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LETTURE DI NUOVI CLASSICI - ilnarratario.info · vocare un concilio della Chiesa inglese nè di...

Date post: 15-Feb-2019
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LETTURE DI NUOVI CLASSICI Incontri in Ambrosiana – Sala delle Accademie – I Semestre 2013 Lunedì 10 giugno, ore 18,30-20 IBN BUTLĀN, Da‛wat al-atibbā’, “Ospiti a simposio” « Orsù omuncolo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri, abbandona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi laboriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. “ Entra nella camera” del tuo spirito, escludi da essa tutto all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e “ chiusa la porta” cercalo. » (Anselmo, I,1) Nell’incontro conclusivo del I Semestre 2013 saranno letti passi scelti dal PROSLOGION di ANSELMO D’AOSTA commentati da Alessandro Ghisalberti Introdurranno e concluderanno l’incontro Luisa Secchi Tarugi e Donatella Dolcini Si anticipa qui la presentazione di Anselmo che sarà svolta da Luisa Secchi Tarugi e il testo dei capitoli del Proslogion riguardanti il celebre argomento ontologico, preceduti da brevi note introduttive e seguiti da un breve commento di Alessandro Ghisalberti, che, nel corso dell’incontro, ci introdurrà esaustivamente all’intensità del testo. Seguirà pubblico dibattito — Ingresso libero
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LETTURE DI NUOVI CLASSICIIncontri in Ambrosiana – Sala delle Accademie – I Semestre 2013

Lunedì 10 giugno, ore 18,30-20IB

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« Orsù omuncolo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri, abbandona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi laboriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. “ Entra nella camera” del tuo spirito, escludi da essa tutto all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e “ chiusa la porta” cercalo. » (Anselmo, I,1)

Nell’incontro conclusivo del I Semestre 2013 saranno letti passi scelti dal

PROSLOGION di ANSELMO D’AOSTA

commentati da Alessandro Ghisalberti

Introdurranno e concluderanno l’incontroLuisa Secchi Tarugi e Donatella Dolcini

Si anticipa qui la presentazione di Anselmo che sarà svolta da Luisa Secchi Tarugie il testo dei capitoli del Proslogion riguardanti il celebre argomento ontologico,

preceduti da brevi note introduttive e seguiti da un breve commento di Alessandro Ghisalberti,che, nel corso dell’incontro, ci introdurrà esaustivamente all’intensità del testo.

Seguirà pubblico dibattito — Ingresso libero

Introduzioneal Proslogiondi Anselmo d’Aosta

di Luisa Secchi Tarugi

Anselmo nacque nel 1033 ad Aosta da una fami-glia di nobili decaduti. Nel 1056, dopo la morte della madre, venuto in disaccordo col padre si allontanò da Aosta e desideroso di studio e di preghiera vagò per la Francia alla ricerca di un centro di studi che lo appa-gasse. Nel 1059 approdò all’Abbazia del Bec in Nor-mandia conosciuta in tutta Europa per la sua scuola diretta dal maestro Lanfranco di Pavia.

L’anno seguente, all’età di 27 anni, Anselmo entrò nell’ordine benedettino e nel 1063 fu nominato priore ed ebbe la direzione della scuola poichè Lanfranco era divenuto abate di S.Stefano a Caen. Nel 1078, alla morte del fondatore Erluino, Anselmo divenne abate del Bec.

Nel 1093 fu nominato Arcivescovo di Canterbury, nonostante la sua ritrosia, ed ebbe diversi scontri con il re Guglielmo II sia per la spartizione di alcune terre della Chiesa di Canterbury che il re voleva distribuire ai suoi cavalieri sia per le investiture tanto che il re cercò di liberarsi di lui chiedendo che non gli fosse concesso il pallio con cui il papa sanciva l’autorità di Anselmo come Vescovo. Quando però Urbano II man-dò il pallio ad Anselmo, non gli fu concesso nè di con-vocare un concilio della Chiesa inglese nè di nominare gli abati delle sedi vacanti.

Nel 1097 chiese il permesso di andare a Roma che gli fu rifiutato, ma decise di partire comunque e rimase in esilio soggiornando a Lione e a Roma fino al 1100 quando gli giunse la notizia della morte di Guglielmo II e una lettera del successore Enrico che lo invitava a tornare in Inghilterra. Ebbe nuovi contrasti per le investiture e nel 1103 tornò in esilio a Lione.

Nel 1106 Papa Pasquale II, succceduto a Urbano II, autorizzò Anselmo dopo lunghe discussioni con il re. a riconoscere i vescovi che avevano ricevuto l’in-vestitura dal re e così Anselmo tornò in Inghilterra. Negli ultimi anni dovette difendere il primato della sede arcivescovile di Canterbury specialmente dall’ ar-civescovo di York. Morì il 21 aprile 1109.

Le sue opere sono una decina scritte tra il 1076 e il 1108, cui si aggiungono un’undicesima incompiuta , 19 preghiere e tre meditazioni e un epistolario di 475 lettere.

Dopo la composizione del Monologion scritto nel-la seconda metà del 1076 e definito un esempio di meditazione sulle ragioni della fede dove con il ter-mine fede non si intende l’atto con cui si crede, fides qua creditur, ma ciò che è oggetto dell’atto del credere, fides quae creditur, Anselmo rimase insoddisfatto per aver fatto un discorso estremamente complesso che non si addice alla semplicità di Dio e allora nacque il lui il desiderio di trovare un unico argomento che per dimostrare la sua validità non avesse bisogno d’altro argomento che di se stesso e che fosse da solo capace di dimostrare che Dio esiste veramente e che Egli è il Sommo Bene che non ha bisogno di nessuno, ma di cui tutte le altre cose hanno bisogno per essere e per avere valore ( ut bene sint) e fosse anche capace di dimostrare tutte le verità che crediamo intorno alla divina sostanza. [Proemio 1].

Il suo biografo Eadmero che lo seguì per tutto il

periodo di Canterbury, ci racconta che Anselmo pen-sando che la sua scoperta potesse procurare la stessa gioia anche ad altri, se ne fossero venuti a conoscen-za, immmediatamente la scrisse su delle tavolette che consegnò a un monaco affinchè le custodisse e quan-do andò a richiedergliele il monaco non le trovò più. Allora Anselmo riscrisse la sua scoperta su altre tavo-lette e le consegnò al medesimo frate per custodirle, ma nonostante che le avesse nascoste nella parte più segreta del suo letto, il giorno seguente trovò le tavo-lette sparse sul pavimento e la cera che era su di esse ridotta in piccoli pezzi. Il monaco raccolse tavolette e cera e andò da Anselmo che riunì i frammenti e seb-bene a fatica riuscì a ricostruire quanto aveva scritto., ma nel timore che si potesse nuovamente perdere l’ori-ginale ordinò di trascrivere il tutto su una pergamena.

Nell’ Epistula De Incarnatione Verbi Anselmo il-lustra le finalità per cui scrisse il Monologion e il Pro-slogion o Colloquio, poichè in esso espone il suo collo-quiare con se stesso e con Dio, e cioè rispondere in difesa della nostra fede contro coloro che non volendo crede-re ciò che non comprendono, deridono coloro che cre-dono e aiutare lo studio religioso di coloro che cercano di comprendere ciò che credono: credo ut intelligam.

Anselmo vuole fare silenzio intorno a sè e rifu-giarsi nel suo intimo per cercare di vedere il volto di colui da cui tutto dipende, quel qualcosa di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore, affermazio-ne di fronte alla quale anche l’insipiente intende ciò che sente dire e ciò che intende è nel suo intel-letto anche se egli non intende che ciò esiste ( II,2).

Mirabile è nel primo capitolo il richiamo all’uomo di rientrare in se stesso, monito assai valido per la no-stra epoca così piena di frastuoni e di distrazioni che ci deviano da un cammino di spiritualità: Orsù omun-colo, abbandona per un momento le tue occupazioni, nasconditi un poco ai tuoi tumultuosi pensieri, abban-dona ora le pesanti preoccupazioni, rimanda i tuoi la-boriosi impegni. Per un po’ dedicati a Dio e riposati in Lui. “ Entra nella camera” del tuo spirito, escludi da essa tutto all’infuori di Dio e di ciò che ti possa giovare a cercarlo, e “ chiusa la porta” cercalo. Orsù dunque Signore Dio mio insegna al mio cuore dove e come pos-sa cercarti e dove e come possa trovarti. Non ti ho mai visto o Signore mio Dio, non conosco il tuo volto. Che cosa farà o Altissimo Signore, che cosa farà codesto tuo

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Ragione, fede, intelletto: per una rilettura de l’argomento del Proslogion.

a cura di Alessandro GhisalbertiOrdinario di Filosofia teoretica

Direttore della “Rivista di Filosofia Neoscolastica”dell’Università Cattolica di Milano

Nel proemio dell’opera Anselmo afferma di assu-mere «il punto di vista di colui che desidera elevare la propria mente a contemplare Dio e che aspira a com-prendere intellettivamente (intelligere) ciò che crede».

Nel Proslogion le preghiere si uniscono alle ela-borazioni rigorosamente concettuali: nel capitolo 1° Anselmo così esprime l’invocazione: «E ora tu, Signo-re Dio mio, insegna al mio cuore dove e come possa cercarti, dove e come possa trovarti. Signore, se non sei qui, dove potrei trovarti assente? E se sei dovun-que, perché non ti vedo presente? Ma certo tu abiti una luce inaccessibile. E dov’è la luce inaccessibile? O come mi avvicinerò a una tale luce? O chi mi con-durrà e mi introdurrà in essa, affinché in essa io ti veda? E poi, in base a quali tracce, a quale immagine ti cercherò? Non ti ho mai visto, o Signore Dio mio, non conosco il tuo volto. Che farà il tuo servo ansioso del tuo amore e gettato lontano dal tuo volto? Anela vederti, ed è troppo lontano dal tuo volto. Signore, tu sei il mio Dio e il mio Signore, e non ti ho mai visto. Tu mi hai creato e ricreato, e mi hai dato tutto quel che ho di bene, e non ti conosco ancora. Infine, sono fatto per conoscerti, e non feci ancora ciò per cui sono fatto»

Il compito teologico, conoscere Dio, è fissato: l’uo-mo lo sa dalla rivelazione, che per Anselmo equivale alla storia stessa; ma dalla rivelazione sa anche del-l’impossibilità in questa vita di conoscere in modo esaustivo Dio, nonostante che gli sia imposto di cer-carlo con tutte le sue forze intellettuali. Perciò, la preghiera sopra ricordata del cap. 1° del Proslogion finisce con una puntualizzazione ermeneutica dal tono elevatissimo: «Non tento, o Signore, di penetra-re la tua profondità, poiché non posso neppure da lontano paragonarle il mio intelletto; ma desidero intendere (intelligere) almeno fino a un certo punto la tua verità, che il mio cuore crede ed ama. Non cer-co infatti di capire per credere, ma credo per capire».

Nei capitoli secondo e terzo del Proslogion Ansel-mo elabora il celebre unum argumentum, cui assegna un ruolo fondamentale: nel proemio scrive che dovreb-be essere «quell’argomento unico che per la propria dimostrazione non necessita di altro che di sé solo e

che, da solo, è sufficiente a provare che Dio è real-mente, e che è sia il bene sommo che non manca di alcun altro bene, sia ciò di cui tutte le cose abbisogna-no per essere e per essere buone, sia tutte quelle altre cose che crediamo a proposito della divina sostanza».

Il fondamento dell’intero argomento, e dun-que dell’intera costruzione speculativa del Pro-slogion, è una precisa nozione di Dio: quella di “ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore”.

Testo capitoli 2-3 [“argomento ontologico”]

O Signore, che dài l’intelligenza della fede, concedimi di capire, per quanto sai che possa giovarmi, che tu esisti, come crediamo, e sei quello che crediamo. Ora noi crediamo che tu sei qualcosa di cui non si possa pensare nulla di più grande. O forse non esiste una tale natura, poiché «lo stolto disse in cuor suo: Dio non esi-ste » (Salmo 13, 1, e Salmo 52, 1)? Ma certo quel medesimo stolto, quando ode ciò che dico, e cioè la frase «qualcosa di cui nulla può pensarsi più grande», intende quello che ode; e ciò che egli intende è nel suo intelletto, anche se egli non intende che quella cosa esista. Altro infatti è

esule lontano? Brama di trovarti e non conosce ove tu stai. Fa di tutto per cercarti e ignora il tuo volto. In bre-ve sono stato fatto per vederti e ancora non ho fatto ciò per cui sono stato fatto. O misera sorte dell’uomo che ha perduto ciò per cui è stato fatto. O dura e crudele quella caduta! Ohimè che cosa ha perduto e che cosa ha trovato, che cosa è scomparso e che cosa è rimasto! Egli ha perso la beatitudine per la quale fu fatto e ha trovato la miseria per la quale non fu fatto.(I,1-3)

Anselmo ci ha tramandato, mettendola in appen-

dice al suo scritto con relativa risposta, la prima cri-tica rivolta alla sua prova dell’esistenza di Dio fatta da Gaunilone, monaco dell’Abbazia di Marmoutier nato nel 994 e ancora in vita nel 1083 che scrisse la sua replica nel 1078 quando aveva 40 anni più di Anselmo con il titolo Quid ad haec respondeat qui-dam pro insipiente che si fonda su due tesi:1) ciò che esiste nell’intelletto non esiste necessariamente nella realtà, 2) ciò di cui non può pensarsi nessuna cosa maggiore non è compreso in modo chiaro e distinto.

che una cosa sia nell’intelletto, altro è intende-re che la cosa esista (…) Anche lo stolto, dunque, deve convincersi che vi è almeno nell’intelletto una cosa della quale nulla può pensarsi di più grande, poiché egli intende questa frase quando la ode, e tutto ciò che si intende è nell’intelletto .

Ma certamente ciò di cui non si può pensa-re il maggiore non può esistere solo nell’intel-letto. Infatti, se esistesse solo nell’intelletto, si potrebbe pensare che esistesse anche nella real-tà, e questo sarebbe più grande. Se dunque ciò di cui non si può pensare il maggiore esiste solo nell’intelletto, ciò di cui non si può pensare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggio-re. Il che è contraddittorio. Esiste dunque senza dubbio qualche cosa di cui non si può pensare il maggiore e nell’intelletto e nella realtà (…)

Dunque esisti così veramente, o Signore Dio mio, che non puoi neppure essere pensato non esistente. E a ragione. Se infatti una mente po-tesse pensar qualcosa migliore di te, la creatura ascenderebbe sopra il creatore, e giudicherebbe il creatore, il che sarebbe grandemente assurdo. Invero tutto ciò che è altro da te può essere pen-sato non esistente. Tu solo dunque hai l’essere nel modo più vero, e quindi più di ogni altra cosa, poiché qualsiasi altra cosa non esiste in modo così vero, e perciò ha meno essere. Perché dunque «disse lo stolto in cuor suo: Dio non esi-ste », quando è così evidente alla mente razio-nale che tu sei più di ogni altra cosa? Per qua-le motivo, se non perché è stolto e insipiente?

Breve commentoDi fronte alla nominazione di Dio come “ciò di

cui non si può pensare il maggiore”, Anselmo passa a valutare la posizione dell’insipiente - desunta da un passaggio del Salmo 13 - il quale afferma che Dio non esiste, e la respinge perché inficiata da manife-sta contraddizione. Anselmo si appella all’evidenza: non siamo di fronte ad una dimostrazione vera e propria, articolata in premessa maggiore e minore; l’esistenza nella realtà (in re) non significa esistenza empirica, ma esistenza in generale o esistenza reale, e la forza probativa della conclusione è demandata al principio di non-contraddizione, ossia è immedia-

tamente evidente l’aporeticità della tesi dell’insipien-te, il quale, dicendo che Dio non esiste, finisce con il confinare l’esistenza di ciò di cui non si può pensa-re il maggiore nel solo intelletto, finisce cioè con af-fermare che non è ciò di cui non si può pensare il maggiore. La contraddizione è tolta solo affermando che ciò di cui non si può pensare il maggiore deve es-sere pensato esistente e nel pensiero e nella realtà.

Nei successivi capitoli terzo e quarto del Proslogion Anselmo rafforza la conclusione precedente, facendo vedere che, in ultima istanza, Dio esiste in modo così vero che non può nemmeno essere pensato non esi-stente, sia per cogenza della ragione dialettica, sia se-condando l’istanza teologica, connessa con la “logica della rivelazione”: dire che Dio non esiste significa dire - senza poterlo pensare - che ciò di cui non si può pen-sare il maggiore è ciò di cui si può pensare il maggiore, una contraddizione che equivale a dire: Dio non è Dio.

Allora siamo di fronte alla posizione di un ido-lo: il Dio dell’insipiente dovrebbe essere messo sullo stesso piano di una qualsiasi cosa creata, di cui si può pensare il maggiore. Ma ciò è vietato dalla rivelazione: “non avrai altro Dio fuori di me”; non puoi costringe-re Dio in una zona di pensiero categoriale, perché così si fabbricano degli idoli, e la tua mente finirebbe per “ascendere sopra Dio”, ritenersi capace di mettersi al di sopra di Dio e giudicarlo. Ancora una volta, ed in una modalità ancora più evidente, vale ciò che la parola rivelata afferma, e cioè che colui che in cuor suo pensa di poter dire che Dio non esiste è “insipiente”, ossia è escluso dall’orbita di qualsiasi tipo di “sapienza”.

Tra le traduzioni si segnala:Anselmo d’Aosta, Monologio e Proslogio; Gaunilone,

Difesa dell’insipiente; Risposta di Anselmo a Gaunilone,

a cura di I. Sciuto, (Testi a fronte, 56), Bompiani, Milano 2002

Nella Biblioteca Ambrosiana, oltre a numerosi libri a stampa di vari periodi, riguardanti Anselmo d’Aosta, c’è

anche un prezioso manoscritto:

Anselmo d’Aosta [1033-1109] Proslogion, excerpta

inserito nella raccolta di manoscritti con la segnatura Z 77 sup.

Milano, Pinacoteca Ambrosiana, Cartone di Raffaello per la “Scuola di Atene”. Dinanzi a quest’opera si costituì il Comitato Scientifico, che nel 2012 iniziò la “Lettura di nuovi classici”


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