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L'Espresso Data Foglio HEVRIN · da una distanza compresa tra í 40 e i 75 centimetri, non c'è...

Date post: 29-Jul-2020
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1 / 5 Data Pagina Foglio 20-10-2019 18/22 L'Espresso L'invasione turca/Il simbolo del martirio NESSUNO D1MENT ICNI HEVRIN FEMMINISTA. NON VIOLENTA. ATTIVISTA IN PRIMA LINEA PER GLI OPPRESSI. QUINDI INTOLLERABILE PER IL REGIME DI ANKARA E GLI JIHADISTI. CHE, INSIEME, NE HANNO DECRETATO LA MORTE DI GIGI RIVA entiquattrore prima di morire, e senza averne alcun presagio, Hevrin Khalaf ha la- sciato sul suo profilo WhatsApp l'ultimo messaggio di forza e speranza nel domani. Ora si può leggere come testamento, come monito per chi vorrà raccoglierne l'eredi- alla guida del movimento per la piena emancipazione delle donne, per il riscatto del suo popolo, il popolo curdo, per la de- mocrazia, l'uguaglianza, i diritti. Ha scritto: «Un giorno, quando le cose an- dranno bene, ti guarderai indietro e ti sentirai orgoglioso di non esserti arreso». Quando le cose andranno bene. Perché bene non andavano nel Rojava, venerdì 1l ottobre, mentre Hevrin digitava sullo smartphone l'incitamento a non mollare a beneficio della sua comunità di amici e compagni, anche di se stessa. Rojava, nel- la lingua curda, significa "Occidente" e l'Occidente inteso in senso largo, come area valoriale oltre che geografica, stava tramontando, oscurato dal proprio tradi- mento e dal realismo cinico di una politi- ca che ha come stella polare l'egoismo. Donald Trump, il commander in chief del- la prima potenza mondiale, il magnate dai tweet sulfurei, la domenica preceden- Ritaglio stampa ad uso esclusivo del destinatario, non riproducibile. Esteri 045688 Settimanale
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Page 1: L'Espresso Data Foglio HEVRIN · da una distanza compresa tra í 40 e i 75 centimetri, non c'è praticamente parte del corpo senza i segni di botte e fori di proiettile. Il corpo

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20-10-201918/22L'Espresso

L'invasione turca/Il simbolo del martirio

NESSUNO D1MENTICNI

HEVRINFEMMINISTA. NON VIOLENTA.ATTIVISTA IN PRIMA LINEAPER GLI OPPRESSI. QUINDIINTOLLERABILE PER IL REGIMEDI ANKARA E GLI JIHADISTI.CHE, INSIEME, NE HANNODECRETATO LA MORTE

DI GIGI RIVA

entiquattrore primadi morire, e senzaaverne alcun presagio,Hevrin Khalaf ha la-sciato sul suo profiloWhatsApp l'ultimomessaggio di forza esperanza nel domani.

Ora si può leggere come testamento, comemonito per chi vorrà raccoglierne l'eredi-tà alla guida del movimento per la pienaemancipazione delle donne, per il riscattodel suo popolo, il popolo curdo, per la de-mocrazia, l'uguaglianza, i diritti. Hascritto: «Un giorno, quando le cose an-dranno bene, ti guarderai indietro e ti

sentirai orgoglioso di non esserti arreso».Quando le cose andranno bene. Perché

bene non andavano lì nel Rojava, venerdì1l ottobre, mentre Hevrin digitava sullosmartphone l'incitamento a non mollarea beneficio della sua comunità di amici ecompagni, anche di se stessa. Rojava, nel-la lingua curda, significa "Occidente" el'Occidente inteso in senso largo, comearea valoriale oltre che geografica, stavatramontando, oscurato dal proprio tradi-mento e dal realismo cinico di una politi-ca che ha come stella polare l'egoismo.Donald Trump, il commander in chief del-la prima potenza mondiale, il magnatedai tweet sulfurei, la domenica preceden-

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. D S

oute man/ AFP via Getty Images

te aveva belato al telefono con RecepTayyip Erdogan e gli aveva garantito cheavrebbe ritirato i soldati americani dalNord della Siria. Di fatto, la luce verde perinvadere il Rojava, e pazienza se i curdierano stati l'esercito-taxi usato per scon-figgere lo Stato islamico del sedicente ca-liffo Abu Bakr al-Baghdadi. Che cosa con-tano i pur valorosi e sempre negletti curdidavanti al sultano di Istanbul forte diun'armata di 300 mila uomini e padronedi uno Stato membro della Nato? Erdogannon aveva perso tempo e mercoledì 9 otto-bre aveva ordinato ai suoi uomini di pas-sare il confine, spalleggiati dalla soldata-glia di arabi-siriani al soldo di Ankara,

molti dei quali jihadisti e in passato ap-partenenti a formazioni distintesi per fe-rocia nel pantano siriano. Come Al Nusra,la filiazione locale di al Qaeda. Come lostesso Isis.Per quella marmaglia di assassini fana-

tizzati, cresciuti nell'idea della sottomis-sione del genere femminile, Hevrin era ilbersaglio perfetto. Femminista, attivistaindefessa, in breve diventata simbolo an-che delle donne arabe della regione. In-somma una pericolosa eversiva che dif-fonde idee di pace, convivenza tra le etnie,ai loro occhi un "cattivo esempio" da di-struggere. E l'occasione è capitata moltoprima di quanto sperassero. Sabato 12, —)

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Hevrin Khalaf, l'attivistae politica curda uccisadalle forze filoturcheil 12 ottobre scorso.A sinistra: un momentodei suoi funerali avvenutidue giorni dopo nellacittà di Al-Malikiyah(Dérik per i curdi),nel nordest della Siria

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L'invasione turca

quarto giorno di invasione, nonostantetuonasse il cannone e piovessero bombedal cielo, le linee del fronte mutassero dicontinuo e le strade fossero infestate damanipoli di tagliagole, Hevrin di primamattina aveva ordinato al suo autista dipreparare il fuoristrada. Meta: la città diDerik, dove abita la madre e dove tornavaogni fine settimana. Origine del viaggio,Ain Issa, sede del quartier generale delPartito della Siria del Futuro di cui eraco-segretaria fin dalla fondazione, il 27marzo del 2018. Hevrin e l'autista avevanoimboccato l'autostrada internazionaleM4 senza sapere che un tratto era finitoda poco sotto il controllo - stando ad alcu-ne fonti - del gruppo jihadista Ahraral-Sharqiya, alleato dei turchi. Sulle mo-dalità della carneficina circolano diverseversioni, con dettagli contrastanti, tuttitruci. Aiutano nella ricostruzione più pro-babile due video messi in rete dagli stessikiller, come fosse un trofeo di cui andarefieri. Il fuoristrada viene fermato, unamassa di uomini vocianti e in divisa mili-tare cachi lo circondano. Hevrin, vestitacon pantaloni neri e una maglietta rossa,il suo colore preferito, viene immediata-mente riconosciuta per le numerose appa-rizioni televisive. Forse viene violentata,sicuramente crivellata di colpi assiemeall'uomo che è con lei e poi, per ulterioreoltraggio, lapidata. In un filmato si vedeun miliziano che si avvicina al corpo im-polverato, lo rimuove con un piede e com-menta: «Questo è il cadavere dei maiali».Il referto dell'anatomopatologo dottorTayceer al-Makdesi (di cui taciamo perpietà i particolari più raccapriccianti) sti-lato all'ospedale internazionale di al-Ma-likiyah, nome siriano di Derik, arriva allaconclusione che la donna è stata colpitaalla testa con un oggetto contundente, enon è difficile immaginare il calcio del fu-cile, il colpo fatale in faccia è stato sparatoda una distanza compresa tra í 40 e i 75centimetri, non c'è praticamente partedel corpo senza i segni di botte e fori diproiettile. Il corpo è stato trascinato perdiversi metri con la presa sui capelli fino ascorticare completamente le gambe. Nonc'era più pelle, sopra i muscoli: oltre all'e-secuzione, il vilipendio.Era nata, Hevrin, 35 anni fa a Derik,

venti chilometri di distanza dal fiume Ti-

Un bombardamentoturco sulla cittàdi Akcakale in Siria

gri, una cittadina di 40 mila abitanti doveconvivono curdi, assiri, arabi e armeni.Una vocazione multietnica e multireligio-sa sfociata nell'accoglienza e nell'allesti-mento di campi profughi fin dall'originedel conflitto in Siria (15 marzo 2011) e nelricovero dato agli ezidi contro i quali loStato islamico tentò il genocidio. L'humusdelle origini sarà probabilmente determi-nante nell'orientare le scelte successivedella ragazza e l'appartenenza al popolocurdo, dove esiste una sostanziale paritàdi genere tanto che ogni carica pubblica èsdoppiata in due tra un maschio e unafemmina, la spingerà a un impegno assi-duo per promuovere nella regione valorida altri non condivisi. Bella, occhi e capel-li scuri, minuta (alta 1,68 per 55 chili), do-po le scuole superiori nel luogo natale,emigra ad Aleppo, il capoluogo patrimo-nio dell'Unesco, che diventerà città marti-re dello sventurato Paese. Lì Hevrin siiscrive all'università, ingegneria civile. Ametà degli anni Dieci del nuovo millen-nio, fresca di laurea, trova lavoro in un di-partimento governativo. Parla fluente-

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mente l'inglese, oltre all'arabo e al curdo.Ha passioni comuni alle sue coetanee. Lalettura, anzitutto. I classici, ovviamente.Adora il cinema, attori preferiti due dissi-denti e non per caso: Jay Abdo assai popo-lare a Damasco, ora esule negli Stati Uniti

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per fuggire la possibile repressione del re-gime dopo le critiche pubbliche a BasharAssad; Fadwa Suleiman, originaria diAleppo, alauita come il presidente sirianoma pure sua acerrima nemica, volto dellarivolta, riparata col marito a Parigi dove èmorta di tumore nel 2017 a soli 47 anni.Parigi è anche la meta preferita per le va-canze di Hevrin Khalaf. Sarebbe il mondoil suo orizzonte se la storia non le passassesotto i piedi e la costringesse a fermarsi.La breve primavera siriana ben presto sitramuta nell'inverno del conflitto con-temporaneo più longevo e cruento. Condi-vide gli obiettivi della rivoluzione, si uni-sce ai ribelli, lascia l'impegno al diparti-mento e serve il movimento con l'unicaarma che ha a disposizione: la cultura. Davolontaria impartisce lezioni gratis agruppi di studenti di ogni età. Incoraggiale donne a unirsi al movimento e battersiper la libertà. La ricordano per un invitospesso reiterato: «Non sposatevi e non fa-te figli troppo presto, così potere dedicar-vi alla nostra causa». Lei stessa dà l'esem-pio, ha un fidanzato ma l'unione non èmai sfociata nel matrimonio, nemmenonella convivenza. Preferisce rincasareogni sera dalla mamma nonostante il suoufficio sia a Qamishli, cento chilometri didistanza.Nel caos di uno Stato devastato dalla

guerra, al Nord i curdi (nel Rojava appun-to) riescono a ritagliarsi un'autonomia difatto. Hevrin scala in fretta la gerar- -+

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-) chia della nuova amministrazione.Co-presidente del dipartimento per l'E-nergia e poi di quello per l'Economia. Be-rivan Omar, ora vice co-presidente per lemunicipalità e l'ambiente della regioneJazeera, l'ha conosciuta quattro anni fa ecosì la descrive: «Esprimeva le sue opi-nioni con calma, ma anche con audacia echiarezza. Grazie al suo carisma tran-quillo ha attirato la mia attenzione dasubito. Ho pensato dal primomomento che avrei volutoessere come lei, per espri-mere allo stesso modo lemie opinioni con coraggio».Proprio grazie alla sua for-

za serena Hevrin si guadagnaun ruolo nella delegazione chenegozia con gli americani, chie-de garanzie sul futuro della regio-ne. Una diplomatica senza quel ti-tolo di studio ma con l'arte dellamediazione imparata cammin fa-cendo con l'attività di base. Dal so-ciale il suo impegno inclina sempre dipiù verso il politico. Non più solo il fem-minismo e i diritti, anche il destino deicurdi, la soluzione del problema atavicodel popolo senza terra, oppresso e vessa-to da troppi satrapi nell'area più infiam-mata del mondo. E così che si fa promotri-ce in prima persona della nascita di unnuovo partito che ha nel nome la parolache più le sta a cuore: futuro. Partito dellaSiria del Futuro. Si trasferisce ad Ain Issa,dove c'è la sede centrale della nuova for-mazione. Ancora Berivan Omar: «Comeal solito aveva intrapreso questa nuovaavventura con passione e impegno tota-lizzanti. Lavorava dall'alba sino a notte.Prima di coricarsi si concedeva qualche

L'invasione turca /Il simbolo del martirio

UN AIUTO Al CIVILI DEL ROJAVAL'invasione in territorio siriano da parte della Turchia non significa solo

l'occupazione militare delle principali città del Rojava, ma sta provocandoun disastro umanitario di enormi proporzioni per numero di sfollati e vittimecivili. La Mezzaluna Rossa curda è in prima linea per far fronte all'emergenzaumanitaria con tutti i mezzi a disposizione, ma è necessario l'aiuto di tutti. Per

questo ha lanciato un appello per raccogiere donazioni anche di piccola entità.Le donazioni possono esere effettuate attraverso Paypal (https://www.paypal.

me/mezzalunarossacurda). Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia è un'associazionesenza scopo di lucro, nata come diramazione italiana dell'associazione "HeyvaSor a Kurdistan', la più grande organizzazione umanitaria per il Kurdistan.

pagina di un buon libro. Recentemente miaveva confidato come le mancasse la suacittà, i suoi amici perché ad Ain Aissa nonc'era una vita sociale e culturale così inte-ressante. Però si sacrificava per una ragio-ne superiore. Lei era tra coloro che decide-vano e dunque doveva costantemente es-sere presente».Una pacifista, certo, ostinatamente

convinta nella forza del dialogo. Però nona ogni costo. Noi diremmo piuttosto, unanon violenta. Non si attacca, ma ci si deve

difendere davanti a un'ag-gressione. Da mesi i ventiannunciavano un possibile

attacco turco e si era schiera-ta perché si facesse ogni sforzo

per contrastare l'eventuale occu-pazione, proteggere l'autonomia gua-

dagnata con la rivoluzione e la popolazio-ne civile. Il 5 ottobre aveva cercato di gio-care d'anticipo. In una conferenza stam-pa davanti a telecamere e giornalistiorganizzata dal suo partito era stata lasola a prendere la parola. Giacca bianca arighe, camicetta verde, i capelli raccolticon chignon alto, il solito tono pacato,aveva previsto e condannato a priori l'at-tacco turco: «Noi respingiamo le minacceturche, ostacolano i nostri sforzi per tro-vare una soluzione alla crisi siriana. Du-rante il periodo di dominio dell'Isis allefrontiere, la Turchia non ha visto questocome un pericolo per la sua gente. Ma orache c'è un'istituzione democratica nelNord-Est della Siria, loro ci minaccianocon l'occupazione».Una settimana dopo esatta sarebbe sta-

ta trucidata al margine di un'autostrada.Una settimana dopo non c'era più "futu-ro" per lei e probabilmente non ci sarànemmeno per il Rojava ("l'Occidente").Alcuni giornali turchi non si sono vergo-gnati di gioire alla notizia della sua morte.Però un seme del suo insegnamento lavo-ra nel profondo di quella terra e potrà pro-durre germogli in una postuma altra pri-mavera: è stato a Raqqa, già capitale delsedicente califfato, abitata in maggioran-za da arabi con cui cercava il dialogo, chesi è svolta la più imponente manifestazio-ne organizzata dalle donne che l'avevanoconosciuta per commemorare Hevrin, lamartire. Da lassù si sentirà «orgogliosa dinon essersi mai arresa». ■

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