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Letteratura Origini Web

Date post: 16-Feb-2015
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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI
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Page 1: Letteratura Origini Web

LETTERATURAITALIANA DELLE ORIGINI

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Unità 2La prosa

Unità 1La poesia

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Competenze Saper delineare lo sviluppo della lingua italiana dal latinosino all’affermazione dei volgari

Saper delineare lo sviluppo della letteraturain lingua volgare nei primi due secoli dopo il Mille

Saper comprendere con l’aiuto delle noteil significato letterale di un testo letterario in lingua volgare

Saper individuare il tema e i significati di un testo letterario attraverso l’analisi guidata del testo

Saper analizzare, anche in forma guidata, un testo narrativo letterario utilizzando gli strumenti narratologici

Saper fare l’analisi guidata di un testo poetico del Duecento

Saper cogliere in un testo della letteratura duecentesca i riferimenti al contesto storico-culturale in cui è stato scritto

Saper individuare le relazioni di somiglianza e differenzatra testi di autori diversi, appartenenti al contesto storico-letterario del Duecento

Saper esporre l’analisi di un testo poetico o narrativo letterario

LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

PARTE 3

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Scena di scuola, rilievo funerario proveniente da Treviri, particolare, III sec. d.C.

LINGUE E LETTERATURE: LE ORIGINIUn primo e fondamentale elemento che identifica una letteratura è la lingua in cui è scritta;

infatti si parla di letteratura italiana, inglese, francese, tedesca, russa e così via, per ciascuna delle diverse lingue del pianeta.La nascita di una letteratura è quindi indissolubilmente collegata alla nascita della lingua in cui si esprime: per ricostruire le origini della letteratura italiana, come per qualsiasi altra, si dovrà allora come primo passo individuare le circostanze in cui la lingua italiana è nata e si è sviluppata.La formazione della lingua italiana e delle altre lingue europee moderne è un processo pluriseco-lare, che inizia già nel tardo Impero romano (III secolo d.C.) e si accelera in seguito alla crisi e al crollo del V secolo, durante tutto l’Alto Medioevo.

LA SITUAZIONE LINGUISTICA DELL’EUROPA ROMANA

L’espansione territoriale di Roma e l’unificazione politica di gran parte dell’Europa sotto la sua dominazione avevano determinato la progressiva diffusione del latino. Il latino era la lingua

ufficiale dello Stato, ma anche la lingua adottata – per prestigio e convenienza – da quasi tutte le genti del vasto Impero. Quindi all’universalismo politico corrispondeva l’universalismo linguisti-co: tanti diversi popoli sottoposti a un unico potere politico, l’Impero romano, e aggregati dall’uso della medesima lingua, il latino.Non si trattava però di una lingua omogenea e uniforme. C’era il latino classico, chiamato così perché era quello usato dagli appartenenti alla prima delle cinque classi in cui erano suddivisi i cittadini romani, cioè le persone socialmente più elevate e più colte. Questa era la lingua della cultura, elegante e raffinata, che, grazie al prevalente uso scritto e letterario, conserva-va inalterate le proprie caratteristiche. Il latino comunemente parlato era invece soggetto a una continua trasformazione determinata dalle aree geografiche, dai ceti sociali, dalle situa-zioni comunicative in cui veniva utilizzato. Le variazioni regionali e sociali erano tanto più marcate quanto meno radicato era il processo di romanizzazione.Il latino parlato era detto sermo vulgaris, cioè lingua volgare o popolare, da vulgus che signi-fica «popolo». Il termine non deve far pensare a una lingua utilizzata soltanto dai ceti popola-ri, ma indica piuttosto che – indipendentemen-te dall’appartenenza sociale di chi la usava – per un lungo periodo fu una lingua adottata solamente per la comunicazione orale e quoti-diana, e dunque diversa dal latino colto, adot-tato solo per i testi scritti.

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Dal latino al volgareNel V secolo, con la caduta dell’Impero romano, l’unità politica dell’Europa occidentale si sfaldò lasciando il posto alle numerose entità statali nuove, sorte con le invasioni barbariche. Con la fran-tumazione politica venne a mancare il fattore unificante anche sul piano linguistico. Il latino classico come lingua ufficiale decadde e l’uso della lingua scritta si ridusse progressivamente, mentre si af-fermavano il latino parlato e la pluralità di lingue dei nuovi popoli stanziati nei territori dell’Impero.

Il latino parlato o volgare è proprio il nucleo da cui, attraverso un lungo processo evolutivo e con i contributi determinanti delle lingue bar-bariche, si vennero formando molte delle lingue europee moderne, che sono pertanto chiamate lingue volgari.Sono dette anche lingue romanze o neolatine perché in esse, nonostante la presenza di influssi di altre lingue, la matrice latina è dominante. A queste lingue appartiene anche l’italiano.Nelle regioni dell’Europa centro-settentrionale, meno soggette all’influenza del latino come lin-gua d’uso comune, si consolidarono i ceppi lin-guistici originari con la formazione delle lingue germaniche. Nell’Europa orientale, fuori dall’or-bita della dominazione romana, si svilupparono le lingue slave.

PAROLE DA CONOSCERE Si definiscono romanze le lingue volgari che, pur aven-do avuto numerosi e diversi apporti linguistici, derivano direttamente e prevalentemente dal latino.

L’etimologia risale all’aggettivo romanus, che, dopo la caduta dell’Impero, designava una popolazione che par-lava il latino. Da romanus deriva l’avverbio romanice, che nell’espressione romanice loqui significava «parlare secondo la maniera dei romani», quando il latino non era più la lingua prevalente. Di qui viene il termine ro-manz, che in antico francese distingueva la lingua deri-vata dal latino rispetto alle lingue di origine barbarica, e infine, con lo stesso significato, l’aggettivo italiano romanzo.

Sinonimo di romanzo è neolatino: entrambi gli agget-tivi designano lingue che sono il risultato della trasfor-mazione del latino.

IL QUADRO DELLE LINGUE ROMANZEL’area linguistica caratterizzata dalle lingue romanze o neolatine comprende gran parte dell’Eu-ropa occidentale – Francia, Penisola iberica, Italia – e una regione dell’Europa orientale, l’attuale Romania.

Nella penisola italiana, l’estremo frazionamento politico successivo alla fine dell’Impero romano comportava anche una marcata differenziazione delle lingue usate. In Italia non si formò un’uni-ca lingua parlata, ma molte varianti regionali di una base linguistica comune, che Dante chiamò lingua italica o, per analogia con le lingue di area francese, lingua del sì. In Italia si parla quindi di volgare umbro, volgare toscano, ecc.

Le principali lingue che si sono sviluppate in quest’area sono le seguenti:

francese provenzale catalano spagnolo (castigliano) portoghese italiano rumeno

Nel Medioevo in Francia erano usate due lingue, denominate in base ai due diversi modi di dire sì:

lingua d’oïl al Centro-Nord lingua d’oc al Sud

Dalla lingua d’oïl è derivato il fran-cese moderno.

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L’AFFERMAZIONE DELLE LINGUE VOLGARILe prime testimonianze scritteCome si è visto, dal V al IX secolo nell’Europa occidentale l’unità linguistica si dissolse, da un lato in seguito alla frantumazione politica dell’Impero provocata dalle invasioni e dai nuovi regni bar-barici, dall’altro a causa dell’esistenza di fatto di due lingue, anche in un medesimo territorio.Il volgare era usato nella comunicazione orale, mentre il latino continuava a essere la lingua scritta e colta, conosciuta e usata da un numero sempre più ristretto di persone. La civiltà altomedievale era dominata da una cultura orale; l’uso della lingua scritta così come lo studio erano prerogative esclusivamente degli ecclesiastici, tanto che chierico – altro termine per indicare un ecclesiastico – era sinonimo di «intellettuale». Il latino era infatti la lingua ufficiale della Chiesa, che in questo periodo rimase l’unica istituzione – insieme ai grandi poteri politici come imperatori e re – a con-servare la conoscenza dell’antica lingua romana e a perpetuarne l’uso scritto.

Latino e volgari erano quindi lingue sempre più nettamente distinte e separate negli usi. Si può dire che i volgari si siano affermati come lingue autonome quando il loro uso si impose anche nella comunicazione scritta, sottraendo progressivamente spazio all’impiego del latino.

Il IX secolo rappresentò una svolta cruciale in questo processo, perché per la prima volta all’interno di testi redatti in latino si fece ricor-so all’uso scritto del volgare.La svolta fu cruciale in più sensi, in quanto significava che:

• il volgare era ormai una lingua radical-mente diversa dal latino;

• l’uso del volgare era divenuto essenziale per assicurare la comunicazione;

• il volgare poteva essere adottato anche in circostanze solenni.

Non a caso questo passaggio fondamentale avvenne in documenti di natura politica e giu-ridica, che richiedevano una comprensione corretta e univoca da parte dei destinatari.

Pro Deo amur et christian poblo et nostro commun salvament (francese)

In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi(tedesco)

A livello europeo, la prima testimonianza di un uso ufficiale del volgare è costituita dai Giuramenti di Strasburgo dell’842: i successori di Carlo Magno – Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico – espressero la formula del giuramento prestato davanti ai loro eserciti rispettivamente in volgare francese e in tedesco, cioè nelle lingue conosciute dai loro popoli, e in queste lingue la formula venne trascritta nella cronaca del tempo.L’invocazione a Dio con cui si apriva la formula del giuramento – Per amore di Dio e per la salute del popolo cristiano e nostra comune – manifesta con chiarezza le particolarità delle due lingue:

Pier Paolo delle Masegne e Jacobello da Bologna, Studenti universitari, frammenti dell’arca di Giovanni da Legnano,

particolare, XIV sec.

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Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti BenedictiSo che quelle terre, entro quei confini che qui si descrivono, trent’anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di san Benedetto

Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette

Placito di Sessa Aurunca, 963

So che quelle terre, entro quei confini che ti mostrai e che qui sono descritti, fu-rono di Pergoaldo e le ha tenute in possesso per trent’anni

Kella terra, per kelle fini che bobe mostrai, sancte Marie è, et trenta anni le posset parte sancte Marie

Placito di Teano, 963

Quella terra, entro quei confini che vi mostrai, è del monastero di santa Maria, e trenta anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di santa Maria

Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie

Placito di Teano, 963

So che quelle terre, entro quei confini che ti mostrai, trenta anni le ha tenute in possesso l’amministrazione patrimoniale di santa Maria

I primi documenti ufficiali in un volgare italianoIn Italia, il passaggio al volgare scritto si verificò oltre un secolo più tardi; infatti il primo testo che documenta l’uso scritto del volgare nella penisola è il Placito di Capua del 960, un documento notarile, per la precisione una sentenza emessa da un giudice a proposito delle proprietà terriere dell’abbazia di Montecassino.La dichiarazione a favore dell’abbazia, resa in volgare dai testimoni, viene così riprodotta fedelmente:

Negli anni immediatamente successivi questa formula, con minime varianti, si ripete in analoghi giuramenti, sempre dell’area centro-meridionale, a proposito di contestazioni relative a proprietà terriere di monasteri e di privati.

L’incoronazione di re Giacomo I d’Aragona,

miniatura, particolare (un monaco amanuense

redige la cronaca dell’evento), XIII sec.

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I placiti mostrano le oscillazioni tra latino e volgare, ancora molto evidenti per quanto riguarda sia il lessico, ad esempio tebe, in latino tibi, per «a te», sia la sintassi: Sancte Marie richiama il genitivo Sanctae Mariae, forma latina corrispondente al complemento di specificazione «di Santa Maria».Per i due secoli successivi, testimonianze dell’adozione di un volgare italiano come lingua scritta compaiono, oltre che in alcuni altri documenti di natura giuridica, in testi di carattere religioso come formule di confessione e sermoni.

Ad esempio, così è scritto in una formula di confessio-ne di origine umbra risalente alla seconda metà dell’XI secolo:

Me accuso de lu corpus Domini, k’io indi-gnamente lu accepi. Me accuso de li miei adpatrini et de quelle penitentie k’illi me puseru e nno ll’observai. Me accuso de lu genitore meu et de la genitrice mia et de li proximi mei, ke ce non abbi quella dilec-tione ke mesenior Dominedeu commando. […] Et pregonde te, sacerdote, ke nd’ore pro me, miseru peccatore, ad dominum nostrum Iesum Chtistum, et diemende pe-nitentia, ke lu diabolu non me nde poza adcusare, k’io iudecatu nde non sia de tut-te le peccata mie.Mi accuso a proposito del corpo di Cristo, che io ricevetti indegnamente. Mi accuso a propo-sito dei miei confessori e delle penitenze che essi mi imposero e che io non osservai. Mi ac-cuso a proposito di mio padre e di mia madre e del mio prossimo, che non ebbi verso di loro quell’amore che messer Domineddio coman-dò. […] E chiedo a te, sacerdote, che preghi per me, misero peccatore, nostro Signore Gesù Cristo, e domando di fare penitenza, in modo che il diavolo non mi possa accusare, che io non sia giudicato per tutti i miei peccati.

Quello che si affermò per primo nello scritto è quindi un uso pratico del volgare, dettato dalla necessità di comunicare con destinatari non colti, che non erano più in grado di capire il latino e rappresentavano ormai la maggioranza della popolazione.

LE TAPPE DELL’AFFERMAZIONE DEL VOLGARE SCRITTO

data documento area

842 Giuramenti di Strasburgo Europa

IX sec. Indovinello veronese Italia

960-963 Placito di Capua e altri placiti Cassinesi Italia

XI sec. Formula di confessione umbra Italia

XI-XII sec. Iscrizione di San Clemente Italia

XII sec. Sermoni subalpini Italia

Il Placito di Capua, 960.

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Le lingue volgari: l’uso letterarioPer l’uso letterario del volgare era necessario che maturassero altre e più complesse condizioni. Innanzi tutto la lingua volgare doveva essere ab-bastanza evoluta e ricca da poter esprimere con-tenuti complessi e articolati secondo le norme della codificazione letteraria. Inoltre si dovevano formare i due essenziali protagonisti della comuni-cazione letteraria: autori e pubblico. L’esistenza di un pubblico colto, interessato a un intrattenimento raffinato e prestigioso, e di intellettuali laici, estra-nei all’ambito ecclesiastico, portatori di una cultu-ra con contenuti e finalità profane, ovvero non re-ligiose, era un requisito indispensabile alla nascita della nuova letteratura.Dall’intreccio di queste condizioni nel Basso Me-dioevo, cioè intorno al Mille, nacquero le moderne letterature nazionali. Queste si esprimevano non più in latino – lingua sovranazionale dell’Impero romano prima e della Chiesa poi – ma nelle diverse lingue locali, cioè i vari volgari che ormai si erano affermati nelle diverse realtà sociali e politiche in cui era suddivisa la nuova Europa.Esse vengono definite letterature romanze, in quanto scritte in volgare, ovvero in lingua romanza o neolatina. La più precoce è quella nata in area francese, le cui testimonianze più antiche risalgono alla fine dell’XI secolo. In Italia, invece, l’uso del volgare per comporre testi letterari compare per la prima volta nella prima metà del Duecento.

LETTERATURA ITALIANA IN LINGUA VOLGARELe originiI primi testi letterari scritti in volgare comparvero in Italia quasi contemporaneamente in due regio-ni e in due contesti culturali e sociali assai diversi.In Umbria, tra il 1224 e il 1226, Francesco d’Assisi scrisse il Cantico delle creature, un inno di lode e ringraziamento a Dio creatore, che è il più antico testo letterario non anonimo in un volgare ita-liano, precisamente il volgare umbro. A partire dal 1230 circa alla corte di Federico II, imperatore e re di Sicilia, fiorì la lirica d’amore composta in volgare siciliano.Negli stessi anni, pur se con contenuti e motivazioni differenti, con queste due esperienze poetiche si realizzava anche in Italia il grande salto qualitativo nell’uso del volgare e nasceva la tradizione letteraria nazionale.

USO LETTERARIO DELLE LINGUE ROMANZE: LE ORIGINI

data area genere lingua

XI-XII sec. Francia centro-settentrionale poemi epici lingua d’oïl

XII-XIII sec. Francia centro-settentrionale romanzi cavallereschi lingua d’oïl

XI –XII sec. Francia meridionale lirica cortese lingua d’oc

1224-fine XIII sec. Italia/Umbria poesia religiosa volgare umbro

1230-1260 Italia/Sicilia poesia siciliana volgare siciliano

1260-1280 Italia/Toscana poesia siculo-toscana volgare toscano

Perceval a cavallo, miniatura tratta daPerceval le Gallois di Chrétien de Troyes, XIV sec.

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Page 10: Letteratura Origini Web

Il ritardo italianoIn questo passaggio di fondamentale importanza l’Italia era stata preceduta dalla Francia, dove nel XII e XIII secolo si era già sviluppata una rigogliosa produzione letteraria espressa nelle due lingue romanze di quell’area. Nel Centro-Nord, dove si parlava il francese o lingua d’oïl, nacquero la poesia epica delle chansons de geste («canzoni di gesta») e i romanzi cortesi. Le regioni del Sud furono invece la culla della lirica d’amore scritta in provenzale o lingua d’oc.

In Italia la nascita della letteratura in volgare avvenne dunque con oltre un secolo di ritardo rispetto alla vicina Francia. È uno scarto cronologico consistente, per il quale sono state avanzate molteplici spiegazioni, che possono essere ricondotte a tre ordini di fattori:

1. la presenza più forte e radicata della tradizione latina, che rallentò l’affermazione dei volgari come lingue di cultura;

2. la frantumazione politica e quindi linguistica, che ostacolò l’emergere di un volgare dominante;

3. il minor predominio dell’aristocrazia feudale, che era stata la protagonista del sorgere della letteratura in volgare in Francia.

Un panorama della letteratura italiana nel DuecentoA partire dal 1230 circa la letteratura in volgare italiana si consolidò attraverso tre grandi filoni di poesia, che si svilupparono autonomamente e si differenziavano per i temi trattati, l’area di diffu-sione, il volgare e le scelte formali.

Nell’Italia centrale, e specialmente in Umbria, si affermò, a cominciare dalla straordinaria figura di Francesco d’Assisi, una significativa produzione in versi di argomento religioso, all’interno della quale spicca il genere della lauda, una sorta di preghiera in versi, portato alla più alta espressione poetica alla fine del Duecento da Jacopone da Todi.

La lirica d’arte di argomento amoroso, che, come si è accennato, esordì alla corte di Federico II, dopo la metà del Duecento trovò il suo proseguimento nella poesia «siculo-toscana», chiamata così in quanto ereditò i modelli della poesia siciliana trasferendoli nella lingua e nell’ambiente ur-bano della Toscana.Sul finire del secolo la poesia d’amore ebbe un ulteriore sviluppo con il movimento del Dolce Stil Novo, che si sviluppò a Firenze ed ebbe fra i suoi esponenti Dante Alighieri.

Nell’Italia settentrionale l’uso del volgare letterario fu ulteriormente ritardato dalla diffusione del francese e del provenzale. Ma nella seconda metà del XIII secolo alcuni autori, come Bonvesin de la Riva e Giacomino da Verona, adottarono i volgari padani per comporre poemetti didattico-moraleggianti, brevi poemi finalizzati alla formazione morale dei destinatari e a sfondo prevalen-temente religioso.

La prosa in volgare conobbe uno sviluppo più lento e di minor rilievo artistico rispetto alla poesia, poiché l’egemonia del latino nella prosa era molto radicata. La produzione in prosa si affermò a partire dalla seconda metà del XIII secolo, soprattutto nelle regioni centro-settentrionali, ed è comunque molto rappresentativa delle esigenze culturali della nuova società urbana. Infatti com-prende soprattutto opere a scopo didattico e divulgativo, oppure epistolari e cronache, che testi-moniano il diffuso interesse per la realtà contemporanea.Nell’ambito della prosa vanno ricordate anche due opere assai originali, che rappresentano l’esor-dio della prosa narrativa in Italia. Si tratta del Novellino, una raccolta anonima di cento brevi nar-razioni, la cui composizione risale probabilmente all’ultimo ventennio del Duecento, e del Milione (1298) che, mescolando cronaca e fantasia, narra il viaggio in Oriente del mercante veneziano Marco Polo.

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Il poeta Walter von der Vogelweide

compone una canzone,miniatura tratta dal

Codice Manesse,XIV sec.

In questa unità

Francesco d’Assisi, Cantico di frate soleJacopone da Todi, O iubelo del coreJacopone da Todi, O amore de povertateBernart de Ventadorn, Quando erba nuova e nuova foglia nasceIacopo da Lentini, Io m’aggio posto in core a Dio servireMonte Andrea, Sì come i marinar guida la stellaChiaro Davanzati, La splendïente luce, quando apareCompiuta Donzella, A la stagion che ’l mondo foglia e fioraIacopo da Lentini, Amor è uno desio che ven da core

Tracce

Umberto Saba, A mia moglieGabriele D’Annunzio, La sera fiesolana

Testi ONLINE

Bonagiunta Orbicciani,Tutto lo mondo si mantien per fiore

Guittone d’Arezzo, Tuttor ch’eo dirò «Gioi» gioiva cosa

Guglielmo d’Aquitania, Tutto gioioso

LA POESIAunità 1

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LA POESIA RELIGIOSA

IL CLIMA SPIRITUALE DEL XIII SECOLO E FRANCESCO D’ASSISI

All’inizio del XIII secolo, in Italia, la comunità cristiana era percorsa da profonde esigenze di rinnovamento del sentimento e della pratica religiosi ispirate ai principi evangelici di povertà,

carità, umiltà, fratellanza. L’autentico messaggio del cristianesimo originario veniva contrapposto ai valori della ricchezza e del potere, diventati dominanti sia nelle istituzioni ecclesiastiche sia nell’emergente società mercantile. Un intenso fermento spirituale già dalla fine del secolo pre-cedente aveva dato vita a vari movimenti popolari che condannavano la decadenza morale della Chiesa e ne chiedevano una riforma, fino a sfociare su posizioni ereticali.Questo clima spirituale trovò in Francesco d’Assisi un’espressione di grande forza e capacità di coin-volgimento. Le sue radicali scelte di vita, imperniate sulla povertà e sull’umiltà, l’impegno a fianco degli emarginati, la rigorosa attuazione dei principi dell’amore universale e della pace, incarnavano senza compromessi il messaggio evangelico e davano una risposta concreta alle ansie di rinnova-mento religioso del suo tempo. Il movimento francescano suscitò infatti una straordinaria adesione, diffondendosi in tutti i ceti sociali ed espandendosi rapidamente già durante la vita del santo.

L’ispirazione popolare del cristianesimo di Fran-cesco si rifletteva anche nella novità della sua predicazione, che il santo voleva rivolgere a tutti, senza distinzione di ceto e di cultura. Il suo lin-guaggio era quindi semplice e immediato, acces-sibile anche agli incolti, lontano dalle sottigliezze teologiche medievali ma capace di trasmettere l’entusiasmo e il fervore religioso del «poverello d’Assisi». Questo atteggiamento fu di fondamen-tale importanza non solo sul piano religioso, ma anche su quello culturale. Francesco d’Assisi era colto: conosceva il francese e il latino, che aveva utilizzato per la maggior parte dei suoi testi, ma, volendo diffondere il suo messaggio alla totalità dei devoti, scrisse anche in volgare. Suo è infatti quello che viene considerato il primo testo della letteratura italiana.

Il Cantico di frate soleall’origine della letteratura italianaSecondo un criterio strettamente cronologico, l’inizio della letteratura italiana è rappresentato da una poesia di argomento religioso: il Cantico di frate sole – o Laudes creaturarum – che Francesco d’Assisi, secondo la tradizione, avrebbe composto in gran parte nel 1224 e completato poco prima della sua morte, nel 1226.Con il Cantico l’uso scritto del volgare non è più soltanto occasionale né dettato da pure necessità di comunicazione. Il testo francescano, pur avendo la destinazione pratica di inno da cantare nelle celebrazioni, si colloca decisamente all’interno della comunicazione letteraria per il grado di ela-borazione formale e per la densità di contenuti.

PAROLE DA CONOSCERE La parola eresia viene dal greco hairèsis che signifi-ca «scelta». Nella dottrina cattolica indica l’interpre-tazione di chi, pur continuando a definirsi cristiano, si oppone alle verità e ai dogmi stabiliti dalla Chie-sa. Questi ultimi costituiscono invece l’ortodossia, che – sempre dal greco orthòdoxos, «retta opinio-ne» – indica il pensiero religioso conforme a quello ufficiale.Nel Medioevo, in particolare tra il XII e il XIII se-colo, si svilupparono alcuni importanti movimenti ereticali che, richiamandosi ai principi evangelici della povertà e dell’uguaglianza, esprimevano an-che l’aspirazione degli strati popolari a una mag-giore giustizia ed equità sociale. Furono dichiarati eretici i movimenti dei càtari e dei valdesi, e per-tanto duramente combattuti dalla Chiesa.

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unità 1 LA POESIA

Infatti si può notare che:• la lingua adottata è il volgare umbro, depurato dalle forme più popolari e nobilitato da usi

grafici, lessico, costruzioni sintattiche e grammaticali derivati dal latino e da alcune influenze, soprattutto lessicali, delle lingue letterarie contemporanee, francese e provenzale;

• il testo rivela – sotto l’apparente spontaneità e semplicità – una costruzione studiata, ricca di riferimenti culturali, in primo luogo alle Sacre Scritture, e di procedimenti retorici e stilistici conformi alla solennità dell’argomento;

• il testo esprime, in forma sintetica e suggestiva, i punti essenziali del pensiero religioso di Francesco d’Assisi e della sua originale interpretazione del cristianesimo.

Poesia e tradizione religiosaNegli antichi manoscritti e nelle prime biografie del santo, la composizione è stata tramandata con i due titoli di Laudes creaturarum («Lodi delle creature») e Canticum fratris solis («Cantico di frate sole»). Entrambi risalgono al linguaggio della tradizione religiosa.Il primo titolo rimanda al modello cui si ispirava il testo e alla sua destinazione; il testo francescano è infatti una preghiera sull’esempio delle laudes, come si chiamano nella liturgia i salmi in lode di Dio cantati in determinate ore del giorno. Il termine Canticum del secondo titolo deriva dalla Bibbia, dove indica gli inni rivolti al Signore. La dedica al sole nasce dalla posizione privilegiata dell’astro che ne fa la creatura più vicina a Dio e, in quanto somma luce, simbolo del divino.Le forme letterarie che hanno influenzato più direttamente la scrittura francescana sono i salmi bi-blici e i testi evangelici. Dai salmi deriva innanzi tutto la prosa ritmica, cioè composta da versetti, come sono chiamati i brevissimi paragrafi legati da assonanze in cui sono suddivisi i salmi biblici e, in seguito, anche i canti liturgici. Anche l’anafora Laudato si’ riprende una formula propria dei salmi; i contenuti delle lodi rivolte a Dio si ispirano in particolare al salmo 148 e al Cantico dei tre fanciulli (Daniele III,51). Ai Vangeli risalgono molte espressioni e immagini del Cantico, ad esempio nelle strofe finali dedicate al tema del perdono e della morte.

L’AUTORE

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510 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. Altissimu: come il successivo onnipotente, è l’appellativo attribuito a Dio nel linguag-gio biblico e liturgico. La finale in -u, che si trova anche nei seguenti nullu, dignu, bellu, ellu, celu, focu, è tipica del volgare umbro;bon: fonte del bene.

2. Tue so’… benedictione: spettano a te. Da notare la grafia latineggiante di laude, ho-nore, onne, benedictione che ricorre anche successivamente nel testo.

3-4. Ad te… mentovare: solo a te, Altissimo, si addicono (se konfano) e nessun uomo è de-

gno (ène dignu) di nominarti (te mentovare). L’uso della k e la desinenza -ano senza la dop-pia in konfano sono caratteri linguistici um-bri. Questa desinenza si trova in altre forme verbali del Cantico: sosterano, sirano, morra-no. Anche ène è forma umbra, mentre men-tovare potrebbe essere un francesismo (dal francese mentevoir o dal provenzale mentau-re) o – secondo studi recenti – un vocabolo proprio dei volgari dell’Italia centrale.

Altissimu, onnipotente, bon Signore,Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimo, se konfano,et nullu homo ène dignu te mentovare.

UN TESTO SPIEGATO

Francesco d’Assisi

CANTICO DI FRATE SOLE1224-1226

Il Cantico è un inno – in origine prevedeva anche la musica – di destinazione liturgica, che, sull’esempio dei Salmi, eleva la lode a Dio attraverso l’elenca-zione delle sue creature e di tutto ciò che egli ha donato agli uomini.Tutto il creato con la sua bellezza manifesta la potenza dell’Altissimo, ed è segno della sua infinita bontà; infatti le creature sono celebrate anche come doni che Dio ha fatto all’uomo. Così è a cominciare dal sole, che porta la luce vitale all’umanità, e via via per tutte le altre: i corpi cele-sti, preziosi per il loro splendore nella notte; l’aria e l’avvicendarsi delle stagioni, che garantiscono nutrimento agli uomini; l’acqua, indispensabile alla vita; il fuoco, che risplende nell’oscurità; la terra, che è madre e nutre tutti gli esseri viventi.Persino le sofferenze, la malattia e la morte, nella prospettiva della fede francescana, sono un segno della misericordia divina, perché chi le sopporta in nome dell’amore di Dio verrà premiato nella vita eterna. Sono beati coloro che perdonano, coloro che sopportano con serenità il dolore, coloro che muoiono in grazia di Dio. Solo chi muore nel peccato deve temere la morte, perché per lui la fine della vita coinciderà con la morte eterna, cioè la dannazione.

Metrica : prosa ritmica di versetti assonanzati con rare rime.

Giotto, La predica agli uccelli,1290-1300 circa.

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unità 1 LA POESIA 511

5-7. cum: interpretato in vari modi, come il per dei vv. 10 e seguenti, può significare «con» oppure «per mezzo di», o «a causa di»; ma prevale l’interpretazione «così come». La costruzione risulta pertanto la seguente: «Sii lodato, o mio Signore, così come tutte le tue creature, specialmente il signore (messor) e fratello sole, che è luce del giorno (iorno) e tu, Dio, per mezzo di lui ci illumini (Et allu-mini noi per lui)». Messor è forma umbra per messer che era il titolo attribuito nel linguag-gio feudale ai sovrani; la i iniziale di iorno è un’ulteriore forma umbra.

8. ellu: esso (il sole); radiante… splendore: splendente, raggiante con grande luce.

9. de te… significatione: rappresenta, simbo-leggia te, Altissimo.

10. per: la preposizione per in questo e in tut-ti i versetti successivi ha dato luogo a molte interpretazioni. Il significato più imme-diato, e attualmente più accettato, è quello causale: Dio è lodato a causa della bellezza e del valore delle sue creature. Ma può essere inteso anche come complemento d’agente: Dio è lodato da parte di tutte le creature; o mediale: Dio è lodato non direttamente ma attraverso le sue creature; o ancora strumen-tale: Dio è lodato per mezzo delle creature; sora: sorella.

11. formate: create; clarite: luminose, è un la-tinismo.

13-14. per aere… sustentamento: per l’aria e per il cielo nuvoloso e per il sereno e per qualsiasi tempo, grazie al quale dai nutri-mento (sustentamento) alle tue creature.

16. casta: pura. La purezza dell’acqua ha anche un valore religioso; è infatti l’acqua che nel battesimo purifica dal peccato.

18. per lo quale… la nocte: grazie al quale il-lumini (enallumini, il prefisso en- ha valore pronominale, «per noi») la notte per noi. Il fuoco riprende l’immagine e la funzione del sole al v. 7.

19. iocundo: lieto, vivace; robustoso: robusto, la desinenza -so ha valore rafforzativo.

20. sora… matre: la terra è creatura fra le al-tre e quindi sorella, ma anche madre perché, come viene esplicitato nei versetti seguenti, dà nutrimento e vita; sora e matre sono for-me umbre.

21-22. la quale… herba: che ci (ne, è pronome) alimenta e nutre (sustenta et governa, cop-pia sinonimica), e produce diversi frutti così come (con, cfr. v. 5) fiori colorati ed erba.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,spetialmente messor lo frate sole,lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.Et ellu è bellu et radiante cum grande splendore:de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate ventoet per aere et nubilo et sereno et onne tempo,per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,la quale è multo utile et humile, et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,per lo quale enallumini la nocte:et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,la quale ne sustenta et governa,et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba.

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512 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

24. Et sostengo… tribulatione: e sopportano malattie e sofferenze; sostengo è terza perso-na plurale con desinenza propria dei volgari dell’Italia centrale.

25-26. Beati… incoronati: beati coloro che lo sopporteranno (’ l sosterrano: ’ l vale lo, è un pronome che si riferisce alle malattie e sof-ferenze del versetto precedente), perché (ka) da te, Altissimo, saranno premiati (sirano in-coronati). La formula riecheggia il discorso delle beatitudini (Matteo, 5,3-10).

27-28. Laudato… skappare: Sii lodato, mio Si-gnore, per la nostra sorella morte fisica, del corpo (corporale) dalla quale nessun vivente può salvarsi (skappare).

29. peccata: plurale neutro di derivazione latina. 30. trovarà: troverà; il soggetto è la morte

(v.  27); ne le tue sanctissime voluntati: in armonia con la tua volontà; da notare la for-ma latineggiante voluntati.

31. ka… male: perché la morte eterna, la dan-nazione (la morte secunda) non farà loro (no ’l farrà, ’ l sta per «gli, a loro» e si riferisce a coloro che muoiono in grazia di Dio) male. Morte secunda nel senso di dannazione si trova in Apocalisse, XX,14.

33. serviateli: servitelo, costruito alla latina con il complemento di termine; è un con-giuntivo esortativo con lo stesso valore degli imperativi Laudate, benedicete, rengratiate.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amoreEt sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,da la quale nullu homo vivente pò skappare:guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiatee serviateli cum grande humilitate.

Poeti del Duecento,a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli 1960

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RACCOGLIAMO LE IDEE

IL TESTOIl Cantico ha una struttura circolare: esordisce con l’affermazione che solo a Dio vanno rivolte le lodi e si chiude con l’invito a tutti i creden-ti a unirsi in questa lode al Signore, che l’uomo – come è detto in apertura dell’inno – non può nominare, ma soltanto ringraziare e servire.La successione delle lodi rispetta un ordine ge-rarchico che risale alle concezioni medievali e procede dall’alto verso il basso. Dopo l’invoca-zione all’Altissimo del versetto iniziale, la lode contempla prima di tutto il sole, la creatura più alta e simbolo di Dio, e gli altri astri; dal mon-do celeste passa poi ai quattro elementi – aria,

acqua, fuoco, terra – del mondo sublunare, per arrivare infine all’uomo. Attraverso la lode degli uomini che con la fede vincono la morte, il canto si chiude con il ritorno a Dio.Secondo le fonti più antiche la seconda parte del Cantico, che inizia con la cosiddetta «strofa del perdono», sarebbe stata composta un anno dopo la prima parte.

I TEMINel Cantico la particolarissima religiosità fran-cescana è concentrata in parole semplici ma di grande suggestione. Il tema centrale è la ce-lebrazione di Dio, padre amorevole di tutte le

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unità 1 LA POESIA 513

creature, e, parallelamente, l’amore delle crea-ture verso il loro creatore e fra di loro, in quanto figlie tutte dello stesso padre. Il rapporto tra la divinità e il creato è armonioso e positivo, con-trassegnato dalla benevolenza e dalla misericor-dia. Alla visione cupa e pessimistica che spesso pervadeva la religiosità medievale, Francesco contrappone una visione serena dell’esistenza e il valore della bellezza dell’universo, in cui tut-to è segno della bontà divina.Fondamentale è anche il richiamo a due principi centrali della spiritualità francescana: l’obbe-dienza e l’umiltà nel servire Dio, che portano a vivere in letizia ogni esperienza, anche le più gravose come le sofferenze e la stessa morte.Per questo anche le due strofe finali, chiamate rispettivamente «del perdono» e «della morte», in cui è stato rilevato un tono più drammatico rispetto alla celebrazione dell’universo naturale, rientrano nella concezione francescana incen-trata sul fiducioso e gioioso rapporto con Dio.

LO STILELe qualità formali del testo derivano soprattutto dalla volontà di adeguare lo stile all’argomento elevato e rivelano la consapevolezza stilistica e retorica dell’autore.Oltre alla nobilitazione del volgare umbro at-traverso latinismi e francesismi, e ai riferimenti biblici ed evangelici, nel Cantico sono presen-ti alcuni procedimenti retorici e alcune scelte stilistiche che conferiscono particolare dignità all’espressione.Si notino ad esempio l’anafora con cui si apre ciascuna strofa di lode, le ripetizioni ricorren-ti nella formulazione delle lodi (il per seguito dall’elenco delle qualità delle creature), l’uso di coppie sinonimiche (sustenta et governa; infir-mitate et tribulatione), l’accumulazione nella se-rie di aggettivi o di azioni attribuiti alle creature, le antitesi (nubilo et sereno, humile et pretiosa).Molto significative sono anche le scelte delle se-rie di aggettivi, costantemente in numero di tre o quattro, disposti o secondo un climax ascen-dente (il sole è bellu e radiante cum grande splen-dore) oppure secondo una sapiente alternanza di valori: gli aggettivi riferiti all’acqua in rela-zione alla sua utilità per l’uomo, utile e pretiosa,

si alternano con quelli, humile e casta, che ne esprimono il significato mistico.Questi procedimenti non hanno però un sem-plice scopo estetico e ornamentale, ma sono funzionali a un messaggio che vuole ribadire il profondo legame d’amore con tutte le creature e quindi con il loro creatore.

LA METRICAIl Cantico non è propriamente un testo in versi e non rientra in una forma metrica codificata. Si tratta di una prosa ritmica suddivisa in strofe di diversa lunghezza composte da versetti legati da assonanze, con rare rime (es. stelle/belle; vento/sustentamento; corporale/male; rengratiate/hu-militate).Tale scansione ritmica riprende quella dei sal-mi ed è giustificata dall’originaria destinazione per il canto; Francesco avrebbe composto anche l’accompagnamento musicale, che però è andato perduto.Un particolare accorgimento retorico che con-corre alla musicalità e alla letterarietà del testo è quello del cursus («andamento» in latino), una tecnica della prosa medievale che riguardava la collocazione ritmica delle ultime due parole di una frase in base all’accento. Ad esempio al v. 3 «Altìssimo, se konfàno» è cursus velox, poiché la successione degli accenti è – + – – / – – + – (dove il + indica la sillaba accentata e il – quella ato-na), mentre al v. 8 «grànde splendòre» è cursus planus, in quanto la successione degli accenti è + – / – + – .

Bonaventura Berlinghieri, Pala di san Francesco e storie della sua vita, 1235.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LA LAUDA

Nel ricco clima spirituale del Duecento, sempre in Umbria, intorno alla metà del secolo si diffu-se un movimento popolare che invitava tutti i credenti alla penitenza e al timore di Dio. I suoi

seguaci diffondevano la loro predicazione con processioni per le vie delle città, intonando, oltre agli inni della liturgia tradizionale, una nuova forma di canto in volgare che prese il nome di lauda.Erano inni di lode alla Madonna, a Gesù e ai santi, che utilizzavano la forma metrica della ballata. Le ballate erano componimenti popolari, di argomento e destinazione profani, essendo nate per accompagnare il ballo; il metro era caratterizzato dalla presenza di un ritornello – o ripresa – che veniva cantato dal coro, mentre il solista intonava la strofa.Nella versione religiosa della ballata, che è appunto la lauda, l’alternanza fra la voce solista e quella del coro diede origine alla lauda dialogata, in cui il tema era sviluppato attraverso il dialogo dei personaggi.

Nel Trecento la recitazione delle parti dialogiche portò alla lauda drammatica, nucleo originario della sacra rappresenta-zione, prima forma di teatro in volgare di argomento religioso affermatosi tra il XIV e il XV secolo.

I laudari, come sono chiamate le raccolte di laude, sono tutti anonimi e il più antico è il Laudario di Cortona, che risale circa al 1270.In questa produzione si distingue l’opera di Jacopone da Todi, un autore che diede una versione molto personale del genere della lauda.

PAROLE DA CONOSCERE

Dal latino pauper, «povero», la parola pauperismo indica gli ideali di pover-tà evangelica cui si ispiravano molti movimenti religiosi e popolari del Me-dioevo. Essi, in nome di tali principi, contestavano i valori della ricchezza e del potere diffusi nella società mercan-tile, che spesso intaccavano anche la condotta del clero.

La religiosità tormentata di Jacopone da TodiRispetto al genere tradizionale della lauda, l’opera di Jacopone da Todi presenta caratteri molto originali. Innanzi tutto i laudari erano tradizionalmente delle raccolte anonime che esprimevano un sentimento collettivo. Nel Laudario di Jacopone, invece, si impongono come protagoniste la storia personale, le concezioni e la personalità dell’autore, conferendo all’opera un carattere di spiccata individualità. Inoltre il temperamento appassionato e irruente di Jacopone, la sua religiosità inquie-ta, le vicende drammatiche della sua vita danno alla raccolta un tono polemico e intensamente emotivo, estraneo agli altri laudari.

la storia

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unità 1 LA POESIA

Molte laude di Jacopone sono ispirate a memo-rie e a episodi autobiografici, e tutte esprimono una religiosità tormentata e intransigente, ca-ratterizzata da tendenze tipiche della spiritualità medievale, che l’autore visse e predicò in forme spesso esasperate e provocatorie.Nonostante fosse un ardente francescano, la sua visione del mondo era opposta a quella del santo di Assisi. Alla serena letizia e all’amore per il cre-ato, Jacopone contrapponeva il «disprezzo del mondo», vale a dire la radicale condanna di tut-to ciò che appartiene alla vita terrena: il corpo, la salute, le convenzioni sociali, la ricchezza e il potere vanno rifiutati, perché sono solo espres-sione del male e della negatività dell’uomo. Per-sino la cultura è condannata come manifestazio-ne della vanità e della presunzione umane.

In antitesi ai valori mondani, Jacopone esaltava i valori dell’ascesi: la sofferenza, l’umiliazione, la malattia, la povertà vanno ricercate e praticate per espiare le colpe e avvicinarsi a Dio.La drastica svalutazione della dimensione terrena si accompagnava in lui al fervente misticismo, cioè la tensione verso l’unione spirituale con Dio attraverso l’amore incondizionato e l’abbandono dell’approccio conoscitivo razionale.Misticismo e disprezzo del mondo costituiscono le costanti della scrittura di Jacopone, dando vita

a un’opera caratterizzata da toni di accesa polemica e di angosciato pessimismo, sia nelle laude ispirate alle sue battaglie contro la Chiesa sia in quelle di argomento più strettamente morale-religioso.

PAROLE DA CONOSCEREIl termine ascesi (dal greco àskesis, «esercizio») indica una rigida disciplina fondata sul distacco dalle cose terrene per raggiungere la purificazione dell’anima e dedicarsi compiuta-mente e degnamente alla vita spirituale. È la condizione indi-spensabile per poter accedere all’unione mistica con il divino.

Il termine mistico invece deriva dal greco mystes, che indica-va chi era iniziato ai misteri religiosi; la parola designa, come aggettivo, un particolare modo di vivere la religiosità, diffuso soprattutto nel Medioevo e, come sostantivo, chi pratica que-sta visione della fede. Il mistico tende a entrare in diretta co-municazione con Dio, sostituendo l’intuizione e l’illuminazione della Grazia ai procedimenti della ragione e della logica. Que-sta esperienza di unione con il divino è perseguita attraverso l’isolamento, la meditazione e la preghiera, che permettono al mistico di staccarsi completamente dalla dimensione sen-sibile e immergersi in una dimensione puramente spirituale.

Il Laudario di Jacopone: struttura e stileIl Laudario di Jacopone comprende novantadue componimenti.La visione pessimistica dell’uomo e la cupa negazione del mondo predo-minano nella prima parte, mentre nella seconda prevalgono l’esaltazione dell’amore per Dio e l’eccezionalità dell’esperienza mistica. Alla diver-sità dei temi corrisponde una variazione dello stile: nella prima parte il linguaggio è caratterizzato da toni molto aspri e polemici, da violente polemiche e da un lessico crudo e realistico, mentre nella seconda il lin-guaggio è più lirico, in quanto volto a esprimere l’inebriante esaltazione dell’amore verso Dio.

Lo stile di Jacopone è comunque estremamente personale in tutte le sue laude. Egli infatti respingeva le scelte espressive attente ai valori estetici e culturali: bellezza e cultura erano per lui peccaminose tentazioni e mani-festazioni della superbia umana. Il suo linguaggio è quindi volutamente popolare e antiletterario, sia nelle scelte lessicali sia nelle costruzioni sintattiche, entrambe molto vicine alla lingua parlata. Non mancano co-munque forme colte e artifici retorici, che rivelano il retroterra culturale dell’autore e che producono una singolare mescolanza fra il registro alto e quello popolare.

Paolo Uccello, Jacopone da Todi, 1435.

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516 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. iubelo: la gioia, l’esultanza dell’incontro mistico con Dio.3-6. Quanno iubel… parlare: quando il giubilo diventa ardente (se scalda), obbliga l’uomo a can-

tare, e la lingua balbetta (barbaglia) e non sa che cosa dire (che parlare).7-8. dentro… ’l dolzore: non lo può celare dentro di sé, tanto è grande (granne) la dolcezza (’ l dol-

zore) che prova. Si noti in granne l’assimilazione del gruppo consonantico -nd in -nn, tipica dei volgari dell’Italia centrale e molto frequente in Jacopone; si vedano anche Quanno per quando e i successivi stridenno, pensanno, parlanno, vedenno che valgono stridendo, pensando, parlando, vedendo; ’ l dolzore è una forma provenzaleggiante.

10. clamare: gridare; rafforza il cantare del v. 4.11-14. lo cor… allore: il cuore è infiammato (appreso) d’amore così che non lo può sopportare (che

nol pò comportare); lo fa gridare con acute strida (stridenno el fa gridare), e non si vergogna in quel momento (e non virgogna allore).

O iubelo del core,che fai cantar d’amore!

Quanno iubel se scalda,sì fa l’omo cantare,e la lengua barbagliae non sa che parlare:dentro non pò celare,tant’è granne ’l dolzore.

Quanno iubel è acceso,sì fa l’omo clamare;lo cor d’amor è appreso,che nol pò comportare:stridenno el fa gridare,e non virgogna allore.

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UN TESTO SPIEGATO

Jacopone da Todi

O IUBELO DEL COREseconda metà XIII secolo

Il componimento sviluppa il tema dell’esaltazione mistica, centrale nell’esperienza esistenziale e nel Laudario di Jacopone. L’amore assoluto verso Dio porta a una gioia che nello stesso tempo è inesprimibile e impossibile da tacere. Essa si manifesta con comportamenti estremi, incompren-sibili per chi non conosca la natura e gli effetti della fusione dell’anima con Dio.

Metrica: ballata di settenari secondo lo schema XX, ABABBX.

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unità 1 LA POESIA 517

17-20. la gente… calore: la gente lo deride, lo schernisce (l’ha ’n deriso) pensando al suo modo di esprimersi (pensanno el suo par-lato), poiché parla fuori della misura consueta (esmesurato) di ciò che lo infiamma (de che sente calore), cioè l’amore verso Dio.

22. ched… mente: che invadi la mente.23-24. lo cor… convenente: il cuore diventerebbe saggio se celasse il suo stato (suo convenente); significa che il cuore non sarebbe

più tale, cioè sede di passioni incontrollabili, se riuscisse a dominarle.25-26. non pò… clamore: non può sopportare (esser soffrente) di non gridare (che non faccia clamore).27-32. Chi non ha… fore: chi non ha esperienza (costumanza), si intende dell’ardore mistico, ti considera impazzito, vedendo

la perdita di controllo (esvalïanza) come di chi ha perso la ragione (com’om ch’è desvanito); dentro ha il cuore ferito, colpito dall’esperienza mistica e non si rende conto di ciò che avviene al di fuori di lui (non se sente da fore); costumanza è un proven-zalismo, come il successivo esvalïanza, svilimento, nel senso di comportamento anomalo.

Quanno iubelo ha presolo core ennamorato,la gente l’ha ’n deriso,pensanno el suo parlato,parlanno esmesuratode che sente calore.

O iubel, dolce gaudioched entri ne la mente,lo cor deventa saviocelar suo convenente:non pò esser soffrenteche non faccia clamore.

Chi non ha costumanzate reputa ’mpazzito,vedenno esvalïanzacom’om ch’è desvanito;dentr’ha lo cor ferito,non se sente da fore.

Poeti del Duecento, a cura di G. Contini,Ricciardi, Milano-Napoli 1960

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L’AUTORE

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518 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

RACCOGLIAMO LE IDEE

I TEMIIl tema fondamentale della lauda di Jacopone è la natura straordinaria dell’esperienza misti-ca. Questa è rappresentata attraverso la più si-gnificativa delle sue espressioni: il giubilo, una profonda esultanza interiore che trabocca in manifestazioni estreme. La più evidente di tali manifestazioni è l’irrefrenabile impulso a co-municare l’esperienza mistica, che pure è ine-sprimibile. Il mistico che vive questo straordi-nario momento dell’incontro con Dio si esprime con canti, grida, balbettii.Di qui vengono l’incomprensione e la derisione delle persone comuni per i comportamenti ano-mali ed eccessivi del mistico: l’ultima strofa in particolare afferma l’incolmabile distanza fra la dimensione spirituale e quella mondana.Risulta evidente il radicale rovesciamento dei valori proposto dalla spiritualità di Jacopone. Chi giunge alla contemplazione di Dio compie un’esperienza interiore che ignora le leggi razio-nali e supera le convenzioni sociali; infatti essa porta a comunicare con un linguaggio incon-trollato (la lengua barbaglia, stridenno el fa gri-dare), a eccedere la misura – valore fondamen-tale della società aristocratica dell’epoca – con espressioni esasperate (parlanno esmesurato), a ignorare la realtà (non se sente da fore).Il mistico è pertanto giudicato pazzo (’mpazzito) secondo i criteri dominanti, ma in realtà nella sua apparente follia risiede l’unica verità.

LO STILELo stato di esaltazione e i comportamenti che infrangono la norma si riflettono nello stile, caratterizzato dall’enfasi espressiva e da pro-cedimenti retorici che traducono il crescendo dell’esperienza mistica fino allo smarrimen-to della coscienza. A questi effetti concorrono l’anafora (Quanno iubel …, sì fa l’omo…), la ri-petizione di parole (iubel, cor, amor) e di con-cetti (dentro non pò celare, che nol pò compor-tare, non pò esser soffrente), il climax (cantare, clamare, gridare), l’accumulazione con cui sono descritte le manifestazioni del tripudio.In questo testo il linguaggio è meno realistico e crudo rispetto a quello delle laude di argomento

polemico o politico. Tuttavia si rintraccia anche qui una costante della lingua di Jacopone, ca-ratterizzata da una singolare mescolanza fra il volgare umbro (si veda ad esempio la ricorrente assimilazione in -nn del gruppo consonantico -nd) e il lessico colto, documentato in particolare da frequenti provenzalismi (dolore, convenente, costumanza, esvalïanza).

LA METRICAOgni strofa si chiude con la rima in -ore della ripresa. Le rime sono talvolta sostituite da asso-nanze (vv. 3 e 5 scalda/barbaglia; vv. 21-23, gau-dio/savio), tipiche dei componimenti popolari, mentre ai vv. 15 e 17 c’è una rima siciliana (pre-so/deriso), che testimonia la familiarità dell’au-tore con i procedimenti della lirica colta.La sintassi è spezzata e paratattica, con pause che, tranne poche eccezioni, delimitano cia-scun verso. Ne risulta un ritmo incalzante e frammentario, che traduce con grande efficacia l’esplosione del giubilo e la crescente concitazio-ne del linguaggio che lo vorrebbe comunicare.

Cristo apocalittico, affresco del duomo di Anagni,XIII sec.

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unità 1 LA POESIA 519

4. non ha… rancura: non provoca né lite né rancore (rancura).

5. latron: ladri. 6. tempestate: tempesta, bufera; in senso me-

taforico indica i rovesci della sorte. 8. face: fa. 9-10. lassa… concordate: lascia il mondo

come sta (iace, dal latino iacēre, «giacere») e le persone in concordia fra di loro.

11. non ha… notaro: non conosce, non ha biso-gno di giudici né di notai.

12. a corte… salaro: non porta denaro (salaro) a corte, ai potenti.

13. ridese: se la ride; avaro: avido.14. tanta anzietate: in tanto grande ansietà,

preoccupazione, perché l’avido è sempre in pena per i propri averi.

15. alto sapere: sapere profondo, vero (alto, è un latinismo).

16. soiacere: soggiacere, essere sottoposta.17-18. en desprezzo… create: avere in disprez-

zo tutte le cose terrene.

O amore de povertate,regno di tranquillitate!

Povertate, via sicura,non ha lite né rancura,de’ latron non ha paurané de nulla tempestate.

Povertate muore en pace,nullo testamento face,lassa el mondo come iacee le gente concordate.

Non ha iudece né notaro,a corte non porta salaro,ridese dell’omo avaroche sta in tanta anzietate.

Povertà, alto sapere,a nulla cosa soiacere,en desprezzo possederetutte le cose create… […]

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Jacopone da Todi

O AMORE DE POVERTATEseconda metà XIII secolo

Questa lauda – di cui vengono proposte alcune strofe – è tutta volta a esaltare uno dei valori fondamentali della religiosità di Jacopone: la povertà. È un tema di chiara derivazione francesca-na, che però Jacopone sviluppa secondo una prospettiva particolare e per certi aspetti opposta a quella del santo di Assisi. Infatti la povertà non solo libera l’uomo da tutte le preoccupazioni concrete, ma lo spinge a disprezzare ogni cosa terrena per purificarsi e dedicarsi totalmente all’amore per Dio.

3-7 La strofa chiarisce l’esclamazione dei primi due versi: in vita e in morte chi non ha averi non ha motivo di entrare in contrasto con i suoi simili né di nutrire timori e preoccupazioni.

11-12 Questi versi rivendicano la libertà nei confronti del potere, più facile per chi non ha ambizioni né desiderio di ricchezza.

15 Solo attraverso la povertà e l’umiltà si raggiunge la vera conoscenza, che non è quella del sapere umano.

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520 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

119-122 Chi non possiede niente ha la più grande libertà, perché non subisce nessun condizionamento e quindi, in un certo senso, possiede tutto.

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Riconosci e indica il tipo di versi usati nella lauda.

2. Indica i versi che costituiscono la ripresa o ritornello. Che tipo di rima presentano?

3. Individua e trascrivi lo schema delle rime della prima strofa. Lo schema delle rime si ripete uguale in tutte le strofe?

4. Quale tipo di sintassi caratterizza questa lauda?

5. Quale figura retorica tipica dello stile di Jacopone si trova in quasi tutte le strofe?

chiasmo

perifrasi

anafora

similitudine

6. Nella lauda la Povertà viene personificata: quali elementi del testo realizzano la personificazione?

7. Spiega come, secondo il poeta, la Povertà agisce nel mondo al momento della morte (vv. 7-10).

8. Elenca gli effetti che la Povertà produce nella vita e nelle relazioni tra gli uomini.

Riflettere

9. Considera i versi 17-18: ci sono analogie o differenze con il pensiero di Francesco d’Assisi? In che cosa consistono?

10. Leggi attentamente la penultima strofa: perché la Povertà ha un cuore così grande da poter ospitare Dio?

11. Rileggi la risposta alla domanda 2. Quali effetti ottiene l’autore attraverso l’uso delle rime?

Scrivere

12. Raccogli tutti i dati dell’analisi e della riflessione e scrivi un testo espositivo di circa 150 parole sul seguente argomento: «Aspetti del pensiero di Jacopone nella lauda O amore de povertate».

31-32. Dio… affetto: Dio non abita, non vive (no’ alberga) in un cuore piccolo, angusto (stretto), [il cuore] è tanto grande quanto hai amore (affetto).

33. sì gran petto: un cuore così grande.121. omne: ogni; latinismo.122. en spirto de libertate: in spirito di libertà.

Dio no’ alberga en core stretto,tant’è grande quant’hai affetto.Povertate ha sì gran pettoche ci alberga Deitate. […]

Povertate è nulla averee nulla cosa poi volere;e omne cosa possedereen spirto de libertate.

Jacopone da Todi, Laude, a cura di F. Mancini, Laterza, Bari 1977

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unità 1 LA POESIAunità 1 LA POESIA

LA LIRICA D’ARTE

La poesia provenzale e l’amor corteseA partire dalla fine dell’XI secolo nelle corti feudali della Provenza, la regione meridionale della Francia, fiorì una ricca produzione in versi, in lingua d’oc o lingua provenzale. Era una lirica desti-nata al canto; prevedeva quindi un accompagnamento musicale, composto dagli stessi autori dei versi, detti trovatori, dal verbo trobar, che significa «comporre versi con musica».

L’argomento principale era l’amore, anche se non mancavano componimenti che trattavano te-matiche morali e politiche, o ispirati a situazioni di corte e a vicende dell’epoca. La concezione dell’amore elaborata dai trovatori era definita dagli stessi autori amor fino, cioè «amore perfetto»; venne chiamato secoli dopo «amor cortese», in quanto strettamente legato alla vita di corte. I carat-teri e la natura di questo particolare tipo di amore e i comportamenti che ne derivavano erano stati teorizzati da Andrea Cappellano, un ecclesiastico francese che, nella seconda metà del XII secolo, scrisse un trattato in latino, il De Amore. Questa opera rappresentò il principale riferimento teorico dei trovatori e degli altri poeti medievali che composero versi di argomento amoroso.

In relazione a questi diversi aspetti, questa poesia viene chiamata in diversi modi:• provenzale, con riferimento alla lingua in cui è scritta;• cortese, con riferimento all’ambiente delle corti, in cui era nata;• trobadorica, con riferimento ai suoi autori.

L’amor cortese era un’esperienza molto esclusiva, riservata ai soli appartenenti all’aristocrazia feu-dale, caratterizzata dall’esercizio di virtù quali la generosità, la fedeltà, la raffinatezza dei costumi, la delicatezza dei sentimenti. Ma l’idea centrale che contraddistingueva l’amor cortese era l’in-colmabile distanza tra la donna e il poeta innamorato che, nonostante ogni suo sforzo, rimaneva sempre inferiore alla sua amata, descritta come la sintesi di tutte le qualità fisiche e morali. L’uomo innamorato si poneva totalmente al servizio della donna, ne tesseva le lodi, le offriva obbedienza, devozione e fedeltà incondizionate, tutto ciò senza mai sentirsi degno della sua benevolenza e senza pretendere alcuna ricompensa.

È evidente il rapporto tra una simile concezione dell’amore e il sistema di valori feudale. La sotto-missione dell’innamorato alla donna infatti rifletteva il rapporto gerarchico del vassallo rispetto al feudatario. Inoltre le virtù spirituali e intellettuali presupposte da questa forma di amore contribui-vano a celebrare il primato dell’aristocrazia feudale.

Le forme della poesia provenzaleLa forma poetica più frequente e più rappresentativa della lirica provenzale è la canzone, in pro-venzale cansò, termine che richiama la compresenza di parole e musica. La canzone presentava regole molto rigide per quanto riguardava la metrica, le rime, l’organizzazione delle strofe e l’ado-zione dello stile, che poteva essere leu («lieve»), cioè semplice e leggero, ric («ricco»), vale a dire molto ornato nel linguaggio, oppure clus («chiuso»), cioè ermetico, difficile da comprendere.

La lirica trobadorica ebbe un’importanza fondamentale per la poesia europea; infatti sia i conte-nuti, e in particolare la concezione dell’amore, sia le forme e gli stili dalla Provenza si diffusero in gran parte del continente. In particolare il modello provenzale ispirò il movimento del Minnesang, «canto» (sang) dell’amore, della «devozione» (Minne), nato in area germanica alla fine del XII se-colo, e fu ripreso in Italia verso la metà del XIII secolo dalla poesia siciliana.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

I seguenti brani sono tratti da biografie di trovatori; essi mostrano quali erano le virtù che identificavano l’ideale umano della civil-tà cortese.L’aristocrazia guerriera coltivava sempre di più i valori mondani, come il vigore fisico, la

raffinatezza dei costumi, la generosità, la no-biltà dei sentimenti, e tra questi soprattutto l’amore.Anche il comporre versi era un’attività ap-prezzata e degna di ammirazione, che rien-trava nel modello del perfetto cavaliere.

L’«EROE» CORTESE

Guglielmo d’AquitaniaIl conte di Poitou fu uno degli uomini più nobili del mondo, e dei più grandi in-gannatori di donne, e buon cavaliere d’armi, e gran donnaiolo; e seppe comporre e cantar bene.

Guglielmo d’Aquitania, Poesie, ed. critica a cura di N. Pasero, STEM-Mucchi, Modena 1973

Bertran de BornBertran de Born fu un castellano del vescovato di Périgord, signore di un castello chiamato Hautefort. Fu continuamente in guerra con tutti i suoi vicini […]. Fu buon cavaliere, buon guerriero, buon amatore e buon trovatore, dotto e buon par-latore, e seppe far fronte così alla buona come alla cattiva sorte.

Le biografie trovadoriche. Testi provenzali dei secoli XIII e XIV,

ed. critica a cura di G. Favati, Libreria antiquaria Palmaverde, Bologna 1961

Raimbaud d’AurengaRambaldo d’Aurenga fu signore di Oran-ge e di Courthezon e di una gran quan-tità di altri castelli. E fu nobile e saggio, e cavaliere valente nelle armi, e un elegante parlatore. E molto si compiacque delle dame onorate, e del corteggiarle ono-revolmente. E fu valente poeta (autore) di «vers» e di canzoni; ma molto si compiacque di usa-re rime difficili e oscure.

M. Boni, Antologia trobadorica,II, Patron, Bologna 1966

Il Minnesänger Johannes Hadlaub,miniatura dal Codice Manesse, particolare, XIV sec.

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unità 1 LA POESIA 523

8. avanza: supera.18. talento: inclinazione, desiderio.19. veggo: vedo.

24. agli uffici… lento: così poco propen-so all’amore.

Quando erba nuova e nuova foglia nascee sbocciano i fiori sul ramo,e l’usignolo acuta e limpidaleva la voce e dà principio al canto,gioia ho di lui, ed ho gioia dei fiori,e gioia di me, e più gran gioia di madonna:da ogni parte son circondato e stretto di gioia,ma quella è gioia che tutte l’altre avanza.

Tanto amo madonna e l’ho cara,e tanta reverenza e soggezione ho per lei,che di me non ardii parlarle maie nulla chiedo da lei, nulla pretendo.Ma ella conosce il mio male e il mio duoloE quando le piace mi benefica e onora,e quando le piace io sopporto la mancanza dei suoi favori,perché a lei non ne venga biasimo.

Mi meraviglio come posso resistereChe non le manifesti il mio talento:quand’io veggo madonna e la miro,i suoi begli occhi le stanno cosi bene!A stento mi tengo dal correre a lei.Così farei, non fosse per timore,ché mai vidi corpo meglio modellato e coloritoagli uffici d’amore così tardo e lento.

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UN TESTO SPIEGATO

Bernart de Ventadorn

QUANDO ERBA NUOVA E NUOVA FOGLIA NASCE

metà XII secolo Lingua originale lingua d’oc

Pochissimo si sa di Bernart de Ventadorn, che visse in diverse corti feudali, tra le quali quella di Enrico II d’Inghilterra e della moglie Eleonora d’Aquitania, alla quale dedicò alcune sue poesie. La sua unica fonte d’ispirazione fu l’amore, cantato non in chiave autobiografica, ma come sentimento puro.I suoi testi rimasero come esempio di stile per molti poeti italiani del Duecento.

Nella lirica seguente ricorrono molti elementi che caratterizzano l’amore cortese e il linguaggio con cui esso si esprime.

Metrica: canzone.

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524 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

27. involarle: rubarle.34. bamboli: bambini.35. niuno: nessuno.

42. vanisco: mi perdo.47-48. Perché… desìo?: Perché [Amore] una volta non assedi

(distringi) madonna, prima che io sia distrutto dal desiderio?

Sola vorrei trovarlaChe dormisse o fingesse di dormire,per involarle un dolce bacio,poiché non ho tanto ardire da chiederglielo.Per Dio, donna, poco profittiamo d’amore:fugge il tempo, e noi ne perdiamo la miglior parte.Intenderci dovremmo a segni copertamente,e poiché ardir non ci vale, ci valga scaltrezza.

S’io sapessi gettar l’incantesimo,i miei nemici diverrebber bamboli,si che niuno saprebbe immaginarené dire cosa che ci tornasse a danno.Allora so che potrei rimirare la più gentileed i suoi occhi belli e il fresco viso,e baciarle la bocca per davverosì che per un mese ve ne parrebbe il segno.

Ahimè, come muoio dal fantasticare!Spesso vanisco tanto in fantasie,che briganti potrebbero rapirmie non m’accorgerei di che facessero.Per Dio, Amore, ben facile ti fu soppraffar meScarso d’amici e senza protettore!Perché una volta madonna così non distringiPrima ch’io sia distrutto dal desìo?

A. Roncaglia (a cura di), Antologia delle letterature medievali d’oc e d’oїl,trad. A. Roncaglia, Accademia, Milano 1973

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RACCOGLIAMO LE IDEE

L’AMORE E LA PRIMAVERALo sbocciare dell’amore è associato allo sbocciare della primavera: entrambi sono espressione di ri-nascita e vitalità. La corrispondenza tra amore e primavera era un elemento ricorrente della lirica trobadorica ed era destinato a diventare un topos della poesia d’amore. Un altro poeta provenzale, Guglielmo d’Aquitania, scriveva ad esempio in una sua canzone:

Nella dolcezza della primaverai boschi rinverdiscono, e gli uccellicantano, ciascheduno in sua favella,giusta la melodia del nuovo canto.È tempo, dunque, che ognuno si traggapresso a quel che più brama.

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unità 1 LA POESIA 525

TESTIESTIESCONFRONTOa

Espressioni molto simili troviamo nei versi di un altro famoso trovatore, Arnaut Daniel:

Alla primavera è associato anche lo stato d’animo del poeta innamorato, pervaso dalla gioia che gli procurano la bellezza della natura, il sentimento che prova e soprattutto la donna che ama: tutto ciò che viene da lei gli dà felicità.

LA DONNALa donna è idealizzata, in quanto perfetta e impareggiabile: il suo aspetto è il meglio modellato e co-lorito, ella è la più gentile, ma non è smaterializzata; infatti il poeta descrive e ammira la sua bellezza fisica. Di fronte a tanta perfezione, egli è pienamente consapevole della propria inferiorità, tanto che può solo fantasticare di avvicinare la donna amata e ottenerne i favori.In questa lirica emerge con chiarezza l’atteggiamento di totale subordinazione del poeta innamorato nei confronti della donna: egli è disposto ad accettare ogni suo volere, non avanza alcuna pretesa, si preoccupa di non manifestare il suo amore per non compromettere la reputazione della dama, pur soffrendo accetta di buon grado persino il suo rifiuto. I modi e i termini in cui il poeta esprime il suo amore e il suo atteggiamento verso la donna sono un’evidente trasposizione del rapporto feudale: la donna è la signora (madonna), che può o meno «beneficare» il suo innamorato, mentre quest’ultimo le dimostra reverenza e soggezione, senza nemmeno «ardire» di rivolgerle i suoi desideri.

Dolci gorgheggi e gridi,lai e canti e trilliodo degli uccelli, che nel loro latino preganociascuno la sua compagna, proprio come noi facciamoalle amiche di cui siamo innamorati.

FEUDALESIMO E AMOR CORTESE

Il brano illustra il rito di investitura di un vassallo che risale al XII secolo e ha come protagonisti il conte di Fiandra e il vassallo che gli presta giuramento. La cerimonia segue un rituale i cui gesti e le cui parole ebbero un riflesso evidente nel codice di comportamento e nel lessico dell’amore cortese.

In primo luogo, resero omaggio nel modo seguente: il conte domandò al futuro vassallo se voleva diventare suo uomo, senza riserva, e colui rispose: «Lo vo-glio». Poi, le sue mani essendo strette fra quelle del conte, accostarono il viso e si baciarono. In secondo luogo, colui che aveva fatto omaggio impegnò la sua fede al «portavoce» del conte in questi termini: «Prometto sulla mia fede di essere fedele al conte Guglielmo e di conservargli, contro tutti e interamente, il mio omaggio, in buona fede e senza inganno». In terzo luogo giurò di mantenere la promessa sulle reliquie dei santi.

Monumenta Germaniae Historica, cit. in R. Boutruche,Signoria e feudalesimo, il Mulino, Bologna 1974

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

La nascita della lirica d’arte in Italia: la scuola sicilianaLa denominazione scuola siciliana si riferisce a un gruppo di poeti che negli anni compresi tra il 1230 e il 1250, cioè proprio durante il regno di Federico II e presso la sua corte, diedero vita alla prima produzione poetica scritta in un volgare italiano.Essa introduce i caratteri distintivi e la specificità di questo movimento letterario.Il termine scuola si riferisce all’uniformità di scelte tematiche e stilistiche che contraddistingue i componimenti di questi poeti. Tutte le loro liriche sono incentrate sul tema amoroso e si ispirano in larga misura allo stile dei trovatori provenzali. Nell’opera dei siciliani, quindi, non emergono tanto le caratteristiche individuali dei singoli autori, quanto l’adesione a un modello comune.Una componente essenziale di tale uniformità è inoltre rappresentata dall’adozione della lingua in cui tutti scrissero le loro liriche: il volgare siciliano. Questa scelta linguistica non dipese dall’ori-gine geografica dei poeti, che in parte erano siciliani e in parte provenivano da altre regioni della penisola, ma dal fatto che tutti gravitavano intorno a Federico II. La sede originaria e il centro propulsore del regno erano a Palermo, anche se il sovrano aveva una corte itinerante, che gli per-metteva di esercitare meglio il suo controllo spostandosi costantemente nelle diverse aree del suo regno. Il termine siciliana indica quindi l’appartenenza culturale e politica dei poeti alla cerchia federiciana, indipendentemente dalla loro provenienza geografica.

La poesia e la corteLa scuola siciliana riveste un ruolo fondamentale nella storia della letteratura italiana, perché per la prima volta il volgare viene consapevolmente scelto come lingua per scrivere testi con finalità arti-stiche e culturali. Lo stesso Dante Alighieri riconobbe nei poeti siciliani i fondatori della tradizione letteraria italiana, indicando la lingua delle loro composizioni come il primo esempio di volgare illustre, cioè di un volgare elevato e raffinato.La fioritura della poesia siciliana non si può spiegare se non viene collocata all’interno del progetto politico e culturale di Federico II, che perseguiva l’obiettivo dell’egemonia sulla penisola italiana anche proponendo il suo regno come esempio di una cultura prestigiosa, libera e innovativa.In ambito letterario, il modello che meglio poteva rispondere a queste esigenze era la poesia che si era sviluppata circa un secolo prima nelle corti della Provenza e che rappresentava la tradizione di poesia in volgare di maggior prestigio.Alla poesia provenzale infatti si ispirarono i poeti siciliani, che trasferirono nella propria realtà politico-culturale il patrimonio stilistico e tematico dei trovatori.Rispetto a questi ultimi, i rimatori siciliani vivevano una condizione sociale e professionale mol-to diversa. Essi infatti erano tutti funzionari di Federico II: si trattava di giuristi, notai, burocrati,

che svolgevano compiti di altissimo livello nell’ammini-strazione regia e che, su iniziativa dello stesso sovrano, coltivavano la poesia come raffinato intrattenimento ed espressione del prestigio culturale della corte cui appar-tenevano.Tra gli esponenti più importanti va senz’altro ricordato quello che è considerato l’iniziatore della scuola, Iacopo da Lentini, siciliano e notaio della corte imperiale. Sici-liani erano anche Guido delle Colonne e Stefano Proto-notaro, mentre meridionali ma non isolani erano Rinaldo d’Aquino e Giacomino Pugliese. Tra i poeti di origine set-tentrionale va ricordato Percivalle Doria. Scrissero versi anche lo stesso Federico II e il figlio, re Enzo.

Capolettera miniato raffigurante un poeta che conversa con alcune dame, XV sec.

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unità 1 LA POESIA

I temiPer quanto riguarda i temi, la scuola siciliana si atteneva a quello che era stato l’argomento princi-pale della lirica provenzale, vale a dire l’amor cortese, di cui riprese il repertorio tematico. L’ide-alizzazione della donna, la sua irraggiungibilità, la lode delle sue qualità superiori alle cose più belle della natura, la devozione del poeta innamorato, la sua attesa trepidante della benevolenza dell’amata sono i motivi ricorrenti anche delle poesie dei siciliani.

In questa sostanziale continuità di argomento emergono però alcune vistose differenze. Innanzi tutto, nella realtà siciliana, dominata dalla politica accentratrice di Federico II, non c’era spazio per le tematiche civili e politiche che avevano caratterizzato parte della produzione lirica provenzale, e la poesia si concentrò esclusivamente sul tema amoroso. Inoltre – poiché quello di Federico II non era un regno feudale – la rappresentazione del rapporto amoroso secondo i modelli della subordi-nazione del vassallo al signore è meno presente. Le poesie della scuola siciliana sviluppano piuttosto analisi e riflessioni teoriche sull’origine e sulla natura dell’amore, oppure sulle qualità dei suoi effetti.

Le forme metricheRispetto alla poesia provenzale, quella siciliana presenta una maggiore uniformità anche nell’uso delle forme metriche, che si riducono sostanzialmente a tre: la canzone, la canzonetta e il sonetto.La canzone era di origine provenzale, ma i siciliani la riproposero secondo una struttura nuova che resta come modello per la successiva lirica italiana: era composta di più strofe o stanze, di cui l’ultima, più breve delle altre, prende il nome di congedo, utilizzava endecasillabi e settenari alternati, ed era destinata a trattare gli argomenti più elevati e impegnativi, con uno stile altrettanto raffinato. La canzone diventava così la forma metrica più alta e insigne della lirica.Più discorsiva e semplice nei contenuti e nelle scelte espressive era la canzonetta, che usava versi più brevi, in particolare settenari.

la storia

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

La creazione più originale e innovativa nel-l’ambito metrico fu comunque il sonetto, probabilmente inventato da Iacopo da Lenti-ni, come stanza isolata della canzone.

Il sonetto era destinato ad affermarsi come la forma metrica più usata nella lirica italiana, ma ebbe una straordinaria diffusione anche nella poesia europea.

Con la poesia siciliana, inoltre, avvenne la se-parazione della poesia dall’accompagnamen-to musicale, che sostituì la lettura all’ascolto della recitazione e del canto come modalità di fruizione della poesia.

La lingua e lo stileLe innovazioni più significative, dalle quali emerge l’originale contribuito dei poeti siciliani, riguar-dano lo stile e la lingua. Lo stile era caratterizzato da scelte formali preziose e raffinate, come si addiceva alla tematica elevata e all’ambiente socio-culturale estremamente selezionato in cui era fiorita la poesia siciliana. Alla nobiltà dell’espressione contribuiva in modo determinante la lingua. Il volgare siciliano adottato nei componimenti poetici era infatti depurato dalle forme più quotidia-ne e legate al parlato e rimodellato sull’esempio delle due lingue letterarie per eccellenza, il latino, da cui derivava soprattutto la sintassi elaborata, e il provenzale, di cui era debitore particolarmente nel lessico e negli artifici retorici. Il siciliano assumeva così i caratteri di una lingua d’arte, che su-perava i confini regionali e poteva fungere da modello per la successiva tradizione letteraria.Le raccolte dei rimatori siciliani non ci sono pervenute nella versione originale, poiché, in seguito al crollo del regno di Federico II e all’estinzione della sua scuola poetica, tranne poche eccezioni esse andarono perdute. Furono i rimatori toscani che le trascrissero e le tramandarono, sentendosi gli eredi di quella esperienza poetica. Nella trascrizione, però, essi modificarono il volgare siciliano secondo i caratteri della propria lingua: i testi dei poeti federiciani vennero così toscanizzati.Questa operazione ha lasciato una traccia importante nella tradizione poetica italiana per quanto riguarda le rime. Infatti il sistema fonetico del siciliano prevedeva vocali toniche diverse da quello del volgare toscano, per cui si scriveva ad esempio ura o piaciri, che invece in toscano suonavano ora e piacere. Ne conseguiva che per i siciliani ura costituiva una rima perfetta ad esempio con pintura, rima perfetta che si perdeva nella trascrizione toscana ora/pintura. I copisti toscani però mantennero questa rima, considerandola una scelta consapevole dei poeti siciliani e quindi legit-timata dall’uso di predecessori tanto illustri. La rima siciliana è quindi una rima imperfetta, che tuttavia fin dal Duecento è stata adottata dai maggiori poeti, compreso lo stesso Dante, e quindi codificata nella tradizione.

La poesia toscana della «generazione di mezzo»La sconfitta definitiva degli svevi nel 1266 portò all’estinzione della scuola poetica siciliana. Ma già dal 1240 circa i testi dei poeti federiciani erano stati trascritti da poeti dell’area toscana che, nei decenni successivi, partendo dall’esperienza siciliana, diedero vita a un nuovo movimento poetico.Questi poeti sono chiamati siculo-toscani, per indicare da un lato la permanenza delle tematiche e dei moduli espressivi della lirica siciliana, dall’altro l’importante cambiamento linguistico, con la sostituzione del toscano al volgare siciliano. Si parla anche di generazione di mezzo, poiché que-sti poeti furono attivi fra il 1260 e il 1280 circa, collocandosi quindi sia cronologicamente sia per l’elaborazione tematica e formale fra la scuola siciliana e lo Stil Novo, il movimento letterario che si sviluppò a Firenze fra il 1280 e il 1310.

PAROLE DA CONOSCERELa parola sonetto, dal provenzale sonet che significa «piccolo suono», sottolinea l’origine musicale di questa forma metrica, anche se nella lirica siciliana l’accompa-gnamento musicale venne abbandonato.È un componimento dalla struttura chiusa e rigida. In-fatti è composto di quattordici versi endecasillabi sud-divisi in quattro strofe, due quartine e due terzine. Lo schema delle rime si ripete uguale nelle quartine:• alternate – ABAB/ABAB,• incrociate – ABBA/ABBA

mentre nelle terzine la combinazione può variare:• CDC/CDC, CDE/CDE, CDC/DCD, CDE/EDC.

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unità 1 LA POESIA

La poesia cortese nella realtà cittadinaRispetto alla tradizione cui consapevolmente si ispirava, la produzione poetica dei toscani presenta significativi aspetti di novità, che in gran parte erano dovuti al trapianto del modello originario in un contesto politico e sociale molto diverso.La realtà della Toscana della seconda metà del Duecento era caratterizzata dalla presenza dei liberi Comuni. Non c’era quindi un potere politico accentrato, dominato dalle ferree direttive del sovra-no, ma una realtà vivace ed eterogenea, percorsa dai contrasti delle diverse città rivali tra di loro e da quelli di fazioni politiche contrapposte anche all’interno delle stesse città; al loro interno emer-geva la borghesia mercantile, che veniva assumendo un ruolo egemone nella politica comunale.Il nuovo clima politico e sociale aveva importanti conseguenze sul ruolo dei poeti e sulla loro attività letteraria.La poesia toscana non può essere definita una «scuola» come quella siciliana, che era espressio-ne di un gruppo di poeti legato a un luogo specifico, la corte di Federico II. I poeti toscani infatti vivevano in città diverse – Lucca, Arezzo, Pistoia, Siena, Firenze – e questa diversa appartenenza generava varietà nell’ispirazione. Inoltre essi non erano più dei funzionari di corte, ma cittadini che partecipavano attivamente alla vita politica della città, impegnandosi direttamente nel dibattito ideologico e prendendo parte alle lotte interne.Nella nuova realtà i contenuti e le finalità della poesia cambiavano, prestandosi a divenire strumen-to di intervento nelle vicende contemporanee ed espressione delle passioni ideologiche e politiche degli autori. Da questa situazione deriva la più vistosa novità dei toscani rispetto ai loro prede-cessori; infatti, accanto al tradizionale tema amoroso, essi trattavano frequentemente tematiche morali e civili, che erano state totalmente ignorate dalla scuola siciliana.Le forme metriche utilizzate rimanevano quelle codificate dalla scuola siciliana, sonetto e canzone – quest’ultima riservata soprattutto agli argomenti politici – cui si aggiungeva la ballata.Il maggior esponente del movimento fu Guittone d’Arezzo, considerato un caposcuola, anche se il più antico fu forse Bonagiunta Orbicciani da Lucca. A Firenze operarono Chiaro Davanzati e Monte Andrea.

la storia

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530 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. Io m’ag[g]io… servire: io mi sono proposto di servire Dio. La parentesi quadra segnala integrazioni fatte dalla critica recente rispetto alla grafia della tradizione manoscritta.

2. com’io potesse gire: in modo (com) da poter andare (gire).3. ch’ag[g]io audito dire: del quale ho sentito parlare.4. u’: dove, forma tronca dell’avverbio latino ubi; si manten:

dura per sempre; sollazzo: piacere, divertimento.6. blonda testa e claro viso: capelli biondi e viso luminoso;

claro deriva dal latino clarus («che diffonde luce»), passato nell’espressione provenzale dama au cler vis. La sintetica de-scrizione fisica della donna riprende i canoni della bellezza femminile della poesia provenzale.

7. non poteria gaudere: non potrei aver gioia, godimento; gaudere, come servire del v. 1, è termine tecnico della poesia d’amore provenzale.

8. estando… diviso: essendo separato. 9. a tale intendimento: con l’intenzione.11. portamento: indica non tanto la bellezza quanto la manife-

stazione delle qualità morali e intellettuali.12. ’l morbido sguardare: il dolce sguardo.13. ché lo… consolamento: perché lo considererei (teria) per

me una grande consolazione, felicità.14. in ghiora: nella gloria del Paradiso; ghiora è forma popo-

lare.

Io m’ag[g]io posto in core a Dio servire,com’io potesse gire in paradiso,al santo loco ch’ag[g]io audito dire,u’ si manten sollazzo, gioco e riso.

Sanza mia donna non vi voria gire,quella c’ha blonda testa e claro viso,ché sanza lei non poteria gaudere,estando da la mia donna diviso.

Ma non lo dico a tale intendimento,perch’io pec[c]ato ci volesse fare;se non veder lo suo bel portamento

e lo bel viso e ’l morbido sguardare:ché lo mi teria in gran consolamento,veg[g]endo la mia donna in ghiora stare.

Poeti del Duecento, a cura di G. Contini, Ricciardi, Milano-Napoli 1960

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UN TESTO SPIEGATO

Iacopo da Lentini

IO M’AGGIO POSTO IN CORE A DIO SERVIRE1233-1241

Iacopo da Lentini fu tra gli iniziatori della scuola siciliana e uno dei suoi massimi esponenti. Già gli antichi manoscritti che raccolsero la produzione poetica siciliana gli assegnarono il ruolo di caposcuola. Anche Dante, nel canto XXIV del Purgatorio, lo sceglie come rappresentante dei poeti della corte federiciana.Della sua vita si hanno scarse notizie, però è certo che fu funzionario di Federico II tra il 1233 e il 1240, tanto da essere indicato come il Notaro per antonomasia, e che morì intorno al 1250. Le liriche sicuramente attribuibili a lui che ci sono pervenute sono trentotto e comprendono tutte le forme utilizzate dai siciliani: il sonetto, di cui Iacopo da Lentini fu l’inventore, e poi la canzone, la canzonetta.

In questo sonetto, uno dei suoi più famosi e più riusciti, il poeta esprime il proposito di andare in Paradiso, dove però potrebbe essere felice solo insieme alla donna amata.

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unità 1 LA POESIA 531

RACCOGLIAMO LE IDEE

IL TESTOIl sonetto ha una struttura metrica e sintattica bipartita, che riflette un’analoga distribuzione dei contenuti. Ciascuna quartina corrisponde a un periodo sintattico, mentre le due terzine sono costituite da un unico e più complesso periodo.Nella prima quartina il poeta dichiara di voler obbedire alle leggi di Dio nella speranza di es-sere accolto, dopo la morte, in Paradiso. Nella seconda, però, aggiunge che se lì non dovesse trovare la donna amata tutte le delizie celesti non gli potrebbero bastare. Nelle terzine sembra voler attenuare il significato di quanto ha appe-na affermato, chiarendo che nelle sue intenzioni non c’è nulla di peccaminoso, poiché la pienezza della sua felicità sta nella pura contemplazione della donna nella gloria celeste.

I TEMI E IL POETATutto il sonetto presenta l’oscillazione tra un at-teggiamento devoto (il proposito di servire Dio, il santo loco, il non voler peccare) e l’insopprimi-bile desiderio di felicità terrena, oscillazione che manifesta il difficile rapporto tra amor sacro e amor profano, ovvero amore per Dio e amore per la donna. Lo stesso Paradiso è presentato come un luogo di piaceri e divertimenti, intesi in senso molto umano e concreto (sollazzo, gioco e riso) che contrastano con la sua sacralità (san-to loco), al punto che la beatitudine celeste non sarebbe compiuta senza la presenza della donna amata. Il Paradiso appare quindi desiderabile per il poeta, perché lo immagina come il luogo in cui potrà soddisfare in eterno i suoi deside-ri profani. E questa prospettiva molto umana è solo parzialmente corretta dalla precisazione espressa nelle terzine: se il poeta dice che si sen-tirebbe appagato dalla sola ammirazione della bellezza della sua donna, è anche vero che questa è la condizione per poter essere compiutamente e perfettamente felice. Si aggiunga inoltre che il verbo servire, che qui indica l’obbedire a Dio, è termine tecnico della lirica amorosa proven-zale, cioè un termine utilizzato con un signifi-cato specifico, derivato dal linguaggio feudale: servitù d’amore era infatti la totale sottomissione dell’amante alla donna amata.

Questa doppia ispirazione, spirituale e terrena, ha dato luogo a interpretazioni critiche anche divergenti. Da un lato il proposito del poeta e l’immagine finale sono stati letti come un per-corso di elevazione morale attraverso l’amore, mediato da una donna fortemente spiritualizza-ta. Da un altro, invece, il sonetto è stato visto come espressione della contraddizione insana-bile tra amore terreno ed etica cristiana e come rappresentazione della beatitudine celeste, in termini materiali e umani.L’immagine femminile è fortemente stilizzata secondo i canoni della poesia provenzale; è una figura eterea e luminosa, rivelatrice della sua raffinatezza interiore e consona alla sua collo-cazione celeste. Gli aggettivi blonda e claro, che descrivono sinteticamente l’aspetto fisico della donna, sono due provenzalismi.Fondamentale è anche la funzione della vista. Nelle terzine tre diverse parole rimandano al si-gnificato di «vedere» – veder, sguardare, veggendo – e il sonetto si chiude sull’immagine appagante della visione della donna.Lo stesso Iacopo da Lentini in un suo famoso sonetto, Amore è uno desio che ven da core, aveva teorizzato che la vista è all’origine dell’esperien-za tutta interiore dell’amore.

LA METRICASonetto con schema a rime alterne nelle quar-tine (ABAB ABAB) e nelle terzine (CDC DCD).Da notare la rima siciliana servire/dire/gire/gaudere. Sono rime ricche dire/gaudere e inten-dimento/portamento/consolamento. Si tratta di procedimenti che testimoniano la perizia tecni-ca dell’autore.La rima servire/gaudere sottolinea la problema-tica coesistenza di propositi religiosi e desideri terreni.La struttura metrica e la sintassi sono scandite e lineari nelle quartine, nelle quali il poeta espri-me quasi con candore e semplicità la sua conce-zione di perfetta felicità. Nelle terzine, che rap-presentano invece l’insorgere del ripensamento e il momento della riflessione, la costruzione sintattica e il ritmo sono più mossi e articolati.

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532 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. la stella: è soggetto. Costruisci: «Così come la stella guida i marinai».

2. che per lei… vïag[g]io: che grazie a lei intraprendono e orientano il proprio viaggio.

3. e chi… d’ella: e chi per suo folle errore si allontana (si parte) da lei.

4. tostamente: immediatamente; danag[g]io: fatica, difficoltà.5. dritta lumera: la luce giusta, sicura.6. ’l mi’ corag[g]io: il mio cuore, si riteneva che il coraggio ri-

siedesse nel cuore; coraggio è un provenzalismo.7. pulzella: fanciulla.

8. di cui… segnorag[g]io: di cui l’Amore mi ha posto in con-dizione di servitù, di obbedienza.

9-10. ché: poiché; fella a gir: difficile ( fella) da condurre (gir); non ag[g]io: non ho.

11. La qual: si riferisce alla donna, alla sua luce; disparere: scomparire.

12. laove apar: dove compare.14. sì conquiso: a tal punto conquistato.15. per voi: grazie a voi.16. merzé: per favore; diviso: separato, allontanato.

Monte Andrea

SÌ COME I MARINAR GUIDA LA STELLAseconda metà XIII secolo

Monte Andrea era fiorentino, ma visse a Bologna. Fu attivo nella seconda metà del XIII secolo e scrisse un’ampia raccolta di poesie, soprattutto sonetti e una decina di canzoni. Con le sue rime fu in corrispondenza con molti altri poeti toscani, soprattutto con Guittone e Chiaro Davanzati.Il suo stile è prezioso e ricercato; egli fu anche uno sperimentatore di novità metriche: a lui viene fatta risalire la forma estesa di sonetto, composto di sedici versi. In questa variante del sonetto le due quartine sono sostituite da una strofa di dieci versi, che corrisponde alla fronte della stanza di canzone, seguita dai sei versi delle due terzine, corrispondenti alla sirma.

Il sonetto proposto presenta appunto questa forma estesa e sviluppa un tema ricorrente della lirica cortese: la donna è paragonata alla stella non solo per la sua bellezza, ma perché è per il poeta una guida sicura, che gli indica la giusta via nel viaggio dell’esistenza.

8 Il poeta si riferisce alla donna che esercita su di lui la signoria, il potere (segnorag[g]io): è evidente la ripresa del tema provenzale della «servitù d’amore».

12 La bellezza della donna è anche espressione della sua perfezione morale.

Sì come i marinar guida la stella,che per lei ciascun prende suo vïag[g]io,e chi per sua follia si parte d’ellaradoppia tostamente suo danag[g]io:la mia dritta lumera qual è, quellache guida in terra me e ’l mi’ corag[g]io?Voi, gentile ed amorosa pulzella,di cui m’ha mess’Amor in segnorag[g]io,ché troppo è scura la mia vita e fellaa gir, se vostra lumera non ag[g]io.

La qual fa disparere ogn’altra luce,ché, laove apar vostro angelico viso,altro splendor giamai non vi riluce.Pulzella, poi m’avete sì conquisoche sol per voi mia vita si conduce,merzé, dal vostro amor non sia diviso.

Poeti del Duecento, cit.

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unità 1 LA POESIA 533

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Individua lo schema delle rime.

2. Dividi in sillabe i primi quattro versi della poesia. Quale tipo di verso riconosci?

3. Con l’aiuto dell’introduzione e delle note, fai la parafrasi del sonetto.

4. Rintraccia nel testo e trascrivi tutte le parole che appartengono al campo semantico della luce.

5. La prima strofa è costruita su una lunga similitudine: analizzala completando la seguente tabella.

i due elementi della similitudine sono

la qualità comune ai due elementi della similitudine è

gli effetti prodotti rispettivamente da ciascuno dei due elementi della similitudine sono

6. Individua e trascrivi le parole con cui il poeta esalta rispettivamente le virtù morali e le qualità fisiche della donna.

virtù morali qualità fisiche

7. Tra stella e pulzella (vv. 1 e 7) c’è una rima semantica: spiega in che cosa consiste.

Riflettere

8. Indica quali temi e motivi propri della tradizione provenzale e siciliana sono ripresi dal sonetto.

La bellezza insuperabile della donna

L’indifferenza della donna verso il poeta innamorato

La soggezione di tipo feudale rispetto alla donna amata

La descrizione dettagliata dell’aspetto fisico della donna

Il paragone della donna con la divinità

9. Spiega con qualche esempio significativo se il lessico e la sintassi del sonetto sono semplici e di immediata compren-sione oppure complessi e ricercati.

Scrivere

10. Scrivi un testo espositivo di circa 150 parole sul seguente ar-gomento: «Il ruolo assunto dalla donna per il poeta, nella poesia di Monte Andrea».

Dama lega le mani dell’amato con fili d’oro, segno di eterno amore,

miniatura dal Codice Manesse, XIV sec.

Page 38: Letteratura Origini Web

534 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. splendïente luce: splendente luce; si riferisce alla luce del sole.

3. cotant’ha… guardare: il suo aspetto (guar-dare) ha tanto potere (vertute).

4. che sovra… splendore: che il suo splendore è superiore a qualsiasi altra fonte di luce.

5. face alegrare: dà gioia; l’espressione è un’eco del linguaggio della lirica provenzale.

6. mirando lei: guardandola.7. adesso: subito, immediatamente; è un fran-

cesismo.8. sormonta e passa: supera; è una coppia si-

nonimica.

9. fan di lei bandiera: la prendono come sim-bolo.

10. imperatrice… costumanza: regina, cioè modello insuperabile, di comportamento cortese; la desinenza -anza è una derivazio-ne provenzale.

11. lumera: luce.12-14. e li pintor… dimostranza: e i pittori

sono soliti (per usanza) contemplarla (la mi-ran) per trarre esempio (trare asempro) da un viso così bello (sì bella cera) e darne testimo-nianza (dimostranza) a tutti.

Chiaro Davanzati

LA SPLENDÏENTE LUCE, QUANDO APAREseconda metà XIII secolo

I dati biografici relativi a Chiaro Davanzati sono molto incerti: vissuto nella seconda metà del Duecento a Firenze, morì probabilmente nel 1303. Dopo Guittone, è il più prolifico dei rimatori toscani. Ha lasciato infatti quasi duecento componimenti, tra sonetti e canzoni, in cui raccoglie l’eredità tematica e stilistica dei poeti provenzali e siciliani.

In questo sonetto ripropone il motivo della donna che con le sue virtù diffonde la gioia. Ella è talmente colma di qualità che viene presa come esempio da tutte le altre donne e i pittori la ritraggono per dare a tutti testimonianza della bellezza.

5 Madonna era l’appellativo attribuito alla donna amata in tutta la poesia d’amore medievale per esprimere la subordinazione del poeta innamorato. Dal latino mea domina, significava «mia signora». I poeti provenzali lo usavano addirittura al maschile, midons, che normalmente era rivolto al feudatario, per sottolineare l’affinità tra la soggezione amorosa e quella feudale.

12-14 Il motivo del ritratto come immagine mentale che il poeta conserva della donna amata era ricorrente nella poesia siciliana. In particolare questi versi riprendono l’immagine di una canzonetta di Iacopo da Lentini.

La splendïente luce, quando apare,in ogne scura parte dà chiarore:cotant’ha di vertute il suo guardare,che sovra tutti gli altri è ’l suo splendore:

così madonna mia face alegrare,mirando lei, chi avesse alcun dolore;adesso lo fa in gioia ritornare,tanto sormonta e passa il suo valore.

E l’altre donne fan di lei bandiera,imperatrice d’ogni costumanza,perch’è di tutte quante la lumera;

e li pintor la miran per usanzaper trare asempro di sì bella cera,per farne a l’altre genti dimostranza.

Poeti del Duecento, cit.

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unità 1 LA POESIA 535

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Individua lo schema delle rime e il tipo di verso usato.

2. Con l’aiuto delle note fai la parafrasi di ciascuna strofa.

3. Le quartine sviluppano la similitudine tra il sole e la donna; la caratteristica comune su cui si basa il rapporto di somiglianza è:

la luce che rallegra e rasserena

lo straordinario potere esercitato dal sole come dalla donna

la capacità del sole come della donna di dissipare la tristezza

la bellezza della donna e dell’astro

4. Quali sono gli effetti di questa comune caratteristica, rispettivamente nel caso del sole e della donna?

5. Nella prima quartina la potenza luminosa del sole è sottolineata dall’antitesi scura parte/chiarore: qual è, nella seconda quartina, l’antitesi corrispondente che esprime lo straordinario potere che emana dalla vista della donna?

6. Il tema delle terzine è l’ineguagliabile perfezione della donna: con quali argomenti il poeta esprime la superiorità della sua amata su qualsiasi altra creatura?

7. Individua e trascrivi i termini di derivazione provenzale. Che cosa significa la presenza di questi ter-mini nel testo poetico?

Riflettere

8. Confronta questo sonetto di Chiaro Davanzati con il sonetto di Monte Andrea Sì come i marinar guida la stella. Individua somiglianze ed eventuali differenze e completa la tabella seguente:

aspetto fisico della donna

paragoni attraverso cui viene espressa la lode della donna

effetti della visione della donna

somiglianze differenze somiglianze differenze somiglianze differenze

9. Ora confronta il sonetto di Davanzati con il sonetto di Iacopo da Lentini Io m’aggio posto in core a Dio servire e individua, illustrandole brevemente, le principali analogie e differenze che emergono nella rappresentazione della donna.

10. Quali elementi del sonetto rimandano alla poesia provenzale?

Scrivere

11. Sul sonetto che hai preferito fra quelli proposti, scrivi un testo espositivo-argomentativo di circa 300 parole che sviluppi i seguenti punti.

– Presentazione della lirica: autore, data di composizione, movimento poetico cui appartiene. – Interpretazione dei contenuti: qual è il tema del sonetto? A quale tradizione poetica si ispira? Quali

sono gli elementi che rivelano maggiormente l’influenza di questa tradizione? – Analisi dello stile: quali sono le principali caratteristiche del lessico utilizzato? Quali figure retoriche

riconosci? La sintassi è semplice o complessa?

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536 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. A la stagion… fiora: nella stagione in cui il mondo mette foglie e fiori ( foglia e fiora sono verbi).

2. acresce: aumenta, si intensifica; fin’ amanti: gli amanti gen-tili, con esplicito richiamo all’amor fino della poesia proven-zale.

3-4. alora / che gli auscelletti: mentre gli uccelletti.5. la franca gente: le persone di animo nobile. Franco è un

francesismo: come primo significato aveva «libero» e indi-cava la condizione delle persone nobili.

6. e di servir… inanti: e ciascuno è pronto a innamorarsi; ser-vir allude al servizio d’amore, secondo la dottrina dell’amor cortese.

7. in gioia dimora: attende piena di gioia; dimorare, nel senso di indugiare, aspettare, è un latinismo.

8. a me… pianti: io sono preda di sgomento, smarrimento e pianti.

9. Ca… er[r]ore: poiché (ca è un francesismo) mio padre mi ha messa in un doloroso conflitto.

10. e tenemi: e mi costringe; doglia: dolore.11. donar… segnore: mi vuole dare marito contro la mia vo-

lontà (a mia forza).12. disìo: desiderio.14. però: perciò.

Compiuta Donzella

A LA STAGION CHE ’L MONDO FOGLIA E FIORAseconda metà XIII secolo

Compiuta Donzella è l’unica voce femminile della poesia in volgare duecentesca di cui si abbia conoscenza. Le notizie sulla sua vita sono scarsissime e incerte: si sa che era fiorentina e che fu in contatto con altri rimatori toscani del periodo, fra cui Guittone d’Arezzo. Di lei ci sono pervenuti soltanto tre sonetti.

Il sonetto proposto tratta il tema della «malmaritata», cioè della fanciulla costretta controvoglia alle nozze. Il tema, ricorrente nella tradizione popolare, è sviluppato dall’autrice con uno stile elegante e ricco di riferimenti letterari.

1 Nella poesia trobadorica il risveglio della natura nella stagione primaverile era spesso associato allo sbocciare del sentimento amoroso.

3-8 La descrizione lieta e festosa dei giovani innamorati si contrappone alla condizione di infelicità e solitudine della poetessa.

14 L’immagine iniziale della natura rigogliosa torna nell’ultimo verso, ma con un significato rovesciato.

A la stagion che ’l mondo foglia e fioraacresce gioia a tut[t]i fin’ amanti,e vanno insieme a li giardini alorache gli auscelletti fanno dolzi canti;

la franca gente tutta s’inamora,e di servir ciascun trag[g]es’inanti,ed ogni damigella in gioia dimora;a me, n’abondan mar[r]imenti e pianti.

Ca lo mio padre m’ha messa ’n er[r]ore,e tenemi sovente in forte doglia:donar mi vole a mia forza segnore,

ed io di ciò non ho disìo né voglia,e ’n gran tormento vivo a tutte l’ore;però non mi ralegra fior né foglia.

Poeti del Duecento, cit.

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Page 41: Letteratura Origini Web

unità 1 LA POESIA 537

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Individua lo schema delle rime.

2. Suddividi in sillabe i primi quattro versi, individua le eventuali figure metriche e riconosci il tipo di verso usato.

3. Con l’aiuto delle note, fai la parafrasi di ciascuna strofa.

4. Il tema delle quartine è:

la descrizione della bellezza del paesaggio primaverile

l’infelicità della protagonista

lo sbocciare dell’amore e della vita in primavera

la celebrazione dei comportamenti cortesi

5. Qual è invece quello delle terzine?

6. Completa la tabella, elencando i comportamenti e i sentimenti dei giovani innamorati e quelli della protagonista.

i giovani innamorati la protagonista

sentono crescere la gioia è in preda allo smarrimento e al pianto

7. Individua e trascrivi tutte le parole e le espressioni che appartengono al linguaggio dell’amor cortese.

8. Il lessico ti sembra semplice o raffinato? Motiva la tua risposta con qualche esempio tratto dal testo.

9. La sintassi è complessa o semplice? Prevale l’ipotassi o la paratassi? Fai qualche riferimento al testo per sostenere la tua risposta.

Riflettere

10. Per quali motivi, secondo te, la primavera è associata allo sbocciare dell’amore?

11. Qual è lo stato d’animo della protagonista di fronte alla bellezza della natura primaverile? Da che cosa nasce?

12. Quali elementi propri della poesia cortese ricorrono nel testo?

Scrivere

13. In un testo espositivo-argomentativo di circa 200 parole, indica e spiega brevemente quali aspetti e temi del sonetto analizzato rivelano una sensibilità femminile.

Page 42: Letteratura Origini Web

538 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. desio: desiderio, nel senso anche più generale di sentimento; ven: viene.

2. per abondanza… piacimento: per la grande bellezza [che procura piacere].

3. e li occhi… amore: e gli occhi per primi generano l’amore.4. e lo core… nutricamento: poi il cuore lo nutre, lo alimenta.5-6. ben è… ’namoramento: può esserci (Ben è) talvolta (alcu-

na fiata) chi si innamora (om amatore) senza vedere la perso-na amata (so ’namoramento). In questi versi il poeta allude a una teoria provenzale secondo cui era possibile innamorarsi di una donna senza averla mai vista direttamente, ma solo sentendone lodare le virtù.

7. quell’amor… furore: il sentimento amoroso che si sente in modo più intenso, più forte.

8. à nas[ci]mento: nasce, ha origine. 9. ché: poiché; rapresenta[n]: raffigurano, mostrano.10. d’onni cosa… rio: di ogni cosa che vedono le qualità buone

e cattive (bono e rio).11. com’è… natural[e]mente: come si presenta in natura.12. che… concepitore: che raccoglie in sé tutto ciò (zo), cioè le

impressioni procurate dalla vista, dagli occhi.13. imagina: letteralmente «immagina», nel senso che il cuore

costruisce un’immagine mentale della persona amata che, attraverso gli occhi, lo ha colpito con la sua bellezza; disio: cfr. v. 1.

14. regna: è presente, vive; è un provenzalismo.

VERIFICA FORMATIVAIacopo da Lentini

AMOR È UNO DESIO CHE VEN DA CORE1233-1240

Questo sonetto di Iacopo da Lentini fa parte di una tenzone. Così si chiamavano le discussioni che i poeti siciliani erano soliti sostenere attraverso la composizione di sonetti in cui ciascun autore illustrava le proprie convinzioni intorno al tema dell’amore.In questo caso la disputa verteva sulla natura dell’amore ed era composta, oltre che dal sonetto di Iacopo da Lentini qui riportato, dai componimenti di Jacopo Mostacci e di Pier della Vigna.Il «Notaro» riprende qui una teoria di Andrea Cappellano, secondo cui l’amore può nascere sola-mente dalla vista della persona amata per la sensazione di grande piacere procurata dalla sua bellezza. Solo in seguito il cuore elabora quell’originaria sensazione fisica e la nutre con immagini e sentimenti, dando origine alla passione amorosa.

Amor è un[o] desio che ven da coreper abondanza di gran piacimento,e li occhi imprima genera[n] l’amoree lo core li dà nutricamento.

Ben è alcuna fiata om amatoresenza vedere so ’namoramento,ma quell’amor che stringe con furoreda la vista de li occhi à nas[ci]mento,

ché li occhi rapresenta[n] a lo cored’onni cosa che veden bono e rio,com’è formata natural[e]mente;

e lo cor, che di zo è concepitore,imagina, e [li] piace quel disio:e questo amore regna fra la gente.

Poeti del Duecento, cit.

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unità 1 LA POESIA 539

Analizzare e comprendere

1. Individua e trascrivi lo schema delle rime.

2. Dividi in sillabe i versi della prima quartina e riconosci il tipo di verso utilizzato.

3. Con l’aiuto delle note, fai la parafrasi di ciascuna strofa.

4. Individua nel testo le espressioni e le parole che appartengono al campo semantico del «vedere».

5. Rintraccia nel testo il verso e l’espressione precisa in cui il poeta indica la caratteristica dell’oggetto amato che suscita l’insorgere dell’amore.

6. L’argomento del sonetto è:

la dimostrazione della superiorità della donna amata

la lode della bellezza della persona amata

la tesi dell’autore circa l’origine dell’amore

gli obblighi del poeta innamorato verso la donna

7. A proposito della natura dell’amore l’autore sostiene che:

l’amore è un sentimento che nasce dalla vista della persona amata

si può amare senza aver mai visto l’oggetto del proprio amore

l’amore è un sentimento superficiale

l’amore consiste solo nel piacere per la vista della persona amata

Riflettere

8. Parti dai dati che hai raccolto nell’esercizio 4 e spiega per quale motivo nel testo le espressioni e le parole che appartengono al campo semantico del «vedere» sono così frequenti.

9. Spiega perché questo sonetto ha una struttura e dei contenuti di tipo argomentativo. Utilizza le infor-mazioni dell’introduzione e delle note.

Scrivere

10. Raccogli le tue conoscenze di studio sulla poesia d’amore medievale e le informazioni che accompa-gnano questo sonetto di Iacopo da Lentini. Quindi scrivi un testo espositivo di almeno 200 parole sul seguente argomento: «La concezione dell’amor cortese nel sonetto Amor è uno desio che ven da core».

Sviluppa i seguenti punti:

– in quale realtà si colloca l’amor cortese;

– come si esprime a livello letterario l’amor cortese;

– a quale epoca e a quale contesto politico e sociale appartiene il sonetto in esame;

– a quale teoria si attiene Iacopo da Lentini per spiegare l’origine dell’esperienza amorosa;

– qual è l’origine dell’esperienza amorosa secondo l’autore del sonetto analizzato;

– quali sono le qualità della persona amata che generano l’innamoramento;

– come si sviluppa il primo nucleo dell’esperienza amorosa;

– quali sono lo stato d’animo e l’atteggiamento dell’innamorato.

VERIFICARE LE COMPETENZE

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540 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

tracceLa lirica d’amore ha riproposto spesso, nel corso dei secoli, immagini e concezioni della poesia cor-tese. La rappresentazione della donna come essere superiore all’uomo, se non addirittura angelico, è diventato un topos letterario, che è stato ripreso sino ai giorni nostri. Ne sono esempio la figura che giunge al poeta traversando l’alte nebulose, protagonista di una famosa poesia di Eugenio Montale, così come la protagonista del racconto di Italo Calvino L’avventura di uno sciatore, la cui leggerezza ed eleganza sugli sci si contrappongono alla pesantezza e alla goffaggine di un gruppo di ragazzi. Umberto Saba nella poesia A mia moglie riprende il tema della lode nei confronti della donna, che viene considerata una possibilità per l’uomo di avvicinarsi a Dio. La poesia inoltre richiama il Canti-co delle creature, sia nella forma della preghiera sia per la concezione religiosa che avvicina tutte le creature dell’universo.Al Cantico di frate sole si rifà chiaramente la poesia di Gabriele D’Annunzio La sera fiesolana, che rilegge la lode agli elementi della natura in una chiave laica e allo stesso tempo quasi fiabesca.

MOTIVI DELLA LIRICA DUECENTESCA NELLA LETTERATURA DEL NOVECENTO

8. incede: avanza.

1-2 Ogni strofa si apre con un’apostrofe alla donna e con il paragone con un animale. Questo è uno dei numerosi procedimenti di ripetizione e ripresa che caratterizzano la lirica e le conferiscono un ritmo simile a quello di una litania.

Tu sei come una giovane,una bianca pollastra.Le si arruffano al ventole piume, il collo chinaper bere, e in terra raspa;ma, nell’andare, ha il lentotuo passo di regina,ed incede sull’erbapettoruta e superba.È migliore del maschio.

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Umberto Saba

A MIA MOGLIEPoesie, 1911

Umberto Saba, il cui vero cognome era Poli, nacque a Trieste nel 1883 e morì a Gorizia nel 1957, un anno dopo la scomparsa della moglie, con la quale era sposato fin dal lontano 1909. La lirica proposta risale proprio all’anno del matrimonio e della prima produzione poetica dell’autore: fu composta infatti fra il 1909 e il 1910, e pubblicata per la prima volta nell’anno successivo.A mia moglie è poi entrata a far parte del Canzoniere, la raccolta poetica cui Saba lavorò tutta la vita, nella sezione iniziale intitolata Città e campagna. Nella poesia la moglie è paragonata a una serie di animali diversi, con i quali condivide qualità e tratti che ne esaltano l’unicità. La lirica è quindi una particolarissima lode alla propria compagna di vita, ma – celebrando tutte le femmine dei sereni animali – è anche una lode a tutte le donne.

Page 45: Letteratura Origini Web

unità 1 LA POESIA 541

È come son tuttele femmine di tuttii sereni animaliche avvicinano a Dio.Così se l’occhio, se il giudizio mionon m’inganna, fra queste hai le tue uguali,e in nessun’altra donna.Quando la sera assonnale gallinelle,mettono voci che ricordan quelle,dolcissime, onde a volte dei tuoi maliti quereli, e non saiche la tua voce ha la soave e tristemusica dei pollai.

Tu sei come una gravidagiovenca;libera ancora e senzagravezza, anzi festosa;che, se la lisci, il collovolge, ove tinge un rosatenero la sua carne.Se l’incontri e muggirel’odi, tanto è quel suonolamentoso, che l’erbastrappi, per farle un dono.È così che il mio donot’offro quando sei triste.

Tu sei come una lungacagna, che sempre tantadolcezza ha negli occhi,e ferocia nel cuore.Ai tuoi piedi una santasembra, che d’un fervoreindomabile arda,e così ti riguardacome il suo Dio e Signore.Quando in casa o per viasegue, a chi solo tentiavvicinarsi, i denticandidissimi scopre.

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18. assonna: fa addormentare.20. mettono voci: emettono suoni.21. onde: con cui.22. ti quereli: ti lamenti.

26. giovenca: mucca giovane.27-28. libera… gravezza: ancora agile (libera)

e non appesantita dalla gravidanza.30-31. rosa/tenero: è soggetto.

18-24 Questi versi accostano alla descrizione una sorta di breve inserto narrativo, come avviene anche nelle tre strofe successive.

42-46 Tutta questa descrizione è incentrata sulla devozione assoluta della cagna al padrone. Da qui nasce il parallelo con una santa, di cui l’animale ha l’atteggiamento prostrato e l’espressione animata da un ardore interiore (fervore) indomabile.

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542 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

54. angusta: stretta.60-61. di cui/priva: senza i quali.72. arte: abitudine, consuetudine.77. provvida: letteralmente «che provvede per tempo», quindi saggia, previdente.82. pecchia: ape.

67-68 La rima baciata partorire/soffrire sottolinea il tema del dolore che si accompagna inevitabilmente alla vita.

72 Alla similitudinesi accompagna una profonda differenza: la moglie non si allontana come la rondine, ma rimane costantemente nel suo nido.

77-81 Si può ipotizzare, in questi versi, un’allusione alla celebre favola della cicala e della formica. L’operosità della formica è ripresa nella successiva similitudine con l’ape (pecchia).

Ed il suo amore soffredi gelosia.

Tu sei come la pavidaconiglia. Entro l’angustagabbia ritta al vedertis’alza,e verso te gli orecchialti protende e fermi;che la crusca e i radicchitu le porti, di cuipriva in sé si rannicchia,cerca gli angoli bui.Chi potrebbe quel ciboritoglierle? chi il peloche si strappa di dosso,per aggiungerlo al nidodove poi partorire?Chi mai farti soffrire?

Tu sei come la rondineche torna in primavera.Ma in autunno riparte;e tu non hai quest’arte.Tu questo hai della rondine:le movenze leggere;questo che a me, che mi sentiva ed eravecchio, annunciavi un’altra primavera.

Tu sei come la provvidaformica. Di lei, quandoescono alla campagna,parla al bimbo la nonnache l’accompagna.E così nella pecchiati ritrovo, ed in tuttele femmine di tuttii sereni animaliche avvicinano a Dio,e in nessun’altra donna.

U. Saba, Canzoniere, Einaudi, Torino 1961

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unità 1 LA POESIA 543

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Analizza la prima strofa: quali tipi di verso sono utilizzati?

2. Sempre nella prima strofa, individua le rime: sono disposte secondo uno schema prestabilito o in modo libero?

3. Rintraccia gli eventuali enjambements: sono rari o numerosi?

4. Verifica la presenza di assonanze e consonanze: usa, come campione, i primi cinque versi.

5. Ciascuna strofa si apre con la stessa espressione: Tu sei come… Di quale figura retorica si tratta? Di quale tipo di testi è caratteristico questo procedimento?

6. Individua quale, delle seguenti figure retoriche, si trova nei vv. 3-4:

metafora sineddoche chiasmo antitesi

Spiega com’è costruita la figura retorica individuata e quale funzione ha.

7. Individua la qualità su cui, in ciascuna strofa, il poeta costruisce la similitudine tra la propria moglie e ciascuno dei diversi animali cui la paragona, completando la seguente tabella.

strofa animale caratteristica

1 gallina semplicità, portamento regale

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6

8. Il lessico usato da Saba è molto semplice e quotidiano, tuttavia non mancano alcuni termini più ricer-cati. Illustra le due diverse scelte lessicali con qualche esempio tratto dal testo.

9. In quasi tutte le strofe la descrizione si conclude con l’allusione a un medesimo tema che accomuna la donna e gli animali. Si tratta

della semplicità della fedeltà della sofferenza dell’allegria

Riflettere

10. Il poeta stesso ha avvicinato questa sua poesia a una «preghiera»: su quali aspetti dello stile si può fondare questo accostamento? Utilizza le osservazioni raccolte nell’analisi.

11. Perché, secondo te, il poeta paragona la moglie a tutte le femmine dei sereni animali ma a nessun’altra donna?

12. Per quale motivo gli animali avvicinano a Dio?

13. Quali immagini o espressioni del testo rimandano alla poesia del Duecento?

Scrivere

14. Riassumi con le tue parole la similitudine che ti ha colpito di più e spiega per quale motivo ti sembra particolarmente efficace o significativa.

15. Scrivi un testo espositivo-argomentativo di circa 200 parole che illustri come alcune espressioni di questa poesia e l’immagine della donna delineata da Saba risentano della concezione della donna elaborata dalla poesia del Duecento.

Page 48: Letteratura Origini Web

544 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Gabriele D’Annunzio

LA SERA FIESOLANANuova Antologia, 1899

La sera fiesolana è una delle poesie più famose di Gabriele D’Annunzio. Pubblicata per la prima volta sulla rivista Nuova Antologia nel 1899, pochi mesi dopo la composizione, è poi confluita in Alcyone, una raccolta di ottantotto liriche in cui il poeta rievoca un’estate trascorsa in Toscana, sulle coste della Versilia. Le poesie, attraverso suggestive immagini paesaggistiche, ripercorrono i vari momenti dell’estate ed esprimono le intense emozioni con cui il poeta si immerge nella natura.La lirica fa parte della prima sezione di Alcyone, dedicata all’attesa che esploda la grande esta-te. Essa rappresenta la campagna di Fiesole, località presso Firenze, immersa nel crepuscolo di una giornata della tarda primavera, che esalta la dolcezza e la purezza del paesaggio. Il poeta innalza alla natura un inno dai toni sacrali, sottolineato dall’esplicita ripresa, dal Cantico di frate sole di Francesco d’Assisi, della formula della lauda. Il legame con il modello francescano è però del tutto esteriore: alla spiritualità francescana nella lirica di D’Annunzio si sostituisce un sentimento profano della natura, esaltata come fonte di intense emozioni e piaceri sensuali e associata alla passione sensuale per eccellenza, l’amore.

Metrica: tre strofe di quattordici versi di varia misura, intercalati da tre «laude» ciascuna di tre versi, di cui il primo (ende-casillabo) rima sempre con l’ultimo (quinario) della strofa precedente.

1-2. Fresche… sien: le mie parole nella sera siano per te fre-sche.

3. ne la man… coglie: nella mano del contadino che le coglie.4. ancor… lenta: si trattiene (attarda) ancora a compiere il la-

voro lento e faticoso (opra lenta).5. s’annera: si scurisce, poiché sta scendendo il buio della sera.6. fusto che s’inargenta: il tronco che assume una sfumatura

argentea nell’imbrunire appena rischiarato dalla luna che sta sorgendo.

7. rame spoglie: rami spogli, perché le foglie sono state colte; l’uso del femminile è un toscanismo.

8-9. è prossima… velo: sta sorgendo, è vicina (è prossima) all’orizzonte (soglie) di un azzurro pallido (cerule) e sembra che distenda davanti a sé una luce simile a un drappo.

10. ove… giace: dove il sogno d’amore del poeta e della donna (il nostro sogno) può posarsi (si giace).

12. da lei: dalla luna, come nel verso successivo.13. beva la sperata pace: assorba il refrigerio notturno, tregua

(pace) desiderata (sperata) durante la calura del giorno.14. senza vederla: benché la luna non sia ancora apparsa nel

cielo.

Fresche le mie parole ne la serati sien come il fruscìo che fan le fogliedel gelso ne la man di chi le cogliesilenzioso e ancor s’attarda all’opra lentasu l’alta scala che s’anneracontro il fusto che s’inargentacon le sue rame spogliementre la Luna è prossima a le sogliecerule e par che innanzi a sé distenda un veloove il nostro sogno si giacee par che la campagna già si sentada lei sommersa nel notturno geloe da lei beva la sperata pacesenza vederla.

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1-2 Il poeta si rivolge a un’anonima presenza femminile storicamente identificabile con l’attrice Eleonora Duse, con cui il poeta viveva in quegli anni e alla quale sono dedicate le poesie di Alcyone.

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unità 1 LA POESIA 545

15. pel tuo viso di perla: il chiarore della luna è paragonato all’incarnato chiaro e luminoso come una perla di un viso femminile.

16-17. e pe’… cielo: e per i tuoi grandi occhi umidi dove (ove) si raccoglie (si tace) la pioggia (l’acqua del cielo). La luna è personificata in una figura femminile dagli occhi bagnati di pianto.

19. bruiva: sussurrava, mormorava.20. fuggitiva: passeggera, di breve durata.21. commiato… primavera: come fosse il saluto (commiato)

commosso (lacrimoso) della primavera che sta finendo. La poesia era stata composta il 17 giugno del 1899, pochi giorni prima dell’inizio dell’estate.

23. novelli rosei diti: i giovani (novelli) germogli simili a dita infantili.

24. aura che si perde: la brezza che li sfiora e si allontana.25-26. su ’l grano… verde: sul grano che non è ancora maturo

(biondo) ma (e) non è più verde.27-28. su ’l fieno… trascolora: sul fieno che ha già subito (patì)

la falce, cioè è gia stato falciato, e cambia colore (trascolora) perché appassisce.

30-31. che fan… sorridenti: che danno ai colli (clivi) un tenue colore grigio-argento simbolo di santità e serenità (sorri-denti).

32-34. Laudata… odora!: Sii lodata, o Sera, per le tue vesti profumate (aulenti) e per la cintura (cinto) che ti stringe la vita (cinge) come il ramo di salice (salce) stringe il fieno pro-fumato (fien che odora). Persiste l’umanizzazione della sera che appare come una donna: le sue vesti hanno il profumo dell’erba e dei fiori, la sua cintura si può interpretare come il giro dell’orizzonte che abbraccia il paesaggio serale o come l’alone della luna.

35-38. Io ti dirò… monti: io ti svelerò (dirò) verso quali regni (reami) d’amore ci chiami il fiume, le cui sorgenti perenni ( fonti eterne) nell’ombra dei boschi secolari (antichi rami) scorrono mormorando (parlano) nel silenzio sacro e miste-rioso dei monti. I dati naturalistici – il fiume Arno che nasce dalle sorgenti del monte Falterona – sono trasfigurati in im-magini fiabesche (i reami d’amor) e mitiche; nella mitologia infatti le fonti dei fiumi erano considerate luoghi abitati dal-le divinità, per questo i monti sono definiti sacri.

Laudata sii pel tuo viso di perla,o Sera, e pe’ i tuoi grandi umidi occhi ove si tacel’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la serati sien come la pioggia che bruivatepida e fuggitiva,commiato lacrimoso de la primavera,su i gelsi e su gli olmi e su le vitie su i pini dai novelli rosei ditiche giocano con l’aura che si perde,e su ’l grano che non è biondo ancòrae non è verde,e su ’l fieno che già patì la falcee trascolora,e su gli olivi, su i fratelli oliviche fan di santità pallidi i clivie sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salceil fien che odora!

Io ti dirò verso quali reamid’amor ci chiami il fiume, le cui fontieterne a l’ombra de gli antichi ramiparlano nel mistero sacro dei monti;

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15-17 È la prima delle tre «laude» che citano il Cantico di Francesco d’Assisi. In esse la sera, come gli altri elementi naturali nel corso di tutta la lirica, viene personificata attraverso una serie di metafore.

29-30 Nell’appellativo fratelli si avverte un’altra eco francescana. L’ulivo, già sacro nell’antichità a Minerva, ha una lunga tradizione di simbolo religioso e per questo conferisce santità al paesaggio.

35-38 Nell’ultima strofa si accentua il tono evocativo e oscuro.

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546 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

39-48. e ti dirò… forte: e ti svelerò per quale misteriosa ragione (per qual segreto) le colli-ne si incurvino contro (su) i limpidi orizzon-ti come labbra che un divieto tiene chiuse, e [ti svelerò] perché il desiderio di parlare (la volontà di dire) le renda ( faccia) belle al di là di ogni desiderio umano (oltre ogni uman desire) e [le renda] benché mute (nel silenzio lor) sempre nuove portatrici di conforto (no-

velle consolatrici), tanto che sembra (sì che pare) che ogni sera l’anima le possa amare con un amore più intenso (d’amor più forte).

49. pura morte: la fine (morte) della sera è pura perché essa trapassa nella notte in modo len-to e discreto.

50-51. attesa… stelle: l’attesa [della notte] che nella sera (in te) fa tremolare il brillio (palpi-tare) delle prime stelle.

e ti dirò per qual segretole colline su i limpidi orizzontis’incùrvino come labbra che un divietochiuda, e perché la volontà di direle faccia belleoltre ogni uman desiree nel silenzio lor sempre novelleconsolatrici, sì che pareche ogni sera l’anima le possa amared’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitarele prime stelle.

G. D’Annunzio, Alcyone, Mondadori, Milano 1984

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39-40 Nel processo antropomorfico per cui la natura viene umanizzata, la curva delle colline richiama la curva di labbra trattenute da un divieto di parlare. L’immagine allude all’indicibilità del mistero della natura, attingibile solo dall’illuminazione poetica.

41-46 Il poeta è in grado di cogliere e svelare il messaggio segreto della natura e di catturarne la bellezza che si esprime con modalità e linguaggi diversi da quelli verbali.

49 Anche l’ultima lauda del Canticodi san Francesco era rivolta alla morte.

Berthe Morisot, Nei campi di grano a Gennevilliers, 1875.

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unità 1 LA POESIA 547

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Riconosci i versi usati nella prima strofa.

2. Individua le rime e le figure di suono presenti nella prima strofa.

3. Sempre nella prima strofa individua i versi e le espressioni che si riferiscono a sensazioni, in particolare visive e tattili.

4. La figura retorica presente nell’espressione iniziale Fresche le mie parole… è

chiasmo

climax

sinestesia

ossimoro

5. Nella prima edizione della poesia, l’autore ne aveva scandito il contenuto dando un sottotitolo a ciascuna delle tre strofe, e precisamente: «la natività della luna», «la pioggia di giugno», «le colline». Tenendo conto di queste indicazioni, sintetizza il contenuto delle tre strofe.

6. Osserva l’inizio di ciascuna delle tre strofe e della «lauda»: quale figura retorica riconosci?

anafora

metafora

antitesi

climax

Di quale tipo di testi è caratteristico questo procedimento?

Riflettere

7. Nella poesia la sera viene personificata attraverso il nome scritto con lettera maiuscola e soprattutto con l’attribuzione di caratteri e atteggiamenti propri di una donna. Individua e segnala le espressioni con cui nella lirica altri elementi naturali vengono umanizzati.

8. Individua nel testo le espressioni che permettono di capire che la misteriosa interlocutrice è la donna amata dal poeta.

9. Nella sua celebrazione della natura il poeta si ispira indifferentemente alla tradizione religiosa fran-cescana e alla mitologia pagana. Individua nel testo i versi in cui emergono riferimenti e immagini di natura mitologica.

10. Elenca i sentimenti profani che con maggiore evidenza vengono espressi nella lirica.

11. Nel Cantico di frate sole le creature sono lodate in quanto testimoniano l’infinita potenza e bontà di Dio. Che significato ha nella lirica dannunziana la lode della sera?

Scrivere

12. Illustra, in un testo espositivo di circa 150 parole, quale funzione dell’arte e quale compito del poeta emergono da questa lirica. Per elaborare il tuo testo, soffermati in particolare sull’ultima strofa.

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unità 2

LA PROSA

In questa unità

(Novellino) Tre novelle di «belli rispuosi»Anonimo senese, Il chierico e la Madonna(Novellino) Come uno re fece nodrire uno suo figliuolo anni dieci…(Novellino) Qui conta come la damigella di Scalot morì per amore

di Lancialotto del LacAnonimo, Come santo Francesco liberò la città d’Agobbio da uno fiero lupoJacopo da Varagine, Il beato Patrizio e il penitente NicolaoAnonimo, La predica agli uccelliMarco Polo, L’usanze e gli costumi de’ TartariMarco Polo, Le isole del mare di CinBonvesin de la Riva, Le meraviglie di Milano(Novellino) Marco Lombardo nobile uomo di corte

Tracce

I. Calvino, Le città e i segni: OliviaL. Mancinelli, Il cavaliere di Tannhaus

Testi ONLINE

(Novellino)Qui conta come i savi astrologi disputavano del cielo empirio

(Novellino)Qui conta di messere Rangone, come elli fece a un giullare

Niccolò e Matteo Polo si congedano

dall’imperatore Baldovino II a

Costantinopoli, miniatura,

particolare, XV secolo.

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unità 2 LA PROSA

ORIGINI E CARATTERI GENERALI

La prosa letteraria in volgare in Italia si sviluppò nella seconda metà del Duecento, con alcuni decenni di ritardo rispetto alla poesia. Nella prosa la concorrenza del latino e del francese era

molto forte. Il latino era la lingua della cultura filosofica e scientifica, mentre il francese era usato, soprattutto nell’Italia settentrionale, per la narrativa di intrattenimento, che riproponeva i contenuti dei poemi epici e dei romanzi cavallereschi d’oltralpe.

La primissima produzione in prosa fu rappresentata dai volgarizzamenti, che erano la trasposizio-ne in volgare italiano – spesso con consistenti rimaneggiamenti – di opere francesi o latine; solo in un secondo tempo si ebbero dei testi originali, direttamente scritti in volgare.Il contesto politico-sociale che favorì il fiorire di questa letteratura fu quello del Comune, dove i ceti sociali emergenti costituivano un nuovo pubblico che non conosceva il latino e aspirava a una formazione culturale anche in funzione del ruolo egemone che voleva svolgere nella città. Si trattava di cittadini impegnati nella realtà economica e politica, spesso di origine borghese, di flo-ride condizioni economiche, colti anche se non necessariamente dotati di un’istruzione superiore, curiosi e interessati ad arricchire e approfondire la propria cultura.La prosa si prestava efficacemente alla divulgazione del sapere e questa sua funzione è documen-tata dai generi e dalle tematiche di questa produzione. Un grande spazio al suo interno è infatti occupato dai testi di carattere «teorico»: ci sono trattati di contenuto morale, politico, retorico, che potevano fornire al nuovo pubblico strumenti culturali utili al governo della città; opere di natura enciclopedica, che fornivano una sintesi delle fondamentali conoscenze tecniche e scientifiche del tempo; o ancora cronache, cioè i primi tentativi di ricostruzione delle vicende storiche delle singole città, che stavano molto a cuore ai protagonisti della civiltà comunale.Non a caso la maggior fioritura della prosa in volgare si ebbe in Toscana e in particolare a Firenze, la città dove la borghesia assunse più precocemente e stabilmente la guida politica del Comune.

L’intento didascalico, cioè di insegnamento, era comunque una costante della prosa medievale e riguardava anche testi che non nascevano con questo unico e principale scopo. È il caso di opere come il Novellino e il Milione che, per diversi aspetti, costituiscono tappe fondamentali della civil-tà medievale e della storia letteraria italiana.

La narrativa in lingua d’oïlLa lingua d’oïl fu la lingua della poesia narrativa, che comprendeva i poemi epici e i romanzi cortesi. Entrambi questi generi letterari, con cui si inaugura la letteratura in lingua romanza, eb-bero uno straordinario successo immediato e rivestirono per tutte le letterature europee un ruolo fondamentale e prolungato nel tempo. Essi fornirono infatti un modello stilistico, ma soprattutto un ampio materiale tematico che venne assorbito e rielaborato in molte e diverse forme letterarie, lasciando tracce persistenti che arrivano fino alla letteratura contemporanea. Inoltre, poiché la loro diffusione fu ampia e differenziata, affidata sia ai testi letterari sia alla tradizione orale, influenzaro-no profondamente anche la cultura e l’immaginario popolare.

I più antichi poemi epici, denominati in Francia chansons de geste (canzoni di gesta), risalgono alla fine dell’XI secolo e si diffusero soprattutto nel XII e XIII secolo. Come l’epica classica, anche l’epi-ca medievale francese si propone di celebrare e tramandare, attraverso la narrazione di imprese eroiche ed esemplari, i valori fondativi di un popolo. Per questo motivo il racconto epico prende spunto da grandi vicende storiche che contraddistinguono le origini di una civiltà e le narra in chiave mitica. Il coraggio, l’abilità guerresca, la difesa della religione cristiana, la fedeltà al proprio sovrano sono gli ideali della civiltà feudale esaltati dalle canzoni di gesta.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Emblematica è la più antica e famosa di queste, La chanson de Roland, la cui prima versione risale al 1080. La vicenda è imperniata sull’eroico sacrificio del paladino Rolando che si immola per di-fendere la Francia e la cristianità dalla minaccia degli infedeli, durante la guerra che Carlo Magno e i suoi guerrieri – i paladini – combatterono nel 778 contro i Saraceni di Spagna. La chanson de Roland è all’origine di numerosi altri poemi che celebrano le gesta di Carlo Magno e dei suoi suc-cessori e che costituiscono il ciclo carolingio.

Nello stesso periodo fiorirono i romanzi cortesi, inizialmente composti in versi e solo più tardi anche in prosa. La parola roman, che in origine indicava qualsiasi testo in lingua romanza, già nel XII secolo designava un testo narrativo in versi destinato non al canto come i poemi epici, ma alla lettura. L’aggettivo cortese rimanda alla mentalità, ai costumi, ai valori delle raffinatissime corti feudali in cui queste opere nacquero e si diffusero.

Come i poemi epici, anche i romanzi cortesi celebrano valori quali l’ardimento, l’abilità militare, la forza, ma per esaltare non tanto un patrimonio di ideali collettivi quanto le virtù del singolo cavalie-re. Inoltre nei romanzi trovano largo spazio due tematiche totalmente assenti nel poema: l’amore e la magia. Diverse erano anche le finalità: il romanzo era un genere soprattutto di intrattenimento, mentre il poema perseguiva anche l’intento didascalico di diffondere valori e comportamenti.

I romanzi più celebri sono quelli che ruotano intorno alle avventure del leggendario Re Artù e dei Cavalieri della Tavola rotonda, il cosiddetto ciclo arturiano o bretone.

Esisteva anche un filone classico che rielaborò, rileggendole in una prospettiva medievale, le vi-cende di alcuni famosi personaggi storici o mitologici dell’antichità.I primi e più famosi sono il Roman de Thèbes, il Roman d’Eneas e il Roman de Troie: essi rielabora-vano un filone mitologico che attraverso Enea conduceva fino a Bruto, pronipote dell’eroe troiano e considerato – in quanto primo colonizzatore della Gran Bretagna – una sorta di antenato della stirpe britannica.

Già nel Medioevo si distingueva tra la materia di Francia che indicava i poemi epici del ciclo ca-rolingio, e la materia di Bretagna che raccoglieva le storie del ciclo arturiano.

La diffusione della produzione let-teraria relativa a questi due cicli fu massiccia in particolare in Ita-lia. Specialmente nelle regioni del Centro-Nord nel XIII e XIV secolo la tradizione narrativa francese fu assimilata dando vita alla prima produzione in prosa. Numerosi fu-rono i rifacimenti che utilizzavano la stessa lingua d’origine, cioè la lingua d’oïl, e i volgarizzamenti. Inoltre episodi e personaggi tratti dai poemi epici e dai romanzi cor-tesi ispirarono i contenuti di altre forme letterarie, in primo luogo la novella.

Maestro di Boucicaut, Carlo Magno torna in Francia dopo la morte di Orlando a Roncisvalle,miniatura tratta dalle Grandes Chroniques de France, 1415.

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unità 2 LA PROSA

LA NOVELLAUna forma medievaleNella novella confluiscono molti e differenziati modelli di forme e generi letterari, nonché elementi della narrazione orale. Di tutto ciò questo genere rappresenta la sintesi e anche il superamento. La sua affermazione come forma narrativa dotata di specificità e autonomia risale alla fine del XIII secolo, con la raccolta del Novellino, e raggiunge la piena maturazione artistica alla metà del XIV secolo con il Decameron di Giovanni Boccaccio.

Il termine «novella» deriva dal vocabolo latino novus e dal suo diminutivo novellus, che indicava tutto ciò che era nuovo, recente, e quindi anche un fatto «nuovo» e degno di menzione. L’uso del termine in ambito letterario per designare una forma di narrazione breve risale al più antico titolo del Novellino, cioè Libro di novelle e di bel parlar gentile, e si afferma nel corso del Trecento.A partire dall’Ottocento e soprattutto nel Novecento il termine viene progressivamente sostituito da quello di racconto. In origine tra le due denominazioni c’era una lieve differenza concernente il contenuto, poiché la novella indicava prevalentemente narrazioni di tipo realistico, mentre il voca-bolo «racconto» era usato in riferimento a storie di fantasia. Tuttavia questa distinzione è andata af-fievolendosi e oggi il termine «racconto» è sicuramente il più usato per definire la narrazione breve.

Gli antecedenti letterari che influenzano la nascita della novella italiana nel Medioevo apparten-gono a tradizioni culturali diverse. Si possono qui elencare sommariamente le principali:

i fabliaux, narrazioni in versi in lingua d’oïl caratterizzate da una marcata vena polemica e satirica;

i lais, anch’essi narrazioni in versi di provenienza francese, in lingua d’oïl, ma di contenuto sentimentale e cortese;

la narrativa orientale e in particolare araba, come la raccolta delle Mille e una notte, conosciuta per trasmissione orale o attraverso volgarizzamenti;

le vidas e razos, cioè le presentazioni di contenuto autobiografico o di spiegazione che accom-pagnavano le raccolte di liriche provenzali.

Un modello essenziale della novella è poi rappresentato dalle narrazioni di contenuto religioso, mol-to diffuse nel Medioevo per la corretta formazione morale dei cristiani. Se ne distinguevano due tipi:

la legenda (dal latino, «cose da leggere»): narrazioni sulla vita dei santi, proposte come modello da imitare;

l’exemplum («esempio»): brevi narrazioni che proponevano in forma semplice e piacevole con-tenuti di carattere morale.

Gli exempla, attraverso aneddoti di grande efficacia emotiva, avevano lo scopo di dimostrare la validità degli insegnamenti religiosi e di improntare il comportamento dei fedeli a fuggire i vizi e a seguire le virtù. Queste narrazioni erano largamente utilizzate nella predicazione orale, che si rivol-geva a un pubblico vasto e indifferenziato, ma dal XII secolo cominciarono a essere raccolte anche in testi scritti in latino, che costituivano una sorta di repertorio cui i predicatori potevano attingere.

Sul piano stilistico il modello più immediato della novella in origine è la narratio brevis che, secondo la retorica medievale, caratterizzava la fabula, cioè il racconto di un fatto inventato con lo scopo prevalente di evasione e intrattenimento. Infatti il racconto era breve, concentrato su un’unica azione, privo di altri elementi – descrizioni, riflessioni, analisi – che potessero distogliere l’attenzione dal contenuto fondamentale, lineare ed essenziale nel suo sviluppo.Rispetto alla struttura e ai tratti stilistici del racconto breve tradizionale, la novella già alle sue origini introduce molti caratteri di novità, quali l’ambientazione spesso realistica, la concretezza delle situazioni rappresentate, la caratterizzazione dei personaggi.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

IL NOVELLINO

Nella letteratura italiana al Novellino spetta un posto di rilievo: esso inaugura la tradizione della narrazione letteraria breve. Lo stesso termine novella con questo significato compare per la

prima volta proprio nel Novellino.Intorno all’origine, all’autore (o gli autori), alla consistenza originale dell’opera permangono ancora oggi molti dubbi, poiché il manoscritto originale non ci è pervenuto e della raccolta sono state tramandate numerose redazioni, diverse per numero e disposizione delle novelle.È comunque accertato che l’opera fu scritta in ambiente fiorentino tra il 1280 e il 1300.

Il titolo del manoscritto più antico, che risale al 1300 circa, è Libro di novelle e di bel parlar gentile, mentre il titolo attuale di Novellino fu introdotto da un letterato, monsignor Giovanni Della Casa, in occasione di un’edizione cinquecentesca.

La versione che si può leggere oggi comprende circa cento novelle, ciascuna delle quali è introdot-ta da una rubrica che sintetizza, in poche righe, il contenuto del racconto e ne costituisce il titolo. Nell’organizzazione delle novelle è possibile riconoscere un certo ordine, anche se non rigoroso, dato dal raggruppamento per temi e dalla disposizione gerarchica degli argomenti e dei personag-gi, che va dai più nobili ed elevati a quelli più popolari e quotidiani.

PAROLE DA CONOSCERE In latino la parola rubrica, deri-vata da ruber, «rosso», significava «creta rossa». Con questa sostanza nell’antichità si tingeva l’asta su cui veniva avvolto il rotolo di papiro o pergamena e si scrivevano i titoli. Analogamente nei manoscritti me-dievali il termine rubrica indicava tutto ciò che veniva scritto in colore rosso, cioè i titoli e le lettere iniziali dei capitoli. Per estensione il termi-ne si usò per designare i sommari di capitoli o di parti di un libro, anche se non scritti in rosso.

I temi, i personaggi, lo stileIl materiale tematico della raccolta è molto eterogeneo e non originale, ma ripreso sia da fonti let-terarie sia da fonti orali. Le fonti letterarie appartengono alla tradizione latina classica e medievale, a opere franco-provenzali, ma anche in misura consistente alla narrativa araba. Attingono a queste fonti le novelle che hanno come protagonisti personaggi famosi, antichi saggi, sovrani, e che narra-no episodi del passato storico o leggendario; risalgono invece probabilmente alla tradizione orale quelle ambientate nella realtà del Duecento.L’eterogeneità delle fonti si riflette nella tipologia dei personaggi, che sono cavalieri francesi come sultani arabi, imperatori romani e filosofi greci, signori e vescovi medievali, come figure mitologi-che e personaggi biblici.

Vincenzo Cabianca, I novellieri fiorentini del XIV secolo,

1860.

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unità 2 LA PROSA

Altrettanto variegata è l’appartenenza sociale dei personaggi: accanto a imperatori, signori feudali, uomini e dame di corte, grandi ecclesia-stici, figurano anche rappresentanti del popolo, mercanti, servitori, giullari, uomini e donne co-muni. Ciò che li accomuna è una qualità – del comportamento, dell’intelligenza, del linguaggio – che li rende protagonisti di un episodio degno di essere ricordato per il suo valore esemplare.Le novelle in generale sono molto brevi, alcune addirittura di poche righe, secondo il modello della narratio brevis medievale. La vicenda è presentata in modo molto stringato e la narra-zione si concentra essenzialmente sul fatto me-morabile – il gesto nobile, il motto di spirito, la beffa – che intende proporre. Mancano quindi ancora il gusto della descrizione di ambienti e situazioni, della caratterizzazione psicologica dei personaggi, dell’intreccio. Tuttavia, specialmente nelle novelle di ambientazione contempo-ranea e soprattutto fiorentina, si afferma un’attenzione nuova per l’identificazione dei personaggi, per la collocazione precisa nell’ambiente e nel tempo, per il dettaglio realistico.Lo stile è semplice e conciso, caratterizzato da una sintassi lineare e spesso paratattica, ma molto efficace nel condurre la rapida narrazione alla conclusione, dove solitamente si colloca l’azione o la battuta risolutiva.

La novità del NovellinoIl Novellino costituisce un momento fondamentale nello sviluppo della novella moderna. Come si è visto, i racconti che lo compongono presentano ancora alcuni caratteri della tradizione. La struttura, ad esempio, mantiene la sintesi e l’essenzialità della narrazione proprie dell’exemplum e la finalità è ancora in parte quella tipica della narrativa «esemplare», cioè proporre modelli di comportamento da imitare. Tuttavia novità radicali riguardano i contenuti, i valori proposti, lo scopo stesso del narrare vicende esemplari.

Le novità del Novellino vengono in luce già nel Prologo, che introduce la raccolta e ne costituisce la novella iniziale.In questo primo testo si trovano non solo l’anticipazione dei contenuti, ma l’individuazione del pubblico e la definizione dello scopo della narrazione. In ciascuno di questi ambiti si evidenzia con chiarezza la portata innovativa dell’opera.A proposito della materia, l’anonimo autore dice che il libro si propone di tramandare la memoria «d’alquanti fiori di parlare, di belle cortesie e di belli rispuosi e di belle valentie, di belli donari e di belli amori», cioè di una scelta (fiori) degli esempi più notevoli di detti memorabili, di azioni ispirate alle virtù cortesi, di risposte pronte ed efficaci, di comportamenti valorosi e magnanimi, di vicende amorose. Come si vede, al centro della narrazione sono posti valori propri di un’etica civile e mon-dana, che esalta, anziché svalutarle come avveniva nell’ottica religiosa degli exempla, qualità umane quali l’intelligenza, la prontezza e la vivacità della parola, la raffinatezza dei costumi e dei sentimenti.Il codice di comportamento proposto a modello è quindi profondamente mutato, e la stessa fun-zione educativa non esaurisce lo scopo dell’opera. Infatti le novelle potranno «rallegrare il corpo e sovenire e sostentare», vale a dire nutrire i lettori con il sapere, ma anche dilettarli, e saranno raccontate «a prode e a piacere», cioè per l’utilità, ma anche per il divertimento, di chi le ascolta.La narrazione si emancipava così dalla funzione didattica, per quanto di ispirazione laica, e riven-dicava una funzione di puro intrattenimento; nella raccolta non mancano infatti gli aneddoti del tutto privi di un insegnamento o addirittura di argomento licenzioso.

PAROLE DA CONOSCERE Derivate dal latino curtis, «corte», attraverso il proven-zale cortes, nell’età medievale le parole cortesia e cor-tese si riferivano all’insieme delle qualità e dei valori propri della corte feudale, come la nobiltà, la genero-sità, la raffinatezza, l’ardimento e così via. I termini ori-ginariamente identificavano quindi un codice morale e culturale proprio dell’aristocrazia feudale.

L’origine dei termini gentile e gentilezza risale al lati-no gens che indicava una stirpe, cioè i discendenti di un unico capostipite. Nel Medioevo gentilezza e gentile fi-niscono per indicare la nobiltà di origine. Con il tramon-to dell’età feudale, nella civiltà comunale dell’Italia del Duecento, il sostantivo gentilezza e l’aggettivo gentile perdono la connotazione strettamente legata all’origine aristocratica per designare piuttosto la nobiltà d’animo, un insieme di doti interiori e comportamenti elevati in-dipendenti dalla nascita.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Giovanni di Ser Giovanni detto Lo Scheggia, Scena di danza, nota come «il Cassone Adimari», particolare, 1445-1450 circa.

Il pubblico e la fortuna del NovellinoAltrettanto interessante è l’individuazione dei destinatari. L’autore si rivolge innanzi tutto a chi abbia «cuore nobile e intelligenzia sottile», cioè a un pubblico socialmente e culturalmente elevato, dotato delle qualità interiori di gentilezza e intelligenza, che lo rendono capace di «simigliare», ov-vero imitare e far rivivere i comportamenti raffinati e virtuosi dei protagonisti delle novelle. Questi primi destinatari potranno a loro volta riproporre e promuovere l’assimilazione di questi modelli a «coloro che non sanno e disiderano di sapere», cioè a un pubblico più vasto e meno colto, o addirittura illetterato.

Anche da questo punto di vista il Novellino si presenta come un’opera nuova e originale: la prosa narrativa si rivelava uno strumento letterario capace di raggiungere un pubblico ampio e di pro-muoverne l’ascesa sociale e culturale, diffondendo gli ideali di origine aristocratica e cortese – ele-ganza, decoro, eloquenza, sapere – presso gli strati sociali emergenti della realtà urbana.

La fortuna del Novellino è testimoniata innanzi tutto dalle numerose trascrizioni manoscritte che vennero prodotte subito dopo la sua composizione. Molti racconti entrarono nell’immaginario

popolare attraverso la trasmissio-ne orale, e furono anche ripresi da letterati italiani e stranieri dei secoli successivi nelle loro opere. Episodi e personaggi del Novelli-no si trovano infatti in opere de-gli italiani Giovanni Boccaccio e Matteo Maria Bandello, dello spa-gnolo Miguel de Cervantes, del francese François Rabelais.

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unità 2 LA PROSA 555

1. Messere Azzolino: Ezzelino da Romano fu signore della Marca Trevigiana nel XIII se-colo; è famoso per la sua spietatezza.

2. avea: aveva, come i successivi facea, capea; novellatore: come il seguente favolatore in-dica una sorta di giullare con il compito di intrattenere il suo signore.

3. il quale… verno: costruisci: al quale faceva raccontare [delle storie] nelle lunghe notti dell’inverno.

4. talento: desiderio.5. il: lo.6. villano: erano chiamati così gli abitanti della

campagna, chi non era cittadino; la parola deriva dal latino villa, che indicava la casa di campagna degli aristocratici.

7. centi bisanti: cento bisanti, monete d’oro bi-zantine.

8. berbici: pecore. 9. èbbene… bisante: ne ebbe, ne ottenne due

per ogni moneta d’oro, quindi duecento pe-core.

10. burchiello… piccolino: barca molto piccola.11. sì che… volta: tanto che non poteva conte-

nere (vi capea) che lo stesso contadino e una pecora alla volta.

12. Voca: voga.13. restò: smise, si interruppe.14. Va oltre: vai avanti, continua a raccontare.15. Che le pecore… sì che… dormire: il fatto è

che le pecore avrebbero impiegato un anno per passare, cosicché nel frattempo poté co-modamente (bene ad agio) dormire.

XXXI – Qui conta d’uno novellatore ch’avea mes[s]ere Azzolino

Messere Azzolino1 avea uno suo novellatore2 il quale facea favolare quand’erano le notti grandi di verno3. Una notte avvenne che ’l favolatore avea grande talento4 di dormire; e Azzolino il5 pregava che favolasse. El favolatore incominciò a dire una favola d’uno villano6 ch’avea suoi centi bisanti7; il quale andò a uno mercato a comperare berbici8, ed èbbene due per bisante9. Tornando con le sue pecore, un fiume ch’avea passato era molto cresciuto per una grande pioggia che venuta era. Stando alla riva, vide un pescatore povero con un suo burchiello a dismisura piccolino10, sì che non vi capea se non il villano e una pecora per volta11. Allora il villa-no cominciò a passare con una berbice e cominciò a vogare: lo fiume era largo. Voca12, e passa. E lo favolatore restò13 di favolare. E Azzolino disse: «Va oltre14». E lo favolatore rispose: «Lasciate passare le pecore, poi conte-rò il fatto». Che le pecore non sarebero passate in uno anno, sì che intanto puotè bene ad agio dormire15.

Novellino, a cura di G. Favati, F.lli Bozzi, Genova 1970

10

UN TESTO SPIEGATO

Anonimo

TRE NOVELLE DI «BELLI RISPUOSI»Novellino, 1280-1300

Le tre novelle proposte sono incentrate su quelli che nel Prologo dell’opera vengono detti i «belli rispuosi», cioè le battute di spirito pronte e brillanti. Nel Novellino il potere della parola ha un ruolo centrale: esso è espressione dell’intelligenza e spesso è anche lo strumento per risolvere brillantemente una situazione. Come emerge dalle novelle, l’arguzia e la prontezza di spirito possono caratterizzare anche personaggi appartenen-ti a ceti popolari. Si tratta di una specie di «democrazia dell’ingegno», che accomuna personaggi di estrazione sociale e culturale differente.

Page 60: Letteratura Origini Web

556 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

16. Aldobrandino: Aldobrandino dei Cavalcanti, vescovo di Orvieto dal 1271 al 1279; vivea: viveva.

17. Orbivieto: Orvieto, forma latina del nome della città da Urbs vetus, «città vecchia».

18. eravene: ve ne era.19. savorosamente: con grande gusto.20. fine appetito: buon appetito.21. do[n]zello: servitore.22. li scambiarei a stomaco: farei scambio con il suo stomaco.23. disseglile: glielo riferì.24. Va’… vescovado: Vai a dirgli che credo bene che scambie-

rebbe lo stomaco, ma non la condizione vescovile.

25. fedele: vassallo.26. che tenea sua terra: che conduceva, curava la sua terra [del

signore].27. contrada: campagna.28. fecelsi: se lo fece.29. Il fedele… per lui: il vassallo pensò fra sé (si pensò): poiché

gli piacciono, li curerò (guarderò) per lui.30. Sì si… imprunarli: Così decise di difendere la pianta di

fichi con arbusti spinosi (imprunarli) perché altri non li cogliessero.

XXXIV– Qui conta del vescovo Aldobrandino, come fu schernito da un frate

Quando il vescovo Aldobrandino vivea16 al vescovado suo d’Orbi-vieto17, e stando un giorno al vescovado a tavola, ov’erano frati minori a mangiare, ed eravene18 uno che mangiava una cipolla molto savorosamen-te19 e con fine appetito20; il vescovo, guardandolo, disse a uno do[n]zello21: «Vammi a quello frate, e dilli che volentieri li scambiarei a stomaco22». Lo donzello andò e disseglile23. E lo frate rispuose: «Va’ di’ a Messere che ben credo che volentieri m’acambierebbe a stomaco, ma non a vescovado24».

Novellino, op. cit.

LXXIV – Qui conta una novella d’uno fedele e d’uno signoreUno fedele25 d’un signore, che tenea sua terra26, essendo a una stagione

i fichi novelli, il signore passando per la contrada27, vide in su la cima d’un fico un bello fico maturo; fecelsi28 cogliere. Il fedele si pensò: da che li piac-ciono, io li guarderò per lui29. Sì si pensò d’imprunarli30, e di guardarli.

20

30

Pietro da Rimini, Cena dell’abate Guido, affresco dell’abbazia di Pomposa (FE), XIV sec.

Page 61: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSA 557

31. sì le ne… grazia: gliene portò (le ne portoe) una grande quantità (soma), credendo di entrare nelle sue grazie, di ottenere la sua riconoscenza; soma era un’antica unità di misura.

32. sì si tenne bene scornato: si ritenne così beffato.

33. fanti: servi.34. comandò… volto: ordinò che lo legassero

[il vassallo] e prendessero (togliessero) quei fichi e a uno a uno glieli gettassero in faccia.

35. Domine, te lodo!: Signore, ti ringrazio!36. nuova cosa: stranezza di questo comporta-

mento.37. andaro: andarono.38. El signore… così: il signore gli chiese per-

ché diceva così.39. incorato: consigliato.40. donolli: gli fece dei doni.

RACCOGLIAMO LE IDEE

LA STRUTTURA DEL TESTO

Tutte e tre le novelle hanno una struttura sem-plice ed essenziale, caratteristica della narratio brevis. Gli elementi del racconto sono limita-ti all’indispensabile e lo sviluppo della storia è stringato. In generale le novelle si articolano in pochi nuclei narrativi:– la situazione iniziale con la presentazione dei

personaggi e dell’ambiente in cui si svolge la storia;

– l’evento centrale, che per il protagonista rap-presenta un problema, una situazione di dif-ficoltà;

– la conclusione della narrazione in cui si veri-fica il superamento della difficoltà grazie alla battuta di spirito.

Ciascuna di queste unità narrative è sviluppata in modo estremamente conciso: dei protago-nisti, quando si tratta di personaggi realmente vissuti, vengono citati soltanto il nome e la con-dizione sociale; l’ambiente è indicato senza de-scrizioni; il fatto è ricostruito nei suoi elementi indispensabili.Un’eccezione rispetto a questa costruzione line-are è rappresentata dalla prima novella, poiché in essa si trova un racconto nel racconto. Il mec-canismo della novella sfrutta sapientemente il mestiere del protagonista: essa narra del giullare di Ezzelino da Romano che è costretto a narrare una storia. Proprio nella sua attività di narratore il giullare trova la via d’uscita per la situazione problematica in cui si trova, il non poter dormi-re per le pretese del suo esigente signore.

40

Quando furono maturi, sì le ne portoe una soma, credendo venire in sua grazia31. Ma quando li recò, la stagione era passata, che n’erano tanti che quasi si davano a’ porci. Il segnore, vedendo questi fichi, sì si tenne bene scornato32, e comandò a fanti33 suoi che ’l legassero, e togliessero que’ fi-chi, e a uno a uno gli le gittassero entro il volto34. E quando lo fico li venìa presso all’occhio, e quelli gridava «Domine, te lodo!35» i fanti, per la nuova cosa36, l’andaro37 a dire al signore. El signore disse perch’elli dicea così38. E quelli rispuose: «Messere, perch’io fui incorato39 di recare pèsche: che s’io l’avesse recate, io sarei ora cieco». Allora il signore incominciò a ridere, e fecelo sciogliere e vestire di nuovo, e donolli40 per la nova cosa ch’avea detta.

Novellino, op. cit.

Page 62: Letteratura Origini Web

558 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

In questa novella la struttura è complessa e ri-vela una matura padronanza degli strumenti narrativi.Infatti il testo è costruito secondo un doppio piano del racconto. Il narratore racconta non solo la vicenda di Azzolino e del suo «favellato-re», ma anche la storia che quest’ultimo racconta al suo padrone per sottrarsi al compito di intrat-tenerlo a lungo, vale a dire la favola di uno villano che impiega un anno a traghettare le sue pecore.

I CONTENUTI E I PERSONAGGILe novelle proposte forniscono una rassegna degli ambienti sociali più frequentemente rap-presentati nel Novellino: l’ambiente degli eccle-siastici, quello dell’aristocrazia e delle corti si-gnorili, ma anche quello più popolare.Il sistema dei personaggi è molto elementare e si riduce alla coppia protagonista-antagonista, anche se sullo sfondo – specialmente nella no-vella del vescovo Aldobrandino e in quella del signore e del suo fedele – si muovono altre figure anonime, che però danno concretezza e vivacità all’ambiente rappresentato.In queste novelle i personaggi appartengono all’epoca in cui venne scritta l’opera e in due di esse si tratta di personaggi conosciuti o addirit-tura famosi.L’ambientazione contemporanea permette di tratteggiare un quadro sintetico ma realistico della società del tempo nei suoi diversi aspetti: la contrapposizione tra protagonista e antagonista rinvia più in generale ai complessi problemi che attraversavano la realtà sociale e politica.Nello scambio di battute tra il frate e il vescovo Aldobrandino, che invidia la florida salute del fraticello ma si tiene ben stretti i suoi privilegi vescovili, si intravede la coesistenza, talvolta conflittuale, tra la Chiesa potente e quella che aveva fatto una scelta di povertà.Ezzelino da Romano, signore celebre per la sua crudeltà, come l’anonimo nobile della terza no-vella proposta, incarna la prepotenza che a volte caratterizzava l’aristocrazia.L’ironia e l’astuzia consentono però lo sciogli-mento bonario di questi contrasti in nome del superiore valore dell’ingegno, che viene ricono-sciuto anche a personaggi di condizione sociale inferiore. È infatti significativo che in tutte e tre

le novelle la battuta risolutiva, e quindi la vitto-ria nella schermaglia verbale (novella XXXI) o nello scontro di volontà (novelle XXXIV e LX-XIV), sia attribuita al personaggio socialmente inferiore. Anzi il potere della parola è tale che riesce a produrre un cambiamento concreto del-la situazione: il favellatore grazie alla sua trovata può finalmente dormire e il fedele non solo si sottrae all’immeritata punizione, ma ottiene un ricco risarcimento.I personaggi non sono descritti in modo detta-gliato, tuttavia sono fortemente caratterizzati sia per la loro precisa collocazione sociale sia per alcuni tratti tipici che emergono dalla pur con-cisa presentazione. Ad esempio il frate è realisti-camente e vivacemente rappresentato nell’atto di mangiare con gusto la sua cipolla; Ezzelino da Ro-mano appare insensibile e irremovibile nell’esige-re che il giullare faccia il suo dovere; il vassallo è sinceramente devoto al suo signore e preoccupato di fargli piacere, ma anche calcolatore nell’atten-dersi una ricompensa per il dono dei fichi.

LO STILELa narrazione essenziale corre veloce alla conclu-sione rappresentata dal motto arguto finale. Pre-valgono la paratassi e l’uso del discorso diretto con brevi dialoghi fra i protagonisti, che rendono realistica la narrazione. Il linguaggio è asciutto ma vivace, con alcune costruzioni popolari o ti-piche della lingua parlata, come l’anacoluto – nel primo periodo della terza novella – e l’uso dei due imperativi «Va di’ a Messere», per «Vai a dire…» nella battuta del frate della seconda novella.

Fanciulla nobile nell’atto di raccogliere delle melegrane, miniatura tratta dal Tacuinum Sanitatisdi Vienna, XIV sec.

Page 63: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSA 559

1. contio: racconto.2. E’ fue: ci fu; formula di apertura che non dà

indicazioni né di tempo né di luogo.3. Donna: la Madonna.4. per: con.5. macola: macchia; è un latinismo e indica il

peccato.6. Allegrati tue: rallegrati.7. engenerasti… eternale: hai generato lo

splendore del lume eterno; allude a Gesù.8. matre non maritata: madre non sposa; allu-

de alla verginità della Madonna.

9. fattura… lauda: opera di creatura ti loda.10. che tu… perpetuale: che tu preghi sempre

per noi.11. infermoe: si ammalò.12. turbare: turbarsi, inquietarsi.13. la Nostra Donna li: la Madonna gli.14. acciò… meco: affinché tu possa rallegrarti

per l’eternità vieni (vienne) con me.15. Per questo contio: Con questo racconto.16. se nonne… fine: non può fare che una buo-

na morte.

Uno altro contio1 udirete di grande autorità. E’ fue2 uno chierico lo quale era molto devoto a la Donna3; lo quale si studiava molto di conso-larla contro lo dolore de le cinque piaghe di Cristo per4 queste parole che dicea continuamente. – Allegrati, genitrice di Dio, vergine senza macola5! Allegrati tue6, l[a] quale ricevesti allegrezza dall’angelo! Allegrati tu, la quale engenerasti la chiaritae de lo lume eternale7! Allegrati, madre, alle-grati, santa genitrice di Dio! Tu se’ sola madre non maritata8; ogni fattura di criatura ti lauda9. O genitrice di luce, preghiamoti che tu sia per noi pregatrice perpetuale10.

Avvenne che questo chierico infermoe11, sì come tutti infermiamo e moriamo; e incominciassi molto a turbare12 per la paura de la morte. E la Nostra Donna li13 apparve e disse: – O figliuolo mio, perché ti spaventi tue di tanta paura? Tu m’hai cotante volte annunziato allegrezza! Allegrati tue. E acciò che tue t’allegri eternamente vienne con meco14.

Per questo contio15 potemo vedere che chi serve a tale Donna non può fare se nonne buona fine16.

C. Segre - M. Marti, La prosa del Duecento, Ricciardi, Milano-Napoli 1959

10

Anonimo senese

IL CHIERICO E LA MADONNA [CONTIO 5]Conti morali, fine XIII secolo

Il racconto proposto è tratto da una tra le più popolari raccolte di exempla medievali, i Conti morali, un’antologia di dodici conti, cioè «racconti», di un anonimo autore senese della fine del XIII secolo. Le storie sono la rielaborazione di exempla della tradizione altome-dievale originariamente scritti in latino. I protagonisti sono frati, monache, eremiti le cui vicende hanno lo scopo di portare «grande profitto» all’educazione morale del buon cristiano.

Monaco in preghiera, decorazione della chiesa benedettina di Roccavivara (CB), particolare, VIII sec.

1 L’exemplum faceva appello a un’autorità o alla tradizione per rafforzare la credibilità e la forza persuasiva.Il protagonista (uno chierico) è spesso anonimo, personaggio-tipo e non individuo, perché la sua vicenda vuole avere un valore universale.

12 Al momento della morte il chierico devoto è assistito e rincuorato dall’apparizione della Madonna.

Page 64: Letteratura Origini Web

560 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Riscrivi l’exemplum in italiano contemporaneo. Per riportare le parole dei personaggi, usa il discorso indiretto.

2. Nel testo ci sono indicazioni circa il tempo e il luogo in cui si svolge la vicenda?

3. Del chierico protagonista del racconto

viene data una descrizione psicologica

viene data una descrizione fisica

viene indicata una sola caratteristica

non viene data alcuna descrizione

4. Individua nel testo l’espressione che collega esplicitamente la vicenda del chierico alla condizione di tutti gli uomini.

5. Individua nel racconto il punto in cui viene espresso il messaggio morale.

• Questo messaggio viene argomentato?

Spiega la tua risposta.

Riflettere

6. Spiega qual è il messaggio morale che l’exemplum vuole trasmettere.

7. Spiega quale comportamento vuole indurre nei destinatari la vicenda narrata nell’exemplum.

8. Perché nel testo viene dato tanto spazio alle preghiere che il chierico rivolge alla Madonna?

Scrivere

9. In un testo di circa 150 parole, illustra le caratteristiche tipiche dell’exemplum che si trovano in questo racconto.

Madonna col Bambino, affresco della chiesa

di Santa Maria di Castello a Genova,

particolare, XIII sec.

Page 65: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSA 561

1. Come… cose: Come un re fece allevare un suo figliolo per dieci anni in tenebrose caverne, e come le fanciulle gli piac-quero più delle altre cose.

2. i… providero: i saggi astrologi previdero.3. s’egli… vedere: se egli non fosse rimasto dieci anni senza

vedere il sole, avrebbe perso la vista.4. il fece guardare: lo fece custodire.5. il tempo detto: per il tempo indicato.6. gioie: gioielli.

7. dettoli… dimoni: avendogli detto che le fanciulle erano de-moni, diavoli (più avanti domoni).

8. domandaro: chiesero. 9. qual… graziosa: quale di esse [cioè di tutte le belle cose] gli

fosse più gradita, gli piacesse di più.10. dicente: dicendo.11. «Che cos’a… donna!»: «Che cosa tirannica è la bellezza

delle donne!», cioè che potere straordinario ha la bellezza femminile.

Anonimo

XIV – COME UNO RE FECE NODRIRE UNOSUO FIGLIUOLO ANNI DIECI IN TENEBROSE SPILONCHE, E COME LE DONZELLE LI PIACQUERO SOPRA L’ALTRE COSE1

Novellino, 1280-1300

Quella che segue è una delle novelle più brevi del Novellino. Più di altre conserva la forma e il tono dell’exemplum per la collocazione spazio-temporale indefinita della vicenda e per la tematica «morale». La somiglianza è tuttavia apparente, poiché nella finalità si differenzia decisamente dall’exemplum.

A uno re nacque uno figliuolo; i savi strolagi providero2 che, s’egli non stesse anni dieci che non vedesse il sole, che perderebbe il vedere3. Allora il re il fece guardare4 in tenebrose spelonche il tempo detto5, poi lo fece fuori trarre e dinanzi lui mettere molte gioie6 e cose belle e di belle donzelle, nominandole a lui tutte per nome; e, dettoli le donzelle essere dimoni7, poi lui domandaro8 qual d’esse più li fosse graziosa9. Rispose: «I domoni». Allora lo re di ciò si maravigliò molto, dicente10: «Che cos’a tirannìa è bellore di donna!»11.

Novellino, op. cit.

1 L’inizio è tipico della narrazione atemporale dell’exemplum.

Giacomo Jacquerio (?), I nove Prodi e le nove Eroine, affresco del castello della Manta di Saluzzo, particolare, 1430.

Page 66: Letteratura Origini Web

562 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Riscrivi la storia narrata nella novella in italiano contemporaneo.

2. Individua la rubrica: ti sembra simile a quella delle novelle già analizzate?

Quali sono le eventuali differenze?

3. L’inizio della novella è tipico

della narrazione realistica

della narrazione fiabesca

della narrazione epica

della narrativa medievale

Spiega la tua risposta.

4. I personaggi e l’ambiente della storia vengono descritti? Motiva la tua risposta con qualche riferimento al testo.

5. Individua e segnala nel testo, sottolineandole con colori diversi, le parti in cui è usato il discorso indi-retto e quelle in cui è usato il discorso diretto.

6. Nella costruzione del periodo prevale la paratassi o l’ipotassi? Fai qualche esempio tratto dal testo.

Riflettere

7. Rileggi la battuta del re con cui si conclude la novella: ti sembra che esprima una valutazione della risposta del figlio o una semplice constatazione? Spiega la tua risposta.

8. Secondo te la novella intende fornire un insegnamento morale o illustrare con un aneddoto il compor-tamento umano? Motiva brevemente la tua risposta.

9. La storia ti sembra realistica o fiabesca?

Spiega la tua risposta.

Scrivere

10. Scrivi un testo espositivo di circa 150 parole che illustri le principali caratteristiche per cui que-sta novella riprende il modello dell’exemplum e quelle per cui se ne allontana.

Andrea di Buonaiuto, I demoni,affresco della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze,

particolare, 1365-1367.

Page 67: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSA 563

1. varvassore: feudatario. 2. avea: aveva, come il successivo dicea, diceva. 3. reina: regina. 4. fusse aredata: fosse preparata, allestita. 5. sciamito: tessuto di seta pesante vellutata. 6. piue: più. 7. borsa: la piccola borsa che si usava appendere alla cintura

dell’abito. 8. ’nfrascritto tenore: dell’argomento che si dirà più sotto,

più avanti. È un’espressione tipica dei documenti notarili. 9. imprima: prima.10. ciò che va innanzi: ciò che succede prima.

11. Cammalot: Camelot, la leggendaria corte di re Artù.12. ristette: si fermò.13. grido: notizia.14. i cavalieri… dismontarono: i cavalieri e i baroni scesero.15. vi venne: si recò sulla riva dove si era fermata la barca.16. forte: molto, forte qui ha valore avverbiale.17. sanza niuna: senza nessuna.18. arnese: tutti gli ornamenti che adornavano la barca.19. Fe’: fece.20. Trovaro: trovarono.21. Fecela: la fece.

Una figliuola d’uno grande varvassore1 sì amò Lancialotto del Lac oltre misura. Ma elli non le voleva donare suo amore, imperciò ch’elli l’avea2 donato alla reina3 Ginevra. Tanto amò costei Lancialotto, ch’ella ne venne alla morte. E comandò che quando sua anima fosse partita dal corpo, che fusse aredata4 una ricca navicella coperta d’un vermiglio sciamito5, con un ricco letto ivi entro, con ricche e nobili coperture di seta, ornato di ricche pietre preziose; e fusse il suo corpo messo in questo letto, vestita di suoi piue6 nobili vestimenti e con bella corona in capo, ricca di molto oro e di molte pietre preziose, e con ricca cintura e borsa7. E in quella borsa avea una lettera, ch’era dello ’nfrascritto tenore8. Ma imprima9 diciamo de ciò che va innanzi10 la lettera.

La damigella morì di mal d’amore, e fu fatto di lei ciò che disse. La navicella, sanza vele, fu messa in mare con la donna. Il mare la guida a Cammalot11. E ristette12 alla riva. Il grido13 andò per la corte. I cavalieri e’ baroni dismontarono14 de’ palazzi. E lo nobile re Artù vi venne15, e ma-ravigliavasi forte16 ch’era sanza niuna17 guida. Il re entrò dentro: vide la damigella e l’arnese18. Fe’19 aprire la borsa. Trovaro20 quella lettera. Fece-la21 leggere. E dicea così: «A tutti i cavallieri della Tavola Ritonda manda

10

Anonimo

LXXXII – QUI CONTA COME LA DAMIGELLADI SCALOT MORÌ PER AMORE DI LANCIALOTTO DEL LAC

Novellino, 1280-1300

Con questa novella si passa all’argomento indicato nel Prologo come i «belli amori», cioè gli amori nobili. Sono novelle che in gran parte traggono la materia dai romanzi cavallereschi, in particolare del ciclo arturiano. Attraverso le vicende amorose, felici o sfortunate, di personaggi ormai diventati famosi anche presso il pubblico italiano, ve-nivano proposti i valori cortesi per eccellenza: i sentimenti elevati, i costumi raffinati, i comportamenti magnanimi, la fedeltà fino alla morte.È questa la sorte della protagonista della novella: la giovane, perdutamente innamorata di Lancillotto e non ricambiata, finirà per morire d’amore. Prima di morire, ella aveva scritto una lettera che spiegava la causa della sua morte e costituiva quasi un ammo-nimento a chi fosse responsabile delle sofferenze d’amore.

1 L’episodio dell’infelice amore della dama di Escalot per Lancillotto (Lancialotto del Lac) risale a un romanzo francese in prosa del XIII secolo dal titolo La mort de roi Artu.La storia dell’amore di Lancillotto per la regina Ginevra, moglie di re Artù, era una delle più famose dei romanzi del ciclo bretone.

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564 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

22. manda salute: saluta.23. perch’io… venuta: per quale motivo sono giunta alla morte.24. monsignore: nel senso di «mio signore».25. che già… mercede: costruisci: che io non seppi pregare abba-

stanza che mi amasse, tanto che egli mi ricompensasse (aves-se di me mercede), nel senso che ricambiasse il mio amore.

26. lassa: infelice.27. ben amare: è l’amor cortese, l’amor fino.

20

salute22 questa damigella di Scalot, siccome alla migliore gente del mondo. E se voi volete sapere perch’io a mia fine sono venuta23, sì è per lo migliore cavaliere del mondo e per lo più villano, cioè monsignore24 messere Lan-cialotto di Lac, che già nol seppi tanto pregare d’amore, ch’elli avesse di me mercede25. E così, lassa26!, sono morta per ben amare27, come voi potete vedere».

Novellino, op. cit.

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Individua i fatti principali e i personaggi che agiscono nella storia.

• Nella novella i fatti si succedono secondo l’ordine cronologico o ci sono delle anticipazioni e delle retrospezioni? Motiva la tua risposta facendo riferimento alle parole del testo.

2. Indica in quale parte della novella prevale la descrizione e in quale prevale invece l’azione.

3. La parte descrittiva serve a

alleggerire la narrazione sottolineare la nobiltà e la raffinatezza della protagonista

divertire il lettore rafforzare il tono realistico della narrazione

4. Individua tutti gli elementi che concorrono a rappresentare la nobiltà e l’eleganza dell’ambiente in cui si svolge la vicenda.

Riflettere

5. Perché il mare conduce la barca proprio a Camelot?

6. Spiega il significato dell’accusa che la damigella di Escalot nella sua lettera rivolge a Lancillotto.

7. Individua tutti gli elementi della storia che rimandano alla tradizione cortese.

8. La novella è di tipo realistico o immaginario? Motiva la tua risposta indicando gli elementi della storia che giustificano la tua scelta.

9. Qual è, secondo te, lo scopo di questa novella?

Scrivere

10. Riassumi la storia in un testo di 150 parole.

11. In un testo espositivo di circa 250 parole, illustra i caratteri dell’amor cortese che costituisce l’argomen-to di questa novella. Nella redazione del tuo testo puoi sviluppare i seguenti punti:

– condizione sociale dei personaggi; – ambientazione della vicenda; – natura dell’amore della damigella di Escalot; – stile con cui è scritta la lettera della damigella; – atteggiamento di Lancillotto.

21 In questa espressione villano si contrappone a nobile, cortese.La damigella di Escalot definisce così Lancillotto perché, rifiutando il suo amore, egli è venuto meno ai doveri della cortesia.

Page 69: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSAunità 2 LA PROSA

LA NARRATIVA RELIGIOSA I FIORETTI DI SAN FRANCESCO

I Fioretti di san Francesco fanno parte del nutrito filone della lette-ratura francescana che cominciò a fiorire subito dopo la morte del

santo. L’opera fu composta da un anonimo frate toscano tra il 1370 e il 1390, come volgarizzamento di un testo latino scritto tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento, dal titolo Actus beati Francisci et sociorum ejus («Atti del beato Francesco e dei suoi compagni»). È quindi una delle più tarde espressioni della letteratura francescana, ma rispetto alle precedenti scritte in latino ebbe una grande diffusio-ne e contribuì in modo determinante alla costruzione dell’immagine più popolare del santo di Assisi.

L’anonimo frate minore non si limitò a tradurre in volgare toscano l’originale latino, ma lo adattò a un pubblico più ampio, utilizzando un linguaggio accessibile e scegliendo cinquantatré episodi esemplari della figura e della predicazione di san Francesco. Il termine fioretti indica proprio la raccolta antologica di aneddoti notevoli, da ricor-dare: con questo significato è ricorrente nella letteratura medievale e compare anche nel Novellino.

Tra exemplum e novellaPer l’argomento e le finalità i Fioretti rientrano nella tradizione delle legende e delle opere agiogra-fiche, e in quella dell’exemplum morale. Infatti l’argomento è la celebrazione, anche leggendaria, della figura del santo attraverso momenti particolarmente significativi del suo operato, e l’intento fondamentale è quello edificante. Come gli exempla, l’opera vuole portare i fedeli a condurre una vita virtuosa e propone gli episodi della vita del santo e i suoi insegnamenti come modelli da imi-tare. Il tono però è molto diverso.

Coerentemente con la natura della particolare esperienza religiosa francescana, per indurre i fedeli al pentimento e alla rettitudine i Fioretti non fanno leva, come gli exempla, su terrificanti immagini di punizione e non si esprimono con cupe invettive contro il peccato e i peccatori. Nella raccolta prevale un’atmosfera serena e rassicurante: anche quando san Francesco nelle sue prediche – che nei Fioretti hanno ampio spazio – ammonisce i peccatori, il tono è sempre lieve e fiducioso, im-prontato alla comprensione e al perdono, tema fondamentale della religiosità francescana. L’iden-tificazione dei destinatari con il modello morale proposto poggia sulla forte suggestione esercitata dalla carica umana di san Francesco, sull’immediatezza della sua predicazione, sulla sua presenza affettuosa e solidale a fianco dei più umili e dei più semplici.

I Fioretti si distinguono dalla tradizionale letteratura religiosa anche per le caratteristiche della nar-razione, che sono vicine a quelle proprie della novella e rivelano un gusto per il narrare non unica-mente finalizzato alla trasmissione del messaggio morale. Infatti il racconto è articolato e mosso, con ampie parti dialogiche e descrittive, l’ambientazione è realistica, con riferimenti a situazioni e persone concrete in cui il pubblico poteva riconoscersi, ma nello stesso tempo le azioni e le parole del santo sono immerse in un’atmosfera fiabesca che cattura le emozioni, il linguaggio è semplice e facilmente comprensibile.

I Fioretti di san Francesco, anche per l’immediata popolarità, costituiscono quindi un momento fondamentale nell’evoluzione delle forme narrative della letteratura italiana.

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566 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. Agobbio: Gubbio, cittadina umbra vicino ad Assisi. 2. contado: la campagna circostante. 3. eziandio: anche. 4. in tanto che: al punto che. 5. però che… s’appressava: poiché spesso si avvicinava. 6. della terra: dalla città. 7. s’eglino: se essi. 8. chi… solo: chi l’avesse incontrato da solo. 9. vénnono a tanto: giunsero al punto.10. niuno era ardito: nessuno aveva il coraggio di.11. agli uomini: verso gli uomini, gli abitanti.12. sì… lupo: volle uscire dalla città incontro a questo lupo.13. al tutto lo ne sconsigliavano: glielo sconsigliassero del tutto.

14. confidenza: fede, fiducia.15. E dubitando altri: E mentre gli altri temevano; questa co-

struzione del verbo dubitare è un latinismo.16. inverso: verso.17. veggendo molti cittadini: alla presenza di molti cittadini.18. frate: fratello.19. dalla parte di Cristo: in nome di Cristo.20. né a persona: né ad alcuna persona.21. immantanente: non appena.22. ristette: smise.23. E fatto il comandamento: E non appena [il santo] glielo

ebbe ordinato.24. gittòssi: si buttò.

Al tempo che santo Francesco dimorava nella città d’Agobbio1, nel con-tado2 d’Agobbio apparì uno lupo grandissimo e terribile e feroce, il quale non solo divorava gli animali, ma eziandio3 gli uomini; in tanto che4 tutti i cittadini stavano in grande paura, però che spesso s’appressava5 alla cit-tà. E tutti andavano armati, quando uscivano della terra6, come s’eglino7 andassero a combattere, e con tutto ciò non si potevano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo8. E per paura di questo lupo vénnono a tanto9, che niuno era ardito10 uscir fuori della terra.

Per la qual cosa santo Francesco, avendo compassione agli uomini11 della terra, sì volle uscire fuori a questo lupo12, benché i cittadini al tutto lo ne sconsigliavano13. E facendosi il segno della santa croce, uscì fuor della terra, egli co’ suoi compagni, tutta la sua confidenza14 ponendo in Dio.

E dubitando altri15 d’andare più oltre, santo Francesco prende il cam-mino inverso16 il luogo ove era il lupo. Ed ecco che, veggendo molti cit-tadini17, i quali erano venuti a vedere questo miracolo, il detto lupo si fa incontro a santo Francesco con la bocca aperta, e appresandosi a lui, santo Francesco sì gli fa il segno della croce e chiamalo a sé, e dice così: – Vieni qua, frate18 lupo, io ti comando dalla parte di Cristo19 che tu non facci male né a me né a persona20 –. Mirabile cosa a dire, immantanente21 che santo Francesco ebbe fatta la croce, il lupo terribile chiuse la bocca e ristet-te22 di correre. E fatto il comandamento23, venne mansuetamente come uno agnello, e gittòssi24 a piedi di santo Francesco a giacere.

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UN TESTO SPIEGATO

Anonimo

COME SANTO FRANCESCO LIBERÒ LA CITTÀ D’AGOBBIO DA UNO FIERO LUPO

Fioretti di san Francesco, 1370-1390

Il fioretto narra uno dei più celebri miracoli del santo. Ammansendo il lupo feroce (fiero), animale fiabesco per antonomasia, san Francesco libera i cittadini di Gubbio da una terribile minaccia e, nello stesso tempo, li porta a meditare sull’ancor più pericolosa minaccia del peccato e a convertirsi a loro volta al bene.

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unità 2 LA PROSA 567

25. malefìci: mali.26. guastando: ferendo.27. licenzia: permesso.28. ogni gente: ogni persona.29. mormora: si lamenta.30. gli: li.31. atti: movimenti.32. osservare: rispettare, obbedire.33. tenere… pace: mantenere questo accordo di pace.34. dare le spese continuamente: dare da mangiare per sem-

pre.35. mentre… viverai: finché tu vivrai.36. imperò che: infatti.37. t’accatterò: otterrò per te.38. mi faccia fede di questa promessa: mi dia assicurazione di

voler mantenere questa promessa.

39. per ricevere fede: per ricevere questa assicurazione.40. dimesticamente il puose: come un animale domestico lo

pose.41. sanza dubitar di nulla: senza temere nulla.42. fermare: concludere, confermare.43. forte: molto.44. subitamente: velocemente.45. di che: per cui.46. traggono: vanno, si dirigono.47. ragunato ivi: radunato lì.48. per li peccati… pestilenze: a causa dei peccati Dio permet-

te che si verifichino tali sciagure [come la presenza di un lupo feroce].

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Allora santo Francesco gli parla così: – Frate lupo, tu fai molti danni in queste parti, e hai fatto grandissimi malefìci25, guastando26 e uccidendo le creature di Dio sanza sua licenzia27. E non solamente hai uccise e divorate le bestie, ma hai avuto ardimento d’uccidere e di guastare gli uomini, fatti alla immagine di Dio, per la qual cosa tu se’ degno delle forche come ladro e omicida pessimo, e ogni gente28 grida e mormora29 di te, e tutta questa terra t’è nimica. Ma io voglio, frate lupo, far pace fra te e costoro, sì che tu non gli30 offenda più, ed eglino ti perdoneranno ogni offesa passata, e né gli uomini né i cani ti perseguiteranno più.

Detto queste parole, il lupo con atti31 di corpo e di coda e d’orecchi e con inchinare il capo mostrava d’accettare ciò che santo Francesco di-ceva e di volerlo osservare32. Allora santo Francesco disse: – Frate lupo, da poi che ti piace di fare e di tenere questa pace33, io ti prometto ch’io ti farò dare le spese continuamente34, mentre che tu viverai35, dagli uomini di questa terra, sì che tu non patirai più fame, imperò che36 io so bene che per la fame tu hai fatto ogni male. Ma poiché io t’accatterò37 questa grazia, io voglio, frate lupo, che tu mi prometta che tu non nocerai mai a niuno uomo né a niuno animale. Promettimi tu questo? –. E il lupo, con inchinare di capo, fece evidente segnale che prometteva.

E santo Francesco dice: – Frate lupo, io voglio che tu mi faccia fede di questa promessa38, a ciò che io me ne possa fidare –. E distendendo santo Francesco la mano per ricevere fede39, il lupo levò su il piè dinanzi, e di-mesticamente il puose40 sopra la mano di santo Francesco, dandogli quel segnale di fede che poteva. Allora disse santo Francesco: – Frate lupo, io ti comando nel nome di Gesù Cristo che tu venga con meco sanza dubitar di nulla41, e andiamo a fermare42 questa pace al nome di Dio –. E il lupo, ubbidiente, se ne va con lui come uno agnello mansueto.

Di che i cittadini, veggendo questo, forte43 si maravigliavano. E subita-mente44 questa novità si seppe per tutta la terra; di che45 ogni gente, grandi e piccoli, maschi e femmine, giovani e vecchi, traggono46 alla piazza a ve-dere il lupo con santo Francesco. Ed essendo ragunato ivi47 tutto il popolo, lèvasi su santo Francesco e predica loro, dicendo tra l’altre cose come per li peccati Iddio permette cotali pestilenze48, e troppo è più pericolosa la

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568 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

49. troppo… lupo: è molto più pericolosa la fiamma dell’in-ferno, che dovrà durare in eterno per i dannati, della rabbia del lupo.

50. entro mallevadore: mi faccio garante.51. promìsono di nutricarlo: promise di nutrirlo; il plurale è

usato per concordanza a senso con popolo.52. fuori della porta: fuori della porta della città, all’esterno

delle mura cittadine.

53. malleveria ch’i’ ho fatta: garanzia che ho dato.54. Onde… sopra: pertanto, a causa di questo atto e di quelli

narrati prima.55. pace del lupo: pace fatta con il lupo.56. sanza… lui: senza che facesse del male a nessuno e che nes-

suno lo facesse a lui.57. nutricato: nutrito.58. Finalmente: infine.

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fiamma dello ’nferno, la quale ha a durare eternamente a’ dannati, che non è la rabbia del lupo49, il quale non può uccidere se non il corpo; quanto dunque è da temere la bocca dello ’nferno, quando tanta moltitudine tiene in paura e in terrore la bocca d’uno piccolo animale! – Tornate dunque, carissimi, a Dio, e fate degna penitenza de’ vostri peccati, e Iddio vi libere-rà del lupo nel presente, e nel futuro dal fuoco eternale.

E fatta la predica, disse santo Francesco: – Udite, fratelli miei: frate lupo, che è qui dinanzi a voi, ha promesso, e fàttomene fede, di fare pace con voi e di non offendervi mai in cosa veruna, se voi gli promettete di dargli ogni dì le spese necessarie. E io entro mallevadore50 per lui che ’l patto della pace egli osserverà fermamente –. Allora il popolo tutto a una voce promìsono di nutricarlo51 continuamente. E santo Francesco innanzi a tutto il popolo disse al lupo: – E tu, frate lupo, prometti d’osservare i patti della pace a costoro, che tu non offenderai né gli animali né gli uomini né niuna creatura? –. E il lupo, inginocchiandosi e chinando il capo, e con atti mansueti di corpo e di coda e d’orecchi, dimostrava, quanto è possibile, di voler osservare loro ogni patto.

Dice santo Francesco: – Io voglio, frate lupo, che, come tu mi desti fede di questa promessa fuori della porta52, così qui, dinanzi a tutto il popo-lo, mi dia fede della tua promessa, e che tu non mi ingannerai della mia malleveria ch’i’ ho fatta53 per te –. Allora il lupo, levando il piede ritto, sì lo puose in mano a santo Francesco. Onde, tra di questo atto e degli altri detti sopra54, fu tanta ammirazione e allegrezza in tutto il popolo, sì per la divozione del santo e sì per la novità del miracolo e sì per la pace del lupo55, che tutti cominciarono a gridare a cielo, lodando e benedicendo Iddio, il quale aveva mandato loro santo Francesco, che per li suoi meriti gli aveva liberati dalla bocca della crudele bestia.

E poi il detto lupo vivette due anni in Agobbio, ed entravasi dimestica-mente per le case a uscio a uscio, sanza far male a persona e sanza esserne fatto a lui56, e fu nutricato57 cortesemente dalle genti, e andatasi così per la terra e per le case, e giammai niuno cane gli abbaiava dietro. Final-mente58, dopo due anni, frate Lupo si morì di vecchiaia. Di che i cittadini molto si dolevano, imperò che, veggendolo andare sì mansueto per la cit-tà, si ricordavano meglio della virtù e della santità di santo Francesco. A laude di Cristo. Amen

G. Contini, Letteratura italiana delle origini,Sansoni, Firenze 1970

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unità 2 LA PROSA 569

RACCOGLIAMO LE IDEE

IL TESTOIl fioretto ha una struttura semplice e lineare data principalmente dall’ordine cronologico secondo cui sono ricostruiti gli eventi.La predica di san Francesco agli abitanti di Gubbio, che rappresenta il fulcro della narra-zione, in quanto messaggio morale edificante, è incastonata in due lunghi episodi che hanno una propria autonomia narrativa. Il primo è il racconto del vero e proprio miracolo; il secondo illustra l’accordo di pace stretto con l’animale davanti a tutti gli abitanti della città e la paci-fica convivenza che da quel momento si stabilì tra gli uomini e la belva. In entrambi gli episodi in primo piano ci sono san Francesco e il lupo, delineati con un’acuta e precisa osservazione, ma non viene trascurata l’ambientazione della scena, prima nella campagna circostante la città e poi nella piazza cittadina.

I PERSONAGGISan Francesco è il protagonista assoluto del racconto; la sua figura è costruita in primo luo-go attraverso le sue parole, che occupano gran parte del testo. Il personaggio del santo appare circonfuso di virtù soprannaturali, che però non gli tolgono concretezza e umanità; infatti è anche presentato come affettuosamente parteci-pe della vita degli abitanti della città.Anche il lupo, nel fioretto, diviene un personag-gio. Animale fiabesco per eccellenza, qui è rap-presentato in modo realistico nei suoi atteggia-menti e movimenti. La sua «conversione» è resa proprio attraverso la trasformazione: all’aggres-sività, rappresentata all’inizio dalla bocca spa-lancata e dalla corsa frenetica, si sostituisce l’at-teggiamento domestico e mansueto: si stende ai piedi del santo, china la testa, gli tende la zampa.Anche i comportamenti e i sentimenti dei cit-tadini di Gubbio sono presentati con realistica concretezza. All’inizio la loro condotta è do-minata dal terrore per la ferocia del lupo e dalla preoccupazione per il proposito di san France-sco di avvicinarlo, paure che lasciano il posto allo stupore e alla curiosità per il miracolo. In-fine la popolazione accoglie la liberazione dalla crudeltà del lupo con sollievo, ma anche con un

più religioso sentimento di riconoscenza e di de-vozione che rende il popolo di Gubbio più dispo-sto a osservare gli insegnamenti del santo.

REALISMO, FIABA, SIMBOLISMONella narrazione si intrecciano più dimensioni: realistica, fiabesca, simbolica, che permettono un’interpretazione a più livelli del racconto.Sono elementi realistici la collocazione tempo-rale precisa, la descrizione dei comportamenti dei personaggi, la puntuale ricostruzione del dialogo e della predica di san Francesco, il pre-ciso e circostanziato contenuto del patto con il lupo, che ricalca fedelmente l’impianto degli ac-cordi stretti fra gli uomini.La dimensione fiabesca è data in primo luogo dalla presenza del lupo e dalla sua caratterizza-zione. Il lupo, che era una reale minaccia per co-munità prevalentemente rurali e pastorali come quelle antiche, finì spesso per rappresentare il male, i pericoli, le paure. Il lupo di Gubbio è descritto come una creatura straordinaria: era grandissimo e terribile e feroce; inoltre era invin-cibile perché, per quanto armati come per una battaglia, i cittadini non avevano speranza di salvarsi se lo incontravano da soli. Anche il lieto fine – con il lupo ormai mansueto che vive in pace e in armonia con gli uomini e gli animali della città, e anzi è addirittura rimpianto quan-do muore di vecchiaia – appartiene alle modalità narrative proprie della fiaba. La trasformazione del lupo e la conclusione positiva della vicenda, tuttavia, sono ricondotte non a elementi fanta-stici ma a un evento soprannaturale – il mira-colo – pienamente accettato come naturale nella prospettiva cristiana del racconto.Tra gli elementi simbolici, il più importante è ancora una volta il lupo. Nella tradizione me-dievale il lupo era associato al peccato e al de-monio, ai quali lo accomunava la malvagità e la forza distruttiva. Questa corrispondenza simbo-lica è presente nel fioretto, che però ne propone anche il superamento. Il lupo di Gubbio, gra-zie alla dolce persuasione francescana, si lascia ammansire, perde i suoi attributi minacciosi e distruttivi e diventa l’esempio vivente della pos-sibilità di vincere il male.

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570 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

JACOPO DA VARAGINE E LA LEGENDA AUREA

La Legenda aurea del frate domenicano Jacopo da Varagine (Varazze) è una raccolta di vite dei santi proposte a scopo di educazione morale e religiosa. Scritta in latino poco dopo la metà del Duecento, è uno degli esempi più significativi del genere agiografico. Ebbe una grandissima diffu-sione e costituì a lungo un repertorio per i predicatori medievali, che vi trovavano storie terrificanti o edificanti con cui spronare i fedeli a vivere rettamente.Sul piano letterario costituisce, insieme alle raccolte di exempla, uno dei presupposti dello sviluppo della novella.

Il beato Patrizio e il penitente Nicolao

Il beato Patrizio predicava in Irlanda e ne cavava pochissimo frutto; chiese al-lora al Signore di mostrar qualche segno che spaventasse e facesse pentire tut-ti. Su ordine del Signore tracciò in un certo posto con la bacchetta un grande cerchio; ed ecco che la terra dentro al cerchio si spalancò e apparve un pozzo immenso e profondissimo. Fu rivelato al beato Patrizio che quello era un luogo del purgatorio, e in questo luogo chiunque fosse disceso non avrebbe avuto più penitenze da fare né alcun altro purgatorio più da scontare; quasi mai nessuno sarebbe però tornato indietro, e chi ne fosse tornato doveva esserci comunque restato dalla mattina fino alla mattina seguente. Ci entravano in molti ma non tornavano indietro. Molto tempo dopo che era morto Patrizio un nobiluomo di nome Nicolao, che aveva commesso molti peccati, pentitosi delle sue colpe, volle affrontare il purgatorio di San Patrizio. […] E scese nel pozzo. […] Una folla di diavoli gli venne attorno dicendo: «Comincerai ora a sentirti oppresso e torturato». Ed ecco apparire un tremendo e grandissimo fuoco, […] i diavoli lo presero e lo gettarono in quel fuoco tremendo; ma appena sentì il male gridò: «Gesù Cristo figlio vivo di Dio misericordia del peccato mio», e subito il fuoco si spense. Allora andato ancor oltre, vide degli uomini bruciare vivi nel fuoco, frustati dai diavoli con lame di ferro roven-te fin dentro ai budelli; […] avanzò ancora e scorse un gran pozzo da dove usciva un fumo orrendo e una insopportabile puzza; e uscivano fuori anche uomini incandescenti che sembravano scintille incandescenti di ferro, ma i diavoli li ributtavano dentro…

Jacopo da Varagine, Legenda aurea,trad. e adatt. di E. Cavazzoni, Bollati Boringhieri,

Torino 1993

San Patrizio, vetrata della chiesa episcopale di Ognissanti a San Francisco,

particolare, XIX sec.

TESTIESTIESCONFRONTOa

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unità 2 LA PROSA 571

1. frate Masseo: come frate Silvestro, frate Agnolo e frate Ia-copo da Massa, nominati successivamente, erano tra i primi confratelli entrati nell’Ordine francescano.

2. trassi: si tolse.3. domandalo: gli chiese.4. suora Chiara e alla sirocchia: Chiara fu la fondatrice del-

l’Ordine femminile francescano delle Clarisse; la sorella (si-rocchia, forma tipica dei volgari dell’Italia centrale) è un’altra monaca dello stesso ordine, pertanto consorella di Chiara.

5. t’ha eletto… altri: ti ha scelto non solo (pur) per te stesso, ma anche (ma eziandio) per la salvezza (salute) degli altri.

6. per essa: grazie a essa.7. prendé: prese.8. sanza considerare… sèmita: senza preoccuparsi della via o

del sentiero (sèmita è un latinismo).

9. e’ giunsono: essi giunsero.10. uno castello… Cannario: un paese (castello) chiamato

Cannario, oggi Cannara, presso Assisi.11. si puose: cominciò.12. tenessono: facessero.13. E le rondini… fervore: e mentre le rondini restavano in

silenzio, lì predicò con tanto fervore.14. non lasciò: non lo consentì.15. si partì indi: se ne andò di lì.16. Bevagno: oggi Bevagna, altro paese vicino ad Assisi.17. arbori allato alla via: alberi (arbori, forma latineggiante)

lungo la via.18. sirocchie: sorelle, la traduzione mantiene il femminile del

nome latino per «uccelli».

E dopo il mangiare santo Francesco chiama frate Masseo1 nella selva; e qui, dinanzi a lui, e trassi2 il cappuccio facendo croce delle braccia, e domandalo3: «Che comanda il mio signore Gesù Cristo?». Rispuose frate Masseo che a frate Silvestro e a suora Chiara e alla sirocchia4 Cristo avea risposto e rivelato che la sua volontà si è «che tu vada per lo mondo a predicare; però ch’egli non t’ha eletto pur per te solo, ma eziandio per la salute degli altri5». Allora santo Francesco, udita ch’ebbe questa risposta e conosciuta per essa6 la volontà di Cristo, si levò su e con grandissimo fervore disse: «Andiamo al nome di Dio». E prendé7 per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini santi. E andando con impeto di spirito sanza considerare via o sèmita8, e’ giunsono9 a uno castello che si chiama Cannario10. E santo Francesco si puose11 a predicare, comandando pri-ma alle rondini che cantavano, ch’elle tenessono12 silenzio infino a tan-to ch’egli avesse predicato. E le rondini ubbidendolo, ivi predicò in tanto fervore13, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per divozione gli voleano andare dietro e abbandonare il castello. Ma santo Francesco non lasciò14, dicendo loro: «Non abbiate fretta, e non vi partite; e io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute dell’anime vostre». E allora pen-sò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì indi15, e venne tra Cannario e Bevagno16. E passando oltre con quel fervore, levò gli occhi, e vide alquanti arbori allato alla via17 in su quali era quasi infinita moltitu-dine d’uccelli; sì che santo Francesco si maravigliò, e disse a’ compagni: «Voi m’aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie18

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Anonimo

LA PREDICA AGLI UCCELLIFioretti di san Francesco, 1370-1390

Il fioretto della predica agli uccelli è tra i più famosi: ha ispirato molti affreschi e dipinti sulla vita del santo e ha alimentato la popolarità dell’immagine di Francesco d’Assisi come cantore dell’amore universale e della bellezza del creato.

19 Il terzo Ordine francescano è cosiddetto perché viene dopo quello dei frati e quello delle monache. È composto dalle persone che, pur rimanendo nello stato laicale, si impegnano a seguire i precetti francescani.

20 La parola consolato è ricorrente nei Fioretti e indica lo stato di beatitudine e di pace interiore che le parole del santo producevano in chi lo ascoltava.

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572 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

19. subitamente: immediatamente.20. vennono: si avvicinarono.21. stettono: stettero.22. mentre che… predicare: fino a che san Francesco ebbe fi-

nito di predicare.23. non si partivano: non si allontanavano.24. insino a tanto: fino a che.25. E secondo che recitò: E secondo quello che raccontò.26. andando… si moveva: benché san Francesco si avvicinasse

a loro e le sfiorasse con il saio (cappa), nessuna (niuna) si muoveva.

27. sustanzia: il contenuto essenziale.28. tenute a Dio: obbligate verso Dio.29. il vestimento duplicato e triplicato: il piumaggio a più

strati degli uccelli.30. appresso: poi, inoltre.

31. riservò: conservò.32. acciò che… vostra: affinché la vostra specie.33. diputato: destinato.34. pasce: nutre.35. E con ciò sia cosa che: e benché.36. onde: per cui.37. e però guardatevi: e per questo evitate.38. vi studiate: sforzatevi.39. alie: ali.40. varietade: varietà [di specie].41. familiaritade: amicizia, familiarità.42. Finalmente: Infine.43. licenzia: libertà.44. divisono: divisero.45. meriggio: sud.46. aquilone: nord.

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uccelli». Ed entrò nel campo e cominciò a predicare agli uccelli ch’erano in terra. E subitamente19 quelli ch’erano in su gli arbori, vennono20 a lui; e insieme tutti quanti stettono21 fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare22. E poi anche non si partivano23, insino a tanto24 ch’egli die-de loro la benedizione sua. E secondo che recitò25 poi frate Masseo a frate Iacopo da Massa, andando santo Francesco da loro e toccandole colla cap-pa, niuna però si moveva26. La sustanzia27 della predica di santo France-sco fu questa: «Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio28 vostro creatore, e sempre ed in ogni luogo il dovete laudare; però che v’ha dato il vestimento duplicato e triplicato29; appresso30, v’ha dato libertà d’andare in ogni luogo; e anche riservò31 il seme di voi nell’arca di Noè, acciò che la spezie vostra32 non venisse meno nel mondo. Ancora gli siete tenute per lo elemento dell’aria ch’egli ha diputato33 a voi. Oltr’a questo, voi non seminate e non mietete; e Iddio vi pasce34 e davvi i fiumi e le fonti per vostro bere; davvi i monti e le valli per vostro rifugio; e gli arbori alti per fare il vostro nido. E con ciò sia cosa che35 voi non sappiate filare né cucire Iddio vi veste, voi e’ vostri figliuoli, onde36 molto v’ama il Creatore, poi ch’egli vi fa tanti benefici; e però guardatevi37, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, ma sempre vi studiate38 di lodare Dio». Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quegli uccelli cominciorono ad aprire i becchi, distendere i colli, aprire l’alie39 e riverentemente chinare i capi insino in terra; e con atti e con canti dimostravano che le parole del Padre santo davano a loro grandissimo diletto. E santo Francesco in-sieme con loro si rallegrava e dilettava, e molto si maravigliava di tanta moltitudine d’uccelli e della loro bellezza e varietade40 e della loro atten-zione e familiaritade41; per la qual cosa egli con loro devotamente lodava il Creatore. Finalmente42, compiuta la predica, santo Francesco fece loro il segno della croce, e diede loro licenzia43 di partirsi. Allora tutti quegli uccelli in schiera si levarono in aria con maravigliosi canti; e poi, secondo la croce ch’avea fatta loro santo Francesco, si divisono44 in quattro parti. E una parte volò inverso l’oriente, l’altra inverso l’occidente, la terza inverso il meriggio45 e la quarta inverso l’aquilone46. E ciascuna schiera andava cantando maravigliosamente. In questo significando che, come da santo

32-33 La predica agli uccelli riecheggia nei toni e nei contenuti il Cantico di frate sole,a cominciare dall’appellativo fraterno attribuito agli uccelli e dall’invito a lodare il Signore.

37-41 Questo passo riprende esplicitamente brani evangelici che avevano ispirato anche alcuni versi del Cantico. Simbolicamente è un invito ad affidarsi al Signore, che nella sua infinita bontà provvede alle sue creature.

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unità 2 LA PROSA 573

47. gonfaloniere: colui che porta il gonfalone, il vessillo; in questo caso è la croce.

48. eglino: essi.49. per lui e per li suoi frati: da parte dello stesso santo e dei

suoi confratelli.

50. a modo che uccelli: come gli uccelli.51. commettevano: affidavano.

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Francesco gonfaloniere47 della croce di Cristo era stato loro predicato e sopra loro fatto il segno della croce, secondo il quale eglino48 si dividevano cantando in quattro parti del mondo; così la predicazione della croce di Cristo, rinnovata per santo Francesco, si doveva per lui e per li suoi frati49 portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che uccelli50, non posse-dendo alcuna cosa propria in questo mondo, alla sola Provvidenza di Dio commettevano51 la lor vita. A laude di Cristo. Amen

G. Contini, op. cit.

60-64 Il paragone tra il volo degli uccelli e i frati francescani permette di ribadire i precetti fondamentali dell’Ordine: il compito della predicazione da portare in tutto il mondo e il dovere dell’assoluta povertà.

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Il fioretto si può suddividere in quattro parti: – dialogo tra san Francesco e i suoi confratelli; – predicazione a Cannario; – predica agli uccelli presso Bevagno; – allegoria del volo degli uccelli.

Costruisci il riassunto del fioretto, sintetizzando il contenuto di ciascuna delle parti individuate.

2. La narrazione segue l’ordine cronologico?

3. La narrazione è realistica? Motiva la tua risposta con opportuni esempi tratti dal testo.

4. Il testo presenta:

solo narrazione sequenze narrative alternate a sequenze dialogiche, descrittive e riflessive solo riflessioni solo sequenze narrative e descrittive

5. Rintraccia nel testo il punto in cui viene anticipato il miracolo narrato più estesamente nell’episodio centrale della predica agli uccelli.

6. Osserva lo stile con cui è scritto il fioretto: il lessico è semplice o ricercato? La sintassi è lineare o complessa? Porta alcuni esempi a sostegno delle tue risposte.

Riflettere

7. Individua e illustra brevemente l’atteggiamento di san Francesco di fronte al comportamento degli uccelli. Quale caratteristica della personalità del santo emerge dal suo atteggiamento?

8. Individua ed elenca i valori della religiosità francescana che emergono in questo episodio.

Scrivere

9. Scrivi un breve testo espositivo-argomentativo che illustri le caratteristiche narrative che avvicinano questo fioretto alla forma della novella.

10. Se hai studiato il Cantico di frate sole, scrivi un testo che individui le affinità di stile e di temi presenti nel Cantico e nel fioretto della predica agli uccelli.

Discorso [di san Francesco] agli uccelli,miniatura, 1300 circa.

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LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

TRA NARRAZIONE E CRONACAIL MILIONE

L’opera più nota della letteratura italiana medievale, conosciuta anche da chi non si occupa di letteratura, è un libro che nella sua redazione originale – peraltro andata perduta – non venne

scritto in volgare italiano bensì in lingua d’oïl.Il Milione infatti è un libro scritto a due mani, in quanto nacque dalla collaborazione fra Marco Polo, il protagonista del viaggio nel lontano Oriente che costituisce il contenuto dell’opera, e Rustichello da Pisa, un letterato che, come molti scrittori dell’epoca, conosceva il francese e lo aveva utilizzato nelle sue rielaborazioni dei romanzi cortesi. Il Milione fu scritto durante l’anno di prigionia a Genova – dal 1298 al 1299 – condiviso dai due personaggi; Marco Polo fornì il ricchis-simo materiale delle sue memorie di viaggio, cui lo scrittore Rustichello diede una veste letteraria. Quest’ultimo adottò il francese forse perché era la lingua che gli era più abituale per la scrittura,

ma anche perché alla fine del Duecento la lingua d’oïl era ancora largamente ege-mone in Italia per la prosa letteraria.A raccontare le esperienze di Marco Polo è Rustichello. In alcuni capitoli la voce che racconta è, invece, quella dello stesso protagonista.Anche quando racconta in prima persona, però, Polo non parla quasi mai di sé e del-le proprie esperienze da un punto di vista soggettivo, per quello che hanno signifi-cato per lui; lascia invece tutto lo spazio al resoconto del viaggio e alla descrizione dei luoghi, degli abitanti, dei costumi di quelle remote e misteriose regioni.

L’AUTORE

Partenza di Marco Polo da Venezia,miniatura, 1400 circa.

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unità 2 LA PROSA

Un libro, molti generiIl Milione non è facilmente classificabile, poiché in esso convergono generi letterari diversi. A un primo e più immediato livello si tratta della cronaca di un viaggio, un reportage, come si direb-be oggi. Infatti illustra in modo dettagliato e puntuale le conoscenze raccolte da Marco Polo nei ventiquattro anni trascorsi in Asia, di cui diciassette presso la corte imperiale di Pechino, durante i quali ebbe dal Gran Khan diversi incarichi diplomatici che lo portarono a conoscere gran parte dell’Estremo Oriente. Il resoconto dei viaggi e delle missioni offre una ricchissima messe di infor-mazioni, che permise già all’epoca di ricostruire con discreta attendibilità una carta geografica dell’Asia e un’immagine concreta e realistica di un paese fino ad allora del tutto sconosciuto. Da questo punto di vista il libro è quindi anche un trattato geografico.L’attenzione per gli usi e i costumi delle popolazioni, la spregiudicata curiosità per le credenze e le superstizioni di quelle lontane civiltà, l’interesse – tipico del mercante – per gli aspetti dell’economia ne fanno anche un’opera di tipo etnografico, che descrive cioè le tradizioni e le usanze dei popoli.Sulle regioni e sui regni visitati vengono date anche informazioni storiche.Accanto a questi dati documentari, nel Milione si trovano anche inserti di tipo leggendario e fia-besco, che appartengono piuttosto al genere della narrativa d’avventura. Queste parti in alcuni casi sono dovute alla conoscenza indiretta di fatti e di luoghi, come il Tibet e il Giappone, che Polo non ebbe modo di osservare personalmente ma di cui riferì notizie avute da altri; in altri casi derivano dall’attrazione – tipicamente medievale – per il favoloso e il meraviglioso. D’altra parte proprio questa componente fantastica e leggendaria suscitò grande interesse presso il pubblico dei lettori medievali e non solo, decretando il grande e immediato successo dell’opera e contribuendo a creare il mito di un Oriente avvolto in un fascino esotico e misterioso.

Le diverse versioni e la strutturaIl Milione fu redatto nel 1298; di questa prima e originale stesura non è rimasta però alcuna traccia. In compenso appena pochi anni dopo la composizione cominciarono a circolare numerose versio-ni e traduzioni – in latino, in francese letterario e in altre lingue europee – tanto che se ne contano oltre centotrenta diverse redazioni manoscritte. Altrettanto numerose furono le pubblicazioni a stampa, di cui la prima risale al 1477. Questa straordinaria diffusione è il segno dell’eccezionale fortuna del libro, che, anche grazie alla redazione originale in lingua d’oïl, ebbe immediatamen-te una circolazione a livello europeo. Nessuna delle versioni conosciute rispetta completamente l’originale, per quanto riguarda sia la completezza dei contenuti sia la correttezza della traduzione. Una delle più attendibili, che è alla base della conoscenza dell’opera in Italia, è un volgarizzamento di area toscana risalente ai primi anni del Trecento.Nelle più antiche versioni in francese il titolo dell’opera è Le divisament dou monde («La descrizio-ne del mondo») oppure Livre des merveilles («Libro delle meraviglie»). Il titolo consueto viene dal soprannome di Emilione, dato alla famiglia Polo dal nome di un antenato.

Data la molteplicità delle redazioni, la definizione della struttura del Milione non è univoca. Tut-tavia, sulla base di confronti e della versione toscana di cui si è detto, il libro è composto di oltre duecento capitoli ciascuno preceduto da una rubrica che ne sintetizza l’argomento.I primi diciotto capitoli costituiscono il prologo, cioè la relazione dei due viaggi in Oriente com-piuti dai Polo, al secondo dei quali partecipò lo stesso Marco, del suo soggiorno alla corte di Ku-bilai Khan e del rientro per mare a Venezia. È in questa prima parte che si trovano le informazioni geografiche più dettagliate in quanto l’autore fornisce indicazioni precise sulla collocazione delle località, le distanze, le caratteristiche del paesaggio. I successivi capitoli hanno una struttura di tipo enciclopedico, poiché descrivono le regioni visitate durante il viaggio e in occasione delle missioni diplomatiche compiute da Marco Polo, o riferiscono notizie raccolte su luoghi che il viaggiatore veneziano non conobbe direttamente. In questa parte all’impostazione documentaria e trattatisti-ca, fondata su informazioni precise e oggettive, si alternano parti narrative, in cui prevale la vena novellistica e di invenzione.

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Page 80: Letteratura Origini Web

576 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. Da che… Tartari: Dato che ho cominciato a parlare dei Tartari.

2. lo verno: durante l’inverno. 3. paschi: pascoli. 4. di state: durante l’estate. 5. [a]sai: assai, molti. 6. feltro: panno di lana o di altre fibre di ori-

gine animale. 7. pòrtallesi: se le portano. 8. egli: sta per il plurale essi. 9. però ch’egli: poiché essi.10. pertiche… fanno: i pali di legno con cui le

costruiscono.11. sempre… mezzodie: rivolgono sempre la

porta verso mezzogiorno, cioè a sud.

12. per che… suso: per quanto vi piova sopra.13. le fanno… camegli: le fanno condurre da

buoi e cammelli.14. ucellare e fatti d’oste: andare a caccia di

uccelli e combattere ( fatti d’oste; oste è un latinismo).

15. pomi de faraon: manguste.16. vi n’à: ve n’è.17. giument’e: cavalla e.18. però che l’ànno per: poiché la considerano.19. guarda: guardano, francesismo per custo-

discono.

Da che ò cominciato de’ Tartari1, sì ve ne dirò molte cose. Li Tartari dimorano lo verno2 in piani luoghi ove ànno erba e buoni paschi3 per loro bestie; di state4 in luoghi freddi, in montagne e in valle, ov’è acqua e [a]sai5 buoni paschi. Le case loro sono di legname, coperte di feltro6, e sono ton-de, e pòrtallesi7 dietro in ogni luogo ov’egli8 vanno, però ch’egli9 ànno ordinate sì bene le loro pertiche, ond’egli le fanno10, che troppo bene le possono portare leggeremente. In tutte le parti ov’egli vogliono queste loro case, sempre fanno l’uscio verso mezzodie11. Egli ànno carette coperte di feltro nero che, per che vi piova suso12, non si bagna nulla che entro vi sia. Egli le fanno menare a buoi e a camegli13, e ’n su le carette pongono loro femmine e loro fanciugli. E sì vi dico che le loro femmine comperano e vendono e fanno tutto quello che agli loro mariti bisogna, però che gli uomini non sanno fare altro che cacciare e ucellare e fatti d’oste14. Egli vivono di carne e di latte e di cacci[a]gioni; egli mangiano di pomi de fa-raon15, che vi n’à16 grande abondanza da tutte parti; egli mangiano carne di cavallo e di cane e di giument’e17 di buoi e di tutte carni, e beono latte di giumente. E per niuna cosa l’uomo non toccarebbe la moglie de l’altro, però che l’ànno per18 malvagia cosa e per grande villania. Le donne sono buone e guarda19 bene l’onore de l[oro] signori, e governano bene tutta la

10

UN TESTO SPIEGATO

Marco Polo

L’USANZE E GLI COSTUMI DE’ TARTARIMilione, 1298

I brani riportati, con alcune omissioni, sono un esempio dell’interesse che Marco Polo dimostra per i paesi visitati e del suo metodo di osservazione e di descrizione. La popola-zione descritta in queste pagine è quella dei Tartari, come venivano chiamati in Occidente i Mongoli. Nel Duecento l’impero mongolo si era esteso in gran parte dell’odierna Cina, il Catai di Marco Polo. Il Gran Khan Kubilai, cioè l’imperatore tartaro, nel 1267 aveva trasportato la capitale dove oggi sorge Pechino. La parte centrale del Milione illustra le città, le caratteristiche del paesaggio, la fauna di questo vasto territorio, ma soprattutto le attività, le usanze e le tradizioni delle popolazioni incontrate.

Page 81: Letteratura Origini Web

unità 2 LA PROSA 577

20. infino in C: fino a cento.21. dae: dà la dote.22. ànno… veritier[a]: considerano di più.23. biade: letteralmente sono i cereali per gli

animali, ma qui indica per esteso i raccolti.24. fannogli… riv[er]enza: gli tributano gran-

de onore e rispetto.

25. fannogli: qui nel senso di costruiscono.26. dal lato manco: sul lato sinistro.27. tolgono… ungogli: prendono della carne

grassa e ungono.

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30

famiglia. Ciascheuno puote pigliare tante mogli quant’egli vuole pigliare infino in C20, se egli àe da poterle mantenere; e l’uomo dae21 a la mad[r]e de la femina, e la femina non dà nulla a l’uomo; ma ànno per migliore e per più veritier[a]22 la prima moglie che l’altre. Egli ànno più figliuoli che l’altra gente per le molte femine. Egli prende per moglie le cugine e ogni altra femina, salvo la madre; e prendono la moglie del fratello, s’egli muo-re. Quando piglia moglie fanno grandi nozze.

Sappiate che loro legge è cotale, ch’egli ànno un loro idio ch’à nome Natigai, e dicono che quello è dio terreno, che guarda loro figliuoli e loro bestiame e loro biade23. E’ fannogli grande onore e grande riv[er]enza24, che ciascheuno lo tiene in sua casa. E’ fannogli25 di feltro e di panno, e ’l tengono in loro casa; e ancora fanno la moglie di questo loro idio, e fan-nogli figliuoli ancora di panno. La moglie pongono dal lato manco26 e li figliuoli dinanzi: molto gli fanno onore. Quando vegnono a mangiare, egli tolgono de la carne grassa e ungogli27 la bocca a quello dio e sua moglie e

Marco Polo alla presenza del Gran Khan,miniatura tratta da Le Livre des Merveilles,particolare, 1410.

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578 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

28. gittanne… stae: ne versano dentro la porti-cina (usciolo) dove lo conservano.

29. beono: bevono.30. cònciallo: lo lavorano, come il successivo

chiàmallo: lo chiamano.31. chemmisi: si tratta della bevanda turca qu-

imiz.32. pelli… vai: pelli di zibellino e di ermellino

e di vaio; sono tutte pellicce molto pregiate.33. arnesi: attrezzi.34. sono… valuta: hanno un grande valore.35. d’archi s’aiutano: usano gli archi.36. troppi buoni arcieri: arcieri molto (troppi)

abili.37. in loro dosso: addosso.38. vale[n]tri duramente: molto valorosi.39. travagliare: sono in grado di sopportare

fatiche.40. quando bisognarà: quando sarà necessario.41. egli: in tutto il testo il narratore passa indif-

ferentemente dal singolare al plurale, ma si deve intendere sempre «essi».

42. di loro… prendono: di animali cacciati da loro.

43. pascendo: pascolando.44. gli bisogna: gli serve.45. sostengono… [male]: sopportano fatica e

sofferenze.46. meno… spesa: meno costano.47. che più vivono: sono più longevi.48. sono per: sono fatti apposta per.49. saettano tuttavia: continuano a lanciare

frecce.50. e gli loro… volgoro: e i loro cavalli si girano.51. gli credono… cacciandogli: credono di

averli sconfitti respingendoli.52. e e’… eglino: sono loro, cioè i nemici, a es-

sere sconfitti.53. per… saette: a causa delle loro, cioè dei Tar-

tari, frecce.54. E quando… prodezza: costruisci: «E quan-

do i Tartari vedono che i cavalli dei loro ne-mici sono morti, allora si rivolgono contro di loro e li sconfiggono con la loro prodezza».

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a quegli figliuoli. Poscia pigliano del brodo e gittanne giù da l’usciolo ove stae28 quello idio. Quando ànno fatto così, dicono che lor dio e sua famiglia àe la sua parte. Appresso questo mangiano e beono29; e sappi[a]te ch’egli beono latte di giumente, e cònciallo30 in tal modo che pare vino bianco: è buono a bere, e chiàmallo chemmisi31.

Loro vestimenta sono cotali: gli ricchi uomini vestono di drappi d’oro e di seta, e ricche pelli cebelline e ermine e de vai32 e de volpi molto ric-camente; e li loro arnesi33 sono molto di grande valuta34. Loro arme sono archi, spade e mazze, ma d’archi s’aiutano35 più che d’altro, ché egli sono troppi buoni arcieri36; in loro dosso37 portano armadura di cuoio di bufalo e d’altre cuoia forti.

Essi sono uomini in battaglie vale[n]tri duramente38. E dirovi come egli si posson travagliare39 più che l’altri uomini, ché, quando bisognarà40, egli41 andrà e starà un mese senza niuna vivanda, salvo che viverà di latte di giumente e di carni di loro cacciagione che prendono42. Il suo cavallo viverà d’erba ch’andrà pascendo43, che no’ gli bisogna44 portare né orzo né paglia. Egli sono molto ubidienti a loro signore; e sappiate che, quando bisogna, egli andrà e starà tutta notte a cavallo, e ’l cavallo sempre andarà pascendo. Egli sono quella gente che più sostengono travaglio e [male]45, e meno vogliono di spesa46, e che più vivono47, e sono per48 conquistare terre e regnami. […]

Egli vincono le battaglie altresì fuggendo come cacciando, ché fuggen-do saettano tuttavia49, e gli loro cavagli si volgoro50 come fossero cani; e quando gli loro nemici gli credono avere isconfitti cacciandogli51, e e’ sono sconfitti eglino52, per ciò che tutti li loro cavagli sono morti per le loro saette53. E quando li Tartari veggono gli cavagli di quegli che gli cacciano morti, egli si rivolgono a loro e sconfiggoli per la loro prodezza54, e in que-sto modo ànno già vinte molte battaglie.

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unità 2 LA PROSA 579

55. diritti Tartari: Tartari puri.56. sono… bastardi: sono numerosi gli incroci

di popoli diversi.57. usano au Ca[t]a: quelli che vivono nel Ca-

tai; Catai è il nome dato alla Cina; au è la preposizione francese per «in» mantenuta nel volgarizzamento.

58. se mantengono… idoli: sono politeisti, mentre i Tartari, come aveva descritto pri-ma, adorano una sola divinità.

59. e ànno… legge: e hanno abbandonato la loro tradizione.

60. e quegli… saracini: quelli che abitano nelle regioni orientali hanno adottato le usanze dei saraceni.

61. Egli… persona: se uno ha rubato (imbolato) una cosa di scarso valore, non deve perdere la vita, cioè non viene condannato a morte.

62. E gli è dato… X: E gli vengono date in pro-porzione alla gravità dell’offesa 7, o 12 o 24

bastonate, e possono giungere fino a 107, ma sempre aumentano la pena aggiungen-do 10 bastonate.

63. non si… segnato: non è custodito ma è tut-to marchiato.

64. conosce… rimandal[o]: conosce il marchio del padrone e lo restituisce.

65. peccore… guardano: le pecore e i piccoli animali sono attentamente custoditi.

66. alotta: allora.67. che si faccia: adatta.68. E di questo… ardono: E di questo matri-

monio fanno fare i documenti, poi li bru-ciano.

69. e queglino… per: e quelli, i due fanciulli morti, vengono considerati come.

70. bisanti: monete bizantine.71. si tengono: si considerano.

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Tutto questo ch’io v’ò contato e li costumi, è vero de li diritti Tartari55; e or vi dico che sono molto i bastardi56, ché quegli che usano au Ca[t]a57, se mantengono li costumi degl’idoli58, e ànno lasciata loro legge59, e quegli che usano in levante tegnono la maniera degli saracini60.

La giustizia vi si fa sì com’io [vi] diroe. Egli è vero se alcuno àe imbolato una picciola cosa, ch’egli [non] ne debbia perdere persona61. E gli è dato VII bastonate o XII o XXIV, e vanno infino a le CVII, secondo ch’a fatta l’ofesa; e tuttavia ingrossano giugne[ndo]ne X62. E se alcuno à tolto tanto che debbe perdere persona o cavallo o altra grande cosa, sì è tagliato per mezzo con una ispada; e se egli vuole pagare IX cotanto che non vale la cosa ch’egli à tolta, campa la persona.

Lo bestiame grosso non si guarda, ma è tutto segnato63, ché colui ch’el trovasse, conosce la ’nsegna del signore e rimandal[o]64; peccore e bestie minute bene si guardano65. Loro bestiame è molto bello e grosso.

Ancora vi dico un’altra loro usanza, ciò che fanno ma[trimoni] tra loro di fanciulli morti, ciò è a dire: uno uomo à uno suo fanciullo morto; quan-do viene nel tempo che gli darebbe moglie se fosse vivo, alotta66 fa trovare uno ch’abbia una fanciulla morta che si faccia67 a lui, e fanno parentado insieme e danno la femina morta a l’uomo morto. E di questo fanno fare carte, poscia l’ardono68, e quando veggono lo fumo in aria, alotta dicono che la carta vae nell’altro mondo ove sono li loro figliuoli, e queglino si tengono per69 moglie e per marito nell’altro mondo. Ancora fanno dipi-gnere in carte uccegli, cavagli, arnesi, bisanti70 e altre cose assai, e poscia le fanno ardere, e dicono che questo sarà loro presentato nell’altro mondo, cioè a’ loro figliuoli. E quando questo è fatto, eglino si tengono71 per pa-renti e per amici, come se gli loro figliuoli fossero vivi.

Ora v’abiamo contate l’usanze e gli costumi de’ Tartari […].M. Polo, Milione, Divisament dou monde,

a cura di G. Ronchi, Mondadori, Milano 1982

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580 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

RACCOGLIAMO LE IDEE

IL TESTONelle pagine proposte, la popolazione dei Tar-tari viene presentata e descritta ordinatamente, secondo il metodo che era stato esplicitamente enunciato nel capitolo di esordio del libro.La descrizione inizia con una breve digressione storica, brano non riportato qui, che riassume la genealogia degli imperatori tartari dal fonda-tore, Gènghiz Khan, a Kubilai, il protettore di Marco Polo, e illustra i riti che accompagnavano la morte e la sepoltura degli imperatori.Quindi il testo passa alla descrizione puntua-le delle usanze della popolazione che lo stesso viaggiatore veneziano aveva potuto osservare.Vengono descritte le abitazioni, le relazioni fa-miliari, la religione, le attività produttive, la tat-tica militare, la giustizia. Le osservazioni appar-tengono alle diverse prospettive secondo cui un popolo può essere presentato: quella geografica, quella socio-economica, quella etnografica e culturale. Il quadro che ne risulta è così comple-to ed esauriente.

IL METODO DI MARCO POLONel tracciare il resoconto del suo viaggio e della sua permanenza in Oriente, l’attenzione di Polo è concentrata soprattutto sulla natura e le usan-ze dei popoli incontrati. Questo interesse è ben documentato dal brano proposto, ed è confer-mato da molti altri brani del Milione.Lo sguardo dello scrittore è di tipo etnografico e antropologico, cioè interessato a cogliere gli aspetti peculiari delle tradizioni e delle culture delle popolazioni che ha avuto modo di cono-scere. Inoltre, soprattutto quando affronta que-sti argomenti, è uno sguardo di tipo scientifico, il più possibile aderente alla verità e oggettivo. Marco Polo era pienamente consapevole di aver conosciuto «delle grandissime meraviglie e gran diversitadi delle genti», come viene detto nel ca-pitolo d’apertura del libro. Tuttavia, per quan-to tutte le cose viste possano apparire curiose e inusuali a un visitatore straniero, Polo non esprime meraviglia o sorpresa, ma le presenta in tono distaccato e neutrale. Fornisce tutte le in-formazioni, in modo anche minuzioso, ma senza formulare giudizi o interpretazioni. Il suo è un

intento informativo e pratico: come un repor-ter moderno raccoglie tutti i dati che si rivelano interessanti al suo occhio esperto di mercante e viaggiatore e li mette a disposizione di un pub-blico curioso, ma anche di coloro – mercanti e viaggiatori come lui – che dovessero intrapren-dere viaggi in quelle lontane terre. Nel «Proe-mio» e nella «Conclusione» del Milione questa finalità è esplicita: il libro si rivolgeva a coloro che volevano sapere e intendeva fare qualcosa che fosse utile e di cui si sentiva il bisogno.

LO STILELo stile è molto essenziale. Il lessico è semplice e sobrio; la descrizione procede attraverso enun-ciati chiari e paratattici; il discorso è costruito in modo ordinato e simmetrico, attraverso para-grafi che illustrano i diversi aspetti esaminati. I paragrafi e i periodi spesso iniziano con formu-le ricorrenti («Egli sono…, E fannogli…, E quan-do…, Sappiate che…, La loro legge è cotale…, i loro vestimenti sono cotali…, Ancora vi dico…») determinando un andamento del discorso per accumulazione. Questo procedimento crea l’effetto dello stupore destato dal susseguirsi di esperienze curiose o meravigliose.Il carattere prodigioso sta nelle cose stesse, che non hanno bisogno di essere enfatizzate con uno stile elaborato. Un eccesso di ornamenti, di ag-gettivazione, di procedimenti retorici avrebbe anzi compromesso il senso di verità e autenticità che Polo voleva comunicare.

L’esercito del Gran Khan attacca il ribelle re di Mien,miniatura tratta da Le Livre des Merveilles, 1410.

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unità 2 LA PROSA 581

1. Mangi… Cataio: sono i nomi con cui nel Mi-lione vengono chiamate la Cina meridionale e la Cina settentrionale.

2. i meglio idoli: gli idoli più importanti.

3. reverenza: rispetto.4. non… trattenervisi: non è buona cosa, non è

opportuno soffermarsi su questo argomento.5. prende: cattura.

Dovete sapere che gl’idolatri di queste isole sono della stessa natura di quelli del Mangi e del Cataio1. Sappiate che gl’idolatri di queste isole, come quelli degli altri paesi, hanno degli idoli con testa d’animale; di bue, di maiale, di cane, di montone e di molte altre bestie. Ci sono degli idoli che hanno una testa con quattro volti; degli altri che han tre teste, una al suo giusto posto e le altre due ai lati, su ognuna delle due spalle. Ce ne sono di quelli che hanno quattro mani; degli altri che ne hanno dieci; degli altri che ne hanno mille. Questi ultimi sono i meglio idoli2 che abbiano, quelli a cui portano maggior reverenza3. Quando i cristiani domandano a codesti idolatri perché facciano i loro idoli in maniere così disparate, essi rispondono: «Ce li hanno lasciati i nostri padri ed erano così quando ce li hanno lasciati. Così li lasceremo noi ai nostri figli e a quelli che verranno dopo di noi».

La vita di codesti idolatri è un insieme di tali stravaganze e di diavolerie che non torna bene il trattenervisi4 sopra in questo libro: sarebbe troppo brutto ad udirsi per dei cristiani. Lasceremo perciò di costoro e vi conte-remo di altre cose.

Una cosa sola vi dirò: voglio che sappiate che quando un idolatra di queste isole prende5 qualcuno che non sia dei loro amici, se non è in grado di riscattarsi con denaro, invita tutti i parenti e gli amici: «Io voglio, dice, che veniate a mangiare con me in casa mia». Ed il piatto che ammannisce loro è l’uomo che ha preso. Cotto, s’intende. Reputano la carne umana la migliore vivanda che avere si possa.

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Marco Polo

LE ISOLE DEL MARE DI CINMilione, 1298 Lingua originale francese

Questa descrizione fa parte dei capitoli del Milione in cui vengono illustrate regioni che Marco Polo non visitò personalmente: l’India e le isole dell’Estremo Oriente, tra cui il Giappone, che si trovano nel tratto di oceano allora chiamato «mare di Cin». Proprio per-ché non è frutto della sua personale osservazione, in questo caso la descrizione è meno «scientifica» e assume un tono leggendario e fiabesco. Tuttavia, in nome dell’autenticità e della verità che si era riproposto di rispettare, l’autore precisa che non si tratta di notizie di prima mano. Inoltre, pur riferendo informazioni meravigliose e straordinarie, presta particolare attenzione agli aspetti più concreti e pratici, come le ricchezze naturali, i prodotti più pregiati o le caratteristiche delle rotte di navigazione.

Il brano è proposto nella traduzione di Luigi Foscolo Benedetto, che nel 1932 curò la prima edizione integrale moderna dell’opera.

1 Si tratta del Giappone, che Polo chiamava Cipangu, e delle altre isole tropicali dell’Estremo Oriente. Marco Polo non vi era arrivato personalmente e riferisce notizie ricevute da altri.

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582 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

I favolosi abitanti delle remote terre d’Oriente, miniatura tratta da Le Livre des Merveilles, 1410.

6. di contro al Mangi: di fronte al Mangi, cioè alla Cina me-ridionale.

7. a levante: a est, rispetto alla Cina. 8. piloti: propriamente sono i timonieri. 9. legno d’aloe: legno molto pregiato e profumato da cui si

estraeva anche l’incenso.10. briga: fatica.11. Zaitun: l’odierna Chin-Chiang-hsien, sullo stretto di For-

mosa. Nel Medioevo era uno dei più importanti porti della Cina.

12. Chinsai: oggi Hang-Chow. Era stata la capitale del Mangi, cioè della Cina meridionale, prima della conquista da parte dei Tartari, il cui imperatore Kubilai Khan pose la capitale a Cambaluc, l’attuale Pechino.

13. stentano: impiegano. Il verbo stentano esprime l’idea della difficoltà del viaggio.

14. Mar d’Inghilterra o Mare della Roccella: lo stretto della Manica e il Golfo di Biscaglia, sulle coste francesi, chiama-to così dal nome del porto di La Rochelle.

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Ma qui lasceremo di questo e torneremo al nostro argomento. Dovete sapere che il mare, ove si trovano le isole di cui parliamo, si chiama Mare di Cin, cioè «mare che è di contro al Mangi»6: nella lingua degli abitanti di queste isole la parola Cin equivale a Mangi. Questo mare è a levante7. Vi sono, a detta dei bravi piloti8 e dei bravi marinai che vi navigano, e che sono bene informati, 7448 isole, la maggior parte delle quali sono abitate. E si noti che in tutte quelle isole non nasce albero da cui non esca un forte e gradevole odore e che non sia di grande pregio; di un pregio non infe-riore, ad esempio, a quello del legno d’aloe9; ed anche maggiore. Ci sono inoltre molte preziose spezie di qualità varie. Si aggiunga che in quelle iso-le nasce in grande abbondanza del pepe bianco come la neve, senza contar quello nero. È una cosa che ha del prodigio la gran valuta dell’oro e delle altre cose preziose che si trovano in quelle isole. Ma devo dirvi che son sì lontane che è briga10 non lieve l’andarvi. Certo è grande il profitto e il gua-dagno che ci fanno andandovi le navi di Zaitun11 e di Chinsai12; ma è un viaggio in cui stentano13 un anno. Vanno all’inverno e tornano nell’estate. Perocché soffiano in quel mare due sole specie di vento: uno che li porta e l’altro che li riporta. L’uno soffia d’estate e l’altro d’inverno. E sappiate che questa contrada è a una grandissima distanza dall’India. Vi farò ancora notare che questo mare, anche se vi ho detto che si chiama Mare di Cin, non è altro che il Mare Oceano. Lo chiamano Mare di Cin, come si direb-be Mar d’Inghilterra o Mare della Roccella14. Allo stesso modo dicono in quella contrada Mare di Cin, Mare d’India e simili. Ma sempre s’intende con quei nomi il Mare Oceano.

26 Il nome Cin prevalse su quello di Mangi dopo l’arrivo dei Portoghesi.

34 Il pepe era una delle spezie più costose e ricercate in Occidente. Il suo commercio era molto redditizio.

40 Il testo si riferisce ai monsoni, venti stagionali che spirano verso sud-ovest dalla primavera all’autunno e in direzione nord-est dall’autunno alla primavera. Le navi partivano alla volta delle isole orientali d’inverno quando avevano i venti a favore, e tornavano – sempre sfruttando il vento favorevole – d’estate.

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unità 2 LA PROSA 583

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. L’argomento trattato nel brano è

la navigazione di Marco Polo verso le isole dell’Estremo Oriente i popoli, la natura e l’economia delle isole dell’Estremo Oriente la condanna delle usanze e delle tradizioni dei popoli che abitano le isole dell’Estremo Oriente lo scarso interesse commerciale delle isole dell’Estremo Oriente

2. Elenca gli aspetti delle regioni descritte che vengono presi in considerazione nel testo.

• Distingui, tra gli aspetti individuati, quali appartengono all’ambito: – etnografico; – geografico; – economico.

• Quale di questi aspetti, secondo te, è descritto in modo più analitico e dettagliato?

3. Individua nel testo le espressioni che sottolineano maggiormente gli aspetti straordinari dei paesi e dei popoli descritti.

4. Individua le osservazioni relative all’isolamento e quindi al mistero delle regioni descritte.

5. La costruzione sintattica in generale è semplice o complessa? Fai qualche esempio.

Riflettere

6. Le descrizioni e le informazioni sono spesso introdotte da formule identiche o simili, ad esempio do-vete sapere, sappiate, una cosa vi dirò, devo dirvi. Quale effetto producono queste ripetizioni?

7. Nel brano vengono riportate notizie straordinarie e stravaganti, come le caratteristiche delle divinità delle popolazioni e il loro cannibalismo. Ti sembra che l’autore esprima valutazioni a questo proposi-to? Motiva la tua risposta con riferimenti al testo.

8. Quali aspetti del brano ti fanno pensare a un libro di viaggi e quali a un racconto immaginario?

Scrivere

9. Scrivi un testo espositivo di 250 parole dal titolo: «Una descrizione della Cina in una pagina del Mi-lione».

10. Descrivi un luogo i cui aspetti paesaggistici, o le cui tradizioni e consuetudini, ti hanno particolarmen-te colpito e interessato, mettendoti nei panni di un viaggiatore che lo vede per la prima volta.

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Ma ormai lasceremo di questa contrada e di queste isole, essendo trop-po fuori di mano ed anche per il fatto che noi non siamo stati sul posto. Si aggiunga che il Gran Khan non ci ha che vedere: non gli fanno tributo e non gli sono di alcun rendimento15.

M. Polo, Il libro di Messer Marco Polo, cittadino di Venezia, detto Milione,dove si raccontano le meraviglie del mondo; ricostruito criticamente

e per la prima volta tradotto integralmente in lingua italiana da Luigi Foscolo Benedetto,Treves, Milano 1932

15. non gli fanno… rendimento: non versano tributi al Gran Khan e non contribuiscono alla sua ricchezza, in quanto non sono suoi sudditi.

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584 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

BONVESIN DE LA RIVA E LE MERAVIGLIE DI MILANO

Bonvesin de la Riva visse all’incirca tra il 1240 e il 1315. Il suo nome rimanda alla zona, Ripa di Porta Ticinese, di cui era originaria la sua famiglia e dove abitò lui stesso dal 1290 circa fino alla morte. Fu un famoso maestro di grammatica e scrittore; compose opere di argomento didattico-moraleggiante sia in versi sia in prosa, utilizzando il latino e il volgare.Le meraviglie di Milano è un trattato scritto in latino, col titolo originale di De magnalibus urbis Mediolani, in cui Bonvesin celebra la prosperità e la grandezza della sua città.Nel brano proposto emergono la vivacità e il dinamismo commerciale di Milano, presentata dall’au-tore come un luogo ricco di opportunità economiche, e l’alto livello della convivenza civile raggiunto dalla popolazione.

Le meraviglie di Milano

Entro la città, quattro volte all’anno, si tengono mercati generali, e cioè: il gior-no della ordinazione del beato Ambrogio; la festa del beato Lorenzo; l’Assun-zione della beata Madre di Dio e la festa del beato Bartolomeo. A tutti questi mercati mirabilmente affluiscono, in numero quasi incalcolabile, venditori e compratori delle varie merci. Inoltre, in due giorni di ciascuna settimana, cioè il venerdì e il sabato, in diverse parti della città si tiene un mercato comune. Anzi, ciò che conta di più, anche ogni giorno quasi tutti i beni necessari agli uomini vengono esposti in abbondanza non solo in luoghi determinati, ma nelle piazze, e messi in vendita con gridi di richiamo. Anche nei borghi e nelle ville del no-stro contado si tengono molte fiere, che si ripetono tutti gli anni in giorni fissi. In molte di tali località si tengono fiere settimanali, e a tutte concorrono in gran numero mercanti e compratori. Da quanto s’è detto sopra risulta evidente che nella nostra città chi ha sufficiente denaro vive ottimamente, sapendo di avere a portata di mano tutto quanto può dare piacere all’uomo.Risulta anche altrettanto evidente che qui, a meno che non sia una nullità, qual-siasi uomo, purché sia sano, può ottenere guadagni e dignità secondo il proprio stato. E a questo punto si noti che qui, come abbondano i beni temporali, così prospera feconda anche la popolazione. Vedendo infatti nei giorni di festa folle

di uomini dignitosi, sia nobili sia popolani, che si divagano; e anche i crocchi chiassosi di fan-ciulli che corrono senza posa di qua e di là, e i gruppi dignitosi e le dignitose schiere di matro-ne e di vergini, le quali, con una dignità che si direbbe di figlie di re, vanno e vengono oppure stanno sulle porte delle case: chi potrebbe dire di aver trovato mai, al di qua o al di là del mare, uno spettacolo di folla così meraviglioso?

Bonvesin de la Riva, Le meraviglie di Milano,Bompiani, Milano 1974

Il mercato cittadino, miniatura tratta da Le chevalier errant, XIV sec.

TESTIB

ESTIESCONFRONTOa

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unità 2 LA PROSA 585

Figura di giullare, affresco del Real Monasterio di Sigena,

Spagna, particolare, XII sec.

1. fue: fu.2. cittade… robe: città dove si donavano molte vesti

(robe, francesismo).3. niuna: nessuna.4. nesciente appo lui: ignorante, stolto rispetto a lui.5. avea: aveva.6. sentenzia: risposta esemplare, motto.7. non niuna: nessuna.8. E sì se’ tu: eppure tu sei.9. tu trovasti… miei: tu hai trovato più persone simili

a te [cioè rozze e ignoranti] di quanto non ne abbia trovate io simili a me.

XLIV – D’una questione che fu posta ad uno uomo di corte

Marco Lombardo fue1 nobile uomo di corte e savio molto. Fue a uno Natale a una cittade dove si donava-no molte robe2, e non n’ebbe niuna3. Trovò un altro uomo di corte, lo qual era nesciente appo lui4, e avea5 avute robe. Di questo nacque una bella sentenzia6; ché quello giullare disse a Marco: «Che è ciò, Marco, ch’i’ ho avute sette robe, e tu non niuna7? E sì se’ tu8 troppo migliore e più savio di me. Qual è la ragione?». E Marco rispuose: «Non è per altro, se non che tu tro-vasti più de’ tuoi che io non trova’ delli miei9».

Novellino, op. cit.

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VERIFICA FORMATIVAAnonimo

MARCO LOMBARDO NOBILE UOMO DI CORTE

Novellino, 1280-1300

La novella proposta fa parte di quelle dedicate ai «belli rispuosi». Queste novelle sono tra le più brevi del Novellino : la loro efficacia consiste infatti nella velocità della narrazione concentrata sulla battuta finale.

Il protagonista di questa storia è Marco Lombardo, un uomo di corte della seconda metà del XIII secolo, noto per la sua dirittura morale e per la sua saggezza. A Marco Lombardo un giullare, altro personaggio vicino alla corte, pone una questione, cioè una domanda che voleva essere imbarazzante, e a cui il protagonista risponde con una fulminea battuta.

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586 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

Analizzare e comprendere

1. Chi sono i personaggi che compaiono nella novella? Quali ruoli ricoprono?

2. Come vengono costruiti questi personaggi?

• Ci sono descrizioni delle loro caratteristiche?

• I personaggi appartengono al medesimo ambiente sociale? Il loro ruolo sociale è pari?

3. I personaggi e la vicenda appartengono all’epoca in cui fu scritta la novella o a un’epoca diversa? Da che cosa lo si deduce?

4. In quale ambiente si svolge la vicenda narrata?

5. Osserva la costruzione del periodo: prevale l’ipotassi o la paratassi? Il discorso diretto o quello indi-retto?

6. La novella è incentrata sui cosiddetti «belli rispuosi»: in quale parte del Novellino questo argomento viene elencato insieme agli altri che costituivano l’oggetto delle novelle?

7. Spiega che cos’è la «rubrica» e individuala nel testo.

Riflettere

8. Spiega il significato della risposta di Marco Lombardo alla domanda del giullare.

9. Con la domanda che pone a Marco Lombardo, il giullare voleva

dimostrargli la sua ammirazione

mettere alla prova la saggezza di Marco

dimostrare a Marco di valere più di lui

criticare l’ingiustizia delle corti

10. La risposta di Marco Lombardo contiene un giudizio sull’ambiente della corte. È un giudizio

positivo, perché nella corte le persone nobili e sagge vengono sempre riconosciute per i loro meriti

negativo, perché nella corte tutti sono stolti e ignoranti come dimostra di essere il giullare

parzialmente negativo, perché nella corte non sempre le persone nobili e saggevengono riconosciute per i loro meriti

positivo, perché tutti gli uomini di corte sono nobili e retti come il protagonista

11. Marco Lombardo all’inizio della novella è definito «nobile uomo di corte e savio mol-to». Perché è importante questa definizione?

Scrivere

12. Utilizza le tue conoscenze di studio e i dati che hai raccolto nell’analisi e scrivi un te-sto espositivo-argomentativo di almeno 150 parole che illustri i motivi per cui la novella proposta rientra nel genere della narratio bre-vis («narrazione breve»).

VERIFICARE LE COMPETENZE

Gentiluomo con il suo entourage partecipa a una colazione all’aperto,

miniatura tratta dal Livre de chasse de Gaston Phébus, XV sec.

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unità 2 LA PROSA 587

tracce IL MONDO MEDIEVALE NELLA LETTERATURA CONTEMPORANEA

La prosa del Duecento ha rappresentato per secoli e fino a oggi un’inesauribile miniera di temi, storie, personaggi cui gli scrittori si sono ispirati interpretandoli e riproponendoli secondo la propria sensibi-lità e la cultura della propria epoca. Il Milione di Marco Polo ha inaugurato la letteratura di viaggio che, soprattutto dalla fine del Quattrocento, con l’età delle grandi scoperte geografiche, si è arricchita di opere in cui l’esplorazione e il viaggio – reali o immaginari – costituiscono lo spunto di riflessioni o lo sfondo di storie d’invenzione.

Tra le più recenti riproposte dell’opera di Marco Polo, una delle più originali e innovative è quella che Italo Calvino realizzò con Le città invisibili. Il libro è un rifacimento del Milione – come disse lo stesso autore – ma, all’opposto dell’originale, mette in crisi proprio la possibilità di descrivere oggettivamen-te la realtà. Calvino fu anche un lettore e conoscitore appassionato della narrativa medievale, cui si ispirò in molti suoi romanzi.

Il mondo medievale narrato nei poemi epici e nei ro-manzi cavallereschi, come le vicende e i personaggi della storia del Medioevo, hanno alimentato molta nar-rativa moderna, soprattutto a partire dall’Ottocento. Ancora ai nostri giorni questo mondo offre agli scrittori molti spunti, sia per storie di carattere fantastico sia per romanzi che rispettano la verità storica, ma vi proietta-no tematiche e riflessioni del presente. Ne è un esem-pio il romanzo Gli occhi dell’imperatore, della scrittrice contemporanea Laura Mancinelli, che ricostruisce uno dei momenti e uno dei personaggi più affascinanti della storia medievale: il regno di Sicilia del Duecento e il suo sovrano Federico II.

Italo Calvino

LE CITTÀ E I SEGNI: OLIVIALe città invisibili, 1972

Le città invisibili di Calvino è una moderna interpretazione del tema del viaggio, meta-fora delle inquietudini e degli interrogativi contemporanei. La suggestione dei paesaggi esotici e misteriosi tratti dal Milione offre allo scrittore lo spunto per la descrizione di cinquantacinque città immaginarie, ciascuna chiamata con un nome di donna. I brevi «ritratti» delle città sono racchiusi in una cornice costituita dai dialoghi tra Marco Polo, reduce dalle sue missioni nei territori dell’impero dei Tartari, e il Gran Khan, entrambi alla ricerca di una verità sempre sfuggente. La cornice dialogica e la descrizione delle città descrivono un paesaggio puramente mentale, in cui sono simbolicamente rappre-sentate la contraddittorietà e l’inafferrabilità del reale.

Frederick Bansky, illustrazione per Le città invisibili di Italo Calvino, 1997.

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588 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

1. gorgiera d’ametista: collare di ametiste, pietre dure di color violetto.

2. vapore ipocondriaco: velo di malinconia; letteralmente l’ipocondria è un disturbo psichico di tipo depressivo che si manifesta con la convinzione di soffrire di malattie in realtà inesistenti.

3. ti trastulli: ti diverti, ti distrai; il trastullo è propriamente un gioco infantile.

4. liquame: liquido marcio, frutto della putrefazione.5. secondare: assecondare, compiacere.

6. umor nero: malinconia, tristezza; l’espressione risale alla antica medicina, che associava questo stato d’animo al li-quido nero emesso dalla bile.

7. penuria: scarsità. 8. euforia: entusiasmo, sensazione di benessere e ottimismo. 9. delusive: che arrecano delusione.10. computare… carati: calcolare il numero preciso dei carati;

il carato è unità di misura dell’oro e delle pietre preziose, in particolare dei diamanti.

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Le labbra strette sul cannello d’ambra della pipa, la barba schiacciata contro la gorgiera d’ametiste1, gli alluci inarcati nervosamente nelle panto-fole di seta, Kublai Kan ascoltava i resoconti di Marco Polo senza sollevare le ciglia. Erano le sere in cui un vapore ipocondriaco2 gravava sul suo cuore.

– Le tue città non esistono, forse non sono mai esistite. Per certo non esiste-ranno più. Perché ti trastulli3 con favole consolanti? So bene che il mio impero marcisce come un cadavere nella palude, il cui contagio appesta tanto i corvi che lo beccano che i bambù che crescono concimati dal suo liquame4. Perché non mi parli di questo? Perché menti all’imperatore dei tartari, straniero?

Polo sapeva secondare5 l’umor nero6 del sovrano. – Sì, l’impero è malato e, quel che è peggio, cerca di assuefarsi alle sue piaghe. Il fine delle mie esplo-razioni è questo: scrutando le tracce di felicità che ancora s’intravvedono, ne misuro la penuria7. Se vuoi sapere quanto buio hai intorno, devi aguzzare lo sguardo sulle fioche luci lontane.

Alle volte il Kan era invece visitato da soprassalti d’euforia8. Si sollevava sui cuscini, misurava a lunghi passi i tappeti stesi sotto i suoi piedi sulle aiole, s’affacciava alle balaustre delle terrazze per dominare con occhio allucinato la distesa dei giardini della reggia rischiarati dalle lanterne appese ai cedri.

– Eppure io so – diceva – che il mio impero è fatto della materia dei cri-stalli, e aggrega le sue molecole secondo un disegno perfetto. In mezzo al ribollire degli elementi prende forma un diamante splendido e durissimo, un’immensa montagna sfaccettata e trasparente. Perché le tue impressioni di viaggio si fermano alle delusive9 apparenze e non colgono questo proces-so inarrestabile? Perché indugi in malinconie inessenziali? Perché nascondi all’imperatore la grandezza del suo destino?

E Marco: – Mentre al tuo cenno, sire, la città una e ultima innalza le sue mura senza macchia, io raccolgo le ceneri delle altre città possibili che scom-paiono per farle posto e non potranno più essere ricostruite né ricordate. Solo se conoscerai il residuo d’infelicità che nessuna pietra preziosa arriverà a risarcire, potrai computare l’esatto numero di carati10 cui il diamante fi-nale deve tendere, e non sballerai i calcoli del tuo progetto dall’inizio.

Olivia è l’ultima città della categoria Le città e i segni e la sua «descrizione» mette in crisi proprio la possibilità di rappresentare la realtà con un discorso oggettivo e inconte-stabile. La realtà è sempre complessa e molteplice, e il discorso che cerca di fissarla è a sua volta proteso a descriverla e nello stesso tempo dominato dai percorsi del pensiero che si allontanano da quella stessa realtà. I segni, anziché essere spiegazioni del reale, moltiplicano le ipotesi del possibile.

15 Il tema della molteplicità e dell’ambiguità emerge sia dalla cornice sia dalle descrizioni che Marco fa a Kublai delle città.

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unità 2 LA PROSA 589

11. significare: esprimere.12. palazzi di filigrana: palazzi decorati con sottili e fini tra-

fori.13. bifore: finestre suddivise da una colonnina, tipiche dell’ar-

chitettura medievale.14. patio: cortile interno, circondato da porticati.15. fuliggine: deposito nerastro della combustione.16. ressa: affollamento.17. cicalano: chiacchierano.18. rafia: fibra tessile derivata dalle foglie da un particolare

tipo di palma.19. pensili: sospesi.20. mandrino… fresa: albero rotante di una macchina uten-

sile che trasmette il moto a un utensile (fresa) che girando modella il materiale da lavorare.

21. estuario: foce di un fiume.22. dà la stura: dà libero sfogo.23. sarcasmi: ironia malevola.

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Nessuno sa meglio di te, saggio Kublai, che non si deve mai confon-dere la città col discorso che la descrive. Eppure tra l’una e l’altro c’è un rapporto. Se ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e di guadagni, per significare11 la sua prosperità non ho altro mezzo che parlare di palazzi di filigrana12 con cuscini frangiati ai davanzali delle bifore13; oltre la grata d’un patio14 una girandola di zampilli innaffia un prato dove un pavone bianco fa la ruota. Ma da questo discorso tu subito comprendi come Oli-via è avvolta in una nuvola di fuliggine15 e d’unto che s’attacca alle pareti delle case; che nella ressa16delle vie i rimorchi in manovra schiacciano i pedoni contro i muri. Se devo dirti dell’operosità degli abitanti, parlo delle botteghe dei sellai odorose di cuoio, delle donne che cicalano17 intreccian-do tappeti di rafia18, dei canali pensili19 le cui cascate muovono le pale dei mulini: ma l’immagine che queste parole evocano nella tua coscienza illuminata è il gesto che accompagna il mandrino contro i denti della fre-sa20 ripetuto da migliaia di mani per migliaia di volte al tempo fissato per i turni di squadra. Se devo spiegarti come lo spirito di Olivia tenda a una vita libera e a una civiltà sopraffina, ti parlerò di dame che navigano can-tando la notte su canoe illuminate tra le rive d’un verde estuario21; ma è soltanto per ricordarti che nei sobborghi dove sbarcano ogni sera uomini e donne come file di sonnambuli, c’è sempre chi nel buio scoppia a ridere, dà la stura22 agli scherzi ed ai sarcasmi23.

Questo forse non sai: che per dire d’Olivia non potrei tenere altro di-scorso. Se ci fosse davvero un’Olivia di bifore e di pavoni, di sellai e di tes-sitori di tappeti e canoe e estuari, sarebbe un misero buco nero di mosche, e per descrivertelo dovrei fare ricorso alle metafore della fuliggine, dello stridere di ruote, dei gesti ripetuti, dei sarcasmi. La menzogna non è nel discorso, è nelle cose.

I. Calvino, Le città invisibili, Einaudi, Torino 1984

Irène Boulanger Michaud, Olivia,illustrazione per Le città invisibili di Italo Calvino, 2003.

34 La descrizione di Olivia è quella di una città dall’aspetto fiabesco ed esotico, caratterizzata dall’eleganza architettonica e dalla raffinatezza.

41 La laboriosità di Olivia è sintetizzata nell’immagine di lavori tradizionali, come quelli dei sellai e delle tessitrici.

44 La molteplice realtà di questa città invisibile non può essere colta da un unico discorso; immagini di raffinatezza, di operosità, di palazzi e di sobborghi industriali si sovrappongono, in una visione che non può essere definitiva e univoca.

54 L’essenza della città, di ogni città dell’impero, come di tutta la realtà umana, consiste in una molteplicità che rende falsa ogni descrizione che si limiti a un solo aspetto.

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590 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Individua le contraddizioni e le opposizioni presenti nella cornice per quanto riguarda: – lo stato d’animo del Kan; – l’atteggiamento del Kan; – la rappresentazione che Kublai Kan fa del proprio impero.

2. Individua nella cornice i particolari (lessico, immagini, oggetti descritti) che evocano l’atmosfera eso-tica e favolosa comunemente associata all’idea dell’Oriente.

3. In base agli elementi del testo, è possibile collocare nel tempo e nello spazio la città di Olivia secondo le due rappresentazioni che ne vengono date? Motiva la tua risposta con riferimenti al testo.

4. Individua le parole e le immagini che, nella descrizione della città, evocano una dimensione idealiz-zata e fiabesca.

• Individua quelle che evocano invece una dimensione più concreta e realistica.

Riflettere

5. Individua le descrizioni del lavoro umano presenti nel brano: quali diverse immagini del lavoro rap-presentano?

6. La descrizione della città fatta da Calvino, secondo te, evoca una città del passato o piuttosto una città contemporanea? Motiva brevemente la tua risposta.

7. Nella conclusione, Marco Polo rovescia la sua descrizione iniziale della città: che cosa significa questo rovesciamento?

La vera Olivia è un misero buco nero di mosche

Olivia è un misto di aspetti diversi e anche opposti

La descrizione iniziale di Olivia era una menzogna

Marco Polo vuole ingannare il Kan

8. Spiega il significato dell’affermazione conclusiva di Marco Polo: «La menzogna non è nel discorso, è nelle cose».

Scrivere

9. Raccogli le osservazioni che hai ricavato attraverso l’analisi e la riflessione. Scrivi un testo espositivo di circa 150 parole dal titolo: «Olivia, una delle città invisibili di Calvino».

10. Scrivi un testo argomentativo di 200 parole sul seguente argomento: «Oggi che nel mondo non ci sono più luoghi inesplorati, possiamo esplorare con sguardo diverso i luoghi che conosciamo».

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unità 2 LA PROSA 591

1. Castel del Monte… siciliani: Castel del Monte, situato nelle Murge, in Puglia, tra Foggia e Bari, fu una delle residenze della corte di Federico II. I baroni erano i feudatari sui quali Federico voleva imporre il proprio potere accentrato.

2. indugiare: dedicarsi con tranquillità.3. rapinosi: travolgenti.

– Verrò a prenderti, – aveva detto l’imperatore, – o manderò qualcuno che ti conduca a me.

Passarono molti anni, e un giorno mandò un cavaliere a prenderla. Federico era rimasto vedovo della seconda moglie ed ora chiamava a sé Bianca e il figlio Manfredi. Li chiamava da Castel del Monte, dove era trattenuto dai continui disordini di quei baroni meridionali e siciliani1 che creavano scompiglio anche quando gli erano troppo fedeli.

L’imperatore cominciava ad essere vecchio e stanco. Vecchio di una vita troppo intensamente vissuta, stanco di un tempo che per lui trascorreva troppo veloce, e non gli lasciava spazio per indugiare2 negli studi che gli erano più cari. Il suo grande trattato sulla falconeria e la caccia con gli uccelli ra paci procedeva così lentamente che spesso la polvere si posava sulle carte aperte sullo scrittoio, e che lui a nessuno permetteva di toccare. A quelle carte sognava di poter dedicare interi giorni, ascoltando accanto a sé il respiro quieto della giovane Bianca, che ora doveva diventare sua sposa.

Ma una stanchezza insolita gli impediva di percorrere tutta l’Italia per andare a prenderla, con uno di quei suoi viaggi fulminei e rapinosi3, in cui passava giorni e notti a cavallo, senza fermarsi né per mangiare né per

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Laura Mancinelli

IL CAVALIERE DI TANNHAUSGli occhi dell’imperatore, 1993

Il brano costituisce un capitolo del romanzo Gli occhi dell’imperatore, in cui l’autrice, docente di Storia medievale, ha voluto proiettare – sullo sfondo storico dell’impero di Federico II e della straordinaria civiltà da lui favorita nel regno di Sicilia – esperienze e situazioni esistenziali del presente.La vicenda narrata si ispira alla straordinaria vita di personaggi storici, in primo luogo l’imperatore Federico II, e a vicende realmente avvenute. In particolare trae spunto dalla verità storica dell’amore tra Federico II e Bianca Lancia dei conti d’Agliano, in Piemonte. Incontratisi quando l’imperatore era sposato con Jolanda di Brienne, Federico e Bianca ebbero una relazione adulterina da cui nacque Manfredi, destinato a succedere al pa-dre sul trono di Sicilia. Secondo alcune antiche fonti, rimasto vedovo, Federico avrebbe ceduto alle suppliche di Bianca, sposandola dopo molti anni di separazione.

Il capitolo proposto, accogliendo in parte questa versione, presenta l’imperatore che finalmente decide di richiamare presso di sé Bianca e il figlio Manfredi. Poiché si sente ormai vecchio e stanco, ma forse ancor più perché l’imminente ricongiungimento provoca in lui un’intensa emozione e una trepidazione inconsueta per un grande sovrano, affida questo compito a un suo fedele cavaliere, Tannhäuser.

8 Tutto l’episodio è narrato dal punto di vista dell’imperatore, non più giovane e al culmine del potere. In seguito alla decisione di mandare a prendere Bianca, amore della sua giovinezza, egli si trova a ripensare a tutta la sua esistenza.

11 Federico II scrisse un trattato sulla falconeria dal titolo De arte venando cum avibus («L’arte di cacciare con gli uccelli»). Durante tutta la sua vita si era dedicato con grande passione a questa attività, che sotto il suo regno conobbe una grande diffusione presso la nobiltà, divenendo simbolo di costumi aristocratici.

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592 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

4. Federico… Italia: Federico I di Svevia, im-peratore del Sacro Romano Impero dal 1155 al 1190, combatté a lungo contro le pretese autonomistiche dei Comuni italiani, asso-ciati nella Lega lombarda. Suo figlio Enrico VII sposò l’ultima erede normanna, Costan-za d’Altavilla; da questa unione nacque Fe-derico II.

5. Monferrato: regione del Piemonte dove si trova Agliano.

6. lontano… tedeschi: Federico II era anche re di Germania, ma concentrò la sua attività politica nella riorganizzazione del regno di Sicilia e nel tentativo di riaffermare il con-trollo imperiale sui Comuni italiani.

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dormire, come faceva suo nonno, il grande Federico Barbarossa, nelle sue campagne in Italia4. Ma quelle del Barbarossa erano campagne di guerra. Non avrebbe mai, Federico I, attraversato l’Italia per amore. Non si conce-deva follie il grande nonno, di cui rinnovava il nome e la gloria.

Ma lui, sì. Lui, Federico II, aveva attraversato più volte l’Italia, o aveva allungato i suoi viaggi, per ve der comparire tra le colline del Monferrato5 il castello dei conti Lancia, i suoi vassalli fedeli, e per rinno vare a Bian-ca una promessa che da lungo tempo richiedeva di essere onorata. E per vedere, soprattut to, quella luce d’amore che splendeva negli occhi di lei, e pareva non scolorarsi mai, né per la distanza che li separava, né per il tempo che passava.

E ora, ora che il momento tanto atteso era giunto, ora che il destino aveva reso a lui la libertà dal vincolo coniugale, e tra una contesa e l’altra poteva concedersi un varco al suo viaggio d’amore, ora le forze gli veni-vano meno. L’imperatore era stanco, e guardava triste dagli spalti del suo castello più amato, dove tutto era pronto per ricevere la novella sposa. Lui, Federico, le sarebbe andato incontro a un giorno di strada, forse, o ai con-fini del regno, se le forze lo assistevano.

Eppure non era vecchio, anche se i capelli ingrigivano precocemente diradandosi, quei capelli biondo rossi che aveva ereditato dagli antenati normanni, da sua madre Costanza d’Altavilla, insieme al regno di Sicilia, la terra tanto amata, che lo aveva tenuto lontano dalla Germania, dai suoi principi e dai suoi doveri, come andavano ripetendo i signori tedeschi6.

E avevano ragione, certamente; ma alla sua vita, a se stesso, aveva con-cesso così poco, lui che era l’imperatore, la somma potenza di Occidente. Che cosa gli era venuto da tanto potere? l’odio del papa, l’invidia dei prin-cipi, le rivolte dei baroni, e lo scrupolo, perché no? di non aver fatto mai abbastanza il suo dovere.

Il tempo per sé, il tempo dell’amore, degli studi, delle danze e delle cac-ce, aveva dovuto rubarlo ai suoi doveri, come un ladro, come uno scolaro che si nasconde ai maestri.

E ora gli mancavano le forze per andare a incontrare la sposa.

– Maestro, sono forse malato? – chiese al vecchio imam che aveva fatto chiamare nella sala della torre volta a settentrione. – Una grande stan-chezza appesantisce le mie membra, e mi trattiene dal partire per questo viaggio da tanti anni atteso.

Il vecchio Ben Zargan lo guardò a lungo negli occhi tenendogli una mano paternamente sulla spalla.

28 Nel desiderio dell’imperatore viene ripreso il tema, centrale nella concezione dell’amor cortese, dello sguardo come canale privilegiato dell’innamoramento.

38 Federico II morì nel 1250 all’età di 56 anni. La vicenda narrata in queste pagine risale agli anni successivi alla morte della seconda moglie, Elisabetta d’Inghilterra, avvenuta nel 1241.

48 L’imperatore conosceva sei lingue, scrisse versi poetici e trattati teorici, si interessò di varie discipline, dalla filosofia alla scienze naturali, dalla geometria all’algebra, dalla medicina all’astrologia. La straordinaria personalità di Federico II fu riconosciuta già dai suoi contemporanei, che gli attribuirono l’appellativo di Stupor mundi, «meravigliadel mondo».

52 Nella civiltà islamica imam, che significa «guida», oltre a indicare chi guida la preghiera, è un titolo dato a chi eccelle nel campo del sapere. Federico II aveva ospitato presso la sua corte scienziati, filosofi ed eruditi musulmani.

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– Federico, io non sono un medico, lo sai. La mia scienza può solo de-cifrare i segni del tuo animo. Ed ora vedo che gioia e timore vi si fondono insieme, come è giusto. Chi ama non può non provar timore al momento di realizzare ciò che ha desiderato per tanto tempo.

– Non è la prima volta che amo e mi accingo a sposare la donna amata. Né ho mai provato un tale timore.

– Forse è la prima volta che il tuo cuore si impegna a fondo. Non a caso sei ricorso persino alla magia per tenere legata a te la donna lontana, con-tro il mio parere, ricordi?

– Sì, lo so. Ma è una blanda magia di sole formule sacre, affidata a pochi versi appresi dalle donne siciliane, che ho trasposto in lingua per farne dono alla contessa Bianca. Un gioco, più che altro.

– Sì, ricordo quei versi, belli, non so se per merito tuo o delle maghe siciliane:

Passa per gli occhi il dardo che va al cuore.Finché si incontrano gli sguardi degli amanti,oltre pianure, colli e monti,nessuno potrà sciogliere il nodo dell’amore.

Poesia, Federico. Questa è la tua magia. Per questo non te ne ho mai rimproverato. E se ora provi timore, vuol dire che sei uomo prima che imperatore. Forse sei stanco. Manda uno dei cavalieri più fidi7 a prendere la sposa, come d’altra parte è uso dei re.

Fece chiamare il cavaliere di Tannhaus, e quando l’ebbe di fronte lo guardò a lungo in silenzio. Guardava i folti capelli neri dell’uomo che gli stava inginocchiato davanti, e i grandi occhi scuri che tacevano in atto di domanda.

– Sai perché ti ho fatto chiamare? – chiese l’imperatore.– No, signore, – rispose l’uomo.– Alzati e siediti là, di fronte a me. Cavaliere di Tannhaus, il tuo impe-

ratore ha bisogno di te. Ma non ti manda in battaglia, – aggiunse sorri-dendo, Poiché aveva visto il gesto con cui il cavaliere aveva posto la destra sull’impugnatura della spada. – Ha bisogno di te perché è stanco, forse vecchio e forse malato, e non può assolvere personalmente un compito che l’onore gli impone… e l’amore.

Il cavaliere guardava il suo imperatore con grandi occhi stupiti, doman-dandosi che mai gli avrebbe chiesto il suo signore, e poiché questi alquan-to taceva, disse:

– Disponete di me e della mia vita signore, poiché entrambi vi appar-teniamo.

L’imperatore riprese a parlare con lo sguardo perso oltre la finestra, ol-tre i monti, verso settentrione.

7. fidi: fidati, fedeli.

72 I versi richiamano temi tipici della poesia provenzale e siciliana. A Federico II sono attribuiti alcuni componimenti poetici.

80 Si tratta di un personaggio storico, cavaliere e poeta, erede dei Minnesänger,che partecipò alla VI crociata indetta da Federico II nel 1228. Non a caso Federico affida questo compito a un cavaliere che era anche un poeta d’amore.

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594 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

8. dossi: colline. 9. invidiosa: che ha impedito, contrastato il realizzarsi dei desideri.10. scudiero: chi era al servizio del cavaliere, seguendolo nelle sue imprese e prendendosi cura

delle sue armi e cavalcature.11. ti spiccherai: ti allontanerai, partirai.12. vi ridurrete: vi dirigerete.

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– Tu dovrai lasciare questa terra di Puglia che tanto ami per un lungo viaggio: ma sarà per breve tempo. Qui tornerai, e non da solo. In terra di Monferrato mi attende una donna, la più cara al mio cuore che sia al mon-do, e mio figlio, il giovane Manfredi. Là dovrai andare e condurli qui, dove io legittimerò con le nozze la madre e il figlio.

Tacque a lungo pensoso. Poi riprese come parlando a se stesso:– Per tanto tempo avevo atteso questo momento, sognato la mia caval-

cata di gioia verso l’amore, io che tante volte ho percorso l’Italia per far guerra, riportare l’ordine e la pace. Tante volte ho fatto questo viaggio rivolgendo nella mente come sorprendere i miei nemici, colpirli nel vivo, vendicare le offese e riconquistare ciò che mi era stato tolto. E mi arro-vellavo notte e giorno in questi pensieri, pur cavalcando per dossi8 e per pianure, senza mai sosta, senza riposo. Ma un giorno, pensavo, farò que-sto viaggio in nome dell’amore, andrò dove mi attende la mia contessa, e vedrò splendere nei suoi occhi la luce dell’amore.

Si volse verso il cavaliere, e continuò:– La vita invidiosa9 mi ha negato questa gioia, ora che il mio tempo

futuro si affolla di ombre, e il mio orizzonte si stringe in cerchio sempre più piccolo: e io nulla posso fare, nulla, io che sono l’uomo più potente del mondo. Vedi, Tannhäuser, a questa debolezza che mi insidia le membra, io devo sottomettermi, come un uomo qualsiasi, come ogni povero conta-dino di questi che coltivano le mie terre.

E poiché il cavaliere faceva mostra di voler dire qualcosa di rassicuran-te, Federico con un gesto gli troncò la parola in bocca, e continuò:

– So che mi sei fedele, e per questo affido a te il compito di condurre in Puglia la mia donna. Non è una battaglia questa a cui ti mando, ma è una grande prova di onore. E non mancheranno pericoli ed agguati. Partirai per il Monferrato con un solo scudiero10, affinché i miei nemici non sospettino nulla. Dal castello di Agliano ti spiccherai11 quando vorrà madonna Bianca, ma il più presto possibile, io ne prego te e lei. Di lì vi ri-durrete12, con il mio figliuolo e con tutto il seguito che la mia donna vorrà, sulla spiaggia di Lavagna, in terra dei Genovesi, e proseguirete per via di mare per rendere il viaggio meno gravoso. Tu conosci già il cammino ver-so Lavagna, e le genti del Monferrato conoscono quei luoghi.

Dopo una pausa l’imperatore riprese:– Tu vedrai, Tannhäuser, una bella spiaggia intatta, spoglia di case e di

castelli, dove solo pochi pescatori gettano le reti. S’apre su quella riva lunga e sabbiosa un fiume profondo e largo, tra sponde verdi di pioppi e saliceti. Qui troverete all’ancora un vascello, al comando di Stefano, pirata genove-se, che fedele mi è da molto tempo e, benché giovane, esperto di condurre navigli per acque note. Costeggerete la riviera dei Genovesi fino alle foci

105 Con rimpianto e nostalgia, Federico pensa a quanto spesso i doveri di imperatore lo avessero costretto a ignorare i suoi desideri più autentici.

123 La fedeltà e l’onore erano principi fondamentali su cui si reggeva il codice cavalleresco.

134 L’impresa che Tannhäuser deve portare a compimento richiama le avventure e le prove che i cavalieri dovevano affrontare narrate in molti romanzi cavallereschi.

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unità 2 LA PROSA 595

13. le febbri: la malaria, molto diffusa in passato lungo le coste basse e nelle zone paludose.14. esangui: pallide.

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del Magra, e poi giù verso meridione. Se dovrete prendere terra, potrete farlo alle foci di questo fiume o presso di Sarzana: ma tutta questa costa è pericolosa per paludi che nutrono le febbri13, e allora, se non è necessario, non scendete a terra, riparatevi nei porti, nelle rade, solo se vi è tempesta di mare. Ma dopo il lido di Carrara è malfido ogni porto, ogni insenatura può essere un agguato. Stefano il Genovese conosce queste coste e vi sarà guida sicura. Ma poiché voglio che anche tu sappia, Tannhäuser, quali sono i rischi del viaggio soprattutto quando condurrai carico a me sì pre-zioso, bada di evitare tutte le coste e i porti delle terre del papa, che nulla avrebbe sì caro come prendere in ostaggio persone della mia famiglia. Solo dopo aver passata Gaeta troverete ancora approdi sicuri.

L’imperatore tacque stringendo sì convulsamente le mani che le nocche apparivano esangui14. Poi, scuotendo la testa, continuò:

– Né sarebbe più sicuro il viaggio per terra: troppi sono i castelli guel-fi nella terra d’Umbria e di Toscana, e le città che obbediscono al papa, palesemente o celatamente. Se vi occorrerà toccar terra per tempesta o altra cosa, preferite le coste di Sardegna, dove ho più amici e meno nemici. Stefano il Genovese, che è buon pirata, e fedele, come solo i pirati sanno essere, vi sarà guida sicura fino a che toccherete riva in terra di Napoli, e lì vi manderò incontro i miei uomini, e se potrò, verrò io stesso.

Tacque e rivolse il viso a guardar fuori della finestra, poi si voltò e disse bruscamente:

– Dio protegga te e chi ti ho affidato, – e fece un cenno di congedo al cavaliere.

Si volse di nuovo alla finestra, da cui entravano le ombre della sera, e la tristezza dilagò negli occhi chiari.

L. Mancinelli, Gli occhi dell’imperatore, Einaudi, Torino 1993

Capolettera miniato raffigurante Federico II re di Sicilia, XV sec.

153 In quegli anni Federico II era impegnato in un’estenuante guerra contro il papa e lo schieramento dei Comuni guelfi, com’erano chiamati gli alleati del papato nella lotta con l’Impero.

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596 LETTERATURA ITALIANA DELLE ORIGINI

LAVORARE SUL TESTO

Analizzare e comprendere

1. Indica il periodo e il luogo in cui è ambientato l’episodio narrato.

2. Con l’aiuto delle note, individua nel racconto gli elementi – personaggi, situazioni, luoghi – che appar-tengono alla verità storica.

3. Quali sono invece, secondo te, gli elementi della narrazione che sono frutto dell’immaginazione dell’autrice?

4. Distingui nel brano sequenze narrative, descrittive, dialogiche, riflessive. Quale tipo ti sembra che prevalga?

5. Individua i tratti che costituiscono la personalità di Federico II.

Riflettere

6. Individua nel brano gli elementi che rimandano alla concezione dell’amore cortese.

7. Quale rapporto viene configurato nel brano tra l’imperatore e Tannhäuser?

• Secondo te, perché l’imperatore descrive con tanta precisione l’itinerario del viaggio al suo cava-liere?

8. Perché l’imperatore è triste?

9. Qual è, a tuo parere, il tema trattato nel brano attraverso la vicenda narrata?

L’irraggiungibilità della donna amata La gloria di cui si era coperto l’imperatore Lo stato d’animo irrequieto dell’imperatore La fedeltà dell’imperatore verso Bianca Lancia

10. Verifica se il ritmo della narrazione è lento o veloce. Motiva la tua risposta, utilizzando anche i dati raccolti nell’analisi.

• Quale carattere deriva alla narrazione dal ritmo che hai individuato?

Scrivere

11. Sintetizza in un testo di circa 30 parole la vicenda narrata nel capitolo proposto.

12. In un testo di circa 250 parole, descrivi la personalità dell’imperatore Federico II come emerge dall’epi-sodio narrato.

Glossario LETTERATURA DELLE ORIGINIexemplum narrazione breve di carattere morale.fabliaux narrazioni in versi in lingua d’oïl caratterizzate da

una marcata vena polemica e satirica.lais narrazioni in versi di provenienza francese, in lingua d’oïl,

di contenuto sentimentale e cortese.lauda canto di preghiera in volgare; la raccolta di laude si chia-

ma laudario.lingua d’oc volgare usato nella Francia del Sud.lingua d’oïl volgare usato nella Francia centro-settentrionale.lingue romanze le lingue volgari in cui è dominante la matrice

latina; sono anche dette neolatine.

novella forma di narrazione breve di argomento realistico.rima siciliana rima di «i» con «e» chiusa e di «u» con «o» chiu-

sa, derivata dalla trascrizione in toscano dei versi della poesia siciliana.

rubrica breve testo che precede la novella, ne sintetizza il conte-nuto e ne costituisce il titolo.

trovatori autori della poesia provenzale, dal verbo trobar, che significa comporre versi con musica.

volgare il latino parlato comunemente dalla popolazione (vol-go) nel periodo dell’Alto Medioevo, che si era lentamente allon-tanato dal latino parlato nell’antica Roma; dopo il Mille diven-tò anche lingua scritta.

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597INDICE

LINGUE E LETTERATURE: LE ORIGINI 500

LA SITUAZIONE LINGUISTICA DELL’EUROPA ROMANA 500Dal latino al volgare 501

L’AFFERMAZIONE DELLE LINGUE VOLGARI 502Le prime testimonianze scritte 502I primi documenti ufficiali in un volgare italiano 503Le lingue volgari: l’uso letterario 505

LETTERATURA ITALIANA IN LINGUA VOLGARE 505Le origini 505Il ritardo italiano 506Un panorama della letteratura italiana nel Duecento 506

UNITÀ 1 LA POESIA 507

LA POESIA RELIGIOSA 508

IL CLIMA SPIRITUALE DEL XIII SECOLO E FRANCESCO D’ASSISI 508Il Cantico di frate sole all’origine della letteratura italiana 508

Francesco d’Assisi, Cantico di frate sole 510

LA LAUDA 514

La religiosità tormentata di Jacopone da Todi 514

Jacopone da Todi, O iubelo del core 516

Jacopone da Todi, O amore de povertate 519

LA LIRICA D’ARTE 521La poesia provenzale e l’amor cortese 521

L’«EROE» CORTESE 522

Bernart de Ventadorn, Quando erba nuova e nuova foglia nasce 523FEUDALESIMO E AMOR CORTESE 525

La nascita della lirica d’arte in Italia: la scuola siciliana 526La poesia e la corte 526I temi 527Le forme metriche 527La lingua e lo stile 528

Iacopo da Lentini, Io m’aggio posto in core a Dio servire 530

Monte Andrea, Sì come i marinar guida la stella 532

Chiaro Davanzati, La splendïente luce, quando apare 534

Compiuta Donzella, A la stagion che ’l mondo foglia e fiora 536

Iacopo da Lentini, Amor è uno desio che ven da core 538

PAROLE DA CONOSCERE

romanze, neolatino

PAROLE DA CONOSCERE

eresia, ortodossia

UN TESTO SPIEGATO

PAROLE DA CONOSCERE

pauperismoPAROLE DA CONOSCERE

ascesi, misticoUN TESTO SPIEGATO

UN TESTO SPIEGATO

TESTI A CONFRONTO

PAROLE DA CONOSCERE

sonettoUN TESTO SPIEGATO

VERIFICA FORMATIVA

PARTE 3 LETTERATURA LETTERATURA ITALIANADELLE ORIGINI

Page 102: Letteratura Origini Web

598 INDICE

Umberto Saba, A mia moglie 540Gabriele D’Annunzio, La sera fiesolana 544

TESTI ONLINE B. Orbicciani, Tutto lo mondo si mantien per fiore Guittone d’Arezzo, Tuttor ch’eo dirò «Gioi» gioiva cosa Guglielmo d’Aquitania, Tutto gioioso

UNITÀ 2 LA PROSA 548

ORIGINI E CARATTERI GENERALI 549La narrativa in lingua d’oïl 549

LA NOVELLA 551

Una forma medievale 551

IL NOVELLINO 552I temi, i personaggi, lo stile 552La novità del Novellino 553Il pubblico e la fortuna del Novellino 554

Anonimo, Tre novelle di «belli rispuosi» 555

Anonimo senese, Il chierico e la Madonna [contio 5] 559Anonimo, XIV – Come uno re fece nodrire uno suo figliuolo… 561Anonimo, LXXXII – Qui conta come la damigella di Scalot… 563

LA NARRATIVA RELIGIOSA 565

I FIORETTI DI SAN FRANCESCO 565Tra exemplum e novella 565

Come santo Francesco liberò la città d’Agobbio da uno fiero lupo 566Jacopo da Varagine, Il beato Patrizio e il penitente Nicolao 570

Anonimo, La predica agli uccelli 571

TRA NARRAZIONE E CRONACA 574

IL MILIONE 574Un libro, molti generi 575Le diverse versioni e la struttura 575

Marco Polo, L’usanze e gli costumi de’ Tartari 576

Marco Polo, Le isole del mare di Cin 581

Bonvesin de la Riva, Le meraviglie di Milano 584

(Novellino), Marco Lombardo nobile uomo di corte 585

Italo Calvino, Le città e i segni: Olivia 587Laura Mancinelli, Il cavaliere di Tannhaus 591

TESTI ONLINE (Novellino) Qui conta come i savi astrologidisputavano del cielo empirio

(Novellino) Qui conta di messere Rangone,come elli fece a un giullare

BIOGRAFIE DEGLI AUTORI Appendice 1A

PARTE 1 POESIA GLOSSARIO Appendice 11A

PARTE 2 TEATRO GLOSSARIO Appendice 13A

TRACCEMOTIVI DELLA LIRICA

DUECENTESCA NELLA LETTERATURA DEL NOVECENTO

PAROLE DA CONOSCERE

rubrica, cortesia, cortese,

gentile, gentilezza

UN TESTO SPIEGATO

UN TESTO SPIEGATO

TESTI A CONFRONTO

UN TESTO SPIEGATO

TESTI A CONFRONTO

VERIFICA FORMATIVA

TRACCEIL MONDO MEDIEVALE NELLA LETTERATURA

CONTEMPORANEA

GLOSSARIOLETTERATURA

DELLE ORIGINI 596


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