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L’INTERVISTA Il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel ... · cioè Padre Pino Puglisi....

Date post: 18-Feb-2019
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Chiesa 5 24 dicembre 2016 Si prepara la mostra «In fuga dalla Siria» “S e fossi costretto a lasciare il tuo Paese che cosa fa- resti?”. Su questa domanda si basa la mostra inte- rattiva “In fuga dalla Siria” che verrà inaugurata venerdì 27 gennaio alle ore 18 presso gli spazi della Polve- riera in via Terrachini 18 a Reggio Emilia. A promuovere l’iniziativa è il Granello di Senapa, coordi- namento diocesano per l’educazione e la formazione alla mondialità, al servizio e alla relazione, che ha realizzato la mostra grazie al finanziamento di un progetto Cei 8 per mille di Caritas Italiana. L’idea della mostra nasce, oltre che da una lettura del mondo contemporaneo, dall’interesse che i percorsi sul tema dell’immigrazione stanno avendo nelle scuole se- condarie della nostra diocesi. Mettersi nei panni dell’altro è la chiave per comprendere quello che sta succedendo oggi nel mondo e che, inevita- bilmente, ci coinvolge anche nel nostro quotidiano. Grazie a questa mostra sarà possibile avere uno sguardo nuovo e diverso, attraverso una modalità interattiva, sulle condizioni delle persone che scelgono di mettersi in viag- gio verso un futuro migliore… ma sarà davvero così? L’ idea è quella di proporre uno strumento di rifles- sione che possa essere utilizzato, come viene già fatto a scuola, anche in contesti informali quali le parrocchie, associazioni, gruppi... Dopo l’evento di lancio, in cui la mostra potrà essere visi- tata alla Polveriera, l’ultimo weekend di gennaio sarà pos- sibile prenotare e utilizzare la mostra nelle varie realtà che ne faranno richiesta (tel. 0522.516163, [email protected]). Il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993 non deve diventare un «santino», ma vivere attraverso gli anticorpi di cittadinanza, da sviluppare a partire dalla scuola L’INTERVISTA Puglisi come metodo educativo Incontro con Rosaria Cascio, insegnante e scrittrice I nsegnante di materie letterarie nei licei di Palermo, da anni Rosaria Cascio sta dedicandosi anima e corpo a una missione: far vivere l’eredità di padre Puglisi, beati- ficato nel 2013 vent’anni dopo il suo assassinio (era il 15 settembre 1993) da parte di ‘cosa nostra’ . Nel suo ultimo libro, “Il primo martire di mafia”, scritto insieme a Salvo Ognibene (Edb, con prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso), parla anche dell’E- milia, dove è venuta svariate volte. La sua attività editoriale era iniziata nel 2013 in compagnia di Francesco Palazzo e Augu- sto Cavadi con un titolo ad effetto, “Beato fra i mafiosi”, un testo per approfondire storia e teologia di “3 P” , come lo chiamano i suoi amici, cioè Padre Pino Puglisi. L’anno scorso sono usciti in contemporanea due libri complementari: “Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?” (con Nino Lanzetta e Roberto Lopes, Il Pozzo di Giacobbe Editore), che con- tiene le indicazioni di metodo del beato come animatore vocazionale, e “Io pretendo la mia felicità” (Navarra editrice), che di quel metodo fornisce un’applicazione pratica tramite gli scritti e l’esperienza anche teatrale degli alunni di una classe in cui la professoressa Cascio insegna tuttora. “Sono sicura che, quando sa- ranno grandi, Puglisi in loro diventerà azione” , dice Rosaria pensando ai suoi studenti. L’abbiamo incontrata in redazione il 13 dicem- bre scorso, poche ore prima della testimonian- za nella parrocchia del Sacro Cuore, a Reggio. Come ha conosciuto padre Puglisi? Quando avevo 14 anni è stato il mio insegnante di religione al liceo classico, per un anno solo. Successivamente però ebbi tempo e modo di coinvolgermi in attività di animazione vocazio- nale presso il Centro Diocesano Vocazioni di Palermo, che don Pino dirigeva. Fu l’esperienza più importante, non solo per me ma per centi- naia di giovani che hanno avuto una maniera inedita di proporre il tema della vocazione. Cosa intende per maniera “inedita”? Negli anni ’70, quando nacquero i centri voca- zionali, l’obiettivo era il reclutamento, in ramo sia maschile che femminile. Quando arrivò don Pino, nel 1978, si propose come scopo quello di formare di ciascun giovane un buon uomo o una buona donna; il buon cristiano veniva in un passaggio successivo. L’animazione che padre Puglisi ha realizzato coi giovani era di tipo introspettivo: far scoprire ai ragazzi quale era il senso della propria vita, non attraverso un atteggiamento di eterodirezione, però: il sacer- dote era semplicemente un facilitatore. La mia formazione insieme a lui è durata 14 anni; mi sono messa a scrivere i libri per rac- contarla. La definizione di “prete antimafia” non è un po’ riduttiva? Padre Puglisi è sempre stato un prete, anche quando si è trovato di fronte al fenomeno mala- vitoso; quando era animatore vocazionale, non si lavorava sulle tematiche della mafia, eppure la formazione che abbiamo ricevuto è stata orientata a formarci come cittadini: legalità e solidarietà sono valori che abbiamo vissuto, condiviso e poi attuato nella nostra vita. E que- sto è importantissimo, perché è un modo di fare antimafia senza parlare di antimafia. Torniamo alla sera di quel 15 settem- bre 1993 in cui don Puglisi venne ucciso davanti al portone di casa, per volere dei capimafia Filippo e Giuseppe Graviano. Come visse quei momenti? Seppi subito, da mio fratello giornalista, la notizia della sua “esecuzione” mafiosa e mi pre- cipitai in ospedale. La sera dopo, 16 settembre, si fece una veglia nella cattedrale di Palermo. Avevo 28 anni, ero battagliera e impegnata in politica, conoscevo tante persone atee e le ho viste tutte là, piangere come me. Poi? Sono trascorsi anni interi di dolore, grande con- fusione e soprattutto rabbia, perché vedevamo che intorno a noi le cose stavano iniziando a muoversi in un verso sbagliato e in tanti, come me, avevamo paura che la memoria di Puglisi andasse tradita. È trascorso un bel po’ di tempo prima che io e altri amici di padre Pino ripren- dessimo in mano le nostre vite. È stato difficile; i primi passi che abbiamo fatto per costituire l’associazione sono stati un pianto corale: l’ela- borazione di un lutto collettivo in cui non tutti sono riusciti a completare il percorso. A quale associazione si riferisce? All’associazione di volontariato “Padre Giusep- pe Puglisi. Sì, ma verso dove?” (raggiungibile online all’indirizzo www.simaversodove.org), costituita nel 2005, di cui sono presidente. Inizialmente il nostro specifico erano i cam- pi vocazionali, dato che tutti noi fondatori venivamo da quell’esperienza, poi il lavoro si è sviluppato lungo due assi: la testimonianza pubblica - attraverso incontri, laboratori di scrittura e teatro - e l’attività vocazionale con i giovani, impiegando linguaggi nuovi. Progetti associativi? L’associazione è sempre stata uno strumen- to e oggi la ritengo quasi superata, perché a Palermo è in atto un processo nuovo che sta coinvolgendo non solo sigle e piccoli gruppi ma tutti quelli che noi definiamo “gli amici di 3P” , provenienti dalle varie esperienze pastorali di don Pino, da Godrano a Brancaccio. Abbiamo trovato in don Corrado Lorefice, il nostro nuovo vescovo, un sostegno importante per realizzare un centro diocesano “Padre Pino Puglisi” . In- tanto il 15 settembre scorso, per la prima volta, sul sagrato della cattedrale di Palermo c’è stata la “festa di 3P” , con l’esibizione gratuita di artisti palermitani e migliaia di persone in piazza. Avete mai subìto intimidazioni? La mafia non ha paura di noi, perché non tocchiamo i suoi interessi economici: stupida- mente, essa non ritiene la cultura un nemico da combattere e non capisce che le scuole, se lavorano bene, producono molti più anticorpi alla corruzione di un’antimafia urlata. Com’è cambiata la mafia? Dopo gli anni ’90 la mafia si è resa conto che la strategia stragista è stata un boomerang. Oggi il nemico è sfuggente, è una mafia più liquida e burocratica: quella dei colletti bianchi che ti blocca le procedure e ne fa andare avanti altre, che s’inserisce negli appalti, governa i centri per gli extracomunitari, che penetra indisturbata nel palazzo di giustizia di Palermo per dire “Io ti controllo e nessuno sa chi sono” . È la mafia che state conoscendo anche voi in Emilia… E come si combatte? La mafia declina le sue attività su almeno quattro fronti: politico, sociale, culturale, economico. Se vogliamo fare fronte comune non dobbiamo opporle interventi spezzettati. Invece il fronte, un po’ in tutt’Italia, è diviso; esistono associazioni, come “Addiopizzo” o “Li- bera” , che preferiscono sfidare la mafia da sole, con interessi economici, peraltro, costruiti sulla loro antimafia. La nostra associazione ritiene fondamentale la gratuità. Anche Reggio Emilia va per conto suo? Grazie ai percorsi avviati con Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, Rosa Frammartino, ma penso anche a Mauro Ponzi per l’ambito ecclesiale, qui si è cominciato a costruire un sapere, una pedagogia civile: sono stati raggiunti più di 50.000 giovani incontrandoli nelle scuole, nelle parrocchie, nei comuni… La Chiesa a che punto è della coscientizza- zione? Dalle parole di condanna di san Giovanni Paolo II a quelle di scomunica di papa Francesco sono stati fatti molti passi, ma ancora non c’è, in molti casi, una piena consapevolezza della gra- vità della mafia: la Chiesa non deve commet- tere l’errore di confonderla con una realtà fatta di battezzati; la mafia è atea, è una struttura di peccato! Ritiene che la beatificazione di padre Puglisi abbia favorito o in qualche modo rallentato, “incasellandolo”, il processo di coscientizzazione ecclesiale del cancro mafioso? Prima ancora della beatificazione, la paura che circolava all’interno della diocesi e tra coloro che avevano conosciuto Puglisi era che si finis- se per fare di questo sacerdote un santino, nel significato peggiore del termine, cioè una statua da mettere in una nicchia e da venerare di tanto in tanto. Confesso che ci sono stati diversi momenti in cui abbiamo creduto che ciò stesse realmente accadendo. Io ho cercato di ribaltare il problema: non mi sono domandata perché la Chiesa proclamasse beato Puglisi, ma perché la mafia lo temesse. E cosa si è risposta? Mi ha fatto riflettere moltissimo una frase di Totò Riina che, intercettato nel carcere di Opera mentre conversava con un altro mafioso, riferendosi a don Ciotti – che stava lavorando per la confisca dei beni ai mafiosi - progettava di levarlo di mezzo facendogli fare la stessa fine di Puglisi, e che parlando dell’omicidio di padre Pino disse: “Cosa si era messo in testa questo prete, che voleva farlo lui il boss di Brancac- cio?” . Non era l’uomo Puglisi a far paura alla mafia, ma quello che questo prete incarnava, la sua vicinanza ai poveri per far capire che la malavita negava i loro diritti. Perciò, diceva, era necessario “ricristianizzare” Brancaccio, ossia portarvi il Cristo che restituisce dignità alle persone in quanto tali. Da questo punto di vista, la beatificazione è stato un vantaggio, ma dovremo ancora vigilare perché don Pino non torni a essere solo un “santino” . Edoardo Tincani Rosaria Cascio ritratta in occasione dell’intervista e, nella foto di destra, in un incontro coi seminaristi nell’aprile dell’anno scorso.
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Page 1: L’INTERVISTA Il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel ... · cioè Padre Pino Puglisi. L’anno scorso sono usciti in contemporanea due libri complementari: “Giuseppe Puglisi.

Chiesa 524 dicembre 2016

Si prepara la mostra «In fuga dalla Siria»“Se fossi costretto a lasciare il tuo Paese che cosa fa-

resti?”. Su questa domanda si basa la mostra inte-rattiva “In fuga dalla Siria” che verrà inaugurata

venerdì 27 gennaio alle ore 18 presso gli spazi della Polve-riera in via Terrachini 18 a Reggio Emilia.A promuovere l’iniziativa è il Granello di Senapa, coordi-namento diocesano per l’educazione e la formazione alla mondialità, al servizio e alla relazione, che ha realizzato la mostra grazie al finanziamento di un progetto Cei 8 per mille di Caritas Italiana.L’idea della mostra nasce, oltre che da una lettura del mondo contemporaneo, dall’interesse che i percorsi sul tema dell’immigrazione stanno avendo nelle scuole se-condarie della nostra diocesi.Mettersi nei panni dell’altro è la chiave per comprendere

quello che sta succedendo oggi nel mondo e che, inevita-bilmente, ci coinvolge anche nel nostro quotidiano. Grazie a questa mostra sarà possibile avere uno sguardo nuovo e diverso, attraverso una modalità interattiva, sulle condizioni delle persone che scelgono di mettersi in viag-gio verso un futuro migliore… ma sarà davvero così?

L’idea è quella di proporre uno strumento di rifles-sione che possa essere utilizzato, come viene già fatto a scuola, anche in contesti informali quali le

parrocchie, associazioni, gruppi... Dopo l’evento di lancio, in cui la mostra potrà essere visi-tata alla Polveriera, l’ultimo weekend di gennaio sarà pos-sibile prenotare e utilizzare la mostra nelle varie realtà che ne faranno richiesta (tel. 0522.516163, [email protected]).

Il sacerdote ucciso dalla mafia a Palermo nel 1993 non deve diventare un «santino»,ma vivere attraverso gli anticorpi di cittadinanza, da sviluppare a partire dalla scuolaL’INTERVISTA

Puglisi come metodo educativoIncontro con Rosaria Cascio, insegnante e scrittrice

Insegnante di materie letterarie nei licei di Palermo, da anni Rosaria Cascio sta dedicandosi anima e corpo a una missione: far vivere l’eredità di padre Puglisi, beati-ficato nel 2013 vent’anni dopo il suo assassinio (era il 15 settembre 1993) da parte di ‘cosa nostra’.Nel suo ultimo libro, “Il primo martire di mafia”, scritto insieme a

Salvo Ognibene (Edb, con prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso), parla anche dell’E-milia, dove è venuta svariate volte.La sua attività editoriale era iniziata nel 2013 in compagnia di Francesco Palazzo e Augu-sto Cavadi con un titolo ad effetto, “Beato fra i mafiosi”, un testo per approfondire storia e teologia di “3 P”, come lo chiamano i suoi amici, cioè Padre Pino Puglisi.L’anno scorso sono usciti in contemporanea due libri complementari: “Giuseppe Puglisi. Sì, ma verso dove?” (con Nino Lanzetta e Roberto Lopes, Il Pozzo di Giacobbe Editore), che con-tiene le indicazioni di metodo del beato come animatore vocazionale, e “Io pretendo la mia felicità” (Navarra editrice), che di quel metodo fornisce un’applicazione pratica tramite gli scritti e l’esperienza anche teatrale degli alunni di una classe in cui la professoressa Cascio insegna tuttora. “Sono sicura che, quando sa-ranno grandi, Puglisi in loro diventerà azione”, dice Rosaria pensando ai suoi studenti. L’abbiamo incontrata in redazione il 13 dicem-bre scorso, poche ore prima della testimonian-za nella parrocchia del Sacro Cuore, a Reggio.

Come ha conosciuto padre Puglisi?Quando avevo 14 anni è stato il mio insegnante di religione al liceo classico, per un anno solo. Successivamente però ebbi tempo e modo di coinvolgermi in attività di animazione vocazio-nale presso il Centro Diocesano Vocazioni di Palermo, che don Pino dirigeva. Fu l’esperienza più importante, non solo per me ma per centi-naia di giovani che hanno avuto una maniera inedita di proporre il tema della vocazione.

Cosa intende per maniera “inedita”?Negli anni ’70, quando nacquero i centri voca-zionali, l’obiettivo era il reclutamento, in ramo sia maschile che femminile. Quando arrivò don Pino, nel 1978, si propose come scopo quello di formare di ciascun giovane un buon uomo o una buona donna; il buon cristiano veniva in un passaggio successivo. L’animazione che padre Puglisi ha realizzato coi giovani era di tipo introspettivo: far scoprire ai ragazzi quale era il senso della propria vita, non attraverso un atteggiamento di eterodirezione, però: il sacer-dote era semplicemente un facilitatore.La mia formazione insieme a lui è durata 14 anni; mi sono messa a scrivere i libri per rac-contarla.

La definizione di “prete antimafia” non è un po’ riduttiva?

Padre Puglisi è sempre stato un prete, anche quando si è trovato di fronte al fenomeno mala-vitoso; quando era animatore vocazionale, non si lavorava sulle tematiche della mafia, eppure la formazione che abbiamo ricevuto è stata orientata a formarci come cittadini: legalità e solidarietà sono valori che abbiamo vissuto, condiviso e poi attuato nella nostra vita. E que-sto è importantissimo, perché è un modo di fare

antimafia senza parlare di antimafia.

Torniamo alla sera di quel 15 settem-bre 1993 in cui don Puglisi venne ucciso davanti al portone di casa, per volere dei capimafia Filippo e Giuseppe Graviano. Come visse quei momenti?

Seppi subito, da mio fratello giornalista, la notizia della sua “esecuzione” mafiosa e mi pre-cipitai in ospedale. La sera dopo, 16 settembre, si fece una veglia nella cattedrale di Palermo. Avevo 28 anni, ero battagliera e impegnata in politica, conoscevo tante persone atee e le ho viste tutte là, piangere come me.

Poi?Sono trascorsi anni interi di dolore, grande con-fusione e soprattutto rabbia, perché vedevamo che intorno a noi le cose stavano iniziando a muoversi in un verso sbagliato e in tanti, come me, avevamo paura che la memoria di Puglisi andasse tradita. È trascorso un bel po’ di tempo prima che io e altri amici di padre Pino ripren-dessimo in mano le nostre vite. È stato difficile; i primi passi che abbiamo fatto per costituire l’associazione sono stati un pianto corale: l’ela-borazione di un lutto collettivo in cui non tutti sono riusciti a completare il percorso.

A quale associazione si riferisce?All’associazione di volontariato “Padre Giusep-pe Puglisi. Sì, ma verso dove?” (raggiungibile online all’indirizzo www.simaversodove.org), costituita nel 2005, di cui sono presidente. Inizialmente il nostro specifico erano i cam-pi vocazionali, dato che tutti noi fondatori venivamo da quell’esperienza, poi il lavoro si è sviluppato lungo due assi: la testimonianza pubblica - attraverso incontri, laboratori di scrittura e teatro - e l’attività vocazionale con i giovani, impiegando linguaggi nuovi.

Progetti associativi?L’associazione è sempre stata uno strumen-to e oggi la ritengo quasi superata, perché a Palermo è in atto un processo nuovo che sta coinvolgendo non solo sigle e piccoli gruppi ma tutti quelli che noi definiamo “gli amici di 3P”, provenienti dalle varie esperienze pastorali di don Pino, da Godrano a Brancaccio. Abbiamo

trovato in don Corrado Lorefice, il nostro nuovo vescovo, un sostegno importante per realizzare un centro diocesano “Padre Pino Puglisi”. In-tanto il 15 settembre scorso, per la prima volta, sul sagrato della cattedrale di Palermo c’è stata la “festa di 3P”, con l’esibizione gratuita di artisti palermitani e migliaia di persone in piazza.

Avete mai subìto intimidazioni? La mafia non ha paura di noi, perché non tocchiamo i suoi interessi economici: stupida-mente, essa non ritiene la cultura un nemico da combattere e non capisce che le scuole, se lavorano bene, producono molti più anticorpi alla corruzione di un’antimafia urlata.

Com’è cambiata la mafia?Dopo gli anni ’90 la mafia si è resa conto che la strategia stragista è stata un boomerang. Oggi il nemico è sfuggente, è una mafia più liquida e burocratica: quella dei colletti bianchi che ti blocca le procedure e ne fa andare avanti altre, che s’inserisce negli appalti, governa i centri per gli extracomunitari, che penetra indisturbata nel palazzo di giustizia di Palermo per dire “Io ti controllo e nessuno sa chi sono”. È la mafia che state conoscendo anche voi in Emilia…

E come si combatte?La mafia declina le sue attività su almeno quattro fronti: politico, sociale, culturale, economico. Se vogliamo fare fronte comune non dobbiamo opporle interventi spezzettati. Invece il fronte, un po’ in tutt’Italia, è diviso; esistono associazioni, come “Addiopizzo” o “Li-bera”, che preferiscono sfidare la mafia da sole, con interessi economici, peraltro, costruiti sulla loro antimafia. La nostra associazione ritiene fondamentale la gratuità.

Anche Reggio Emilia va per conto suo?Grazie ai percorsi avviati con Nicola Gratteri, Antonio Nicaso, Rosa Frammartino, ma penso anche a Mauro Ponzi per l’ambito ecclesiale, qui si è cominciato a costruire un sapere, una pedagogia civile: sono stati raggiunti più di 50.000 giovani incontrandoli nelle scuole, nelle parrocchie, nei comuni…

La Chiesa a che punto è della coscientizza-

zione?Dalle parole di condanna di san Giovanni Paolo II a quelle di scomunica di papa Francesco sono stati fatti molti passi, ma ancora non c’è, in molti casi, una piena consapevolezza della gra-vità della mafia: la Chiesa non deve commet-tere l’errore di confonderla con una realtà fatta di battezzati; la mafia è atea, è una struttura di peccato!

Ritiene che la beatificazione di padre Puglisi abbia favorito o in qualche modo rallentato, “incasellandolo”, il processo di coscientizzazione ecclesiale del cancro mafioso?

Prima ancora della beatificazione, la paura che circolava all’interno della diocesi e tra coloro che avevano conosciuto Puglisi era che si finis-se per fare di questo sacerdote un santino, nel significato peggiore del termine, cioè una statua da mettere in una nicchia e da venerare di tanto in tanto. Confesso che ci sono stati diversi momenti in cui abbiamo creduto che ciò stesse realmente accadendo. Io ho cercato di ribaltare il problema: non mi sono domandata perché la Chiesa proclamasse beato Puglisi, ma perché la mafia lo temesse.

E cosa si è risposta?Mi ha fatto riflettere moltissimo una frase di Totò Riina che, intercettato nel carcere di Opera mentre conversava con un altro mafioso, riferendosi a don Ciotti – che stava lavorando per la confisca dei beni ai mafiosi - progettava di levarlo di mezzo facendogli fare la stessa fine di Puglisi, e che parlando dell’omicidio di padre Pino disse: “Cosa si era messo in testa questo prete, che voleva farlo lui il boss di Brancac-cio?”. Non era l’uomo Puglisi a far paura alla mafia, ma quello che questo prete incarnava, la sua vicinanza ai poveri per far capire che la malavita negava i loro diritti. Perciò, diceva, era necessario “ricristianizzare” Brancaccio, ossia portarvi il Cristo che restituisce dignità alle persone in quanto tali. Da questo punto di vista, la beatificazione è stato un vantaggio, ma dovremo ancora vigilare perché don Pino non torni a essere solo un “santino”.

Edoardo Tincani

Rosaria Cascio ritratta in occasione dell’intervista e, nella foto di destra, in un incontro coi seminaristi nell’aprile dell’anno scorso.

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