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L’ORDINE DOMENICA 25 MAGGIO 2014 LE … copia.pdffanno commuovere ancora oggi e aiutano a...

Date post: 16-Feb-2019
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2 L’ORDINE DOMENICA 25 MAGGIO 2014 LECANZONI DEL’15-18 UNASTORIA UMANA Brani come “Il testamento del capitano” e “Bombardano Cortina” fanno commuovere ancora oggi e aiutano a comprendere la Grande guerra vissuta dalla gente comune con il pensiero ai propri figli più che al nemico MASSIMO BUBOLA “Se avete fame guardate lontano” recita la canzone “Monte Canino” cui è legata l’infanzia di Bubola “Se avete fame guardate lontano, se avete sete la tazza alla mano sarà la neve che vi disseterà”. Quando ho imparato questa can- zone “Monte Canino”, avevo cin- que anni e mio padre, mi ricorda- va che la cantavo con lui sul selli- no della bicicletta mentre mi portava sul traghetto sull’Adige a Villa Bartolomea, dove inse- gnava il pomeriggio ai contadini analfabeti. Eravamo alla fine degli anni cinquanta. Quel viaggio in bici- cletta, a primavera inoltrata, era per me una grande attesa ed una grande gioia e mio padre mi can- tava per tutto il tempo, tra un silenzio e un soffio, le canzoni della Grande Guerra. Ricordo l’odore della sua barba, l’odore del fieno e della menta e le rondi- ni sfrecciare lungo quella strada bianca in mezzo alla campagna dai nomi familiari come la Carez- za, la Morosa, i Sabbioni. Zone che passavamo all’andata e al ri- torno con quel sottofondo musi- cale ed io cantavo con mio padre e mio padre ne era molto fiero, accennava a qualche contro voce. Questi ricordi e queste canzo- ni mi hanno sempre dato un sen- so di appartenenza e di identità profonda e questo mi dava con- tentezza e serenità. La mia fami- glia viveva in una appartamento a due piani nell’ala di una corte di una casa colonica, con altri zii e cugini che abitavano intorno e nel corpo centrale abitavano i miei nonni. La loro era la grande sala da pranzo della domenica e delle ricorrenze di tutti. Mio nonno, che era il patriarca, il no- stro capo tribù, aveva combattu- to sul Piave, ma non parlava mai delle guerra, nemmeno se richie- sto con insistenza, però ricordo che cantava quelle canzoni nella grande festa della trebbiatura, quando dopo che tutti avevano consumato una lauta cena e pri- ma del ballo, c’era il momento della sacralità. Musicanti intorno al tavolo Gli adulti si mettevano intorno al tavolo con i musicanti da un lato, una fisarmonica, una chi- tarra ed un mandolino. Le donne mettevano a letto i bimbi più piccoli e tornavano, prendendo quelli più grandicelli in braccio e si sedevano sulle panche e su piccoli sgabelli in religioso silen- zio. Le canzoni erano sempre quelle: “Il testamento del capita- no”, “Era una notte che pioveva”, “Bombardano Cortina”, “Sul ponte di Perati”, “La tradotta”, “Di qua e di là del Piave”. Ma ogni volta era un’emozione nuova, grande e intensa, perché succe- deva sempre qualcosa di miraco- loso: si fermava la notte, i bic- chieri, i latrati dei cani, le zanza- re, il canto dell’upupa, le lucciole, il pianto dei bambini. Tutto acca- deva lì in quel momento. I volti degli uomini si trasfor- mavano e le loro voci di solito roche e familiari, diventavano suadenti ed eteree e un imper- cettibile miracolo accadeva lì in quell’istante. Occhi rugosi, come fessure, guance scavate dalla fa- tica, che si rigavano di lacrime parallele che correvano giù lente e indecise. Una specie di eucare- stia contadina, dove il sangue e il pane ritornavano vivi. I senti- menti erano intatti e le ferite si riaprivamo e riprendevano a parlare. Le immagini terribili e grandiose della guerra nei loro volti erano visibili come su un grande schermo. Qualcuno si alzava vinto dal- l’emozione e si allontanava con la scusa di andare a pisciare. Qualcuno beveva un bicchiere di vino tutto d’un fiato per far pas- sare le lacrime. Ma la platea era trasportata da una nuvola di commozione e quell’adunanza era in viaggio nell’aria estiva im- mobile su per una grande scala a pioli di pietà e di memoria. Tut- ti avevano avuto dei lutti o nella Grande o nella Seconda Guerra e le cicatrici non si erano ancora chiuse. Il tempo era passato, ma senza profitto. Credo che quello fosse il moti- vo per cui ho sempre considerato le canzoni fortemente evocative e fornite di virtù miracolose. Niente riusciva più a commuove- re una comunità come il canto di quelle struggenti e funeste balla- te. Ed forse proprio questo il mo- tivo che poi mi ha fatto scegliere fare questo nobile mestiere. Il cielo strappato In quelle canzoni non c’era alcu- na ribellione, nessun odio contro il nemico, ma la rassegnazione ad un destino inesorabile, doloroso e tragico. “El sièl el s’era sbregà”, il cielo si era strappato! Così di- ceva mia nonna stringendosi le mani sconsolata e girando gli oc- chi verso il firmamento. Vedere mio nonno piangere, lui che era una figura carismatica e con un fermo pudore per i pro- pri sentimenti, era una cosa che ci colpiva ogni volta, anche se lui, con dignità si nascondeva la fac- cia col cappello e si ritirava in qualche nascondiglio segreto. Nel tempo poi nelle gite in corriera in montagna, nelle cam- minate per i rifugi sulle Dolomi- ti, nei lunghi viaggi con i genitori o con i preti, queste canzoni di- vennero il costante leitmotiv. Si cantava all’unisono o a più più voci, con le chitarre e con l’armo- nica a bocca “Bravi Alpini”, ancor prima dell’avvento dell’armonica alla Dylan. Si cantava nei cori con il maestro grassoccio e col piz- zetto. Questo repertorio faceva parte del nostro Dna, del nostro percorso umano e comunitario. Certo, allora, non ne avevamo una gran coscienza, ma erano le canzoni popolari che ci univano ai nostri nonni e ai nostri genito- ri, al di là delle contestazioni o del sessantotto o della musica rock. Questa musica era la nostra foto verticale di famiglia, la no- stra koinè e la nostra casa. Quando andavo in Irlanda, negli anni settanta, e sentivo quei ragazzi cantare e suonare un repertorio condiviso da tante ge- nerazioni di grandi canzoni folk, legate alla loro storia, al loro pas- sato, alle vicende della guerra per l’indipendenza, spesso io ricor- revo a queste canzoni della Gran- de Guerra per un sentirmi in sin- tonia e alla pari con loro e riscon- travo un sincero interesse verso questo repertorio al punto che mi chiedevano di tradurgli i testi e spiegare loro gli antefatti. Gli irlandesi la Prima guerra mon- diale l’avevano combattuta anco- ra sotto gli inglesi e la sentirono la gran parte come un doppio sopruso, infatti nei miei due al- bum dedicati alla Grande Guerra c’è sempre una canzone su un soldato irlandese. Ci sono, nel mio “Testamento del capitano”, anche delle canzo- ni nuove, ambientate in quella tragico conflitto, ma scritte sem- pre con l’ottica degli umili, dei soldati contadini e di chi non aveva deciso e si era trovato al fronte a sacrificare la propria vita. Il tabù della disfatta Ho scritto con quella commozio- ne canzoni mai scritte allora, co- me “Da Caporetto al Piave” che non fu mai immaginata per il grande tabù di quella disfatta, “Noi veniàm dalle Pianure” sui contadini che conoscevano la montagna per la prima volta in quelle tragiche ore, “Nostra Si- gnora Fortuna” sul tema della pietà e della consolazione e “Ne- ve su neve” sul tema del soldato sepolto da tempo che chiama a sé l’amata perché venga a ritro- vare la sua tomba. Non avrei certamente mai po- tuto ripercorrere quest’epopea che mi avesse così toccato da vicino attraverso tanti compo- nenti della mia lunga famiglia e se questa musica non mi fosse entrata nel cuore fin da bambino e mi avesse dato una chiave di lettura delle vicende della mia vita e del mio paese ed un senso della storia degli uomini. Una storia che vorrebbe, an- che tramite le canzoni, essere più condivisa e riconosciuta, come un percorso di dolore e di dignità che è ancora una pianta dalle radici vive e dalle sconfinate fronde alla cui ombra possiamo ripararci e riconoscere ancora il panorama umano del nostro pa- ese. L’AUTORE UN ALBUM STORICO DI CLASSICI E NOVITÀ In quarant’anni di carriera, costellata di 20 album e oltre trecento canzoni, Massimo Bubola ha dato molto spazio alle storie degli uomini e al loro incro- ciarsi con la grande storia. “Il testa- mento del capitano”, appena pubblica- to, è il suo secondo cd dedicato alla Prima guerra mondiale, a nove anni di distanza da “Quel lungo treno”. Ma il tema, caro al cantautore veronese fin dall’infanzia, come racconta nel- l’articolo che ha scritto per “L’Ordine”, lo aveva già toccato in una delle me- morabili canzoni che scrisse a quattro mani con Fabrizio De Andrè nei primi anni Settanta, “Andrea”. Nel nuovo album, Bubola riarrangia con sensibilità e stile personali alcuni canti classici della Grande guerra: “Ta pum”, “Il Testamento del Capitano”, “Sul ponte di Perati”, “Monti Scarpa- zi”,” Bombardano Cortina” e “ La tra- dotta”. E propone un pugno di pezzi nuovi (“Da Caporetto al Piave”,” L’alba che verrà”, “Neve su neve”, “Vita di trincea”), che riprendono nei testi (sempre molto umani e poetici) e nelle sonorità il dramma del primo conflitto mondiale. Chiudono il disco due brani storici scritti da Bubola sul primo con- flitto mondiale -” Rosso su verde” e “Noi veniam dalle pianure”- cantati dal prestigioso coro Ana di Milano. Info sul sito www.massimobubola.it.n•P. Ber. Brani che evocano vissuti comuni anche quando li si suona in Irlanda Massimo Bubola 60 ANNI, CANTAUTORE
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2 L’ORDINE DOMENICA 25 MAGGIO 2014

LE CANZONIDEL ’15­18UNA STORIAUMANABrani come “Il testamento del capitano” e “Bombardano Cortina” fanno commuovere ancora oggi e aiutano a comprendere la Grande guerra vissuta dalla gente comune con il pensiero ai propri figli più che al nemico

MASSIMO BUBOLA

“Se avete fame guardate lontano” recita la canzone “Monte Canino” cui è legata l’infanzia di Bubola

“Se avete fame guardate lontano,se avete sete la tazza alla manosarà la neve che vi disseterà”.Quando ho imparato questa can­zone “Monte Canino”, avevo cin­que anni e mio padre, mi ricorda­va che la cantavo con lui sul selli­no della bicicletta mentre miportava sul traghetto sull’Adigea Villa Bartolomea, dove inse­gnava il pomeriggio ai contadinianalfabeti.

Eravamo alla fine degli annicinquanta. Quel viaggio in bici­cletta, a primavera inoltrata, eraper me una grande attesa ed unagrande gioia e mio padre mi can­tava per tutto il tempo, tra unsilenzio e un soffio, le canzonidella Grande Guerra. Ricordol’odore della sua barba, l’odoredel fieno e della menta e le rondi­ni sfrecciare lungo quella stradabianca in mezzo alla campagnadai nomi familiari come la Carez­za, la Morosa, i Sabbioni. Zoneche passavamo all’andata e al ri­torno con quel sottofondo musi­cale ed io cantavo con mio padree mio padre ne era molto fiero,accennava a qualche contro voce.

Questi ricordi e queste canzo­ni mi hanno sempre dato un sen­so di appartenenza e di identitàprofonda e questo mi dava con­tentezza e serenità. La mia fami­glia viveva in una appartamentoa due piani nell’ala di una cortedi una casa colonica, con altri ziie cugini che abitavano intorno enel corpo centrale abitavano imiei nonni. La loro era la grandesala da pranzo della domenica edelle ricorrenze di tutti. Miononno, che era il patriarca, il no­stro capo tribù, aveva combattu­to sul Piave, ma non parlava maidelle guerra, nemmeno se richie­sto con insistenza, però ricordoche cantava quelle canzoni nellagrande festa della trebbiatura,quando dopo che tutti avevanoconsumato una lauta cena e pri­ma del ballo, c’era il momentodella sacralità.

Musicanti intorno al tavoloGli adulti si mettevano intornoal tavolo con i musicanti da unlato, una fisarmonica, una chi­tarra ed un mandolino. Le donnemettevano a letto i bimbi piùpiccoli e tornavano, prendendoquelli più grandicelli in braccioe si sedevano sulle panche e supiccoli sgabelli in religioso silen­zio.

Le canzoni erano semprequelle: “Il testamento del capita­no”, “Era una notte che pioveva”,“Bombardano Cortina”, “Sulponte di Perati”, “La tradotta”,“Di qua e di là del Piave”. Ma ognivolta era un’emozione nuova,grande e intensa, perché succe­deva sempre qualcosa di miraco­loso: si fermava la notte, i bic­chieri, i latrati dei cani, le zanza­re, il canto dell’upupa, le lucciole,il pianto dei bambini. Tutto acca­deva lì in quel momento.

I volti degli uomini si trasfor­mavano e le loro voci di solitoroche e familiari, diventavanosuadenti ed eteree e un imper­cettibile miracolo accadeva lì inquell’istante. Occhi rugosi, comefessure, guance scavate dalla fa­tica, che si rigavano di lacrimeparallele che correvano giù lentee indecise. Una specie di eucare­stia contadina, dove il sangue eil pane ritornavano vivi. I senti­menti erano intatti e le ferite siriaprivamo e riprendevano aparlare. Le immagini terribili egrandiose della guerra nei lorovolti erano visibili come su ungrande schermo.

Qualcuno si alzava vinto dal­l’emozione e si allontanava conla scusa di andare a pisciare.Qualcuno beveva un bicchiere divino tutto d’un fiato per far pas­sare le lacrime. Ma la platea era

trasportata da una nuvola dicommozione e quell’adunanzaera in viaggio nell’aria estiva im­mobile su per una grande scalaa pioli di pietà e di memoria. Tut­ti avevano avuto dei lutti o nellaGrande o nella Seconda Guerrae le cicatrici non si erano ancorachiuse. Il tempo era passato, masenza profitto.

Credo che quello fosse il moti­vo per cui ho sempre consideratole canzoni fortemente evocativee fornite di virtù miracolose.Niente riusciva più a commuove­re una comunità come il canto diquelle struggenti e funeste balla­te. Ed forse proprio questo il mo­tivo che poi mi ha fatto sceglierefare questo nobile mestiere.

Il cielo strappatoIn quelle canzoni non c’era alcu­na ribellione, nessun odio controil nemico, ma la rassegnazione adun destino inesorabile, dolorosoe tragico. “El sièl el s’era sbregà”,il cielo si era strappato! Così di­ceva mia nonna stringendosi lemani sconsolata e girando gli oc­chi verso il firmamento.

Vedere mio nonno piangere,lui che era una figura carismaticae con un fermo pudore per i pro­pri sentimenti, era una cosa checi colpiva ogni volta, anche se lui,con dignità si nascondeva la fac­cia col cappello e si ritirava inqualche nascondiglio segreto.

Nel tempo poi nelle gite incorriera in montagna, nelle cam­minate per i rifugi sulle Dolomi­

ti, nei lunghi viaggi con i genitorio con i preti, queste canzoni di­vennero il costante leitmotiv. Sicantava all’unisono o a più piùvoci, con le chitarre e con l’armo­nica a bocca “Bravi Alpini”, ancorprima dell’avvento dell’armonicaalla Dylan. Si cantava nei cori conil maestro grassoccio e col piz­zetto. Questo repertorio facevaparte del nostro Dna, del nostropercorso umano e comunitario.Certo, allora, non ne avevamouna gran coscienza, ma erano lecanzoni popolari che ci univanoai nostri nonni e ai nostri genito­

ri, al di là delle contestazioni odel sessantotto o della musicarock. Questa musica era la nostrafoto verticale di famiglia, la no­stra koinè e la nostra casa.

Quando andavo in Irlanda,negli anni settanta, e sentivoquei ragazzi cantare e suonare unrepertorio condiviso da tante ge­nerazioni di grandi canzoni folk,legate alla loro storia, al loro pas­sato, alle vicende della guerra perl’indipendenza, spesso io ricor­revo a queste canzoni della Gran­de Guerra per un sentirmi in sin­tonia e alla pari con loro e riscon­travo un sincero interesse versoquesto repertorio al punto chemi chiedevano di tradurgli i testie spiegare loro gli antefatti. Gliirlandesi la Prima guerra mon­diale l’avevano combattuta anco­ra sotto gli inglesi e la sentironola gran parte come un doppiosopruso, infatti nei miei due al­bum dedicati alla Grande Guerrac’è sempre una canzone su unsoldato irlandese.

Ci sono, nel mio “Testamentodel capitano”, anche delle canzo­ni nuove, ambientate in quellatragico conflitto, ma scritte sem­pre con l’ottica degli umili, deisoldati contadini e di chi nonaveva deciso e si era trovato alfronte a sacrificare la propriavita.

Il tabù della disfattaHo scritto con quella commozio­ne canzoni mai scritte allora, co­me “Da Caporetto al Piave” chenon fu mai immaginata per ilgrande tabù di quella disfatta,“Noi veniàm dalle Pianure” suicontadini che conoscevano lamontagna per la prima volta inquelle tragiche ore, “Nostra Si­gnora Fortuna” sul tema dellapietà e della consolazione e “Ne­ve su neve” sul tema del soldatosepolto da tempo che chiama asé l’amata perché venga a ritro­vare la sua tomba.

Non avrei certamente mai po­tuto ripercorrere quest’epopeache mi avesse così toccato davicino attraverso tanti compo­nenti della mia lunga famiglia ese questa musica non mi fosseentrata nel cuore fin da bambinoe mi avesse dato una chiave dilettura delle vicende della miavita e del mio paese ed un sensodella storia degli uomini.

Una storia che vorrebbe, an­che tramite le canzoni, essere piùcondivisa e riconosciuta, comeun percorso di dolore e di dignitàche è ancora una pianta dalleradici vive e dalle sconfinatefronde alla cui ombra possiamoripararci e riconoscere ancora ilpanorama umano del nostro pa­ese.

L’AUTORE

UN ALBUMSTORICODI CLASSICIE NOVITÀ

In quarant’anni di carriera, costellata

di 20 album e oltre trecento canzoni,

Massimo Bubola ha dato molto spazio

alle storie degli uomini e al loro incro­

ciarsi con la grande storia. “Il testa­

mento del capitano”, appena pubblica­

to, è il suo secondo cd dedicato alla

Prima guerra mondiale, a nove anni

di distanza da “Quel lungo treno”. Ma

il tema, caro al cantautore veronese

fin dall’infanzia, come racconta nel­

l’articolo che ha scritto per “L’Ordine”,

lo aveva già toccato in una delle me­

morabili canzoni che scrisse a quattro

mani con Fabrizio De Andrè nei primi

anni Settanta, “Andrea”.

Nel nuovo album, Bubola riarrangia

con sensibilità e stile personali alcuni

canti classici della Grande guerra: “Ta

pum”, “Il Testamento del Capitano”,

“Sul ponte di Perati”, “Monti Scarpa­

zi”,” Bombardano Cortina” e “ La tra­

dotta”. E propone un pugno di pezzi

nuovi (“Da Caporetto al Piave”,” L’alba

che verrà”, “Neve su neve”, “Vita di

trincea”), che riprendono nei testi

(sempre molto umani e poetici) e nelle

sonorità il dramma del primo conflitto

mondiale. Chiudono il disco due brani

storici scritti da Bubola sul primo con­

flitto mondiale ­” Rosso su verde” e

“Noi veniam dalle pianure”­ cantati dal

prestigioso coro Ana di Milano. Info sul

sito www.massimobubola.it.n•P. Ber.

Braniche evocano

vissuti comunianche quando

li si suonain Irlanda

Massimo Bubola

60 ANNI, CANTAUTORE

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