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LETTERA DEL PRESIDENTE APPROFONDIMENTI FOCUS 2015/3 CT... · 2018-04-13 · LETTERA DEL PRESIDENTE...

Date post: 17-Jun-2020
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3 2 0 1 5 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in abbonamento postale - 70% Roma Aut. n. C/RM/078/2010 LETTERA DEL PRESIDENTE Una stagione di convivialità dialogo, nuove leadership PASTORALE GIOVANILE Tempo per riconciliarci con la vita sulla terra APPROFONDIMENTI Di quale adulto hanno bisogno i giovani? Cosa c’è nella storia di ogni “ragazzo difficile” C’è da allenare il cervello nell’apprendimento sportivo FOCUS Orgoglio e responsabilità in quanto famiglia salesiana LOGO 2016 Farci uomini e donne di riconciliazione
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■ LETTERA DEL PRESIDENTEUna stagione di convivialitàdialogo, nuove leadership

■ PASTORALE GIOVANILETempo per riconciliarcicon la vita sulla terra

■ APPROFONDIMENTIDi quale adulto hannobisogno i giovani?

Cosa c’è nella storiadi ogni “ragazzo difficile”

C’è da allenare il cervellonell’apprendimento sportivo

■ FOCUSOrgoglio e responsabilità in quanto famiglia salesiana

■ LOGO 2016Farci uomini e donnedi riconciliazione

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[email protected]

Fondata da Don Gino Borgogno

Anno LV - n. 3 - 2015 RIVISTA

DELLE POLISPORTIVE GIOVANILI SALESIANEVia Nomentana, 175 - 00161 Roma

[email protected] - www.pgsitalia.org

DIREZIONE E REDAZIONEFrancesca Barbanera, Luca Baracco,

Luca Caruso (vicedirettore), Francesco D’Ambrosio, Enrico Delmastro,

Franco Floris (direttore responsabile), Angelo Isella, Franco Longo,

Michele Marmo, Michele Portincasa, Roberta Povoleri, Elena Rastello, Paola Scalari

Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 297/2010 del 22/06/2010

IMPAGINAZIONE E STAMPATipolitografia Istituto Salesiano Pio XI

Via Umbertide, 11 - 00181 Roma Tel. 06 7827819 • [email protected]

Finito di stampare: Novembre 2015

Som

mario

3 LETTERA DEL PRESIDENTE

4 PGSITALIACooptare gli adulti in percorsi che evitinole attività “mordi e fuggi” ........................................................................................4

Intervista a Maurizio Siragusa

Le idee e ipotesi di futuro nascono dove intense sono le comunicazioni ....................................................................................................5

Intervista ad Alessandro TarabusoA cura di Luca Caruso

7 PASTORALE GIOVANILEIl Dio della vita ci sfida anche nello sport a riconciliarci con ogni forma di vita sulla terra ...............7

Sr. Francesca Barbanera

9 APPROFONDIMENTIDi quale adulto hanno bisogno nella vita come nello sport i giovani nel cercare altro dal consumo ....9

Mario Pollo

Non sospendere mai l’azione educativaa fianco dei ragazzi più difficili ...................................................................13

Paola Scalari

Il ruolo del cervello nei meccanismi di base dell’apprendimento motorio e sportivo ......................................16

Francesco D’Ambrosio

20 FOCUS Orgoglio e responsabilità nel sentirci parte del grande albero della famiglia salesianaGiovani, fateci spazio accanto a voie cammineremo insieme .......................................................................................20

Lettera alle PGS di don Artime, Rettor maggiore dei Salesiani

Nella vita come nello sport non ci si può accontentare di un pareggio mediocre .........................................................................................21

Lettera alle PGS di suor Yvonne Reungoat, Madre generale FMA

Si può parlare e come di stile salesianonello sport con i giovani? ......................................................................................21

don Claudio Belfiore

Sentirci parte della famiglia salesiana ci dona fantasia e coraggio nel chiedere ai giovani di farci spazio ............24

Michele Visentin

29 DAL TERRITORIOGrosseto: Quando il gioco conduce alla tecnica .........29

Amedeo Gabbrielli

Calabria: Un’estate di grande partecipazione .................29Sergio Notaro

Nomadelfia: Festa del gioco e dello sport ................................29Amedeo Gabbrielli

Alassio: Anche noi siamo un sogno di don Bosco ........30Cinzia Molle

Alassio: Una festa inserita nel gioco della vita .................30Cristina Bollini

Modica: Lo stare insieme aiuta a tutti a crescere meglio ...............................................................................................................31

Roberto Chiaramonte

Vicenza: Coniugare gesto tecnico e motivazione ........31Roberta Povoleri

ENTRANEL “FOCUS”DI QUESTONUMERO

Siamo famigliasalesiana

se crediamo nei giovani

come ha fatto don Bosco

L’anno dei Bicentenario della na-scita di don Bosco ha permesso an-

che a noi del mondo PGS di sentire il calore e il fascino del radi-camento nella storia salesia-na e dunque del far parte del “grande albero” che è

la famiglia salesiana con i suoi molteplici rami. Abbiamo così (ri)

scoperto le radici della nostra vita-lità e del nostro coraggio. Proprio per

questo il Focus torna indietro fino a fare spazio alle due lettere che, in occasione

dei Giochi a Torino, ci hanno inviato il Rettor maggiore dei Salesiani e la Madre generale

delle FMA. Lettere da meditare e discutere in ogni realtà PGS L’orgoglio per il riconoscimento

del nostro lavoro non può non responsabilizzarci ancora di più.

segue a pag. 20➔

25 MONDO PGSRimini: Nuovi maestri per la difficile arte del pattinaggio ......................................................................................................................25

Gianni De Caneva

Mezzano: Un mix di eleganza, potenza e leggerezza ......26Roberta Povoleri, Enrico Peretto

Torino: Può essere bello lavorare dietro le quinte .....27Olimpia Pelizza

Catania: Attratti dal costruire un nuovo mondo ...............27Mario Condorelli

Milano: A EXPO per nutrire lo sport ...................................................28Giulio Monga

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 3

Lettera del Presidente

CI ATTENDE UNA STAGIONE DI CONVIVIALITÀ, DIALOGO SERRATOEMERGENZA DI NUOVE LEADERSHIP

olti sono i vantaggi dell’in-fomatizzazione nel lavoro personale come in quello delle organizzazioni, com-prese le PGS, perché le co-

municazioni sono più rapide raggiun-gendo un elevato numero di persone in pochi istanti, i documenti sono dispo-nibili e consultabili da tutti... Allo stesso modo enormi sono i vantaggi dei social network che intensificano gli intrecci tra reti e tra mondi diversi, vicini e lontani.

Tuttavia, pensando a organizzazioni come la nostra, vanno fatte alcune consi-derazioni critiche e insieme costruttive.

I processi di informatizzazione stanno aumentando le pratiche da sbrigare, il va e vieni delle mail, le richieste da evade-re, i protocolli da etichettare, i questiona-ri a cui rispondere. Al punto che, qui sta la prima considerazione, si impiega più tempo a trafficare sui dati che a comuni-care con le persone. Lo pensano quanti dentro i servizi pubblici e sociali (ci sia-mo anche noi) sono sommersi da una crescente burocrazia informatica, che “ruba” tempo al dialogo con i colleghi, all’accoglienza delle persone e alle loro richieste, alla progettualità comune. Molti denunciano anche come il continuo stare connessi sui social da una parte arricchi-sce la rete dei contatti, dall’altra rischia di non fare spazio a relazioni faccia a faccia. (Qualcuno denuncia che alle feste tra adulti, molti finiscono per rifugiarsi negli iphon, senza conversare. Iperconnessi, ma sconnessi dal qui e ora?).

Quel che rischia di mancare è il vedersi, riconoscersi, scambiarsi con-ferme, conversare, discutere animata-mente, immaginare e sognare insieme mondi altri da quelli che ci affliggono, progettare cose da fare insieme. Ma si perde il gusto di stare e fare insieme, dell’avventura di gruppo, dell’ideare e lavorare, dell’assumersi responsabilità per il bene comune.

Quanto questo rende fragile la no-stra vita associativa?

Anche nelle nostre realtà, ai vari li-velli organizzativi, rischiamo di essere sommersi da pratiche, protocolli, per-

messi, concessioni, calendari... Cose importanti se si ha chiaro che l’anima dell’associazione è incontrarsi faccia a faccia, attivare relazioni che alimentano avventure di gruppo e tra gruppi, coin-volgendo generazioni e mondi culturali nel fare dello sport un luogo di co-evo-luzione dando vita a un’ associazione sportiva.

In questa prospettiva sottolineo un aspetto importante pensando alla no-stra imminente “campagna elettorale” che pone al centro la “politica dell’as-sociazione”, dove con don Milani per politica si intende “l’arte di sortire insieme dai problemi” in un mondo in forte evoluzione. Ci attende una stagione di elezioni, che sarà feconda se sarà un’adeguata stagione politica. Ora la politica dell’associazione la si fa moltiplicando le occasioni di incontri in tante piazze in giro per l’Italia, dove ritrovarsi consapevoli dell’enorme la-voro che stiamo facendo, ma anche dell’urgenza di delineare verso dove andare nel prossimo futuro.

Questo chiede un intenso lavoro di scambio informatico e di attivazione di social network a servizio di una fase intensa di discussione nel nostro asso-ciarci, educare, fare cultura, tessere po-litiche a livello locale, regionale, nazio-nale. Solo se ci appassioniamo a questo lavoro potrà emergere una rinnovata leadership dentro l’associazione.

Per fare questo abbiamo molto bi-sogno dei social per allargare le nostre piazze. Penso alle esperienze di social street, dove persone che abitano in una strada senza conoscersi, ma in fondo con gli stessi problemi, sotto la spinta di qualcuno vengono a conoscersi e intrecciare legami su facebook, fino a decidere di trovarsi insieme in piazza o per strada, a mangiare e far festa anzi-tutto, per poi chiedersi insieme cosa im-maginare e fare nel proprio quartiere. Quante piazze, virtuali e reali, siamo in grado di mobilitare per il futuro dell’as-sociazione immaginando “alleanze im-pensabili” dentro i territori? ■

([email protected])

M

Gianni Gallo

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4 juvenilia – settembre-novembre 2015

PGSITALIA

COOPTARE GLI ADULTIIN PERCORSI CHE EVITINO LE ATTIVITÀ “MORDI E FUGGI”

Attività sportive con una programmazione ampia

Intervista a Maurizio Siragusapresidente regionale PGS Sicilia

essuna associazione PGS può pensare al futuro chiu-dendosi in se stessa in tem-pi di rapidi combiamenti. Si

fa in fretta a non capire più cosa succede e verso dove andare, a livello locale, re-gionale non meno che nazionale. Come osserva Maurizio Siragusa, è indispen-sabile che “mettiamo in rete i territori, le loro esperienze, i rispettivi modelli organizzativi puntando su una maggio-re relazionalità tra i dirigenti regionali, tra chi oggi, di fatto, opera con le diver-se realtà locali, ne conosce potenzialità ma anche limiti”. Solo così è possibile “confezionare concretamente un’offerta sportiva” che permetta di uscire dalla logica di attività “mordi e fuggi”.

Come nasce il tuo impegno in PGS?

Nasce in oratorio, da dirigente del-la storica società don Bosco Ardor Sa-les di Catania, nella quale divento di-rigente alla fine degli anni ’80 per poi diventarne presidente. Stare in mezzo ai ragazzi, accompagnarli nell’avven-tura personale e sportiva è la cosa più bella per un dirigente sportivo. È stato lo stimolo maggiore per il mio impe-gno associativo che poi si è tradotto nell’assunzione di ruoli di responsabi-lità a livello territoriale (provinciale e regionale) e centrale (vicepresidente nazionale dal 2000 al 2006).

Quale, secondo te, l’attualità del carisma di don Bosco?

Per noi delle PGS il carisma deve essere interpretato con l’impegno con-creto a fare vivere l’esperienza sporti-

va educativa laddove oggi, per motivi diversi, non esiste o non è più soste-nibile, soprattutto a favore dei giovani che tendono ad abbandonare la prati-ca e i gruppi sportivi sempre più pre-cocemente. Non dimentichiamoci che siamo Polisportive “giovanili”…

Qualche dato sull’attività delle PGS in Sicilia?

Le PGS in Sicilia sono strutturate oggi in circa 230 associazioni affiliate e oltre 13.000 tesserati che svolgono l’attività organizzata da sei comitati pro-vinciali. Gli sport maggiormente prati-cati sono quelli tradizionali di squadra (calcio a cinque, pallavolo, pallacane-stro) e qualche disciplina individuale (pattinaggio, danza, tennistavolo, sport equestri). Nella scorsa stagione abbia-mo censito oltre 500 squadre iscritte ai campionati di base.

Molto radicata è l’attività in oratorio: siamo presenti con le nostre polispor-tive in tutte le Opere salesiane e delle FMA della Sicilia, condividendo pro-gettualità e strategie formative con le rispettive comunità educative-pastorali.

Stiamo puntando molto anche sull’attività motoria nelle scuole attivan-do diversi progetti sul territorio.

Cosa domandano le PGS siciliane al nazionale?

Ascolto, interlocuzione efficace, de-terminazione e chiarezza nei processi decisionali nelle dinamiche dell’Asso-

ciazione che, comunque, rimane sem-pre un Ente con una struttura federativa.

Cosa propongono, invece, per la crescita dell’associazione?

Mettiamo in rete i territori, le loro esperienze, i rispettivi modelli orga-nizzativi, puntando su una maggiore relazionalità tra i dirigenti regionali, tra chi oggi, di fatto, opera con le diverse realtà locali, ne conosce potenzialità ma anche limiti, si attiva per “confezio-nare” concretamente un’offerta sporti-va corrispondente alle aspettative.

Dallo scambio di esperienze, dal confronto a questi livelli, può svilup-parsi una più articolata proposta asso-ciativa e sportiva a vantaggio di tutti. Su questa base, penso, debba incardinar-si il futuro delle PGS e il rinnovamento della classe dirigente nazionale.

Quali le richieste che ricevete più spesso dai vostri ragazzi e come rispondete loro?

I ragazzi chiedono sempre le cose più semplici: giocare, divertirsi, in-contrarsi.

Le risposte, quindi, per essere con-formi alle aspettative, sono altrettan-to semplici e dirette: attività sportiva con una programmazione più ampia possibile nell’arco dell’anno; organiz-zazione di eventi che coniughino la dimensione della festa e dello sport; promuovere l’attività e le discipline che privilegiano il “gruppo”. Il proble-ma, invece, è “capire” ciò che gli adulti (sono sempre di più le squadre delle categorie Libera) chiedono e, soprat-tutto, come cooptarli in percorsi più adeguati al nostro progetto, superan-do l’idea di un’attività “mordi e fuggi” legata all’occasionalità e alla mera “ri-creazione” serale. Su questo, penso, bi-sognerà onestamente interrogarsi nei prossimi anni come associazione.

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 5 ➔

Ci puoi indicare i punti di forza delle PGS siciliane e quali invece le maggiori difficoltà?

Il punto di forza principale è sem-pre rappresentato dalle persone, gli amici con i quali condivido il percorso di volontariato all’interno dell’associa-zione: una buona struttura organizzati-va che si regge su numerosi dirigenti motivati, preparati, uniti sugli obiettivi delle PGS siciliane.

Altro settore “cardine” è la forma-zione degli allenatori e dei dirigenti, con i corsi residenziali e non residen-ziali, organizzati annualmente dalla no-stra équipe regionale; proprio in que-sto settore abbiamo sviluppato negli ultimi anni importanti sinergie con il CONI, la Scuola dello sport e le Fede-razioni sportive che sono state molto apprezzate dalle società e sulle quali intendiamo investire anche in futuro.

La difficoltà più importante, oggi, è certamente rappresentata dalla crisi economica, presto tramutatasi in crisi sociale, che in Sicilia, più che in ogni

altra parte d’Italia, è stata devastante per moltissime famiglie, private del la-voro, della serenità, della dignità. Infat-ti, si fanno “salti mortali” per rendere accessibile lo sport a molti ragazzi in ambienti che, per mancanza o inido-neità di strutture (molte ormai trascu-rate dagli stessi Enti locali) ovvero per vecchie o nuove povertà, sono costretti ad abbandonare lo sport.

Quali sono le principali attività che vedranno protagoniste le PGS in Sicilia nel 2015/16?

Si parte a fine ottobre con le mani-festazioni di apertura PgsFest organiz-zate, quest’anno, in tutte le province, preludio dei campionati provinciali delle diverse discipline che impegna-no le società fino a primavera inoltrata.

I campionati avranno il loro epilo-go con il nostro evento “principe”, un modello ormai esportato da qualche anno anche in altre regioni: le Pigies-siadi. Una vera festa sportiva suddivisa in cinque giorni e due turni che vede

protagonisti più di 1500 atleti, dirigen-ti, famiglie, arbitri. Dai più piccoli ai più grandi, i nostri tesserati aspettano annualmente questa manifestazione che solitamente si tiene tra maggio e giugno in un resort adeguatamente attrezzato con l’impiantistica sportiva e racchiude le finali regionali, la con-clusione dell’attività scolastica, il gioco sport delle categorie di base (Mini & Propaganda).

Sul piano formativo, punteremo sui corsi per tecnici di primo livello resi-denziale (regionale) e non residenziali (provinciale) e proveremo anche a or-ganizzare un corso di secondo livello per non disperdere le potenzialità di quei giovani alleducatori che hanno iniziato negli ultimi anni un percorso di qualificazione tecnica nell’Associa-zione.

Concluderemo, come sempre, le attività a luglio con i camp atleti nel Parco nazionale dell’Aspromonte, re-alizzati nella struttura del Soggiorno don Bosco. ■

LE IDEE E IPOTESI DI FUTURO NASCONO DOVE INTENSE SONO LE COMUNICAZIONI

La comunicazione dall’alto verso il basso non basta

Intervista ad Alessandro Tarabusopresidente regionale PGS Piemonte

tutte le organizzazioni oggi è fondamentale un grande equilibrio fra comunicazioni dall’alto verso il basso e co-

municazioni dal basso verso l’alto. Molte organizzazioni si chiedono come fare spazio, ai diversi livelli alle capacità di auto organizzazione dei gruppi più vicini alla quotidianità del lavoro. In tal senso anche la varietà delle situazioni territo-riali in cui le PGS sono radicate, più che un problema, può essere una grande risorsa se tutti si mettono al lavoro in tal senso. Come osserva Alessandro Tarabu-so, data l’alta variabilità territoriale “diffi-

cilmente possono esserci ricette e solu-zioni valide per tutti”. Una via di uscita è, a suo avviso, “una grande elasticità dall’al-to verso il basso per adattare le decisioni alle varie realtà”, ma insieme una diffusa “capacità di condivisione degli obiettivi, di conoscenza del territorio e, soprattutto di comunicazione, dal basso verso l’alto”.

Qual è la tua storia nel mondo PGS?

Torno a un periodo che ricordo vo-lentieri, quello delle scuole medie all’I-stituto salesiano di Lanzo Torinese. Allora, anni 1977/79, l’approccio allo sport a scuola non era certo quello di oggi, e noi ragazzi eravamo inconsa-pevoli del valore di quanto ci veniva proposto. Mi cimentai nell’atletica, e

fu quella la prima esperienza legata alla PGS. Il vero ingresso in associa-zione avvenne tempo dopo, quando nei primi anni ‘90 ci affiliammo con l’associazione di karate in cui ero istruttore. Iniziai a collaborare con la commissione provinciale Mini di Torino, per poi diventarne responsa-bile. In seguito don Gino mi propose di riorganizzare il settore del karate e delle arti marziali all’interno delle PGS e diventai responsabile provin-ciale, poi regionale e infine nazionale (incarico che ricopro ancora oggi). Nel 2005 iniziò il cammino nel settore formazione, entrando nell’équipe dei campi scuola. Ai ruoli dirigenziali mi avvicinai quasi per caso, quando mi fu chiesto di candidarmi nel consiglio

In

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6 juvenilia – settembre-novembre 2015

a cura di Luca Caruso ([email protected])

regionale. Nel tempo mi sono convinto che abbinare l’esperien-za diretta “sul campo” e conoscere a fondo le problematiche di un ruo-lo tecnico potevano abbinarsi bene al ruolo di dirigente. Divenni vice-presidente e poi presidente.

Il Piemonte è una delle regioni con il più alto numero di tesserati PGS. Puoi raccontarci questa realtà?

È vero, siamo tra le regioni nume-ricamente più significative, da qualche anno viaggiamo intorno alle 170 as-sociazioni affiliate e i 18.000 tesserati. Il Piemonte è una realtà prettamente “polisportiva”, con molte discipline presenti, e questo lo consideriamo una ricchezza perché la varietà di esperien-ze ha portato a una crescita e spesso si sono mutuate soluzioni e idee da un settore all’altro. Per andare nel detta-glio, abbiamo attività di ginnastica ar-tistica, ginnastica ritmica, danza, karate, judo, ju jutsu, boxe, kick boxing, calcio a 5, pallavolo, roller, beach volley, anche se l’attività è distribuita sul territorio in maniera non uniforme, in particolare gli sport di squadra. Oltre all’attività regio-nale, organizziamo ogni anno eventi e finali nazionali, che comportano gran-de dispendio di energie ma danno an-che grandi soddisfazioni. Di notevole importanza per la nostra regione è il settore della formazione: da anni or-ganizziamo i campi scuola residenziali e non residenziali e i corsi integrativi. Dal 2009 abbiamo avuto oltre 500 par-tecipanti, senza aver mai annullato un campo, anche se la formazione è un settore su cui continuare a porsi delle domande.

Tipico del Piemonte è la presenza sul territorio di tutti gli Enti di promo-zione sportiva. Questo comporta una certa “concorrenza”, e quindi una an-cor maggiore importanza nel proporre la nostra identità PGS, ma anche un con-tinuo confronto stimolante, e importanti occasioni di collaborazione, come l’or-ganizzazione della Festa dello Sport per Torino 2015. In queste occasioni siamo riusciti a esprimere appieno il nostro DNA di capacità di stare su un campo di gioco, in strada, in piazza a far giocare e fare sport, e di collaborare mettendo al centro le persone. In particolare a Tori-no, godiamo ancora di una certa “ren-dita” grazie a quanto fatto da don Gino, che ha lasciato il segno anche al di fuori

della PGS, a livello di istituzioni, enti, ecc. Non è un’eredità ine-sauribile, va alimen-tata e rinnovata con l’impegno, la serietà, ma soprattutto la pre-senza. La PGS è tornata in questi anni a essere presente e, nonostante numericamente rispetto ad altri sia un ente “piccolo”, ad avere la valenza che merita.

Avvertite una responsabilità particolare nel tener vivo il carisma di don Bosco proprio nei luoghi dove è nato e vissuto?

Sicuramente sì, non potrebbe es-sere altrimenti. Ma non so se vivere nei luoghi di don Bosco possa essere definito esattamente o solo come una responsabilità, o piuttosto come uno stimolo e una marcia in più. In questo particolare periodo storico, direi che questa presenza viva di don Bosco si riflette soprattutto sugli altri aspetti della nostra associazione, oltre a quel-lo di promozione dello sport, cioè della promozione sociale e della finalità assi-stenziale. Queste sono le responsabilità da non dimenticare e forse più difficili da realizzare.

Quali le vostre attese dal nazionale e quali le vostre idee per la crescita dell’associazione?

Siamo livelli di una stessa entità, ognuno con ruoli e compiti differen-ti, e ognuno in qualche modo dipen-dente dall’altro. I Comitati regionali si trovano in mezzo tra quello nazio-nale e i provinciali: forse è la situazio-ne più difficile da gestire, in quanto vi sono grosse responsabilità da onora-re nelle due direzioni. Anche perché le PGS sono variegate da regione a regione, e quindi difficilmente pos-sono esserci ricette e soluzioni vali-de per tutti. Questo comporterebbe la necessità di una grande elasticità dall’alto verso il basso per adattare le decisioni alle varie realtà, e gran-di capacità di condivisione degli

obiettivi, di conoscenza del territorio e soprattutto di comuni-cazione dal basso verso l’alto per poi elaborare strategie e proporre idee. Stare nel mezzo fa vivere queste problematiche in modo bidirezionale.

Il mondo della promo-zione sportiva è cambiato negli anni: abbiamo dei parametri da rispettare per necessità e altri per scelta. La sfida è coniuga-re le due cose, mantenere

i nostri principi, ma vivere ed es-sere presenti con forza nel mondo di oggi, anzi, del domani. La forza iniziale della PGS era proprio la capacità di essere un passo avanti agli altri. Que-sta sfida richiede molto impegno in termini di quantità, di qualità, di tem-po, e che si acquisiscano competenze e professionalità, oltre alla necessità di rapporti con enti, istituzioni, mondo esterno in generale. Questo si associa al numero sempre più ristretto di per-sone disponibili, a un ridotto ricambio e ingresso di giovani nei Comitati. Ab-biamo un bacino enorme di ex atleti, campisti, istruttori, ecc. a cui attingere. Dobbiamo trovare il modo di motivarli a ritornare o rimanere con noi.

Quali le attese? Lavorare nella stessa direzione per arrivare alle solu-zioni dei problemi del territorio. Alla base servono gli strumenti per stimo-lare il senso di appartenenza all’asso-ciazione, l’orgoglio di essere PGS; al Comitato regionale gli strumenti per sostenere o intervenire dove necessa-rio. Riassumerei in tre parole: motiva-re, sostenere, appartenere. Questo in generale. Vi sono poi problematiche quotidiane. Qualche esempio e idea-spot in pillole? Supporti per i quesiti nomativi e fiscali e per la gestione adeguata dei siti, data l’importanza di come ci si presenta sul web. Solo un accenno a un altro capitolo: la forma-zione. Voglio anzitutto dimostrare l’ap-prezzamento e ringraziare coloro che hanno lavorato ai nuovi programmi del percorso formativo, ma la questio-ne è con quale modalità offrire questi contenuti. So che si sta lavorando sul tema, invito a continuare con forza. ■

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 7

PASTORALE GIOVANILE

Il Dio della vita ci sfidaanche nello sport a riconciliarcicon ogni forma di vita sulla terra

Francesca Barbanera

IL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA: UN ANNO PER COLLABORAREA COSTRUIRE LA TERRA “CASA COMUNE”

ll’inizio del nuovo anno sportivo/pastorale siamo chiamati a vivere l’impe-gno della riconciliazione

nel “Giubileo della Misericordia” indetto da Papa Francesco, ma anche dal suo invito a “custodire la Casa Comune”, attraverso l’enciclica Lau-dato si, che presenta per ciascuno di noi, per i nostri ragazzi e atleti un percorso educativo per riconciliare le nostre vite con il mondo che ci cir-conda, e quindi con gli altri e neces-sariamente con il Dio che ha creato tutto ciò.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Convegno ecclesiale di Firenze che tra poco si celebrerà e che ha un titolo programmatico altrettanto significativo: “In Gesù Cristo il nuovo uma-nesimo”. Cinque le vie in-dicate nel documento pre-paratorio sono le seguenti: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare, che dovranno trovare attuazione anche nei nostri am-biti di azione pastorale.

“Perché questa terra ha bisogno di noi?”

Inoltrandoci nella riflessione su tutte le dimensioni dell’uomo e dell’umanità, percorrendo quelle vie, sapremo offri-re un volto vero al mondo dello sport, del tempo libero, ma anche pensare a un nuovo umanesimo sportivo capace ancora una volta di mettere al centro la persona e il suo futuro, fino a vive-re il tempo libero non come un tempo perso o vuoto ma centrato sulla figura di Gesù Cristo. Egli è l’“uomo nuovo” che ci invita a guardare a Lui non per fuggire dal mondo e dai suoi problemi, ma per imparare ad agire con sapienza. Come diceva Sant’Ambrogio: “Se vuoi

fare bene tutte le tue cose, ogni tanto smetti di farle”.

L’enciclica Lau-dato si interpella le nostre pastorali e le azioni (conversione, stili di vita, coscienza, educazione) che siamo chiamati ad avviare nel chiederci con franchezza: “Che tipo di mondo de-sideriamo trasmettere a coloro che ver-ranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo?” (160).

L’interrogativo è al cuore dell’encicli-ca, che prosegue: “Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato,

perché non si può porre la questione in maniera parziale”. Questo con-

duce a interrogarsi sul senso dell’esistenza e sui valori alla base della vita personale e sociale: “Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo?

Perché questa terra ha biso-gno di noi?”. Se non ci poniamo queste domande di fondo – dice il Pontefice – “non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti im-portanti”.

“Preoccupati per quel che accade al pianeta”

L’enciclica, che prende il nome dall’invocazione di san Francesco, «Laudato si’, mi’ Signore» nel Cantico delle creature, ricorda che la terra, la nostra casa comune, «è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia» (1). Noi stessi “siamo terra. Il nostro stesso cor-po è costituito dagli elementi del piane-ta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora” (2).

Ora, questa terra, maltrattata e saccheggia-ta si lamenta e i suoi ge-miti si uniscono a quelli di tutti gli abbandonati del mondo, alle migliaia di innocenti che muoio-

no nel mare alla ricerca del legittimo diritto alla vita, alla libertà, a una terra amica e non che li rifiuti. Papa France-sco invita ad ascoltarli, sollecitando tutti e ciascuno – singoli, famiglie, collettività locali, nazioni e comunità internazionale – a una «conversione ecologica», secon-do l’espressione di san Giovanni Paolo I I, cioè a «cambiare rotta», assumendo la bellezza e la responsabilità di un im-pegno per la «cura della casa comune».

Con i nostri giovani, rispondiamo all’appello del Papa di accogliere nelle nostre comunità, società sportive, fami-glie, un rifugiato, un giovane che cerca e sogna di vivere la adolescenza come tutti gli adolescenti di questo mondo vorrebbero e meriterebbero.

“Capaci di degradarcima anche di rigenerarci”

Proseguendo Papa Francesco, però, riconosce che «Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta» (19). Si scorge lo sguardo di speranza che ani-ma l’enciclica e manda a tutti un mes-saggio chiaro e robusto di speranza, Secondo il Papa, «l’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune» (13) e «l’essere umano è ancora capace di intervenire positivamente» (58). E dunque, «non tutto è perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi» (205).

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PASTORALE GIOVANILE

Sr. Francesca Barbanera è referente nazionale PGS ([email protected]

VIVERE LO SPORTCOME SPINTA DI RICONCILIAZIONEL’immagine grafi ca PGS 2016, che si pone nel solco del disegno grafi co che ci caratterizza da alcuni anni, invita a fare nostra la grande spinta d Papa Francesco a essere dentro di noi e farci attorno a noi uomini e donne di riconciliazione.

Le forme colorate (nei nostri classici colori che ricordano i colori dei cerchi olimpici), da gesti sportivi divengono ab-bracci senza soluzione o comunque segno del legame che si viene a creare nel gesto di riconciliare rapporti e di essere “squadra”.

La continuità è data dal fatto che dove sta per fi nirne un gesto ne ricomincia un altro e ogni forma cede e trasmette un po’ del suo colore all’altra, fi no a sviluppare un’ideale e solidale catena di braccia che nasce e si sviluppa da e verso lo sport.

L’abbraccio, il legame di questi colori continui è il momento fi sico attraverso cui si manifesta la riconciliazione: lo sport è spinta ideale che ci riconcilia con la nostra umanità, con il creato, con Dio.

Che fare? Alcune linee di azione

Gli spunti per intraprendere cammi-ni anche educativi sono tanti. Alcuni ci coinvolgono in modo particolare, perché in una sana visione ecologica rientra in modo particolare lo sport quale dimen-sione capace di favorire l’equilibrio e l’armonia con lo spazio che ci circonda e con noi stessi. In modo particolare ci aiuta a riflettere sulla radice umana della crisi ecologica, andando alle cause pro-fonde del degrado.

Rifiutare la cultura dello scarto La denuncia è soprattutto per la logi-

ca “usa e getta” che genera la cultura del-lo scarto. Le competenze tecniche, scrive il Papa, danno a coloro che detengono la conoscenza, e, soprattutto, al potere eco-nomico per sfruttarla, un dominio impres-sionante sull’insieme del genere umano e del mondo intero.

Sono proprio le logiche di dominio tecnocratico che portano a distruggere la natura e a sfruttare le persone e le popo-lazioni più deboli. Ne deriva la logica che «porta a sfruttare i bambini, ad abbando-nare gli anziani, a ridurre altri in schiavitù, a sopravvalutare la capacità del mercato di autoregolarsi, a praticare la tratta di esseri umani, il commercio di pelli di ani-mali in via di estinzione e di ‘diamanti in-sanguinati’. E aggiunge con durezza: “È la stessa logica di molte mafie, dei trafficanti di organi, del narcotraffico e dello scarto dei nascituri perché non corrispondono ai progetti dei genitori».

Farci responsabili del creato e delle creature

Il senso profondo di tutta questa vi-sione ecologica lo possiamo ritrovare nel capitolo secondo in cui l’enciclica parla di Vangelo della creazione. Infatti proprio nei testi biblici il Papa ci richiama alla «tremenda responsabilità» dell’essere umano nei confronti del creato. L’essere umano ha il compito di «coltivare e cu-

stodire il giardino del

di educazione ambientale capaci di in-cidere su gesti e abitudini quotidiane, dalla riduzione del consumo di acqua, alla raccolta differenziata dei rifiuti fino a spegnere le luci inutili.

Una mappa e una bussola per riconciliarci

Lasciamoci dunque un augurio di un anno con questi due grandi punti di riferimento per orientare il cammino di chi vuole davvero contribuire alla salva-guardia di questo “stupendo mondo”.

La nostra bussola. A partire dal grande evento del Giubileo della misericordia, desideriamo speri-mentare come società sportive e far sperimentare ai nostri allievi, questo tempo come un momento di vera gra-zia per tutti i cristiani e un risveglio per continuare nel percorso di nuova evangelizzazione e conversione pa-storale.

La nostra mappa. L’enciclica di Papa Francesco “Laudato si” potrà essere il nostro testo guida per un cammino di formazione in cui fede e sport trovino una sintesi feconda, aiu-tando noi educatori e i nostri ragazzi a scoprire e riscoprire il valore della sobrietà, della sussidiarietà, della so-lidarietà, del rispetto di sé, degli altri e del mondo in una prospettiva inter-culturale. ■

CILIAZIONEe

tterizzzzzzaaaandeeeee di

o di

mondo (Gen 2,15)», sapendo che «lo sco-po finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio».

Promuovere una spiritualità ecologica Per aiutare le nuove generazioni a

sentire e vivere il creato come “casa co-mune”, dobbiamo accogliere l’impegno di promuovere un’educazione e spiritua-lità ecologica, perché ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammi-no educativo.

Sono coinvolti tutti gli ambiti educati-vi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi».

Puntare su un altro stile di vita La partenza è «puntare su un altro sti-

le di vita», che apre anche la possibilità di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, econo-mico e sociale».

È ciò che accade quando le scelte dei consumatori riescono a modificare il comportamento delle imprese, forzan-dole a considerare l’impatto ambientale e i modelli di produzione. Non si può sottovalutare l’importanza di percorsi

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 9

APPROFONDIMENTI

ACCANTO ALL’EMERGENZA EDUCATIVAÈ ESPLOSA QUELLA DELL’AULTITÀ

Mario Pollo

Farsi adulto educatore/1

Di quale adulto hanno bisognonella vita come nello sporti giovani nel cercare altro dal consumo?

relazione che l’adulto ha con i giovani influenza il percor-so di costruzione di sé di questi e, può essere, quindi,

considerata un luogo educativo. Se poi il soggetto adulto di questa relazione è una persona che svolge un ruolo come quello dell’allenatore e/o del dirigente di una società sportiva, la sua influen-za, positiva o negativa, diventa ancora maggiore.

Anche se l’adulto non ne è consa-pevole, il suo modo di porsi e di esse-re nella relazione con le nuove gene-razioni gioca un ruolo importante nel loro processo di socializzazione e/o di educazione.

Nella relazione formante ciò che influisce è la qualità dell’adultità del-la persona che entra in rapporto con i giovani. Questo significa che chi vuole veramente formare i giovani deve ricor-darsi che si diviene adulti non per mo-tivi anagrafici, ma perché si svolgono determinati compiti e si acquisiscono specifiche responsabilità.

Nell’attuale epoca storica il raggiun-gimento dell’adultità è ostacolato dalla

presenza di quello che può essere defi-nito un ethos infantilistico.

La diffusione dell’ethos infantilistico

Barber afferma che «le sette età dell’uomo shakespeariano rischiano di

essere spazzate via da una puerilità che dura tutta la vita» e ricorda che nel 2004 il Webster’s American Dictionary ha pro-posto la parola adultescent (neologismo coniato incrociando adult e adolescent) come parola dell’anno. In quasi tutti i paesi economicamente più sviluppati sono state utilizzate parole forse meno raffinate, ma comunque molto efficaci per indicare questa condizione ibri-da da cui sembrano afflitti i giovani e in molti casi anche gli adulti: in Italia “mammoni”, in Germania Nesthocker, in Giappone freeter, in India zippy e in Francia puériculture.

In queste società si registra il dis-solvimento del determinismo delle età che faceva si che in ogni età le perso-ne acquisissero un particolare stile vita, modelli di comportamento e responsa-bilità specifiche, mentre l’ethos infanti-listico odierno è indotto dalle esigenze di un’economia fondata sul consumo in un mercato globale. Secondo que-

Oggi più di ieri, si dice con convinzione che le nuove generazioni hanno bisogno di adulti, di educatori adulti. Ma andrebbe sempre aggiunto che la crisi attraversa anche gli adulti nella loro vita interiore come nel modo di viversi dentro una società plurale, piena di contraddizioni, vorticosa. Come allora delineare una figura e una funzione adulta che sappia misurarsi con l’incertezza per aprirsi alle possibilità dell’oggi? Ringraziamo Mario Pollo che, con la competenza e la passione che gli riconosciamo, si è reso disponibile a tratteggiare, per alcuni numeri di Juvenilia, delle piste di lavoro per divenire adulti animando lo sport.

La

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APPROFONDIMENTI

sta ipotesi tale ethos riuscirebbe a pla-smare l’ideologia e i comportamenti della società consumistica radicale in cui viviamo con la stessa forza con cui l’“etica protestante” – come la chiama-va Max Weber – è riuscita a influenzare la cultura imprenditoriale di quella che al tempo era una società produttivistica agli albori del capitalismo.

L’ethos infantilistico che affligge gli adulti e che fonda le loro aspettative nei confronti della vita ha origine nell’infan-zia, laddove l’educazione del bambino è finalizzata – invece che a favorire la sua crescita sociale, intellettuale e spi-rituale – ad abilitarlo al consumo. Se-condo Barber tutto questo ha all’origine le esigenze del mercato dei consumi perché in un mondo con troppi prodotti e compratori in numero insufficiente, i bambini diventano consumatori prezio-si. Abilitati al consumo precocemente gli adulti che invecchiano rimangono giovani consumatori per tutta la vita, gli uomini si fanno bambini, mentre bam-bini e preadolescenti vengono trasfor-mati in consumatori adulti.

L’ethos infantilistico ha effetti disa-strosi sul senso civico e sulla capacità di assunzione di respon-sabilità da parte degli adulti e ciò rischia di mettere in crisi lo stesso fondamento della cittadinanza democratica, oltre che la capacità degli stessi adulti di educare le nuove generazioni.

Questo fatto consente di affermare che accanto all’emergenza educativa che segna questo tempo della storia vi è quella dell’a-dultità.

Divenire adultiè evolversidall’Io al Noi

A questo punto è necessario ricor-dare che la condizione adulta è la fase della vita umana in cui la persona deve sia far evolvere la propria identità (l’Io conquistato nella fase evolutiva prece-dente) verso il Noi, sia restituire a livello sociale i frutti della propria evoluzione personale e, quindi, ricambiare i doni ricevuti nel corso del proprio processo di formazione personale.

L’adulto, infatti, ha formato la sua

individualità originale, il suo Io, grazie all’esistenza di un Noi che gli ha forni-to l’aiuto necessario al suo farsi uomo e alla costruzione del mondo che abita.

Senza questo Noi, che è l’espres-sione della solidarietà concreta di

un gruppo sociale e quindi il motore dell’educazione, così come viene

vissuta direttamente dall’uomo nelle sue fasi evolutive

che vanno dall’infan-zia all’adolescenza,

nessuna persona raggiungerebbe l’autonomia e la

responsabilità tipiche dell’essere

autocosciente. Il Noi, inteso

come la cura che ogni uomo manifesta per gli altri uomini che condi-

vidono con lui lo spazio tempo sociale, è una sor-

ta di prestito che ogni per-sona, una volta divenuta adulta, deve restituire, con gli interessi, alle nuove generazioni divenendo per esse una espressione concreta dello stesso Noi.

La relazione con i giovani non solo è il più importante dei luoghi in cui è pos-sibile restituire i doni ricevuti dalle ge-nerazioni precedenti, ma anche quello in cui l’azione della restituzione aiuta l’adulto a maturare più pienamente la propria adultità.

A questo punto sorge spontaneo do-mandarsi in che cosa consista, più da vi-cino, il divenire/essere adulti. Con una certa semplificazione si può affermare

che il divenire adulti comporta, oltre al raggiungimento di particolari obiettivi evolutivi, l’unità del Sé e lo svolgimento di alcuni compiti sociali specifici pro-prio sul versante dell’educazione.

L’adulto verso l’unità del Sé e della sua vita

L’adulto ha sovente la sensazione e, quasi sempre, la prescrizione di vivere in funzione dei propri ruoli sociali: la-vorativi, famigliari, politici, associativi, sessuali, relazionali, ecc. Il suo essere adulto sembra esprimersi nella capaci-tà di essere fedele a questi ruoli. Ruoli che nella sintesi dell’esistenza persona-le diventano il ruolo. La fedeltà al ruolo è una sorta di programma di vita che vincola le possibili scelte dell’adulto e, paradossalmente, blocca ogni sua pos-sibile ulteriore trasformazione in senso evolutivo.

Il ruolo diviene non solo il regola-tore sociale della vita della persona nell’ambito del sistema sociale ma an-che, se non soprattutto, il regolatore del-la sua esistenza individuale fissandola in un’identità statica centrata sugli ob-blighi sociali della persona.

Quella che doveva essere solo la recita di una parte sulla scena della vita diventa la personalità dell’attore che di per sé non è più nulla, essendo diventa-to tutt’uno con le parti che deve recitare. Il ruolo per molte persone diventa l’uni-ca, o perlomeno dominante, fonte della loro identità.

All’adulto, che non vuole essere pri-gioniero della parte che recita – anche

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per evitare di essere sepolto come gli antichi attori della commedia dell’arte nella terra sconsacrata – si chiede di li-berarsi progressivamente dai condizio-namenti e dalle richieste del suo ruolo sociale. La persona deve cercare le ra-gioni della sua identità nella sua interio-rità più intima e profonda e non solo nel suo apparire nella scena sociale.

Questo significa, sostanzialmente, che la persona deve distanziarsi dal proprio ruolo e – al pari dell’attore brechtiano – guardarsi recitare critica-mente modificando, di conseguenza, la sua recita secondo gli imperativi etici e progettuali che sono depositati nella sua coscienza. Non solo, egli deve an-che agire, attraverso le varie forme in cui si manifesta la partecipazione alla vita sociale, per modificare in senso evolutivo e personale il suo ruolo.

L’azione di distanziamento dal pro-prio ruolo sociale richiede che l’adulto si liberi, il più possibile, dai condiziona-menti dei suoi livelli emozionali profon-di, che gli impediscono di esercitare il controllo critico e cosciente sulla sua vita di relazione sociale e di manifestar-si nella sua autenticità all’interno della stessa.

Le due azioni combinate consento-no all’adulto, se accompagnate dall’as-sunzione di una maggiore responsabi-lità verso gli altri, di raggiungere una maggiore unità personale.

La capacità di giocare il proprio ruolo sociale in modo più cosciente e personale richiede, infatti, una mag-giore attenzione all’altro che nasce solo da una pratica di assunzione di respon-sabilità come quella che si ha nelle relazioni di amore o di aiuto fraterno e gratuito. L’esercizio della responsabilità è la forma adulta della solidarietà ed è una delle trame che tessono l a sua unità personale.

I compiti sociali che attendono il soggetto adulto

La relazione con le nuove gene-razioni, unitamente allo svolgimento all’interno di essa dei compiti sociali che gli sono richiesti in quanto adulto, è uno dei luoghi privilegiati in cui l’adulto può vivere questa forma di solidarietà profonda e divenire, quindi, maggior-mente adulto.

Oltre a svolgere le funzioni che la società gli richiede nel campo del lavo-ro, dell’affettività, della convivenza so-ciale e della riproduzione della specie, l’adulto ha il compito affatto particolare di svolgere la funzione che consente al fluire del tempo di divenire storia.

In altre parole, l’adulto ha la respon-sabilità di tessere il tempo in modo che esso possa strutturarsi come storia. Un compito oggi particolarmente impor-tante, perché la cultura sociale attuale tende a chiudere l’orizzonte di senso della vita all’interno dell’angusto limite temporale del presente. I giovani vivo-no in modo drammatico questa limita-zione temporale ed è perciò urgente che l’adulto educatore restituisca loro il senso storico dell’esistenza.

Per far questo l’adulto deve dive-nire cosciente che egli è insieme me-moria del passato e sogno del futuro. Infatti, ogni adulto è, che lo voglia o no, la memoria vivente di un frammento si-gnificativo di cultura sociale ed è, nello stesso tempo, portatore o comparteci-pe di un progetto di futuro entro il quale si snoda la sua vita individuale e la sua partecipazione alla vita sociale.

È compito dell’adulto di preservare la memoria culturale trasmettendola e nello stesso tempo lavorare per la tran-sizione verso il futuro della società in cui vive secondo il progetto, o il sogno, di cui è portatore. L’adulto deve svilup-pare nell’ambito intero della sua vita sociale un atteggiamento di tipo genito-riale, che è una forma di responsabilità educativa verso le giovani generazioni.

Il superamentodella sofferenzanella vita umana

L’adulto ha tra i suoi doveri primari anche il tentare di dare un significato alla presenza della sofferenza nel mon-do e nella sua vita e, nello stesso tempo, di operare fattivamente per ridurne la presenza.

La lotta dell’uomo per allontana-re questa presenza inquietante dalla sua vita è un succedersi di vittorie e di sconfitte in cui è, a volte, difficile osser-vare un qualche progresso rilevante.

La cultura sociale attuale sembra aver perso la capacità di dare senso al dolore e le persone su limitano, nel-la maggioranza dei casi, a eluderne la presenza rimuovendolo o rifugiandosi negli analgesici fisici e psichici. Dato che in questa cultura sociale il dolore non è più il mistero che inquieta la co-scienza e pone radicali interrogativi al senso della vita umana, esso è sempli-cemente un evento che la razionalità dell’uomo non ha saputo prevenire o controllare.

L’abitudine, poi, a ricorrere a sostan-ze esterne per alleviarne la presenza ha ridotto la stessa tolleranza umana alla sua presenza ed ha reso indifese molte persone nei suoi riguardi.

Eppure la capacità di affrontare l’e-sperienza del dolore rimane

uno dei compiti sociali fon-damentali della condi-zione adulta. Accettare di farsi interpellare dal mistero del dolore non significa, però, rasse-gnarsi all’ineluttabilità

settembre-novembre 2015 – juvenilia 11

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si snoda la sua vita individuale e la sua partecipazione alla vita sociale.

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12 juvenilia – settembre-novembre 2015

APPROFONDIMENTI

Mario Pollo è esperto di teoria e metodo dell’animazione culturale e insegna pedago-gia generale all’Università LUMSA di Roma:[email protected]

della sua presenza. Al contrario, signi-fica ricavare energia e sapere per una efficace lotta nei suoi riguardi. Essere adulti significa saper scrutare il miste-ro del dolore e agire con tutte le risorse disponibili per combattere le cause che lo generano, pur con la consapevolezza che la vittoria su di esso si realizzerà solo alla fine del tempo.

L’adulto come creatoredi limiti

La vita per svilupparsi e avere qual-che probabilità di far affiorare nel suo corso la felicità ha bisogno di trovare dei limiti – in altre parole, delle regole e delle forme – al cui interno declinarsi. Questa consapevolezza è alla base del pensiero occidentale e orientale e la si ritrova espressa chiaramente sin dai primi filosofi greci. La vita, almeno quel-la che si sviluppa tra uomini emersi alla coscienza, nasce e si sviluppa attraver-so l’incontro del desiderio con i limiti che le norme, i codici, i saperi e i valori pongono alla sua espressione.

I limiti, per non divenire una prigio-ne della creatività della vita e, quindi, produttori di morte, devono essere con-tinuamente e incessantemente rinno-vati attraverso un loro continuo riadat-tamento alle mutazioni delle persone, della società e della natura.

Compito dell’adulto, se vuole es-sere un produttore di vita, è quello di

operare affinché questi limiti esistano in misura adeguata e siano continuamente rinno-vati e adattati alle mutate con-dizioni storiche ed esistenziali.

L’adulto, poi, deve dimo-strare che i limiti che egli pro-duce sono sempre superati e superabili dall’amore. Infatti, i li-miti sono creativi quando sono sot-tomessi alla legge dell’amore. Sono una prigione quando ricavano da se stessi la loro ragione di esistenza.

L’adulto comepresenza al mistero della morte

La morte è il mistero più descritto e, nello stesso tempo, più rimosso dalla nostra società. Basta, infatti, accendere il televisore o aprire un giornale per essere inondati da descrizioni, a volte impudiche, di eventi luttuosi reali o im-maginari. Qualcuno ha calcolato che un telespettatore medio in un anno vede, tra finzioni e cronache, alcune migliaia di morti.

Questa descrizione, quasi barocca, della morte che i mass media propon-gono non è che il tentativo di esorciz-zarla. La si descrive perché la nostra cultura non ha più gli strumenti idonei per spiegarla, per dare ad essa un si-gnificato.

Il pensiero della morte, così come la sua presenza materiale concreta, è sempre più rimosso dalla vita quotidia-na delle persone. Eppure, nonostante la nostra volontà, la morte è il confine che segna tutti i nostri sogni di futuro e ba-lena da tutte le esperienze del ricordo.

L’adulto deve affrontare nel suo pro-getto di vita il senso di questo evento, se non vuole che la sua esistenza si ina-ridisca e perda la sua reale dimensione di senso. La sua stessa salute psichica dipende dalla sua capacità di dare si-gnificato all’evento della morte come confine della sua vita. Molte angosce, molte nevrosi e molte depressioni che affliggono gli abitanti delle culture del-le società complesse sono figlie della rimozione della morte.

L’adulto educatore deve educarsi/educare, quindi, anche alla consapevo-lezza della propria mortalità a passare, heideggherianamente, dal “si muore” all’“io muoio”. Solo attraverso l’accetta-zione della propria mortalità la persona conquista il senso profondo della pro-pria vita.

L’adulto come operaio del Regno

L’adulto deve operare nella sua vita sapendo che egli è un esecu-tore imperfetto di un disegno più grande, che già esiste ma che an-cora deve rivelarsi nella sua com-pletezza. La sua vita ha il compito di essere fedele a questo grande dise-gno che comprende e ricapitola tut-ti gli altri di cui è protagonista.

In questa sua azione l’adulto deve essere sorretto dalla consa-pevolezza che se egli lavora con fedeltà e coraggio alla costruzione del Regno, quale sia la durata e il successo del suo lavoro, egli abiterà per sempre nel Regno. Allo stesso modo deve fare spazio alla consa-pevolezza che sovente le esperien-ze dell’insuccesso, della sconfitta e del fallimento se poste con Fede ai piedi della Croce diventeranno anch’esse passi importanti nella co-struzione del Regno.

Queste consapevolezze, che solo la Fede può dare, sono l’antidoto più efficace sia alle tentazioni prometei-che, sia alla disperante angoscia che deriva all’uomo dalla contemplazio-ne della sua radicale finitudine.

La fede apre all’uomo le porte del raggiungimento della sua uma-nità integrale. ■

12 juvenilia – settembre-novembre 2015

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 13

Non sospendere mail’azione educativaa fi anco dei ragazzi più diffi ciliPaola Scalari

Cattivi ragazzi/1CHI EDUCA NON PUÒ RISPONDERE ALLA CATTIVERIACON LA CATTIVERIA, SPERANDO CHE ESSA GENERI AMORE

In ognuno di questi ragazzi, anche il più disgraziato, v’è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovarequella corda sensibile e farla vibrare. (Don Bosco)

Che fare con i ragazzi difficili? Se lo chiedono allenatori e dirigenti, ancora più spesso i genitori pronti a eliminare le ”mele marce”. Con questo numero di Juvenilia, dopo aver riflettuto per più numeri di rivista con lucidità e senso della prospettiva su “Lavorare insieme tra adulti” nell’associazione, Paola Scalari con generosità inizia un nuovo percorso di riflessione, questa volta sui “ragazzi difficili” dentro la squadra e l’associazione. La ringraziamo per la sua passione e acutezza che ha ben presente l’affermazione di don Bosco secondo cui in ogni giovane, anche il più difficile, “havvi alcunché di bene” da cui comincia il lavoro educativo.

arco, tredici anni portati dentro a un corpo minuto e scattante, spalleggiato e ap-plaudito da Fosco, il bel te-

nebroso, Ludovico il potente palestrato e Manuel, l’eterno sfigato, urta ripetuta-mente Elena.

La combriccola di maschi la guarda precipitare lungo l’immacolata pista da sci, sbeffeggiandola. Il gruppetto di bul-letti si avventa addosso alla compagna e la riempie di neve infilandogliela den-tro a ogni pertugio lasciato percorribile dalla bellissima e nuovissima tuta rosso Ferrari. La ragazzina piange, invoca il papà, rimane inerme sulla gelida neve. Nessuno viene in suo soccorso.

Il padre della giovane atleta è il vice presidente dell’associazione sportiva e afferma con enfasi che non vuole pri-vilegi per la sua bambina. Elena quindi giace a terra infreddolita e silenziosa poiché come sentenzia l’uomo: “Deve gareggiare al pari con i maschi”, “Nes-

sun vantaggio le deve essere accordato”, “Un vero atleta sa affrontare le avversità”. E quin-di Elena stessa ritiene di doversi vergognare per quanto ha subito e le ha strappato qualche lacrima. Perciò, pur infreddolita e con il viso inzuppato di neve sciolta e di mocciconi congelati, riprende la sua discesa. Poco dopo però perde l’equilibrio, cade, ri-mane immobile. È incapace di rialzarsi dal gelido manto nevoso.

Uno dei maestri dello sci club inter-viene. La va a rialzare, consolare, ripuli-re, riscaldare. Sceso a valle chiede di so-spendere dalle gare i ragazzi che hanno aggredito Elena.

Si apre un contenzioso che non è ancora concluso. Sono i giovanotti da punire o Elena è rea di avere come padre una persona particolarmente influente, invadente, sempre presen-te, che ingelosisce chi non ha questo privilegio?

M

Ragazzi incapaci di rapportarsi con i coetanei

La vita collettiva evidenzia dei ragaz-zi incapaci di rapportarsi con i coetanei. Qualche volta questi bambini agiscono da soli. Il più delle volte lo fanno soste-nuti da compagni che si mantengono nell’ombra. Protagonisti e comparse, se individuati e sgridati, si offendono e at-taccano anche gli adulti.

Chi gestisce una squadra sporti-va, un gruppetto che si incontra per una qualche attività nel tempo libero o un’aula formativa, dunque, sa che facil-mente in questi luoghi incontrerà qual-che elemento ritenuto impossibile e perciò indesiderabile. Sono questi dei piccoli violenti, teppisti, sboccati, provo-catori.

Quando questo accade però non si può additare solo chi infastidisce, non sta alle regole, disprezza i compagni, insulta gli adulti educatori. Bisogna am-pliare lo sguardo ai gruppi entro cui il soggetto ritenuto “cattivo” si muove. Si potrebbe ipotizzare che il ragazzo che aggredisce ha paura di essere la vittima e che, piuttosto di correre il rischio di venir sottomesso, inizia ancor prima che accada qualsiasi cosa a inveire, attacca-re, difendersi. O forse, ancor peggio, il

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14 juvenilia – settembre-novembre 2015

APPROFONDIMENTI

perfido ragazzino è sottomesso a qual-che forma di coercizione interna o ester-na e perciò denuncia questo stato delle cose attraverso il provocare all’altro ciò che egli sente di patire.

Poiché questo scenario spavento-so sta solamente dentro alla mente dei bambini terribili è necessario uno sforzo per immaginarlo, vederlo, osservarne le sequenze con uno speciale “fermo im-magine” e un paziente passaggio alla “moviola” che aiutino a percepire indizi, particolari, retroscena.

Il polverone che i ragazzi difficili al-zano facendo baccano, osando sfidare gli adulti, agendo in modo dissennato con i compagni è infatti capace di vederlo chiunque. Il motivo che spinge i piccoli verso azioni malvagie, invece, lo possono individuare solo educatori capaci di pen-sieri non stereotipati.

Gli allenatori, quando si imbattono in ragazzi visti come cattivi, si devono perciò fermare e mettersi a pensare, a collegare fatti, a individuare retroscena. Devono infatti trovare la strada per dare voce a rappresentazioni mai del tutto chiare, poiché annidate dietro le quinte dell’abbaglio violento. Prima di inter-venire possono dunque interrogarsi su cosa nasconda il ragazzo impossibile che non vogliono stia in palestra, frequenti l’oratorio, rimanga in aula.

È semplicistica l’idea di eliminareil soggetto difficile

La domanda da cui possono partire è: “Cosa lo spinge a farsi buttar fuori?”. Ini-ziano quindi ad analizzare se lo scaccia-no perché non è interesse della società sportiva tenerlo, coltivarlo, sostenerlo o se è il gruppo dei compagni che lo ha eletto a colui che non funziona, inducen-do gli adulti a fare un’azione di espul-sione o ancora se il sabotatore disturba all’unico scopo di attirare l’attenzione sui suoi problemi.

Porsi queste dubbi aiuta gli educa-tori a non definire un giovane atleta un “cattivo elemento” dichiarando ciò che è evidente senza nessuna possibilità di evoluzione. L’idea che per togliere il disturbo arrecato al lavoro del gruppo basti eliminare il soggetto difficile è semplicistica e rappresenta la rinuncia dell’intento educativo.

Cercare il colpevole è una mancanza di creatività che offende la ricchezza e profondità dell’ani-

mo umano. La scelta di emarginare, scac-ciare, dichiarare che un allievo indiscipli-nato è indesiderato, è però spesso quella più immediata. La banalità attira e vince sulla complessità, per superficialità. E così il ragazzo viene etichettato, per sem-pre. Il suo modo di disturbare per essere visto produce proprio ciò che egli mag-giormente teme: essere eliminato dalla vista di coloro dai quali vorrebbe essere accettato, compreso, voluto.

Sospendere, metter fuori dalla squadra, espellere dalla società sportiva, interrom-pere le frequenza dall’attività ludica, sono dunque l’esito di una azione non-educati-va. Agendo in questo modo viene, infatti, a mancare una risposta evolutiva alla richie-sta, spesso confusa, sempre irritante e, alle volte, davvero insopportabile del bambino impossibile da addomesticare.

Egli infatti con la sua inquietudine or-ticante domanda di poter trovare sollievo alla sua frenesia grazie allo sguardo edu-cativo degli adulti che si stanno occupan-do di lui.

Coloro che si prefiggono non solo di allenare e istruire, quindi, non possono cavarsela togliendosi di torno i ragazzi difficili. Se lo facessero verrebbero meno al compito formativo.

Un’esperienza educativa supplementare

l percorso per chi vuole dare. In-vece, una chance a questi ragazzi ri-belli, indisciplinati, maleducati è di quello di offrire loro un’esperienza educativa supplementare.

E se educare significa “tirar fuori”, il primo passo consiste nel dare voce a quel che si agita dentro alle giovani men-ti dei ragazzi che appaiono come cattivi.

I piccoli con i loro comportamenti dissennati, quindi, inviano un messag-gio a chi si occupa di loro. Il decifrarlo fa parte del mestiere educativo. Per as-solvere a questa operazione, però, il più delle volte non basta una persona sin-gola. Ci vuole un gruppo che, rifletten-do e ragionando, aiuti ogni componente del team educatori-allenatori-dirigenti a non farsi accecare dalle proprie pro-blematiche umane.

Allontanare ciò che inquieta, distur-ba, sfibra, stanca, ostacola è infatti uma-no. Allontanare chi ha diritto a essere aiutato va, tuttavia, contro i diritti dei mi-nori e disattende la mission educativa di allenatori, animatori, sacerdoti, insegna-ti, formatori.

Solo in gruppo però prende forma, trova voce e viene decodificata la com-plessità del disagio dei minori che si comportano in modo maleducato.

Rabbia, offese, prepotenze non van-no quindi giustificate, ma nemmeno so-lamente punite.

Le cattive condotte del singolo van-no osservate dentro un gruppo pensan-te che, grazie all’esperienza personale dei singoli e alla ricchezza professio-nale proveniente da ruoli e saperi dif-ferenti, sappia dare voce a quanto nel comportamento del soggetto difficile è muto, fisso, ripetitivo. Il comportamento inadeguato dell’adolescente è un agi-re che sostituisce il dire. Il dare parola al vissuto dei ragazzi che si mostrano cattivi rimette quindi in moto la comu-nicazione che cura e lenisce le ferite dell’anima.

La decodifica del sensodel comportamento

La domanda che apre ogni discus-sione sul comportamento dei bambini indisciplinati, provocanti, aggressivi, violenti riguarda dunque la decodifica

del senso di quel comportamento. Nessuno nasce cattivo. Chiun-

que, esposto a un’inadeguata azione pedagogica, diventa malvagio, aggressivo, scellera-to. Il problema dunque diviene come testimoniare l’essere un

buon educatore per contrastare i deficit formativi vissuti dal minore.

Per rispondere all’interrogativo sul senso dell’agire dei cattivi ragazzi quindi non vanno cercati i colpevoli né nelle brutte compagnie, né negli inadeguati maestri e nemmeno nei

novembre 2015

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 15

Paola Scalari, psicoterapeuta di Venezia, la-vora sulla gruppalità dei ragazzi come degli adulti, e prima ancora, sulla gruppalità fami-liare: [email protected]

UN LIBROPER SAPERNE DI PIÙ

Francesco Berto, Paola Scalari

ADESSO BASTA. ASCOLTAMI!ADESSO BASTA. ASCOLTAMI!Educare i ragazzi al rispetto delle regolela Meridiana, Molfetta

È un libro, un testo narrato, che ti arriva dritto al cuore, privo di indottrinamenti standard, di quel fai da te americaneggiante così di moda oggi, che invita al silenzio. L’ascolto emotivo è la strada maestra che risvegliando il puer presente dentro di noi ci permette di ascoltare con l’orecchio interno... La metodologia del gruppo, sia piccolo che allargato, ci mette in gioco e ci fa vivere le regole. I singoli fotogrammi sfocati e slegati fra di loro divengono sempre più nitidi e mostrano la ricchezza delle emozioni presenti, la policromia delle esperienze vissute, le numerose esistenze coinvolte (gruppi interni, familiari, contesto sociale e amicale, oltre ai maestri di vita e naturalmente ai bambini).Scorrendo la lettura, in sostanza, l’obiettivo – scrollandosi di dosso la fuliggine della sottomissione e dell’asser-vimento – si delinea nitido: il benessere emotivo del bambino.La trasgressione, la contestazione dei limiti e delle regole, le bugie, le parolacce, gli atti inconsulti non vengono più sentiti come degli attacchi alla propria persona e/o alla propria autorità adulta, ma divengono i segni della vitalità del piccolo. Le ribellioni del bambino sono una reazione all’incuria, alla trascuratezza, alla deprivazione, al caos, al sentirsi disconosciuti e non amati e alla paura di essere soli. La disubbidienza è un urlo d’aiuto.Questo urlo è rivolto ai genitori, agli educatori, agli insegnanti e a tutti coloro che si occupano del bambino e che possono essere defi niti maestri di vita. Ma gli adulti riescono ad ascoltarlo? (Antonino Giorgi, psicoterapeuta)

genitori difettosi. Certamente se si è arri-vati all’esito osservato degli errori ci sono stati. Altri adulti hanno sicuramente una qualche responsabilità. Affermarlo però non cambia la situazione. Anzi. Denigrare mondo familiare o mondo scolastico ren-de impotenti, poiché poco si può fare per modificare questi fatti già accaduti. Quindi un ragionamento sulle carenze familiari, sulle influenze amicali e sulle colpe della società è scontato e non porta a trasforma-re la situazione.

Caso mai amici e genitori, docenti e figure parentali entreranno in campo successivamente per iniziare a condivi-dere un piano di recupero emotivo del ragazzo impossibile. Sarà questo un pro-getto per ridare forza alla sua parte buo-na, tenera, vulnerabile. Saranno dunque una pluralità di interventi che permet-teranno di far emergere quello che il piccolo ha seppellito dietro una scorza dura e respingente. Diventerà, infine, un percorso per costruire attorno al ragaz-zo fastidioso, ribelle e insopportabile dei legami umanizzanti in grado di do-nare parole capaci di illuminare le zone d’ombra della sua tormentata anima.

Il contatto con i contenuti di tipo emotivo tenuti nascosti

Il nocciolo della questione è che gli adulti che già stanno incontrando il minore possano trovare un pertugio emotivo al fine di contattare emoti-vamente la parte spaventata, fragile, insicura del bambino ribelle. L’aiu-

to reciproco che i componenti del collettivo educativo possono darsi sta dunque nel non farsi abbagliare dall’evidenza per entrare, coraggio-samente, in contatto con i sentimenti che stanno nascosti dietro al malva-gio comportamento.

Tutti possono arrivare a capire per-ché tutti, seppur in misura più o meno limitata, hanno fatto esperienza di quan-to alzano la voce, urlano e imprecano quando colui che amano e dal quale si aspettano affetto, comprensione, tolle-ranza, li sta deludendo, abbandonando, negando. Va quindi cercato con pazien-za, dedizione, saggezza, tolleranza, ma-turità il “killer emotivo” alimentato dalla paura dell’abbandono e dalla dispera-zione dovuta al rifiuto.

Non si tratta di trovare colpe. Il col-pevole è chi agisce, quindi il ragazzo. Su questo c’è poco da dibattere. Ma il problema sta nel come recuperare il suo agire inadeguato, dispettoso, borioso, prepotente... Questa deve diventare la questione centrale. Va quindi perseguita l’idea che chi si comporta male riceva una punizione tesa a dimostragli che lo si vuole vicino trovando modi e maniere di occuparsi di più di lui.

L’agire educativo non può risponde-re alla cattiveria con la cattiveria, spe-rando che essa generi amore. Quindi se l’allontanamento va scartato, bisogna però andare a costruire offerte che si collochino nella rieducazione dei rap-porti umani. I comportamenti vanno quindi decifrati, letti nella loro comples-

sità, analizzati nei luoghi dove sono nati e si sono sviluppati per poter interveni-re sui diversi contesti.

L’insensatezza di ogni forma di abbandonoe punizione

Se gli educatori si limitassero a pu-nirli con l’esclusione condannerebbero il ragazzo ad assumere un’identità de-finita da altri in modo semplicistico. A questo punto la fatica di essere una per-sone civile, che l’adolescente evidenzia con le sue cattive condotte, potrebbe di-venire l’identità irrisolta del giovane. È più facile per lui essere “il Cattivo”, così come tutti dicono, che capire perché è “il Disperato”, così come lui solo sa.

Divenire perfido, quindi, permette all’adolescente di trovare una scorcia-toia al difficile e complesso compito di decidere chi egli sia se non si sente amato, protetto, benvoluto, importante. Un’etichetta appiccicata da altri sosti-tuisce irrimediabilmente la travagliata ricerca identitaria che ogni adolescente deve invece compiere per trovare il suo posto nel mondo.

E dietro a questa definizione precon-fezionata e ben esposta il ragazzo na-sconde la paura dell’abbandono, della negazione, della squalifica. Dietro a faci-li definizioni offerte dal mondo adulto va dunque celandosi ciò che ha reso duro e aggressivo il ragazzo. Delle volte è sufficiente che egli sappia che gli adulti (allenatori, insegnati, catechisti, sacer-doti, genitori, parenti) si stanno preoccu-pando per lui e s’incontrano per capire come aiutarlo a cambiare atteggiamen-to. Provare per credere! In questi gruppi di lavoro deve però essere condiviso autenticamente il sentimento della pre-occupazione comune. Non deve perciò mai farsi strada il desiderio di raddrizza-re il bambino con la forza, di scovare per lui punizioni esemplari, di darsi per vinti abbandonandolo al suo destino.

Agli educatori è chiesto quindi di rispondere alla rabbia dei giovani evi-tando con cura di attuare i medesimi atteggiamenti violenti dei ragazzi. Dalla paura del rifiuto nessuno è uscito sen-tendosi rifiutare. ■

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APPROFONDIMENTI

Il ruolo del cervello nei meccanismi di base dell’apprendimento motorio e sportivoFrancesco D’Ambrosio

Pensare l’allenamento/6LA PRATICA MENTALE FINALIZZATA ALL’APPRENDIMENTO MOTORIOFAVORISCE LA COMPRENSIONE E L’AQUISIZIONE DEL MOVIMENTO

Non puoi insegnare qualcosa a un uomo. Lo puoi solo aiutare a scopriela dentro di sé. (Galileo Galilei)

Chiunque svolge un ruolo educativo, nello sport o nella scuola, sa che ciò che ci rende umani è la “plasticità del cervello”, in quanto capacità di nuove sinapsi, nuove connessioni nell’intreccio tra livello cognitivo, livello relazionale e livello operativo. È ciò che ci consente di evolverci nel tempo. Il contrario è la fissità, condannati a un solo modo di stare al mondo. Educa chi crede che nessuno è bloccato nel suo passato, ma può sempre apprendere facendo leva sulla capacità dei circuiti nervosi di variare struttura e funzione in risposta agli stimoli ambientali. È allora essenziale, anche per lo sport, offrire stimoli che attivino il circuito cognizione-relazione-azione.

apprendimento, nella sua accezione più ampia, può essere definito come ogni modificazione del com-

portamento che si basa sull’esperi nza e che dura nel tempo.

Ciò significa, come d’accordo con la maggior parte degli autori, che l’apprendimento costituisce una funzione dell’adattamento compor-tamentale di un soggetto, risultato da un’esperienza. Potremmo allora dire, in base a tale concezione, che ap-prendere è adattarsi.

È chiaro, dunque, che l’appren-dimento in quanto processo attivo di acquisizione di comportamenti stabili in funzione dell’adattamento implica cambiamenti funzionali e/o strutturali cerebrali e può aver luogo a qualunque età. Un esempio è l’ap-prendimento di compiti specifici che provoca mutamenti dinamici delle rappresentazioni cerebrali.

Si nota, inoltre, che se da una par-te, l’allenamento e la corretta ese-cuzione di un determinato compito

modificano il sistema nervoso al fine di ottimizzarlo, dall’altra un esercizio strenuo e improprio induce cambia-menti neurali in senso disorganizza-tivo e, perciò, dannoso.

Partendo da questo tipo di con-siderazione è facilecapire come, i meccanismi che portano ad acqui-sire un determinato comportamento ha indotto recenti studiosi a sottoli-neare, specie per gli apprendimen-ti di una certa complessità come lo sport, appunto, il ruolo e le caratte-

ristiche di specifici proces-si definiti espliciti e impliciti dell’apprendimento al momento dell’acquisizione di comportamenti o azioni, come dimostrato nella Fig. 1.

In questo lavoro preferiamo ana-lizzare gli apprendimenti in base alla successione e all’organizzazione del-le fasi e delle rappresentazioni inter-ne dell’attività motoria e sportiva.

L’

Fig. 1 - I processi di apprendimento

APPRENDIMENTO

ESPLICITO(o dichiarativo)

IMPLICITO(o procedurale)

Per esempio, apprendimentiscolastici

Essenziale sono apprendimenti di “schemi senso-motori”

che si realizzano attraverso l’associazione ripetuta di unità sensoriali e risposte motorie.

Per esempio, locomozione e linguaggio.

La maturazione delle componenti psico-motorie nell’apprendimento

A questo punto, non bisogna di-menticare che il fenomeno dell’ap-prendimento non si configura come un processo puramente neurofisio-logico, in quanto presenta anche im-portanti risvolti psicologici. Questo ci permette di comprendere meglio come lo sviluppo motorio non può e non deve essere trattato in modo di-sgiunto dagli altri aspetti della per-

ma nervoso al fine ll’altra un esercizio io induce cambia-enso disorganizza-noso

ristiche di specifici proces-si definiti espliciti e impliciti

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sonalità dell’individuo, quali l’intelli-genza, la socialità e l’affettività.

In tal senso, si può osservare l’im-portanza fondamentale del concetto di psicomotricità che consiste nella formu-lazione dell’inscindibilità tra motricità e vita psichica, vale a dire nell’esisten-za di uno stretto legame tra lo sviluppo della motricità (ossia, del movimento o delle azioni), dell’intelligenza e dell’af-fettività.

Anche se nell’adulto, in generale, l’intelligenza e l’affettività sono distin-te dalla motricità, nella prima infanzia, e nelle fasi successive, tale distinzione non è effettuabile. Infatti, lo sviluppo globale del bambino normale, dalla na-scita fino a tre anni, si svolge attraverso l’intreccio costante delle quattro com-ponenti fondamentali per una matura-zione adeguata: lo sviluppo motorio, psichico, intellettivo e affettivo.

Per quanto riguarda lo sviluppo psi-comotorio, c’è da dire che avviene attra-verso una progressiva organizzazione delle seguenti attività:• attività sensitiva (legata ai sensi: con-tatto cutaneo, udito, vista, ecc.);• attività tonica (legata alla prontezza dei muscoli nel rendere possibile l’ef-fettuarsi del movimento);• attività motoria (legata alla possibili-tà di effettuare il movimento, che va dal movimento più semplice fino a quello più complesso e coordinato, che coinci-de a un’azione intenzionale).

Come sottolineato sopra, questa organizzazione graduale avviene, per-tanto, mediante un’adeguata maturazio-ne del Sistema nervoso centrale (SNC) che, a sua volta, è predeterminata dal patrimonio genetico di ciascun indivi-duo e influenzata dalle stimolazioni cir-costante (famiglia, scuola, sport).

Tuttavia, lo svilu ppo psicomotorio avviene anche attraverso la relazione esistente tra le abilità cognitive (“cosa fare”) in cui i processi decisionali e il problem-solving assumono grande rile-vanza e le abilità motorie (“come fare”) in cui i processi decisionali sono mini-mizzati, che permette al movimento, da indifferenziato, di diventare un atto con una intenzionalità. Per fare un esempio, si consideri la scelta tattica di passare e a chi passare la palla, tirare o conti-nuare l’azione. Fra i due estremi, inoltre, si situano moltissime attività sportive, ognuna caratterizzata da diverse com-binazioni di richieste decisionali e di controllo motorio.

A tale proposito, è indica-tivo il lavoro di Piaget che ha suddiviso le tappe dello svi-luppo psicomotorio in quattro periodi:• periodo sensomotorio (le-gato al movimento e all’azio-ne): va dalla nascita a due anni;• periodo preoperatorio (l’in-telligenza è di tipo intuitivo e imitativo; in questo periodo esiste la capacità di rappre-sentazione mentale di un dato oggetto o situazione anche in sua assenza): va dai due ai sette anni;• periodo delle operazione concrete (in questo periodo si è in grado di eseguire delle ope-razioni mentali solo in relazio-ne ai dati esterni della realtà a nostra conoscenza): va dai sette agli undici anni;• periodo delle operazioni formali (in esso il pensiero non si muove più unicamente dal concreto all’astratto, ma si serve di astrazioni teoriche per stabi-lire o verificare le relazioni esistenti tra le cose): va dagli undici anni in poi.

A questo riguardo, è interessante notare che il controllo complessivo del movimento dipende da un insie-me di circuiti che vede coinvolte di-verse aree del cervello nonché, del midollo spinale secondo degli scam-bi di segnali afferenti ed efferenti in cui un ruolo fondamentale svolgono i due sistemi motori, rispettivamente il sistema piramidale e quello extra-piramidale. Il primo sistema rappre-senta la componente più importante dell’apparato corticale di controllo dei movimenti volontari, il secondo invece è costituito da strutture e vie nervose preposte all’esecuzione dei

movimenti automatici o semivolon-tari che accompagnano, a loro volta, quelli volontari. Nella Tab. 1 vengono indicati i descrittori che definisco-no le caratteristiche dei due tipi di movimenti.

Processo di apprendimento sportivo e controllo delle abilità motorie

Come abbiamo visto, imparare movimenti è una p rerogativa indi-spensabile per l’individuo, e per-tanto la capacità di poter acquisire nuove azioni motorie viene definita apprendimento motorio.

Si assume inoltre che il processo di apprendimento motorio è conse-guenza dell’acquisizione di una più corretta rappresentazione dell’azione.

AUTOMATICI VOLONTARI/CONTROLLATIInconsci ConsciPreattentivi AttentiviGuidati dallo stimolo Guidati dal concettoAgiscono dal basso verso l’alto (down-top) Dall’alto verso il basso (top-down)A capacità limitata A capacità limitataAgiscono in parallelo SerialiPredisposti per attività durature Disponibili per tempi limitatiAppresi o innati tipo stimolo-risposta Impiegati nelle attività riflessiveAvviati con meccanismo on-offRigidi, adatti per le routine Flessibili, adatti per compiti creativiRichiedono un allerta generico Richiedono allerta focale

Tab. 1 - Processi automatici e processi volontari

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APPROFONDIMENTI

In questo senso, la rappresenta-zione interna dell’attività motoria può riferirsi sia allo specifico movi-mento appreso sia a una più genera-le classe di azioni cui il movimento appartiene.

Pertanto l’apprendimento moto-rio può essere definito un cambia-mento relativamente permanente nella prestazione o nelle poten-zialità di comportamento conse-guibile attraverso l’esperienza o la pratica, che comporta una serie di modifiche a livello del sistema nervoso centrale (vedi più avan-ti in questo lavoro), generalmente non direttamente osservabili, ma che possono essere inferite con cambiamenti che si riflettono nella performance negli aspetti cogni-tivi e motori, nella selezione del programma motorio appropriato, nella formazione di un riferimento di confronto fra risultato atteso e reale, ecc. Di conseguenza, il mo-vimento diviene più sicuro, fluido e preciso.

Le tre fasi dell’apprendimentomotorio

L’apprendimento motorio si ma-nifesta con una certa gradualità, con il passaggio progressivo attraverso tre fasi, all’interno delle quali esisto-no diversi livelli di evoluzione delle abilità (vedi Tab. 2). Cerchiamo ora di analizzare in maniera più dettagliata tre le fasi.• Nella fase cognitiva vengono prese le decisioni che permettono i primi tentativi di esecuzione del mo-vimento, accompagnate e facilitate dalla verbalizzazione vocale del mo-vimento che si sta compiendo e del-le strategie adottate per compierlo. In questa prima fase dell’apprendi-mentomotorio è importante dare una dimostrazione pratica del movimen-to attraverso l’imitazione. Va in ogni modo ricordato che, nell’apprende-re un movimento per imitazione, è necessario che il movimento venga percepito e memorizzato e, altresì, isolare le caratteristiche cruciali del

FASI LIVELLI DI ABILITÀFase cognitiva fase iniziale di comprensione del compito

verbale-cognitivo o di coordinamento grezza

Fase associativa fase intermedia in cui si passa attraverso uno stadio di sviluppo motorio o della coordinazione

Fase di automazione fase finale di comprensione approfondita e automatizzazione del movimento o della disponibilità variabile

Tab. 2 - Fasi dell’apprendimento motorio

movimento osservato. In questo caso, l’attenzione dell’atleta è rivolta alla comprensione di quello che deve fare al fine di costruirsi un piano mentale adatto a governare le sue azioni e, allo stesso tempo, trasforma-re direttive verbali in comportamenti motori significativi.• La seconda fase, come descritta nella Tab. 2, è quella di passaggio dall’esordio: ai livelli alti di abilità. In questa fase intermedia, i vari mo-vimenti che compongono la presta-zione vengono condensati in un’u-nica azione e, chiaramente, ciò che ne risulterà sarà un’attività motoria diversa dalla somma dei vari movi-menti eseguiti singolarmente. In pra-tica, l’atleta passa dal cosa deve fare al come farlo, vale a dire l’attenzione viene rivolta alle rifiniture che devo-no essere apportate al movimento di base e quindi affinare l’azione. Con una significativa evidenza, possiamo affermare che alla fine di questa fase la rappresentazione interna del ge-sto/azione diviene precisa.• Nell’ultima e terza fase ha luogo l’automazione dei processi cogniti-vi sottostanti l’attività motoria, ed è presente un controllo cosciente mini-mo sul movimento. Si può osservare che l’avvenuta automazione dei pro-cessi raggiunta in questa terza fase è testimoniata anche tra l’altro dalla difficoltà dei soggetti di verbalizza-re le operazioni che vengono svolte durante la prestazione. In effetti, dopo molta pratica, si giunge alla fase in cui i programmi motori sono ben sviluppati e in grado di controllare accuratamente l’azione. In questo modo, l’atleta si crea una ricca rappresentazione interna multisensoriale dell’azione ideale, che gli consente inoltre un confronto pre-ciso e utile alla correzione degli errori, ad esempio, come stimoli mnestici per rievocare particolari azioni e strategie di gara. Il susseguirsi dei movimenti di-venta, dunque, automatico.

Possiamo concludere dicendo che, una concentrazione sull’azione globale della prestazione, che altro non è che l’e-secuzione automatizzata dei movimenti.

Il significatodella plasticità del cervello

Negli ultimi anni è stato possibile di-mostrare che l’apprendimento motorio induce cambiamenti a livello cerebrale.

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• L’apprendimento coinvolge dei cambiamenti nel sistema nervoso prodotti dall’esperienza

• I cambiamenti nel sistema nervoso sono fisici • L’apprendimento ci permette di adattarci all’ambiente• L’apprendimento richiede interazioni tra il sistema sensoriale, motorio e mnesico

Tab. 3 - La plasticità cerebrale e apprendimento

Francesco D’Ambrosio, psicologo e psico-terapeuta, è docente all’Università di Tor Vergata Roma e formatore PGS: [email protected]

Tenendo conto di questo, gli atleti costituiscono una popolazione ideale per indagare la plasticità del cervel-lo umano in funzione dell’esperienza motoria. Recentemente lo studio del cervello degli atleti è stato osserva-to mediante tecniche d’indagine non invasive (elettrofisiologia e neuroim-magine), ed è stato dimostrato che i neuroni sono cellule dinamiche e il cervello può modificare i volumi e la morfologia delle varie aree in conse-guenza delle modificazione del trofi-smo neurale. In effetti, se sottoposto in continuo allenamento mentale e motorio, il cervello può aumentare la sua plasticità, vale a dire divenire più elastico aumentando così la capacità adattiva di risposta agli eventi am-bientali.

Ciò avviene, come già ben illu-strato nel n. 3/2013 di questa rivista, poiché i neuroni parlano fra loro con un piccolo segnale elettrico che si chiama potenziale d’azione. Ogni neurone è dunque elemento di ela-borazione e ciascun neurone invia un segnale in base a quelli ricevuti da tutti i neuroni a cui è connesso e alla propria soglia di attivazione.

In questo modo, il cervello crea in continuazione nuove connessioni si-naptiche e rinforza le sinapsi pre-e-sistenti in risposta alle stimolazioni che riceve dall’ambiente interno e dall’ambiente esterno.

Ne consegue che il rimodella-mento di queste connessioni tra neu-roni (o “sinapsi”) lungo le vie ner-vose cerebrali costituisce tuttavia la

base per l’apprendimento e per la memoria. Sono indicativi, al riguardo, alcuni studi sul cervello dell’atleta che cercano di simulare in laborato-rio condizioni che in parte possano evocare gli aspetti critici presenti in campo.

Pertanto si parla di apprendimen-to e plasticità sinaptica (vedi Tab. 3), poiché stimolazioni ad alta frequenza di un circuito di neuroni rafforzano le sinapsi tra i neuroni. L’effetto è che la ripetizione dello stimolo determina potenziali post-sinaptici eccitatori più ampi che nella prima stimola-zione; questo fenomeno di plasticità sinaptica è chiamato potenziamento a lungo termine (in sigla LTP, dall’in-glese Long Term Potentiation).

È possibile affermare dunque che la plasticità è una proprietà intrinse-ca del cervello umano e rappresen-ta un’invenzione dell’evoluzione per consentire al sistema nervoso di su-perare le restrizioni imposte dal pro-prio genoma e quindi di adattarsi alle pressioni ambientali, ai cambiamenti neurofisiologici e all’esperienza.

Se questo è ciò che dobbiamo tener conto quando parliamo della

plasticità del cervello, allora, forse si può dire che è il meccanismo per lo sviluppo motorio e l’apprendimento delle abilità cognitive. In particolare, essa costituisce la capacità dei cir-cuiti nervosi di poter variare struttu-ra e funzione in risposta agli stimoli sia durante lo sviluppo che nel corso della vita adulta, mantenendo una loro dinamicità e riorganizzandosi sotto l’influenza del mondo esterno per rispondere a particolari esigen-ze motorie, sensoriali, cognitive o af-fettive.

L’inserimento del gestoin un contesto più complesso

Facendo riferimento a quanto descritto finora, possiamo dire che l’apprendimento motorio si basa sull’acquisizione di tappe naturali importanti per il conseguimento di un sufficiente livello motorio o com-petenza motoria e che influenzano significativamente le nostre connes-sioni neuronali e le nostre strutture cerebrali, fenomeno noto come ab-biamo visto con il termine di plasti-cità neurale.

Tale fenomeno migliora la pre-stazione, riduce lo sforzo, sviluppa la rappresentazione mentale del ge-sto e di un piano d’azione, consente di inserire l’atto in un contesto più complesso. La pratica mentale, fina-lizzata all’apprendim ento motorio favorisce quindi la comprensione e l’acquisizione del movimento, e aiuta a controllarne la modifica. In base a ciò, si può evidenziare come lo spor-tivo, in particolare, quello esperto automatizza gli schemi comporta-mentali che gli consentono di utiliz-zare le strategie di gioco più idonee per vincere. ■

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FOCUS

L’anno del bicentenario della nascita di don Bosco ha offerto anche a noi PGS molteplici occasioni per sentirci orgogliosi e responsabili di appartenere alla “famiglia salesiana”. Dai Giochi internazionali a Torino, ai festeggiamenti in tutte le città e soprattutto al Colle don Bosco, al nostro apporto al “successo” della Casa don Bosco all’EXPO: tutto questo ci ha interroga sul legame con il mondo salesiano a livello di spiritualità e di metodo educativo, oltre che convergenza fra organizzazioni sul compito comune. In questo senso da una parte ci lasciamo provocare dalle lettere che, in occasione dei Giochi a Torino, ci hanno inviato il Rettor maggiore e la Madre generale, dall’altra ci sentiamo in dovere di mettere a fuoco una nostra risposta alle due lettere.

Focus: un invito a vedere, comprendere, discutere, fare

a cura di Don Àngel Fernández Artime, suor Yvonne Reuengoat, don Claudio Belfiore, Michele Visentin

GIOVANI, FATECI SPAZIOACCANTO A VOIE CAMMINEREMO INSIEME

FOCUS / LA PROPOSTAIl radicamento delle PGS nel grande racconto salesiano

Lettera alle PGS di don Artime, Rettor maggiore dei Salesianiin occasione dei Giochi internazionali di Torino

Cari ragazzi e ragazze, cari Salesiani e care Figlie di Maria Ausiliatrice

Con piacere accolgo la vostra presenza a Torino nell’anno del bicentenario della nascita di don Bo-sco per celebrare la XXVI edizione dei Giochi internazionali della gio-ventù salesiana, organizzati da PGS International.

Sapere che tutti voi siate appas-sionati a don Bosco, al suo modo di educare e alla spiritualità salesia-na rappresenta per me e per tutti un grande patrimonio, una grande ricchezza.

Una ricchezza sempre da far rivi-vere aprendoci insieme alle fatiche e alle gioie, alle sofferenze e alle speranze dei giovani, nella convin-zione che nel nome della vita anche

voi, ispirati a don Bosco, siete una ri-sorsa per la chiesa e per la società, con un sguardo aperto, come quello di don Bosco, sulle sorti del mondo intero.

Per questo mi sembra importan-te che, nelle vostre giornate a Tori-no, entrando a Valdocco, vi sentiate a casa vostra, destinatari di quella sorgente di amore per i giovani che è stato ed è ancora don Bosco.

FocusOrgoglio e responsabilitànel sentirci partedel grande alberodella famiglia salesiana

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 21

Ci unisce l’idea di una società giusta

Cari ragazzi e ragazze, don Bo-sco ha creduto ciecamente, piena-mente in voi giovani. Faceva sue le inquietudini, le speranze e le gioie dei suoi giovani (e di voi), viven-do in mezzo a loro e con loro, e in quello che era un dono speciale in lui, di essere uomo della relazione personale, dell’amicizia e del dia-logo, dava a suoi giovani tutta la fi-ducia per essere forti nel cammino della vita, forti nella fede, credendo realmente nelle proprie capacità e possibilità, come nelle grandi pos-sibilità che abbiamo anche oggi di costruire una società di giustizia e di pace. Anche voi oggi potete es-sere i veri protagonisti delle vostre vite, consapevoli e attivi nella vita della chiesa e nella società, sapen-do che don Bosco ha dato se stesso per i giovani, attratto in modo spe-ciale dai più piccoli e poveri.

Siamo parte del grande albero che è la famiglia salesiana

Allo stesso modo di don Bosco, oggi, tutti quanti formiamo parte del grande albero che è la famiglia salesiana, vorre-mo camminare con voi, al vostro fianco, rinnovando la nostra amicizia, traccian-do insieme un cammino che ci porti tutti, congiuntamente, a essere forti e corag-giosi nel corpo, nella mente e nello spi-rito, per camminare insieme verso gli ideali del progetto di uomo e di donna rappresentato dalla spiritualità salesia-na. Fateci dunque spazio accanto a voi e cammineremo insieme. Camminare insieme, vuol dire che ci educhiamo re-ciprocamente, apportando ciascuno il dono che noi siamo. Significa che ci ob-blighiamo a metterci in cammino per continuare a crescere, noi adulti e voi giovani, avendo attenzione, simpatia e interesse per l’altro, per l’altra, nei campi da gioco e in ogni momento della nostra vita quotidiana, condividendo quegli aneliti, desideri e i mpegni che riempio-no di senso le vostre giovani vite.

Vi invito a bere alla fonte della spiritualità salesiana

Come giovani di oggi, credenti, di-scepoli e missionari di Gesù, cari ragazzi

e care ragazze che siete a Torino a festeg-giare la vostra giovinezza con don Bosco nel gioco e nella festa, nell’incontro tra mondi diversi e nella fratellanza tra i po-poli, io, per far crescere in voi la forza e il coraggio di don Bosco che gioca con i suoi ragazzi in cortile, ma anche il coraggio che egli ha avuto, come grande educatore e grande imprenditore sociale, per rispon-dere alle attese di educazione, lavoro e cit-tadinanza dei giovani poveri. Ecco, a tutti voi che siete a Torino consegno il compito di camminare insieme, nello sport e nel-la vita, con i giovani più poveri dei vostri territori.

Un saluto a voi, ragazzi e ragazze, e a tutti voi che, come adulti fate parte della famiglia salesiana per la vostra fede, ge-nerosità e intraprendenza, camminate al loro fianco. ■

NELLA VITA COME NELLO SPORTNON CI SI PUÒ ACCONTENTAREDI UN PAREGGIO MEDIOCRE

FOCUS / LO STILEEssere protagonisti di una Chiesa in cammino

Suor Yvonne Reungoat, Madre generale FMA

Carissimi giovani delle PGS,

avrei tanto desiderato essere con voi per condividere la gioia di un’e-sperienza bella e importante quale la XXVI edizione dei Giochi interna-zionali della gioventù salesiana. Vi raggiungo con questo messaggio au-gurandovi una felice esperienza che prevede un programma molto ricco e interessante.

L’allegria, la gioia, il gioco condiviso l’entusiasmo per le cose che contano

State vivendo questa esperienza a Torino, città dove don Bosco ha dato origine all’oratorio e dove numero-sissimi giovani poveri, soli, indifesi, hanno trovato una casa, un cuore di padre disposto a dare la vita per la loro felicità; dove hanno incontrato ragazzi sconosciuti divenuti poi amici ➔

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FOCUS

e compagni di viaggio in una realtà difficile in quel tempo, eppure piena di speranza perché arricchita dai va-lori che fanno presa nel cuore di voi giovani: l’allegria, la gioia, l’entusia-smo per le cose che contano, il gioco condiviso. Posso dire che don Bosco è stato un genio del “cortile”, un gran-de amico dei giovani, precuersore delle moderne associazioni, tra cui anche quelle sportive.

Mi congratulo con quanti hanno organizzato questo evento, in occa-sione del Bicentenario della nascita di don Bosco, e mi compiaccio con tutti/e voi per la vostra adesione a questo momento di grande significa-to per la vostra vita.

Una competizionenel rispettodei più deboli

Come vorrei che sentiste presente don Bosco che parla al vostro cuore, vi applaude per l’entusiasmo con cui vivete l’attività sportiva con sana competizione, senza arrivismi, con rispetto verso i più deboli, anzi sce-gliendoli come vostri amici preferiti e non “sportivi di scarto”, come di-rebbe Papa Francesco. A volte può succedere che chi non è capace di successo, chi non raggiunge la vittoria venga messo da parte, venga emarginato. Perché questo rischio non si avveri penso alle parole di Papa Francesco che rivolgendosi a numerosi sportivi, in un incontro promosso dal Centro sportivo italiano nel giugno 2014, ha raccomandato

di non cadere nell’indi-vidualismo, di avere il coraggio di respingere ogni forma di egoismo e di isolamento, stare volentieri con gli altri, aiutarsi a vicenda, ga-reggiare nella stima re-ciproca, accettarsi con simpatia.

Non accontentatavi di un mediocre “pareggio”

Come ricordo di questa esperienza desi-

dero lasciarvi una consegna con le parole stesse del Santo Padre. Sen-titele rivolte personalmente a voi, aprite il vostro cuore ad accoglierle con gioia, spalancate la vostra vita alla bellezza, alla speranza, a un fu-turo sportivo ricco di quei valori che don Bosco ha comunicato ai suoi ra-gazzi e che ancora oggi sono di gran-de attualità.

Ecco quanto vi dice a tutti voi Papa Francesco:

«È importante, cari ragazzi, che lo sport rimanga un gioco! Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito. E proprio perché siete sportivi, vi invi-to non solo a giocare, come già fate, ma c’è qualcosa di più: a mettervi in gioco nella vita come nello sport. Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella so-cietà, senza paura, con coraggio

ed entusiasmo. Metter-

vi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareg-gio” mediocre, dare il meglio di se stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre. Non accontentarsi di queste vite tiepide, vite “mediocremente pa-reggiate”: no, no! Andare avanti, cercando la vittoria sempre!» .

Uno spazio dove gli ideali possono venire alla luce

Carissimi giovani, vi voglio bene; tutte le Figlie di Maria Ausiliatrice credono, come ci insegna don Bosco, che nel vostro cuore, nella vostra vita ci sono ideali grandi che devono es-sere riconosciuti, apprezzati, messi in movimento senza timidezza, ma con intraprendenza come sapete fare voi.

Lo sport, vissuto nello stile che caratterizza le PGS, è lo spazio dove questi ideali possono venire alla luce e poter essere poi irradiati nella real-tà dove ogni giorno vivete. Voi pote-te essere protagonisti di una società nuova, di una Chiesa in cammino. Insieme, siete capaci di trasformare l’attività sportiva in un mezzo effica-ce per andare verso le “periferie” e provare la gioia di donare il meglio di voi stessi a chi attende amicizia, accoglienza, una stretta di mano con sincerità, un sorriso che comunica ot-timismo.

Unisco un saluto e un augurio di bene a tutte le persone che condivi-dono con voi questa esperienza: alle-natrici/tori, educatrici/tori, autorità religiose e civili presenti a questo evento che ci riporta alle origini di un grande santo: don Bosco. ■

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 23

SI PUÒ PARLARE E COMEDI STILE SALESIANONELLO SPORT CON I GIOVANI?

FOCUS / LA SQUADRANella squadra di don Bosco c’è ancora spazio per nuovi atleti

Don Claudio Belfiore, Salesiani per lo Sport

Quando si entra in cam-po gli atleti si distinguo-no per le loro divise: le forme sono uguali, ben

definite ed essenziali, ma a far la differenza sono i colori. Per questo le distinguiamo, anzi ci appassionia-mo, tanto che arriviamo a dire che siamo “attaccati ai colori della squa-dra”. E i giocatori della Nazionale sono identificati dal loro colore: “gli azzurri”.

L’invito a misurarci con alcuni interrogativi

Leggendo i messaggi che la Ma-dre generale e il Rettor maggiore hanno inviato in occasione dei XXVI Giochi internazionali della gioventù salesiana di Torino 2015 spontanea-mente mi sono sorte alcune doman-de: quali sono i colori dei giovani sportivi che frequentano le PGS e le case salesiane? C’è qualcosa che permette di distinguere un/una gio-vane atleta che proviene dagli am-bienti salesiani? È possibile poter dire di loro quel che Don Bosco desi-derava si dicesse di ogni ex-allievo salesiano e cioè: «Fate che la gente, domandando chi siete, possa sentir-si rispondere stupefatta: è un figlio di Don Bosco»?

Sia dalle parole di Madre Yvon-ne che di Don Angel traspare un grande amore e un profondo senso di riconoscenza per il dono di Don Bosco.

Certamente l’occasione e lo spunto sono dati dalla ricorrenza del Bicentenario e dal fatto di essere a Torino, la città dove il Santo educato-re dei giovani ha dato inizio alla sua opera e al suo sistema educativo. Ma non temo smentita se affermo che ne *avrebbero parlato comunque.

Stile e colori di uno sport “alla don Bosco”

Prendo spunto da questa affermazione per delineare lo stile e i colo-ri che caratterizzano “alla Don Bosco” un giovane e un adulto nello sport.

Innanzi tutto un grande amore a Don Bosco, una vera e genuina pas-sione. Non c’è pericolo di metterlo in concorrenza con Gesù, perché giocano nella stessa squadra, e il nostro Santo è un ottimo attaccante a disposizione del Regista per ec-cellenza. Veramente possiamo dire che Don Bosco è cresciuto alla sua scuola, assumendo le caratteristi-che tipiche del Buon Pastore, che va in cerca di chi è bisognoso, che dispensa misericordia a tutti i gio-vani che ne hanno bisogno, che si prodiga per dare loro vitto, alloggio, formazione e santità.

Ma non basta dire che vogliamo bene a Don Bosco per essere suoi figli.

Come per ogni disciplina sporti-va, possiamo anche dire che siamo i più bravi, dei campioni e dei veri talenti, ma alla prova dei fatti, alla prova del campo, lì si manifestano le nostre vere capacità: possiedi i fon-damentali? Sai tenere la posizione? Hai visione di gioco? Ti sai sacrifica-re e giochi per e con la squadra? E così di seguito.

I fatti dimostrano che siamo fi-gli di Don Bosco, non le parole. E ci sono fatti inequivocabili a cui far riferimento. Ne enumero alcuni: partecipazione alla S. Messa, gene-rosità a casa e con i compagni, pre-ghiera personale e allegria, fedeltà ai doveri scolastici e sul lavoro, one-stà e laboriosità, Confessione men-

sile, rispetto verso tutti e solidarietà verso chi ha bisogno...

Neanche nello sport possiamo adagiarci sulla sufficienza

Eh sì, Don Bosco non si è accon-tentato di dare da vivere, ha propo-sto una “misura alta di vita cristiana”, per dirla con San Giovanni Paolo II. Come a dire: non basta giocare, gio-ca bene. Di più: gioca da campione! C’è un accontentarsi, un adagiarsi sulla sufficienza, che non solo non è dignitoso dal punto di vista umano, ma non è neanche cristiano. Non si tratta di essere i primi in assoluto, cosa possibile solo ad alcuni, ma di essere al massimo delle proprie ca-pacità. Perché campione “alla Don Bosco” non è tanto il primo tra molti, ma colui che punta a dare il massi-mo. Così com’è scritto all’ingresso di una scuola salesiana: «Qui noi dia-mo il meglio di noi stessi!».

Chi ha incontrato Don Bosco e ne ha indossato la maglia e i colori ne porta le caratteristiche. Nel tempo la squadra si è arricchita: san Dome-nico Savio, la beata Laura Vicuña, il beato Piergiorgio Frassati, il beato Alberto Marvelli, il beato Zeffiri-no Namuncurà. La squadra non è al completo.

C’è ancora spazio per nuovi atleti e campioni, di oggi e di domani: sei convocato! ■

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FOCUS

SENTIRCI PARTE DELLA FAMIGLIA SALESIANACI DONA FANTASIA E CORAGGIONEL CHIEDERE AI GIOVANI DI FARCI SPAZIO

FOCUS / LA PRATICAAssumere le suggestioni che ci offre il mondo salesiano

Michele Visentin

sono parole capaci di ispirare entusiasmo, infondere corag-gio di fronte alle sfide, raffor-zare l’appartenenza al grande

albero della famiglia salesiana, al grande “albero della vita”. Sono parole come quelle che il Rettor maggiore don Artime e Madre Yvonne hanno rivolto a noi delle PGS. Parole ci confortano dentro le fatiche di un lavoro appassionante e faticoso, ma insieme ci provocano e convocano a rin-novare il nostro impegno educativo sale-siano con gioia e determinazione.

Lo sport è vita, non preparazione alla vita

Ci convince, anzitutto, sentire affer-mata, con disarmante naturalezza, non solo l’importanza dell’educazione come elemento essenziale di sviluppo della società attuale, ma anche la consapevo-lezza del ruolo determinante che gioca l’esperienza sportiva nella crescita del-la persona e dei giovani in particolare. Come PGS è di grande spinta verso il futuro il fatto che sia ribadita con forza a necessità di pensare lo sport e l’educa-zione sportiva non più come “palestra di vita”, ma come momenti costitutivi della vita stessa, momenti in cui ciò che è vita-le si esprime in tutta la sua potenza.

In questo senso i messaggi delle due guide della famiglia salesiana riaf-fermano la dignità e la fecondità umana e spirituale dell’educazione al gioco e allo sport come modalità privilegiata per fare spazio ai giovani che chiedono spazio, come presenza irrinunciabile per la ricchezza che porta con sé nel grande albero della famiglia salesiana. Non è un albero salesiano se non c’è spazio fra i suoi rami per il gioco e per lo sport.

Se lo sport è vita è perché l’alfabeto della vita si apprende anche pratican-dolo, giocando e accogliendo la nostra proposta associativa: la vita è struttura come lo sport, è integrazione, è soste-

gno, è fiducia. Certo, anche sacrificio, fare i conti con la sofferenza umana.

Cosa abbiamo da offrire ai panchinari della vita

Lo sport offre immagini potenti per comprendere ciò che altrimenti sareb-be difficile da accettare. Immagini di ”periferia” dell’umano, come deside-ra papa Francesco, scomode, ma che dell’esperienza sportiva sono parte integrante. Pensiamo a ciò che veicola l’immagine della “panchina”, contraria a quella della “discesa in campo”, con-traria all’immagine del “titolare”.

Stare in panchina nella vita è non po-ter avere opportunità di sperimentarsi, di giocare le proprie risorse, di parteci-pare. Ai giovani panchinari della società, a chi vede la partita sempre da bordo campo, a chi non gusterà mai il brivido dell’entrata in campo... A questi, ribadi-scono le due lettere, come PGS siamo impegnati a rivolgere nostra attenzione e simpatia (il soffrire insieme) fino ad apprendere gli uni dagli altri il corag-gio di vivere.

Il segretoè scosprire un altra realizazione di sé

E che dire di chi in campo c’è, ma viene sostituito? A volte è solo un lento ma inesorabile scivolare verso la pover-tà, materiale e relazionale. Una sostitu-zione lenta e un far posto a chi, talvolta ingiustamente, entra in campo con la forza e violando le regole.

Anche l’immagine della “sostituzio-ne” è cara a noi che ci educhiamo in-sieme attraverso lo sport. Perché come la panchina può diventare simbolo

A FOCUS HAPARTECIPATO

Don Àngel Fernández Artime, Rettor maggiore SDB.Suor Yvonne Reungoat, Madre generale FMA.Don Claudio Belfi ore, responsabile di “Salesiani per lo sport”.Michele Visentin, ([email protected]) con la collaborazione di Carla Malgarise, Elisabetta Miotto, suor Maria Lucia Piva, Roberta Povoleri.

Ci

non solo di emarginazione ma anche luogo di sosta e di riflessione, così l’ac-cettare di essere sostituiti, quando non è frutto di un’ingiustizia, può diventare gesto gratuito di dono, facendo spazio all’altro non come rinuncia a realizzare se stessi, ma come apertura intima a un’”altra” realizzazione di sé e di noi. Come PGS, pertanto, accogliamo con gioia l’invito pressante a camminare insieme, nello sport e nella vita, con i giovani più poveri delle nostre città, dei nostri quartieri.

Stimolante, infine, la richiesta che il Rettor maggiore rivolge ai giovani: fa-teci spazio accanto a voi! Ogni ragazzo e ogni ragazza, alla fine, si sa, vuole solo essere ospitato. Ma anche noi educato-ri, in modi diversi, desideriamo trovare ospitalità in uno sguardo, in un sorriso, in un abbraccio, in un pensiero.

Come adulti, allenatori, dirigenti sia-mo provocati da questa richiesta, sapendo che troveremo un po’ di spazio nel cuore dei giovani se nelle nostre associazioni e squadre li faremo sentire a casa, sentire at-tesi, soprattutto capaci. Se da noi trovano la loro casa, questa luogo di nuove partenze, di nuove partite nella vita. ■

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 25

mondo

NUOVI MAESTRI PER LA DIFFICILE ARTE DEL PATTINAGGIO

lla voce pattinaggio, sul nostro sito, si leggeva la scorsa estate che il corso per istruttori di Rimini sa-

rebbe stato un evento memorabile, il clou della stagione 2015-2016 delle rotelle in versione PGS. E in effetti, l’iniziativa andata in scena ad ottobre al pattinodromo di Lagomaggio della nuova stagione sportiva, ha costituito un inizio con il botto, un’esperienza indimenticabili per i 27 istruttori e i 39 atleti che per due giorni hanno avuto per illustre docente di scienze rotellistiche Fabio Hollan, commissa-rio tecnico della nazionale italiana di artistico, reduce dai trionfi azzurri ai mondiali in Colombia.

Quella di Rimini è stata l’iniziati-va formativa di più alto livello che la PGS è riuscita a mettere in cantiere in questo 2015, la prima in assoluto ri-volta a una disciplina che vanta una “anzianità” ultratrentennale in PGS, ma che non è mai stata oggetto di attenzioni particolari sul piano della formazione tecnica e della didattica rivolta agli istruttori. Forse perché in PGS nel pattinaggio hanno sempre “imperato” gli allenatori di formazio-ne e di esperienza federale e, salvo poche eccezioni, i tecnici fatti in casa non hanno mai avuto un ruolo da pro-tagonisti.

Il numero di partecipanti – tecni-ci patentati, ma anche molti giovani

che aspirano a diventare “maestri” di questa difficile ma affascinante disciplina che, seppur individuale, ha contenuti formativi ed educativi rilevanti, tali da smentire il luogo co-mune che negli sport in cui ciascuno gareggia per conto proprio c’è poco spazio per la crescita globale dell’at-leta – non è stato altissimo. Però molti tecnici e allenatori hanno espresso apprezzamento per l’iniziativa, con il rammarico di non poter essere pre-senti.

Bella e significativa la partecipa-zione, al seguito degli allenatori, di una quarantina di atleti (in gran parte giovanissimi, tutte femmine salvo un solo maschietto), che hanno consen-tito di tradurre in esempi concreti

gli insegnamenti di Fabio Hollan. Per questi ragazzi l’impegno è stato note-vole (sei ore sui pattini in due giorni), ma lo hanno affrontato consapevoli di vivere un privilegio che non è di tutti.

Oltre a Fabio Hollan, capace di vi-vere intensamente l’esperienza PGS pur non avendola mai conosciuta in passato, hanno dato il loro apporto la giovane coreografa Valentina Arena e la nostra suor Francesca, seguitissima nella sua coinvolgente lezione di “pi-giessologia”. Il tutto con il coordina-mento della responsabile nazionale Erika Bizzaro, cui va il merito di esse-re riuscita a impreziosire l’iniziativa con la presenza di Fabio Hollan. ■

Gianni De Caneva ([email protected])

A

RIMINI

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mondo

UN MIX DI ELEGANZA, POTENZA E LEGGEREZZA

MEZZANO

campo scuola del Veneto si è svolto a Mezzano in Tren-tino con 33 atleti, dal patti-naggio artistico alla ginna-

stica artistica e alla ginnastica ritmica.Inizio domenica 17 agosto. Da subi-

to il tempo è tiranno per le innumere-voli cose da fare, con atleti catapultati in palestra per la loro prima esperienza pratica, seguita dalla novità del coope-rative learning, un metodo ha permesso essere co-protagonisti dell’apprendi-mento, con risultati ottimi.

La mattina, un momento di rifles-sione; a seguire psicologia in cui ca-pire quale fascia d’età si andava ad affrontare. Divertente ritornare bam-bini di 4 anni...

Poi in palestra, con un allena-mento basato sulla fascia d’età della giornata. Bello vedere gli istrutto-ri, giorno dopo giorno, trasformarsi nel loro modo di allenare, tra cerchi, palle, pattini e travi. Finita la lezione, un momento per fare il punto della situazione.

Lunedì 17 agosto inizia un viaggio impegnativo, ricco di emozioni. Ognuno si è messo in gioco nel proprio sport, ma anche a livello personale. Non ci siamo mai fermati, sempre attivi, dalle prime ore del mattino con materie di studio e attività motorie, fino a tarda sera con giochi e tanto divertimento. Ogni giorno abbiamo affrontato una diversa fascia d’età ripercorrendo la nostra vita da bambini ad adolescenti. Un’equipe esperta ci ha affiancato, grintosa e incoraggiante nel far emergere i nostri valori e quelli della PGS. E così ogni sport ha approfondito la disciplina, affinando la tecnica per trasmetterla ai futuri allievi. Nonostante alcune ore del giorno divisi, mai è venuto meno lo spirito di gruppo: l’eleganza della ginnastica ritmica, la potenza della ginnastica artistica e la leggerezza del pattinaggio hanno dato vita a un bel campo scuola. Poi a casa, felici di aver intrapreso questa avventura, simbolo per noi di un nuovo inizio.

Un gruppo di campiste

UN’AVVENTURA SIMBOLO DI UN NUOVO INIZIO

Una doccia e subito a mangia-re per poi affrontare le lezioni di PGS-logia. Di nuovo in campo, con gli allievi diventati allenatori di una fa-scia d’età. Un compito non semplice, però sono stati tutti aperti ad acco-gliere nuove sfide.

Da sottolineare lo stage di motri-cità e di ritmo che ha visto coinvolte tutte le discipline. È stimolante per gli istruttori pensare di trovare carat-teristiche comuni fra le tre discipline.

La sera tra ban e giochi il diver-timento non è mancato. Romantica la caccia al tesoro fotografica a Mez-zano e la tradizionale pizza di metà campo, nonché i selfie di Rita e l’as-solo finale di Enrico ;) ■

Roberta Povoleri, Enrico Peretto

([email protected])

Il

UN’AVVENTURA

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 27

embrano lontani i Giochi in-ternazionali della gioventù salesiana a Torino, tra fine aprile e i primi di maggio.

Però, da lontano direi che li vedo me-glio e metto a fuoco scene su cui in quei giorni travolgenti non riuscivo neppure a fotografare nella mente...

Ricordo velocemente alcune scene per condividerle con i lettori di Juvenilia: cinque giorni molto intensi, tutti dedicati da parte mia e di tanti altri volontari al bene dei ragazzi e delle ragazze che da undici nazioni europee sono giunti a To-rino per le gare di pallavolo, pallacane-stro, calcio e tennis tavolo e per festeg-giare il bicentenario della nascita di don Bosco. Giovani e adulti di tutta l’Europa, una babele di volti e di lingue, di sorrisi, riconoscimenti e abbracci, amicizia im-pensate e ansia per le gare. Ma soprat-tutto festa, festa alla don Bosco.

La prima giornata e l’ultima sono state dedicate ad arrivi e partenze, ov-viamente con due spiriti molto differen-ti: all’arrivo si respirava l’atmosfera di

gioia e felicità per l’evento che andava a cominciare. Al banco degli accrediti si sono viste solo facce allegre, pronte a vi-vere un’esperienza unica. Alla partenza gli stati d’animo erano altri: tutti tristi per dover terminare un’avventura entusia-smante e coinvolgente.

Il ritmo delle giornate è stato scan-dito dal ritmo delle gare. Dopo la cola-zione le squadre lasciavano gli alberghi dislocati in varie zone per raggiungere i campi. Si ritrovavano a pranzo, spesso velocemente per via dei tempi ristretti, e poi nuovamente a cena dopo le gare pomeridiane. In tutti questi momenti ho visto che le parole che Madre Yvonne ha rivolto come augurio ai partecipanti sono state recepite in profondità: ho vi-sto don Bosco parlare ai giovani, a giova-ni che erano contenti di trovarsi e sfidar-si in campo nel rispetto reciproco, senza dimenticare i più deboli.

Da parte mia ho svolto l’incarico di responsabile dei volontari, sapendo che questa sarebbe stata una sfida impegna-tiva, ma difficoltà si possono superare

PUÒ ESSERE BELLO LAVORARE DIETRO LE QUINTE

TORINO quando si lascia parlare don Bosco al nostro cuore ed è quello che è acca-duto. I volontari, circa centocinquanta persone, hanno curato gli spostamenti logistici, a disposizione per qualunque necessità o imprevisto. Si sono fatte guide per la visita alla Sindone, ai luoghi salesiani da Valdocco al Colle don Bosco, ma anche camerieri per gestire i pasti.

Una sfida vinta. Alla cerimonia fina-le eravamo stanchi, felici di aver vissuto giornate piene di spiritualità salesiana con migliaia di giovani che cantano, ballano, fanno festa insieme, come se la gara che li contrapponeva poco prima non ci fosse mai stata. Il messaggio più importante è passato: nessuno si è ac-contentato di “pareggiare” questa espe-rienza, ma ha voluto vincere soprattutto fuori dal campo. ■

Olimpia Pelizza, Torino([email protected])

CATANIA

volgo lo sguardo indietro, non senza nostalgia, ai Gio-chi internazionali PGS di Torino, che dire se non che

ancora una volta – e in modo più intenso quest’anno perché ci siano immersi nel-le feste per il bicentenario della nascita di don Bosco – come atleti, allenatori e dirigenti abbiamo avuto l’opportunità di vivere, facendo sport, un momento forte di fraternità e di crescita umana e cristiana. Ancor prima dell’avvio delle gare, infatti, tutto si è animato con inten-sa e crescente amicizia.

Cinque giorni per vivere l’esperien-za unica e indimenticabile di uno sport” giovane” e “salesiano”.

Cinque giorni dedicati intensamen-

ATTRATTI DAL COSTRUIREUN NUOVO MONDO

te allo sport, uno “sport con l’anima” che unisce e crea amicizia in ambiente sano e genuino.

Cinque giorni di autentico clima di “famiglia”, in un reciproco scambio alla pari.

Cinque giorni per fare nostri i “valo-ri educativi dello sport” che crea coesio-ne e cementa lo spirito di squadra.

Cinque giorni per condividere i va-lori essenziali di una sana competizio-ne, senza arrivismi, avvantaggiati da un agonismo fatto di “lealtà” e “voglia di stare insieme”.

Cinque giorni di preghiera che ci ha aiutato a metterci in “gioco” senza “pau-ra”, con coraggio ed entusiasmo.

Cinque giorni dove gli ideali nasco-

sti nel profondo sono venuti alla luce per irradiare la realtà di ogni giorno.

Giorni in cui, in fondo, ci siamo con-vinti che proprio noi possiamo essere protagonisti di una società nuova per-ché abbiamo toccato con mano la gioia di donare il meglio di noi stessi a chi at-tende amicizia e accoglienza, una stretta di mano e un sorriso. ■

Mario Condorelli, ASD PGS Sales, Catania ([email protected])

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28 juvenilia – settembre-novembre 2015

mondo

asa Don Bosco” è l’unico padiglione di EXPO de-dicato a una persona. Una scelta coraggiosa del mon-

do salesiano per offrire il suo mes-saggio educativo e sociale. Con la sua sobrietà Casa don Bosco ha rappre-sentato un luogo leggero, tutt’altro che superficiale, di incontro e condivisio-ne, che ha anche ospitato una kermes-se di cinque eventi organizzati dalle PGS sotto ll titolo Nutriamo lo sport.

Un ambiente bello e intimo ha raccolto le testimonianze di numero-si ospiti accomunati dalla stessa pas-sione. Dalle esperienze della nazio-nale partecipante agli ultimi World Master Games Volley agli insegna-

menti del CT della nazionale di volley, Mauro Berruto. Pre-ziosi insegnamenti su come lo sport co-stituisca una chiave importante per una vita sana e sull’im-portanza di essere

squadra, dentro e fuori dal campo. Il 20 giugno si è parlato dell’im-

portanza sociale dello sport. Uno sport che forma e unisce tutti i gior-ni, dai quartieri più poveri di Buenos Aires, dove Boca Social, fondazione che fa capo allo storico club Boca Juniors, è impegnata a colmare le la-cune delle istituzioni nell’educazione

A EXPO PER NUTRIRELO SPORT

MILANO

dei bambini, È stata anche raccontata la missione di Inter Campus, fonda-zione presente in ventinove Paesi con più di 10.000 bambini e bambine in orfanotrofi, favelas, campi profughi, a cui viene data una speranza e restitu-ito il diritto al gioco.

Di sport al femminile hanno parla-to il 23 luglio due ex atlete oggi suore e due attuali allenatrici, tutte sporti-ve PGS. Donne controcorrente forma-

te grazie allo sport. Storie di fatica e di fiducia nel proprio lavoro, nono-stante un fisico fuori dai “canoni che impone la televisione” o un allenato-re che, dopo il primo allenamento, ti bolla come “brutto anatroccolo” per vederti pochi anni dopo in nazionale. Una nota d’orgoglio per le PGS, l’uni-ca associazione sportiva in Italia con la maggior parte dei tesserati donne.

Domenica 30 agosto si è tenuto un incontro sulla SLA, con ospite Mauro Castel-lani, autore del libro Sla, il male oscuro del pal-lone. A seguire è stata presentata

l’edizione 2016 dei Giochi in-ternazionali della gioventù sa-lesiana, che si terranno a Vien-na e Bratislava. Un’iniziativa, nata dall’idea di promuovere l’integrazione tra i cittadini europei, di fronte all’attuale

divisione del continente più che mai significativa. ■

Giulio Monga([email protected])

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settembre-novembre 2015 – juvenilia 29

DAL TERRITORIO

Quando il giococonducealla tecnica

GROSSETO

Si è svolto a Nomadelfia il “cal-cio vacanze” delle PGS organizzato dall’ASD Giovani Calciatori di Gros-seto e da Nomadelfia. Trentacinque bambini e ragazzi hanno vissuto momenti indimenticabili con un entusiasmo crescente durante tutte le attività: calcio, pugilato, flag fo-otball, golf, baseball, pallavolo.

Gli allenatori grossetani hanno incontrato i ragazzi suscitando inte-resse e curiosità. A loro volta, gli in-segnanti intervenuti hanno trasmes-so il significato del gioco di squadra e la funzione del giocatore nel con-testo del gruppo.

Da parte sua, Maurizio Seno, componente con Amedeo Gab-brielli della Commissione nazio-nale del calcio giovanile PGS, ha spiegato agli allenatori il suo mo-dello di allenamento, in cui il gio-co conduce alla tecnica specifica e non viceversa. Ed è sulla partita, in tutte le sue forme e tematiche, che ruota l’organizzazione e la stesura di un allenamento. La partita, oltre a caratteristiche di imprevedibilità e situazionalità, ha infatti prerogati-ve inevitabili, come la presenza continua dell’avversario e del pallone. Ne consegue che il gio-catore va sollecitato con creativi-tà, e in anticipo, a muoversi du-rante la partita e gli allenamenti con la costante presenza della palla e dei compagni, sempre at-tento all’avversario. ■

Amedeo Gabbrielli

Festa del giocoe dello sport

NOMADELFIA

Martedì 2 giugno a Nomadel-fia si è svolta la terza edizione della “Giornata dello sport e del gioco tra-dizionale” organizzata dal Comitato Provinciale di Grosseto in collabo-razione con i giovani di Nomadelfia. La giornata era aperta a bambini e ragazzi. Il gioco non può mancare nell’esperienza dell’infanzia: come il lavoro è parte dell’adulto e caratte-ristico del suo agire, così il gioco ha una finalità interna in se stesso, per-ché è il modo di vivere più autentico e spontaneo.

Sono state svolte undici discipline sportive e ludiche che hanno visto la partecipazione di una settantina di ragazzi. La novità è stato il torneo di pallavolo, oltre che la proposta di giochi tradizionali “nuovi”, con l’idea di far conoscere ai ragazzi giochi di cui si sta perdendo memoria ma han-no un valore formativo grandissimo.

I giochi tradizionali, infatti, favo-riscono l’aggregazione e il dialogo, mentre riescono ad attenuare e, for-

se, annullare la conflittualità nel gruppo.

Con la sua carica di allegria e spensieratezza, il gioco è una della attività più importanti nella crescita. Nella nostra società, che sempre più organizza la giornata e sacrifica ogni cosa nella com-petizione, occorre rivalorizzare il gioco. ■

Amedeo Gabbrielli

Un’estatedi grandepartecipazione

CALABRIA

Esplosiva si è rivelata la primave-ra-estate PGS Calabria. A partire dal-le “Pigiessiadi 2015”, dal 30 maggio al 2 giugno nel “Minerva Resort” di Marina di Sibari. Una manifestazione ormai ricordata come “l’evento degli eventi”, con 81 squadre, quasi 1000 presenze tra atleti e dirigenti.

Quattro giorni di finali regionali e interregionali per fanciulli, ragazzi, giovani e meno giovani, dalla catego-ria Mini alla categoria Libera di cal-cio a 5, pallavolo e basket.

Ma soprattutto quattro giorni di confronto e divertimento per atle-ti, genitori, alleducatori e dirigenti coinvolti in varie iniziative e momen-ti: dalle partite ai giochi, dalla cele-brazione eucaristica alle serate di festa, dai momenti di formazione alle premiazioni finali.

Un mix di attività – arricchito da altre discipline come danza, beach e sand volley – che ha ottenuto il pa-trocinio della Regione, del Comune di Sibari, del CONI Calabria, nonché l’incoraggiamento di Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale It aliana.

E dopo le Pigiessiadi è stato ri-proposto per il terzo anno, il “Campo scuola per alleducatori” di calcio a cinque e pallavolo. Location, dal 24 al 30 agosto, l’Hotel “Virginia” di Caso-le Bruzio.

Un’occasione per formare gli al-leducatori del presente e del futuro che sappiano guardare allo sport come mezzo per l’educazione delle nuove generazioni calabresi. ■

Sergio Notaro, ([email protected])

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DAL TERRITORIO

Una festa inserita nel gioco della vita

Luglio 2015. L’istituto Madonna degli Angeli di Alassio è in festa. Una festa speciale per il bi-centenario della nascita di don Bosco. Mai come o ggi il torneo Volley&Mare, giunto alla 14° edizione, è stato così ricco di signi-ficati. L’impegno di Paolo Neri, supportato dal Comi-tato provinciale di Savona, dalla Segreteria nazionale e dal Comitato nazionale, da Eugenio e Giorgio cui si è aggiunto Piero Bonello ha portato a organizzare per la prima volta, oltre al tor-neo categoria Libera quello Under 16.

Accanto a squadre stori-che – come ASD Parona Pa-via, Amiche del volley di To-rino, Mappano Volley Torino e TNT Pratocentenaro Milano – da Reggio Emilia è arriva-ta Primavera Life, mentre a sorpresa è stata presentata la squadra EXPO che ha riunito le ragazze di Andora, Brescia e Cassano Magnago: in un’inedita formazione multi regionale ha rap-presentato al meglio lo spirito voluto da don Gino, fondatore della PGS, a cui il torneo è dedicato.

Tre giorni di gare e di mare, dove le avversarie si trasformano in com-pagne di giochi, il pallone da volley diventa quello da beach, la rete la si immagina sospesa tra le onde e gli arbitri cedono il fischietto ai bagnini per tuffarsi anche loro nel gioco.

Le gare hanno visto il successo nella categoria Libera di Amiche

del volley, seguite da Primavera Life e da ASD Parona Pavia. Premi a Pa-trizia Salerno (difensore), Daniela Biaggi (alzatrice) e Giulia Martinelli (schiacciatrice), mentre la miglior giocatrice è stata Silvia Grecchi di Pavia. A Pavia il riconoscimento, caro a don Gino, a Elisabetta Larioli qua-le “alleducatrice” che da anni guida

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Don Bosco fece molti sogni, rivela-zioni di eventi nascosti nella profondità del futuro. Secondo noi fece anche… il sogno che ci ha visto protagonisti in questi trenta giorni della don Bosco cup con la celebrazione del bicentenario della sua nascita, proprio ad Alassio, la prima casa salesiana fuori dal Piemonte.

E così anche quest’anno siamo ad Alassio. Arrivano le squadre per il Trofeo Propaganda e le atlete, da subito, espri-mono condivisione e amicizia. Le gare vedono un clima sereno, “con” e non “contro” gli avversari, mantenendo le “promesse” fatte nella serata di esordio.

Il tempo di riordinare ed ecco le at-lete Under 16 seguite, a distanza di una settimana, da quelle Under 14. Si intrav-vede sempre di più il lavoro che alledu-catori e dirigenti hanno svolto. Le gare sono combattute in un clima di corret-tezza. La sera si gioca, si canta e si balla. Ultimo week-end con le atlete Under 18 e Under 20. Ci chiediamo come po-tranno reagire al copione di proposte semplici, ma la “caccia fotografica” per immortalare con un selfie i luoghi indi-cati in vari punti della città le coinvol-ge attivamente. Seguendo le istruzioni, le squadre hanno portato un imponente numero di CD inutilizzati e, per ogni cate-goria, le ragazze hanno fissato i dischi su una rete di cinque metri, costruendo una grande cornice per un’immagine di don Bosco di metri 2,60, formata da un puzzle di cento pezzi. Ogni rete, con oltre 1000 CD, creava un grande sfavillio di luci. Si è così formato il manifesto celebrativo del Bicentenario, dove campeggia l’immagi-ne di don Bosco, la scritta “200” disegnata sulle gradinate e sotto i partecipanti con le mani alzate a cantare l’inno. ■

Cinzia Molle, presidente provinciale PGS ciale PGS

la sua squadra con il sorriso e la simpatia.

L’Under 16 ha visto prevalere la squadra EXPO che ha dimostra-to come lo sport, interpretato con gioia, possa unire persone diverse e trasformarsi in un mezzo per co-noscere e scoprire persone e storie diverse, davanti al Mappano Volley e TNT. La miglior schiacciatrice è stata Francesca Manfredi, mentre la migliore alzatrice è stata Giorgia Braga e la miglior giocatrice Erica Steccanella.

Tre giorni di gioco, sorrisi, incon-tri. La nostra è una festa, un gioco inserito nel grande gioco della vita, dove la PGS per qualcuno è stata ed è ancora parte fondamentale. ■

Cristina Bollini ([email protected])

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Coniugaregesto tecnicoe motivazione

VICENZA

Tiepida giornata di primavera all’Hotel Viest di Vicenza per una giornata di formazione. Ottima l’affluenza, con una cinquantina di allenatori e dirigenti. Saluti del presidente del Comitato di Vicen-za, Marco Faccin, e lettura delle parole di suor Maria Lucia sul ruolo del-le nostre società. Iniziano i lavori.

Roberta Povoleri, formatrice dei campiscuola, ha utilizzato un approccio pedagogico per leggere i bisogni dei ragazzi e gli stili di apprendimento. È stato utile rinfrescare l’idea che l’atleta apprende il gesto tecnico anche grazie alla modulazione e al corretto utilizzo delle varianti esecutive degli schemi motori e delle capacità motorie. L’alle-natore deve farsi carico di alternare i principi didattici della ripetizione, della variazione e della gradualità per mante-nere alto il livello di motivazione.

Nella seconda parte della mattinata, la platea ha potuto sperimentarsi in un workshop: il gioco sportivo all’interno dell’allenamento. È stato possibile vive-re in prima persona alcuni giochi mo-tori: i partecipanti hanno corso, saltato, driblato, anticipato, inventato. Alla fine, attraverso un gioco a punti, le squadre hanno indovinato gli intenti e le finalità dei giochi. Nel feedback gli allenatori hanno riconosciuto la centralità del ruo-lo educativo nella scelta di fare sport.

Il pomeriggio è stato animato da Michele Vi-sentin, consulente for-mativo del Comitato re-gionale. Con lo slogan “Sport chiama casa”, sono state approfondi-te delle indicazioni per gestire i colloqui con le famiglie. Quando un allenatore incontra un genitore, si incrociano stili di pensiero, co-strutti e priorità diver-se. Egli riconosce che

il genitore è un adulto che vive con di-verse sfumature i valori, partecipa con frequenza e intensità diversa. È neces-sario concordare gli obiettivi, condivi-dere i processi di crescita dei ragazzi. L’allenatore deve dare un ritmo, una tradizione al genitore, con pochi ap-puntamenti ma carichi di dialogo.

Nel cercare di capire il disagio del figlio, il genitore a volte si scaglia con-tro l’allenatore. Senza sentirsi in dove-re di dare risposte o a difendere il suo operato, egli ascolta, osserva, riflette e butta indietro come la persona si sente. Anche in questi casi la mediazione con domande aperte alimenta una relazione empatica. La chiave per una buona re-lazione sembra essere il consegnarsi le reciproche sensazioni, elogiare i buoni comportamenti, sorridersi per acco-gliersi, marcare il contesto riducendo il campo in cui i comportamenti spiacevo-li possono accadere, dare il giusto senso alle cose. Quel che conta approssimarsi maggiormente dell’atleta. ■

Roberta Povoleri([email protected])

Lo stare insiemeaiuta tutti a crescere meglio

MODICA

Trecento atleti, appartenenti al Comitato provinciale di Ragusa-Si-racusa, dai 5 ai 17 anni si sono ritro-vati a Modica, presso l’oratorio “San Domenico Savio” per l’inaugurazione dell’anno sportivo con la “Pgsfest”.

Alle 9,30, dopo un momento di animazione e il saluto di don Giu-seppe Favaccio che ha sottolineato che la festa è gioia è la gioia è piena se stiamo bene “con noi” e “con gli altri”. Palla avvelenata, tiro alla fune, bandierina, “gonfiabili” sono stati i giochi della mattinata che ha trasfor-mato via Don Bosco, chiusa al traffico veicolare, in “serpente umano”, dove bambini e non si sono divertiti con semplicità e spensieratezza nell’alle-gria dello stile salesiano.

Il pomeriggio è stato dedicato alle gare di calcio e pallavolo dove le so-cietà presenti – Orsa Modica, Orsa Ra-gusa, Circolo Don Bosco (Parrocchia S. Anna – Quartiere Dente), Alba Poz-zallo, Happy Panda (Modica Sorda) – si sono incontrate dando vita a uno spet-tacolo di agonismo e fair play.

Alla fine della kermesse non è stata stilata nessuna classifica finale, ma è stato espresso un “grazie co-rale” per la giornata vissuta insieme all’insegna della gioia perché lo sta-re insieme aiuta a crescere meglio: bisogna guardarsi, ascoltarsi, non solo attraverso gli SMS, whatsapp ma in “carne e ossa”. Non serve pronun-ziare molte parole, servono invece “veri testimoni viventi. ■

Roberto Chiaramonte([email protected])

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NEWS

MATTARELLA: PIÙ SPORT, PIÙ LEGALITÀInaugurando l’anno scolastico 2015-2016 presso la scuola “Sannino-Pe-triccione” nel quartiere Ponticelli a Napoli, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dopo aver ribadi-to che “l’istruzione è la chiave della coscienza civile di un Paese”, ha an-che sottolineato il ruolo dello sport nella formazione dei giovani: “Lo

mondo migliore”, l’esortazione del presidente Mattarella agli studenti.

sport può aiutare molto la scuola, (...) dove c’è maggiore impegno sporti-vo, vi è maggiore legalità”.Nel corso della manifestazione sono state presentate diverse iniziative re-alizzate dalle scuole su immigrazione, integrazione, legalità, impegno so-ciale, musica e sport. “Impegnatevi a coltivare la speranza di costruire un

www.2024roma.org: il sito uffi cia-le della candidatura di Roma per ospi-tare le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2024 è online, in italiano e in inglese.È il Colosseo, simbolo di Roma, a dare il via al video di presentazione: un viaggio tra sogno e speranza a bordo

dei petali di un soffi one, che sulle note di Vivaldi sorvolano gli angoli più belli della città, svelandone monumenti, impianti sportivi, spazi verdi.Protagonisti della clip sono i bambini, i futuri atleti delle Olimpiadi del 2024: sono loro che rincorrono il sogno e che al termine del fi lmato, come i petali del soffi one, si ricompongono in un abbraccio collettivo.Il sito offre anche i primi elementi del-la “vision” di Roma 2024: il desiderio

di presentare al mondo un’Olimpia-de che rilanci i valori dell’amicizia tra i popoli, abbatta vecchi e nuovi muri e confi ni, getti un ponte per la pace. Ma anche il sogno di regalare ai bam-bini di oggi una grande festa in casa propria; di offrire ai Giochi il palco-scenico ineguagliabile delle bellezze e dell’arte di Roma; e di forgiare infi ne, come successo nelle Olimpiadi del 60’, nuovi campioni e atleti che sap-piano rimanere nella storia dei Giochi.

ROMA 2024,IL SITO DELLA CANDIDATURA OLIMPICA

DELLA BUONA SCUOLAÈ PARTE ANCHE LO SPORT“Continuo a credere che sia fonda-mentale creare una nuova cultura del-lo sport e per farlo bisogna partire dalla base, dai banchi della primaria, anche andando oltre la mission statutaria”. È la convinzione del presidente del CONI, Giovanni Malagò, circa la cen-tralità del rapporto tra sport e scuola, espressa nell’incontro “Educazione motoria nella scuola primaria e riforma de ‘La Buona Scuola’”, svolto il 15 ot-tobre.“Non ci dobbiamo solo occupare e preoccupare di vincere medaglie – ha osservato Malagò – ma di consolida-re un percorso che possa implemen-tare questa start-up, con il supporto del Governo che su questa partita ha messo la faccia. Non sempre c’è col-legamento tra impegno e innovazione nei rapporti scuola-sport e risultati. (...)

educazione fi sica rappresenti un prologo della ricreazione. Vogliamo creare condizioni diverse. Nella legge 107 c’è un collegamento tra scuo-la e società: prima il mondo

dell’istruzione era distinto e di-stante, separato da tutto; ora abbiamo costruito un rapporto con lo sport per-ché riteniamo sia un arricchimento per la collettività”. Infi ne il presidente del Comitato italia-no paralimpico, Luca Pancalli, ha ricor-dato che “oggi la scuola è la seconda agenzia educativa dopo la famiglia: l’ora di educazione motoria per i bam-bini diversamente abili deve diventare non un momento di discriminazione, ma parametro di civiltà del Paese”.

Luca Caruso ([email protected])

Ci sono anche criticità, è indubbio, ma sono sicuro che si potrà ragionare tra l’altro sull’opportunità, sotto il profi lo dell’impiantistica, di creare sinergie tra il mondo scolastico e l’associazionismo sportivo per imprimere una svolta fon-damentale” ha affermato il presidente del CONI.Il sottosegretario Davide Faraone ha sottolineato l’importanza dell’incon-tro tra i due mondi a livello sociale: “Stiamo investendo molto nello sport, perché vogliamo modifi care il con-vincimento in base al quale l’ora di

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