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Liceo Scientifico e Classico Statale "G. Peano – S. Pellico ... · Web viewNel Convivio, il poeta...

Date post: 31-Jan-2021
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1 Dante, tra storia e realtà 3^
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Dante,

tra storia e

realtà

3^A

La vita di Dante, un’interazione di grandi personaggi.

Dante Alighieri nacque a Firenze nel 1265. Di famiglia guelfa, si forma presso la scuola del notaio Brunetto Latini, dove entra in contatto con la cultura volgare. Inoltre, compie il suo apprendistato lirico sotto la guida del suo ‘primo amico’ Guido Cavalcanti, figlio del nobile guelfo Cavalcante dei Cavalcanti , posto nell’Inferno (Canto XI), nella cerchia degli eretici, assieme all’imperatore svevo Federico II.

L’incontro, avvenuto a nove anni, con Beatrice Portinari, segna una svolta nella sua vita e nella sua produzione letteraria. Con la morte della donna, avvenuta nel 1290, Dante vive un profondo smarrimento spirituale, e come unico rimedio al suo dolore trova consolazione nello studio della filosofia classica e medioevale, interessandosi alle teorie di Avicenna e Averroè e a filosofi come Talete, Democrito, Aristotele, Agostino, Seneca, Anselmo d’Aosta, San Bernardo di Chiaravalle e Tommaso d’Aquino.

L’impegno politico ha caratterizzato gran parte della sua vita, in particolare gli anni seguenti al 1295, quando assume ruoli rilevanti nel governo cittadino, operando al fianco del celebre Corso Donati. Pur schierato con la fazione dei Guelfi, Dante critica il papa Bonifacio VIII, salito al potere grazie a colui che fece “il gran rifiuto” (Celestino V), egli è disprezzato e criticato da Dante per la sua sete di potere temporale e per la sua corruzione sfrenata. Bonificio VIII, infatti, per mantenere il suo potere e le ricchezze della Chiesa si scontrerà ripetutamente con Filippo IV il Bello, re di Francia, conflitti che condurranno all’emanazione di una bolla, nella quale veniva sancita la scomunica dell’imperatore.

Il Poeta si schiera con la fazione dei guelfi bianchi, la quale aveva intenzione di difendere l’autonomia del Comune dalle ingerenze papali. Dante, infatti, si schiererà apertamente contro l’ambizione curiale all’universalismo, giungendo persino ad elaborare la “teoria dei due soli”, espressa nel Purgatorio (Canto XVI) attraverso le parole di Marco Lombardi, e il De Monarchia (III libro).

Nel 1302, al momento del colpo di Stato da parte dei guelfi neri, Dante si trova Roma in qualità di ambasciatore presso Bonifacio VIII. Si ipotizza che, egli, partito dall’Urbe, viene a sapere a Siena che la situazione fiorentina è ormai irreparabile e perciò decide di riunirsi con i compagni di partito che nel frattempo avevano lasciato la città e insieme a loro, a Gargonza, convoca i rappresentanti degli antichi ghibellini esiliati.

Il 18 gennaio 1303, due distinte sentenze lo condannano: la prima per baratteria, illeciti arricchimenti ed estorsioni; la seconda per aver compiuto azioni contro i Neri pistoiesi. In seguito alla multa pecuniaria versata al Comune e al confino, scatta la pena di morte al rogo, per la sua assenza al momento del processo. Durante il suo esilio forzato, si trasferisce più volte in diverse corti italiane, tra cui Verona, come ospite di Cangrande della Scala, al quale, legato da una profonda amicizia, dedicherà il Paradiso (Lettera XIII). In questi anni, vengono redatte le sue opere più celebri: il “De vulgari eloquentia” il “Convivio”, il “De Monarchia” e la “Commedia”.

Nel 1318 o 1319 Dante lascia Verona e si trasferisce a Ravenna, dove porta a termine il Paradiso e lì muore nel luglio del 1321.

Anselmo d'Aosta

Anselmo d'Aosta nacque da nobile famiglia intorno al 1033, durante la sua vita fu un filosofo e teologo, considerato tra i più grandi e importanti pensatori cristiani dell'era medioevale. La sua filosofia ruotava attorno ad argomenti che miravano a dimostrare l'esistenza di Dio. Tali dimostrazioni, di ascendenza platonica e ispirate in parte dalla filosofia del neoplatonico Sant'Agostino, saranno oggetto di diversi scritti come il De veritate, il De libertate arbitrii, il De concordia e molti altri. Anselmo compare nella Divina Commedia nel XII canto del Paradiso (v. 137) dove San Bonaventura lo cita assieme a Giovanni Crisostomo ed Elio Donato, tra i cosiddetti spiriti della seconda corona (vv. 127-145) ossia alcuni dei primi seguaci di San Francesco come Agostino da Assisi. Scrive il poeta: "Natàn profeta e 'l metropolitano / Crisostomo e Anselmo e quel Donato / ch'a la prim' arte (la grammatica) degnò porre mano". Inoltre la rappresentazione allegorica della lupa e del leone sono presenti sia nella Commedia sia nelle opere del teologo. È dunque evidente che il poeta si sia fortemente ispirato alle parole degli scritti di Anselmo d'Aosta.

Filippo IV di Francia

Filippo IV, detto per l'aspetto aggraziato il Bello, fu re di Francia dal 1285 al 1314, data della sua morte.

Il re viene ricordato nella storia prevalentemente per i forti attriti avuti con la Chiesa di Roma. Egli infatti si propose come unico vicario di Cristo, dunque come papa della Francia ed impose tasse sul clero, inimicandosi l'intera curia e ricevendo la scomunica da Papa Bonifacio VIII. In seguito alla morte del pontefice venne eletto papa Clemente V che subì un forte condizionamento da parte della corona francese, al punto da imporre il trasferimento della curia papale in Francia, la cosiddetta “cattività avignonese”.

La posizione del Poeta è estremamente critica nei confronti di Filippo, di cui vengono criticate l'atteggiamento ostile alla Chiesa e in particolare la decisione di avviare la «cattività avignonese». Filippo il Bello viene citato, seppur indirettamente, senza mai scrivere esplicitamente il nome, molte volte all'interno della Divina

Commedia

Federico II

Apparteneva alla nobile famiglia sveva degli Hohenstaufen.  Discendeva per parte di madre dai normanni di Altavilla (Hauteville in francse), fondatori del Regno di Sicilia. Conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo") o puer Apuliae ("fanciullo di Puglia"), Federico II era dotato di una personalità poliedrica e affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo, producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male. Federico II parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola siciliana. La scuola e la sua poesia furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, Nel De vulgari eloquentia (I, xii, 4), Dante riconosce a Federico II, tra i tanti altri meriti, quello di aver patrocinato la formazione del primo volgare d’arte in Italia, il siciliano illustre, ma, soprattutto, il merito di avere lui e il suo figlio Manfredi saputo esprimere tutta la nobiltà e grandezza del loro spirito. Federico e i suoi figli, Manfredi, Enrico ed Enzo, cantarono alla maniera dei trovatori provenzali nel siciliano illustre, creando alla corte sveva un clima di raffinatezza mondana e di splendore cavalleresco.

Nella Divina Commedia, Il poeta, accogliendo le voci sull'ateismo di Federico, assegna all'imperatore la pena che egli attribuisce agli eretici (gli epicurei): trascorrere l'eternità in bare infuocate.

San Francesco d'Assisi

San Francesco d'Assisi è una delle figure più importanti della cristianità.

Francesco ripropose, in anni in cui la Chiesa pareva corrotta e ormai lontana dai principi fondanti, un modello di vita umile e dedito alla preghiera. Il santo iniziò il suo lungo percorso di umiltà e preghiera, con l'unica aspirazione di ritornare ad una chiesa povera e fedele all'insegnamento di Cristo. Fu il fondatore di un ordine pauperistico, l'Ordine dei Francescani, ancora oggi protagonista della cristianità.

Dante Alighieri ammirò molto Francesco, di cui tratteggiò un profilo nell'XI canto del Paradiso de “La Divina Commedia”.

L'attenzione del Poeta è focalizzata sulla difficile scelta di Francesco di abbracciare la povertà.

La scelta di Dante di privilegiare questo aspetto, in opposizione all'opulenza del clero è funzionale alla critica mossa dal poeta alla corruzione della Chiesa di Roma.

Tommaso d’Aquino

Tommaso d'Aquino (1225 – 1274) è stato un frate domenicano, teologo e filosofo italiano. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica.

Tommaso fu uno dei principali teologici e filosofi del Medioevo: la sua filosofia nasce dalla fusione fra la cristianità e la filosofia classica, che ha le sue radici in Socrate, Platone e Aristotele, e poi superato il periodo ellenistico, specialmente in autori come Plotino (neoplatonici).

Il suo pensiero cercò di fondere la filosofia aristotelica con la dottrina cristiana, spesso suscitando le reazioni diffidenti da parte degli agostiniani, a causa del maggiore interesse della ragione rispetto a quello della fede.

Il Tomismo cercò un equilibrio tra le dottrine aristoteliche e quelle cristiane, dimostrando in modo razionale le verità cristiane secondo il principio “intellego ut credam”.

Tommaso fu un contemporaneo di Dante Alighieri, ma non si incontrarono mai dato che, quando il filosofo morì, il poeta aveva solamente 9 anni. L 'impalcatura dottrinale e astronomica della Commedia dantesca poggia quasi interamente sul pensiero di san Tommaso, per cui si può affermare che la sua presenza sia quasi una costante nel poema. Per quanto riguarda il suo destino ultraterreno, Dante lo colloca tra gli spiriti sapienti del IV Cielo del Sole: dopo il suo ingresso nel Cielo, a Dante appare una prima corona di dodici beati (Par., X, 64 ss.) che gira intorno al poeta e a Beatrice cantando con indicibile dolcezza, quindi si arresta e uno dei beati (san Tommaso) si rivolge a Dante e presenta se stesso e gli altri spiriti che formano la corona. Nei canti XI – XII Dante ha intenzione di presentare due “campioni” della cristianità (San Francesco d’Assisi e San Domenico e condurre una riflessione sullo stato della Chiesa e degli ordini mendicanti, per mezzo delle parole di San Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio.

Seneca

Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova in Spagna nel 4 a.C. da una famiglia abbiente e di ottime condizioni economiche che gli permise una buona educazione. Nel 49 d.C. ricevette uno dei compiti più importanti che si riveleranno fatali per la sua stessa esistenza, ossia divenne tutore di Nerone, nel 65 d.C. Nerone lo accusò di aver partecipato alla congiura dei Pisoni e per questo venne condannato a morte attraverso il suicidio “volontario”.

Il Seneca descritto da Dante è un “Seneca morale” (Inf., Canto IV, v. 141) essenzialmente filosofo come testimonia appunto la sua collocazione tra la “filosofica famiglia” nel Limbo che ha come maggior esponente Aristotele. Il dotto si trova al canto IV nel primo cerchio dell’Inferno, più precisamente nel castello degli spiriti magni (vv. 106 – 151). Queste anime non hanno un peccato specifico (v34-36) o anzi, hanno anche ricevuto onorificenze ma il solo non essere stai battezzati blocca loro l’entrata al Paradiso o al Purgatorio motivo per cui la loro unica pena è quella di vivere

Dalla parola usate e da luogo dove lo pone si può capire il rispetto, la riconoscenza, e l’ammirazione di Dante nei confronti di Seneca nonostante il suicidio e il suo paganesimo.

Avicenna

L’intellettuale, filosofo e medico Ibn Sina nacque nel mese di Safar dell'anno 370 dell'Egira (980 d.C.); filosofo persiano conosciuto agli scolastici come Avicenna, nome attribuito dagli scrittori e traduttori del Medioevo. Avicenna fu da tanti definito “Scheikh Reyes “ovvero "Il Principe dei Medici”, infatti fu uno dei più importanti medici di tutta la storia, l’opera che lo ha reso celebre in Europa è Il canone della medicina anche conosciuto come Qānūn (in Occidente Canone), che diverrà il manuale medico più seguito fino al 1700.

Avicenna viene citato nel IV canto dell’Inferno dantesco, egli si trova nel Limbo, più precisamente nel Castello degli Spiriti Magni, dove si trova anche Saladino che aveva fama di sovrano nobile e giusto, ma che era pur sempre un vittorioso nemico dei crociati

.Averroè

Averroè, nome con cui nel Medioevo era conosciuto Abū al-Walīd Muḥammad ibn Aḥmad Ibn Rušd, fu un filosofo, giudice, berbero, giurisperito, medico e matematico, passato alla storia come la colonna portante della filosofia islamica medioevale.Nato a Cordova, nel 1126, fin da giovane intraprese un corso di studi incentrato su giurisprudenza e teologia, dedicandosi ad un’accurata analisi del “ḥadīth”, l’enciclopedia dei racconti tradizionali relativi al personaggio di Maometto.Tutti i suoi sforzi si concentrarono nella ricerca di un criterio metodologico attraverso il quale fosse possibile conciliare i principi della scienza e della metafisica aristotelica con i canoni della tradizione religiosa e teologica musulmana. Averroè sostenne che non dovesse esistere una conflittualità tra religione e filosofia, definendo la prima come indimostrata e legata alla fede, e la seconda come prerogativa esclusiva di pochi intellettuali

Indubbiamente, Dante conosceva l’Islam, essendo giunto a possedere, mediante Brunetto Latini, il ‘Libro della Scala’, nel quale era illustrato il viaggio nei tre regni ultraterreni di Maometto. Nel Canto IV dell’Inferno, Dante pone Saladino, mentre Averroè è collocato nel Limbo, regione nella quale sono relegati i bambini morti senza battesimo e gli spiriti giusti, anime valorosissime e virtuose, che non conobbero, però, la fede cristiana, e quindi non si poterono salvare. Ponendolo in tal Cerchio, Dante eguaglia la figura del filosofo islamico a personaggi del calibro di Omero, Socrate o Platone

Celestino V

Pier da Morrone (1210-1296), eremita che il 5 luglio 1294 fu eletto papa col nome di Celestino V dal conclave riunito a Perugia. Dopo qualche esitazione iniziale accettò, venendo poi consacrato vescovo dell'Aquila. In seguito rinunciò alla tiara, soprattutto per le pressioni subìte ad opera del cardinal Caetani, che gli succedette il 24 dic. 1294 col nome di Bonifacio VIII. Celestino fu da lui rinchiuso nel castello di Fumone, dove morì nel maggio 1296.

Dante lo pone nell'Antinferno, più precisamente nel girone degli Ignavi i quali erano condannati per non aver saputo prendere una decisione né giusta né sbagliata durante la durata della loro vita terrena, limitandosi a stare dalla parte del più forte ed adeguandosi sempre. Il poeta gli rimproverava di aver favorito con la rinuncia alla dignità pontificia l'ascesa al Papato dell'odiato Bonifacio VIII, artefice con le sue trame della vittoria dei Neri a Firenze e dell'esilio politico di Dante. Nel Canto III ai versi 58-60 Dante scrive :

Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,

vidi e conobbi l'ombra di colui

che fece per viltade il gran rifiuto.

L’uso del termine viltade vuole sottolineare il peccato della mancanza di responsabilità per codardia che purtroppo colpisce anche il prossimo, nel caso preciso di Celestino V infatti il suo gesto fu causa del successivo papato all’insegna della simonia e della spregiudicata sete di potere temporale movente del suo tanto sofferto esilio dall’amata Firenze.

Dante giudica questo personaggio molto negativamente sia per motivi oggettivi che personali e per capire in ogni sua sfumatura il filo di pensiero dantesco è necessario ricordare che il non saper prendere decisioni era ritenuto, nel Medioevo, come peccato sia dal punto di vista teologico che da quello sociale. Dal momento che Dio ci ha dato il libero arbitrio noi dobbiamo obbligatoriamente scegliere fra Bene e Male facendoci carico delle nostre azioni e dei loro risultati più o meno negativi, inoltre, nel XIII secolo in cui visse Dante era fondamentale per essere un vero cittadino la partecipazione attiva al comune attraverso uno schieramento politico dunque il coraggio di dire la propria era doveroso ed indispensabile.

Pier de la Vigne

Pier de la Vigne nato a cavallo tra il XII e XIII secolo fu braccio destro dell’imperatore Federico II di Svevia e proprio a causa della sua fama e potenza si creò molte inimicizie tra gli altri cortigiani che lo accusarono ingiustamente di tradimento, peso insopportabile che lo portò al suicidio. Dato che la vita era un dono di Dio, provocare la morte era uno dei peccati più gravi sia per la dimostrazione di ingratitudine verso questa nostra unica possibilità sia perché era una reputata una sfida verso l’onnipotenza divina e il suo pieno controllo su di noi.

Pier De La Vigne è collocato tra i suicidi del secondo girone del VII Cerchio dell'Inferno. Con questa collocazione Dante, figlio del suo tempo, rispetta la Chiesa ma nonostante questo non si ferma così in superficie, ma spiega anche il suo punto di vista precisando i particolari motivi di questa tragica fine come si vede in questa nota terzina (v.76-78):

E se di voi alcun nel mondo riede,

conforti la memoria mia, che giace

ancor del colpo che ’nvidia le diede

Mette in risalto, così, l’impossibilità di distinguere ciò che è bianco da ciò che è nero, ogni situazioni può essere analizzata e compresa a partire da vari punto di vista e cogliendo diverse sfaccettature, Dante svolge con ciò una riflessione altamente innovativa per il pensiero medioevale.

Clemente V

Papa Clemente V, al secolo Bertrand de Got, fu arcivescovo di Bordeaux dal 1299 e il 135° Papa cristiano, dal 1305 sino alla morte. Fin dal principio, egli si distinse più per la notevole abilità politica che per la sua vocazione religiosa. Eletto papa nel 1305, a Perugia, dopo undici mesi di vacatio papale, causata dalle continue interferenze di Filippo e dalle dispute tra cardinali francesi ed italiani, e un anno di interregno, venne incoronato a Lione. Essendo stato il primo papa a spostare la Santa Sede e la Curia papale in Francia inaugurò la cosiddetta “cattività avignonese”, che si protrasse tra il 1304 e il 1377. In tale periodo il pontefice e la sua corte risiedettero continuativamente in Provenza, a stretto contatto e sotto costante tutela della monarchia di Francia.

Tale personaggio suscitò il disprezzo di Dante che, senza mai nominarlo, si rivolse a lui tramite aggettivi e parafrasi, sottolineandone le due colpe più gravi: simonia e nepotismo. Clemente, infatti, è collocato nell’Inferno, all’interno della terza Bolgia, per aver accettato l’aiuto del re di Francia al fine di salire sul trono pontificio, e per aver tradito Arrigo VII, imperatore del Sacro Romano Impero. Proprio per questi fatti egli viene collocato da Dante nella bolgia dei simoniaci, cioè coloro che riducono la Chiesa ad uno strumento di ricchezza, nepotismo, e potenza temporale, facendo commercio di cose e cariche sacre a vantaggio proprio e familiare. Nel XIX Canto, durante il discorso con Niccolò III viene preannunciata, per bocca di Niccolò, la destinazione di Clemente: “…/che dopo lui verrà di più laida opra/di ver' ponente un Pastor senza legge/tal che convien che lui e me ricopra./Novo Iasòn sarà di cui si legge / ne' Maccabei; e come a quei fu molle / suo re, così fia lui chi Francia regge.” (Inferno, XIX, vs. 83-86). La condanna prosegue nel canto XXXII del Purgatorio, in cui, nel Paradiso Terrestre, appare a Dante una rappresentazione allegorica della Chiesa: un carro dal quale spuntano sette teste cornute, simbolo dei contrasti e delle persecuzioni imperiali. Su di esso troneggia, poi, una prostituta, affiancata dal suo amante, rappresentato da un gigante, immagine dei papi e degli imperatori corrotti, che stacca il carro dall’albero e lo trascina nella selva. In tal modo il Poeta raffigura la lacerazione della Chiesa romana, ossia il trasferimento della corte papale ad Avignone, proprio per opera di Clemente V: “…poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, /disciolse il mostro, e trasse per la selva,/tanto che sol di lei mi fece scudo/a la puttana e a la nova belva.”(Purg., XXXII, vs.157-160). Dante si riferisce ancora al papa, continuando a non citarne il nome, anche nel Paradiso: nel canto XVII, ne condanna il bieco tradimento effettuato ai danni di Arrigo VII. Il Poeta conclude le sue aspre invettive nel Paradiso, alla fine del ventisettesimo canto dove, per bocca di San Pietro, Clemente viene citato assieme a Giovanni XXII, definito come un lupo avido, che, celandosi nel pascolo, si prepara a bere il sangue di tutti gli agnelli, logorando e facendo sprofondare la Chiesa in un ignobile destino.

SALADINO

Ṣalāḥ al-Dīn Yūsuf ibn Ayyūb si proclamò sultano d’Egitto e, in breve tempo, estese il suo dominio fino alla Palestina ed in seguito arrivò in Siria centrale e nello Yemen. Fronteggiò, inoltre, i cristiani nelle crociate e, tramite la battaglia di Hattin, del 1187, riuscì ad impadronirsi di Gerusalemme. Nonostante la sua ferocia e, a volte, la sua brutalità in battaglia, Saladino fu un uomo raffinato e colto. Quest’uomo dalle grandi capacità, dunque, sia in Occidente che in Oriente, fu conosciuto ed ammirato, non solo per le sue imprese ma anche per la magnanimità e la tolleranza.

Ne rimase, appunto, colpito lo stesso Dante che lo citò, non solo tra gli spiriti magni, ma anche nel Convivio tra i generosi e magnanimi, proprio perché sul punto di entrare nella città santa, il sultano, evitò un prevedibile massacro e liberò migliaia di cristiani prigionieri. Il grande poeta ne apprezza le virtù dal punto di vista culturale, ma anche quelle morali. Sebbene compaia in ben due opere dantesche, il poeta non si sofferma su descrizioni o elogi prolungati, tanto che ne fa appena un accenno (“E solo, in parte, vidi ‘l Saladino.”). Ma l’aspetto importante non sono i dettagli, bensì la sola presenza, in quanto sta a simboleggiare non soltanto la stima nei suoi confronti ma anche

Epicuro

Epicuro è un filosofo vissuto nel 300 a.C., egli reputava la filosofia una “medicina” dell’anima, che mira al raggiungimento di uno stato di benessere, felicità e piacere. Pensava, inoltre, che tutto, anche l’uomo, fosse composto da atomi che slegandosi ed unendosi decretavano la vita o la morte di un ente. Proprio da questo ne consegue che l’anima sia mortale e che non ci sia vita dopo la morte, né reincarnazione né tantomeno una resurrezione della carne. Questa concezione della vita è totalmente contraria a quella cristiana che si affermerà qualche secolo dopo. Per tale ragione Epicuro sarà condannato. Lo stesso Dante, che conosce queste teorie grazie a Cicerone, lo rimprovera per le sue idee in ben due opere. Nel Convivio, il poeta reputa la “voluptade epicurea” in contrasto con l’ideologia cristiana, in quanto mira al piacere del mondo presente senza curarsi della salvezza eterna e divina.

Nella Divina Commedia, Dante non fa riferimento direttamente al filosofo, bensì lo accusa indirettamente dando il nome dei suoi seguaci, epicurei, al sesto cerchio dell’Inferno. La contraddizione più grande di questa condanna sta nel fatto che Dante accusa Epicuro nonostante egli sia vissuto prima di Cristo, quindi avrebbe dovuto, come ad esempio Democrito, trovarsi tra gli spiriti magni. Nonostante questo, però, il poeta, non esita a citarlo come primo assertore di un'opinione rimasta viva ed operante anche con il sorgere della nuova religione.

Manfredi

Manfredi, vissuto nel XIII secolo, oltre che essere un uomo di guerra, fu anche un uomo di cultura, seguendo le orme del padre Federico II.

Forse per le qualità di quest’uomo, o forse semplicemente perché grande ammiratore del padre, Dante lo colloca nel Antipurgatorio tra i contumaci, ossia tra i pentiti. Infatti, nonostante le sue posizioni contro la Chiesa, in punto di morte si pentì dei suoi orribili peccati e chiese perdono a Dio che gli concesse quindi la salvezza.

Nella sua descrizione, Dante presenta una chiara allusione alla ferita sul sopracciglio che rende chiare le sue posizioni in merito alla faccenda: egli è contro gli odi politici e l’utilizzo del potere religioso a fini temporali. Tramite le parole di Manfredi, il poeta lancia anche una pesante accusa contro la Chiesa. Infatti, secondo l’autore è ben più grave il comportamento assunto dal papa rispetto a quello del sovrano di Sicilia.

Per Dante quindi, Manfredi, diventa la figura emblematica sia della propria idea politica, ossia la teoria dei due soli ,secondo la quale il potere temporale e quello religioso devono essere due poteri (soli) complementari che non cercano di sovrastarsi a vicenda, sia del destino delle anime dopo la morte.

Cavalcante dei Cavalcanti

Cavalcante dei Cavalcanti (1220-1280) è stato un filosofo epicureo che apparteneva ad una delle più antiche famiglie fiorentine di parte guelfa. Suo figlio Guido Cavalcanti, grande e fidato amico di Dante, fece parte con lui di una corrente che si affermò intorno al 1280-1310, il dolce Stilnovo.

Dante colloca Cavalcante tra gli eretici e gli epicurei, nel VI Cerchio dell'Inferno, dove i dannati scontano la loro eterna pena in arche infuocate, ma lo incontra nel X canto dell'Inferno assieme a Farinata degli Uberti, ghibellino, con il quale s'era imparentato, facendo sposare suo figlio Guido con Beatrice, figlia di Farinata, per riappacificare le due casate.

Il giudizio che Dante ha per Cavalcante è di profondo onore e rispetto ma dato che, mentre scriveva l’Inferno, era forte il desiderio di tornare a Firenze dopo che era stato mandato in esilio, mette Cavalcante (guelfo bianco) negli eretici per far capire che lui non li appoggiava e quindi aveva il diritto di tornare a Firenze.

San Francesco della Scala detto Cangrande

San Francesco della Scala detto Cangrande I (1291- 1329) è stato un condottiero italiano. Figlio di Alberto I della Scala e di Verde di Salizzole, è l'esponente più conosciuto, della dinastia scaligera, famiglia che governò a Verona per centoventicinque anni. Signore di Verona dal 1308 al 1311, consolidò il potere della sua famiglia ed espanse quello della sua città fino a divenire, grazie ai suoi successi, guida della fazione ghibellina. Cangrande fu anche uno scaltro politico, un accorto amministratore e un generoso mecenate, noto infatti anche perché fu amico e protettore di Dante Alighieri.

Tra le Epistole che ci sono giunte di Dante, strettamente collegata al poema è l’Epistola a Cangrande della Scala (epistola XIII). L’epistola contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, che era stato generoso con il poeta, ma è resa preziosa dal fatto che contiene fondamentali indicazioni di lettura del poema. La figura di Cangrande viene generalmente accostata a quella del «veltro», il misterioso personaggio evocato da Virgilio nella profezia di Inferno I canto, dove si dice che costui sarà destinato a cacciare la lupa-avarizia dall'Italia e a ristabilire la giustizia.

Bonifacio VIII

È un personaggio che ha avuto un ruolo importante nella vita di Dante, in quanto è ritenuto dal poeta responsabile del suo allontanamento da Firenze e quindi di una delle più gravi sofferenze della sua vita. È particolare, infatti, che Dante pur appartenendo alla fazione dei guelfi, esprima un giudizio così negativo nei confronti di un Papa. Nel canto XIX dell’Inferno (vv. 53 ss.) fa dire a Papa Niccolò III, tra i simoniaci della III Bolgia, che Bonifacio lo raggiungerà presto, predicendone la dannazione (il viaggio dantesco avviene nel 1300, quando il Papa era ancora vivo).

Ed el gridò: “Se’ tu già costì ritto,

se’ tu già cost’ ritto, Bonifazio?

Di parecchi anni mi mentì lo scritto.

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio

per lo qual non temesti tòrre a ‘nganno

la bella donna (Chiesa), e poi di farne strazio?.”

(Inferno, canto XIX, vv. 52-57

L’attacco a Bonifacio VIII passa anche attraverso le parole di un altro contemporaneo di Dante, Fra Dolcino

Frà Dolcino

il suo vero nome era Davide Tornielli, le poche informazione certe che abbiamo riguardano gli anni dopo il 1291 quando entrò a far parte del movimento degli Apostolici, simile al movimento del Millenarismo, con l’unica diversità secondo cui un credente poteva disobbedire al Papa se questo avesse sbagliato. Il suo movimento venne condannato come eretico nel 1286 da Papa Onorio IV. Nonostante questo Fra Dolcino diventò grande divulgatore del proprio pensiero, tanto da attirare a sé l’ira di Papa Bonifacio VIII, di cui profetizzava la prossima scomparsa.

Grazie anche all’appoggio dei Visconti, Dolcino riuscì a conquistare militarmente il Vercellese, dove si stanziò per un lungo periodo, predicando la sua fede. Contro di lui e i suoi seguaci, nel 1306, fu bandita una vera e propria crociata, guidata dal vescovo di Vercelli. Dopo un lungo assedio i dolciniani dovettero arrendersi e lo stesso Fra Dolcino nel 1307 venne condannato al rogo ed eseguito pubblicamente a Bergamo.

Dante fa riferimento a Fra Dolcino nel canto XXVIII della Divina Commedia, su di lui Maometto fa una profezia: lo ammonisce di procurarsi molti viveri, se non vorrà soccombere ai Novaresi:

Allora tu, che forse tra poco tornerai sulla Terra, di' a fra Dolcino che se non vuole raggiungermi presto si procuri molti viveri, così che un inverno rigido non porti ai Novaresi una vittoria che altrimenti sarebbe difficile da ottenere.

Farinata degli Uberti

A Farinata degli Uberti, personaggio importante del suo tempo, Dante rese un grande omaggio, facendone uno dei protagonisti indimenticabili del suo Inferno e tratteggiandone una figura imponente e fiera, altera e dignitosa nel contrastare le avversità, tanto che Virgilio lo esorta a non usare con lui parole comuni, ma nobili. Tra lui e Dante, avversario politico, si svolge un colloquio al cui centro cadono i temi della lotta politica e della famiglia (in particolare quello delle colpe dei padri che ricadono sui figli). Dopo un alternarsi di battute cariche di tensione, Farinata pronuncia una profezia sull’esilio di Dante in cui è facile leggere l’amarezza del poeta, già esule da qualche anno.

Corso Donati

Dante accenna al suo tragico destino nel XXIV canto del Purgatorio in cui il fratello Forese, incontrato da Dante fra i golosi, profetizza la sua morte e dice che sarà trascinato direttamente all’Inferno legato alla coda di un cavallo-demonio.

Forese non pronuncia il nome del fratello per un senso di pudore ed orrore.

Dante, che era Priore quando Corso Donati era tra i capi di parte nera, trasforma la sua uccisione in leggenda.

Or va” diss’el; “che quei che più n’ha colpa,

vegg’io a coda d’una bestia tratto

inver la valle ove mai non si scolpa.

La bestia ad ogni passo va più ratto,

crescendo sempre, fin ch’ella il percuote,

e lascia il corpo vilmente disfatto.

(Purgatorio, canto XXIV, vv.82-87

Bernardo di Chiaravalle

Bernard de Fontaine (1090 – 1153), abate di Clairvaux (italianizzato in Bernardo di Chiaravalle), è stato un monaco, abate e teologo francese dell'ordine cistercense, fondatore della celebre abbazia di Clairvaux e di altri monasteri.

Viene venerato come santo da Chiesa cattolica, Chiesa anglicana e Chiesa luterana.

Dante lo introduce nei suoi ultimi tre Canti dell’Inferno (Canto XXXI, Canto XXXII, Canto XXXIII). Bernardo è la terza guida di Dante nel suo viaggio ultraterreno, dopo Virgilio (allegoria della ragione naturale dei filosofi) e Beatrice (allegoria della scienza teologica).

La figura di Bernardo di Chiaravalle assume un ruolo rivelante nell’opera della Divina Commedia nel momento in cui Dante, giunto nell’Empireo, ammirando la rosa dei beati si volta per parlare a Beatrice, ma, sorpreso, al posto di vedere la sua amata, si ritrova al suo fianco un uomo, il cui volto ispira benigna letizia e con l'atteggiamento devoto di un padre amorevole. Gli chiede dove sia Beatrice e il santo risponde che la donna lo ha scelto come ultima guida del poeta nel Paradiso. Si presenta, infine, come il suo fedel Bernardo. Nel Canto successivo il santo illustra a Dante la disposizione dei beati nella rosa celeste. Nell’ultimo Canto Bernardo rivolge alla Vergine la famosissima preghiera con cui chiede l'intervento di Maria. Infine Dante descrive la visione di Dio che conclude la Cantica e il poema.

Dante sceglie Bernardo come guida nel Paradiso perché, per innalzarsi alla visione di Dio, agli uomini non basta la scienza teologica (rappresentata da Beatrice), ma serve l’entusiasmo meditativo e l’aiuto delle grazie che possono giungere attraverso l’intercessione della Madonna.

Talete

Talete di Mileto, filosofo greco antico, nacque e visse a Mileto tra il VII ed il IV secolo a.C. (640/625 a.C. – 547 a.C. circa) e probabilmente non scrisse alcuna opera.Nel Teeteto, Platone racconta che Talete, per contemplare le meraviglie del cielo, cadde in un pozzo e una donna lo derise per il fatto che voleva guardare il cielo lui che non vedeva neppure cosa c'era per terra. Nel dialogo Protagora lo inserisce in una lista dei sette nomi dei più sapienti (i cosiddetti Sette savi). Stando a quel che Aristotele sostiene, nel primo libro della Metafisica, Talete è il capostipite della ricerca delle cause e del principio da cui sarebbe scaturita l’intera realtà nelle sue manifestazioni. Per lui tutto, in ultima istanza, è costituito da acqua.

Talete è citato da Dante nella Divina Commedia nel canto IV dell’Inferno. In questo canto Dante si accorge di aver superato l’Acheronte e di star per entrare nel primo dei nove Cerchi da cui è formato l’Inferno: il Limbo. Le anime qui presenti non commisero alcun peccato, ma non ricevettero il battesimo, il che li esclude per sempre dalla salvezza; la loro unica pena consiste del desiderio inappagato di vedere Dio. Nel Limbo risiedono alcuni personaggi virtuosi dall'aspetto autorevole e dallo sguardo fiero: gli “Spiriti Magni”. La stima per Talete era massima da parte di Dante tanto che lo mette tra gli “Spiriti Magni”, i personaggi più virtuosi e sapienti della storia.

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