Linguaggio e comunicazione
Il linguaggio verbale è una potenzialità specifica
della mente che consente agli uomini di
conoscere il mondo e di comunicare tra loro.
Il filosofo Enest Cassirer ha sostenuto che l'uomo
è un “animale simbolico” ed è sopratutto il parlare
a proiettare gli esseri umani nella “semiosfera”,
cioè in un mondo di relazioni costituito da vari
sistemi di segni.
La comunicazione è un processo sociale, il
linguaggio come mezzo di comunicazione è una
componente portante della cultura.
Il linguaggio è un fenomeno molto sfaccettato alla
cui indagine concorrono vari discipline
scientifiche.
Comunicazione verbale e non verbale
Il linguaggio non è un sistema di segni isolato ma
si intreccia a condotte non verbali che supportano
e contestualizzano ciò che le persone dicono . la
stessa disposizione dei corpi nello spazio fisico
può avere valore comunicativo.
La cinesica indaga la mimica e la gestualità.
La matrice bio- psicologica del linguaggio
Alcune prove empiriche sembrano validare
l'ipotesi di un “bioprogramma” per l'attivazione del
linguaggio. L'emisfero sinistro ha delle aree
specializzate per il controllo della parola sia nei
destrimani che nei mancini. La pubertà chiude il
periodo critico per lo sviluppo ottimale della
competenza linguistica.
L'ipotesi del bio programma per il linguaggio è
sostenuta da Bickerton con l'argomento che i
bambini allevati in un “pidgin” lo trasformano in un
“creolo”.
Le lingue pdgin sono delle forme espressive che
si generano quando gruppi linguistici diversi
entrano in contatto. Un pdgin della lingua italiana
viene realizzato dagli ambulanti africani.
Il pdgin è una varietà linguistica caratterizzata da:
-composizione mista tra lessico della lingua
dell'altro e schemi grammaticali della propria.
-assenza di una comunità che la parli come lingua
madre.
Un ambito importante di ricerca psicolinguistica
riguarda il modo in cui i bambini imparano a
parlare.
La facilità con cui i bambini di tutto il mondo
fronteggiano un'impresa così complessa ha
indotto a pensare che si tratti di un
comportamento innescato biologicamente, ma
non si può sottovalutare l'influenza dell'ambiente
relazionale e sociale.
Gli adulti tendono ad adottare con i bambini una
varietà di lingua (mothorese), perchè propria delle
madri, caratterizzata da frasi brevi, semplici e
ripetute, che vengono prodotte molto lentamente,
accentuando l'intonazione e dilatando le pause tra
le singole parole quasi a isolarle.
Così i bambini inseriscono la loro sequenza
linguistica in una struttura di senso prelinguistica
(coordinazione dello sguardo, mimica, gestualità)
e paralinguistica fornita loro dagli adulti, i quali
ricorrono anche al baby-talk, cioè sfruttano le
risorse coniate dai loro bambini (bau bau, ciuf ciuf)
La Lallazione è l'equivalente vocale del movimenti
braccia e gambe .
Il balbettio è l'avvio nella specificazione della
facoltà di linguaggio in una determinata lingua.
Si tratta di suoni caratteristici composti
dall'unione ripetuta di una consonante e una
vocale (dadada, bababa) uguali in tutto il mondo.
Nel compimento del primo anno i bambini sono
nella fase degli “enunciati monotematici” o
“olofrasi”: si esprimono per singole parole che
manifestano una precisa intenzione comunicativa.
Il significato delle prime parole non ha un
riferimento concettuale univoco, per cui non
individuano un oggetto in modo chiaro e distinto,
come avviene per l'adulto.
Verso i 18 mesi cominciano ad unire la parole a
due a due (enunciato dirematico).
L'enunciato dirematico è una prima
manifestazione della grammatica universale,
riscontrabile in molte lingue diverse.
A partire da questa fase il linguaggio dei bambini
si caratterizza per il suo stile telegrafico.
A mano a mano che i bambini padroneggiano
l'uso della sintassi e della semantica proprie della
loro lingua, sanno anche fare un uso più
diversificato e rispondente alla molteplicità dei
contesti comunicativi.
Halliday individua negli enunciati dei bambini un
ramificarsi del loro potenziale di significare
secondo:
La funzione strumentale: ciò che dicono serve a
ottenere qualcosa.
La funzione regolatrice: ciò che dicono serve a
controllare il comportamento altrui.
La funzione interazionale: ciò che dicono serve a
stabilire relazioni interpersonali.
La funzione personale: ciò che dicono serve ad
abbozzare la loro identità.
La funzione euristica: ciò che dicono vale come
richiesta di spiegazioni:
La funzione immaginativa: ciò che dicono
consente loro di fantasticare.
La funzione informativa: ciò che dicono vale come
resoconto di come stanno le cose.
La padronanza di tale griglia funzionale a guidare
il linguaggio dei bambini in prestazioni sempre più
simili a quelle degli adulti.
Le strutture dalla lingua
Ogni lingua è un sistema che governa un lessico
(numero indefinito di parole) secondo una
grammatica (cioè un numero imprecisato di
regole).
CONOSCERE UN LINGUA vuol dire saper
identificare quali suoni sono potenzialmente
significativi per essa.
Ogni lingua ha i suoi fonemi: sono gli elementi
sonori più piccoli di una lingua. Mettendo insieme
i fonemi si passa ad un livello superiore: i
morfemi.
L'entità lessicale minima è la parola che si
configura come una sequenza di fonemi
accettabile.
Le regole morfologiche controllano il principale
meccanismo di produzione delle parole sopratutto
attraverso i morfemi derivazionali che in italiano
possono essere prefissi quando vengono inseriti
prima del morfema radice come “S” spiacevole.
“in” in-felice e “affissi” quando vengono posti
dopo, come “ezza”, grand-ezza, “ità”, mostrus-ità
Linguaggio e pensiero
Ogni parlante conosce una serie di parole
appartenenti ad una certa lingua e sa come
usarle, ma è difficile capire come è organizzato
l'archivio dal quale di volta in volta estrae le parole
che gli servono.
A questo proposito è stato proposto da Morton, il
modello Logogen che decrive una procedura di
accesso automatico al lessico mentale , che
passa attraverso l'analisi delle caratteristiche
fisiche delle parole.
Il formato cognitivo della parola è il “concetto”,
cioè lo schema che organizza la conoscenza del
mondo evocata da una certa parola.
Un esperimento famoso dimostrò che è più facile
acquisire un concetto concreto di uno astratto.
Lingua e cultura
La lingua è strettamente legata alla cultura sotto
molti aspetti, perché permea le complesse
procedure con cui le varie comunità umane
organizzano le loro esperienza del mondo.
La lingua rende visibili le principali funzioni della
cultura.
E' uno strumento di mediazione tra la sfera
biologica dell'uomo e l'ambiente fisico in cui vive.
Nei discorsi sociali in cui ogni lingua si realizza si
intravedono i riti, le usanze, i regolamenti, la
sensibilità estetica, gli assetti politici e gli
orientamenti scientifici di una data comunità.
Alcuni antropologi hanno elaborato la “TEORIA
DELLA RELATIVITA' LINGUISTICO-CULTURALE,
secondo cui la lingua pone forti vincoli sul modo in
cui ogni comunità culturale può concepire il
mondo: la ricchezza lessicale e l'organizzazione
grammaticale di una determinata lingua
disegnano l'orizzonte entro cui la realtà potrà
essere concettualizzata dalla cultura della
comunità che la parla.
Funzioni e varietà della lingua
Il pioniere della psicolinguistica Karl Buhler
chiarisce che nei vari eventi linguistici cui
partecipano le persone:
-rendono noti i loro pensieri, manifestano ciò che
provano, rendono percepibile all'esterno il loro
vissuto privato: (funzione espressiva);
-si rivolgono ad altri, tentando di modificarne la
mente o il comportamento (funzione appellativa;
-descrivono un mondo di riferimento, cioè
costruiscono un modello della realtà da cui si
sentono impegnati (funzione rappresentativa).
La valenza di ogni singola funzione può variare
nei diversi contesti di uso della lingua , cosicchè
un testo poetico può far risaltare la funzione
espressiva, un testo persuasivo ( un appello
politico o uno spot pubblicitario) è marcato dalla
funzione appellativa e un testo scientifico è
animato da una tensione rappresentativa.
Una variazione sostanziale è rappresentato dalle
“lingue settoriali” o speciali nelle quali è raccolta
l'esperienza del mondo che le persone fanno in
base alla loro professione.
Ogni settore lavorativo produce un proprio ambito
terminologico rende agevole e precisa la
comunicazione tra gli addetti ai lavori.
Così i medici tendono a parlare in termini di
diagnosi e terapia e gli avvocati in termini di
deroghe e commi.
Ogni lingua settoriale rende operativo un principio
di differenziazione psicologica dei gruppi in “noi
verso loro”: per “noi”, cioè per tutti coloro che la
padroneggiano, questa lingua settoriale agisce da
specchio trasparente, cioè è strumento di
comunicazione efficace e di reciproco
Riconoscimento di identità; per “loro” invece
agisce da specchio opaco in quanto per tutti gli
altri quella lingua speciale è incomprensibile.
Certi gerghi come quello degli adolescenti o dei
burocrati, si trasformano in un antilingua, che può
risultare estranea e minacciosa per chi non la usa.
Il discorso nella conversazione
La conversazione è l'evento prototipico dele
interazioni comunicative con cui gli uomini
gestiscono il progetto di dare senso al mondo.
Il linguaggio esiste finché ci sono discorsi reali che
vengono prodotti nelle interazioni.
Il discorso è un attività di enunciazione di senso
ancorata ad un enunciazione culturale di attese
condivise e specificate di volta in volta da un
determinato contesto.
In tutti i tipi di conversazione appaiono
particolarmente curate le fasi di apertura e di
chiusura, quando le persone devono concordare il
loro reciproco posizionamento nell'interazione.
Per tali fasi gli individui attingono dalla loro cultura
alcune procedure di routine (formule di cortesia,
rituali.
Si liberano in tale modo risorse di attenzione, di
memoria e di progettazione per interpretare le
richieste della situazione e sintonizzarsi ognuno
sulle attese dell'altro.
In tutti i tipi di conversazione si verifica il
fenomeno della “sequenza complementare”.
Questa si ha quando ciò che uno dice ha un “alta
rilevanza condizionale” per ciò che dirà l'altro.
Il mancato rispetto delle aspettative sollevate dalla
sequenza complementare è caricato di senso: se
l'altro non mi ricambia il saluto, o glissa sulle mie
domande, allora è in collera con me o ha qualcosa
da nascondere, o non mi ritiene degno della sua
fiducia.
In generale la conversazione è possibile perché i
partecipanti si attengono ad un “principio di
cooperazione” in base al quale ognuno da il suo
contributo, così come crede che sia richiesto per
realizzare lo scopo inerente all'azione del parlare
insieme.
La frequenza con cui ognuno interviene in una
conversazione e l'ampiezza temporale che riesce
a dare ai propri contributi sono indicatori
dell'immagine di sé che si vuole offrire agli altri.
Le impressioni sulla personalità che
riciprocamente ci scambiamo sono ancorate
anche allo stile conversazionale che adottiamo.
Le persone vengono ritenute estroverse o
introverse, dominanti o remissive, assertive o
impacciate anche in base a come conversano,
vale a dire in base a ciò che dicono e come lo
dicono.