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LINEA GUIDA - formazione.eu.com · LINEA GUIDA ISTITUZIONALE. A cura di: ... essere un modo per...

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Per una buona pratica del consenso informato LINEA GUIDA ISTITUZIONALE
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Per unabuona pratica del

consenso informato

LINEA GUIDAISTITUZIONALE

A cura di: Nucleo per la Valutazione e l’Aggiornamento del Consenso Informato

E con il contributo di tutte le Unità Operative, i pazienti e i volontari dell’Associazione Volontari Ospedalieri che hanno partecipato ai tavoli di lavoro e ai laboratori

Grafica ed impaginazione: Gabriele Montingelli

INDICE

Parte A. Per una buona pratica dell’informazione al consenso

INTRODUZIONE

SEZIONE 1 – Scenari per una buona pratica1.1 Scenario locale - Esperienze precedenti in Fondazione 1.2 Scenario normativoIl consenso informato come questione giuridico-normativaScenario normativo europeo: principi generali Scenario normativo italiano: un quadro in costruzione1.3 Scenario bioeticoLa relazione clinica come relazione informata e atto partecipatoInformazione come processo e decisione condivisa

Parte B. Linee attuative per una buona pratica

SEZIONE 2 – Logiche e modalità di una buona pratica dell’informazione al consenso2.1 Requisiti del consenso informato2.2 Modalita’ di acquisizione del consenso informatoQuando: TEMPI di acquisizione del consenso informatoResponsabilità: CHI deve acquisire il consenso informatoForma del consenso: COME deve essere acquisito il consenso informato

SEZIONE 3 – Stili e linguaggi3.1 Stili e linguaggi: buone pratiche3.2 Stili e linguaggi: pratiche da evitare3.3 Linguaggi di supporto

SEZIONE 4 – Orientamenti specifici Premessa4.1 Buona pratica del consenso con il minore e il minore maturo4.2 Buona pratica del consenso con il paziente anziano4.3 Buona pratica del consenso con il paziente in stato d’incoscienza o in situazione

d’urgenza/emergenza

SEZIONE 5 – TrasversalitàConsenso informato alla raccolta, conservazione e utilizzo di materiali biologici umani

per finalità di ricerca

SEZIONE 6 – Validazione dei processi e dei percorsi informativi

APPENDICE – Indicazioni istituzionali per la stesura della modulisticaA.1 Indicazioni istituzionali per la stesura della modulisticaA.2 Il modulo di consenso informato: caratteristiche di contenutoElementi identificativi del documentoElementi identificativi della praticaElementi informativi

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FONDAZIONEOSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO

MANGIAGALLI

E REGINA ELENA

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Parte APer una buona pratica dell’informazione al consenso

Introduzione

Il consenso informato o più correttamente l’”informazione al consenso” tra-sforma la relazione clinica da un atto di fiducia ad un atto partecipato e la caratterizza come un processo decisionale, di scelte informate e consapevoli, dove gli attori principalmente coinvolti, il professionista della salute, l’indivi-duo malato e l’istituzione si riconoscono come interlocutori.In questo processo di interazione e di coproduzione di conoscenza continuo,

la parola e l’ascolto reciproco facilitano la costruzione di una proposta, di un percorso di cura e di tutela della salute su misura e quindi di qualità. Questo processo di informazione e partecipazione permea tutta la relazione e non si esaurisce conseguentemente nella sottoscrizione di un modulo, seppur rilevan-te. Una buona pratica di informazione al consenso è un processo articolato, all’in-

terno del quale ogni fase gioca un ruolo importante: il primo incontro e i suc-cessivi eventuali colloqui, la lettura di un testo informativo, la firma del modu-lo, lo scambio di domande e risposte fra professionista e paziente, il contesto orientativo e capace di venire incontro ai bisogni di chi intraprende un percorso di cura o si sottopone ad un atto sanitario, tutte componenti che concorrono alla buona pratica quando interagiscono efficacemente fra loro.In questo senso anche l’ideazione, la stesura e l’utilizzo della documentazio-

ne scritta per il consenso informato non può essere ridotta ad un’adempienza burocratica, bensì deve essere strutturata in funzione della buona pratica, in sinergia con i suoi tempi e le sue esigenze.Per il paziente, o chi lo rappresenta, i contenuti informativi scritti possono

essere un modo per orientarsi rispetto alla propria situazione, un riferimento chiaro su cui poter tornare in un secondo momento, un’occasione per chiedere e approfondire.Per il professionista la documentazione deve essere un valido supporto, come

schema sintetico e ordinato dei contenuti informativi che si sviluppano durante i colloqui, come occasione per fare il punto del percorso di cura del paziente e per assicurarsi della sua comprensione. Per l’istituzione, infine, la documentazione relativa al consenso rappresenta

la traccia pubblica delle informazioni e delle scelte condivise, ripercorribile in

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ogni momento a garanzia e tutela della buona relazione fra tutti gli attori in gioco.La pratica del consenso informato si rivela così un banco di prova decisivo per la buona

pratica clinica.Una relazione informata permette all’operatore di calibrare la propria azione di cura sul

paziente così come al paziente di essere molto più partecipe al proprio percorso di cura, sviluppando una reale comprensione e avendo il tempo di porre tutti i quesiti del caso per una corretta informazione, elementi necessari a evitare il vizio di consenso. Rilevata la necessità di strutturare una governance del consenso di Fondazione, per rin-

novare, semplificare e sincronizzare i processi e percorsi informativi, la nostra Istituzione ha valutato decisivo il coinvolgimento dei pazienti, dei cittadini e/o loro rappresentanti, oltre che dei professionisti, in un ampio programma di ricerca e di formazione sul campo, Il consenso in corsia, che ha coinvolto tutte le Unità Operative, e ha individuato nella buo-na pratica del consenso informato un indicatore di qualità dell’assistenza clinica.Sostenere i processi informativi tra paziente, operatori, istituzione come un momento

basilare dell’attività clinica dovrebbe infatti facilitare la costruzione concreta e la ge-stione di processi di cura e organizzativi centrati sul paziente; il paziente stesso e chi lo rappresenta sono attori fondamentali nella definizione e nell’implementazione di questi percorsi e degli strumenti che li rendono possibili. Allo stesso tempo una comunicazione che• contestualizzi l’informazione alla realtà della struttura, specificando la casistica relati-

va, • riporti, alla propria esperienza interna, i dati sul rischio e sulla percentuale di successo

della procedura oggetto di consenso,dovrebbe incrementare il monitoraggio della propria pratica clinica. Infine promuovere

il consenso informato come buona pratica attraverso la formazione sul campo, la parte-cipazione a gruppi di lavoro, a laboratori con i pazienti, dovrebbe non solo perfezionare una “competenza e degli strumenti professionali” dei singoli operatori e dei responsabili dei servizi, ma facilitare una messa a sistema dei processi informativi che faccia tesoro e risponda delle pratiche e delle esigenze specifiche.

Soggetti istituzionali, professionali e pazienti e/o loro rappresentanti, tutti gli attori in gioco, stanno contribuendo al miglioramento delle pratiche di informazione al consenso in Fondazione: • identificandone le condizioni• elaborando criteri condivisi e relativi strumentiche garantiscono la qualità assistenziale e un continuum di informazione-comunicazione-

partecipazione nella pratica clinica.

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La linea istituzionale raccoglie tutto questo intenso lavoro, anzi nasce e si svi-luppa proprio grazie ad esso.

SEZIONE 1Scenari per una buona pratica

1.1 Scenario locale – Esperienze precedenti in Fondazione

Il Progetto di valutazione delle performance qualitative, avviato dalla Regione Lombardia a fine 2004 nell’ambito del più ampio Progetto di valutazione delle aziende sanitarie accreditate pubbliche e private, ha rappresentato l’occasio-ne e lo stimolo per la riorganizzazione dei principali processi sanitari avviata dalla Fondazione a partire dalla sua istituzione a gennaio 2005.Attraverso questo Progetto, la Regione ha indicato in alcuni degli standard

Joint Commission International (JCI) le performance che devono essere perse-guite dalle strutture sanitarie per il miglioramento della sicurezza e della qua-lità dell’assistenza erogata, sollecitando in prima battuta le attività finalizzate alla promozione dei diritti del paziente e dei suoi familiari, compreso il loro coinvolgimento, laddove opportuno, nelle decisioni sulla cura.In questo contesto è nata la procedura di Fondazione sul consenso informato

(P.01.DS rev.1), formalizzata nel settembre 2006, sviluppata intorno a un tavolo che ha visto partecipi le Direzioni Sanitarie di Presidio e l’Ufficio Qualità. La Procedura ha rappresentato sia il momento formale di recepimento inter-

no dei principi fondamentali riportati negli standard JCI relativi al consenso (PFR.9, PFR.9.1, PFR.9.1.1 Programma triennale: strutture di ricovero - versio-ne 3 del 17.09.04), sia lo spunto per alcune riflessioni introduttive su quanto elaborato in materia dalla dottrina medico legale e dalla giurisprudenza, con l’indicazione di una bibliografia dei principali documenti di riferimento.L’emissione della Procedura ha significato inoltre l’opportunità di definire in

modo chiaro, seppur sintetico, il processo del consenso differenziando il mo-mento dell’informazione da quello della raccolta del consenso, e l’occasione per orientare e vincolare sempre più il contenuto delle informazioni fornite.E’ forse l’aspetto dei contenuti informativi, che rimanda appieno agli standard

JCI e che ha rappresentato uno dei punti di partenza dell’importante lavoro multidisciplinare avviato in Fondazione, ad aver costituito l’aspetto più difficile da implementare nella fase di applicazione della Procedura della Fondazione, esigendo un cambio di cultura importante alla base del quale non può mancare

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una forte azione formativa e di sensibilizzazione di tutti gli attori, operatori sanitari e pa-zienti, coinvolti in questo delicato momento di comunicazione e condivisione delle scelte di cura.

Da un punto di vista metodologico, l’Ufficio Qualità ha confrontato e rielaborato quanto fino ad allora prodotto dai due Presidi sullo stesso argomento, facendo riferimento nello specifico alle procedure emesse per la gestione della cartella clinica, e ha analizzato gli standard JCI sul consenso. Da questa valutazione integrata è scaturita una proposta di pro-cedura da sottoporsi per la sua condivisione alle due Direzioni Sanitarie di Presidio. Sono stati a tal fine effettuati degli incontri duranti i quali la proposta è stata discussa, riga per riga, direttamente dai due Direttori Sanitari di Presidio, nominati per la Fondazione ri-spettivamente Responsabile del Rischio e Responsabile della Qualità, e quindi sottoposta, per una validazione finale, al Direttore Sanitario. In linea con il Sistema di Gestione (ISO 9001:2000) della Fondazione, la procedura è stata

emessa in forma controllata e rintracciabile sull’intranet aziendale. Sono state effettuate ripetute comunicazioni scritte ai vari livelli organizzativi, in attesa di effettuare gli incon-tri e i dibattiti solitamente tenuti come momenti di condivisione e formazione con il perso-nale. Sono stati avviati parallelamente una raccolta sistematica dei consensi in uso, al fine di procedere ad una valutazione di merito, e controlli periodici e a random sulla presenza del consenso, nell’ambito del più ampio monitoraggio delle cartelle cliniche. Nell’ottica di un processo in continuo divenire, la procedura ha successivamente subito alcuni aggior-namenti a cura della Direzione Sanitaria di Presidio Ospedale Maggiore Policlinico, al fine di garantirne la massima aderenza alla realtà organizzativa della Fondazione.

1.2 Scenario normativo

Il consenso informato come questione giuridico-normativa

Il rapporto tra professionista della salute e paziente è (anche) un rapporto giuridico che presuppone diritti e doveri. L’informazione al consenso è il diritto del paziente a ricevere chiarimenti in ordine all’at-

to clinico che gli viene proposto; a ciò corrisponde il dovere del professionista di fornire tali chiarimenti in maniera adeguata e di mettere poi il paziente in condizione di prestare un consenso consapevole e partecipato.Il singolo potrà così esercitare il suo diritto di autodeterminazione nella relazione clinica,

compiendo scelte che riguardano i suoi beni più importanti, la propria vita e la propria salute.

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Nei prossimi paragrafi verrà delineato il quadro normativo, europeo ed italia-no, entro cui il tema del consenso informato si colloca e impone la ricerca di un nuovo equilibrio nel rapporto (non solo giuridico) tra professionista della salute e paziente.

Scenario normativo europeo: principi generali

Il consenso informato all’atto medico è reso oggetto, a livello europeo, di una disciplina giuridica all’interno della quale la manifestazione di volontà del paziente – sia, essa, di contenuto positivo (autorizzazione) o negativo (rifiuto o interruzione) – rispetto ai trattamenti di cura e/o di ricerca proposti, è consi-derata, e valorizzata, quale diritto fondamentale dell’individuo. I documenti normativi in senso stretto, quelli cioè che hanno valore vincolante

dal punto di vista giuridico, sono oggi in sintonia con quelli che hanno valore di raccomandazione sotto il profilo etico, riconducendo il consenso informato all’atto medico all’ambito alla sfera precipua di diritti e libertà fondamentali del soggetto-paziente.Nello specifico la “Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la

dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della me-dicina”, nota anche come Convenzione di Oviedo, costituisce oggi punto di riferimento centrale per ciò che attiene alla normativa europea in tema di consenso informato. La Convenzione, ratificata dall’Italia con legge n. 145 del 28 marzo 2001, è ancora in attesa di acquisire piena vigenza attraverso il suo adattamento all’ordinamento giuridico italiano. Tuttavia la sua efficacia nel fornire principi generali ai quali fare riferimento e il suo ruolo orientativo ri-spetto all’attività medica sono ampiamente riconosciuti dalla giurisprudenza. Con specifico riguardo al tema del consenso, la Convenzione riconduce espres-samente l’informazione e la volontarietà dell’atto medico alla sfera dei “diritti e libertà fondamentali rispetto alle applicazioni della biologia e della medici-na” (art. 1), ossia nel diritto dell’essere umano al rispetto della propria dignità, identità e integrità (art. 1), con particolare riguardo agli atti inerenti al proprio corpo e alla propria salute. Allo stesso modo, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nota

anche come Carta di Nizza, e la Declaration on the Promotion of Patients’ Rights in Europe, raccomandazioni di valore etico, qualificano il consenso in-formato come diritto all’integrità fisica e mentale della persona e come diritto alla sua libera determinazione.

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Tutti tre i documenti richiamati convergono anche nel sancire il consenso informato come condizione ineludibile della legittimità di qualsivoglia atto clinico, fatto salvo quanto diversamente disposto dal diritto interno di ogni singolo Paese membro dell’Unione Euro-pea.Con riguardo, poi, ai contenuti specifici che il diritto esige dalla pratica informativa,

la Convenzione di Oviedo stabilisce espressamente che l’informazione, sulla base della quale viene espresso il consenso, deve essere “adeguata” rispetto allo “scopo, alla natura dell’intervento, alle sue conseguenze e ai suoi rischi” (art. 5, comma 2). Più dettagliatamente, la Declaration on the Promotion of Patients’ Rights in Europe

esprime il diritto del paziente a “essere pienamente informato sul proprio stato di salu-te, sulle procedure mediche proposte, unitamente ai potenziali rischi e benefici propri di ciascuna procedura; sulle alternative alle procedure proposte, incluse le conseguenze del rifiuto di sottoporsi a qualsivoglia trattamento” (paragrafo 2.2.). Inoltre, continua la Declaration, l’informazione “deve essere comunicata al paziente in modo appropriato, tenuto conto della propria capacità di comprensione, minimizzando l’uso di una termino-logia tecnica non familiare” (2.4.). I documenti richiamati non si limitano, peraltro, a connotare, e di riflesso, regolare l’in-

formazione e il consenso in termini positivi (vale a dire nei termini di un’autorizzazione all’atto medico), ma definiscono e disciplinano anche il contenuto negativo di tale dirit-to.In tal senso, la Convenzione di Oviedo, in linea con la Declaration, prevede espressa-

mente la facoltà della persona interessata di ritirare liberamente, in qualsiasi momento, il proprio consenso, e viene così a riconoscere un diritto alla revoca del consenso che, a seconda della fase temporale in cui interviene, si traduce di fatto in un rifiuto a sottoporsi al trattamento proposto o in un’interruzione dello stesso.La Convenzione di Oviedo stabilisce infine il dovere del medico di tenere in considerazio-

ne “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà” (articolo 9), desideri che possono consistere anche nel rifiuto di sottoporsi a determinati trattamenti sanitari. La Declaration on the Promotion of Patients’ Rights in Europe dichiara espressamente il

diritto del paziente a morire con dignità.

Scenario normativo italiano: un quadro in costruzione

In Italia il principio del consenso informato trova fondamento non solo nell’art. 32, se-condo cui “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non

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per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, ma anche negli artt. 2 e 13 della Costituzio-ne che così dispongono “La Repubblica riconosce i diritti inviolabili dell’uomo” e “La libertà individuale è inviolabile”.Tale lettura congiunta esplicita in modo inequivoco il significato del bene che

si intende tutelare con il consenso: il consenso al trattamento sanitario costi-tuisce l’espressione del diritto del paziente ad autodeterminarsi in ordine alle scelte terapeutiche, il che rappresenta il fondamento della liceità dell’attività medica, la cui violazione può dare luogo a responsabilità civile e, ricorrendone i presupposti, a differenti fattispecie di illeciti penali.Si profila, dunque, un dovere giuridico per il medico di consentire al paziente

l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, il cui valore è stato equiparato a quello del diritto alla vita. Coerentemente, si è osservato un progressivo ridimensionamento dell’ambito

applicativo dell’art. 54 del codice penale che prevede, al ricorrere dello stato di necessità, la possibilità di intervenire anche in assenza di un’espressione di consenso da parte del paziente ed il cui tema è ripreso nell’ambito della sezione 6. In generale è possibile affermare che la previsione in esame opera soltanto in caso di necessità ed urgenza quando il paziente non sia in grado di esprimere e non abbia espresso in precedenza alcuna volontà o non siano rispettati i criteri di validità del consenso – vedi sezione 2 della Linea.L’orientamento descritto si sviluppa in piena sintonia con la Convenzione di

Oviedo.Nella stessa linea interpretativa vengono ad iscriversi ulteriori espressioni le-

gislative tra cui la stessa legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (art. 33, comma 1 e comma 5, l. 23 dicembre 1978, n. 833) e alcune norme che re-golano attività sanitarie specifiche, ove si fa esplicito riferimento alla necessità di acquisire il consenso del paziente e alla natura volontaristica dei trattamenti sanitari; in particolare per quanto riguarda:- il trapianto di rene da vivente; - l’interruzione volontaria della gravidanza; - la rettificazione di attribuzione di sesso;- la prevenzione e la lotta contro l’AIDS;- la prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza;- la sperimentazione clinica; - la procreazione medicalmente assistita;- la donazione di sangue.

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Da ultimo, si ricorda il dettato del nuovo Codice Deontologico Medico (16 dicembre 2006) che prevede al Titolo III, Capo IV, artt. 33-38, un’ampia sezione per il trattamento del tema dell’Informazione e dell’acquisizione del Consenso del paziente, dell’autonomia del cittadino, del minore maturo e delle direttive anticipate ed il cui contenuto riprende i principi espressi dalla Convenzione di Oviedo.Differentemente dallo scenario europeo, dunque, constatiamo un quadro normativo an-

cora in costruzione che rende interessante fare un breve excursus su come la giurispru-denza ha applicato i principi suesposti nell’ambito delle valutazioni sulla prestazione me-dica (sotto il profilo civilistico) e della condotta del singolo professionista (sotto il profilo penalistico).In modo pressoché unanime, i giudici sostengono che la necessità del consenso informato

trovi la sua ragion d’essere nei già citati artt. 13 e 32 della Costituzione: si sottolinea, al riguardo, che la tutela della salute è sia un interesse della collettività, sia un diritto individuale (art. 32, comma 1, Cost.) e che nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge (art. 32, comma 2, Cost.). Il diritto all’inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.) si traduce, in questa luce, nella libertà di autodeterminazione terapeutica. Libertà che promana direttamente dal principio personalistico che permea la Carta Costituzionale: ben si comprende come il consenso informato di ogni paziente, attraverso gli artt. 13 e 32, debba intendersi quale condizione di liceità dell’atto terapeutico. In sintesi, e sul punto dottrina e giurisprudenza concordano, l’individuo ha un diritto di rango costituzionale sia alla tutela della sua salute sia al compimento di scelte terapeutiche consapevoli.A fronte del diritto del paziente di compiere tali scelte, dunque, sta il dovere del pro-

fessionista di valutare e proporre il trattamento terapeutico ritenuto più adatto: pertanto nel rapporto giuridico tra medico e paziente il consenso informato va inteso quale dovere del professionista di informare il malato riguardo l’atto o il progetto terapeutico propo-sto, dovere che trova principio e fine nel consenso del malato all’offerta terapeutica del professionista. Dobbiamo tuttavia tenere in considerazione il peso che la precedente interpretazione

giurisprudenziale continua ad avere. In questa interpretazione la finalità di assistenza e di cura, cui oggettivamente è diretta la prestazione dei professionisti operanti nell’area me-dica ed infermieristica, rendeva di per sé lecito il trattamento sanitario nel rispetto della beneficence (fare del bene) e non maleficence (non recare danno al malato e quindi agire con la dovuta perizia professionale). Tale giurisprudenza sottolineava che l’intervento del medico è finalizzato alla salvaguardia della salute dei cittadini e s’inquadra, dunque, nel dovere di solidarietà enunciato in via generale dall’art. 2 della Costituzione. Eco di questa concezione si rinviene anche in sentenze più recenti ed ha portato a pronunce non alline-

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ate all’interpretazione personalistica sopra ricordata.La giurisprudenza maggioritaria ha comunque evidenziato che il dovere di cu-

rare non implica il potere incondizionato circa la scelta terapeutica e le sue modalità di attuazione: il controllo di questo potere è affidato sia ai canoni della scienza medica (le cd. leges artis) sia all’informazione al consenso che il professionista deve prestare al paziente.Pur constatando qualche contrasto nelle impostazioni di fondo, alcuni principi

non dovrebbero più essere posti in dubbio: la competenza a valutare l’opportu-nità di un intervento, sotto il profilo strettamente tecnico, appartiene al pro-fessionista in ragione delle sue conoscenze scientifiche e della sua esperienza professionale ma un’informazione compresa e condivisa consente al paziente di scegliere in modo consapevole e coerente ai propri valori tra diverse opzioni diagnostiche e terapeutiche. In questo senso, la preventiva ed adeguata infor-mazione del paziente è condizione indispensabile per la validità del consenso consapevole all’atto clinico, senza il quale l’intervento sarebbe impedito.La giurisprudenza civile si è soffermata sul profilo contrattuale del rapporto me-

dico – malato: nel contratto d’opera professionale il dovere di informare la contro-parte circa le caratteristiche rilevanti della prestazione è una tipica espressione del più generale dovere di comportarsi secondo buona fede sia in fase precon-trattuale sia in fase esecutiva dell’accordo. Inoltre, la buona prestazione medica deve essere valutata anche alla luce del rispetto dei doveri deontologici (ai sensi degli artt. 1176 e 2230 c.c.) e, anche da questo punto di vista, l’informazione al consenso è una delle caratteristiche salienti dell’attività del professionista.L’assenza o l’invalidità del consenso, peraltro, è stata ritenuta da parte di

alcuni giudici come titolo autonomo di risarcimento a prescindere sia dall’esito dell’atto medico sia dal rispetto delle leges artis. Sebbene si tratti di pronunce isolate, è evidente che il tema sta acquistando una propria autonomia dovuta ai principi più volte richiamati.Siccome la prestazione medica riguarda beni fondamentali della persona, i

contorni e l’ampiezza del dovere di informare il paziente sulle caratteristiche e sui rischi dell’atto clinico si coglie soprattutto sul versante del diritto penale. La giurisprudenza si è concentrata questa volta sulla posizione di garanzia del medico nei confronti dei beni primari dell’individuo. L’attività medica arbi-traria è quella senza consenso, giustificata (meglio: scriminata) solo in caso di necessità ed urgenza (il già citato articolo 54 del codice penale).In caso di esito infausto dell’atto medico, l’informazione al consenso diventa

uno degli elementi fondamentali per valutare la condotta del professionista,

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dal momento che i giudici sottolineano che il consenso informato è un limite di liceità a qualsiasi intervento sull’altrui persona.In caso di esito positivo, invece, l’atto medico arbitrario (in assenza di consenso valido)

resta irrilevante sotto il profilo penalistico per l’assenza di ipotesi di reato specifiche. In sintesi estrema, la valutazione della prestazione medica o infermieristica e, dunque,

della eventuale colpa professionale, sia sotto il profilo civile sia sotto quello penale, di-pende anche dalla “quantità” e dalla “qualità” dell’informazione prestata al paziente.Riguardo la “quantità” di informazioni dovute dal professionista al malato, si possono

indicare tre parametri di riferimento:i) il dovere di informare deve essere commisurato allo stato delle conoscenze scien-

tifiche e alla concreta prassi medica in casi simili;ii) il dovere di informare deve essere commisurato alle esigenze di un modello astratto

di paziente ragionevole, ossia di un paziente dotato di competenze e conoscenze nella media dei cittadini;iii) il dovere di informare deve essere commisurato al bisogno di conoscenza del sin-

golo paziente, posto nelle condizioni di esprimerlo, in vista della sua libera decisione di sottoporsi all’atto clinico.Riguardo la “qualità” dell’informazione dovuta dal professionista al malato, la giurispru-

denza ha avuto modo di affermare che il contenuto minimo dell’informazione al consenso deve ricomprendere diagnosi, prognosi e programma diagnostico-terapeutico, ossia natu-ra dell’atto medico, benefici, rischi ed alternative. Sul punto la giurisprudenza ha invece fornito indicazioni coerenti e, al fine di evitare la burocratizzazione dell’attività medica, si può sintetizzare in questi termini il problema: è necessario usare quale parametro dell’informazione l’importanza dei beni coinvolti e dei coefficienti di rischio insiti nello specifico trattamento terapeutico, avuto riguardo comunque ad uno standard minimo di informazioni da prestarsi in ogni caso.

1.3 Scenario bioetico

La relazione clinica come relazione informata e atto partecipato

In questo orizzonte di messa a tema critica delle esperienze di cura e di salute, la relazio-ne fra medico e paziente è stata in particolar modo oggetto di riflessioni e ripensamenti. Si è venuti così ad elaborare alcuni modelli dal valore sia descrittivo che normativo, atti cioè da un lato a favorire la consapevolezza degli elementi in gioco nella relazione clinica e dall’altro a indirizzarne le dinamiche di cambiamento che coinvolgono in modo determi-nante sia il professionista che il cittadino. In questo contesto si è delineata la discussione

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critica del modello paternalistico di relazione clinica caratterizzato dalla con-centrazione di tutte le prerogative decisionali nelle mani del medico, in quanto depositario del sapere tecnico in gioco e in quanto mediatore unico nell’appli-cazione del principio etico di beneficienza al caso particolare. Parallelamen-te, si è elaborato il modello alternativo del paziente come consumatore della prestazione medica fornita dal professionista, caratterizzato da una relazione commerciale, ove il medico si limita a fornire al paziente tutta l’informazione tecnica necessaria per deliberare autonomamente.Al di là della facile opposizione di questi due modelli, che tendono a spostare

tutti gli elementi in gioco nella relazione ora verso uno, ora verso l’altro inter-locutore, gli ultimi anni sono stati segnati da un crescente interesse per modelli che cercano di valorizzare la centralità nella cura di una dimensione relazionale equilibrata, disegnando per tutti gli attori un coinvolgimento attivo, per quanto consapevole delle specificità di ognuno.In particolare, si è fatto strada un modello di relazione clinica di tipo delibera-

tivo e partecipativo, ove si afferma che la conoscenza implicata nella relazione non ha natura esclusivamente tecnica e che essa viene co-prodotta da tutti i soggetti coinvolti, che collaborano alla definizione del quadro clinico. In questa prospettiva, dunque, viene favorito un costante scorrere dell’informazione in entrambi i sensi della relazione e si riconosce la natura valoriale delle deci-sioni mediche, che vengono così a definirsi attraverso un processo condiviso, un dialogo nel quale i valori del medico e del paziente relativi alla salute sono presenti e operanti accanto alle considerazioni di ordine tecnico-scientifico.

Informazione come processo e decisione condivisa

La questione del consenso alle cure riceve un primo riconoscimento specifico nella forma del consenso semplice, come applicazione alla pratica medica del principio di inviolabilità della persona nella sua integrità fisica. Durante il secolo scorso, negli Stati Uniti, tale questione assume per la prima volta una formaliz-zazione dal punto di vista giuridico, attraverso una serie di sentenze che affian-cano all’esigenza del consenso alle cure da parte del paziente anche il dovere del medico a fornire le necessarie informazioni sul trattamento e i rischi connes-si, per rendere possibile un consenso informato e dunque consapevole. A partire dagli anni settanta, parallelamente allo sviluppo della bioetica, si affina anche la riflessione intorno al tema del consenso informato, con una sempre maggiore considerazione per il valore dell’autonomia del paziente, della sua adeguata

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comprensione dell’informazione ricevuta e della specificità delle situazioni individuali e di gruppo. L’attenzione è dapprima concentrata in modo particolare sulle sperimentazioni cliniche, per poi estendersi in misura sempre più rilevante alla pratica clinica ordinaria. In questo contesto vengono elaborati alcuni modelli teorici di consenso informato, con il duplice scopo di approfondire la comprensione della pratica e di indirizzarne l’esercizio.Un primo importante modello di riferimento è quello che definisce il consenso informato

come un processo (process model), in vista di un superamento della pratica del consenso come evento, isolato e legalistico, della firma del modulo (event model). Il centro della pratica diviene allora il colloquio fra medico e paziente, spesso disteso lungo un periodo di tempo consistente, fatto di più incontri, e caratterizzato da una gradualità dell’infor-mazione offerta lungo il percorso di cura. In questa cornice, l’atto di compilazione della modulistica cartacea assume un significato nuovo e meno centrale: quello di ausilio che affianca il medico nella sua opera di informazione, di strumento che aiuta il paziente a meglio comprendere e ordinare le informazioni ricevute e di traccia pubblica, concreta e condivisa del lungo processo che si è svolto oralmente.Un secondo modello di riferimento, importante nel definire la natura della relazione in-

formata in vista del consenso, è quello della decisione condivisa o decisione partecipata (shared decision making). In questa prospettiva, ispirata ai modelli deliberativi di rela-zione clinica, il dialogo fra professionista e paziente è luogo privilegiato di condivisione dell’informazione, ove il processo decisionale comporta una valutazione delle opzioni di cura disponibili alla luce sia delle considerazioni e dei valori del professionista e del pa-ziente. Questo approccio conduce oltre la sola considerazione dei rischi immediatamente connessi all’atto clinico, come invece spesso accade seguendo una logica difensiva, e promuove una valutazione che guarda in direzione delle conseguenze sulla qualità di vita del paziente. Inoltre, il coinvolgimento attivo dei principali attori in gioco sia nella fase di produzione del quadro informativo sia nel processo decisionale svolge un funzione di capacitazione, in primo luogo per il paziente stesso, che viene messo in condizione di comprendere gradualmente la propria situazione e di ricondurre la scelta all’interno del proprio quadro di esperienze e di valori, ma anche per il professionista, che riceve dalla persona malata delle informazioni rilevanti nel definire le scelte di salute più adatte e costruisce con essa un rapporto di maggiore fiducia e collaborazione.Situazioni specifiche, come ad esempio il paziente in urgenza o il quadro clinico che

non presenti più di un’opzione terapeutica possibile, possono, di fatto, limitare il grado di partecipazione in ordine alla decisione. Tuttavia, il modello della decisione condivisa rimane anche in questi casi un principio guida che indica la direzione cui tendere per una buona pratica, quella cioè dell’informazione al consenso come processo che vede l’attiva partecipazione di tutti gli interlocutori coinvolti.

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Parte B.Linee attuative per una buona pratica

SEZIONE 2 Logiche e modalita’ di una buona praticadell’informazione al consenso

2.1 Requisiti del consenso informato

Il processo che porta la persona assistita ad accettare o rifiutare un atto sani-tario si articola per un professionista in tre momenti fondamentali, in succes-sione logica e cronologica: • la comunicazione al paziente di informazioni di rilevanza diagnostica e tera-

peutica che giustificano l’atto proposto,• l’assicurazione che il paziente abbia compreso le informazioni ricevute, • la presa d’atto della scelta del paziente.Se non si dispone dell’informazione adeguata, non si è in grado di acconsentire

specificatamente: di conseguenza qualsiasi modulo di consenso sottoscritto non sarebbe giuridicamente valido né corrispondente ad un atto di buona pratica clinica.Pertanto il consenso deve essere:1) Informato2) Consapevole3) Personale4) Manifesto5) Specifico6) Preventivo e attuale7) Revocabile

1) INFORMATOPer soddisfare questo requisito è necessario rispettare le caratteristiche di una

corretta informazione, la quale deve essere:• Personalizzata• Comprensibile• Veritiera• Obiettiva• Esaustiva

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• Non impostaPersonalizzata: adeguata alla situazione di salute, psicologica, culturale e linguistica del

paziente e proporzionata al tipo di atto clinico proposto. L’informazione al paziente deve essere adeguata all’età, in caso di minorenne, e alla condizione di capacità, nel caso di interdetto giudiziale o di incapace naturale.Per quanto possibile, va evitato il rischio che vi sia un involontario e non esplicito con-

dizionamento, legato all’asimmetria informativa (chi sa e chi ignora) tra le figure del medico e del paziente, eventualmente accentuata dalla gravità della malattia e dalla complessità della terapia.Comprensibile: espressa con linguaggio chiaro e semplice, ma non semplicistico. Nel caso

del testo scritto, avere cura di utilizzare caratteri tipografici e stili di impaginazione che favoriscano la facile lettura.È inoltre bene evitare di raggruppare più decisioni in un solo modulo di consenso infor-

mato, perché l’accumularsi di informazioni di carattere diverso genera confusione nel lettore.In presenza di paziente straniero che non comprenda adeguatamente la lingua italiana,

è bene ricorrere, ove possibile, al sostegno di un mediatore culturale e avvalersi di mate-riale informativo tradotto.Veritiera: corrispondente cioè alle effettive condizioni di salute del paziente e alle con-

crete implicazioni dell’atto clinico proposto. In questo senso, l’informazione non può esse-re falsamente illusoria, per quanto prudente e accompagnata da ragionevole speranza nei casi che hanno rilevanza tale da comportare gravi preoccupazioni o previsioni infauste. Obiettiva: basata su fonti validate o che godano di una significativa legittimazione cli-

nico-scientifica. Indicativa delle effettive potenzialità di cura fornite dalla Struttura che ospita il paziente e delle prestazioni tecnico-strutturali che l’ente è in grado di offrire permanentemente o in quel momento.Esaustiva: finalizzata a fornire le notizie inerenti all’atto clinico proposto nell’ambito

del percorso di cura intrapreso e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dal paziente.In particolare l’informazione verterà su:• Natura e scopo principale dell’atto clinico proposto• Probabilità di successo• Modalità di effettuazione• Professionista della salute/équipe che eseguirà la prestazione• Conseguenze negative previste e loro modalità di risoluzione• Rischi ragionevolmente prevedibili (complicanze), loro probabilità di verificarsi e di

essere risolti da ulteriori trattamenti

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• Eventuali possibilità di accertamenti o trattamenti alternativi, loro vantaggi e rischi• Conseguenze del rifiuto delle proposte di accertamento e curaNon imposta: il paziente ha la facoltà di non essere informato, delegando a

terzi la ricezione delle informazioni. Di questo deve rimanere evidenza scritta.In tal caso egli esprimerà comunque il consenso, subordinatamente all’infor-

mazione data alla persona da lui delegata.

2) CONSAPEVOLEEspresso da soggetto che, ricevuta correttamente e completamente l’infor-

mazione con le modalità descritte in precedenza, sia capace di intendere e di volere. La capacità di intendere non è valutabile separatamente dalla capacità di volere. E’ necessario pertanto valutare se il soggetto sia in possesso della capacità di intendere e di volere, e quindi se sia in grado di comprendere le in-formazioni utili per assumere una decisione riguardante il trattamento, nonché di apprezzare le conseguenze ragionevolmente prevedibili di una decisione o di una mancata decisione (vedi sezione 4).In caso di paziente minore o maggiorenne infermo di mente occorre tenere in

considerazione le volontà espresse, in base al risultato della suddetta valuta-zione delle capacità.Se la persona è in stato di incapacità e anche se vi è pericolo di vita, bisogna

tenere in considerazione l’eventuale consenso o rifiuto espresso in precedenza; se non vi sono volontà precedentemente espresse si può procedere al tratta-mento.In situazione di emergenza, se il paziente è minore o interdetto, in caso di

rifiuto del trattamento da parte del rappresentante legale (tutore, amministra-tore di sostegno), qualora le condizioni cliniche siano tali per cui il professioni-sta ritenesse necessario intervenire, dovrà contattare l’Autorità Giudiziaria per il tramite della Direzione Sanitaria di Presidio.

3) PERSONALEHa titolo ad esprimere il consenso esclusivamente il paziente; l’informazione

a terzi (per terzi si intendono compresi anche i familiari), è ammessa soltanto con il consenso esplicitamente espresso dal paziente, dai genitori del paziente nel caso dei minorenni, o da un rappresentante legale del paziente, qualora sia previsto. Fuori da questi casi il consenso espresso dai familiari è giuridicamente irrilevante ed esclude dalla pratica di informazione e consenso il suo principale

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destinatario.

4) MANIFESTOIl paziente deve acconsentire o dissentire all’esecuzione delle prestazioni proposte, so-

prattutto per le attività che esulano dalla routine. La manifestazione di volontà deve es-sere esplicita ed espressa in modo inequivocabile, preferibilmente in forma scritta (vedi sezione 2.2).

5) SPECIFICOIl consenso deve essere riferito allo specifico atto clinico proposto. Inoltre, il consenso

prestato per un determinato trattamento non può legittimare il medico ad eseguirne uno diverso, per natura od effetti, dal percorso di cura comunicato e intrapreso, salvo sopraggiunga una situazione di necessità e urgenza – non preventivamente prospettabile – che determini un pericolo grave per la salute o la vita del paziente. Nel caso di proce-dura/trattamento che necessiti l’esecuzione in differenti giorni il consenso preventivo allo stesso potrà essere unico purché sia fornita informazione precisa sulla durata della procedura/trattamento stesso (ad esempio: “Sono necessarie n. sedute di terapia con il determinato chemioterapico...”).

6) PREVENTIVO E ATTUALEIl consenso deve essere prestato prima dell’atto proposto. L’intervallo di tempo tra la

manifestazione del consenso e l’attuazione dell’atto clinico non deve essere tale da far sorgere dubbi sulla persistenza della volontà del paziente; nel caso lo sia, è opportuno ottenere conferma del consenso in prossimità della realizzazione dell’atto.

7) REVOCABILEIl paziente può revocare il consenso in qualsiasi momento, anche nell’immediatezza del-

la procedura sanitaria che si sta ponendo in essere. Si dovrà precisare che in caso di rifiuto al trattamento sarà comunque assicurata la continuità dell’assistenza personale e delle cure di tipo palliativo o complementare.

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2.2 Modalita’ di acquisizione del consenso informato

QUANDO: TEMPI di acquisizione del consenso informato

Per poter esprimere un consenso realmente valido deve essere garantito al paziente un periodo di tempo sufficiente e un ambiente tranquillo nel quale ri-flettere sul contenuto informativo ricevuto ed eventualmente sottoporlo all’at-tenzione di un medico di sua fiducia.Il tempo necessario per maturare un consenso informato varia in relazione alla

prestazione prospettata (modalità di svolgimento, preparazione, effetti colla-terali, complicanze, possibilità di procedure alternative, ecc.) e alle caratteri-stiche del paziente (cliniche, psicologiche, culturali, funzionali, ecc.).La pratica clinica, in molti casi, consente di rispondere alle esigenze del pa-

ziente modulando la tempistica di informazione e acquisizione del consenso: ad esempio in caso di interventi chirurgici in elezione il modulo del consenso può essere consegnato al paziente al momento della visita ambulatoriale per essere ridiscusso e sottoscritto al momento del pre-ricovero.

RESPONSABILITÁ: CHI deve acquisire il consenso informato

Il dovere di raccogliere il consenso/dissenso del paziente con le modalità di seguito specificate è del professionista della salute che abbia formulato l’indi-cazione all’attività diagnostica e/o terapeutica ma anche in taluni casi (ad es. esami radiologici, di medicina nucleare, di neuroradiologia, endoscopici, etc.) di altro operatore sanitario, limitatamente agli atti e alle informazioni di sua specifica competenza. In particolare nel caso di procedure eseguite in collabo-razione tra Unità Operative, al pari della pratica clinica anche l’approccio alla pratica di informazione dovrà essere sviluppato in termini di équipe. Ci saranno aree di informazioni condivise (ad esempio indicazione all’esecuzione) ed aree separate in funzione delle specifiche competenze. In generale, si raccomanda che l’esecutore della prestazione, se persona di-

versa da chi ha fornito l’informazione, si assicuri che l’atto sanitario oggetto del consenso corrisponda all’atto che si sta per eseguire, l’informazione sull’atto sia stata effettivamente data e compresa, in caso contrario si renda disponibile ai chiarimenti necessari.

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FORMA DEL CONSENSO: COME deve essere acquisito il consenso informato

Il processo informativo deve essere modulato sull’esigenza di sapere del paziente, pre-vedendo tempi e luoghi adeguati, modalità di linguaggio appropriato, gradualità delle notizie, tenendo conto delle persone che il paziente intende rendere partecipi della sua situazione.L’obiettivo è quello di creare con il paziente le condizioni per una sua decisione condivisa

e una sua partecipazione consapevole agli atti clinici che gli si propongono.È sempre necessario dare dimostrazione documentale dell’avvenuta informazione, indi-

pendentemente dall’acquisizione del consenso in forma scritta. In questo senso, si racco-manda di registrare in cartella clinica il momento dell’informazione come atto sanitario.L’informazione scritta è integrativa e mai sostitutiva del colloquio medico-paziente.Il consenso informato va espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge (Tabella 1).

Tuttavia l’esigenza di documentare il percorso/processo informativo realizzato ha fatto sì che per tutti quegli atti sanitari invasivi, comportanti rischio e per cui si danno alternati-ve si consolidasse la pratica di acquisizione in forma scritta dell’espressione di consenso: tanto che ad oggi una cartella clinica priva di tale elemento documentale è ritenuta ca-rente. Il consenso redatto e sottoscritto dal paziente e dal professionista, deve essere allegato

e conservato all’interno della documentazione clinica, di cui diviene parte integrante, e in copia consegnato al paziente stesso.

Tabella 1

PRESTAZIONI NORMA RIFERIMENTO AL CONSENSO

EMOTRASFUSIONI - Legge 04..05.1990 n. 107 - D.M. Sanità 25.01.2001 modalità per la donazione di

sangue (GU 03.04.01 n. 78)

- D.M. Sanità 26.01.2001 idoneità per la donazione di sangue (GU 03.04.01 n. 78)

- Legge 06.03.2001 n. 52 donazione di midollo

- Legge 21.10.2005 n. 219 nuova disciplina delle attività

trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati

Art 3 Art. 12 ricevente

Art. 10 donatore

Art. 4 richiama le norme della trasfusione di sangue, l. 107/90

ACCERTAMENTO DIAGNOSTICO HIV

- Legge 05.06.1990 n. 135 Art. 5

DONAZIONE DI TESSUTI E DI ORGANI TRA VIVENTI

- Legge 26.06.1967 n. 458 - Trapianti di rene

- Legge 16.12.1999 n. 483 - Trapianto parziale di fegato

Art. 2 donatore e art. 4 ricevente

Art. 1 richiama le norme l. 458/67 PRELIEVO E INNESTO DI CORNEA

- Legge 12.08.1993 n. 301 Art. 1

PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA

- Legge 19.02.2004 n. 40

- D.M. Salute 21.07.2004 (GU 16.08.2004 n. 191)

Art. 6

Interruzione Volontaria di Gravidanza

- Legge 22.05.1978 n. 194 Art. 5 Art. 12 minore di anni 18

IMPIEGO DI RADIAZIONI IONIZZANTI

- D.Lgs 26.05.2000 n. 187 Art. 5 comma 6

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SEZIONE 3Stili e linguaggi

Fra le indicazioni per una buona pratica dell’informazione al consenso, ve ne sono alcune che riguardano specificamente le scelte di stile e di linguaggio, elementi importanti per la fruibilità dell’informazione e dunque cruciali per mettere il paziente in condizione di compiere una scelta libera e consapevole. Si può dire, dunque, che una buona pratica dell’informazione al consenso è qualificata in misura non secondaria dalle modalità comunicative con cui la si mette in atto.Il modulo di consenso, che della pratica costituisce uno strumento fondamen-

tale, si caratterizza non solo per gli elementi identificativi, i contenuti informa-tivi e la struttura del documento, ma anche per il modo in cui le informazioni vengono espresse, comunicate e spiegate al paziente/interlocutore. Il testo scritto utilizzato nella modulistica non è facilmente adattabile alle specificità di ogni interlocutore, per questo deve limitarsi a fornire in modo chiaro, ordi-nato ed essenziale i contenuti più rilevanti, allo scopo di lasciare una traccia trasparente e identificabile di un processo comunicativo che passa in primo luogo per il dialogo faccia a faccia. Il colloquio fra professionista e paziente è, infatti, nella maggior parte dei

casi, l’elemento decisivo per la costruzione di una relazione informata. Nella comunicazione orale viene spesso trasmessa gradualmente la maggior parte dell’informazione, lungo un arco di tempo che può eccedere anche di molto il singolo colloquio finalizzato alla compilazione del modulo di consenso. Nel dialogo fra professionista e paziente si ha spesso una maggiore possibilità di adattamento e personalizzazione dei linguaggi e degli stili su quelle che sono le concrete esigenze e capacità dell’interlocutore in quel dato momento del suo percorso di cura.Vi sono alcune buone pratiche nella scelta di stili e linguaggi per l’informazio-

ne al consenso che sono fondamentali sia nella stesura della modulistica, sia nel dialogo fra professionista e paziente. Così come, parallelamente, vi sono pratiche abituali che andrebbero ripensate criticamente. Infine, vale la pena menzionare alcuni “linguaggi di supporto” che possono utilmente affiancare quello verbale nel fornire un’informazione più intuitiva e sintetica.

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3.1 Stili e linguaggi: buone pratiche

• Utilizzare un linguaggio chiaro, ma non semplicistico.Il trattamento sanitario è un momento importante per il paziente, spesso gravido di rischi

e implicazioni. L’esigenza dunque è di poter comprendere chiaramente l’informazione ricevuta, ma non per via di banalizzazione dei contenuti. In questo senso, gli aspetti cli-nici più rilevanti riguardo alle condizioni di salute e alle cure proposte non vanno omessi, ma debbono essere illustrati in modo accessibile. Così, i termini scientifici, le sigle e le abbreviazioni dovrebbero essere sempre anticipati da una relativa spiegazione. In molti casi, infatti, si può procedere mettendo direttamente in primo piano il riferimento in lin-guaggio ordinario, posponendo o mettendo fra parentesi il termine scientifico.

• Offrire un quadro informativo esauriente.Non è possibile informare in modo esaustivo circa ogni aspetto ed implicazione dell’atto

clinico oggetto del consenso. Allo stesso tempo un accumulo eccessivo di informazioni può diventare un ostacolo alla comprensione. Tuttavia è importante evitare lacune e omissioni rilevanti, in particolare riguardo ad alcuni contenuti fondamentali, sviluppati nella sezio-ne 8, quali:- le condizioni di salute del paziente- la natura del trattamento- i rischi connessi- le conseguenze del trattamento sulla vita quotidiana- le alternative possibili

• Comunicare l’informazione tenendo conto dell’impatto emotivo che essa può susci-tare. Il quadro informativo deve essere esposto proponendo i contenuti più sensibili gradual-

mente, con un linguaggio esplicito ma che non atterrisca, ad esempio quando si mettono a tema possibili complicanze mortali e gravi danni permanenti. Lo scopo dell’informazione è quello di rendere l’interlocutore consapevole, dunque è importante garantire che questi arrivi ad acquisire tutti i contenuti proposti e non solamente degli aspetti emotivamente più critici. Anteporre questi contenuti informativi agli altri o presentarli con un linguaggio troppo crudo o emotivamente carico può indurre nel paziente uno stato di grande ansia che impedisce di fatto l’assimilazione degli altri contenuti e dunque la costituzione di un quadro informativo condiviso completo.

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• Favorire l’interazione con il paziente.In una buona pratica informativa la comunicazione scorre in entrambi i sen-

si. Per professionalità e competenza, il professionista gioca un ruolo decisivo nell’offrire le informazioni sull’atto clinico in questione. D’altra parte, l’inte-razione da parte del paziente è di grande importanza, sia nel costruire insieme al medico un quadro più completo della situazione, sia nel consentire al pa-ziente stesso di formulare domande, indispensabili per la personalizzazione del percorso. Quando il paziente manifesta i propri dubbi e le proprie paure, pone domande ed esprime preferenze e opinioni, sta partecipando a un processo di informazione che non solo accresce la conoscenza condivisa ma lo rende più attivo rispetto a tutti i momenti della relazione di cura. Mostrare un’attitudine attenta nei confronti dei bisogni e delle paure del paziente, riservare un tempo congruo alla conversazione e chiedere esplicitamente al paziente di manife-stare dubbi e perplessità sono atteggiamenti del professionista molto utili per la costruzione di un dialogo fruttuoso. La sua eccellenza professionale passa anche dal mettere il paziente nelle condizioni di poter interagire, condividere la conoscenza, dialogare. In questo senso vanno le indicazioni istituzionali per la composizione della modulistica di Fondazione, che si dovrebbe strutturare per campi informativi intervallati da domande circa la comprensione specifi-ca, esplicitando la possibilità di chiedere ulteriori chiarimenti. Si tratta di un aspetto cruciale: il modulo di consenso e la scheda informativa adempiono pie-namente il proprio scopo se affiancano e supportano utilmente il professionista nel colloquio e se forniscono al paziente le informazioni cliniche di base che lo mettono in condizione di affrontare un dialogo in vista di una scelta informa-ta.

3.2 Stili e linguaggi: pratiche da evitare

• Non utilizzare stili e linguaggi intimidatori. In particolare, nel descrivere le conseguenze di un rifiuto del consenso all’at-

to sanitario, è importante che siano chiare le eventuali conseguenze negative di tale rifiuto sullo stato di salute, ma anche la garanzia della prosecuzione dell’assistenza e della cura al meglio delle possibilità.

• Non utilizzare stili e linguaggi colpevolizzanti.In particolare, nel momento in cui si informa riguardo ai rischi connessi alla

sua condotta post-operatoria o post-trattamento, è essenziale certamente es-

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sere chiari su quello che il paziente deve fare, sottolineando l’attenzione e la regolarità necessarie a un buon decorso. Tuttavia è importante che questo non si traduca in un mes-saggio minaccioso, e colpevolizzante, tale cioè da sovraccaricare il paziente di tutta la responsabilità per i possibili eventi avversi che potrebbero presentarsi.

• Non prediligere uno stile difensivo.L’informazione rivolta al paziente non deve essere intesa come uno strumento di tutela

del medico, ma come la base per costruire una relazione informata, all’interno di un qua-dro di indicazioni istituzionali condivise, una relazione che tutela tutte le parti in gioco. Stili e linguaggi informativi di carattere opaco e cautelativo sono fra gli aspetti più ricor-renti della medicina difensiva e come tali andrebbero evitati. Ad esempio, gli elenchi lunghissimi dei rischi, formulati con un linguaggio strettamente

tecnico, spesso non sono pertinenti, creano grande confusione nel lettore e non costitu-iscono comunque di per sé una garanzia rispetto a possibili futuri contenziosi. Le espres-sioni che richiamano l’atto di sollevare il medico dalle proprie responsabilità, come il termine “autorizzare”, andrebbero abbandonate in favore di altre che rimandino ad un processo di informazione e deliberazione condiviso, come “acconsentire” o “scegliere”.

3.3 Linguaggi di supporto

• Disegni, fotografie e video per la descrizione dei trattamenti.La descrizione dell’atto sanitario proposto può avvalersi utilmente, specie nei casi di

interventi particolarmente invasivi o demolitivi, o con soggetti con una capacità lingui-stica diversa o diminuita, del supporto di immagini e didascalie, allo scopo di rendere più intuitiva la comunicazione di operazioni anche complesse. Le schede informative sul trattamento, che è possibile allegare ai moduli di consenso veri e propri, sono spesso lo strumento più indicato ove fare ricorso a questa modalità illustrativa.

• Indicazioni quantitative nell’illustrazione delle probabilità di successo/insuccesso e di rischio/complicanza.Le indicazioni qualitative e verbali relativamente alle probabilità di successo e di rischio

connesse all’atto medico possono essere utili nel fornire un’indicazione in termini sem-plici e intuitivi. Tuttavia tale scelta apre facilmente a fraintendimenti anche gravi, per eccesso o per difetto, nella comprensione del paziente. Per questo motivo un’indicazione di carattere numerico è utile nel definire meglio il quadro all’interno del quale la scelta viene fatta. In particolare, una buona pratica consolidata è fornire indicazione dei rischi assoluti connessi all’esecuzione dell’atto sanitario, contestualizzati rispetto ai rischi con-

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nessi al decorso della malattia.

• Grafici per l’illustrazione delle probabilità di successo/insuccesso e di rischio/complicanza.L’indicazione numerica delle percentuali di successo e di rischio rappresenta

un ausilio importante per l’acquisizione di un’informazione qualificata e pre-cisa da parte del paziente. Non sempre tuttavia tale indicazione è di per sé sufficiente, specie in presenza di una molteplicità di dati in gioco: può essere di aiuto il ricorso a grafici che rappresentino in modo visivo e sintetico le diverse variabili in gioco.

SEZIONE 4Orientamenti specifici

Premessa

La questione della capacità individuale di esprimere validamente un consenso in ambito sanitario è di grande complessità.Sotto il profilo giuridico si presume che un soggetto maggiore di età e non

interdetto sia capace di esprimere validamente il consenso e che al contrario un minore di anni diciotto o un interdetto non lo sia. Si tratta della cosiddetta capacità di agire definita dall’articolo 2 del nostro codice civile come “l’atti-tudine a compiere manifestazioni di volontà che siano idonee a modificare la propria situazione giuridica”.Per la legge il consenso può essere dunque espresso da una persona maggio-

renne e deve essere la manifestazione di un atto di volontà attuale, spontaneo, esplicito e libero (ossia scevro da coazioni e suggestioni), e di un ragionamento non viziato da disturbi della percezione e del pensiero. Ciò comporta che, per definizione, in base alla legge, non possano essere ritenuti capaci di prestare un consenso valido alle cure i soggetti, interdetti, o minorenni e tutti coloro che anche transitoriamente non soddisfino i criteri di attribuzione di detta ca-pacità.Nei soggetti con Amministratore di Sostegno, l’atto di attribuzione definisce

per quali diritti sia necessario il parere dell’Amministratore e per quali sia tito-lare direttamente il soggetto, incluso il diritto alle scelte di salute.La pratica clinica tuttavia pone di fronte ad una realtà ben più articolata dove

concretamente ci si confronta con la capacità di autodeterminazione (capacità

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naturale) che si manifesta in gradi differenti in rapporto alle facoltà psichiche del sogget-to.Questo comporta che nella propria pratica il professionista è chiamato a riconoscere

l’idoneità del paziente ad esprimere un valido consenso, deve attingere contemporane-amente alle nozioni di capacità di agire e capacità naturale: proprio in questo contesto sorge il concetto specifico di competenza al consenso. La competenza non può essere ritenuta una funzione binaria del tipo tutto-o-nulla ma si

presenta in qualità e gradi continui. Ciò comporta inevitabilmente notevoli criticità per la sua determinazione sul piano clinico.Tali criticità appaiono poi accresciute, sia dal lato del paziente che da quello degli opera-

tori sanitari, nei casi in cui la condizione clinica interroghi il paziente in merito a opzioni gravose, che attengono apertamente alla vita o alla morte, o possano comportare gravi menomazioni fisiche. La misura in cui gli operatori sanitari sono in grado di gestire la complessità di tale pro-

cesso costituisce un vero e proprio atto clinico che integra e qualifica in modo cruciale la relazione medico-paziente. Nonostante ogni paziente adulto chiamato a prestare il consenso sia da ritenersi capace

fino a prova contraria, gli Operatori sanitari si trovano dunque a fronteggiare il problema della competenza al consenso almeno in due diverse tipologie di situazioni cliniche:1. Un adulto che rifiuta delle cure salvavita proposte2. Il soggetto cosiddetto vulnerabile come il minorenne ed in alcuni casi il paziente ge-

riatrico o il paziente psichiatrico.Il soggetto è competente al consenso se:- È informabile cioè in grado di ricevere informazioni- È in grado di comprendere e ricordare le informazioni importanti per le decisioni

in questione. - È in grado di porre tali informazioni in relazione a se stesso (sia sul piano cognitivo che

affettivo), ragionare su di esse e soppesare le possibili alternative.- È in grado di aderire con coerenza alla propria scelta.Quindi il fatto che un paziente sia affetto da una patologia clinica non interferisce di

per sé sulla sua competenza. Anche se non si può escludere che un’eventuale disabilità cognitiva sia collegata al suo stato patologico: questa dovrà essere verificata circostanzia-tamente caso per caso.Il soggetto competente è in grado di compiere scelte, volte a perseguire una propria idea

di benessere, coerenti con il proprio sistema di valori. Il rispetto dell’autonomia, della libertà e dell’autorità del soggetto a prendere decisioni per la propria salute, costituisce il principio guida della pratica nel campo del consenso.

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L’ambito clinico di lavoro con i soggetti vulnerabili sopra indicati costituisce un dominio in cui “competenza” e “capacità” del soggetto assumono caratteri e qualità “particolari”, che sollevano criticità pratiche e teoriche specifiche.L’approccio clinico inoltre deve qui tenere conto di orientamenti normativi e

giuridici specificamente dedicati, che spesso si intersecano con codici deonto-logici e principi etici non di rado tra loro in contrasto.

4.1 Buona pratica del consenso con il minore e il minore maturo

In base alla Legge, ad eccezione dei limitati ambiti in cui è stabilito che un minore di 18 anni può accedere liberamente alle cure senza la presenza dei genitori - malattie sessualmente trasmissibili (art. 4, L. n. 837/1956); procrea-zione responsabile (art. 2 L. n. 194/1978); interruzione di gravidanza, quando il giudice tutelare abbia autorizzato la minorenne a prescindere dal consenso dei genitori o del tutore (art. 12, L. n. 194/1978); uso personale non terapeutico di sostanze stupefacenti (art. 120, dPR n. 309/1990); ipotesi di effettivi o presunti abusi sessuali e violenze fisiche - il medico non è tenuto a ottenere il consenso del minore per atti sanitari che lo riguardano. Tuttavia tale orientamento è in contrasto con quanto ormai largamente acqui-

sito sia nell’ambito delle dichiarazioni dei Diritti dei minori a livello interna-zionale (in particolare la Convenzione di New York e la Carta dei Diritti Fonda-mentali dell’Unione Europea, proclamata formalmente a Nizza nel dicembre 2000) che nei codici deontologici degli Ordini Professionali in campo sanitario (medici, psicologici, infermieri) ove, seppure con richiami non di rado troppo generici, si ribadisce la necessità di ascoltare la volontà del minore. Dunque il medico è deontologicamente tenuto a informare il minore e, ove

possibile, a tenere conto dei suoi orientamenti (assenso/dissenso) rispetto alle cure.Per tali ragioni la pratica del consenso in ambito pediatrico presenta alcuni

punti critici:

1. Il consenso è prestato da una persona terza che non decide per sé. Colui che esprime il consenso lo fa “nell’interesse” di una terza persona (il

figlio/a). La malattia del bambino esiste in ambito sanitario come un fatto me-diato dal genitore il quale la spiega, la racconta al medico, ne indica l’evoluzio-ne storica contribuendo a fornire un vertice osservativo della natura e del grado di “sofferenza” che la patologia comporta per il bambino e per la famiglia.

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2. E’ necessario ottenere il consenso di entrambi i genitori per gli “interventi di par-ticolare rilievo”.Qualora uno di essi sia assente per lontananza, impedimento o incapacità, la decisione

potrà essere assunta dall’altro ma dovrà essere fornita la prova che l’altro genitore sia effettivamente lontano, impedito o incapace. Nell’ipotesi di disaccordo tra genitori sul trattamento più opportuno per il figlio, la decisione è rimessa al giudice e, pertanto, il medico non può procedere all’erogazione dell’atto sanitario fino alla decisione di questi, fatti salvi i casi in cui la Legge stabilisce la liceità dell’Atto medico in assenza di consenso (vedi...). Se, invece, ad opporsi, siano entrambi i genitori e il medico ritenga l’intervento indispensabile, questi dovrà segnalarlo alla Procura della Repubblica per i Minorenni.

3. Minore maturo:L’acquisizione dell’assenso del minore maturo è un dovere del professionista sul piano

deontologico. In questo quadro si evidenziano alcuni aspetti critici:

a. Non esiste ad oggi una definizione condivisa di “minore maturo”: tuttavia si concorda che dai 10-12 anni (in base al livello di sviluppo) il bambino acquisisce gradualmente una capacità di discernimento e consolida la propria personalità. Il sanitario è conseguente-mente tenuto a coinvolgere direttamente il minore nelle scelte che lo riguardano, regi-strandone il grado percepito di comprensione e il tipo di disposizione all’atto indicato (assenso-dissenso).

b. Non esistono ad oggi pratiche condivise di acquisizione dell’assenso del “minore ma-turo”.c. In ogni caso, affinché il consenso sia valido, è necessario che esso sia manifestato da

una persona competente: la determinazione della competenza rimanda al più generale problema della competenza dei soggetti deboli.

4. Minore non maturo: Anche se non maturo il minore ha diritto ad essere informato sulle cure e i trattamenti

che, sulla base del consenso espresso dai genitori, verranno attuati sulla sua persona. Ciò comporta che il personale sanitario attivi strategie di comunicazione che siano adeguate alle esigenze informative del minore per ogni specifica fase evolutiva: • Fino ai 5-7 anni (in base al livello di sviluppo): il bambino dispone di limitate capaci-

tà di progettazione e comprensione dei nessi di causa-effetto: le comunicazioni medico paziente dovrebbero perciò almeno essere rivolte a spiegare al bambino ciò che sta per

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accadere; “l’assenso del paziente presuppone qui con la “comprensione” di quanto accade nel “qui ed ora” dell’interazione medico paziente. • Dai 5-7 ai 10-12 (in base al livello di sviluppo): il bambino acquisisce progres-

sive capacità di comprendere il nesso tra le scelte compiute e ciò che accadrà, e inizia a possedere una propria idea concreta di “salute e benessere”. Il sanitario è tenuto perciò a fornire comunicazione completa e in forma “aperta” (ossia che includa, ove possibile, uno spettro di alternative) dell’atto o percorso medico in corso, coinvolgendo il minore nel percorso di assenso, soprattutto con l’aiuto della famiglia e l’eventuale utilizzo di mezzi ausiliari di comunicazione.

5. Coinvolgimento diretto dell’intero nucleo familiare (genitori/tutori e fi-glio) nell’acquisizione del consenso.

Date queste aree di criticità è necessario che la pratica dell’acquisizione del consenso in ambito pediatrico recepisca alcune indicazioni pragmatiche:a. L’acquisizione del consenso si articola in momenti distinti che coinvolgono

tutti gli “attori” in causa (genitori e bambino): il coinvolgimento del minore è, almeno sopra i 5-7 anni, una pratica a cui l’operatore sanitario è tenuto per doveri deontologici.b Ciò comporta che l’acquisizione del consenso avvenga ad opera di personale

adeguatamente formato a comunicare con genitori e bambini.c. L’informazione deve essere fornita adeguando gli stili, le modalità e i conte-

nuti alle capacità dell’altro di poter comprendere i messaggi forniti e le richie-ste formulate. In età pediatrica ciò può, per esempio, avvenire anche per mez-zo di supporti grafici e audiovisivi, come anticipato nella precedente sezione.d. Nel caso del minore maturo competente a esprimere il consenso/dissenso

sarà necessario, che il personale sanitario dedicato disponga di strumenti ido-nei all’acquisizione scritta del grado di assenso/dissenso rispetto alle cure, a integrazione del modulo del consenso somministrato ai genitori.

4.2 Buona Pratica del consenso con il paziente anziano

Durante il ricovero ospedaliero di una persona anziana, il principale obiettivo è quello di creare fra il medico e il paziente una relazione di reciproca fiducia basata sul chiarimento degli obiettivi da raggiungere per trasformare la pratica del consenso, tradizionalmente sbrigativa e burocratica, in una condivisione consapevole di azioni che tutelano la salute.

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All’ingresso in reparto, il paziente viene accolto dal medico che chiarisce il significato generale delle cure in un colloquio preliminare. In seguito, durante la degenza, ogni ulte-riore procedura sarà singolarmente illustrata per acquisire uno specifico consenso spiegan-do la necessità, gli eventuali rischi connessi e le alternative disponibili.Tali colloqui devono avvenire in un ambiente adeguato, possibilmente in presenza dei

familiari che potranno sempre chiedere informazioni e stare vicini al paziente durante la giornata; il linguaggio sarà comprensibile ed esplicito, in atteggiamento empatico, per alimentare il rapporto di fiducia nel quale si svolge la cura.Il medico deve farsi un’idea della capacità del paziente di autodeterminarsi nell’ambito

della salute saggiando la sua abilità nel capire le informazioni rilevanti, nel comunicare una decisione, nel comprendere le conseguenze mediche di una situazione e nel ragionare sulle scelte.Se queste capacità risultano sufficienti, il modulo di consenso viene sottoscritto da en-

trambi e poi conservato nella cartella clinica.Dobbiamo tenere presente che una persona, specialmente se anziana, può essere inca-

pace di prendere le proprie decisioni (di esprimere consenso o dissenso) per molte cause: decadimenti cognitivi, disturbi psichiatrici, stati confusionali acuti da malattie somatiche, sedazione, ansietà. Si tratta di fattori che possono concorrere fra loro e fluttuare nel tem-po, e rendere un paziente inabile solo in alcuni specifici campi ma non uniformemente incapace in tutte le sue facoltà. In questi casi l’acquisizione di un consenso manifesto diventa problematica, anche se

rispetto alla pratica ordinaria, rafforzando la relazione e la comunicazione con le persone di riferimento del paziente incapace, il professionista lo assisterà in maniera appropriata orientando la cura secondo quanto avrebbe presumibilmente richiesto il paziente stesso. Qualora invece per una pratica invasiva, rischiosa o di forte impatto sulla qualità della vita del paziente, come per esempio il trasferimento ad un’altra struttura, si necessiti di un consenso esplicito, il professionista dovrà premurarsi di verificare se è stato nominato un tutore legale o un amministratore di sostegno.Ricordiamo infatti che nessuna persona che non sia legalmente riconosciuta come tutore

o amministratore ha alcun potere decisionale sostitutivo.

4.3 Buona Pratica del consenso con il paziente in stato d’incoscienza o in situazione d’urgenza/emergenza

Informare e acquisire un consenso valido nelle situazioni cliniche di urgenza ed emergen-za, è una pratica complessa per almeno due distinti fattori caratterizzanti:- La ristrettezza del tempo disponibile e l’esigenza clinica di provvedere con rapidità

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all’impostazione delle cure necessarie;- L’alterazione della competenza emotiva del paziente correlata alla compro-

missione del suo stato di salute e alla relativa preoccupazione.Lo stato di incoscienza del paziente pone la problematica, immediatamente

evidente, dell’impossibilità per chiunque di acquisire l’espressione di volontà del paziente.Le due condizioni, urgenza/emergenza da un lato, e stato di incoscienza

dall’altro, vengono poi frequentemente a sovrapporsi, dando luogo ad una se-rie di evenienze cliniche complesse, che richiedono modalità di approccio e soluzioni differenti.L’impostazione giurisprudenziale e dottrinaria tradizionale è ancorata al det-

tato dell’articolo 54 del codice penale (“Stato di necessità”) secondo cui il medico è tenuto ad intervenire anche senza l’acquisizione del consenso se la persona non è in grado di esprimere la propria volontà rispetto a prestazioni sanitarie ritenute indifferibili. Tale impostazione trova sostanziale conferma, sebbene con declinazioni diffe-

renti, nel dettato sia della Convenzione di Oviedo (art. 8 Situazioni d’urgenza “… si potrà procedere …”) sia del Codice Deontologico Medico (art. 36 Assisten-za d’urgenza “… il medico deve attivarsi …”). L’art. 36 CDM prevede infatti che “allorché sussistano condizioni di urgenza

e in caso di pericolo per la vita di una persona, che non possa esprimere, al momento, volontà contraria, il medico deve prestare l’assistenza e le cure in-dispensabili.”In tal caso il medico potrà compiere esclusivamente gli atti necessari e non

differibili, documentando la sussistenza delle condizioni di pericolo che li han-no giustificati.Superato lo stato di necessità, per le successive prestazioni sanitarie, occorre

acquisire il consenso del paziente.Ferma restando questa regola generale di condotta, parallelamente alla rein-

terpretazione del rapporto fra medico e paziente e all’assunzione di un ruolo di primo piano del consenso alle cure, si è, tuttavia, osservata una progressiva restrizione dell’ambito di operatività dell’articolo 54 c.p.Dopo aver chiarito che per il configurarsi dello “stato di necessità” deve ricor-

rere un pericolo attuale, cioè imminente e in atto al momento dell’azione, ed inevitabile, in quanto non eliminabile con diversa condotta, espressioni di dirit-to recente hanno, infatti, ritenuto di precisare che l’art. 54 c.p. non prevede in capo al medico un obbligo di attivarsi in “stato di necessità” ma, piuttosto,

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gli riconosce la facoltà di intervenire rendendo non punibile quell’atto che, praticato in assenza di preventivo consenso del paziente, sarebbe altrimenti illecito.Pare opportuno ribadire che, al contrario, il codice deontologico prevede espressamente

l’obbligo di intervenire anche in assenza del consenso dell’interessato che versi in stato di incapacità a manifestare la propria volontà, qualora il trattamento rivesta caratteri di improcrastinabile necessità o vi sia pericolo della vita (art. 36). Il tema è stato reso ancora più complesso in relazione all’emersa, e in larga parte con-

divisa, necessità di considerare le volontà espresse dal paziente in fase antecedente alla compromissione dello stato di coscienza. In merito, i dettati della Convenzione di Oviedo e del Codice Deontologico Medico pre-

vedono, rispettivamente, che “I desideri precedentemente espressi a proposito di un in-tervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione” (art.9 Desideri precedente-mente espressi), “Allorché sussistano condizioni d’urgenza, tenendo conto delle volontà della persona se espresse, il medico …” (art. 36 Assistenza d’urgenza) e “… In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conse-guenti atti diagnostici e/o curativi …” (art. 35 Acquisizione del consenso). Tali documenti affermano dunque l’obbligo di tenere in considerazione le volontà espres-

se dal paziente anche in fase precedente al realizzarsi dello stato di necessità, senza tut-tavia fornire chiare indicazioni circa il valore vincolante delle stesse rispetto all’operato medico. Vi è quindi da osservare che, relativamente alla regolamentazione dell’operato medico

in tale ambito si è ad oggi in una fase di transizione: allo stato attuale, si attende, infatti, che venga dato seguito al decreto attuativo della convenzione di Oviedo e che venga di-scusso il progetto di legge relativo alle dichiarazioni/direttive anticipate.Operativamente, in assenza di una chiara linea giuridica in materia, si riassumono di se-

guito le raccomandazioni, per necessità generiche, più sopra fornite circa la condotta da assumere in funzione della ipotesi clinica di presentazione:

CONDIZIONI CLINICHE DI

URGENZA/EMERGENZA

ALTRE CONDIZIONI CLINICHE

PAZIENTE

INCOSCIENTE

intervenire limitandosi al

trattamento delle sole condizioni

che mettono in pericolo il

paziente

1. attendere la ripresa dello stato di

coscienza attuando procedure

conservative;

2. attivare procedure giudiziali per la

nomina del rappresentante legale

PAZIENTE

COSCIENTE

intervenire solo con il consenso

del paziente

intervenire solo con il consenso del

paziente

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SEZIONE 5Trasversalità

Esistono molte pratiche comuni così come molti atti clinici che si danno in collaborazione fra Unità Operative. Gli strumenti di acquisizione del consenso dovranno di conseguenza svilupparsi a partire da un lavoro di équipe ed essere pensati in vista di un uso trasversale, per contribuire sia alla coerenza che alla semplificazione dei processi informativi. Sono particolarmente emblematici, e possono quindi costituirsi a modello, quei consensi che rientrano nell’ambito dell’obbligatorietà o che riguardano le attività della maggior parte delle Unità Operative.Poiché la nostra Fondazione è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scien-

tifico si è considerato pilota il percorso innovativo e peculiare del:

Consenso informato alla raccolta, conservazione e utilizzo di ma-teriali biologici umani per finalità di ricerca.

Il consenso informato alla raccolta e conservazione (o stoccaggio) di materiali biologici di origine umana (quali, ad esempio, tessuti, cellule, sostanze intra-cellulari) per finalità di ricerca negli ultimi cinque anni è venuto assumendo un ruolo di centrale importanza nel panorama bioetico e biogiuridico interna-zionale, europeo e nazionale, in corrispondenza con gli sviluppi della biologia molecolare legati al completamento della cifratura del DNA umano.Il raggiungimento di tale traguardo ha, infatti, aperto nuove e significative

frontiere alla ricerca biomedica e biotecnologica e favorito, in conseguenza, il fiorire di banche di materiali biologici di origine umana – denominate comune-mente bio-banche – per la raccolta e conservazione di campioni da utilizzare per finalità di ricerca specificamente definite al tempo della raccolta dei mate-riali biologici o da definire nel corso degli anni, in corrispondenza degli avanza-menti della ricerca scientifica.Uno degli elementi che più ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, il

consenso informato alla raccolta, conservazione e utilizzo dei campioni biologici umani per ricerca – comunemente denominato nei paesi di lingua anglosassone Informed consent for biobanking research o Biobank informed consent e vero-similmente traducibile in italiano con l’espressione “consenso informato ad uso delle biobanche” – è stato, ed è tuttora, l’accelerazione con cui il problema etico e giuridico di tale consenso è stato affrontato sia in sede teorica che pratica.

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Se, infatti, la riflessione etica e giuridica sul consenso informato “tradizionale” (intenden-do, con “tradizionale”, il consenso alla cura e alla sperimentazione) ha richiesto molti anni di evoluzione teorica e di applicazione pratica, il consenso informato alla ricerca con uso di campioni biologici umani ha avuto una vera e propria esplosione nelle sedi parlamentari (diversi paesi dell’Europa ed extra-europei hanno promulgato leggi ad hoc che regolano il biobank informed consent), nei contesti accademici (molte università straniere hanno de-finito modelli propri di consenso informato per la ricerca con materiali biologici di origine umana), nelle organizzazioni e associazioni per la promozione e la tutela della salute (ad esempio, l’Organizzazione Mondiale della Sanità), negli ospedali (comitati di etica e comi-tati di ricerca hanno predisposto modelli propri di consenso ad uso delle biobanche), nelle conferenze per addetti ai lavori come nei dibattiti aperti alla cittadinanza.Tale fenomeno, che, al momento, riguarda la realtà italiana solo in misura marginale, nel

contesto europeo e internazionale ha segnato un distacco netto tra le tipologie di consen-so informato in uso e favorito il delinearsi di un’area tematica e problematica specifica.Gli studi con uso di materiali biologici raccolti in sede clinica (diagnostica e/o terapeuti-

ca) e/o di ricerca (materiali che residuano a progetti di ricerca conclusi) mette in discus-sione, in molti casi, i principi di attualità e specificità dell’informazione, generalmente ritenuti presupposti imprescindibili per il riconoscimento della legittimità etica e giuridica del consenso informato “tradizionale” all’atto clinico (trattamento diagnostico, tratta-mento terapeutico, intervento chirurgico, altro).Nella maggior parte dei casi, infatti, la raccolta dei campioni biologici viene effettuata

in vista del compimento di studi di ricerca che diventeranno sufficientemente conoscibili in un futuro non precisamente definito, in stretta correlazione con gli avanzamenti della medicina, della biologia, della biotecnologia.Se tali considerazioni valgono per la ricerca prospettica con uso di materiali biologici

umani, altro discorso riguarda la ricerca retrospettiva con uso di campioni biologici umani generalmente acquisiti in contesti di diagnosi (si pensi ad esempio alle biopsie, ma anche ai comuni prelievi di sangue che si fanno nei laboratori ospedalieri) e di terapia (interventi chirurgici). Rispetto a tali campioni, la prassi largamente invalsa, in contesto nazionale come sopra-

nazionale, è stata ad oggi quella di mettere in banca (bancare) – generalmente in piccole banche, create all’interno di ciascuna unità operativa o laboratorio – tali materiali resi-duali a trattamenti diagnostici e/o terapeutici senza prestare alcuna informazione e senza chiedere alcun consenso ai soggetti interessati. Per far fronte a tale problematica all’interno della nostra Fondazione, con un lavoro di

gruppo tra ricercatori medici e biologi e lo staff della Biobanca Italiana, coordinati da un bio-giurista, si è arrivati alla costruzione e approvazione di un modello condiviso di con-

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senso informato alla raccolta e conservazione di materiali biologici umani per finalità di ricerca rispondente allo standard del consenso parzialmente ristret-to, promosso dal Comitato Nazionale di Bioetica e previsto fra i modelli sugge-riti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, oltre che da altre associazioni e organizzazioni europee ed internazionali del settore.Il richiamo al tipo di modello adottato è importante perché si è scelto di ap-

plicare tale modello di consenso informato all’interno di una rosa di standard internazionali varia, che va dal consenso presunto, al consenso specifico.Si tratta di un altro aspetto del quale tenere conto nella costruzione di una

buona pratica dell’informazione al consenso per le biobanche: attualmente non c’è nella letteratura e nel diritto internazionale, europeo e nazionale un mo-dello condiviso o prevalente di biobanking informed consent. Come prima accennato, la scelta condivisa dal gruppo degli “Utenti della Bio-

banca Italiana” (c.d. I-BUG: Italian Biobank User Group) è stata quella di adot-tare un modello di informazione e consenso che fosse il più possibile rispondente ai criteri di specificità dell’informazione da dare e del consenso da ottenere.

SEZIONE 6Validazione dei processi e dei percorsi informativi

Nella prospettiva complessiva del consenso informato inteso come buona pra-tica, anche l’ideazione, la stesura e l’aggiornamento della documentazione scritta per il consenso non può essere ridotta a una sola procedura burocratica, ma deve essere pensata in funzione della pratica stessa, in sinergia con i suoi tempi, le sue esigenze, i suoi attori. Per questo alle Unità Operative della Fon-dazione viene proposto un percorso di elaborazione della propria modulistica per il consenso informato inteso come strumento di buona pratica.Il primo passo di questo percorso è la produzione di un consenso prototipo su

di un atto clinico considerato particolarmente frequente o significativo. La co-struzione del prototipo, che intende essere esemplare e formativa, rispecchia la logica del coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti nella pratica di cui il consenso è strumento e dunque comporta un lavoro comune fra pazienti, pro-fessionisti della salute e Fondazione. L’Istituzione propone il format compila-bile come struttura essenziale per i nuovi moduli di consenso, identificando gli elementi informativi ed identificativi minimi esposti nella sezione precedente. I professionisti sono invitati ad applicare il format alla propria pratica, e in que-sto modo lo mettono anche alla prova, inviando poi, oltre al primo prototipo,

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anche una serie di osservazioni e suggerimenti che contribuiscono alla continua evoluzione e al miglioramento del format stesso. Alcuni pazienti, genitori, volontari e cittadini par-tecipano poi ad un incontro-laboratorio, allo stesso tavolo con professionisti e rappresen-tanti del Nucleo, per portare a conclusione insieme la stesura del prototipo, attraverso un confronto su logiche, stili e linguaggi utilizzati che tengano in prioritaria considerazione le esigenze dei pazienti e dei cittadini come destinatari dell’informazione. Con il laborato-rio si compie una prima fase di validazione dello strumento, attraverso la sua costruzione condivisa con tutti gli attori in gioco nella pratica.Il prototipo rivisto e il report del laboratorio sono i materiali che passano poi alla seconda

validazione, effettuata dal Nucleo permanente per la Valutazione e l’Aggiornamento del Consenso Informato. La validazione del Nucleo avviene in prima battuta su base individua-le da parte dei membri e degli esperti nominati, sulla base di criteri comuni e condivisi, con approccio multidisciplinare. Le valutazioni dei singoli membri confluiscono poi in una relazione orientativa che viene approvata collegialmente ed inviata alle Unità Operati-ve.La versione finale del prototipo, la relazione orientativa e lo stesso percorso di costruzio-

ne e validazione compiuto, con la sua valenza costruttiva e formativa, pongono le premes-se per procedere al rinnovamento di tutta la restante documentazione per l’informazione al consenso come strumento di buona pratica. Attraverso il sito del Nucleo per il Consen-so Informato (http://www.formazione.eu.com, scegliere nucleo consenso informato dal menu), le Unità Operative possono inviare tutta la documentazione al Nucleo stesso e seguire lo stato di avanzamento della validazione/valutazione.

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APPENDICEIndicazioni istituzionali per la stesura della modulistica

A.1. Indicazioni istituzionali per la stesura della modulistica

E’ difficile parlare del contenuto di un modulo di consenso, quando rappresenta di fatto la sintesi di un processo che spesso si articola nel tempo, che nasce dal dialogo tra il pro-fessionista e il paziente e come tale personalissimo e unico in sé.D’altra parte parlare di un modulo in Fondazione significa considerare alcune caratteri-

stiche che, a prescindere dallo scopo o dalla denominazione ufficiale utilizzata (scheda, report, format, ecc.), un modulo deve comunque possedere.Si tratta infatti di un documento che fornisce la registrazione (evidenza) dell’attività

svolta, indicando “quando”, “chi” ha fatto “cosa” e ne garantisce la rintracciabilità nel tempo.La registrazione delle informazioni in un modulo, la raccolta e sistematizzazione dei dati

registrati e la loro analisi costituiscono gli elementi che permettono di valutare l’anda-mento di un processo rispetto ad un obiettivo definito.Per questo la modulistica rappresenta, come indicato dalla norma internazionale ISO

9001:2000 (punto 4.2.4), un “tipo speciale di documenti”, che devono essere sempre leggibili, facilmente identificabili e rintracciabili. La gestione della modulistica è, essa stessa, un processo che deve prevedere l’identificazione, l’archiviazione, la protezione (nel caso contengano dati sensibili), la reperibilità, i tempi di conservazione e le modalità di eliminazione delle registrazioni prese in considerazione.La maggior parte di questi aspetti, parlando specificatamente di consenso informato,

sono prontamente soddisfatti, rientrando lo stesso tra la documentazione della cartella clinica, dove è illimitatamente conservato e pertanto rintracciabile in qualsiasi momento dal personale incaricato e come la cartella clinica è protetto da un utilizzo improprio.Rispetto invece ai contenuti specifici di un modulo inteso innanzitutto come strumento

di buona pratica informativa, il lavoro del progetto istituzionale Il consenso in corsia, (dal 14 dicembre 2007 obiettivo istituzionale) ha individuato dei criteri informativi condivisi a partire dall’interazione con i pazienti e le associazioni, dal confronto con i professionisti della salute, medici ed infermieri, e i servizi (incontri nelle Unità Operative) e tenen-do conto del dibattito bioetico e normativo internazionale come delle indicazioni vali-de a livello regionale (Manuale Standard Joint Commission International versione 3 del 17.09.04). Lo sviluppo del progetto ha evidenziato la necessità di tradurre questi criteri essenziali in due matrici principali per la stesura dei moduli per il consenso informato, una destinata al paziente adulto e l’altra al minore e all’incapace, intese come utile strumen-

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to a supporto della relazione fra professionista e paziente che vede nell’infor-mazione al consenso uno dei momenti più complessi e delicati.

A.2 - Il modulo di consenso informato:caratteristiche di contenuto

Elementi identificativi del documento

Un modulo per il consenso informato, come ogni documento della Fondazione, riporta nell’intestazione della prima pagina il logo ufficiale e gli elementi richie-sti dalla norma ISO 9001:2000 per una corretta gestione della documentazione secondo le regole adottate dall’Ente. In particolare deve essere specificato:a. Il codice identificabile attraverso:- la sigla del documento (M = modulo)- il numero progressivo di emissione del modulo all’interno dell’Unità Opera-

tiva (04 = modulo n°4)- il numero di centro di responsabilità o sigla identificativa dell’Unità Operati-

va che lo emette (es. 475 = cdr della Chirurgia Vascolare e dei Trapianti di Rene o CliLav = sigla identificativa della Clinica del Lavoro): es. M.04.475 oppure M.04.CliLavb. il titolo del consenso informato che specifica il trattamento sanitario a cui

si riferiscec. lo stato di revisione (= numero progressivo che progredisce ad ogni revisio-

ne, es. 01, 02, ecc.)d. la data di revisione, intesa la revisione correntee. il numero di pagine (pag. di pags.)f. l’iter di verifica e approvazione, sotto il profilo amministrativo.Nel caso dei consensi la verifica è in relazione con la validazione effettuata

dal Nucleo sul Consenso Informato e l’approvazione dal Responsabile dell’area organizzativa a cui il modulo si applica (es. UO, dipartimento, presidio, ecc.). Sull’originale cartaceo del consenso, conservato presso l’area organizzativa che lo applica, deve essere riportata la firma di chi ricopre queste funzioni.

Dal luglio 2008 l’iter di validazione passerà anche attraverso il sito del Nucleo per il Consenso Informato (http://www.formazione.eu.com, scegliere nucleo consenso informato dal menu) dove si registreranno tutti i documenti in versio-ne informatica. Terminato l’iter di validazione per i prototipi come per i moduli

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il consenso verrà archiviato e reso disponibile elettronicamente.

Elementi identificativi della pratica

• Unità OperativaLa matrice prevede che su ogni consenso informato compaia chiaramente l’Unità Opera-

tiva presso cui si eroga il trattamento sanitario per cui è richiesto il consenso, con i riferi-menti necessari a garantire l’orientamento del paziente, sia dal punto di vista dell’acces-so che dei contatti. In particolare deve essere indicato:- Padiglione, piano ed indirizzo per quanto attiene all’accessibilità-Telefoni (segreteria e reparto) ed indirizzi di posta elettronica per quanto attiene ai

contatti.

• Contatti responsabili e referentiPer lo stesso scopo devono essere identificati il responsabile dell’Unità Operativa e, a

seconda della pratica oggetto del consenso, altri professionisti dell’UO (es. Referenti di Area) attraverso i rispettivi:- nome e cognome- telefono- indirizzo di posta elettronica.

• Identificazione dell’atto clinicoSul modulo del consenso, inoltre, a chiare lettere e centrale rispetto al testo, deve es-

sere sempre riportato il titolo che identifica ulteriormente l’atto clinico che si propone, rispetto a cui il paziente eserciterà la sua scelta informata e la data di sottoscrizione del consenso.Il format permette di strutturare l’informazione secondo una logica esplicita e riconosci-

bile (dalle condizioni cliniche che motivano l’indicazione dell’atto clinico, alla descrizione della procedura proposta, inclusi i rischi e i benefici, per poi chiarire le alternative e le conseguenze di un rifiuto). Al tempo stesso ogni modulo andrà adattato alla specificità della pratica ed articolato prevedendo la personalizzazione dell’informazione.Il modulo a discrezione può essere a disposizione del professionista sia in forma cartacea che

informatica e una copia consegnata al paziente o a chi lo rappresenta.• Identificazione del paziente e del medico proponente/richiedente il consensoAl termine di una breve introduzione che pone l’accento sul diritto di ogni individuo a

ricevere un’informazione chiara e completa per esprimere una scelta consapevole, sono richiesti:

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- i dati del paziente (nome e cognome, data di nascita e sesso). Il nome e cognome del paziente verranno automaticamente riportati su ogni pagina del modulo di consenso- nel caso di minore o paziente incapace, il nome e cognome dei due genitori

e/o del tutore anticipano il nome del paziente- i dati (nome cognome) del medico proponente.

Elementi informativi

Gli elementi necessari per un’informazione completa al consenso, come quelli identificativi, sono gli stessi richiesti sia per il consenso di un individuo adulto, che per il consenso di un minore e di un incapace. Si tratta di otto aspetti, evi-denziati anche dagli standard JCI, legati al trattamento sanitario per il quale è richiesto il consenso e che permettono al paziente una visione globale e reali-stica di quanto avverrà nel corso del trattamento sanitario e successivamente allo stesso.Per ogni punto sono richiesti un momento di riflessione e di presa di coscien-

za da parte del paziente dell’informazione ricevuta, espressi attraverso una domanda sull’avvenuta comprensione di quanto esposto dal medico e letto sul modulo. Deve essere apposta una crocetta sul “SI” in caso affermativo o even-tualmente sul “Ho chiesto ulteriori chiarimenti”, che specifica, una volta di più, il diritto da parte del paziente di richiedere tutti i chiarimenti necessari.Gli argomenti che un’informazione al consenso esauriente deve trattare in

modo chiaro sono:1. Le condizioni cliniche per cui viene proposto il trattamento sanitario: si

tratta di informare in modo comprensibile e privo di tecnicismi sullo stato di salute che motiva il trattamento o il sospetto diagnostico per il quale si richiede l’accertamento. L’informazione deve essere mirata e personalizzata. 2. Le informazioni sul trattamento sanitario proposto: le informazioni riguar-

dano per esempio i tempi e i modi di esecuzione dell’atto clinico e le modalità tecniche che saranno adottate. La scheda informativa allegata al consenso deve essere segnalata attraverso l’apposizione di una crocetta nel campo specifico e conservata insieme all’originale cartaceo del consenso.3. I benefici attesi dall’esecuzione del trattamento sanitario: si tratta di chia-

rire i vantaggi che ci si attende dall’effettuazione del trattamento rispetto all’evoluzione della patologia o del sospetto di patologia.4. Le probabilità di successo o insuccesso del trattamento sanitario: devono

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essere presentate le probabilità di riuscita del trattamento sulla base di dati statistici riferiti sia all’Unità Operativa presso la quale viene effettuato, sia alla letteratura inter-nazionale (eventualmente con riferimenti bibliografici).5. I rischi derivabili dal trattamento sanitario proposto: tra i rischi particolare attenzione

deve essere posta sulle possibili complicanze, infezioni, reazioni avverse, eventi imprevi-sti collegati all’esecuzione dell’atto clinico, specificando di cosa si tratta e indicandone la frequenza sulla base di dati percentuali riferiti all’esperienza dell’Unità Operativa e al contesto fornito dalla letteratura (eventualmente con riferimenti bibliografici).6. Possibili conseguenze e problemi di recupero in seguito all’esecuzione del trattamento

sanitario: devono essere illustrati chiaramente i tempi di ricovero e i tempi di recupero previsti (es. stima dei giorni di convalescenza). Devono inoltre essere specificate le even-tuali disabilità temporanee o permanenti che conseguono all’esecuzione del trattamen-to, in generale cercando di fornire indicazioni sulle conseguenze che l’atto clinico può comportare sulla qualità e lo stile di vita del paziente (es. abitudini alimentari, attività sportive, attività sessuale, ecc.). Devono essere menzionati infine l’eventuale necessità di assistenza e supporto (care givers) successivi al trattamento.7. Possibili alternative al trattamento sanitario: si tratta di indicare le possibili alterna-

tive all’atto clinico proposto, illustrandone le differenze in termini di conseguenze, tempi di esecuzione, rischi connessi e benefici.8. Possibili conseguenze del mancato trattamento sanitario: si tratta di illustrare la na-

turale evoluzione della patologia, in caso di mancata esecuzione del trattamento, o le difficoltà diagnostiche conseguenti al mancato accertamento, mettendo in luce le riper-cussioni in termini di tempi, modi ed esiti nella continuazione del percorso di cura ed assistenza.

Dal lavoro con le Unità Operativa, è emersa l’opportunità di prevedere una sezione infor-mativa rivolta specificamente al minore maturo.

Dichiarazione del professionista L’illustrazione dei contenuti informativi è seguita dall’informazione della dichiarazione,

firmata e datata, del medico che si assume la responsabilità:- di aver informato nelle modalità esposte- di essersi accertato dell’avvenuta comprensione da parte del paziente- di aver risposto ad ogni eventuale domanda del paziente- di prendere atto della libera decisione di “consenso” o “non consenso” più avanti

espressa

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Firma informativa ed espressione del consenso

Come anticipato le principali matrici per il consenso informato predisposte sono due, in quanto specifiche rispettivamente l’una al paziente adulto e l’altra al paziente minore o incapace. I due moduli, identici negli elementi identificativi e di contenuto, si diffe-

renziano nella parte finale di raccolta ed apposizione della firma del paziente, tecnicamente un ulteriore elemento di identificazione.Le firme sono di due tipi: firma di ricevuta informazione e firma di espressio-

ne del consenso o del non consenso e nel caso di minore/incapace, le stesse devono coincidere con quelle del/i genitore/i o del tutore/amministratore di sostegno. In occasione dell’informazione rivolta a paziente straniero che si av-valga del supporto di un mediatore culturale è indispensabile che sia riportata in modo leggibile la firma del mediatore, ovviamente solo nella parte dedicata all’avvenuta informazione.La firma del minore è richiesta solo in caso di minore maturo, per l’attesta-

zione di ricevuta informazione accanto a quella del/i genitore/i. Rispetto alla specificità del coinvolgimento del minore maturo si rimanda alla sezione 4.La potestà genitoriale è attribuita ad entrambi i genitori e deve essere eser-

citata congiuntamente. Sotto il profilo documentale dovranno essere presenti entrambe le firme distinte o un’espressione di condivisione della linea di indi-rizzo. Nel caso di genitori separati/divorziati con affidamento congiunto deve essere presente la firma di entrambi, in caso di contrasto tra i genitori, gli stessi devono procedere alla richiesta al giudice tutelare. Per quanto riguarda l’affidamento esclusivo sarà sufficiente la firma del genitore affidatario, salvo diverse disposizioni.

Revoca del ConsensoE’ prevista la possibilità che un consenso, antecedentemente rilasciato, sia

revocato in un momento successivo, per esempio con l’avvicinarsi del tratta-mento sanitario. La revoca può sempre avvenire, ma dev’essere sottoscritta dal paziente e datata.

ArchiviazioneCome già anticipato, il consenso informato, nella sua forma originale cartacea

con le firme di approvazione, deve essere archiviato presso l’area organizzativa

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che lo applica ed essere facilmente rintracciabile. Deve essere sottoposto ad aggiorna-mento almeno una volta l’anno.La versione precedente del modulo revisionato può essere eliminata, salvo diverse indi-

cazioni adottate dal responsabile dell’area organizzativa che ha emesso il consenso, e le copie obsolete presenti sui luoghi di lavoro devono essere prontamente eliminate.Il consenso compilato con i dati del paziente deve essere archiviato in cartella clinica.

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Nucleo per la Valutazione e l’Aggiornamento del Consenso Informato

Sara Casati (bioeticista, Direzione Scientifica)Tiziana Rumi (amministrativo sanitario, Direzione Sanitaria) Antonella Demarchi (infermiere coordinatore esperto, SITRA)Silvano Agosti (ginecologo, Gestione del Rischio)Maria Antonella Meneghini (Ufficio di Valutazione e Miglioramento della Qualità)Marco Segala (medico chirurgo, Ufficio Formazione)Maria Teresa Bottanelli (Ufficio di Relazioni con il Pubblico)Beatrice Pistolesi (Ufficio di Pubblica Tutela)Paolo Monti (ricercatore in bioetica, Fondazione Policlinico)Elena Salvaterra (ricercatore in biodiritto, Fondazione Policlinico)Ombretta Campari (medico legale)Marco Ferretti (geriatra, Fondazione Policlinico)Paola Vizziello, Stefano Benzoni (neuropsichiatri infantili, Fondazione Policlinico)Stefano Ricci (avvocato, esperto di materie giuridiche)Sabrina Lovato (infermiere esperto di bioetica)Giuseppina Verga (Ufficio Affari Legali)Andrea Gentilomo (esperto di biodiritto e medicina legale)Tommaso Walliser, Alberto Gerosa, Simona Bonacina (Associazione Lombarda Fibrosi Cistica)Tommasina Iorno, Barbara Pisano (Associazione Talessemici Drepanocitici Lombardia)Adele Zucca (Gruppo Italiano per la Lotta al Lupus Eritematoso-Sistemico) Enrica Carnelli (Fondazione De Marchi) Maria Luigia Mottes (Associazione Diabetici Provincia di Milano) Carla Garbagnati Crosti (Gruppo Italiano per la Lotta alla Sclerodermia)

Questo documento è scaricabile dal sito web della Direzione Scientifica della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena:www.formazione.eu.com, sezione NUCLEO CONSENSO INFORMATO.

E’ aggiornato al 15 luglio 2008.


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