome un individuo unico, tenendo in gran conto le altre persone e facendo in modo che anche i propristudenti lo facciano. Nonostante a breve termine cercare di essere un insegnante empatico sia una scelta faticosa, alla lunga pagasia in termini di rendimento scolastico sia in termini di sviluppo individuale, e gioca un ruolo fondamentalenella modulazione di condotte sociali aggressive. Un insegnante che quotidianamente si comporta in modoempatico diventa un modello per i suoi studenti, che tenderanno ad assimilare i comportamenti cheosservano in lui e ad estenderli alle relazioni con gli altri compagni. Educare all’empatia può aiutare a rendere la vita di gruppo e relazionale più armoniosa, smorzando lecondotte aggressive e promuovendo quelle di aiuto. La scelta di affiancare ai più consueti curricula scolastici dei corsi di educazione all’empatia puòrappresentare un valido aiuto per rendere più spontaneo il processo di integrazione e di reciprocavalorizzazione e vivere una vita di gruppo più armoniosa.

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Indice

1. L’empatia tra cognizione e affettività 1

2. L’empatia come comprensione e condivisione 2

3. L’empatia tra fattori individuali e interpersonali 3

4. L’empatia culturale ed etnoculturale 4

5. Empatia e role taking 5

6. Empatia, simpatia, disagio personale e contagio emotivo 6

7. Neuroni specchio ed empatia 7

8. Norma Feshbach: il primo modello multidimensionale di empatia 8

9. La teoria di Martin Hoffman: l’empatia e lo sviluppo morale 9

10. Il modello multidimensionale dell'empatia di Janet Strayer 11

11. I modello di empatia di Davis 12

12. Bischof-Köhler: l’empatia nei primi due anni di vita 13

13. Empatia tra fattori di personalità e relazionali 14

14. Il ruolo del contesto comunicativo sulle risposte empatiche 15

15. I bambini con sindrome di Down e l’empatia 16

16. I bambini autistici e l’empatia 17

17. L’empatia e i problemi legati alla sua misurazione 18

18. Le storie figurate per valutare l'empatia 19

19. I questionari per valutare l'empatia 20

20. La SEE: una scala per la misura dell’empatia etnoculturale 21

21. Gli indici somatici per valutare l'empatia 22

22. L’empatia come tratto 23

23. Empatia e concetto di sé 24

24. Empatia e aggressività 25

25. Definizione di bullismo 26

26. Empatia e comportamento prosociale 27

27. Empatia etnoculturale e pregiudizio 28

28. Stili parentali ed empatia 29

29. L’empatia e la scuola 30