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Date post: 09-Feb-2017
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37 36 di Silvia Messa [email protected] l'inchiestaPizza sì, ma non solo. La nuova frontiera della ga- stronomia si chiama street food. E’ il cibo di strada, quello delle specialità tipiche nate un po’ ovunque e che oggi può essere la base per nuovi business: lo- cali dove meraviglie gastronomiche si fanno conoscere in altre città e regioni e diventano alla portata di tutti. Non si tratta di ristoran- ti, ma di attività artigianali da asporto, che richiedono investimen- ti abbordabili e danno ottime possibilità di guadagno. E, in qual- che caso, dettano tendenze. Ci sono imprenditori che ce l’hanno fat- ta e che possono dare una mano a chi vuole cominciare. Perché, in stra- da, c’è posto (e profitto) per tutti. Il momento è propizio. Gli italiani non mangiano più a casa, soprattutto a mezzogiorno. I pasti consu- mati in giro sono diventati la regola per un milione e 300 mila ita- liani. Cambiano le abitudini e gli spuntini leggeri prendono piede. Ma dove comprano il loro minipranzo gli italiani? Si affermano for- mule esotiche, kebab e falafel in testa. Rispettivamente, fettine di carne tagliate da uno spiedone, con pane, verdure e salse, o polpet- tine di ceci, il tutto per pochi euro. Per non parlare di sushi, sashi- mi e affini, dove la capacità di attrarre del pesce crudo e del riso in piccole porzioni, in salsa modaiola, fa passar sopra ai prezzi eleva- ti. Ma ci sono anche le alternative all’hamburger e alla cucina fusion per mangiare al volo, spendendo poco. Il fast food all’italiana esi- ste da sempre e oggi si chiama street food. Decine di specialità le- gate al territorio dove sono nate, diverse l’una dall’altra, ma con ca- ratteristiche comuni: saporite e sostanziose, contengono carboidra- ti (farina di cereali o legumi) quindi saziano, sono spesso declina- bili in varianti che accontentano tutti i gusti, costano poco a chi li produce e a chi li consuma. Star assoluta di questi “mangiari di strada” è la pizza. Nata in Italia, è diventata un fenomeno mon- diale. Il suo consumo ha generato fatturati che nel 2004 hanno ol- trepassato i 68 miliardi di euro (fonti: Euromonitor international e Quadrante). Nel mondo, poi, è di circa 22 miliardi di euro il giro d’affari relativo alla pizza d’asporto e a domicilio. Eppure la pizza buona resta un’ancora di salvezza per chi avvia un’attività di take away: lavoro pesante, ma ottime probabilità di successo imprenditoriale. Non solo pizza al taglio. Il cibo di strada, quello da mangiare con le mani, conquista tutti. Piace a chi lo consuma e a chi lo vende. E’ veloce, costa poco ed è genuino. Per fare impresa? Bassi gli investimenti, alte le possibilità di guadagno street food tempo di
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di Silvia [email protected]

l'inchiesta›

Pizza sì, ma non solo. La nuova frontiera della ga-stronomia si chiama street food. E’ il cibo di strada,quello delle specialità tipiche nate un po’ ovunque eche oggi può essere la base per nuovi business: lo-cali dove meraviglie gastronomiche si fanno conoscere in altre cittàe regioni e diventano alla portata di tutti. Non si tratta di ristoran-ti, ma di attività artigianali da asporto, che richiedono investimen-ti abbordabili e danno ottime possibilità di guadagno. E, in qual-che caso, dettano tendenze. Ci sono imprenditori che ce l’hanno fat-ta e che possonodare unamano a chi vuole cominciare. Perché, in stra-da, c’è posto (e profitto) per tutti. Il momento è propizio. Gli italianinon mangiano più a casa, soprattutto a mezzogiorno. I pasti consu-mati in giro sono diventati la regola per unmilione e 300mila ita-liani. Cambiano le abitudini e gli spuntini leggeri prendono piede.Ma dove comprano il lorominipranzo gli italiani? Si affermano for-mule esotiche, kebab e falafel in testa. Rispettivamente, fettine dicarne tagliate da uno spiedone, con pane, verdure e salse, o polpet-tine di ceci, il tutto per pochi euro. Per non parlare di sushi, sashi-mi e affini, dove la capacità di attrarre del pesce crudo e del riso inpiccole porzioni, in salsa modaiola, fa passar sopra ai prezzi eleva-ti. Ma ci sono anche le alternative all’hamburger e alla cucina fusionper mangiare al volo, spendendo poco. Il fast food all’italiana esi-ste da sempre e oggi si chiama street food. Decine di specialità le-gate al territorio dove sono nate, diverse l’una dall’altra, ma con ca-ratteristiche comuni: saporite e sostanziose, contengono carboidra-ti (farina di cereali o legumi) quindi saziano, sono spesso declina-bili in varianti che accontentano tutti i gusti, costano poco a chi liproduce e a chi li consuma. Star assoluta di questi “mangiari distrada” è la pizza. Nata in Italia, è diventata un fenomenomon-diale. Il suo consumo ha generato fatturati che nel 2004 hanno ol-trepassato i 68 miliardi di euro (fonti: Euromonitor international eQuadrante). Nel mondo, poi, è di circa 22 miliardi di euro il girod’affari relativo alla pizza d’asporto e a domicilio. Eppure la pizzabuona resta un’ancora di salvezza per chi avvia un’attività di take away:lavoro pesante, ma ottime probabilità di successo imprenditoriale.

Non solo pizza al taglio.Il cibo di strada,

quello da mangiarecon le mani, conquista

tutti. Piace a chi loconsuma e a chi lo vende.E’ veloce, costa poco ed ègenuino. Per fare impresa?Bassi gli investimenti, altele possibilità di guadagno

street foodtempodi

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Probabilità, non certezza (vedi riquadro Vole-vo solo vendere la pizza a pag. 50). Assimilabile perversatilità è la piadina romagnola: impasto a ba-se di farina (questa volta cotto su piastra) e farci-ture per tutti i gusti.La pizza è dilagata nel mondo e la piadina fa-rà la sua strada, ma in Italia ci sono ancoradecine di prodotti fermi a casa loro. Un teso-ro di chicche gastronomiche, apprezzate a li-vello locale, ma semi-sconosciute altrove. Iprodotti tipici italiani, tra dop (denominazionedi origine protetta) e igp (indicazione geograficaprotetta), si fanno apprezzare ovunque.«Lo street food è alla portata di chiunque. E c’èun’enorme quantità di gente che ha pochi soldiin tasca» spiega Camilla Baresani, scrittrice e col-laboratrice dei quotidiani per rubriche di gastro-nomia e cultura. «Molti i prodotti adatti a insi-diare il monopolio della pizza: specialità locali,squisite, come fritti napoletani, olive ascolane,sfincioni siciliani. Spesso sono chioschi, localiche sfidano le normative igieniche, imprese fa-miliari dove l’artigiano e i suoi fanno una vita fa-ticosa, orari prolungati, per produrre tanto e gua-dagnare a sufficienza. Proprio per questa scarsaattrattiva, a livello di qualità della vita, l’identitàitaliana di certi mestieri si sta perdendo: le bot-teghe passano agli immigrati, gli italiani apronoi ristoranti di livello medio e alto. Lo sviluppo incatena è possibile, con rischi e vantaggi. Il peri-colo è sviluppare prodotti surgelati, economici edi scarsa qualità. E’ il caso di tante olive pseu-doascolane che trovi in giro. I vantaggi? Non èdetto che chi sviluppa un format non riesca a mi-gliorare addirittura un prodotto, almeno a

ECCO UN REPERTORIODI GOLOSITÀ DI

STRADA MADE INITALY. CE NE

SAREBBERO MOLTEALTRE, MA QUI SI

TROVANO QUELLE PIÙADATTE A ESSEREPROPOSTE IN GIRO

PER IL MONDO.Sciatt valtellinesiFrittelle di farina digrano saraceno eformaggio Bitto.

Focaccia di ReccoSfoglia sottilissima, conlo stracchino. E’ famosa

in tutto il mondo.

Farinata ligureSembra una frittata, ma contienesolo farina di ceci, olio e acqua.In toscana, si chiama Cecina.

prendi e porti via

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livello igienico. Il cibo di strada che nonso dimenticare? Le granite di un apecar, or-mai divenuto stabile, accanto al mercato diMessina: le migliori al limone e al caffè conla panna che abbia mangiato».Sapori legati a un luogo e a una comunità:questo è per Slow Food il cibo di strada. Ilmovimento ormai planetario inserisce gli in-dirizzi imperdibili nella guidaOsterie d’Italia2007 (20.14 euro). «Focaccia e farinata in Li-guria, piadina romagnola, panino con il lam-predotto a Firenze, arrosticini abruzzesi, sfin-cioni e panelle di Palermo sono già noti e dif-fusi. Poi ci sono altre specialità, come i pesci,le carni e le interiora arrostite delle barracas,i chioschi del Poetto, al mercato di Cagliari,che pochi conoscono» racconta Maura Bian-cozzo, esperta di Slow Food, che organizzaoccasioni dove i migliori artigiani preparano,cucinano e fanno conoscere tecniche e ricet-te tradizionali. Da ricordare, il Salone del Gu-sto di Torino, ogni due anni, e gli Street FoodFestival. Il maggiore è a Cesena, a ottobre,in collaborazione con la Confesercenti(www.comune.cesena.fc.it): chioschi per �

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Pratici,veloci,monoporzione: i cibi di strada sonocosì.Ma la tendenza al piccolo e gustoso animaanche un trend parallelo,spesso coincidente,quello del finger food,ossia cibo da mangiarecon le mani.Così c’è chi lavora per realizzaremenu da assaggiare in un boccone,come Viviana Lapertosa,che ha aperto il suocatering La cuoca della porta accanto(www.lacuocadellaportaaccanto.it).«La gente nonha più voglia di pranzi infiniti.Cerca il bocconcino, losceglie.Lo tocca e lo gusta con più libertà» spiegaViviana.Le sue esperienze l’hanno portata ascoprire tante cose buone,da apprezzare sottoforma di assaggi.Cibo di strada compreso,magariservito in bicchierini e cucchiai.O su foglie,pietre,conchiglie. Il tutto raccontato in Finger Food(Gambero Rosso,16 euro).Ma c’è chi sul finger food ci imposta anche unastrategia di marketing: salumi, formaggi e altrebontà parmigiane a Milano si mangiano senzacoltello e forchetta, innaffiati da vino di qualità eaccompagnati da concerti di lirica. Il conto nonsupera i 20 euro e si possono anche acquistareprodotti tipici.E’ la formula della SalsamenteriaVerdiana,nuova catena di wine bar (foto a sinistra),che conta già quattro locali,di cui uno presso ilPadiglione d’arte contemporanea di Milano e l’altropresso la libreriaWhite Star Adventure.L’annoscorso è partito il franchising,che rende possibiliaperture in altre città italiane: l’affiliante richiedecapitali da 30 mila euro e prospetta fatturatida 400 mila euro l’anno. INFO: Ig investment,tel.0521 770543,www.salsamenteriaverdiana.it

Viviana Lapertosacrea menu dagustare a bocconi.

da mangiare con lemani

prendi e porti via

Gnocco fritto emilianoPasta di panefritta e servitacon salumi.

Piada romagnolaFarina, acqua, strutto,

cotta su testo diterracotta.

Castagnaccio toscanoSchiacciata

di farina di castagne,rosmarino, pinoli.

Necci toscaniSchiacciatine di farinadi castagne. Si servono

con ricotta. �

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la produzione dal vivo e assaggi. Poi c’èquello di settembre aMilano, dove l’antica fo-cacceria S. Francesco di Palermo propone lesue specialità, in collaborazione con la Circo-scrizione locale e i Brera Hotels (www.afsf.it).«Questi eventi testimoniano che le specia-lità si possono fare anche lontano da do-ve sono nate, con la stessa cura e la stes-sa qualità» conclude Biancozzo.La pensa nello stesso modo anche Max Ric-ciarini, giornalista, ideatore del sitowww.streetfood.it, dove si trovano ben 62specialità di strada, descritte e fotografate.Lui, assicura, le ha provate tutte sul posto. «Ilbello è che uno le trova davvero per strada.Va sul territorio e se le gusta, con tutti i sen-si: gusto, vista, odorato, tatto, udito. Se qual-cuno lo desidera, può imparare tecniche esegreti per vezzo e voglia personale, ma du-plicarli per solo business non è giusto. Se sitoglie il legame con il territorio, il cibo per-de molto». Eppure le specialità italiane han-no enormi vantaggi rispetto a quelle inter-nazionali. «Il mercato interno è più o menosalvo e nuovi format a base di cibi tipici han-no buone possibilità di riuscita» afferma Lu-ca Fumagalli, esperto di franchising. Nel ti-pico crede, tanto che ha contribuito all’e-spansione della rete La Piadineria, che ha su-perato i 20 punti vendita, e oggi sviluppa l’in-segna Moncibè, rosticceria pasticceria sici-

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RICAVIFarinataPizzaProdotti frittiBevande

TOTALE RICAVI

COSTIAmmortamentiIngredienti, materie prime, confez.Affitto e utenzePersonalePromozione, adempimenti, altre spese

TOTALE COSTI

REDDITO OPERATIVOIMPORTO (ANNUO)

28.00049.00084.00072.800

233.800

8.00070.14036.00048.0005.000

167.140

66.660

5070100130

25.000

2,02,53,02,0

30%3.0002.000

cont

oecon

omico

liana, alla sua terza apertura, a Milano, do-po Bologna e Verona. Con una superficie di60 mq, un investimento di circa 60 mila eu-ro, si prospettano fatturati di 200-400 milaeuro l’anno (www.dif.it). «Cresce l’apprez-zamento per i prodotti legati al territorio. Ilfast food italiano esiste da sempre: ora è ilmomento di riproporlo, con offerte di spe-cialità che possano trovare frequentimomentidi consumo e un concept commerciale benstrutturato».Quali caratteristiche devono avere i prodottiper prestarsi alla somministrazione “street”?«Menu semplice, a basso prezzo, ma com-pleto, che sostituisca il pranzo e copra

prendi e porti via

Tortello alla lastra casentinese(Toscana, Umbria). Raviolo di sfogliaalla piastra, ripieno di patate concipolla rosolata e formaggio.

Crescia sfogliata(Urbino). Sfogliaa base di farina, dafarcire con spinaci.

Olive ascolanedelle Marche. Ripienecon tre tipi di carne,

parmigiano e uova. Fritte.

ArrosticiniabruzzesiSpiedinidi carne.

IL CONTO ECONOMICO È RIFERITO A UNA FRIGGITORIA DI CIRCA 60 MQ, IN LUOGO DI PASSAGGIO.L’ATTIVITÀ È GESTITA DA DUE TITOLARI, DI CUI UNO A TEMPO PIENO E UNO PART TIME,REMUNERATI DAL REDDITO OPERATIVO. A LORO SI SOMMA IL LAVORO DI DUE DIPENDENTI.

«Nuovi formata base di cibi tipicihanno buonepossibilitàdi riuscita. Il menudeve esseresemplice, facileda consumaree a basso prezzo»

IMPORTOIN EURO

IMPORTOANNUO

280280280280

1212

GIORNI DIAPERTURA

PORZIONI

(MESI)(MESI)

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momenti come la colazione e lamerenda. Poi, facilità di consumo: leporzioni devono essere piccole e adat-te anche a un consumo in piedi. Infi-ne, gli ingredienti devono essere po-co costosi, reperibili con continuità econservabili, per ridurre al minimo glisprechi».Nei format in franchising, per moltiprodotti è possibile una lavorazionea monte, completata con la cotturanel punto vendita: «Quella dei semi-lavorati è un ottimo compromessotra esigenze di economia e organiz-zazione e qualità» dice Fumagalli. Legastronomie più vivaci, dove pullu-lano cibi “street” sono quelle del Sud:la napoletana, la pugliese e la sici-liana. Poi, ancora da sviluppare, lacalabrese e la sarda.Ma come capire se un’attività puòstare in piedi e fruttare guadagni?«La formula è un terzo, un terzo,un terzo» spiega Fumagalli. «Signifi-ca che un terzo del fatturato è il costodelle materie prime, un terzo la lavo-razione e le spese del personale, unterzo il margine. Questa percentualecresce in attività come la pizzeria, seben gestite, e in quelle dove le mate-rie prime sono meno onerose. Se latrasformazione è poco complessa, lespese di personale calano. La fritturarichiede cappe che costano anche 25mila euro. Meglio cominciare con l’at-tività artigianale piuttosto che la som-ministrazione. Il ristorante implicauna maggiore burocrazia, spazi piùvasti (e più costosi), un gran mume-ro di sedute, una notevole rotazione,

Puccia salentina(Puglia). Pane di

farina, anche con olivee pancetta.

Sfincione sicilianoSpecie di pizza, conacciughe, pomodoro e

caciocavallo.

Panelle palermitaneFrittatine di ceci.

Cazzilli sicilianiCrocchettedi patatee menta.

Scegliere uno street food tipico di al-tre regioni e venderlo in una grandecittà funziona? Abbiamo girato la domandaa Ferdinando Fiamenghi (foto sopra), titolare aMilano di una gastronomia, che appartiene allasua famiglia dal 1880, e resiste bene alla crisi delcommercio grazie alla qualità dei prodotti. Tra lespecialità: pizzoccheri (tagliatelle valtellinesi digrano saraceno, con verdure e formaggio) cre-spelle, polpettine milanesi, torte salate, dolci. «AMilano la realtà è bendiversa daRoma e altre cit-tà: il mercato è difficile emolto selettivo. Da unaparte gli alti costi di locazione, dall’altra unadop-pia concorrenza: le gastronomie etniche e i ban-chi della Grande distribuzione, che propongonocibi standardizzati, ma a prezzi bassi, predilettida chi ha poco tempo e approfitta della spesa percomprare qualcosa di pronto per pranzo e cena.Il problema di proporre specialità regionali è lacontinuità nell’approvvigionamento di materieprime originali. I costi della logistica e del ma-gazzino sonomolto alti per un imprenditore sin-golo. Così per le attrezzature: di allestimento dinegozio e cucina ci vogliono circa 100mila euro.Solo un forno tecnologico, ideale per l’igiene e laprogrammazionedei tempidi cottura edelle tem-perature, costa almeno 12 mila euro. Poi servo-no cucina a gas, cappa elettrica con filtri, frigori-feri, una piccola cella frigo e utensileria».INFOINFO: Gastronomia Fiamenghi,tel. 02 48951751

Milano

Quando la gastronomia batte la Gdo

organizzazione e spese per più per-sonale e una gestione complessa». Daaggiungere che ogni attività è sogget-ta a decine di variabili: scelta di pro-dotti, location (città o località turi-stica, per esempio), tipo di clientela.«Il cammino di un prodotto tipicodai luoghi dove è nato al mondo è unprocesso naturale» sostiene AntonioMontefinale di Creaimpresa, che sioccupa di analizzare nuovi businesse svilupparli, conti alla mano. «Mainvece che far girare prodotti tipi-ci, bisogna far girare le compe-tenze per produrli, ovunque, nelmodo giusto e con gli ingredientigiusti. Il costo della materia primaè basso, quello che conta è il knowhow. Un tempo è successo per pro-dotti diventati poi industriali a tuttigli effetti; il panettone, i pavesini e illimoncello sono soltanto esempi».

prendi e porti via

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Pani ca’ meusaPanino con milza.

ArancinePalline di riso ripienecon ragù, impanate

e fritte

Ciaccio Montano diPelagano (Modena)Frittatina di farina ericotta, sulla piastra. Siripiega su strutto eprezzemolo.

Panino col lampredottodi Firenze. Si fa conlo stomaco di bovino.

prendi e porti via

Fritti di NapoliSoprattutto verdure ecrocchè di patate.

Cabbuci trapanesiPasta di semola efarina, origano, semidi anice, ripiena diacciughe, pomodori epecorino.

La Spezia

Farinata:impara e riproponi

Quattro operai, dopo anni dilavoro e di apprendistato,rilevano l’attività dal loro pa-drone e diventano impren-ditori: è la storia de La Pia cente-naria, un tempo posto di La Speziadove si facevano farinata (una schiac-ciata di ceci), focaccia, castagnaccio.Poi il locale è diventato una pizze-ria. Quindi si è sdoppiato, con unaltro punto vendita nella stessa cit-tà. E oggi i titolari hanno aperto an-che un nuovo locale a Sarzana, aiconfini con la Toscana. E tutti lavo-rano a pieno ritmo, mezzogiorno ela sera, estate e inverno, attraendocentinaia di clienti con profumi egusti straordinari. «Abbiamo ag-giunto la pizza al piatto e al taglio,ben cotta e ricca, e la focaccia al for-maggio. Poi quella alla Nutella, checompleta il menu» racconta Fran-cesco Fornino, 57 anni, uno dei so-ci. «E’ un lavoro duro, che si pro-

lunga fino a notte. Occupiamo 40-50 persone, su vari turni, e abbia-mo scelto la formula del servizio altavolo, come ristorante. Ma buonaparte delle vendite avviene al ban-co. E questa è la formula che po-trebbe essere esportata in città co-me Milano e Roma».Sarebbe possibile aprire altre “Pia”?«La presenza del titolare è impor-tante. Per fare un buon prodotto,il mestiere va imparato sul cam-po, dalla preparazione e fermenta-zione degli impasti, fino alla cottu-ra, per almeno seimesi prima di par-tire da soli. Noi potremmo conti-nuare a occuparci dei fornitori dellefarine e degli ingredienti locali».Fornino fa un po’ di conti. Per alle-stire il locale di Sarzana, 100 mq, isoci hanno speso oltre 400 mila eu-ro. In dettaglio: solo un forno a le-gna costa 10-12mila euro. Poi servo-no frigoriferi, affettatrici, utensili dicucina, tavoli e arredi, posate e piat-ti. Il personale è un voce importan-te: escono circa 50 mila euro l’annoper ogni dipendente. Meno oneroselematerie prime (farine di ceci e gra-no, olio, formaggi e altri ingredientifreschi), su cui c’è un buonmargine.Pizza e farinata si vendono a sette eu-ro al kg, la focaccia di Recco e quel-la alla Nutella a 10,50. Si fanno im-pasti da 5 kg alla volta, almeno due,tre volte al giorno. Con un kg di im-pasto si realizzano sei-sette teglie diprodotto.INFO: La Pia, La Spezia, tel 0187739999, www.lapia.it

A Venezia, dopo anni di oblio da fast food,farsi l’ombra e cicchetto è tornato di moda,anche tra i giovani, che affollano le calli in posti strate-gici. Ambienti piccoli, con unbancone ingombro di piat-tini a base di pesce o carne povera, compresi i tipicissi-mi fegato alla veneziana, spienza (milza), rumegal (eso-fago di bovino), nervetti con cipolla.Andare a bacari èla moda veneziana degli aperitivi, tutta da esporta-re. «Calamari fritti, seppioline arrosto, salsiccette alvino, baccalàmantecato, sarde in saor,moeche (gran-chi teneri) fritti: ecco quello che piace di più ai vene-ziani di tutte le età» racconta David Boschian. Con il pa-dre, la sorella e nove dipendenti manda avanti il BacaroDa Fiore, 25 mq, e l’attigua trattoria. «Una volta la gen-te mangiava solo un cicchetto. Ora si fa un piattino dispecialità, con porzioni che vanno da uno a cinque eu-ro. Insomma, conpochi euro, pranza. In piedi, senza for-malità, socializzando». Possibile esportare questo busi-ness? Boschian è perplesso: «Per questi piatti ci dev’esse-re una tradizione, un’abitudine al consumo, tra i clienti.E una cucina attrezzata, come quella di un ristorante».Ingrandirsi, insomma, fa un po’ paura.Ma, forse, con unpartner disposto a un supporto di marketing e finanzia-rio, un know how di generazioni darebbe i suoi frutti.INFO: Da Fiore, tel. 041 5235310, www.dafiore.it

Venezia

La moda dell’andare a bacari

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Ascoli

Come ti preparol’oliva ascolanaAd Ascoli il fritto tira. Si punta sulla Doplocale, l’oliva ascolana, e il gran fritto misto,che comprende costolette di agnello, verdure,paranza e crema dolce a pezzi: «L’oliva vaaperta a spirale, farcita con tre tipi di car-ne, uova, noce moscata e parmigiano, im-panata e fritta. Completamente diversa dalprodotto standard e surgelato che si trova intutta Italia. Un mangiare completo con 9 eu-ro» spiegaMarco Cellini, dipendente della ga-stronomia Migliori di Ascoli Piceno. Il nego-zio non si limita ai fritti, però: i titolari han-no scelto di venderemolti prodotti tipici e fun-zionare come enoteca e ristorantino. Specia-lità locali, un menu completo, dall’antipastoal dolce, e spazio per sedere, dentro e fuori:questa per loro la formula vincente.INFO: Migliori Gastronomia, tel. 0736 250042.

Vomero, quartiere bene diNapoli. Da generazioni la fa-miglia Acunzo frigge e frigge.«Crocché di patate, paste cresciute (pa-sta fritta), fiorini fritti, scagliozzi (po-lenta a pezzetti),melanzane, spinaci inpastella, pizze e calzoni, supplì di risoe frittatine di pasta. Tutte specialitàpartenopee fritte, vendute a pezzi da15 centesimi a 1,20 euro» racconta latitolare Caterina Acunzo. «Sono ri-maste soltanto due friggitorie tradi-zionali, a Napoli. E’ un lavoro che ri-chiede sacrifici e nessuno lo vuol farepiù. Ma alla gente i fritti piacciono. Econ un cartoccio di misto da 3-4 eu-ro uno fa un pasto».Tutto il business sta in 24 mq, non cisono tavolini e la frittura avviene a vi-

Napoli

Il fritto del Vomero

«Moltii prodottitipici chepossonogenerareun business:frittinapoletani,oliveascolane,sfincionisiciliani»

sta, tutto il giorno, con una sosta tra le15 e le 17. Attrezzature? Due padelledel diametro di unmetro, cappe aspi-ranti ai carboni attivi, canna fumaria,cucina a gas, impastatrice, scaldavi-vande. Investimenti: nonmeno di 100mila euro. E il personale va forma-to, perché crocchette, arancini e al-tro richiedono una lavorazione amano. Servono licenza annonaria eautorizzazione dell’Asl e della Pubbli-ca Sicurezza. L’olio esausto va smalti-to tramite operatori autorizzati. La red-ditività c’è su alti volumi, consideran-do che il margine è inferiore al 50%sui prezzi di vendita e che un operaiocosta almeno 40 mila euro l’anno.INFO: Friggitoria Acunzo, tel. 0815785362.

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di Salvatore [email protected]

DIPENDENTIINTOCCABILI,BUROCRAZIA

NEMICA,SINDACATISCHIERATI.L’ODISSEA

DI UNGIORNALISTA

DIVENTATORISTORATORE IN

UN LIBROIMPERDIBILE

SULLA PICCOLAIMPRESAITALIANA

volevo solo vendere la pizzaAnche un’idea imprenditorialebuona e eccellente si puòscontrare con le difficoltà dellaburocrazia o della gestionequotidiana. E’ quello che ci diceil libro Volevo solo vendere lapizza, scritto da Luigi Furini(Garzanti Editore, 14 euro). Unlibro che è anche una critica allaburocrazia e al sindacalismoitaliano più becero vista con gliocchi e l’esperienza di ungiornalista che non nasconde lesue simpatie politiche per lasinistra. La storia vera,incredibile, surreale raccontal’esperienza di un professionistache un bel giorno decide diaprire un punto vendita di pizzaal taglio a Pavia. Il lavoro già cel’ha ma, con cento mila euro dirisparmi a disposizione, ritieneche sia meglio investire inun’attività indipendente

un’iniziativa. Ma in tempi di“liberalizzazioni” quello cheemerge altrettantochiaramente è la mostruositàdella pubblicaamministrazione italiana.Corsi insensati, richiesteassurde, carte bollate a go-go,controlli fiscali beffardi,parassiti travestiti daconsulenti, contratti dellavoro “beffa” (per i piccoliimprenditori). Dopo la letturadi questi aneddoti spassosi,ma anche tragici per il ritrattoche offrono del nostroWelfare straccione(definizione di MarcoTravaglio), si comprenderàperché nella classificamondiale dei Paesi dove è piùfacile avviare un’attività,l’Italia è al 82° posto, dopo ilKazakhistan, la Serbia, laGiordania e la Colombia.Eppure questo libro sarebbeanche una fonte inesauribiledi idee per un serio politicoche volesse fare veramente leliberalizzazioni e snellire lapubblica amministrazione.Purtroppo, invece, questolibro ce lo leggeremo solo noi.Ma ne vale la pena.

Palermo

Il panino con la milza che piace al mondo

La voce contro

Pani ca meusa. Paninocon la milza. E’ una chic-ca della gastronomia diPalermo. Insieme a arancine,panelle (fittatine di ceci), cazzilli(crocchette di patate e menta):questo lo street food sicilianoche ha le carte in regola per sfon-dare nel mondo. Ne è convintoVincenzoConticello, titolare del-l’Antica Focacceria San France-sco, locale storico palermitano,che si è diviso tra una parte conbancone da asporto e l’altra adi-bita a ristorante. Segnalata daSlow Food, la focacceria staper moltiplicarsi. Grazie a unaccordo con un partner fi-nanziario, Conticello aprirà ilprimo clone a Pechino, tra po-chi mesi, e poi in altre 18 capi-tali. Ristoranti che richiederan-no investimenti da 450mila eu-ro a 1,5 milioni di euro, in gra-do di servire 600 coperti al gior-no e duemila clienti in piedi, con35 dipendenti. «Ma si può co-minciare anche in piccolo, in Ita-lia: 70-80 mq, tre-quattro per-sone tra vendita e cassa». Indi-spensabili: cinque friggitrici di-verse in batteria, tegame e cuci-na con sei fuochi per salse e con-dimenti, due abbattitori termi-ci, per carni e vegetali, quattrofrigoriferi per i diversi tipi di pro-dotti, unamescolatrice, una grat-tugia, un tritacarne, un passa-tutto, pentole e utensili, banchiper esposizione, un banco pertenere il cibo caldo (non oltre idieci minuti), packaging.L’Antica Focacceria non associala sua insegna a piccole attività,ma è disposta a cedere il suoknowhow. Valuta partner per av-viare una rete,magari con ilmar-

chio già registrato di Sicily Food.A chi vuole aprire in piccolo, ci-fre incoraggianti. «In un anno sipossono fatturare 450-500milaeuro, di cui il 38% va per il per-sonale, il 22%per lamateria pri-ma, il 5% per spese generali, unaltro 5% per la promozione e il30% resta come margine lordo.Insomma: 100mila euro di gua-

dagno netto l’anno dovrebbe-ro esserci». Consigli? «Meglioimpegnarsi in prima perso-na nel locale, per ridurre lespese del personale e con-trollare l’operato dei dipen-denti» conclude Conticello.INFO: Antica Focacceria SanFrancesco, tel. 091 320264,www.afsf.it

Lo street foodsiciliano hale carte in regolaper sfondarenel mondo.

piuttosto che in Borsa sui titolidel Nasdaq o in Bot. Sognaanche di aprire una catena infranchising con la sua insegna.E magari un giorno quotarsi inBorsa. Nel libro racconta tutta lacronistoria di questa esperienza(fallimentare, purtroppo) equelle pagine si trasformano inuna lettura anche amara chesvela tutte le difficoltà di unimprenditore. Così capita cheuna delle cassiere porti ilcertificato di gravidanza arischio e non venga al lavoro,mentre si appresta ad aprire unlocale concorrente di fronte.Se un rimprovero benigno sipuò fare a questo giornalista-imprenditore, è quello di nonaver capito sin da subito chel’occhio del padrone noningrassa solo il cavallo. La suascelta di delegare totalmente lagestione ai collaboratori(seguendo solo lo start up) è,infatti, disastrosa. Fonte dicontinue cause sindacali,turnover, episodi di infedeltà diogni tipo. E’ la dimostrazioneche, per chi vuole mettersi inproprio, il personale è una dellevoci più critiche e da nonsottovalutare. E’ il fattore chepuò determinare più di tutti ilsuccesso o insuccesso di

Luigi Furini


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