Date post: | 30-Jul-2016 |
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B A U S L E RI N S T I T U T
Accademia di Belle Arti di Urbino
Presidente, Senatore Giorgio Londei
Come Presidente non posso non essere orgoglioso e onorato della straordina-ria attività della Scuola di Scenografia che con Il barbiere di Siviglia, realizzato per la XXXV edizione del Rossini Opera Festival, ha ricevuto consensi inter-nazionali ed è stato portato in tournée per le Marche. Con il Bausler Institut si rinnova la piacevole consuetudine e il privilegio di es-sere un appuntamento di TeatrOltre, palcoscenico per le più importanti espe-rienze del teatro di ricerca italiano, dimostrando una versatile attenzione ai linguaggi del teatro e dello spettacolo. Grazie al lavoro di tutti i docenti che di concerto concorrono a lanciare gli studenti di questa nostra scuola verso sfide sempre più importanti.
La distanza e il bersaglioDirettore Prof. Umberto Palestini
Entrati nell’aula-teatro della scuola di Scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino ci si accorge immediatamente che non c’è un palcoscenico, né un posto preciso dove potersi sedere e osservare. Si entra direttamente dentro la scena ed è il Bausler Institut che ci accoglie, severo e monolitico, tant’è che si è portati a scostarsi leggermente, quasi ad evitare quella presenza statuaria e vagamente ingombrante. Di conseguenza il movimento che siamo costretti a compiere si rivela di tipo elicoidale, a spirale, così che gli spettatori si spostano lentamente e disegnano con i corpi un vortice che si avviluppa su stesso. La sensazione che si ricava assomiglia ad una discesa agli inferi, scandita dalla ripetizione delle frasi regi-strate, sempre uguali, sempre diverse. Ogni presenza, ogni gesto e parola degli studenti reclama attenzione, mentre lo sguardo fatica a ricostruire con la men-te lo spazio, il luogo dell’azione. Tutt’intorno è una luce verdognola, colore dell’aldilà, che domina e illumina le scene e i costumi, tingendo i muri e ogni cosa intorno e scolorando le video-proiezioni alle pareti.Il Bausler è un luogo chiuso, ossimoro tra un’architettura che deve trattenere,
conservare e l’opposta spinta naturale della giovinezza, che consiste proprio nell’uscire, nello spiccare il volo. Non a caso ogni correlativo oggettivo nel ro-manzo della Jaeggy, da cui l’opera teatrale è liberamente inspirato, è uno spazio circoscritto: il lago di Costanza, il perimetro delle stanze dell’edificio, finanche le passeggiate, più simili all’ora d’aria dei prigionieri, piuttosto che a momenti di svago nella natura. Nel Bausler Institut le studentesse, come ninfe perennemente in attesa, sem-brano evocare la latenza e la reticenza, perché «omettere non è mentire» e se in verità sappiamo fin dall’inizio che qualcosa di ineluttabile deve accadere, non ne potremo mai conoscere né il senso né il fine. Nessuna possibilità di riscatto è data, poiché solo nell’attesa di ciò che si deve compiere è racchiuso il senso e il significato, visto che in definitiva l’attesa non è solo una porzione di tempo tra un inizio e la sua conclusione, bensì uno spa-zio fisico, una stanza dove poter essere chi non saremo mai:«pensavo ancora – scrive Fleur Jaeggy - che per ottenere qualcosa bisognasse andare dritti allo scopo, mentre soltanto le distrazioni, la vaghezza, la distanza che ci avvicinano al bersaglio, è il bersaglio che ci colpisce».Bruno Bettelheim nella sua interpretazione psicoanalitica delle fiabe, descrive La bella addormentata nel bosco come la rappresentazione dell’adolescenza, ovvero quel momento della vita di una persona in cui si alternano periodi di grandi e rapidi mutamenti, caratterizzati da passività e torpore contrapposti a
frenetica attività. A volte anche comportamenti pericolosi volti «a mettere alla prova se stessi e a scaricare una tensione interna». Sono numerose le fiabe che raccontano di personaggi femminili che dormo-no (o in morte apparente, come ad esempio Biancaneve), poi risvegliate da principi azzurri con un bacio. Eppure se è il silenzio a dominare le pagine del romanzo, nell’opera teatrale è come se si volesse dar conto di quella latenza che serra e inchioda l’adolescenza, perché in verità non c’è riposo nell’attesa, non c’è quiete nell’aspettare di essere colpiti da un bersaglio. Non a caso gli elementi naturali che si avvicendano nel Bausler Institut della scuola di Scenografia sono il fuoco e l’acqua, elementi contrapposti e antitetici che messi forzatamente in relazione finiscono sempre con l’amplificare l’effet-to emotivo e drammatico: come il tè sempre bollente, rifiutato dalla donna la cui figlia tenta nel finale di dare fuoco, i fiammiferi che s’accendono a inter-mittenza e la bambola che brucia e porta via con sé i sogni e i desideri della giovinezza. Nella rappresentazione teatrale ogni cosa sembra sospesa e indefinita, come una promessa che si deve ancora compiere o un viaggio che deve terminare, tuttavia è una strana forza che si fa strada durante l’opera, una sorta di rabbia e di frustrazione, espresse dal ballo e dalle negazioni delle ragazze del Bausler, una serena violenza che si alterna alla quiete e al silenzio delle vestizioni per la notte e delle passeggiate mattutine. Notte e mattina, buio e luce, fuoco e acqua
sono le coordinate del Bausler Institut, e se è quasi impossibile perdersi nelle scene dell’opera teatrale, appare assai più difficile ritrovare se stessi al termine dello spettacolo.Scrive Paul Valéry che “l’attesa è anticipazione, metà di un tutto, tempo gua-dagnato, accumulo. La sorpresa è retroazione, deficit, tempo perduto”. Nell’o-pera teatrale della scuola di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Urbino è andato in scena la descrizione di un vuoto apparente che si determina tra l’attesa e la sorpresa finale, il silenzio dell’adolescenza e della giovinezza con-trapposti al segreto del sonno di una generazione che desidera svegliarsi ed uscire finalmente, definitivamente, dal Bausler Institut.
Al cospetto di immaginarie educandeSofia Vernaleone
Una classe di giovani fenotipi specie se costituita per la maggior parte da indi-vidui di sesso femminile, non può che diventare all’occorrenza (Aula!)Teatro di nasi arricciati, sopracciglia aggrottate, bocche storte. L’adolescenza con tutti i suoi pruriti è certamente trascorsa da un pezzo, ma da buon Medioevo uma-no lascia alle sue spalle qualche piccola tortura, sia essa qualche foruncolo di troppo o semplicemente, un po’ di sano spirito del “non sono d’accordo, non sono per nulla al mondo d’accordo” (cit!).Tragico passaggio tra l’età in cui si vuole sempre avere ragione e l’età della ragione, tempi bui in cui la parola giudizio spesso e volentieri si riferisce solo ad un dente. Doloroso.Di sentimenti non si parla, è analogico. Così mi dicono. Viene fatta una sola eccezione, piuttosto frequente, a questo sistema di omissione emotiva, ed in effetti di qualcosa si discute molto: del FASTIDIO, signori. Non mi piace. Mi sta antipatica. Questo non mi sta bene. Che schifo. NO. NON.Qualcuno ha osservato la fauna studentesca, e ha capito che eviscerare la que-stione poteva essere una carta vincente. Esercizio: “Selezionare ed illustrare TRE cose che vi danno terribilmente fastidio. Solo tre.”
Da qui un dubbio di grande importanza: qual è il confine entro il quale è lecito compiere questa analisi dell’urticante? Seguono dibattiti privati sui massimi sistemi, più o meno sui generis “Mi danno noia gli egoisti… anche i capelli unti…”. Qualcuno prova fastidio per la bestemmia, e dall’altra parte del ban-co un altro arrossisce sentendosi chiamato in causa (e non in qualità di Dio). Complicità di teste che annuiscono alle antipatie del prossimo. Scopriamo che spesso si confonde il fastidio con la misantropia. Imputate le oche giulive, diverse folle infestanti come la zizzania e gente con “Poca acutezza di sguar-do”.La pena di morte e l’amore…ognuno ha le sue priorità. Il passo seguente è ricercare la medesima carica di irritazione nella letteratura e nella musica. Baudelaire ed altri signori vengono non solo scomodati in servizio del nostro sdegno, ma la declamazione dei loro scritti è seguita da agghiaccianti canzon-cine infantili e metallari che “cosa urlano a fare, sbattendo quelle teste, che fastidio ”. Appunto.Per la prima (e speriamo ultima) volta nella storia, il Pulcino Pio e Joyce con-corrono nello stesso ambito. La settimana seguente l’acuto osservatore fau-nistico di cui sopra, dopo aver passato ai raggi il nostro disappunto, mette al centro del nostro tavolo un libro. Un romanzo di poche pagine, intitolato I beati anni del castigo, autrice Fleur Jaeggy. In breve, e senza svelare troppo ai futuri lettori ed astanti, la storia narra le vicende interne ad un collegio femmi-nile sito nell’Appenzell, il Bausler Institute, finestre listate di bianco e vaste di-
stese di verde ed acqua da contemplare, già che non c’è molto altro da fare. La voce narrante è un ex allieva della scuola, una fanciulla senza nome, che apre il vaso di Pandora della sua pubertà liberando fra le righe smanie, repellenze ed estrogeni. Ci sono polpacci grossi e seni appuntiti, odori forti e mani da vecchia e tutti questi umori turbano la sua quiete. E soprattutto, c’è Frèdèrique : allieva più grande, più affascinante, più intelligente delle altre. Frèdèrique che scrive con la sua bella calligrafia “ti abbraccio” ma nella “Realtà” è come priva di arti, di epidermide, di cuore. La studentessa X che ne soffre oltre ogni dire, e ripiega su un rapporto pseudo intellettuale, sfogando tuttavia il suo bisogno di affetto in conoscenze meno raffinate ma capaci di ridere, sudare e trasmettere calore. Atletico slalom e salto dell’ostacolo per non dichiarare particolari sco-modi di alcun genere, invero risulta questa la volontà del romanzo, che nega ancor prima di aver affermato. Ci ritroviamo al cospetto di immaginarie educande, ed inizia il gioco dei neu-roni specchio. Le nostre intenzioni vanno stranamente “all’unisono”, il fastidio ha messo d’accordo tutti e la Jaeggy a messo in accordo tutti i fastidi: il Bausler Institute ospiterà il nostro spettacolo. Repentinamente ci dividiamo in gruppi operativi, sulla base di attitudini ed aspirazioni. Il gruppo drammaturgia e quello sartoria compiono, in maniera diametralmente opposta, un elaborato lavoro di taglia e cuci. Il primo operando sul romanzo, al fine di ottenere da esso una sorta di
copione conforme ad un tempo di lettura non superiore ai 45 minuti: ne risul-ta una bozza iniziale nuda e cruda, troppo spudorata per sopravvivere alle leggi omertose di quell’universo “di sole femmine”. Allungare la minestrina, grazie, e consumarla educatamente. Il secondo imbastisce letteralmente un piano per vestire questo testo in deshabillé, collezionando vestagliette da notte compun-tamente smaliziate ed austere divise da brava ragazza, o “bulldog obbediente” che dir si voglia.Altri progettano lo spazio, cercando di gestirlo inizialmente in piccolo, sotto forma di più modelli in scala 1:20, uno comprensivo dell’in-tera aula teatro, l’altro come indicazione numero 0 di una probabile facciata da collegio svizzero. Case delle bambole.Chi si occupa dei video parte dalle riprese di un momento topico dell’intero romanzo: la prima colazione. Ed in un momento di ingordigia e distrazione sfilano in timelapse tazzine colme di the, marmellata di rabarbaro “senza sangue” e tanto zucchero. Traboccante. È in questo rituale che l’indice glicemico di tutta la vicenda può essere sfogato, per il resto, solo dispacci. Da quel momento, ad eccezione di piccoli tilt del sistema e qualche ingranag-gio difettoso (repentinamente richiamato all’ordine), i lavori nel nostro picco-lo formicaio sito in Via Timoteo Viti procedono, a passo di marcia. Costruiamo di briciola in briciola qualcosa che a che vedere con il nostro fu-turo, prossimo e remoto. Non c’è canto di cicala che tenga.
Resoconto delle uscite e delle entrate di un esercizioFrancesco Calcagnini
Ma come si rappresenta il vuoto? È forse la contraffazione di ogni luogo origi-nario? Questa domanda è incastonata dentro il romanzo della Jaeggy e agisce indipendentemente dal fatto che si sia posta attenzione. L’estensione di un luogo originario da contraffare è soprattutto un’ipotesi incantevole che con-tiene più incognite della stessa domanda. La scrittura che narra le vicende di X dentro il collegio, è una lunga e velata esposizione di come sia possibile declinare questa contraffazione. Ciò nonostante prima di approdare a questa sintesi, altre tracce, altri interrogativi hanno guidato le nostre analisi. Il raccon-to trattiene molte più cose di quanto non dica, ed anche l’encomiabile esercizio di raffigurarsi cose e luoghi documenta sempre un’esattezza insoddisfacente. Ma spingere le intuizioni dentro un recinto ha il suo fascino, ed è stato bello e produttivo immaginare, o dedurre, la disposizione dei letti nelle camere, la forma delle mattonelle, il colore delle pareti, lo stile del servizio delle stoviglie in uso al Bausler Institut.Qualsiasi indagine incomincia inviando la scienti-fica che rileva le impronte laddove apparentemente non c’è nulla, ed anche setacciando con scrupolo è quasi inevitabile che si configuri solo una verifica incerta.L’autrice nell’esercizio delle sue funzioni non fa abuso di descrizioni, e nello stesso tempo sembra non tralasciare ogni dettaglio.
Resoconto delle uscite e delle entrate di un esercizioFrancesco Calcagnini
Ma come si rappresenta il vuoto? È forse la contraffazione di ogni luogo originario? Questa domanda è incastonata dentro il romanzo della Jaeggy e agisce indipendentemente dal fatto che si sia posta attenzione. L’estensione di un luogo originario da contraffare è soprattutto un’ipotesi incantevole che contiene più incognite della stessa domanda. La scrittura che narra le vicende di X dentro il collegio, è una lunga e velata esposizione di come sia possibile declinare questa contraffazione. Ciò nonostante prima di approdare a que-sta sintesi, altre tracce, altri interrogativi hanno guidato le nostre analisi. Il racconto trattiene molte più cose di quanto non dica, ed anche l’encomiabile esercizio di raffigurarsi cose e luoghi documenta sempre un’esattezza insod-disfacente. Ma spingere le intuizioni dentro un recinto ha il suo fascino, ed è stato bello e produttivo immaginare, o dedurre, la disposizione dei letti nelle camere, la forma delle mattonelle, il colore delle pareti, lo stile del servizio delle stoviglie in uso al Bausler Institut.Qualsiasi indagine incomincia invian-do la scientifica che rileva le impronte laddove apparentemente non c’è nulla, ed anche setacciando con scrupolo è quasi inevitabile che si configuri solo una verifica incerta.L’autrice nell’esercizio delle sue funzioni non fa abuso di descrizioni, e nello stesso tempo sembra non tralasciare ogni dettaglio.Quasi in controluce, stacca per il lettore la dinamica dei fatti e degli affetti inclusi tra la parentesi della beatitudine e del castigo che custodiscono un tempo dispari. La scrittura ricostruisce le impressioni di un adolescente ma
la sintassi, diversamente giovane, non è mimetica ed è protesa, se possibile, a sottolineare e a marcare l’insicurezza di questa differenza, né si astrae né si ritrae nello specchio di un io narrante. Credo che questa schizo-precisione sia stata l’incognita che non ha mai abbandonato questo progetto.Riguardando tutte le tavole ed i disegni nelle loro evoluzioni successive, è facile accorgersi che gli elementi che strutturavano il progetto sono sempre gli stessi, ed è nella ripetizione, come ampiamente dimostrato, che hanno
atto le differenze. Se i primi disegni e le prime tavole cercavano di descrivere il luogo di questi accadimenti, lo spazio che abbiamo determinato attraverso questo tempo sembra invece proteggere la letteratura da qualsiasi comple-mento oggetto. La natura di questa scelta non è di natura speculativa, ma è avvenuta per sot-trazioni silenziose andando a costituire non uno spazio neutro ma un luogo di epifanie e di collisioni che aspetta di essere abitato ed agito.
Con Giulia AstolfiEdvige Cecconi Meloni Daniela CiaparroneAurelia D’AlessandroFederica FogliaJessica FuinaVirginia GidiucciChiara LavanaMattia MichettiAlessandra RomagnoliNyke Sama Angelica Sbrega Monica Scaloni Giulia Schiavone Federica SerraDaniela Tebaldi Giada TonioniFrancesco Zanuccoli
Si ringraziaLuigina BocconcelliiGiorgio CastellaniEnrico CastellucciMassimo CastellucciValerio Corzani Antonio CurcettiAmenris De Angeli Angelo Di SerioLuca DomenicucciGiorgio LondeiPaola MarianiGiuseppe MasciaMaria Grazia D’AmicoUmberto Palestini Davide Riboli Andrea SolomitaLuisa ValentiniLuca Vannoni
BAUSLER INSTITUT
liberamente ispirato a I beati anni del castigo di Fleur Jaeggy
Progetto Scuola di Scenografia
DrammaturgiaSofia VernaleoneLucia BramatiFrancesca Di Serio
Con la partecipazione amichevole diMaria Paola Benedetti Giorgio Donini Francesca Gabucci
Direttore di Scena Lucia Petroni
Costruzioni Jurgen KociTommaso NardinFrancesco ZanuccoliMattia Michetti
Attrezzeria e decorazioni Irene TrentaDaniela CiaparroneAlessandra RomagnoliMarcella Fiordegiglio
CostumiFederica TorroniMaria Chiara TorcolacciVirginia Gidiucci
Video Mattia BonomiSofia Rossi
Foto di scena Mattia Michetti Sarah MenichiniFrancesco Secchi
Libretto a cura di Marcella Fiordegiglio
Addestramento delle educandeMonica Miniucchi
Coordinamento progettoFrancesco CalcagniniLucia Petroni
Sculture di scenaMarcella Fiordegiglio Federica FogliaJessica Fuina Irene Furlan Sarah MenichieNicolò BagarJessica PelucchiniMarika Ricchi
LuciAlberto CannoniFrancesca di Serio
FonicaLucia BramatiAlessandro LucariniFilippo Pirrello
TeatrOltre 2016
pagina dedicata aFabbrini pianoforti