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MACCHINE OPERATRICI - uniroma2.it · Appunti di Macchine 116 Possiamo valutare le perdite relative...

Date post: 02-Aug-2018
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Appunti di Macchine 114 MACCHINE OPERATRICI Le macchine operatrici sono utilizzate per conferire energia, prevalentemente in forma potenziale, ad un determinato fluido, a spese di lavoro meccanico fornito dall’esterno. Per definire alcuni parametri generali utili all’analisi delle macchine operatrici è necessario considerare anche il circuito nel quale la macchina è inserita, suddividendolo in - linea di ammissione (o aspirazione), - linea di mandata, - due apparecchiature terminali (iniziale i, finale F). Consideriamo un circuito del tutto generale ed utilizziamo l’equazione dell’energia in forma meccanica le apparecchiature i ed F possono essere qualsiasi: serbatoi in pressione o depressione, scambiatori di calore, reattori chimici, essiccatori, miscelatori etc.. L’energia conferita al fluido per unità di massa dalla macchina operatrice sarà, per un percorso elementare (infinitesimo) nella macchina stessa: dL = dp/ρ + cdc + gdz + dL p dove dL è il lavoro consumato (dunque positivo per la nostra convenzione dei segni) e dL p = dQ iI ; in generale tutti i termini al 2° membro possono avere incidenza più o meno rilevante sul bilancio energetico della macchina (ad es. dE pot 0 per un compressore di fluido aeriforme, mentre può essere significativo per una pompa; anche per un ventilatore dE pot = 0 mentre dE cin prevale sugli altri termini, ecc.). Le sezioni A e B sono prese in corrispondenza delle flange di accoppiamento tra la macchina e le tubazioni di connessione con le apparecchiature i ed F. A regime, integrando tra A e B in sede reale ( = L p c c gz z L d A B B A B A p AB = + - + - + ρ 2 2 2 , la somma dei primi tre termini al 2° membro definisce l’energia totale fornita al fluido per unità di massa; questa quantità, divisa per g, esprime quella che si definisce PREVALENZA, ovvero l’energia conferita al fluido, attraverso la macchina, per unità di peso: H g L = ed è espressa in altezza di colonna del fluido elaborato. A B i F apparecchiatura iniziale apparecchiatura finale macchina operatrice (pompa o compressore)
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Page 1: MACCHINE OPERATRICI - uniroma2.it · Appunti di Macchine 116 Possiamo valutare le perdite relative al circuito esterno con la nota formula delle perdite di carico lungo le tubazioni:

Appunti di Macchine 114

MACCHINE OPERATRICI

Le macchine operatrici sono utilizzate per conferire energia, prevalentemente in forma potenziale, ad un determinato fluido, a spese di lavoro meccanico fornito dall’esterno.

Per definire alcuni parametri generali utili all’analisi delle macchine operatrici è necessario considerare

anche il circuito nel quale la macchina è inserita, suddividendolo in

- linea di ammissione (o aspirazione), - linea di mandata, - due apparecchiature terminali (iniziale i, finale F).

Consideriamo un circuito del tutto generale ed utilizziamo l’equazione dell’energia in forma meccanica le apparecchiature i ed F possono essere qualsiasi: serbatoi in pressione o depressione, scambiatori di calore, reattori chimici, essiccatori, miscelatori etc..

L’energia conferita al fluido per unità di massa dalla macchina operatrice sarà, per un percorso elementare (infinitesimo) nella macchina stessa:

dL = dp/ρ + cdc + gdz + dLp

dove dL è il lavoro consumato (dunque positivo per la nostra convenzione dei segni) e dLp = dQiI ; in generale tutti i termini al 2° membro possono avere incidenza più o meno rilevante sul bilancio energetico della macchina (ad es. dEpot ≅ 0 per un compressore di fluido aeriforme, mentre può essere significativo per una pompa; anche per un ventilatore dEpot = 0 mentre dEcin prevale sugli altri termini, ecc.).

Le sezioni A e B sono prese in corrispondenza delle flange di accoppiamento tra la macchina e le tubazioni di connessione con le apparecchiature i ed F.

A regime, integrando tra A e B in sede reale

( )L p c c g z z LdA

B B AB A pA B

= +−

+ − +∫ ρ

2 2

2 ,

la somma dei primi tre termini al 2° membro definisce l’energia totale fornita al fluido per unità di massa; questa quantità, divisa per g, esprime quella che si definisce PREVALENZA, ovvero l’energia conferita al fluido, attraverso la macchina, per unità di peso:

HgL

=

ed è espressa in altezza di colonna del fluido elaborato.

A

B

i

F

apparecchiatura iniziale

apparecchiatura finale

macchina operatrice (pompa o compressore)

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IRA 115

É utile suddividere H nei suoi tre termini:

H = Hm + Hc + Hg dove con Hm si indica la Prevalenza Monometrica

H pg

pm A

B

A

Bd d= =∫ ∫ρ γ

e se ρ = cost (come nel caso delle POMPE) sarà Hm = ∆p/ρg = ∆p/γ

con Hc si indica la Prevalenza Cinetica H c cgc

B A=−2 2

2

e con Hg la Prevalenza Geodetica Hg = zB - zA

A seconda dei casi pratici, uno o due tra i termini di H potranno trascurarsi. La formula della Prevalenza esprime anche la differenza:

HL L

gpA B=

− ,

ovvero la differenza tra il lavoro speso e il lavoro passivo nella macchina, ovviamente per unità di peso del fluido.

Troviamo una relazione tra la richiesta di energia del circuito esterno, necessaria per trasferire il fluido, nelle condizioni volute, tra l’apparecchiatura iniziale e quella finale, e la prevalenza della macchina, ovvero una relazione fra la prevalenza richiesta dal circuito esterno e quella fornita dalla macchina.

Integriamo l’equazione dell’energia tra (i) ed (F), ricordando che nelle linee di aspirazione e di mandata il lavoro tecnico è nullo.

( )L p c c g z z L Ldi

F F iF i pA B pc e

= +−

+ − + +∫ ρ

2 2

2 , . .

dove l’ultimo termine rappresenta le perdite nel circuito esterno (linea di ammissione e linea di mandata):

Lp i,A + Lp B,F.

Se dividiamo l’equazione ottenuta per g, avremo

( )HL L

gpg

c cg

z zL

gpA B

i

F F iF i

pc ed=

−= +

−+ − +∫, . .

ρ

2 2

2

che si può sintetizzare in H = Hc.e. = Hu + Hp c.e.

dove ( )H pg

c cg

z zu i

F F iF i

d= +

−+ −∫ ρ

2 2

2 è la prevalenza utile del circuito esterno; il secondo

termine a destra è generalmente trascurabile ed il terzo lo è sempre nel caso dei compressori;

mentre g

LH .e.c

.e.c p

p = è la prevalenza perduta (o passiva) nel circuito esterno.

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Appunti di Macchine 116

Possiamo valutare le perdite relative al circuito esterno con la nota formula delle perdite di carico lungo le tubazioni:

H pL Lpc e eq. .

=

⋅∆ γ

con γ = ρg e dove il termine in parentesi rappresenta le perdite di carico nel condotto per unità di lunghezza, L, ed Leq rappresenta la lunghezza equivalente della linea.

Il termine tra parentesi si può esplicitare come

∆pL

cgD

γ λ

=

2

2

dove λ è il fattore di attrito o FRICTION FACTOR, o fattore di Fanning; generalmente λ = λ(Re, ε),

con ε scabrosità relativa (asperità media/D), c velocità media del fluido nel condotto, D il diametro idraulico (interno) della tubazione. Al variare del n.° di Reynolds distinguiamo: REGIME LAMINARE Re < ≅ 2200 è λ = 64/Re REGIME TURBOLENTO Re > ≅ 2200 è λ = λ(Re, ε) nel campo di Re = 2200 ÷ 2300 si trova una zona di transizione. In figura si mostra la variazione del fattore di attrito all’aumentare del numero di Reynolds e della scabrosità relativa (diagramma di Nikuradse):

Esistono leggi empiriche approssimanti λ in regime turbolento, ad esempio la forma implicita di COLEBROOK:

1 23 7

2 5110λ

ελ

= − +

log,

,Re

ε = 0 (tubo liscio)

103 104 105 106 107

λ ε

N.B. le scale sono logaritmiche sui due assi

υ=

µρ

=cDcDRe

µ = viscosità dinamica υ = µ/ρ = viscosità cinematica

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IRA 117

Ricordando che la portata volumetrica Q è definita come

Q c D=

ππ

2

4 c = 4Q

Dotteniamo 2

per cui le perdite di carico nel condotto, per unità di lunghezza, possono esprimersi nella forma:

∆pL

QD gD g

QD

γ λπ π

λ

= =

16 12

82

2 4 2

2

5

ovvero

∆pL

QD

γ ϕ

=

2

5

dove ϕ è un nuovo FRICTION FACTOR (non adimensionale).

Poiché è g = 9,81 [m/s2] risulta ϕ = λ/12,1 [s2/m]. Introducendo la portata in massa M = ρQ otteniamo un’espressione conveniente nel caso di fluidi aeriformi;

∆pL

MD

γ ϕρ

=

2

2 5

Difficilmente un condotto è costituito da un unico tronco ad asse rettilineo e diametro costante, e, di solito, quindi, bisogna tenere conto delle perdite di carico nei gomiti, nei raccordi (bruschi allargamenti, restringimenti) ecc., dove tutte queste perdite di carico concentrate si esprimono in numero equivalente di diametri della condotta principale.

Esistono tabelle specializzate che consentono di valutare tali perdite secondo la suddetta equivalenza. Ricordando che

Hc.e. = H = Hu + Hp dove si trova il punto di funzionamento effettivo della macchina ?

Bisogna conoscere la curva caratteristica della macchina; tale curva si determina sperimentalmente in laboratorio utilizzando uno schema come quello iniziale dove si è inserito, a monte della macchina, un misuratore di portata (venturimentro, flangia tarata, diaframma tarato o altro strumento); con uno strumento stroboscopico si determina la velocità di rotazione della macchina e con un manometro differenziale si misura la prevalenza (manometrica)

H

Q Hu

H = Hmacchina

Hc.e. n = cost

A B

misuratore di portata

manometro differenziale

regolazione fine

∆p/γ

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Appunti di Macchine 118

Con questo schema, a regime, è possibile tracciare un solo punto sul piano (H-Q); dovremo, poi, introdurre o ridurre delle perdite concentrate per determinare un ulteriore punto e così via; ciò si fa azionando una valvola (o meglio due valvole poste in parallelo che consentono una regolazione grossolana e una regolazione fine) che modifica Leq e si riesce a tracciare la curva caratteristica della macchina. In alcuni casi particolari la Hutile è nulla: la macchina operatrice serve allora come macchina di circolazione ovvero come macchina destinata al superamento delle sole perdite di carico lungo una linea di trasferimento.

Essendo Hc.e. = Hu + Hp c.e. con + Hp c.e. = kQ2

modificando il circuito esterno, ovvero la sua lunghezza equivalente, attraverso le valvole di regolazione, si modifica il valore della costante di proporzionalità k e, di conseguenza, il punto di incontro fra la curva caratteristica (a giri costanti) della macchina e la curva caratteristica del circuito esterno, là dove è: H=Hc.e., ovvero il punto descrivente il funzionamento della macchina, definito dalla coppia (H, Q), (v. figura del diagramma (H, Q)).

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IRA 119

Turbopompe e Turbocompressori centrifughi

Studiamo queste macchine secondo la teoria monodimensionale eulariana ed analizziamo i diversi casi di geometria della girante, descritti nella figura seguente che illustra la vista frontale del rotore:

Possiamo dire immediatamente che la macchina con palettatura concava trasmette al fluido - a parità di molte condizioni - una prevalenza maggiore rispetto alle altre soluzioni ma è caratterizzata da rendimenti più bassi ed il campo di funzionamento, in condizioni stabili, (in termini di portata) è più ridotto.

Ragioniamo a parità di geometria fondamentale della macchina, D1, D2 , a parità di velocità angolare del rotore (e quindi di u1 ed u2) e a parità di larghezza b2 della palettatura (in direzione assiale, ortogonale al disegno).

2w2c

2u

*2β2α

2w2c

2u

*2β

2w2c

2u

*2β

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Appunti di Macchine 120

L’analisi è incentrata sui triangoli di velocità in uscita; convenientemente si considera il complemento a 180° dell’angolo β2 costruttivo cioè β2

* = π - β2. Infine, per supporre uguali le portate smaltite supponiamo costante la componente radiale delle velocità in uscita.

Vogliamo determinare la relazione che intercorre tra la Prevalenza H ed i parametri da cui essa dipende

direttamente, Q ed n: H = H(Q, n).

L’analisi verrà suddivisa in tre passi successivi.

La prima fase viene condotta in sede limite, in assenza di perdite fluidodinamiche per viscosità del fluido e rugosità delle pareti, dove definiamo una prevalenza teorica

1) Ht∞ = Ht∞ (Q, n) “∞“ sta a significare infinite pale, cioè efflusso monodimensionale (fluido perfettamente guidato), ovvero teoria euleriana, “t” indica “teorica” ovvero assenza di perdite fluidodinamiche (viscosità del fluido nulla);

2) Htz = Htz (Q, n) si rimuove l’ipotesi di numero infinito di pale mantenendo l’assunzione di assenza di perdite fluidodinamiche;

3) Hz = H (Q, n) dove si rimuovono entrambe le ipotesi restrittive precedenti, per cui Hz = H.

Ricordando la teoria euleriana monodimensionale per le turbomacchine, scriviamo che

P = u2c2cosα2 - u1c1cosα1 (positiva per macchine operatrici)

ma possiamo porre anche, nel caso ”t∞”

Pt∞ = g Ht∞

essendo, in tale caso, nulle le irreversibilità di 1a specie nella macchina.

Uguagliando le due precedenti espressioni si ha, dunque

H u cgt∞ ≅ 2 2 2cosα

dove questa semplificazione è rigorosa solo se u1c1cosα1 = 0, ovvero se e solo se il vettore c1 è perfettamente radiale. Nella nostra trattazione semplificata, ma corretta, questa ipotesi si ammette sempre vera. In realtà è rigorosamente vera in condizioni nominali, cioè per la portata nominale corrispondente alla velocità di rotazione considerata, quando 1c si ammette radiale per simmetria; in condizioni non nominali

avremo, in realtà, un più o meno modesto valore di u1c1cosα1; va poi ricordato che sarà sempre, comunque, u1 < u2 .

In conseguenza a quanto detto, il momento della quantità di moto in ingresso è trascurabile rispetto a quello in corrispondenza alla sezione di uscita.

Ricordiamo che u D n2

2

60=

π (n = n° di giri al minuto).

Osservando un qualsiasi triangolo di velocità in

uscita possiamo anche scrivere che

c2cosα2 = u2 + w2cosβ2 dove, ricordando che β2

* = π - β2 possiamo sostituire c2cosα2 = u2 - w2cosβ2

*

b2

D2

D1 c0

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IRA 121

Con una semplice manipolazione si ha:

w2cosβ2* = w2sinβ2

* cotgβ2*

ricordando che w2sinβ2

* = w2r = c2r

In definitiva, possiamo scrivere, indicando con ε2 < 1 il coefficiente di ostruzione palare in uscita:

Q = πD2b2ε2 c2r

dove Q è la portata volumetrica in uscita e, se si tratta di una pompa, Q(1) = Q(2), e, dato che ρ = cost segue anche che M = ρQ = cost, da cui Q = cost e infine

w QD b

g2 22 2 2

2cos cot* *βπ ε

β=

Con questi dati la PREVALENZA teorica con numero infinito di pale risulta:

( )[ ] [ ]Hg

u u wg

u u w

gD n D n Q

D b

t

g

∞ = − = − =

=

1 1

160 60

2 2 2 2 22

2 2 2

22

2 2

2 2 22

cos cos

cot

* *

*

β β

π ππ ε

β

è utile porre

160

160

1 1 160

22

2

2 2 2 2 2

gD A

gD

D b g bB

π

ππ ε ε

=

=

=

dove A e B sono costanti geometriche che dipendono, in particolare, da D2 e b2.

Con le assunzioni fatte la formula precedente assume la forma sintetica:

Ht∞ = An2 - B n Q cotgβ2*

dove si vede che a giri costanti Ht∞ varia linearmente con Q; ricordiamo che l’angolo β2

* è un angolo costruttivo.

Possiamo tracciare allora la curva caratteristica della macchina (per la velocità nominale della macchina, ovvero per la velocità del motore accoppiato alla macchina, se trattasi di motore a velocità costante).

Ht∞

Q

An2

β2* > π/2

β2* = π/2

β2* < π/2

n = cost

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Appunti di Macchine 122

Si noti come, per una certa Q, la macchina con pale rivolte all’indietro tenda ad offrire, a parità di tutte le condizioni specificate sopra, prevalenze minori; la macchina con palettatura concava offra prevalenze maggiori.

Purtuttavia vi sono due aspetti negativi che sconsigliano l’impiego di palettature concave se non per macchine di piccola potenza: 1) dai diagrammi delle velocità si vede che c2

conc >> c2conv ; ciò significa che con la c2 di modulo

più elevato si avranno perdite fluidodinamiche maggiori (proporzionali a c2 a parità di diametro ovvero di u) negli elementi statorici (a valle di quello rotorico) nei quali “entrano” c2 elevate che comportano minori rendimenti in sede reale per la presenza di ingenti perdite fluidodinamiche, crescenti, come noto, col quadrato della velocità del fluido.

2) inoltre la deviazione rotorica del fluido è ben maggiore e produce incremento delle perdite

fluidodinamiche rotoriche.

Va pure detto che l’andamento della curva caratteristica di una macchina, ad n = cost, garantisce condizioni stabili di funzionamento solamente nei rami decrescenti della legge Ht∞ - Q; per la stabilità, infatti, la curva caratteristica della macchina deve avere un andamento opposto a quello della curva caratteristica del circuito esterno; per questo motivo la macchina a pale concave non è facilmente utilizzabile; in realtà, cioè in sede reale, per portate maggiori di un determinato valore, anche per la macchina a palettatura concava si ha una curva caratteristica decrescente; però la macchina a palettatura convessa potrà essere utilizzata anche per valori della Q più bassi, essendo più ampio il campo di stabilità

Analizziamo, ora, la 2a approssimazione: Htz = Htz(Q, n)

considerando finito il numero delle pale; dove, a stretto rigore, occorrerebbe un modello bidimensionale. Adottando un modello monodimensionale faremo ricorso a parametri globali:

nel moto assoluto il fluido, per inerzia, tende a mantenere inalterata la propria direzione; nel moto relativo si realizzerà una rotazione opposta a quella della girante; questo fatto si rappresenta nella seguente variazione del triangolo di velocità in corrispondenza della sezione di uscita

il fatto che c2′cosα2′ < c2cosα2 significa che nella sezione di uscita è disponibile un minore momento della quantità di moto e, pertanto, è minore l’energia ceduta all’unità di massa del fluido (minore prevalenza).

u2

c2 c2

' w 2' w2

α2 α 2

'

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IRA 123

Alcuni ricercatori hanno proposto le seguenti espressioni semiempiriche di Htz: BUSEMANN gHtz = kTu2

2 - kAc2ru2(cotgβ2* - cotgβ1

*) dove kT , kA si ricavano da diagrammi, anche se kT ≅ 0,95 = cost , mentre kA = kA(D1/D2 , β2); STODOLA Htz = σ Ht∞

con σπ

µ β= −

1 2

22z

uc u

sin con µ = µ(z , β2) reperibile su tabella o su grafico;

PFLEIDERER fornisce una delle formule più utilizzate:

HH z D

D

t

tz

sin∞ = + ⋅+

1 1 2 1

1

2

1

2

2, β

In definitiva si può sempre porre Htz = c Ht∞ = c(An2 - B n Q cotgβ2*)

Ovvero, in diagramma:

Infine analizziamo la 3a approssimazione (sede reale): la prevalenza reale, H, si misura sperimentalmente, ma possiamo concettualmente esprimerla, secondo il nostro modello monodimensionale semplificativo:

Hz = H = Htz - (HP attr + HP urto) HP attr esprime le perdite fluidodinamiche (attrito) rotoriche e HP urto quelle dovute all’urto fluido/palettatura all’ingresso nel rotore.

Si ha, come per ogni perdita fluidodinamica proporzionale a Q2:

HP attr ≅ kattr Q2 con kattr funzione della geometria del vano palare, velocità in gioco, della viscosità del fluido, ecc.

H

Q

Ht∞

Htz

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Appunti di Macchine 124

Come valutare HP urto ?

In teoria HP urto ≅ 0 quando la tangente al profilo palare coincide con la direzione della velocità relativa, w, in ingresso.

Esiste, allora, per n = cost, una determinata portata Q0 in corrispondenza alla quale HP urto è minima (condizioni nominali) e si ha una legge schematizzabile con:

HP urto ≅ k0 + k1 (Q - Q0)2

dove k0 è un valore molto piccolo (non nullo, per effetto dello spessore palare) e k1 è una costante opportuna, dipendente dalla struttura della macchina. I valori di k0 e k1 potranno essere assegnati concretamente solo dopo una sperimentazione adeguata su prototipo

Il diagramma caratteristico assume il seguente aspetto al variare del numero di giri

Il diagramma a destra mostra come, a parità di n, la soluzione a pale convesse presenta un campo di stabilità più ampio rispetto ad una soluzione a pale concave.

Vediamo ora alcune caratteristiche costruttive relative alla sezione di aspirazione in macchine di notevole rilievo dal punto di vista tecnologico. L’INDUCER protuberanza della palettatura che serve ad allineare, il più possibile, la w1 del

fluido con la tangente al profilo palare di ingresso tenendo presente che la sezione è anulare e la u periferica varia con il raggio, variando di conseguenza la direzione della w1 relativa del fluido.

Q

H

n

Q

H le frecce indicano i campi di instabilità

β2* > π/2

β2* < π/2

H

Q

H = Hz

H = Htz

HP attr

HP urto

β* < π/2

Q0

RICORDARSI: n = cost

b2

D2

D1 c0

u'

u' ' w'0

w' '0

palettatura di prerotazione (fissa) assiale, posta a monte della sezione di aspirazione

n = cost

INDUCER

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IRA 125

PALETTATURA DI PRENOTAZIONE (FISSA) ASSIALE

Grazie ad essa, a parità di componente assiale e dunque di portata si riduce la velocità relativa w del fluido in ingresso; ciò può essere particolarmente utile per macchine destinate ad operare ad elevate velocità relative qualora la w in ingresso sia prossima alla condizioni soniche.

La scelta del numero di pale deriva da una filosofia costruttiva caratteristica di ogni casa costruttrice, sviluppata in base alla propria esperienza: PRO elevato z: Hz → Ht∞ CONTRO elevato z: elevate perdite fluidodinamiche per attrito, esistono formule empiriche che suggeriscono il valore di z:

per POMPE z D DD D

sin=+−

+

6 5

22 1

2 1

1 2,* *β β

con arrotondamento all’intero superiore.

Per COMPRESSORI: formula ASME (U.S.A.) z = 10 + 0,75 D2 dove D2 è espresso in pollici.

Inoltre ci si attiene a valori del rapporto: D2/D1 = 1,4 ÷ 1,8. L’elemento statorico, che si trova all’uscita della girante, è costituito, a seconda dei casi, da due o tre

parti: - diffusore liscio, (sempre presente) - diffusore palettato, (presente solo in macchine di tecnologia più raffinate) - diffusore a spirale o cassa a spirale, (sempre presente) la cui funzione fondamentale è quella di collettore alla mandata.

Il diffusore palettato può non esistere, in quanto oneroso, e si adotta solo per macchine di livello superiore, più costose e capaci di offrire prestazioni migliori.

Se facciamo una sezione con un piano trasversale, possiamo vedere le singole parti statoriche al di là

del rotore nel diffusore liscio il fluido trova una camera (anulus) nella quale la sezione d’ingresso è la (2), quella di uscita la (3) e si muove secondo le proprie tendenze naturali.

In quali condizioni termodinamiche e cinematiche si troverà il fluido nella sezione (3) ?

ANULUS

Diffusore palettato

Diffusore liscio

D3

D2

Cassa spirale

D5

D4

Sezione cilindrica

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Appunti di Macchine 126

Si può effettuare una analisi fluidodinamica, con un modello bidimensionale, piano della figura, (se si vuole un’analisi più attendibile, per la presenza di fenomeni di estremità, si dovrebbe effettuare un’analisi tridimensionale); prescindendo dagli attriti (sede limite) ci si può riportare ad un modello monodimensionale commettendo due errori che fra loro fortunatamente si compensano.

Ingrandiamo l’elementino fluido che percorre l’ANULUS

dFc è la forza elementare centrifuga e dFp è la forza elementare di pressione; l’elementino di massa fluido è:

dm = ρ dV dove: dV = db dr r dϕ (per unità di profondità in direzione assiale) quindi

dm = ρ r dr db dϕ ma

d dF cr

mcu≅2

si ha, dunque

d d d d d d d dF m cr

b r r cr

b r ccu u

u≅ = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ = ⋅ ⋅ ⋅ ⋅2 2

2ρ ϕ ρ ϕ

tenendo conto che ad r corrisponde p e ad r + dr corrisponde p + dp, possiamo valutare

dFp = - dp(db r dϕ)

per l’equilibrio radiale dell’elementino, trascurando, in prima approssimazione, il termine dovuto all’inerzia, si ricava

d d d dF F r pp c+ = ⋅ ⋅ = ⋅0 r cche diventa u2ρ

da cui

ddp rr

cu= ρ 2

Analizziamo l’efflusso nell’ANULUS attraverso l’equazione dell’energia in forma meccanica dL = dp/ρ + cdc + gdz + dLp

dunque, nell’ipotesi di sede limite

dp/ρ + cdc = 0 e, con l’approssimazione di c ≅ cu

dr

db

dFc

dFp +

r

c

cu

cr

*

**

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IRA 127

possiamo scrivere, eguagliando le formule

dr/r = - dc/c che, integrata, fornisce ln r + ln cu = cost ed anche ln (cu r) = cost quindi cu r = cost = A = cu2 r2 dove cu2 = c2 cosα2 .

La cu r = cost è detta LEGGE del VORTICE LIBERO.

La stessa legge si sarebbe dedotta con un modello rigoroso bi-dimensionale. I due errori dovuti al trascurare la forza d’inerzia radiale e l’approssimazione c ≅ cu si sono “compensati” tra loro.

Scriviamo l’equazione della portata, M, in una sezione intermedia tra le sezioni (2) e (3):

M = ρ cr 2π r b = cost se ρ b ≅ cost il che significa b = cost per una pompa, in quanto ρ = cost vale anche la

cr r = cost In sintesi possiamo scrivere

cu r = cost cr r = cost

Considerando le sezioni estreme

cu2/cu3 = cr2/cr3 ovvero, nell’intero ANULUS in cui il fluido diffonde a valle del rotore, i triangoli di velocità si mantengono simili tra loro cr/cu = cost significa α = cost in particolare α = α2 e le traiettorie delle particelle fluide sono quindi spirali logaritmiche.

Il diffusore palettato, quando presente, può essere disegnato conformemente alla legge del vortice libero; alcune volte però i costruttori disegnano le pale in maniera che la decelerazione del fluido (e quindi l’incremento di pressione) sia più rapida, ovvero si realizzi entro diametri più limitati, a vantaggio della riduzione dell’ingombro radiale della macchina.

(2)

(3)

c2

c3

cu2 cu3

cr2 cr3

α

* **

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Appunti di Macchine 128

Indicando con (3) la sezione di uscita del diffusore liscio e con (4) la sezione di uscita del diffusore palettato ci si attiene ai criteri di proporzionamento seguenti:

D3/D2 = 1,1 ÷ 1,2 e D4/D3 ≅ 1,3

il numero delle pale del diffusore palettato può venir preventivato secondo il criterio americano:

z DD

diff pal. .,

=−

2 75

15

4

ω

Esempi di palettatura del diffusore palettato (sezioni 3 – 4). Rimane da analizzare la CASSA a SPIRALE. Questa è sempre presente nelle macchine monostadio; nelle macchine pluristadio la voluta interessa la

mandata relativa all’ultimo stadio mentre saranno presenti dei canali fissi di collegamento tra la mandata di uno stadio e l’aspirazione del successivo.

Se il diffusore palettato non è presente, la CASSA a SPIRALE è presente subito dopo il diffusore liscio.

Quale criterio si adotta per il dimensionamento della CASSA a SPIRALE ?

Il criterio più classico è quello di proporzionalità angolare della portata:

QQ

π=

2

ovvero

d dQ Q Qθ π=

2

Ciò che si vuole conoscere è la legge r = r(θ) tramite la quale si definisce la geometria della cassa al variare di θ tra 0 e 2π.

θ

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IRA 129

Possibili soluzioni costruttive sono indicate in figura:

Si ha dunque dQθ = cu b dr

se vale l’ipotesi del vortice libero cu r = cost = A si ha

dQθ = A b dr/r da cui

dd dQQQ Q

Ab rr

= =2 2π

πθ

che diventa

∫π

=r

rrif

rdrbA

Q2Q

se b = cost (caso particolare della sezione rettangolare) si ha:

rifrrlnAb

Q2Q π

=

Col raggio di riferimento rrif si intende, ovviamente, r3 nel caso di assenza del diffusore palettato e r4 nel caso di sua presenza.

Questo criterio di dimensionamento non produce effetto di diffusione della CASSA a SPIRALE mentre consente esclusivamente il ruolo di collettore.

per limitare l’ingombro radiale

b

r

dr

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Appunti di Macchine 130

PROBLEMI di INSTALLAZIONE delle POMPE CENTRIFUGHE

È necessario effettuare, in sede di progetto di un impianto, il controllo dell’altezza di aspirazione di ogni pompa, al fine di verificare che la pressione locale del liquido all’aspirazione sia superiore alla tensione del vapore corrispondente alla temperatura di esercizio.

Se così non fosse si produrrebbero localmente bolle di vapore che, implodendo sulla zona più depressa della palettatura, martellerebbero continuamente la sua superficie con formazione di vaiolature destinate alla progressiva distruzione delle pale.

Per le turbine idrauliche, evidentemente, il problema si presenta non all’aspirazione ma alla mandata della macchina, ove la pressione è minore.

Il fenomeno prende il nome di cavitazione ed è estremamente difficile studiarlo a mezzo di modelli simulativi.

Esaminiamo il caso più semplice costituito da un serbatoio a pressione atmosferica con una pompa posta ad una altezza zA > 0 sul pelo libero. Il liquido sia acqua.

Dall’equazione di Bernoulli, in forma generalizzata (eq.ne dell’energia in forma meccanica), nell’ipotesi di moto permanente, si ha:

pg

pg

cg

z Li A AA p iρ ρ

= + + +2

2 ,Ag

essendo nullo il lavoro tecnico e ρ = cost; si ricava:

pg

pg

cg

z LA i AA p iρ ρ

= − − −2

2 ,Ag

ipotizzando, a sfavore della sicurezza, di trascurare i termini c

gA2

2 e Lp i A,

g , si vede come si perda

pressione con l’aumentare della quota zA di aspirazione della pompa. Esiste, quindi, una altezza di aspirazione al di là della quale non si può andare; nel caso in esame, essendo pi = 1 bar, l’altezza limite è, al massimo, di 10 metri, a cui corrisponderà pi = 0.

Per una corretta installazione della pompa è necessario verificare il valore di un parametro convenzionale (di origine U.S.A.) che misura il CARICO NETTO POSITIVO all’ASPIRAZIONE, Net Positive Suction Head, il cui simbolo è

(NPSH)A dove A sta per AVAILABLE, cioè disponibile.

B

A

zA

z

i

sez. i

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IRA 131

Esaminando il caso di un’apparecchiatura in pressione (o in depressione) qualsivoglia, si definisce:

( )NPSH p pg

cgA

A v A=−

2

2

l’(NPSH)A fornisce, in termini di altezza della colonna di liquido, il sopravanzo di pressione, rispetto alla tensione di vapore alla sezione di aspirazione, del carico totale

(quello statico, g

pA

ρ, più quello cinetico,

cgA2

2).

È comodo, poi, esprimere l’(NPSH)A applicando l’eq.ne dell’energia fra le sezioni (i) e (A), nella forma:

( )NPSH p pg

z LA

i vA p i

=−

− −ρ ,A

g

dove pi è la pressione di esercizio dell’apparecchiatura;

pv è la tensione di vapore, nota se è noto il fluido e la sua temperatura di esercizio; Lp i,A è valutabile conoscendo la lunghezza della linea (in termini di lunghezza

equivalente) e il suo diametro, nonché la portata di fluido.

Il caso più “drammatico” è quello in cui la pompa aspira liquido in presenza del suo vapore saturo (come ad es. nelle P.E. e P.A. di un impianto a vapore); in questo caso l’(NPSH)A è negativo, per cui si è obbligati ad installare la pompa sotto battente (zA < 0) allo scopo di recuperare il battente stesso (v. figura seguente). Generalmente, se si ha a che fare con temperature elevate si preferisce quest’ultima soluzione, anche se la pressione pi è elevata.

B

A

zA

z

i

sez. i

B A zA

i

sez. i

( > 0 )

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Appunti di Macchine 132

Di quanto l’(NPSH)A deve essere positivo ? Il costruttore deve fornire il suo (NPSH)R, REQUIRED, ovvero l’NPSH richiesto, che egli ha valutato

sperimentalmente per la sua pompa.

Ricordiamo che (NPSH)A è calcolato dal progettista dell’impianto; (NPSH)R è valutato dal costruttore della pompa.

Il valore di (NPSH)R esprime l’entità della depressione che si verifica, in seno alla macchina, tra la sezione (A) alla flangia e la zona più depressa della macchina, prossima alla zona più a monte della prima palettatura.

L’andamento di (NPSH)R è del tipo indicato in figura. Talvolta l’(NPSH)R viene fornito nella forma

(NPSH)R = Φ w12/2g

dove w1 è la velocità relativa del fluido in corrispondenza alla sezione di aspirazione; in tal caso il

costruttore provvede a fornire le modalità di calcolo di Φ.

In definitiva, affinché sia evitato il fenomeno della cavitazione, il “carico disponibile” dovrà essere maggiore del “carico richiesto” all’aspirazione:

(NPSH)A > (NPSH)R

cioè la massima “sovrapressione” alla sezione di aspirazione rispetto alla tensione di vapore, alla temperatura di esercizio, in termini di altezza della colonna di liquido, deve essere superiore alla massima “depressione” tra la sezione di aspirazione e la zona più depressa in corrispondenza della palettatura rotorica. In tali condizioni si è garantiti dell’assenza di cavitazione, per produzione di vapore, in qualsiasi zona della macchina.

H

Q

Φ

(NPSH)R

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IRA 133

Comportamento delle pompe in serie ed in parallelo.

Se si vuole aumentare la portata del sistema, per qualsiasi esigenza di processo, si possono installare due pompe in parallelo, inserendo nel circuito, ad es., una pompa identica a quella originaria.

Il problema è quello di valutare la condizione di esercizio del sistema costituito dalle due pompe identiche e rotanti allo stesso numero di giri.

Se la caratteristica del c.e. fosse una retta orizzontale (trascurando le perdite di carico nelle due linee) la portata si ripartirebbe al 50%; in realtà la caratteristica del c.e. ha un andamento proporzionale a Q (a stretto rigore si dovrebbe aggiungere alla Leq una Leq

* che tenga conto della diversa configurazione del c.e. per effetto del parallelo). Dal diagramma si vede che la portata aumenta ma non si raddoppia (Q2 < 2 Q1), a seguito dell’inserimento del parallelo, per effetto dell’andamento delle perdite di carico nel c.e..

Consideriamo, in modo analogo, la disposizione di due pompe poste in serie:

come si vede la portata e la prevalenza aumentano in misura più o meno rilevante. Se per motivi di esercizio deve aumentare la prevalenza utile del c.e., come nel caso di figura, che si riferisce al raddoppio (Hu

’ = 2 Hu), la pratica dell’inserimento della seconda pompa in serie consentirà di soddisfare tale esigenza variando di poco la portata rispetto alla situazione di pompa unica.

i f

H

Q

Hu

Hc.e. = Hu + kc.e. Q2

n = cost

Q1 Q2

P1

P2

c.e. id

c.e.

H

Q

Hu

Hc.e. = Hu + kc.e. Q2

n = cost

Q1 Q2

P1

P2

c.e. id

c.e.

2Hu

2Hu

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Appunti di Macchine 134

Per l’installazione di due pompe in serie sarà necessario l’inserimento di un elemento compensatore, posto tra le due pompe, che garantisca il mantenimento di una pressione controllata all’aspirazione della seconda pompa (v. figura). Si eviterà così la possibile cavitazione della seconda pompa, che si avrebbe quando, per una causa qualsiasi (ad es. una differenza positiva, anche minima, tra la ω della seconda pompa e la ω della prima) si provocasse un calo di pressione nella linea intermedia (BA’). Nel caso delle pompe di estrazione e di alimento degli impianti a vapore, l’elemento compensatore è costituito dal degasatore, il cui esercizio ha luogo a pressione controllata.

(i) (F)

pcontr

A B A’ B’

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IRA 135

REGOLAZIONE della portata in TURBOPOMPE e TURBOCOMPRESSORI

Per modificare la Q di una macchina operatrice centrifuga si hanno diverse soluzioni. Se si dispone di un motore a numero di giri variabile (motore termico o motore elettrico in c.c.) si può modificare la curva caratteristica della macchina in funzione del numero di giri del motore; tale circostanza non è però sovente realizzata nelle pratiche situazioni.

È possibile (almeno teoricamente) passare dalle condizioni di funzionamento stabile ad un determinato numero di giri n1 (punto 1) alle condizioni di funzionamento stabile ad un numero di giri maggiore, con aumento di Q, nelle condizioni ottimali di rendimento (punto 2) lungo la curva isorendimento.

Altro modo di regolare la portata è quello di disporre di una palettatura di prerotazione a calettamento variabile posta a monte del 1° stadio; il dispositivo può essere utile sia per le macchine centrifughe che per quelle assiali.

A volte si opera sul diffusore palettato, sempre con un calettamento variabile delle pale (ma con una riduzione del rendimento perché non è possibile attuare il calettamento variabile della palettatura rotorica in una macchina centrifuga) riuscendo a modificare la portata.

Un ulteriore metodo, molto semplice, è lo strozzamento del fluido attraverso un’apposita valvola posta sulla linea di mandata che impone una maggiore spesa di energia perché si aumentano le perdite del circuito esterno (questa regolazione si adotta per macchine di potenza limitata, il cui rendimento non è molto vincolante ai fini dell’economia di esercizio).

Altro metodo è quello di ricircolare a monte la portata “esuberante” mantenendo inalterato il regime

della macchina, inserendo, se necessario, uno scambiatore per la refrigerazione del fluido a valle della valvola (v. fig.)

H

Q Hu

Q1 Q2

P1

P2

c.e. id

c.e.

∆Hc.e.

n1

n2

n

η

H

Q

linea di POMPAGGIO o SURGE LINE

funzionamento instabile

Curve caratteristiche

Curve isorendimento

mandata aspirazione utilizzatore

refrigeratore

recupero del fluido, se costoso

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Appunti di Macchine 136

MACCHINE OPERATRICI VOLUMETRICHE

I COMPRESSORI ALTERNATIVI (CA) sono una tipica macchina “statica” come lo sono tutte le macchine volumetriche; la struttura di un CA è, geometricamente e cinemati-camente, molto simile a quella di un motore alternativo a combustione interna, essendo basato sul sistema biella/manovella e sulla coppia cinematica stantuffo/cilindro. Il CA è l’unica macchina che presenta un rendimento volumetrico macroscopicamente inferiore all’unità, anche in sede limite, non a causa delle fughe di fluido attraverso le tenute (che pure esistono) ma per le leggi di chiusura e apertura delle valvole imposte dalla comprimibilità del fluido. Il rendimento volumetrico di un CA è, dunque, connesso con i volumi a disposizione del fluido nelle varie fasi lungo le quali il fluido lavora. Supponiamo inizialmente nullo il volume nocivo (Vn), ovvero il volume a disposizione del fluido al punto morto superiore, il che non è vero neppure in sede limite.

s4DV

2π=

D= diametro dello stantuffo (alesaggio) P.M.S. = punto morto superiore P.M.I. = punto morto inferiore V è il volume corrente occupato dal fluido ed s è la corsa dello stantuffo. Nei compressori alternativi, ordinariamente, le valvole di aspirazione e scarico sono automatiche; P1 è la pressione di taratura della valvola di aspirazione, P2 è la pressione di taratura della valvola di scarico.

Indichiamo con 0 - 1 fase di aspirazione o immissione 1 - 2 fase di compressione (unica trasformazione termodinamica vera e propria). 2 - 2* fase di scarico forzato

È opportuno ricordare che, in realtà, il volume nocivo, Vn , non può essere nullo neppure in sede limite; ciò perché si deve tenere conto della presenza delle valvole sul cielo del cilindro, contro le quali lo stantuffo verrebbe ad urtare al termine di ogni giro di manovella; non solo, ma anche quando si prescinde dalla presenza delle valvole è evidente che, per effetto degli inevitabili giochi meccanici del manovellismo, lo stantuffo urterebbe contro la testa del cilindro con le catastrofiche conseguenze che è facile immaginare.

P.M.S. P.M.I.

A

S

Vc

cilindrata

V, s

P1

P2 2*

0 1

2 P

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IRA 137

Operando in sede limite, trascurando le irreversibilità di 1a specie e trascurando i termini dEcin e dEpot l’equazione dell’energia in forma meccanica ci permette di valutare il lavoro richiesto dal CA (evidentemente per un singolo giro di manovella e per unità di massa del fluido elaborato):

[ ]L dp kk

p kk= =

−−∫

ρ ρβ

1

21

111

1

dove β =pp

2

1

è il rapporto manometrico di compressione.

Osserviamo, inoltre, che se Vn = 0, vale a dire il volume nocivo è nullo, allora il rendimento volumetrico, definito come rapporto tra la massa di gas effettivamente elaborata ad ogni giro di manovella e quella che sarebbe elaborata se il volume nocivo fosse nullo, sarebbe unitario, (ηV = 1); infatti:

1V

VVVV

c

01

aspirabile

aspiratoV =

−==η

L’impossibilità di considerare, anche in sede limite, un volume nocivo nullo ci conduce ad un diverso

diagramma di lavoro del compressore:

Questa volta il diagramma di lavoro del compressore presenta una fase in più, che corrisponde ad una trasformazione: la fase di espansione (2*–1*) del fluido che, alla fine dello scarico forzato, è rimasto imprigionato nel cilindro. Ovviamente, si ha, per il diagramma di lavoro: 1* – 1 FASE di aspirazione (valvola di aspirazione aperta) 1 – 2 TRASFORMAZIONE di compressione 2 – 2* FASE di scarico (valvola di scarico aperta) 2* – 1* TRASFORMAZIONE di espansione

P.M.S. P.M.I.

A

S

Vc

V, s

P1

P2 2*

0 1

2

P

1*

Vn

volume nocivo

espansione adiabatica - isoentropica

compressione adiabatica - isoentropica

fase di scarico forzato

fase di aspirazione

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Appunti di Macchine 138

La valvola di aspirazione si apre quando la pressione nel cilindro si abbassa alla pressione di taratura p1 della valvola stessa; la valvola di scarico, analogamente, si apre quando la pressione nel cilindro si eleva alla pressione di taratura p2 della valvola stessa.

Il diagramma tracciato è un diagramma di lavoro ma non rappresenta assolutamente un ciclo termodinamico; infatti, sul piano (p - v) tale diagramma, si ridurrebbe all’unica trasformazione (1 – 2) percorsa nei due sensi ((1 – 2) compressione adiabatica-isoentropica, (2* - 1*) espansione adiabatica-isoentropica).

Il rendimento volumetrico è

ηVaspirato

aspirabile c

VV

V VV

= =−1 1*

Si ha, poi, ricordando che V1 - Vn = Vc

( ) ( )

ηVc

n n

c

n

c n

V VV

V V V VV

VV

VV

=−

=− − −

= − −

1 1 1 1 11 1* * *

il rapporto VVn

1* dipende da β e dal tipo di trasformazione che il fluido subisce:

ricordando che l’equazione di Poisson per l’adiabatica-isoentropica (2* - 1*) è pVk = cost dove V è il volume occupato dal fluido, pari ad mv dove m è la massa di gas intrappolata nel cilindro, possiamo scrivere

k/1

k/1

n

1

1

2

pp

VV * β==

in definitiva, in sede limite, il rendimento volumetrico è

( )η βVn

c

VV

k= − −1 11

dove VV

n

c

= ÷2 5 % kcc

p

v

= β =pp

2

1

.

Se poniamo ηV = 0 otterremo un valore β molto elevato:

5030 ÷=β

fino a questo valore di β si può pensare di comprimere il fluido impiegando un unico stadio.

In realtà si prefissa, per un singolo stadio: β = 2 ÷ 3 per grandi compressori con elevate portate da smaltire ed elevate potenze in gioco;

β = 3 ÷ 4 per compressori di taglia media.

Tale scelta progettuale è fatta per evitare rendimenti volumetrici troppo bassi, che limiterebbero eccessivamente, a parità di velocità angolare dell’albero e a parità di cilindrata, portate troppo modeste.

1 1*

2 2*

P

v

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IRA 139

Ponendo nullo ηv (punto 2 coincidente con 2 , V2 = V0) si ha il valore di β β= :

VV

n

c1k1

=−β

k

n

1

k

VV

VV1

n

c

==β

+

In corrispondenza al valore 2P le fasi di

aspirazione e scarico non esistono più, riducendosi l’intero diagramma di lavoro alle due sole trasformazioni termodinamiche di compressione ed aspansione del fluido (coincidenti sul piano (P – V)); il CA, dunque, comprime ed espande sempre la medesima quantità di fluido e lo fa (in sede limite) in assenza di perdite; in queste condizioni il volume aspirato è nullo ed è, pertanto, nullo il rendimento volumetrico del CA.

Osserviamo che è

Vasp = V1 - V1*

masp = ρ0 (V1 - V1*) = m La portata utile è

( )M V n V V nc v= = −ρ η ρ0 0 1 160 60*

questa portata viene ad essere tanto più penalizzata quanto minore è il rendimento volumetrico della macchina.

Per ottenere funzionamenti con rendimenti volumetrici notevoli si usano, come già detto, β molto inferiori al β e si utilizzano più cilindri disposti in serie al fine di raggiungere un β totale corrispondente alle esigenze di processo (si ricorda che il numero di giri è quello max ammissibile in funzione della resistenza meccanica degli organi costituenti il manovellismo!)

Se immaginiamo di comprimere in più stadi in serie con β = 3 per ogni cilindro, la pressione del gas

passerà a 3, 9, 27, 81 ....bar; ammettendo di partire con aria a T1 ≅ 300 K e ricordando che TT

kk2

1

1=

−β

con k = 1,4 βtot = 3z , se i β parziali (βi) sono tutti uguali e se z è il numero di cilindri disposti in serie, in assenza di interfrigerazione si ha

β T2 (°C) 3 138 9 248 27 359 81 470

per β molto elevati si hanno temperature finali di compressione (T2) inaccettabili: alla fatica meccanica degli elementi mobili del compressore si sovrappone una fatica termica; all’aumentare della temperatura vi è poi una riduzione della viscosità del lubrificante e quindi viene meno la sua stabilità chimica. Per questi motivi si dovranno avere non solo β limitati nei singoli cilindri ma si dovrà anche interrefrigerare il fluido tra un cilindro ed il successivo.

V, s

P1

P2 2*

0 1

2

P

1* 1’* 1’’*

2’

2’’

P’2

P’’2

2

1

2P

P

Pβ ⇔=

2

β crescenti

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Appunti di Macchine 140

In sede reale le cose vanno ancora peggio:

le temperature di fine compressione sono maggiori, a parità di β in sede reale rispetto alla sede limite.

Frazionando la compressione in più stadi disposti in serie e interefrigerando il fluido tra stadio e stadio si otterranno i seguenti vantaggi:

• migliori rendimenti volumetrici, con un buon sfruttamento della cilindrata della macchina; • si tutela la vita della macchina e del lubrificante; • si risparmia lavoro di compressione. Prima di discutere i vantaggi dell’interrefrigerazione tra uno stadio e l’altro consideriamo l’andamento del diagramma di lavoro reale del CA:

in sede reale avremo uno spostamento delle due trasformazioni di espansione e di compressione per effetto delle irreversibilità di 1a specie ovvero, ammesso ancora adiabatico il processo, avremo una maggiore dilatazione del fluido in espansione e in compressione; le fasi di aspirazione e scarico sono caratterizzate da perdite di carico che possiamo visualizzare sul diagramma. Il diagramma reale non è mai calcolato per questo tipo di macchina, ma è rilevato sperimentalmente tramite un indicatore 1, l’area del diagramma indicato è il lavoro indicato della macchina che non è specifico, cioè riferito all’unità di massa, ma relativo all’intero diagrammma di lavoro.

Il rendimento di compressione è, con buona approssimazione,

i

l

i

specifico lc P

PL

L m==η

1 Come avviene nei MCI per il tracciamento del diagramma indicato.

T

S

p1

p2

1

2

2’

lavoro indicato (lavoro speso in sede reale)

Ll specifico (cioè Ll /massa elaborata in ogni diagramma di lavoro)

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IRA 141

dove m = ρ0Vcηv è la massa di gas utilizzata in sede limite e la potenza indicata è

P L ni i=

60 con n giri/min

così come

m60nLP ll =

Ciò che interessa maggiormente è il rendimento globale che terrà conto e del rendimento di compressione e del rendimento meccanico della macchina (prodotto dei rendimenti delle varie coppie cinematiche in serie).

Si ha, dunque

ηmiP

P=

ed il rendimento globale del compressore

η η ηgl

c mC

PP

= =

La conoscenza di ηgC

è fondamentale per la scelta del motore che muove il compressore. Il calcolo di massima di un compressore si può fare considerando che la portata in massa sia

M V nv c= ρ η0 60

(kg / s)

la cilindrata, per una macchina ad un solo cilindro, è

V D cc =π 2

4

dove c è la corsa totale, pari a s1 – s0. La macchina è dimensionata assegnando un valore alla velocità media dello stantuffo (più elevata per le

macchine piccole; più bassa per le macchine grandi) che sarà:

u cnm =

260

um = 10 ÷ 15 m/s, velocità media dello stantuffo.

La velocità media dello stantuffo dipende, evidentemente, dalla scelta dei materiali (a parità di diametro e di corsa) costituenti lo stantuffo e le articolazioni di manovella; ciò perché i sistemi alternativi, come ben noto, scaricano sulle parti fisse della macchina forze d’inerzia ingenti.

È opportuna una precisazione. Il termine “volume nocivo” è giustificato nel senso che, a causa del volume nocivo Vn, a parità di giri e di cilindrata, la portata è penalizzata in ragione di ηv e quindi, a parità di giri e di ingombro della macchina, si trasferisce all’utenza minore quantità di fluido compresso per unità di tempo. Dal punto di vista energetico, in sede limite, Vn non è “nocivo”: infatti il lavoro di espansione della massa intrappolata a fine scarico restituisce integralmente il lavoro di compressione speso sulla massa medesima. In sede reale, invece, tale restituzione non è al 100% poiché viene pagato un rendimento di espansione ed uno di compressione.

Per quanto riguarda le soluzioni costruttive accenniamo brevemente ad alcune che sono le più frequenti

sul piano industriale. Prima di vedere ciò vediamo come, talvolta, si ha la necessità di frazionare la compressione in più stadi,

ovvero in più cilindri posti in serie tra loro, dotando l’interfaccia tra uno stadio e l’altro di interrefrigerazione al fine di conseguire gli obiettivi prima elencati.

potenza fornita dal motore applicato al CA

Ll specifico *(massa elaborata in ogni diagramma di lavoro)

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Appunti di Macchine 142

Vediamo cosa accade in sede limite (ma lo stesso potrebbe dirsi in sede reale):

Supponiamo di frazionare la compressione in due stadi o in due gruppi di stadi e di interefrigerare tra stadio e stadio o gruppo e gruppo; in corrispondenza all’interfaccia tra i due gruppi si invia il fluido ad uno scambiatore (di superfice infinita in sede limite) nel quale esso si raffredda isobaricamente (fase 2* - 1’) sino alla temperatura T1’ e quindi si effettua la 2a compressione (1’ - 2’) nel secondo gruppo di stadi ottenendo una temperatura massima T2’ ben inferiore alla T2 ma alla medesima pressione p2 (l’utente, in genere, vuole infatti fluido compresso ma non riscaldato); il lavoro di compressione è, per unità di massa di fluido compresso, evidentemente inferiore; il risparmio è quello corrispondente all’area (1’ 2’ 2 2*) tenendo conto della nota rappresentazione, nel piano (T,S), del lavoro adiabatico nel caso di gas perfetto.

Intensificando il frazionamento ovvero l’interrefrigerazione, riducendo via via i β parziali, il risparmio di lavoro di compressione è progressivamente sempre maggiore e nel contempo si riduce sempre più anche la temperatura del fluido al termine della compressione totale.

Il vantaggio conseguito in sede reale è analogamente rilevante; occorrerebbe però tener conto che la temperatura T1’ di fine refrigerazione sarà maggiore di T1 per effetto dell’efficienza dello scambiatore, che è minore di 1, dal momento che la superficie di scambio è finita.

1

2

2* 1*

2’

1’

T

S

A B

L c T dTpT

T

= ∫ ( )1

2

1

2

2* 1*

2’

1’

T

S A B C D E

L c T dTr pT

T

= ∫ ( )1

2

dove il punto 2 non è lo stesso del caso limite

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IRA 143

Vediamo di quantificare il risparmio di energia: in sede limite, con k = cp / cv si ha

[ ]L c T dT kk

pp

T

T

totk

k= =−

−∫−( )

1

21

111

1ρβ

Se interrefrigero:

[ ]∑ ∑∫=

−βρ−

==−

z

1ii

1

1T

Tpr/i 1p

1kkdT)T(cL m

1m'2

1

dove z è il numero di stadi o di gruppi di stadi presenti e βi è il rapporto di compressione parziale; sarà:

β βtot i

z

= ∏1

e se i βi sono tutti uguali: β βtotz= avendo posto βi = β.

Non sempre questa soluzione è adottata; in tale caso si avrebbe:

( )[ ]1RT1k

kzL m1m

z1

tot1r/i −β−

=−

I risultati che si ottengono adottando la tecnica della interrefrigerazione sono molto confortanti:

partendo da una T1 = 300 K ed utilizzando un β = 3 per ciascuno stadio possiamo comporre la seguente tabella:

β z λ = L/cpT1 ∆( L/cpT1) % t2 (°C) 3 1 9 2 0.875 15.6 248.3 27 3 1.567 29.3 359.1 81 4 2.514 41.3 469.9

243 5 3.811 51.6 580.6 729 6 5.588 60.3 691.3

nella quarta colonna si evidenzia il risparmio del lavoro di compressione che si ottiene interefrigerando.

Un β = 3 consente rendimenti volumetrici piuttosto elevati (≈ 95 %) ; richiede un numero di cilindri limitato e consente una buona interrefrigerazione con una limitata temperatura finale del fluido compresso. Di solito, negli impianti chimici di sintesi si ha la necessità di lavorare con β di stadio più ridotti.

Si osservi che con z = 6 e con interrefrigerazione si arriva a T2 = 137.6 °C mentre, dalla tabella precedente, in assenza di interrefrigerazione, si arriverebbe ad una temperatura di fine compressione pari a circa 690 °C.

Quale rendimento il tecnico deve adottare qualora la sua macchina sia interrefrigerata ?

( )ηad

s

r i r

LL

=/

Il rendimento adiabatico può usarsi anche nel caso di macchina interrefrigerata; tuttavia non avrebbe molto senso confrontare il lavoro reale in una macchina interrefrigerata laddove si hanno risparmi di energia rilevanti, rispetto al lavoro reale calcolato in assenza di interrefrigerazione, con il lavoro isoentropico fra 1 e 2.

Osserviamo che con β = 1 , interefrigerando con compressioni parziali infinitesime, la curva di compressione tende all’isoterma.

La compressione limite di riferimento, per il compressore interrefrigerato, non è pertanto l’adiabatica isoentropica, quanto l’isoterma reversibile.

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Appunti di Macchine 144

Il tecnico utilizza, dunque, per i propri calcoli, nelle macchine interrefrigerate, il RENDIMENTO ISOTERMO:

( )( ) ( ) totcostT

i/rr

costTisot lnβ RTL ;

LΣL

η == ==

ll

dove T è la T1 di ingresso del fluido e il lavoro reale di compressione è la somma di tutti i lavori reali.

Il rendimento ηpol , con m del gas come esponente, conserva la propria funzione di indice del livello tecnico e tecnologico della macchina.

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IRA 145

Esempi di soluzioni costruttive adottate per i compressori alternativi: SOLUZIONE CON CILINDRO A SEMPLICE EFFETTO CILINDRO A DOPPIO EFFETTO (2 stadi in parallelo con sfasamento di 180 ° ), la portata è pressochè doppia a parità di ingombri geometrici SOLUZIONE CON PISTONE A GRADINO (2 stadi funzionanti in serie)

Una soluzione analoga, in termini di prestazioni, è quella con PISTONE DIFFERENZIALE (2 stadi funzionanti in serie, ma con sfasamento di 180°)

P.M.S.

P.M.I.

A S

Vc cilindrata

A S

A S

la tenuta è effettuata sull’asta, di piccolo diametro, che si impegna sulla testa-croce

A S camera di A.P.

camera di B.P.

condotto di travaso del fluido

eventuale refrigerazione intermedia

A S

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Appunti di Macchine 146

SOLUZIONE CON PISTONE A GRADINO, molto adottata in passato (3 stadi funzionanti in serie): se β = 3, βtot = 27

Per quanto concerne la disposizione strutturale della macchina, le soluzioni normalmente adottate sono innumerevoli: assi verticali o orizzontali dei cilindri, soluzioni a V, talvolta a VV e, abbastanza frequentemente (soprattutto nel caso di una macchina a 2 o 4 cilindri) la disposizione ad L. La scelta tra macchina verticale, orizzontale, con cilindri a V tiene conto di numerosi fattori tra cui l’ingombro in pianta ed in elevazione, la facilità di ispezionamento, il comportamento dinamico del piping (rete tubiera dell’impianto), le forze dinamiche trasmesse dal compressore, etc..

A S

camera di A.P.

camera di B.P.

S A la tenuta si effettua su un diametro maggiore, perciò la soluzione è adatta per macchine di piccola taglia

camera di A.P.

camera di B.P.

Asp.

camera di M.P.


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