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L'evoluzione della vita sulla...

Date post: 19-Feb-2019
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L'evoluzione della vita sulla Terra La storia della vita non tende necessariamente a ciò che noi intendiamo come progresso: la linea filetica che ha condotto alla comparsa della specie umana è del tutto fortuita nel quadro complessivo dell'evoluzione A lcuni personaggi annunciano le lo- ro invenzioni con grande clamo- re, altri invece compiono gran- di scoperte in tono dimesso, come fece Charles Darwin nel 1859 quando definì il nuovo meccanismo della causalità e- volutiva: «Ho chiamato questo principio, grazie al quale ogni lieve variazione, se utile, viene conservata, con il termine di Selezione naturale». La teoria della selezione naturale è un enunciato dalle straordinarie impli- cazioni in una veste meravigliosamen- te semplice, che ha superato molto be- ne, per 135 anni, la prova di indagini e verifiche intense e inesorabili. Fonda- mentalmente, essa pone il meccanismo del cambiamento evolutivo al centro di una «lotta» tra organismi per il succes- so riproduttivo, il che conduce a un maggiore adattamento delle popolazio- ni ad ambienti che via via si modifica- no. (Lotta è spesso un'espressione me- taforica e non deve essere vista come un combattimento dichiarato e condot- to ad armi spianate. Le strategie per il successo riproduttivo includono una vasta gamma di attività non bellicose, In questa lastra, proveniente dalla Na- mibia, si possono vedere alcuni esem- plari di Pteridinium, un importante or- ganismo appartenente alla prima fauna pluricellulare della Terra, la fauna di Ediacara, risalente a 600 milioni di anni fa ed estintasi prima dell'esplosione del- la fauna moderna nel Cambriano. Que- sti organismi lamelliformi, sottili e seg- mentati, potrebbero essere i precursori di alcune forme moderne, ma potrebbe- ro anche rappresentare un esperimento separato e alla fine fallito nel mondo de- gli organismi pluricellulari. La storia della vita tende a procedere attraver- so episodi rapidi e bizzarri più che at- traverso un graduale perfezionamento. di Stephen Jay Gould come un accoppiamento più precoce e più frequente o una migliore coopera- zione tra i partner nell'allevamento del- la prole.) Pertanto la selezione naturale è un principio di adattamento locale, e non di progresso generale. Per quanta importanza possa avere questo principio, la selezione natura- le non è la sola causa del cambiamento evolutivo (anzi, in parecchi casi, può essere messa in ombra da altre forze). E opportuno sottolineare questo punto perché normalmente si abusa della teo- ria evoluzionistica equiparando la ri- cerca di una spiegazione biologica di un dato carattere all'ideazione di sce- nari, spesso altamente ipotetici per non dire fantasiosi, che ruotano attorno al valore adattativo del carattere in que- stione nel suo ambiente originario (per esempio, l'aggressività umana si dimo- stra utile per la caccia; la musica e la religione per rafforzare la coesione tri- bale). Lo stesso Darwin enfatizzò for- temente la natura multifattoriale del cambiamento evolutivo e mise in guar- dia dall'affidarsi in modo troppo esclu- sivo alla selezione naturale, ponendo la seguente affermazione in bella eviden- za, alla fine dell'introduzione a L'ori- gine delle specie: «Sono convinto che la selezione naturale sia stato il più importante, ma non l'unico, fattore di modificazione». cazione». L selezione naturale non è di per sé sufficiente a spiegare il cambia- mento evolutivo per due importanti mo- tivi. In primo luogo vi sono molte altre cause che influiscono su di esso, parti- colarmente ai livelli di organizzazione biologica che sono sia al di sopra sia al di sotto di quello su cui si è tradizional- mente concentrato Darwin e che riguar- da gli organismi e la loro lotta per con- seguire il successo riproduttivo. Al li- vello più basso, che è quello della sosti- tuzione delle singole coppie di basi del DNA, il cambiamento è spesso, di fatto, neutro e quindi casuale. Ai livelli più alti, che interessano intere specie o fau- ne, l'equilibrio intermittente (o punteg- giato) può produrre tendenze evolutive mediante una selezione di specie basata sulla velocità di comparsa e di estinzio- ne di queste ultime, mentre le estinzioni in massa spazzano via porzioni consi- derevoli di comunità vegetali e anima- li per ragioni che non hanno relazione alcuna con le lotte adattative che le sin- gole specie intraprendono nei periodi «normali» intercorrenti tra l'uno e l'al- tro di questi eventi. In secondo luogo, e su questo si con- centrerà il presente articolo, benché la teoria della selezione naturale rap- presenti un quadro di riferimento im- portante per spiegare la storia del cam- biamento evolutivo (nessun aspetto di questa storia può essere in contrasto con una buona teoria e considerazioni teoriche possono consentire di preve- dere certi aspetti generali del quadro geologico in cui si inserisce la vita), i suoi princìpi non devono essere consi- derati come le cause determinanti del- l'effettivo corso degli eventi evolutivi. E importante insistere su questo punto in quanto si tratta di un aspetto fonda- mentale, seppure in larga parte non an- cora compreso, della complessità del mondo. Le catene e le reti di eventi so- no così complesse, così zeppe di ele- menti casuali e caotici, così irripetibili nel loro includere una simile moltitudi- ne di oggetti unici (e interagenti in mo- do unico), che per esse non possono valere i modelli standard della sempli- ce previsione e duplicazione. La storia può essere spiegata, con un rigore soddisfacente se le testimonian- ze sono sufficienti, dopo che si è svolta una serie di eventi, ma non può esse- re prevista con precisione prima. Pier- re-Simon de Laplace affermò, con il fi- ducioso determinismo tipico della fine L..r. 3.-ter44r, li. J io, weemore 1994 65
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L'evoluzione della vitasulla Terra

La storia della vita non tende necessariamente a ciò che noi intendiamocome progresso: la linea filetica che ha condotto alla comparsa dellaspecie umana è del tutto fortuita nel quadro complessivo dell'evoluzione

A

lcuni personaggi annunciano le lo-ro invenzioni con grande clamo-re, altri invece compiono gran-

di scoperte in tono dimesso, come feceCharles Darwin nel 1859 quando definìil nuovo meccanismo della causalità e-volutiva: «Ho chiamato questo principio,grazie al quale ogni lieve variazione, seutile, viene conservata, con il termine diSelezione naturale».

La teoria della selezione naturale èun enunciato dalle straordinarie impli-cazioni in una veste meravigliosamen-te semplice, che ha superato molto be-ne, per 135 anni, la prova di indagini everifiche intense e inesorabili. Fonda-mentalmente, essa pone il meccanismodel cambiamento evolutivo al centro diuna «lotta» tra organismi per il succes-so riproduttivo, il che conduce a unmaggiore adattamento delle popolazio-ni ad ambienti che via via si modifica-no. (Lotta è spesso un'espressione me-taforica e non deve essere vista comeun combattimento dichiarato e condot-to ad armi spianate. Le strategie per ilsuccesso riproduttivo includono unavasta gamma di attività non bellicose,

In questa lastra, proveniente dalla Na-mibia, si possono vedere alcuni esem-plari di Pteridinium, un importante or-ganismo appartenente alla prima faunapluricellulare della Terra, la fauna diEdiacara, risalente a 600 milioni di annifa ed estintasi prima dell'esplosione del-la fauna moderna nel Cambriano. Que-sti organismi lamelliformi, sottili e seg-mentati, potrebbero essere i precursoridi alcune forme moderne, ma potrebbe-ro anche rappresentare un esperimentoseparato e alla fine fallito nel mondo de-gli organismi pluricellulari. La storiadella vita tende a procedere attraver-so episodi rapidi e bizzarri più che at-traverso un graduale perfezionamento.

di Stephen Jay Gould

come un accoppiamento più precoce epiù frequente o una migliore coopera-zione tra i partner nell'allevamento del-la prole.) Pertanto la selezione naturaleè un principio di adattamento locale, enon di progresso generale.

Per quanta importanza possa averequesto principio, la selezione natura-le non è la sola causa del cambiamentoevolutivo (anzi, in parecchi casi, puòessere messa in ombra da altre forze).E opportuno sottolineare questo puntoperché normalmente si abusa della teo-ria evoluzionistica equiparando la ri-cerca di una spiegazione biologica diun dato carattere all'ideazione di sce-nari, spesso altamente ipotetici per nondire fantasiosi, che ruotano attorno alvalore adattativo del carattere in que-stione nel suo ambiente originario (peresempio, l'aggressività umana si dimo-stra utile per la caccia; la musica e lareligione per rafforzare la coesione tri-bale). Lo stesso Darwin enfatizzò for-temente la natura multifattoriale delcambiamento evolutivo e mise in guar-dia dall'affidarsi in modo troppo esclu-sivo alla selezione naturale, ponendo laseguente affermazione in bella eviden-za, alla fine dell'introduzione a L'ori-gine delle specie: «Sono convinto chela selezione naturale sia stato il piùimportante, ma non l'unico, fattore dimodificazione».cazione».

Lselezione naturale non è di per sésufficiente a spiegare il cambia-

mento evolutivo per due importanti mo-tivi. In primo luogo vi sono molte altrecause che influiscono su di esso, parti-colarmente ai livelli di organizzazionebiologica che sono sia al di sopra sia aldi sotto di quello su cui si è tradizional-mente concentrato Darwin e che riguar-da gli organismi e la loro lotta per con-seguire il successo riproduttivo. Al li-vello più basso, che è quello della sosti-tuzione delle singole coppie di basi del

DNA, il cambiamento è spesso, di fatto,neutro e quindi casuale. Ai livelli piùalti, che interessano intere specie o fau-ne, l'equilibrio intermittente (o punteg-giato) può produrre tendenze evolutivemediante una selezione di specie basatasulla velocità di comparsa e di estinzio-ne di queste ultime, mentre le estinzioniin massa spazzano via porzioni consi-derevoli di comunità vegetali e anima-li per ragioni che non hanno relazionealcuna con le lotte adattative che le sin-gole specie intraprendono nei periodi«normali» intercorrenti tra l'uno e l'al-tro di questi eventi.

In secondo luogo, e su questo si con-centrerà il presente articolo, benchéla teoria della selezione naturale rap-presenti un quadro di riferimento im-portante per spiegare la storia del cam-biamento evolutivo (nessun aspetto diquesta storia può essere in contrastocon una buona teoria e considerazioniteoriche possono consentire di preve-dere certi aspetti generali del quadrogeologico in cui si inserisce la vita), isuoi princìpi non devono essere consi-derati come le cause determinanti del-l'effettivo corso degli eventi evolutivi.E importante insistere su questo puntoin quanto si tratta di un aspetto fonda-mentale, seppure in larga parte non an-cora compreso, della complessità delmondo. Le catene e le reti di eventi so-no così complesse, così zeppe di ele-menti casuali e caotici, così irripetibilinel loro includere una simile moltitudi-ne di oggetti unici (e interagenti in mo-do unico), che per esse non possonovalere i modelli standard della sempli-ce previsione e duplicazione.

La storia può essere spiegata, con unrigore soddisfacente se le testimonian-ze sono sufficienti, dopo che si è svoltauna serie di eventi, ma non può esse-re prevista con precisione prima. Pier-re-Simon de Laplace affermò, con il fi-ducioso determinismo tipico della fine

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del XVIII secolo, che sarebbe stato ingrado di specificare tutti gli stati futuridell'universo se avesse potuto conosce-re la posizione e il moto di tutte le sueparticelle in un qualsiasi momento. Lanatura della complessità dell'universorende però vano questo sogno. La storiaracchiude troppo caos - ossia presentauna dipendenza estremamente sensibiledalle condizioni iniziali - il che produceesiti notevolmente divergenti a partireda minuscole e incommensurabili di-sparità nei punti di partenza. Inoltre lastoria è largamente soggetta alla contin-genza, nel senso che i risultati attualinon sono determinati direttamente daleggi immutabili di natura, ma sono pla-smati da lunghe catene di stati antece-denti imprevedibili.

Homo sapiens non comparve sullaTerra, appena un «secondo» fa in sen-so geologico, perché la teoria evoluzio-nistica prevede questo risultato in baseal principio di un progressivo aumentodella complessità del sistema nervoso.La comparsa degli esseri umani fu, piut-tosto, la conseguenza fortuita e contin-gente di migliaia di eventi collegati, unoqualsiasi dei quali avrebbe potuto svol-gersi in maniera diversa, dirottando lastoria su un percorso alternativo che nonavrebbe condotto all'intelligenza di ti-po umano. Per non citare che quattro diquesti eventi, tra i molti possibili, ricor-derò che: /) Se i nostri fragili e poco ap-pariscenti antenati non fossero stati fra ipochi sopravvissuti di quella imponenteradiazione di animali pluricellulari cheebbe luogo durante il Cambriano, circa530 milioni di anni fa, oggi sulla Terra

PRECAMBRIANO

non esisterebbe alcun vertebrato. (Soloun appartenente al phylum dei cordati,il genere Pikaia, è stato trovato tra que-sti antichissimi fossili. Questo piccoloe semplice organismo acquatico, che ilpossesso di una notocorda, o asse di so-stegno dorsale, indica come affine al-la nostra stirpe, è uno dei fossili più ra-ri della formazione degli Argilloscistidi Burgess, che racchiude la fauna me-glio conservata del Cambriano.) 2) Seun piccolo e poco promettente gruppo dipesci dalle pinne lobate non avesse svi-luppato in queste ultime uno scheletroosseo caratterizzato da un robusto assecentrale, capace di sostenere il peso del-l'animale sulla terraferma, forse i verte-brati non sarebbero mai diventati terre-stri. 3) Se una grande meteorite non a-vesse colpito la Terra 65 milioni di annifa, i dinosauri sarebbero ancora predo-minanti e i mammiferi sarebbero rimastianimali insignificanti (la stessa situazio-ne che era prevalsa nei precedenti 100milioni di anni) 4) Se, da quattro a duemilioni di anni fa, nelle savane africaneche si andavano inaridendo, alcuni pri-mati non avessero acquisito la posturaeretta, la nostra genealogia sarebbe pro-babilmente terminata in un gruppo discimmie antropomorfe che, come gli at-tuali scimpanzé e gorilla, sarebbe diven-tato ecologicamente marginale e proba-bilmente destinato all'estinzione, a di-spetto di una notevole complessità dicomportamento.

Pertanto, per comprendere gli eventie gli aspetti generali del corso della vi-ta, si deve andare oltre i princìpi dellateoria evoluzionistica per analizzare in-

vece la documentazione paleontologicadell'andamento contingente della storiadella vita sul nostro pianeta, cioè del-l'unica versione che si è realizzata trai milioni di alternative possibili. Unasimile concezione della storia della vi-ta si contrappone decisamente ai con-venzionali modelli deterministici del-la scienza occidentale, oltre che alla ra-dicata tradizione sociale e alla visioneantropocentrica occidentale che consi-derano l'uomo come l'espressione piùelevata della vita, destinata a sovrinten-dere al pianeta.

La comunità scientifica può adope-rarsi per comprendere la realtà dellanatura (come in effetti fa), ma essa èa tal punto immersa nella società chenon può non risentire di tutte quelle chesono le «certezze» predominanti, perquanto grande sia il suo impegno nelcercare l'oggettività. Lo stesso Darwin,scrivendo le ultime righe di L'originedelle specie, espresse convinzioni del-la società vittoriana più che affermareuna conclusione obiettiva: «Poiché laselezione naturale agisce soltanto peril vantaggio di ogni essere, col mezzodelle variazioni utili, tutte le qualità delcorpo e della mente tenderanno a pro-gredire verso la perfezione». (Nella e-dizione italiana del 1864, approvata daDarwin medesimo, da cui traiamo que-sta citazione, si parla di «elezione» enon di «selezione».)

Il corso della storia della vita includecertamente molti fenomeni prevedibiliin base alle leggi di natura, ma si trattadi aspetti troppo vasti e generali perchésia possibile utilizzarli per spiegare i ri-sultati particolari dell'evoluzione: rose,funghi, esseri umani e via dicendo. Gliorganismi si adattano ai princìpi fisici etrovano in essi i loro limiti. Per esem-pio, non sorprende troppo il fatto che,dati i vincoli della gravità, i vertebratimarini di maggior mole (cioè i cetacei)siano più grandi dei maggiori animaliterrestri (oggi gli elefanti, in passato idinosauri), i quali, a loro volta, sono digran lunga più voluminosi dei più gran-di vertebrati volanti che siano mai esi-stiti (gli pterosauri del Mesozoico, oggiestinti).

Leggi ecologiche prevedibili regola-no la strutturazione delle comunità deiviventi sulla base del flusso di energia edi princìpi termodinamici (per esempio,il fatto che vi sia una maggiore biomas-sa sotto forma di preda che non di pre-datori). Le tendenze evolutive, una vol-ta in atto, possono avere una prevedi-bilità locale (per esempio, la «corsa a-gli armamenti», in cui predatori e pre-de perfezionano armi e difese: una si-tuazione che Geerat i. Vermeij dell'U-niversità della California a Davis hadefinito «escalation», documentando larobustezza crescente nel corso del tem-po sia delle chele dei granchi sia del-le conchiglie dei gasteropodi, che deigranchi costituiscono la preda). Tutta-via le leggi della natura non dicono

affatto perché esistano granchi e gaste-ropodi, perché gli insetti siano gli ani-mali pluricellulari predominanti e per-ché le forme più complesse di vita sul-la Terra siano i vertebrati e non grandiammassi di alghe.

In contrapposizione alla maniera tra-dizionale di concepire la storia della vi-ta come un processo di complessità gra-dualmente crescente e almeno in buo-na parte prevedibile, spiccano tre aspet-ti -della documentazione paleontologi-ca su cui ci baseremo per portare avan-ti le tesi esposte in questo articolo: lacostanza della complessità modale nelcorso della storia della vita; la concen-trazione degli eventi evolutivi più im-portanti in brevi esplosioni, intervallateda lunghi periodi di relativa stabilità;infine, il ruolo delle circostanze ester-ne, e in primo luogo delle estinzioni inmassa, nello scompigliare l'ordinamen-to dei tempi «normali». Questi tre a-spetti, associati ai temi più generali delcaos e della contingenza, richiedono unnuovo quadro di riferimento per concet-tualizzare e delineare la storia della vi-ta. Questo articolo si concluderà dun-que con alcune proposte per una rappre-sentazione diversa dell'evoluzione.

Lprincipale testimonianza paleonto-logica sull'origine della vita sotto-

linea come il suo inizio sia prevedibile,ma dice ben poco sul suo andamentosuccessivo. La Terra ha 4,6 miliardi dianni, ma le rocce più antiche risalgonoa 3,9 miliardi di anni perché, in epo-ca precoce nel corso della storia dellaTerra, la superficie terrestre si fuse inconseguenza sia del bombardamentoda parte di grandi quantità di frammen-ti residui della formazione del sistemasolare, sia del calore generato dal de-cadimento radioattivo di isotopi a vitabreve. Tuttavia queste rocce subironoun metamorfismo così intenso, per ef-fetto di un successivo riscaldamento eaumento di pressione, da distruggere ifossili (anche se alcuni scienziati inter-pretano le proporzioni dei differenti i-sotopi del carbonio contenuti in questerocce come indizi di produzione orga-nica). Le rocce più antiche rimaste suf-ficientemente inalterate da poter con-servare cellule fossili (sedimenti africa-ni e australiani che risalgono a 3,5 mi-liardi di anni fa) includono cellule pro-cariote (batteri e cianofite) e stromato-liti (formazioni di acque marine pocoprofonde, costituite da sedimenti trat-tenuti e saldati da cianofite). Questo cidice che la vita sulla Terra sorse in e-poca molto antica ed ebbe una evolu-zione assai rapida. Questo fatto sem-bra di per sé indicare una inevitabilità,o perlomeno una prevedibilità, dell'o-rigine della vita a partire dai costituen-ti chimici presenti originariamente nel-l'atmosfera e negli oceani.

Non vi è dubbio che gli organismipiù complessi siano comparsi in succes-sione dopo questo inizio procariotico:

dapprima cellule dotate di nucleo (eu-cariote), circa due miliardi di anni fa,quindi animali pluricellulari, circa 600milioni di anni fa, con una «staffetta»della massima complessità dagli inver-tebrati ai vertebrati marini e, infine (sevogliamo dare il posto d'onore, secon-do una concezione piuttosto provincia-le, all'architettura del sistema nervoso),ai rettili, ai mammiferi e agli esseri u-mani. Questa è la successione conven-zionale, rappresentata nei vecchi libri ditesto da una «età degli invertebrati» se-guita da una «età dei pesci», da una «etàdei rettili», da una «età dei mammiferi»e da una «età dell'uomo» (aggiungendocosì il vecchio pregiudizio maschilista atutti gli altri pregiudizi espressi da que-sta sequenza).

Non nego che l'aumento della com-plessità sia un dato reale, ma sostengoche il nostro desiderio di vedere la sto-ria della vita come una progressione egli esseri umani come organismi desti-nati al predominio ha distorto grossola-namente la nostra interpretazione, in-ducendoci a porre in posizione privile-giata un fenomeno di importanza relati-vamente secondaria, avvenuto solo co-me conseguenza di particolari vincoliiniziali. L'aspetto più saliente della sto-ria biologica è la stabilità del modo divita batterico, dalle prime testimonian-ze fossili fino a oggi e, quasi certamen-te, anche per tutto il futuro della Terra.La nostra è in realtà l'«età dei batteri»,come era all'inizio e come sarà sempre.

Per ragioni legate alle condizioni chi-miche dell'origine della vita e ai vincolifisici dell'autorganizzazione, i primi es-seri viventi comparsi sulla Terra si tro-

vavano nei pressi del limite minimo dicomplessità concepibile e conservabile.In uno schema che rappresenti la com-plessità questo limite inferiore può es-sere raffigurato come un muro. Poichéla documentazione fossile ci induce asupporre che la distanza tra esso e ilmodo di vita batterico sia molto picco-la, vi è una sola direzione possibile perfuture modificazioni: un aumento dellacomplessità verso destra. Così, di tan-to in tanto, si evolve un organismo piùcomplesso che estende l'ambito di di-versità della vita nell'unica direzionedisponibile. Tecnicamente parlando, ladistribuzione della complessità si spo-sta sempre più verso destra in seguito aqueste aggiunte occasionali.

Simili aggiunte sono però rare ed e-pisodiche. Non costituiscono neppureuna serie evolutiva, ma formano una se-quenza eterogenea di taxa aventi scar-sa affinità tra loro, generalmente rap-presentati da una cellula eucariota, una

. medusa, un trilobite, un nautiloide, uneuripteride (animale di notevoli dimen-sioni affine agli xifosuri), un pesce, unanfibio come Eryops, un dinosauro, unmammifero e un essere umano. Non èpossibile interpretare una sequenza diquesto tipo come la principale tenden-za o forza propulsiva della storia dellavita; si potrebbe immaginare piuttostoche occasionalmente un organismo ruz-zoli nella regione di destra, vuota, dellospazio della complessità. Per tutto que-sto tempo, il modo batterico è cresciu-to in altezza mantenendo costantementela stessa posizione. I batteri rappresen-tano il più grande successo della storiadella vita. Essi occupano una maggiore

M MURO DELLA COMPLESSITÀ MINIMA

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COMPLESSITA

Il progresso non dirige il processo evolutivo (e non ne è neppure la forza propulsi-va). Per motivi di natura chimica e fisica, la vita sorge nei pressi del «muro» dellaminima complessità concepibile e conservabile. Lo stile di vita batterico è rimastoa tutt'oggi il più comune e quello maggiormente votato al successo. Alcuni organi-smi, di tanto in tanto, si spostano verso destra, ampliando la distribuzione versouna maggiore complessità. Molti altri si spostano verso sinistra, ma sono assorbi-ti nello spazio già occupato. Si noti che nel tempo il modo di vita dei batteri hamantenuto una posizione immutata, crescendo soprattutto lungo l'asse verticale.

DIVERSITÀ ANATOMICA

La nuova iconografia dell'albero della vita mostra che la massima diversità nelleforme anatomiche (non nel numero di specie) viene raggiunta molto presto nella sto-ria degli organismi pluricellulari. I tempi successivi sono caratterizzati dall'estinzio-ne della maggior parte di questi esperimenti iniziali e da un enorme successo all'in-terno delle linee evolutive che sopravvivono. Questo successo si misura come proli-ferazione di specie, ma non come sviluppo di nuove strutture anatomiche. Oggi ilnumero di specie è più elevato di quanto si sia avuto in passato, anche se queste spe-cie si limitano a una gamma più ristretta di strutture anatomiche fondamentali.

LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994 6766 LE SCIENZE n. 316, dicembre 1994

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varietà di ambienti e comprendono unagamma di processi biochimici più va-sta di qualsiasi altro gruppo. Sono adat-tabili, indistruttibili e sorprendentemen-te diversificati. Non riusciamo neppurea immaginare come l'opera dell'uomopotrebbe minacciare la loro estinzione,mentre ci preoccupa l'impatto che lenostre attività possono avere su quasi o-gni altra forma di vita. Il numero di cel-lule di Escherichia coli che vivono nel-l'intestino di ciascun essere umano su-pera il numero di persone vissute sullaTerra dalla comparsa dell'uomo.

Si potrebbe sostenere che - benché ilprocesso che conduce la vita nel suo in-sieme verso una sempre maggiore com-plessità rappresenti una pseudotenden-za, basata sulla limitazione dovuta allapresenza del muro a sinistra - l'evolu-zione all'interno di particolari gruppifavorisca in modo differenziale la com-plessità nel caso il ceppo fondatore ab-bia origine in un punto sufficientemen-te lontano dal muro, così da permette-re il movimento in entrambe le direzio-ni. Le ricerche per verificare questa in-teressante ipotesi sono appena agli ini-zi (dato che l'interesse per questo ar-gomento è relativamente recente tra ipaleontologi) e quindi non disponiamo

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1. Vauxia (gracile)12 2. Branchiocaris

3. Opabinia4. Amiskwia5. Vauxia (robusta)

17 6. Molaria7. Aysheaia8. Sarotrocercus9. Nectocaris

10.Pikaia

11.Micromitra 22. Emeraldella 34. Sidnevia12.Echmatocrinus 23. Burgessia 35. Odar'aia13. Chancelloria 24. Leanchoilia 36. Eiffelia14.Pirania 25. Sanctacaris 37. Mackenzia15. Choia 26. Ottoia 38. Odontogriphus16.Leptomitus 27. Louisella 39. Hallucigenia17. Dinomischus 28. Actaeus 40. Elrathia18. Wiwaxia 29. Yohoia 41. Anomalocaris19. Naraoia 30. Peronochaeta 42. Lingulella20. Hyolithes 31. Selkirkia 43. Scene/la21. Habelia 32. Ancalagon 44. Canadaspis

33. Burgessochaeta 45. Marrella46. Olenoides

ancora di un numero sufficiente di ca-si per procedere a una generalizzazione.I primi due studi effettuati (quello diDaniel W. McShea dell'Università delMichigan sulle vertebre dei mammiferie quello di George F. Boyajian dell'U-niversità della Pennsylvania sulle lineesuturali delle ammoniti) non hanno ri-velato alcuna tendenza evolutiva chefavorisca una maggiore complessità.

Inoltre, quando si considera che, perogni modalità di vita che comporti unmaggiore grado di complessità, ne esi-ste probabilmente un'altra ugualmen-te vantaggiosa, basata su una maggio-re semplicità di forma (come si riscon-tra, per esempio, nei parassiti), sembraimprobabile a priori un'evoluzione pre-ferenziale verso la complessità. La no-stra impressione che la vita si evolvaverso una maggiore complessità è pro-babilmente soltanto un pregiudizio, i-spirato da un atteggiamento mentale«provinciale» che tende a concentrarel'attenzione su noi stessi e, di conse-guenza, a dare eccessiva importanza a-gli organismi che diventano più com-plessi; al contrario, ignoriamo altrettan-te linee evolutive che si adattano ugual-mente bene assumendo forme via viapiù semplici. Il parassita di morfologia

degenerata, che si trova in un ambienteprotetto nel corpo dell'ospite, ha altret-tante prospettive di successo evolutivodi un suo affine, splendidamente elabo-rato, che deve tener testa alle fionde ealle frecce di una sorte spietata in unmondo esterno crudele.

Anche se la complessità non fosse al-tro che un allontanamento da un

muro che esercita costrizione, potrem-mo considerare le tendenze in questadirezione come maggiormente prevedi-bili e caratteristiche del corso della vitanel suo insieme se, col passare del tem-po, gli incrementi nella complessità siaccumulassero in maniera persistente egraduale. Ma, per ciò che concerne lastoria della vita, nulla è più stupefacen-te, rispetto a questa comune (e falsa) a-spettativa, dell'andamento reale - fattodi lunghi periodi di stabilità e di rapidicambiamenti episodici - che ci viene ri-velato dallo studio dei reperti fossili.

La vita è rimasta quasi esclusivamen-te unicellulare per i primi cinque sestidella sua storia: dai primi fossili docu-mentati, che risalgono a 3,5 miliardi dianni fa, ai primi animali pluricellularialtrettanto ben documentati, che risal-gono a meno di 600 milioni di anni fa.(Alcune alghe pluricellulari semplici sisono evolute più di un miliardo di annifa, ma esse appartengono al regno ve-getale e non hanno alcun legame di pa-rentela con gli animali.) Questo lungoperiodo di vita unicellulare comprende,naturalmente, la transizione di fonda-

Una grande diversità si sviluppò rapi-damente nel corso del Cambriano (530milioni di anni fa), agli albori della vitaanimale pluricellulare. Gli organismiqui illustrati sono stati tutti rinvenutinella fauna degli Argilloscisti di Bur-gess, in Canada, che risale al Cambria-no medio. Essi includono alcune formeben note (spugne e brachiopodi) che so-no sopravvissute fino a oggi, ma moltiorganismi (come il gigantesco Anoma-locaris, il più grande di tutti gli animalidel Cambriano) non vissero a lungo ehanno un'anatomia così peculiare che èimpossibile classificarli nei phyla noti.

mentale importanza dalle cellule proca-riote semplici, prive di organelli, allecellule eucariote dotate di nuclei, mito-condri e altre strutture intracellulari, maper vedere il raggiungimento dell'orga-nizzazione animale pluricellulare biso-gna attendere per ben tre miliardi di an-ni. Se la complessità è una caratteristicatanto valida e, secondo il nostro modousuale di pensare, la pluricellularità nerappresenta la fase iniziale, la vita deveessersi presa un bel po' di tempo per ef-fettuare questo passo cruciale. Similiindugi fanno pensare che non si possaconsiderare il progresso in generale co-me il tema principale della storia dellavita, anche se è possibile spiegarli plau-sibilmente ammettendo che l'ossigenoatmosferico fosse scarso per gran partedel Precambriano o che la vita unicellu-lare fosse incapace di raggiungere unaqualche soglia strutturale che fungesseda presupposto per la pluricellularità.

Fatto ancora più curioso, tutti gli sta-di principali nell'organizzazione dellastruttura pluricellulare degli animali sisono svolti in un breve periodo di tem-po, a cominciare da meno di 600 milio-ni di anni fa fino a concludersi circa530 milioni di anni fa. Anche le variefasi all'interno di questa sequenza sonostate discontinue ed episodiche, senzaun accumulo graduale. La prima fauna,detta di Ediacara in onore della locali-tà australiana dove venne scoperta (og-gi si sa che essa è presente nelle roccepiù antiche di tutti i continenti), consi-ste in fronde molto appiattite, lamine edischetti composti da numerosi, sottilisegmenti uniti assieme. La natura dellafauna di Ediacara è oggi argomento diintense discussioni. Non sembrerebbeche questi organismi siano solamenteprecursori di forme più tardive. Potreb-bero costituire un esperimento separa-to e fallito nella vita animale, oppurepotrebbero rappresentare una gammacompleta di organizzazioni diploblasti-che (a duplice strato), della quale gli at-tuali celenterati (coralli, meduse e affi-ni) sarebbero l'unica reliquia, notevol-mente alterata.

In ogni caso, la fauna di Ediacara siestinse certamente assai prima che si e-volvessero le faune e le flore del Cam-briano. Quest'ultimo periodo ebbe dun-que inizio con un insieme di strutturedisparate e di difficile interpretazione,definito «piccola fauna a conchiglie».Il successivo impulso importante, a co-

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minciare da circa 530 milioni di anni fa,costituisce la famosa «esplosione» delCambriano, durante la quale tutti i phy-la animali moderni, tranne uno, hannofatto la loro prima comparsa tra i reper-ti fossili. (I geologi avevano dapprimacollocato questo evento lungo un perio-do di 40 milioni di anni, ma un eccel-lente studio pubblicato nel 1993 restrin-ge inequivocabilmente questo arco ditempo di fioritura filetica a soli cinquemilioni di anni.) I briozoi, un gruppo diorganismi marini sessili e coloniali, noncomparvero fino all'inizio del periodosuccessivo, l'Ordoviciano, ma questoapparente ritardo potrebbe essere un ar-tefatto dovuto al semplice motivo chenon sono stati scoperti loro rappresen-tanti nel Cambriano.

Anche se da allora si sono svolti e-venti interessanti e spettacolari come ladiffusione dei dinosauri e la comparsadell'intelligenza umana, non è esagera-to affermare che la storia successivadella vita animale consiste in poco piùche semplici variazioni su temi anato-mici già apparsi durante l'esplosionedel Cambriano, in un arco di tempo disoli cinque milioni di anni. Tre miliardidi anni di unicellularità, seguiti da cin-que milioni di anni di intensa creati-vità, a cui si aggiungono oltre 500 mi-lioni di anni di variazioni su temi ana-tomici ben stabiliti, possono difficil-mente essere interpretati come una ten-denza prevedibile, inesorabile o conti-nua verso il progresso o una crescentecomplessità.

Non siamo in grado di spiegare per-ché l'esplosione del Cambriano abbiapotuto dare così rapidamente il via atutti i più importanti tipi di organizza-zione anatomica. Una spiegazione «e-sterna», su base ecologica, sembra ave-re un certo interesse: l'esplosione delCambriano rappresenta il riempimen-to iniziale del «serbatoio ecologico» dinicchie per gli organismi pluricellula-ri e qualsiasi esperimento vi ha trovatospazio. Da allora, il serbatoio non si èmai più svuotato; anche le estinzioni inmassa hanno lasciato alcune specie perciascun ruolo importante, e l'occupa-zione dello spazio ecologico da parte diqueste ha precluso l'opportunità di no-vità fondamentali. Sembrerebbe perònecessaria, in funzione di complemen-to, anche una spiegazione «interna»,vale a dire basata sulla genetica e sul-lo sviluppo: i più antichi animali pluri-cellulari avevano forse conservato unacerta flessibilità per il cambiamento ge-netico e la trasformazione embriologi-ca, flessibilità che si è fortemente ridot-ta allorché essi si sono «bloccati» in uninsieme di modelli stabili e di successo.

In ogni caso, questo periodo iniziale

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Le rappresentazioni classiche della storia della vita rivelano una pericolosa tenden-za a considerare l'evoluzione come se essa includesse un principio che porta al pro-gresso e a una sempre maggiore complessità. Di questi dipinti di Charles R. Knight,pubblicati nel 1942 in «National Geographic», il primo mostra gli invertebrati degliArgilloscisti di Burgess. Ma, con l'evolversi dei pesci (secondo dipinto), sembra chetutti gli invertebrati siano scomparsi dalla scena, anche se essi non si sono di fattoestinti né hanno cessato di evolversi. Quando appaiono i vertebrati terrestri (terzodipinto), spariscono a loro volta i pesci, anche se viene rappresentato (quarto dipin-to) il ritorno al mare di alcune forme di vertebrati terrestri. La sequenza terminasempre con i mammiferi (quinto dipinto) e naturalmente con gli esseri umani (sestodipinto), anche se in realtà pesci, rettili e invertebrati sono ancora in pieno rigoglio.

di flessibilità interna ed esterna diedeorigine a tutta una gamma di organiz-zazioni anatomiche degli invertebrati lequali (in appena alcuni milioni di anni)potrebbero aver superato l'intera va-rietà di forme animali presenti oggi intutti gli ambienti terrestri (dopo più di500 milioni di anni di ulteriore espan-sione). Gli scienziati hanno opinioni al-quanto discordi su questo argomento.Alcuni sostengono che, in questa e-splosione iniziale, la gamma dei tipi diorganizzazione anatomica doveva es-sere superiore a quella degli organi-smi attuali, dato che molti dei primi e-sperimenti si sono estinti col passaredel tempo e non è più comparso alcunnuovo phylum. Anche gli scienziati chetendono a opporsi più decisamente aquest'idea ammettono che la biodiver-sità del Cambriano fosse perlomeno u-guale a quella attuale: così, anche perchi la pensa nel modo più prudente, leopportunità emerse nei 500 milioni dianni successivi non provocarono alcu-na espansione della varietà di forme delCambriano, raggiunta nell'arco di so-li 5 milioni di anni. L'esplosione delCambriano fu, dunque, l'avvenimentopiù straordinario ed enigmatico dellastoria della vita.

Inoltre non sappiamo perché la mag-gior parte dei primi esperimenti si sianoestinti, mentre alcuni sono sopravvissutiper diventare i phyla che oggi conoscia-mo. Si sarebbe tentati di dire che i vinci-tori abbiano prevalso in virtù di unamaggiore complessità anatomica, di unamigliore idoneità ecologica o di qual-

che altro aspetto prevedibile della con-venzionale lotta darwiniana. Essi perònon hanno in comune alcun carattere ri-conosciuto; diventa così indispensabileprendere in considerazione la radicalealternativa secondo cui ogni esperimen-to primordiale ricevette niente altro chel'equivalente di un biglietto della piùgrande lotteria mai svoltasi sul nostropianeta e ogni linea evolutiva sopravvis-suta, compreso il nostro phylum di ver-tebrati, esiste oggi sulla Terra più graziealla fortuna che ha avuto nell'estrazioneche non a un qualsiasi prevedibile esitodella lotta per l'esistenza. La storia del-la vita animale pluricellulare può esserestata più una storia di grande riduzionedelle possibilità iniziali, con una stabi-lizzazione dei fortunati superstiti, che unracconto convenzionale di espansione e-cologica costante e di progresso morfo-logico nella complessità.

Infine, questo andamento di lunghestasi e di rapidi episodi nei quali si con-centra il cambiamento e vengono stabi-liti nuovi equilibri può essere genera-lizzato a molteplici scale di tempo e digrandezza, fino a formare una sorta diconfigurazione frattale dotata di autoso-miglianza. In base al modello della spe-ciazione a equilibri punteggiati, le ten-denze all'interno delle diverse linee e-volutive si manifestano attraverso epi-sodi, che si vanno continuamente accu-mulando, di speciazione istantanea allascala dei tempi geologici, anziché tra-mite un graduale cambiamento all'in-terno di popolazioni continue (si trattadi un processo che assomiglia più al sa-

lire i gradini di una scala che non al farrotolare una palla all'insù lungo un pia-no inclinato).

Anche se la teoria evoluzionisticasuggerisse una potenziale direzio-

ne interna per la storia della vita (i fattie le argomentazioni precedentemente e-sposti inducono, tuttavia, ad avanzarequalche dubbio su questa affermazio-ne), l'occasionale verificarsi di un cam-biamento rapido e sostanziale, forse ad-dirittura catastrofico, nell'ambiente al-tererebbe profondamente questo anda-mento. Cambiamenti ambientali di que-sta portata possono causare l'estinzionedi una percentuale elevata delle specieterrestri e, così facendo, annullare qual-siasi direzione interna e riorientare ilcorso della storia biologica in manieratale da farlo apparire capriccioso e con-centrato in singoli episodi anziché co-stante e direzionale. Estinzioni in massavennero individuate già agli albori dellapaleontologia; le principali suddivisionidella scala del tempo geologico sonostate stabilite in corrispondenza di limi-ti contrassegnati da simili eventi. Ma fi-no a quando, alla fine degli anni settan-ta, non si ebbe un risveglio di interesseper questi fenomeni, buona parte deipaleontologi trattò le estinzioni in mas-sa solo come un'intensificazione di e-venti ordinari, che portava (al massimo)a un'accelerazione di tendenze già esi-stenti in tempi normali. Secondo la teo-ria gradualistica delle estinzioni in mas-sa, questi eventi impiegavano in realtàmilioni di anni per svolgersi (e la lororapidità apparente era interpretata comeun artefatto dovuto alla documentazio-ne fossile incompleta); essi non faceva-no altro che accelerare fenomeni chegià si manifestavano in tempi ordinari(per esempio, una più intensa competi-zione darwiniana in situazioni difficiliche portava a una sostituzione estrema-mente efficiente delle forme meno adat-tate da parte di forme migliori).

La reinterpretazione delle estinzioniin massa come eventi fondamentali perla storia biologica e radicalmente diver-si dalla spiegazione tradizionale ebbe i-

nizio nel 1979, allorché Luis e WalterAlvarez presentarono dati dai quali sipoteva dedurre che l'impatto di un cor-po extraterrestre di grandi dimensioni(probabilmente un asteroide con diame-tro compreso fra sette e 10 chilometri)fosse responsabile dell'ultima grandeestinzione, avvenuta 65 milioni di an-ni fa, al limite tra Cretaceo e Terziario.Anche se, in un primo momento, l'ipo-tesi degli Alvarez trovò un'accoglienzaalquanto scettica da parte della comu-nità scientifica (atteggiamento peraltrodel tutto opportuno nei riguardi di spie-gazioni così anticonformiste), essa sem-bra oggi pressoché dimostrata in segui-to alla scoperta dell'«arma del delitto»,un cratere di dimensioni ed età appro-priate localizzato al largo della penisoladello Yucatan, in Messico.

Il risveglio di interesse per le estin-zioni in massa ha anche indotto i pa-leontologi a classificare in modo più ri-goroso i dati relativi a esse. Ricercheeffettuate da David M. Raup, J. J. Sep-koski, Jr., e David Jablonski dell'Uni-versità di Chicago hanno permesso diindividuare cinque estinzioni principali(avvenute alla fine dell'Ordoviciano,nel tardo Devoniano, alla fine del Per-miano, alla fine del Triassico e alla finedel Cretaceo), oltre a molte estinzioniminori, in tutti i 530 milioni di annidella storia degli animali pluricellulari.Non abbiamo alcuna prova concretache qualcuno di questi eventi, a partel'ultimo, sia stato scatenato da un im-patto catastrofico, ma lo studio accu-rato condotto da Raup e collaboratoriporta alla conclusione generale che leestinzioni in massa debbano essere sta-te più frequenti, più rapide, più esteseper dimensione e più varie nei loro ef-fetti di quanto fosse stato in precedenzasupposto. Queste quattro caratteristicheillustrano quanto siano profonde le im-plicazioni delle estinzioni in massa nelconsentirci di interpretare il corso dellastoria biologica come contingente e ca-priccioso, anziché come prevedibile edestinato a svolgersi in una ben precisadirezione.

Le estinzioni in massa non sono del

tutto casuali nel loro impatto sulla vita.Alcuni gruppi di organismi soccombonoe altri sopravvivono come risultato logi-camente deducibile della presenza o del-l'assenza di determinate caratteristicheevolutive. Ma, specialmente se la causache innesca l'estinzione è improvvisa ecatastrofica, le ragioni che determinanola vita o la morte possono avere ben po-co a che fare con l'adeguatezza di carat-teri evolutisi nel corso di una competi-zione darwiniana svoltasi in tempi nor-mali. Il fatto che le estinzioni in massasiano eventi che si fondano su «regoledifferenti» impartisce al corso della sto-ria biologica un carattere bizzarro e im-prevedibile, in quanto un gruppo di or-ganismi non può, in tutta evidenza, anti-cipare evenienze future di tale portata econ effetti così vari.

Citerò due esempi che risalgono al-l'estinzione avvenuta 65 milioni di annifa, al limite tra Cretaceo e Terziario, edovuta a un impatto meteoritico. In pri-mo luogo, un importante studio pubbli-cato nel 1986 ha messo in rilievo che lediatomee sopravvissero a quell'estin-zione molto meglio degli altri compo-nenti unicellulari del plancton (in pri-mo luogo coccoliti e radiolari). È statoscoperto che molte di esse avevano svi-luppato una strategia di quiescenza perincistamento, forse per sopravvivere al-le condizioni sfavorevoli di certe sta-gioni (per esempio, nelle specie polari,i lunghi mesi di oscurità che diversa-mente sarebbero stati fatali a cellule do-tate di attività fotosintetica; oppure unadisponibilità sporadica della silice ne-cessaria per costruire gli scheletri). Al-tre cellule planctoniche non avevano in-vece sviluppato alcun meccanismo diquiescenza. Se, al termine del Cretaceo,l'impatto meteoritico produsse davverouna nube di polvere tale da scherma-re la luce del Sole per parecchi mesi opiù, le diatomee potrebbero essere so-pravvissute fortuitamente grazie ai loromeccanismi di quiescenza, che pure sierano sviluppati per compiere una fun-zione totalmente diversa: il superamen-to di avversità stagionali in tempi ordi-nari. Le diatomee non erano in qualche

modo superiori ai radiolari o ad altri or-ganismi planctonici che furono colpitiin maniera molto più grave dall'estin-zione; ebbero semplicemente la fortunadi possedere un carattere vantaggioso,evolutosi per altre ragioni, che consentìloro di superare l'impatto e le sue cata-strofiche conseguenze.

In secondo luogo, sappiamo tutti chei dinosauri perirono in un evento verifi-catosi alla fine del Cretaceo, lasciandoai mammiferi la possibilità di domina-re, come oggi avviene, il mondo deivertebrati. I più danno per scontato chei mammiferi prevalsero in quei tem-pi difficili grazie a una qualche lorosuperiorità generale sui dinosauri, mauna simile conclusione sembra assolu-tamente improbabile. Mammiferi e di-nosauri erano coesistiti per 100 milio-ni di anni, e per tutto questo tempo imammiferi avevano mantenuto dimen-sioni paragonabili a quelle di un ratto oanche minori, senza compiere alcuna«mossa» evolutiva per spodestare i di-nosauri dalla loro posizione di domi-nanza. Finora non è stato proposto al-cun argomento valido che spieghi lasupremazia dei mammiferi come dovu-ta a una loro superiorità generale; sem-bra che la causa di gran lunga più pro-babile sia stata accidentale. Un'argo-mentazione plausibile potrebbe essereche i mammiferi siano sopravvissuti inparte per effetto della loro piccola mole(la quale implica popolazioni molto piùnumerose, che oppongono una mag-giore resistenza all'estinzione, e unaminore specializzazione ecologica checonsente, per così dire, di disporre diun numero più elevato di posti per na-scondersi). La piccola mole potrebbe,però, non essere stata affatto un adat-tamento positivo dei mammiferi, mapiuttosto un segno della loro perenneincapacità di competere efficacementecon i dinosauri. Eppure questa caratte-ristica, «negativa» in tempi normali,potrebbe essere stata la ragione princi-pale della sopravvivenza dei mammife-ri, e una condizione necessaria perchéio oggi possa scrivere questo articolo evoi siate in grado di leggerlo.

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MUSICAE STRUMENTI

MUSICALI

LE SCIENZE edizione italiana di

SCIENTIFIC AMERICAN

ha dedicato all'argomentodiversi articoli:

La fisica degli ottonidi A. H. Benade

(n. 63, novembre 1973)

La dinamica musicaledi B.R. Patterson

(n. 78, febbraio 1975)

Illusioni musicalidi D. Deutsch

(n. 96, agosto 1976)

Le corde accoppiatedel pianofortedi G. Weinreich

(n. 127, marzo 1979)

L'acusticadei piani armonici di violino

di C. Maley Hutchins(n. 160, dicembre 1981)

La fisica dei timpanidi T. D. Rossing

(n. 173, gennaio 1983)

La fisica delle canne d'organodi N. H. Fletcher e S. Thwaites

(n. 175, marzo 1983)

La tromba baroccadi D. Smithers, K. Wogram

e J. Bowsher(n. 214, giugno 1986)

Il calcolatore e la musicadi P. Boulez e A. Gerzso

(n. 238, giugno 1988)

L'acustica del clavicembalodi E. L. Kottick, K. D. Marshall

e T. J. Hendrickson(n. 272, aprile 1991)

C igmund Freud faceva spesso notarecome le grandi rivoluzioni nella

storia della scienza abbiano un'unicacaratteristica comune, carica d'ironia:demoliscono tutti quei piedistalli su cuil'umanità si è posta, convinta della pro-pria importanza. Nei tre esempi cheFreud riferiva, Copernico spostò la no-stra collocazione dal centro dell'univer-so alla periferia; Darwin ci relegò poi auna «discendenza dal mondo animale»;infine (in una delle affermazioni me-no modeste della storia del pensiero), lostesso Freud scoprì l'inconscio e di-strusse il mito di una mente completa-mente razionale.

In questo senso saggio e decisivo, larivoluzione darwiniana rimane doloro-samente incompleta perché, anche sel'umanità razionale accetta l'evoluzionecome un fatto, la maggior parte di noiancora non è disposta ad abbandonare laconfortante idea che evoluzione signifi-chi (o perlomeno non possa avveniresenza) progresso, il che rende la com-parsa di qualcosa come la coscienza u-mana pressoché inevitabile, o perlome-no prevedibile. Il piedistallo non ver-rà infranto fino a quando non abbando-neremo, come principi fondamentali, ilprogresso e lo sviluppo di una comples-sità sempre maggiore, e cominceremoa tenere in considerazione la possibilitàtutt'altro che remota che Homo sapienssia solamente un minuscolo ramoscellotardivo di quell'enorme cespuglio arbo-rescente che è la vita: una piccola gem-ma che, quasi certamente, non riuscireb-be a comparire una seconda volta se sipotesse ripiantare il cespuglio partendodal seme e lasciarlo crescere di nuovo.

Nell'uomo, come in tutti i primati, lavisione è importante, e le immagini cherealizziamo rivelano le nostre convin-zioni più profonde e mettono in luce inostri attuali limiti concettuali. Gli illu-stratori hanno sempre rappresentato lastoria degli animali fossili come una se-quenza che parte dagli invertebrati pergiungere agli esseri umani, passandodai pesci ai primi anfibi terrestri, ai ret-tili, ai dinosauri e ai mammiferi. Non visono eccezioni; tutte le sequenze di im-magini realizzate a partire dalla nascitadi questo genere di rappresentazione,intorno alla metà del secolo scorso, se-guono la stessa convenzione.

Eppure le assurdità e i preconcetticodificati in questa convenzione gene-ralizzata saltano facilmente all'occhio.Nessuna scena mostra più alcun inver-tebrato dopo l'evoluzione dei pesci, manel frattempo gli invertebrati non sonoaffatto scomparsi né hanno cessato dievolversi! Nessuna scena mostra maiun pesce dopo la comparsa dei rettili(le illustrazioni riguardanti i mari in e-poche successive mostrano solo queirettili che tornarono alla vita acquatica,come gli ittiosauri e i plesiosauri), ma ipesci non hanno per nulla cessato dievolversi dopo che un piccolo gruppostaccatosi dalla loro linea evolutiva ini-

ziò a colonizzare la terraferma. In ef-fetti, il principale evento nell'evoluzio-ne dei pesci, l'origine e lo sviluppo deiteleostei, o pesci ossei moderni, che so-no oggi predominanti, avvenne all'epo-ca dei dinosauri e pertanto non vienemai illustrato in alcuna di queste se-quenze, anche se i teleostei annoveranopiù della metà di tutte le specie di ver-tebrati. Inoltre perché gli esseri uma-ni devono sempre apparire alla fine ditutte queste sequenze? L'ordine dei pri-mati a cui apparteniamo è antico tra imammiferi, e molte altre linee evolu-tive che hanno avuto successo sono ap-parse dopo di noi.

Non manderemo in frantumi il piedi-stallo di cui parlava Freud né comple-teremo la rivoluzione di Darwin fino aquando non troveremo, capiremo e ac-cetteremo un altro modo di rappresen-tare la storia della vita. J. B. S. Haldaneha proclamato che la natura «è più biz-zarra di quanto noi possiamo suppor-re», ma i nostri limiti di comprensionepotrebbero essere blocchi concettualianziché restrizioni imposte dalla fisio-logia del nostro sistema nervoso. Perinfrangere questi blocchi servirannoforse nuovi paradigmi, e saranno albe-ri evolutivi (o meglio lussureggianti ce-spugli evolutivi copiosamente ramifi-cati), anziché scale e sequenze, a for-nirci la chiave per poter compiere que-sta transizione concettuale.

Dobbiamo imparare a rappresentarel'intera gamma di variazioni e non solola nostra percezione ristretta del minu-scolo gruppo degli organismi più com-plessi. Dobbiamo riconoscere che forsel'albero della vita aveva il massimo nu-mero di rami subito dopo l'inizio dellavita pluricellulare e che la storia suc-cessiva è stata in gran parte un proces-so di eliminazione - nel quale pochihanno avuto la fortuna di sopravvivere- più che una fioritura continua, un pro-gresso e un'espansione di una moltitu-dine crescente. Dobbiamo capire che irami non sono altro che monconi con-tingenti, e non prevedibili punti di arri-vo dell'immenso cespuglio sottostante.Dobbiamo infine ricordarci della piùgrande tra tutte le affermazioni biblichesulla saggezza: «È un albero di vita percoloro che cercano in essa un sostegno;e felice è chiunque la conserva».

BIBLIOGRAFIA

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GOULD S. J., La vita meravigliosa. Ifossili di Burgess e la natura della sto-ria, Feltrinelli, Milano, 1990.

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