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MADAME STORIA LADY SCRITTURA -...

Date post: 18-Feb-2019
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Enzo Golino MADAME STORIA & LADY SCRITTURA Saggi Cronache Interviste Le Lettere
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Enzo Golino

MADAME STORIA&

LADY SCRITTURASaggi Cronache Interviste

Le Lettere

Prima viene il testo

1. «La differenza del Petrarca rispetto a Dante è stata dal Foscolo attribuitaalla diversità dei tempi, ai cinquant’anni che separano l’uno dall’altro, e chedovevano produrre la poesia robusta ed energica di Dante e, in contrasto,quella gentile e adorna del Petrarca. Ma, in verità, né i cangiamenti di qual-che re o di qualche papa bastano a indurre un cangiamento generale neitempi, né la differenza del Petrarca rispetto a Dante è nel tempo diverso,sibbene nella diversa situazione in cui egli si colloca. Anzi, la concezionedell’amore è comune ai due poeti, il che mostra che i tempi loro non dove-vano essere tanto diversi: entrambi sono lontani così dall’astrattezza comedall’amore sensuale; per entrambi la donna è via alla virtù e a Dio. Ma inDante c’è maggiore spontaneità, nel Petrarca maggiore riflessione; il primoè più poeta, il secondo migliore artista; nel primo è forza, affetto e talorascorrettezza e ruvidezza di lingua; nel secondo, spirito, eguaglianza, corre-zione; nel primo armonia, nel secondo melodia»1.

Queste parole non sono il credo estetico di un arrabbiato formalista, diun invasato difensore dell’autonomia della letteratura, ma esprimono un lu-cido pensiero di Francesco De Sanctis, il critico e storico letterario intriso diumori storicisti, interessi politici, impulsi civili. Con la prensile duttilità delsuo ingegno, De Sanctis aveva capito che non sono i grandi eventi della Sto-ria a segnare le tappe fondamentali della Letteratura in quanto essi si succe-dono in una serie parallela – ma non necessariamente convergente – allecreazioni letterarie. Era una intuizione ben in anticipo sulle più articolate ri-flessioni espresse negli anni fra il 1915 e il 1930 dal gruppo russo-ceco deiformalisti a proposito dei rapporti fra Storia e Letteratura con annessi pro-blemi teorici riguardanti evoluzione, mutamento, metodo, struttura2.

1 F. De Sanctis, Teoria e storia della letteratura, Laterza, Bari 1926, vol. I, pp. 138-139e Id., Purismo, illuminismo, storicismo, Einaudi, Torino 1975, vol. II, tomo II, p. 999.

2 Per non gravare di titoli l’esiguo spazio concesso alle note mi limito a segnalare l’an-tologia I formalisti russi. Teoria della letterature e metodo critico, a cura di T. Todorov, pre-fazione di R. Jakobson, ivi, 1968.

La Letteratura infatti, più che in un rapporto organico con il flusso dimemorabili svolte della Storia e con lo spirito del genius loci o con le sovra-strutture ideologiche, rivela meglio il succedersi delle sue fasi se l’analisi cri-tica e storica si rivolge soprattutto allo studio dei testi. A meno di non volerstabilire disinvolte correlazioni, nell’analisi testuale, fra la fondazione delGruppo 63 a Palermo e il primo governo con il Psi presieduto, appunto nel1963, da Aldo Moro. O fra l’elezione di Giovanni Gronchi a presidente del-la Repubblica e la pubblicazione del primo numero di «Officina», entrambieventi del 1955. E così via...

Per banale che possa essere l’ennesima rivendicazione di una specificitàtanto importante, è il linguaggio il veicolo primario dell’espressione lettera-ria che, attraverso lo stile di un autore, diventa il connotato creativo del te-sto. Ed è lo stile di uno scrittore, o di un gruppo di essi riuniti in una scuolao distinti da un’etichetta, a illuminare il corso discontinuo della evoluzioneletteraria.

Scrivere una Storia della letteratura tenendo conto di queste argomenta-zioni è certamente assai difficile; e la difficoltà aumenta perché aggregare gliscrittori sul piano dell’espressione linguistica è più complicato di un censi-mento di affinità che guardi soprattutto al quadro storico-temporale, all’i-deologia, alla provenienza regionale. La scrittura letteraria spiazza semprechi cerca di ricondurla in alvei troppo stretti, rilutta a lasciarsi imprigionarein schemi che non siano ad essa pertinenti. E mia convinzione che gli storicidella letteratura non abbiano riflettuto a sufficienza sugli scacchi metodolo-gici a cui sono andati incontro sottovalutando, in pratica e in teoria, l’interaquestione.

2. Un cospicuo riflesso di quanto ho detto finora investe quello che ritengo,oggi, il problema centrale di una Storia letteraria che voglia davvero rinno-varsi, utilizzando uno straordinario patrimonio di ricerche purtroppo di-sperse in ambiti disciplinari diversi e ancora non ricondotto ad unità. Quelproblema centrale è dunque il rapporto fra mutamenti esterni al testo (checoinvolgono la società, l’ideologia, il pubblico) e mutamenti interni al testo(che riguardano le strutture narrative e poetiche, il linguaggio).

Una questione di metodo così importante per la storiografia letteraria inItalia se la sono posta, in misura maggiore che non gli storici, gli studiosi dialtre discipline: dalla linguistica alla filologia, dalla semiologia alla sociolo-gia. O addirittura qualche critico militante per motivi di sana curiosità intel-lettuale. Nei loro libri è possibile dunque rinvenire suggerimenti di cui glistorici della letteratura – Monografici o Antologisti che siano – dovrebberofar tesoro. E si potrebbe anche ricorrere a una ipotesi estrema: che la Storia

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della letteratura italiana – per esempio quella del Novecento – l’abbiano fat-ta meglio i filologi (valga per tutti il nome di Gianfranco Contini) e i critici(valga per tutti il nome di Giacomo Debenedetti) mettendo insieme singolecampionature con grande intelligenza e suggestiva parzialità. E la scrittural’anello mancante in pur cospicue iniziative di storia letteraria: la scandalosaesclusione della scrittura contraddice ruolo, funzione e attendibilità di quel-le iniziative.

3. La scrittura letteraria dunque sa tutto, vuole tutto e, di conseguenza, fatutto quel che vuole. Fra le varie scritture possibili è la più ardita: la suaestensione immaginaria non conosce ostacoli e si perpetua in una semiosi il-limitata così come infinita è la possibilità di combinare insieme classi di pa-role. Al confronto, altre scritture (tecnica, giornalistica, scientifica, giuridicaper esempio) hanno codici ristretti, obbligati, coatti.

Nessuna libertà gode della licenza di cui è protagonista un narratore oun poeta nella sua espressione creativa attraverso il linguaggio. La scritturaletteraria inventa stili e li fonde in un calco di nuovo conio, si annette terri-tori reali e fantastici a colpi di sostantivi e di aggettivi, di avverbi e di verbi,rappresenta la vita quotidiana travestendola da spazio mentale e si aggiranegli spazi mentali rappresentandoli come eventi, oggetti, personaggi, luo-ghi. E se infrange la norma linguistica frantuma la comprensione del sensoabbandonando il lettore alla ricerca del significato perduto: oppure ricosti-tuisce quella comprensione aggregando significanti e significati in un ordinediverso.

E un arrogante statuto di autonomia quello della scrittura letteraria, tal-mente consapevole dei suoi privilegi che li rivendica sempre; ma decide an-che di rinnegarli assimilando mille impurità, tutto ciò che fa della lingua –quindi anche di certe scritture letterarie – lo strumento comunicativo pereccellenza nella società. Infine, oltraggio supremo ma calcolato alla coeren-za di un sistema metabolico davvero mirabile, sfida se stessa in una gara diaccanite partenogenesi creative, di esaltanti rifrazioni del mondo che la de-termina e la esprime.

Questo reciproco scambio è la prova che la scrittura letteraria, perfinola più astratta e apparentemente sganciata dalla realtà, la più chiusa in unacifra iniziatica, ha una base materiale che dovrebbe sconsigliare una visionepuramente ontologica e metafisica delle sue manifestazioni. E allora, qua-lunque sguardo rivolto alla letteratura, sguardo da critico, da storico, da let-tore, non può, anzi non deve ignorare le straordinarie particolarità dellascrittura letteraria, cioè della letteratura. Insomma, con un paradosso lette-rario si può lecitamente affermare che la Scrittura è anche la Storia.

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4. Ho fin qui delineato alcuni punti di frizione fra ciò che è convenzional-mente indicato come storia della letteratura e ciò che, altrettanto convenzio-nalmente, passa per scrittura letteraria. Ho anche suggerito, sul piano meto-dologico e disciplinare, la necessità che la storia della letteratura prenda inmaggiore considerazione la scrittura letteraria. Vorrei ora indicare, attraver-so una serie di confronti dialettici e qualche analisi di episodi contradditto-ri, minimi spaccati di storia letteraria contemporanea, dal 1945 ad oggi,dove coscienza della discontinuità e scrittura fanno da strutture portanti,esterne o interne al testo, dell’evoluzione letteraria. Non si tratta ovviamen-te di riproporre sotto altre categorie più o meno truccate la sincronia e ladiacronia, ma di arricchire la nozione stessa di storia letteraria con più ap-profonditi scavi nell’ambito della sua materia.

4.1. Partiamo da una contrapposizione fra due tendenze i cui protagonistihanno svolto una notevole attività creativa, anche con incisive scelte di cam-po. Tra il 1945 e il 1955, fin verso gli ultimi anni Cinquanta, esiste nella let-teratura italiana una forte presenza di narrativa meridionale. Personaggicome Ignazio Silone, Vitaliano Brancati, Corrado Alvaro, Francesco Jovine,Carlo Levi, Carlo Bernari, che hanno maturato la loro fisionomia di scrittorinegli anni Trenta o Quaranta, imprimono al clima del dopoguerra le stim-mate di una appassionata alacrità civile. Ad essi si aggiungono altri scrittorimeridionali che, come quelli già citati, danno al panorama letterario un in-confondibile tono realistico, umanistico, storicista.

Fra questi spiccano napoletani di nascita, di residenza stabile o saltuaria,come Domenico Rea, Michele Prisco, Luigi Incoronato, Mario Pomilio, LuigiCompagnone, Anna Maria Ortese: i quali, per produzione e vivacità, sembra-no il gruppo di punta della letteratura italiana di quel tempo. E come grupposi costituiscono quando i più intraprendenti fondano nel 1960 la rivista «Leragioni narrative», polemica nei confronti di esperienze letterarie che già si av-viano verso altre direzioni. Si avvertono infatti le prime istanze neosperimen-tali che troveranno in riviste come «Officina» (1955-1959), «il verri» (nata nel1956 e tuttora vivente anche se priva della carica iniziale), «Il Menabò»(1959-1967), le loro sedi naturali.

Osservando a distanza gli sviluppi del confronto è lecito affermare che lalinea cosiddetta meridionale è stata sconfitta. Infatti «Le ragioni narrative»s’interrompe dopo pochi numeri, e il gruppo di scrittori che vi si era raduna-to – se gruppo era mai stato – si disperde. Rea, per anni, non scrive più narra-tiva dopo il grande exploit del romanzo Una vampata di rossore (Mondadori,Milano 1959); Incoronato muore suicida; Pomilio si arrocca sempre di più inuna problematica spiritualista; Compagnone si disperde, un titolo dopo l’al-

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tro, schiacciato dal suo stesso eclettismo; Prisco continua ad alimentare unadignitosa ma grigia routine che almeno ha l’assenso (non clamoroso) del mer-cato. La crescita dei neosperimentali continua di anno in anno, trova unamiccia nei poeti (Elio Pagliarani, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, An-tonio Porta, Alfredo Giuliani) riuniti da Giuliani medesimo sotto l’etichettaI Novissimi3, ed esplode poi nella costituzione, a Palermo, del Gruppo 63,con leader piccoli e grandi, veri e finti, critici e scrittori o le due cose (e tantealtre) insieme, dai Novissimi ai fratelli Guglielmi (Angelo, Guido, Giuseppe),da Renato Barilli a Adriano Spatola, da Luigi Malerba a Giorgio Manganelli,da Alberto Arbasino a Umberto Eco, eccetera. Nasce il mito dell’avanguardiain wagon-lit, una definizione un po’ sprezzante di letterati che già assaporanole prime avvisaglie del boom economico, che hanno ruoli di rilievo nell’indu-stria culturale e nell’università, rapporti con la radio e la tv, letterati insommaintegrati nel Nuovo Ordine neocapitalistico che sta emergendo in paralleloall’inizio di una trasformazione antropologica senza precedenti – anche per lavelocità con cui avviene – della società italiana.

Nei termini di una analisi socio-storica, come quella appena accennata, lasconfitta della linea meridionale è il risultato dell’inevitabile susseguirsi dellegenerazioni, del ricambio culturale, della spinta alla modernizzazione e delruolo che oggi occupano i protagonisti dell’ondata sperimentale sulla scenaculturale del paese. A parte la più giovane «età media», non c’è dubbio cheessi tengono le posizioni in misura molto superiore ai protagonisti dell’altroschieramento, assottigliato anche dalla scomparsa di alcuni di essi.

Ma è sufficiente, ai fini di una valutazione complessiva che non vogliadeliberatamente ignorare i valori letterari intrinseci, accontentarsi di regi-strare la sconfitta in quei termini? Ed ecco allora che il Testo chiede i suoidiritti, la Scrittura esige il riconoscimento che merita; e così i Valori, che lostorico ha creduto di stabilire in un quadro di estrinseca dinamica culturale,sono di nuovo rimessi in ballo. Lo storico non è un mero catalogatore di ciòche accade, un passivo archivista di titoli; soprattutto, lo storico letterariodeve mirare alla scrittura se non vuole cedere a quell’appiattimento di pro-spettive che lo costringe a scrutinare Le terre del Sacramento di FrancescoJovine (Einaudi, Torino 1950) e Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti(Feltrinelli, Milano 1963) – per esempio – soltanto in base alla loro succes-sione temporale nel panorama delle patrie lettere e al clima culturale dellerispettive epoche.

3 I Novissimi, Edizioni del Verri, Rusconi e Paolazzi, Milano 1961; in edizione rivedu-ta presso Einaudi, Torino 1965.

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4.2. La contrapposizione fra neosperimentali e meridionali realisti, oltre ariflettere il mutamento in atto in quel panorama e in quel clima, mette inluce, ad una analisi ravvicinata dei testi, il mutamento di tematiche, perso-naggi, strutture letterarie, forme linguistiche, sindromi psicologiche. Cam-biano inoltre l’idea di realtà e i modi espressivi per trasferire appunto larealtà nella narrativa o darne l’equivalente letterario: come è possibile osser-vare anche nel caso di un filone tematico che si sussegue negli anni con unacerta stabilità e frequenza ma con modalità espressive e antropologiche as-sai diverse.

Un esempio è il tema che dipana le sue strategie romanzesche intornoalla figura dell’operaio e al relativo ambiente della fabbrica o, in genere, delmondo del lavoro manuale. La figura dell’operaio, ritagliata in quella piùampia del proletario4, ha il vantaggio, nell’ambito di questo discorso, di ave-re caratteri più definiti. Precedenti immediati del periodo qui preso in esa-me, cioè dal dopoguerra ad oggi, sono Tre operai di Carlo Bernari (Rizzoli,Milano 1934) e Il capofabbrica di Romano Bilenchi (Circoli, Genova 1935).Entrando negli anni di cui sto parlando, Vasco Pratolini con Metello (Val-lecchi, Firenze 1955) e con La costanza della ragione (Mondadori, Milano1963) crea due protagonisti di cui soprattutto il primo è diventato un mo-dello imprescindibile sia per il tema che ci riguarda sia per il dibattitopolitico-letterario che allora ne scaturì.

Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri (Bompiani, Milano 1959) rac-conta le vicende di un disoccupato meridionale che vuole essere assunto dauna grande industria del Nord per la nuova fabbrica costruita in un paesedel Napoletano. E nel 1962 Memoriale (Garzanti, Milano), primo romanzodi Paolo Volponi, protagonista Albino Saluggia, un operaio «alienato» (se-condo l’aggettivazione allora di moda), imprime al tema un segno difficil-mente dimenticabile. Con Vogliamo tutto (Feltrinelli, Milano 1971) NanniBalestrini traccia il profilo dell’operaio-massa, un soggetto politico con ilquale la realtà del paese dovrà fare i conti durante tutto un decennio forte-mente conflittuale.

Ho indicato alcuni momenti significativi5 che scandiscono la presenzadell’operaio nella nostra narrativa dal dopoguerra ad oggi, ma potrei ancoraaggiungere romanzi e racconti di Luigi Davì e Primo Levi, Vincenzo Guer-

4 R. Paris, Il mito del proletariato nel romanzo italiano, Garzanti, Milano 1977.5 Bernari, Bilenchi, Pratolini, Ottieri, Volponi e Balestrini mi hanno rilasciato testi-

monianze sulle loro opere di cui sono stati protagonisti gli operai. Le interviste sono rac-colte in un capitolo del mio Letteratura e classi sociali, Laterza, Bari 1976.

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razzi e Tommaso Di Ciaula, e di altri ancora, per irrobustire la presenza diquesto filone tematico pur nelle diversità di ciascun autore.

4.3. Nel connubio, che s’ha da fare, fra Madame Storia e Lady Scrittura,sempre che lo storico non voglia assumere i panni di un Don Rodrigo del-l’Accademia geloso dei propri esclusivi giardinetti, i vituperati «generi»possono esibire regali preziosi se trattati con la dovuta importanza che sideve a chi è stato per troppo tempo negletto. E ancora: che direbbe lo stori-co se gli venisse proposta, con l’occhio al testo da cui effettuare adeguatiprelievi, di suddividere la Storia letteraria dal dopoguerra ad oggi in Reali-sti, Espressionisti, Dialettali, Fantastici, Surrealisti, Neoromantici e via di-cendo, senza peraltro esaurire le etichette? Questa griglia tuttavia non puòessere considerata rigidamente poiché ci sono scrittori la cui carriera lettera-ria ha toccato approdi decifrabili in varie direzioni. Moravia ha scritto testiin cui si respira una certa aura dialettale e vibra una certa tonalità romane-sca6, ma è anche autore di racconti surrealisti7 e di romanzi con un forte im-pianto saggistico8. Italo Calvino con La giornata di uno scrutatore (Einaudi,Torino 1963) si è inserito in un ambito realistico di risentita moralità men-tre i tre libri raccolti sotto il titolo I nostri antenati (Einaudi, Torino 1960)hanno dato risalto al suo neoilluminismo fabuloso.

Infine, lo spazio simbolista che Glauco Viazzi ha individuato nella piùvasta area del Decadentismo italiano tra Ottocento e Novecento9 non soloha premiato la sua immane e disinteressata fatica di ricercatore (purtroppoViazzi non è più qui a godere i frutti pubblici delle sue pionieristiche esplo-razioni) ma ha dato alla nostra letteratura la consapevolezza di aver prodot-to opere in un terreno la cui totale proprietà, eredi inclusi, veniva attribuitaalla Francia. E sarebbe interessante studiare i motivi di questa singolare ri-mozione da parte dei nostri più accreditati storici della letteratura: un invitoad approfondire i risultati già raggiunti che lo stesso Viazzi formulava inuna lettera a Bruno Romani: «Quando in un ventennio ci sono almeno 50poeti che scrivono simbolista, l’area c’è. Certo non ebbe, da noi, posizioneegemone. Ma è proprio questo che dobbiamo studiare»10.

6 A. Moravia, La romana, 1947; Racconti romani, 1954; La ciociara, 1957; Nuovi rac-conti romani, 1959; tutti da Bompiani, Milano.

7 Id., I sogni del pigro, Bompiani, Milano 1940.8 Id., La noia, ivi, 1960.9 G. Viazzi, Dal simbolismo al Déco, 2 volumi, Einaudi, Torino 1981.10 «Nuova Rivista Europea», nn. 25-26, 1981, che pubblica un cospicuo e meritorio

Omaggi a Glauco Viazzi insieme a inediti del critico scomparso.

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4.4. Le contraddizioni e i confronti di cui ho segnalato qualche esempio nonriguardano soltanto gruppi, tendenze, movimenti dello schieramento lette-rario ma anche isolate individualità. Nel caso di due scrittori, Carlo EmilioGadda e Carlo Cassola, le contrastanti chiavi di lettura suggeriscono allostorico di articolare meglio la loro rispettiva collocazione proprio sulla basedella scrittura.

Gadda è uno scrittore che a giudici prevenuti può apparire come unnarratore risolto in pura scrittura. I suoi contenuti sono invece violenti, unribollire di grumi di realtà che il filtro della ricerca linguistica gaddiana esal-ta. L’intero edificio narrativo del manzoniano Gadda rifiuta dunque una in-terpretazione in chiave esclusivamente formale. Eppure la sua opera è stataletta da alcuni stregoncini della Neoavanguardia quasi soltanto per il magi-strale spiegamento di esperienze linguistiche, ignorandone lo spessore filo-sofico e conoscitivo, in anni successivi indagato soprattutto da Gian CarloRoscioni11. Tuttavia, sfruttando la congiuntura favorevole, alla Neoavan-guardia riesce l’operazione – e di ciò le sia data lode – che non era riuscitaappieno ai più antichi e più autorevoli estimatori dello scrittore, e cioè l’e-stensione del riconoscimento pubblico (premi, editori, critici, scuola, uni-versità e mass media aiutando) alla solitaria grandezza dell’Ingegnere.

La ricezione critica delle opere di Cassola, scrittore dalle vendite sicure,almeno dall’avvento della Neoavanguardia si scinde in una serie di punti divista problematici. Sono alcuni esponenti del Gruppo 63 a definire Cassola(e non solo lui) la Liala della letteratura italiana, intendendo con questa at-tribuzione mettere in risalto gli aspetti risibili di uno scrittore che ha fattodei sentimenti, dell’intreccio, della narratività le caratteristiche fondamenta-li della sua opera. Nel frattempo, però, c’è chi vede nei romanzi di Cassolaun equivalente italiano della sperimentalissima Ecole du regard i cui campio-ni più noti sono Michel Butor, Alain Robbe-Grillet, Nathalie Sarraute.

La riduzione della scrittura a un «grado zero» di espressività, la patinaneutra che avvolge la successione incalzante dei fatti o le atmosfere stagnan-ti, l’osservazione lenticolare e minuziosa riservata ai minimi scarti psicologi-ci, agli oggetti, agli eventi di una realtà quotidiana scabra ed essenziale, sonodati di un possibile confronto che non vengono però raccolti nemmeno daesponenti del Gruppo 63 come Renato Barilli, che alla scuola del NouveauRoman ha dedicato positive e sostanziose attenzioni critiche. Nemmeno larecente rivalutazione dell’intreccio ha provocato – almeno finora – un ri-pensamento dell’opera di Cassola da parte dei suoi più accaniti detrattori.

11 G.C. Roscioni, La disarmonia prestabilita, Einaudi, Torino 1969.

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4.5. Quale luogo, inoltre, possono avere in una Storia letteraria più attentaai testi, l’industria editoriale e quel fenomeno designato con il termine di re-vival? Per l’industria editoriale accenno semplicemente alle operazioni diediting e di rewriting che a volte determinano in misura massiccia l’assettodi una scrittura. Né si può del tutto prescindere dal fatto che, come ha os-servato Gian Carlo Ferretti, certe opere pubblicate «grazie all’appoggio diinfluenti personaggi e consorterie letterarie o grazie alle connotazioni ester-ne (utilizzabili a livello di mercato) dell’autore e dell’opera» sono cultural-mente e letterariamente meno interessanti «di tanti inediti caduti al primocontrollo»12.

Revival o repêchage di scrittori che in passato non hanno avuto da editorie lettori l’attenzione che meritavano, sono stimolati certamente dall’industriaeditoriale. Ma non direi che si tratti soltanto di astuzia commerciale nel crea-re un bisogno che prima non esisteva, di incisive strategie di marketing. In-dubbiamente tutto questo c’è, e sarebbe grave e ridicolo se non ci fosse instrutture che si fregiano della qualifica di industria, ma non è questa azienda-le e manageriale l’unica spiegazione del fenomeno. Credo che revival e repê-chage, almeno per alcuni personaggi di spicco, occupano spazi che l’immagi-nario presente lascia vuoti, esigenze che gli autori d’oggi non riescono a espri-mere. Insomma, il fiuto degli editori nel ristampare opere in catalogo o acqui-sire titoli trascurati da altri editori, s’incontra con un orizzonte di attese.Facciamo il caso di due autori, Achille Campanile (1900-1977) e Alberto Sa-vinio (1891-1952), attivi fin dagli anni Venti, ma si potrebbe parlare anche diTommaso Landolfi (1908-1979) e di Antonio Delfini (1908-1963)...

Campanile ha trovato nell’editore Rizzoli una generosa piattaforma dirilancio mentre era ancora in vita, e si è giovato di nuove analisi critiche daparte di letterati più giovani, dei mass media, della scuola, e della rinnovatapassione con la quale lo hanno accolto i suoi fan di sempre. Savinio è statoinglobato in eleganti «marchi di qualità» (consoni al suo pedigree) come lecase editrici Einaudi, Adelphi e Sellerio, che gli hanno consentito fortunepostume presso un pubblico non vastissimo ma fedele, e provveduto di au-torevoli opinion makers.

Scrittori assai diversi l’uno dall’altro, Campanile e Savinio hanno in co-mune doti letterariamente poco italiane: la leggerezza dello stile, un’arguziavaporosa, un’intelligenza acuminata fino all’assurdo, un buonsenso che – aldi là di schermature caserecce e banali – sa essere più profondo e rivelatoredi tanti pensieri che profondi e rivelatori sono soltanto volontaristicamente.

12 G.C. Ferretti, Il bestseller all’italiana, Laterza, Bari 1983.

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Quello di Campanile e di Savinio, salvando l’individualità di ognuno, è unasorta di realismo rovesciato in cui circolano sbuffi di surrealtà.

Che cosa vorrà dire, oggi, il credito tributato a questi scrittori? In qualecasella del suo ordinato universo cronologico lo storico potrà inserire il re-pêchage delle loro scritture? Azzardo una ipotesi: la fortuna postuma diCampanile e di Savinio, scrittori non di prima grandezza, rimarrà sempreun episodio minoritario e marginale non perché essi meritino un girone in-feriore nel paradiso dei valori, ma perché la letteratura italiana, e quindi lasua storia, sono dominate da un massiccio pregiudizio realistico.

5. E troppo collet monté, o persino fatua, la tentazione di riassumere nellametafora del cavallo di Troia le argomentazioni che sono venuto fin quisvolgendo? Poco male, ci provo ugualmente. All’astuto Ulisse che ha avutol’idea del trucco, e ai soldati che si nascondono nella pancia del cavallo li-gneo vorrei paragonare i contenuti della Storia, cioè gli scrittori e le loroopere; la forma cavallo, lo strumento che consente l’attuazione del trucco, èinvece la Scrittura, un’invenzione stilistica mediante la quale Ulisse e i suoiuomini assurgono a evento storico, leggendario, che sarà tramandato nei se-coli. Senza quella «forma cavallo» l’evento avrebbe avuto differenti conno-tazioni espressive, e non quella specifica passata alla storia in chiave anchemetaforica e proverbiale. Come il titolo di questa rivista programmatica-mente dimostra.

Post Scriptum. Le considerazioni sviluppate in queste pagine sono state par-zialmente oggetto di una conferenza introduttiva del ciclo Le tendenze dellanarrativa italiana dal neorealismo ad oggi (Rimini, 29 novembre 1980, aulamagna Liceo Einstein) e sono lo sviluppo conseguente del saggio Il concettodi mutamento nella storia e nella critica della letteratura: materiali per una so-ciocritica, pubblicato in «Nuovi Argomenti», nn. 33-34 (maggio-agosto1973) e poi come primo capitolo del mio Letteratura e classi sociali (Laterza,Bari 1976). Ovviamente, non hanno pretese di assoluta originalità poichétrattano alcuni aspetti di problemi teorici che aleggiano da tempo nel dibat-tito sulla Storia della letteratura.

Questi problemi teorici, soprattutto per quanto riguarda la necessità, daparte dello storico letterario, di prestare maggiore attenzione ai testi, sem-brano aver trovato il loro sospirato coronamento nell’impresa editoriale di-retta da Alberto Asor Rosa per Einaudi e intitolata Letteratura italiana. Almomento in cui scrivo è uscito il primo dei nove volumi previsti. Nella pre-sentazione dell’opera si parla di «rispetto del testo e delle situazioni storichedescritte», di «arricchimento dei criteri interni di lettura del fenomeno let-terario», e si denuncia – era ora! – quella consuetudine che «purtroppo, ci

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ha abituati ai metodi di quella manualistica, anche di buon livello, la quale,passando sopra alle asperità della storia letteraria, la riduce a un’uniformepianura. Noi invece abbiamo preferito conservare il paesaggio, le sue dol-cezze, le sue fratture drammatiche. Ci vorrà più tempo per conoscere ogniparticolare; ma alla fine il consuntivo sarà più fruttuoso».

Nello scritto metodologico (Letteratura, testo, società) che apre il volumeAlberto Asor Rosa invita ad abbandonare «la vecchia credenza dogmatica cheun solo metodo, contrapposto a tutti gli altri», sia in grado di costituire l’uni-co modello d’interpretazione del testo e di verifica degli strumenti critici ado-perati, dimostrando in tal modo di apprezzare in notevole misura l’«immensodibattito critico svoltosi negli ultimi decenni» e quella «rivoluzione della criti-ca moderna» nata settant’anni fa «con le esperienze del Circolo di Mosca edella Società per lo studio del linguaggio poetico (Pietroburgo)».

Asor Rosa prosegue nella sua apologia del testo assumendo in proprio lanozione di sistema che in letteratura, com’è noto, è patrimonio di filologi, dilinguisti, e di studiosi che s’ispirano ai metodi formalisti e strutturalisti. Affer-ma inoltre che «un posto d’assoluto rilievo nella delineazione del sistema dellaletteratura lo abbiamo riservato ai generi letterari». Animato da furore anti-storicista, Asor Rosa spiega al lettore che «la riduzione della letteratura alla sto-ria» ha comportato in Italia «la perdita d’identità del fenomeno letterario, lasua dissoluzione nel flusso indistinto ed eterogeneo degli avvenimenti storici, laquasi totale trascuranza dei suoi aspetti più specificamente segnico-formali». Edopo altri inchini «all’organizzazione formale del testo», dopo aver dichiaratosuperata la successione cronologica che ha ispirato finora la nostra storiografialetteraria, Asor Rosa scopre «con malinconia» che un «abisso» ci separa dallaStoria della letteratura italiana di Francesco De Sanctis.

Abisso a parte, che indubbiamente esiste, letture più sensibili e intelli-genti (Contini 1949; Scalia 1966) dell’intera opera desanctisiana, e non solodella Storia, ne mostrano ancora la validità attualissima di certe intuizioniproprio sul piano delle esigenze testuali oggi espresse da Asor Rosa. Dov’e-ra però Asor Rosa negli anni Sessanta e Settanta, quando professori e criticimilitanti hanno ingaggiato una intensa battaglia per far circolare le prospet-tive metodologiche adesso da lui privilegiate e che dovrebbero strutturarein chiave teorica la «sua» Letteratura italiana?

Alla prima impressione questa iniziativa, ideata con la lodevole intenzio-ne di mettere in atto «un dispiegamento pieno di tutte le potenzialità conte-nute al tempo stesso nell’analisi testuale e nella conoscenza storica», pro-mette eccellenti contributi d’autore, una marea di saggetti veteroaccademi-ci, una spolverata di postmodernismo e di cultura di massa, un certo strido-re fra le diverse scuole di italianistica rappresentate con criteri ecumenici e a

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volte sproporzionati nel piano dell’opera, e materiali di varia natura che sitroverebbero a proprio agio anche in storie letterarie aliene da pretese inno-vative. Non basta infatti, per rinnovare radicalmente un metodo storiografi-co o prevenire eventuali obiezioni, cancellare dal titolo le parole «Storia» e«della», lasciando a sbrigarsela, in pieno frontespizio, la sola «Letteraturaitaliana». Tanto più che sia l’editore sia Asor Rosa ripetutamente affermanoche di «Storia della letteratura italiana» si tratta.

Bisognerà dunque attendere la conclusione dell’intera opera per giudi-care se l’«insieme in movimento» di «progetto» e «strategia» in cui si sonoimpegnati Asor Rosa e lo stuolo dei collaboratori, otterrà una effettiva com-penetrazione interdisciplinare e un adeguato mutamento del disegno storio-grafico tradizionale almeno in alcuni settori di questa Letteratura italiana. Esi può aggiungere che l’impresa sembra studiata sul modello annalistico, an-tologico, enciclopedico, eclettico di altre iniziative einaudiane come la Sto-ria d’Italia, la Storia dell’arte italiana, la Storia del marxismo. Per ora, non re-sta che accettare un dato di fatto innegabile: il tentativo, sia pure in ritardo,di un «punto e a capo» con il quale fare i conti.

Madame Storia e Lady Scrittura, «Il Cavallo di Troia», n. 4, inverno-primavera 1982-1983, Cooperativa Scrittori e Lettori, Edizioni Intrapresa, Milano.

�La critica militante

Desdemona: «Che scriveresti di me, dovendofare il mio elogio?».

Jago: «Non me lo domandate, signora. Io non sono che un critico».

W. Shakespeare

Il critico cui sono più profondamente grato è quello che mi ha fattovedere qualcosa che non avevo visto prima, o avevo guardato soltantocon occhi offuscati da pregiudizio; che mi ha messo di fronte al fattoe mi ha lasciato solo. Da quel momento io devo affidarmi alla miasensibilità, alla mia intelligenza, alla mia capacità di saggezza.

T.S. Eliot

1. Che cos’è la critica militante? Quali sono le intenzioni che hanno portatoa definire questo tipo di critica con un aggettivo, «militante», di derivazioneguerresca? A quale altro tipo di critica viene contrapposta la critica militan-

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te? Corretto l’accoppiamento del sostantivo «critica» con l’aggettivo «mili-tante», ha una sua giustificazione terminologica e storica?

Per rispondere a queste domande è bene precisare innanzitutto il signi-ficato dell’oggetto di cui ci occupiamo. Critica, secondo alcuni dizionari, è

l’attitudine della mente umana di vedere, esaminare, giudicare; l’esame compiutoper formarsi un giudizio completo intorno alla natura, al valore, alla verità, all’esat-tezza di una cosa (Passerini Tosi).

E la facoltà di giudicare secondo i princípi del vero, del bello, del buono, dell’utile(Dizionario enciclopedico universale Sansoni).

Ma anche

l’attività del pensiero impegnata nell’interpretazione e nella valutazione del fatto odel documento storico o estetico o delle stesse funzioni e contenuti (dal punto di vi-sta gnoseologico o morale) dello spirito umano (Devoto-Oli).

Più sinteticamente, è «la facoltà e l’atto intellettuale di esaminare e giu-dicare» (De Felice-Duro). Da queste definizioni, e si potrebbe attingere adaltri dizionari senza mutare l’effetto complessivo, emerge nitidamente che lacritica è connessa all’atto stesso del giudizio1. Tanto è vero che «critica» de-riva dal greco krínein, cioè giudicare, distinguere. E forse, con una estensio-ne non illecita perché avallata dall’etimologia, si può dire che la critica è la«messa in crisi» di un’opera: infatti la parola greca krísis vuol dire «separa-zione, scelta, giudizio» e deriva appunto dal verbo krínein.

Nell’idea di critica, quindi, è già implicita una certa qualità di attiva par-tecipazione nell’esercizio di una volontà giudicante. Con l’aggettivo «mili-tante», grazie a una forzatura non esente da sospetti di tautologia, si rendeancora più evidente questo aspetto, e si conferisce alla critica un carattered’intervento assiduo e polemico nei canali di trasmissione del sapere, un ac-cento che enfatizza la presenza della critica nel dibattito contemporaneo.Per di più, «militante» è un aggettivo che denota l’inquadramento in un or-dine, in una disciplina, in una corporazione, come risulta da etichette politi-che («comunista militante») o religiose («Chiesa militante») o militari («de-stinato al combattimento»), che ne sottolineano il senso dell’inquadramentoe della lotta, del servizio e della propaganda per un partito, un’istituzione,

1 M. Cortelazzo-P. Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bolo-gna 1979.

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un’idea, una dottrina, un movimento d’opinione, un indirizzo letterario oartistico o scientifico, e così via.

La critica letteraria militante è dunque una sorta di critica letteraria alcubo in quanto, senza pregiudizio del metodo che adotta o della corrente dicui fa parte, dovrebbe moltiplicare le sue potenzialità d’azione e diffonderneil verbo, al contrario di chi pratica una critica letteraria che rifugge da un im-pegno esterno così diretto ed esplica il suo ruolo in una dimensione più riser-vata, in studi che hanno circolazione limitata tra gli addetti ai lavori e magariintendono rivolgersi al ristretto numero degli adepti di una scuola. Una di-chiarazione di Giosue Carducci esprime lo stato d’animo del docente univer-sitario che pratica sia l’ambito rigoroso degli studi specializzati sia il ruolo percosì dire mondano della critica: «Voglio scrivere la Storia della Letteraturaitaliana dalla pace d’Aquisgrana (1748) alla proclamazione del Regno d’Italia:cioè, della letteratura moderna militante, combattente, civile»2.

Nel caso di Carducci critica accademica e critica militante diventano ledue facce complementari di una medesima attività. Carducci infatti è unpersonaggio pubblico: oltre a occupare una cattedra prestigiosa all’universi-tà di Bologna, scrive poesie e s’impegna a costruire di se stesso una immagi-ne di poeta civile, di polemista letterario, di intellettuale politico sui giornalie sulle riviste dell’epoca. Prima di lui, un protagonista altrettanto istituzio-nale è Francesco De Sanctis: la sua critica, si è detto, ha sempre un avversa-rio. E dopo De Sanctis e Carducci, in una singolare posizione di estraneo al-l’accademia perché non ha mai insegnato ma sulla quale ha esercitato unaegemonia pressoché totalitaria, Benedetto Croce ha dato alla sua attività dicritico letterario un forte accento militante.

Questi tre esempi spiegano un altro aspetto della critica militante, piùdifficile da individuare ma di cui non si può non tener conto. Si tratta dellamilitanza pedagogica svolta giorno per giorno nell’insegnamento. Infatti, sedel critico militante si vuole avere un’immagine completa, non si può igno-rare l’opera di acculturazione letteraria messa in atto da docenti dotati dispiccata personalità anche se al loro attivo hanno scarse pubblicazioni e nonscrivono sui giornali. In modo più mediato e sottile, si può essere critici mi-litanti nella scuola – luogo deputato alla trasmissione del sapere e quindialla formazione degli allievi – anche orchestrando la scelta dei libri di testo,l’adozione di un classico piuttosto che di un altro. L’insegnamento nellascuola e nell’università di massa esalta questa caratteristica da critico mili-tante dell’insegnante e assegna, al docente che voglia assolvere il suo compi-

2 G. Carducci, Lettere, Zanichelli, Bologna 1944 e ss., vol. VI (opera in 22 volumi).

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to con intenti critici e problematici, responsabilità mai prima d’ora emersenella storia dell’istruzione pubblica e privata del nostro paese.

La funzione del critico militante inserito in una istituzione collettiva, aldi là dei risultati qualitativi che produce tra i suoi destinatari cioè gli studen-ti, può incidere molto di più nel tessuto sociale di quanto non faccia il criti-co militante che scrive sui giornali, parla alla radio, compare in tv, pubblicalibri, dirige collane editoriali e premia narratori, poeti, saggisti nelle giurieletterarie di cui fa parte. Potrebbe sembrare il contrario, ma non è così.Spesso l’uso dei mass media da parte del critico militante si risolve in un ru-more di fondo, in un brusio che accompagna i primi passi in pubblico deltesto. E anche quando il critico, episodicamente, si schiera contro l’oggettodi cui si occupa, il «no» di un singolo è sommerso da altre voci che sfrutta-no l’apparato multimediale delle comunicazioni rendendo quel «no» pres-soché inoperante, una testimonianza a memoria futura.

Orale o scritta, la recensione subisce una rapida obsolescenza, il premio(solo se è importante) aiuta un po’ le vendite. Insomma, «questa» azione di«questi» critici si esaurisce nell’immediato, nell’effimero: tutt’al più se netroverà traccia in qualche volenterosa bibliografia che ne registrerà la fun-zione di «invito alla lettura», servizio pubblico, scheda segnaletica e infor-mativa, una sorta di «avvisatore marittimo» del mercato letterario. E iltrionfo della schedatura, il gradino più basso della critica e della militanza,dalla quale sono assenti – tranne alcune eccezioni – quell’idea complessivadella letteratura, quella ideologia letteraria come visione del mondo, quelbrivido metodologico che indirizza le scelte del critico, unici elementi chefanno della critica (e della critica militante) un’attività «critica» che non cer-chi il suo appagamento soltanto nel cortocircuito informativo.

Ma si può dire, per questi motivi, che la critica militante non esiste? Sipuò dire che critici militanti sono soltanto quei critici – universitari e non –che hanno riversato e riversano sui giornali decine e decine di articoli all’an-no, insomma quei critici «giornalieri» più che «giornalistici»? Vero è che gliesempi di De Sanctis, di Carducci, di Croce (e non sono i soli) indebolisco-no la contrapposizione fra critica militante e critica accademica, specialisti-ca, universitaria. E d’altronde Luigi Russo (1892-1961), lui stesso docenteuniversitario prestigioso e battagliero polemista, in una conferenza letta aBudapest nel 1931 durante un congresso di storia letteraria, e poi raccoltanel volume La critica letteraria contemporanea, afferma:

la vecchia distinzione tra critica accademica che si occupava soltanto di problemidella letteratura classica, e critica militante, che aveva l’occhio alla letteratura mo-derna e contemporanea, si è venuta (e oggi forse fin troppo) sempre più attenuan-do; e i nostri migliori universitari si battono per il chiarimento dei problemi lettera-

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ri dell’ultimo cinquantennio, trascorrendo dall’indagine sull’arte di una scrittore re-cente allo studio di un pensatore del ’500 o allo studio filologico di un qualche poe-ta delle origini. Tale influenza di una critica più sistematica, e senza esclusioni di etàe di periodi, si è fatta sentire negli stessi critici di giornali e di riviste, i quali ambi-scono sempre più al nome di uomini di buone lettere, e, all’antico mal dissimulatodisprezzo per la critica accademica, si è venuto sostituendo rispetto e riconoscenzaverso i maestri universitari di filologia e di critica classica. L’appassionamento che siè avuto in Italia, per un ventennio o più, per la letteratura moderna e contempora-nea, per la poesia di un Carducci, di un D’Annunzio, di un Pascoli, per l’arte di unVerga, di un Fogazzaro, di un Di Giacomo, di un Pirandello, e insieme per la lette-ratura filosofica che faceva capo al Croce, non era una forma di superficialità, unosfogo in una provincia letteraria di più facili studi, come si sforzavano di credere al-cuni accademici vecchio stile; ma era soltanto una iniziazione di cultura e di vita, untramite per lo svecchiamento di un’antiquata scolastica, era tutto un travagliososchiarimento di una nuova visione morale della vita e dell’arte e degli studi, e lievitòfortemente negli animi e nelle menti più capaci per ulteriori esperienze e per piùconclusive indagini3.

La contrapposizione fra critica accademica e critica militante è stata poiaddirittura negata da Luigi Russo che, in altre pagine del volume sopra cita-to, sostiene che

la definizione di critica militante, nel caso del Croce, in piena consonanza in tutto ilsuo pensiero va riferita appunto a tutta la sua attività filosofico-letteraria. Se egli hascritto che tutta la storia è storia contemporanea, si può analogamente affermareche tutta la critica, quella degna del nome, è sempre critica militante.

Concetto ribadito nello studio Dal Carducci al Panzini4 in cui Russo af-ferma, con un eccesso di pathos idealistico, che «tutta la critica vera è criticamilitante».

Anche in anni più vicini a noi questa separazione tende ad annullarsi,anzi è praticamente dissolta, per il gran numero di professori, dai più aimeno accademici, che tra giornali, radio e televisioni esibiscono l’aspettovulgato, militante, della loro scienza letteraria. Parallelamente, come già no-tava Maria Corti, la critica militante «si è spostata e inserita, anche dal pun-to di vista professionale per vari suoi rappresentanti, nel settore accademi-co»5. E, sempre nello stesso volume, Cesare Segre precisava:

3 L. Russo, La critica letteraria contemporanea, Sansoni, Firenze 1967, p. 70.4 Id., Dal Carducci al Panzini, ivi, 1965, pp. 189-190.5 Aa.Vv., I metodi attuali della critica in Italia, a cura di M. Corti e C. Segre, Eri, Tori-

no 1970, p. 20.

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l’opposizione tra critica militante e critica universitaria è stata sempre da noi moltomeno sensibile. I nostri migliori saggisti sono appartenuti quasi sempre all’Univer-sità, o comunque hanno sempre avuto un tipo di cultura non molto diverso daquello universitario (basti pensare a Emilio Cecchi)6.

Sembrano, o forse sono, parole definitive per diradare un equivoco acui può aver contribuito Renato Serra quando scrisse: «La critica letterariasi può dividere, molto in grosso, fra due categorie: dei giornalisti e dei pro-fessori (militante e cattedratica; estetica e storica)». E si veda quanto parzia-le e riduttiva sia questa nozione del critico militante anche per chi l’ha for-mulata.

Non è qui il caso di addentrarsi in tediose distinzioni fra giornalismo eletteratura, ma un punto fermo lo si può stabilire con le seguenti enuncia-zioni. Chi scrive decine e decine di articoli all’anno su giornali e riviste, pro-fessore o giornalista che sia, non per questo sarà considerato un critico mili-tante se la sua pur vasta produzione pubblicistica non è riconducibile a unaispirazione complessiva, a un Leitmotiv culturale o metodologico o di stile.Al contrario, professore o giornalista che sia (per attenerci alle due catego-rie indicate da Serra), si è critico militante anche con rari interventi su gior-nali e riviste se si è però in grado d’indicare una linea, di pronunciare dia-gnosi inedite, di contrastare o appoggiare movimenti emergenti: insomma –ripeto – se si è in possesso di un’ideologia letteraria da cui ricavare una vi-sione del mondo, un filtro giudicante che ne metta in risalto la funzionecreativa parallela alla creazione letteraria.

«La critica militante crea, e perché crea, ama, sceglie ed esclude»7, insi-ste con piglio eccitato Luigi Russo, fedele a questa divisa fin troppo senti-mentale e temperamentale nella serie I narratori (pubblicata nel 1923 e suc-cessivamente ampliata, fino alla terza edizione del 1958 presso Principato:un panorama della narrativa italiana dal 1850 al 1950) e nelle «schermaglie»sulla rivista «Belfagor» da lui fondata nel 1946. Russo spiega le ragioni dellasimpatia e dell’attaccamento per Benedetto Croce nella «ostentata durezza»del filosofo «verso gli allettanti richiami dei numerosi balii letterari che an-nunciano la nascita di un grande poeta a ogni volgere di stagione: non sitratta di un’ostilità preconcetta, ma di un istintivo galateo, di una regola inuso nelle varie chiesuole letterarie»8.

6 Ivi, p. 413.7 L. Russo, La critica letteraria contemporanea, cit., p. 110.8 Ibidem.

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La figura del critico militante, almeno nel suo aspetto più corrivo, intesacioè come quella del critico che scrive sui giornali, è stata dunque biasimatain tempi non sospetti, e anche tacciata d’incompetenza, fin da quando di in-dustria culturale e di asservimento dei critici ad essa esistevano scarsi indizi.E poiché la terza pagina dei quotidiani è il luogo d’elezione in cui si esercitala critica militante, ecco che i «terzepaginisti» sono bollati a fuoco – anno1942 – dal solito Luigi Russo che ne sottolinea l’ignoranza al contrario diquei critici che «diedero dignità, sapore e vibrazione alla terza pagina tra il1910 e il 1930». E per dare trasparenza simbolica a questo drastico punto divista, Russo ricorre all’autorità di Leopardi che in una lettera del 1822 cosìdescriveva l’ambiente romano dei letterati: «tutto il giorno ciarlano e dispu-tano, e si motteggiano ne’ giornali, e fanno cabale e partiti». La miglior criti-ca militante, per Russo, è dunque

quella degli scrittori, degli storici, dei moralisti, e degli stessi filologi, che vanno di-ritti per la loro strada, la loro scienza, la loro filologia, e che, così facendo, determi-nano azioni e reazioni nella turba degli scolari ascoltanti o dei seguaci e lettori9.

Ma al tempo stesso Russo confessa che «vi sono universitari più dilet-tanti degli stessi giornalisti, e vi sono giornalisti più severi, nelle loro esigen-ze critiche, di taluni maestri universitari». A disapprovare i «terzepaginisti»,con minor veemenza di Luigi Russo ma con esplicita durezza, ci si era mes-so anche Giovanni Gentile (1875-1944) che nella prefazione a La filosofiadell’arte (Treves, 1931) aveva scritto:

Questo vuol essere un libro di filosofia. L’ho detto anche nel frontespizio per avver-tire i rispettabili critici della terza pagina, che questo libro non è per loro. So beneche in gran parte in Italia l’estetica è nelle loro mani; e io non ci ho nulla da ridire,convinto come sono che essi dicano con molto garbo cose molto interessanti. Sol-tanto, con tutto il rispetto che ho per loro, mi permetto d’esprimere il parere che laloro estetica non sia filosofia: neanche la filosofia delle quattro parole!

Come si vede, riprovazioni e condanne all’istituto del critico militante –inteso come il critico che scrive sui giornali – risalgono ben indietro neltempo. Ma la frequenza di questi attacchi si è accresciuta in anni più recentiman mano che il critico militante estendeva il suo dominio con la moltipli-cazione degli spazi che quotidiani, settimanali e altri mass media dedicanoalle recensioni di pari passo con la crescita dell’industria editoriale e dellesue esigenze di trovare un canale alla pubblicizzazione del prodotto.

9 Ivi, p. 628.

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La critica militante, in gran parte, si è trasformata in una folla di cronistie schedatori ed ha dato facile quanto inutile esca alle accuse di chi vede incostoro soltanto una figura di press agent dell’industria editoriale, essendodavvero pochi i casi in cui il cronista e lo schedatore possiedono quelle atti-tudini che ne fanno un punto di riferimento al di sopra di ogni sospetto dicorrività.

E allora, se agli inizi di questa rassegna ho indicato nell’insegnante unapossibile figura di critico militante ben più incisiva dello schedatore, ad essoconviene affiancare la figura del direttore e del consulente editoriale chesuggerisce titoli, escogita strategie pubblicitarie, scrive risvolti, scopre talen-ti, impone autori e territori letterari scarsamente praticati, crea o recuperauno stile culturale sia all’interno che all’esterno dell’impresa editoriale (sal-vo poi a fare i conti con i bilanci).

Infine, per chiudere il cerchio di una trinità militante per così dire istitu-zionale e massmediatica, ecco il responsabile delle pagine culturali di quoti-diani e di settimanali, dei settori culturali della radio e della tv, che amalga-ma recensioni di narrativa, poesia, saggistica, attizza polemiche, organizzacontrasti, lancia sonde in mille direzioni anche se tutto ciò a volte gli costal’accusa di sudditanza nei confronti di autori ed editori. Ma, come il criticomilitante aveva ed ha le sue convinzioni e le esprime nel giudizio letterario,così l’insegnante, il direttore, il consulente editoriale, il responsabile cultu-rale nei mass media operano senza prescindere dal proprio bagaglio cultu-rale anche se devono tener conto della immediata destinazione pubblica emercantile del ruolo da essi svolto, a differenza del critico che bada in pre-valenza alla propria individualità.

Il più recente identikit del critico militante l’ha stilato Franco Fortini(1917-1994) sull’Enciclopedia Europea nell’ambito della voce dedicata allacritica letteraria10. Fortini ha ben chiari i termini in cui è mutato il ruolo delcritico letterario (e dunque del critico militante): una volta mediatore «tral’opera e il pubblico o tra il sapere extraletterario e quello letterario», il cri-tico si è progressivamente trasformato «o nell’agente della industria cultura-le di massa o nello studioso di letteratura ossia nello specialista di “scienzadella letteratura”; figure, queste, che spesso scambiano i propri ruoli». For-tini ripropone così una sorta d’aggiornamento dei due fronti, quello accade-mico e quello militante, e della loro interrelazione.

Credo però d’intravedere un atteggiamento contraddittorio in ciò che

10 F. Fortini, Critica letteraria, in Enciclopedia Europea, Garzanti, Milano 1977, vol.VIII, pp. 901-905.

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Fortini scrive sulla trasformazione in «agente» di «colui che media». Nullaesclude che il critico in quanto «agente della industria culturale di massa»possa svolgere, come in effetti svolge, il ruolo di mediatore «tra l’opera e ilpubblico». Fortini tuttavia individua una zona molto importante e trascura-ta della critica letteraria (che vorrei considerare militante in sintonia conquanto ho detto sul ruolo dell’insegnante) nei commenti e nelle annotazionidei testi letterari e delle antologie per le scuole, di testi critici o di metodolo-gia critica con sempre maggiore frequenza adottati nei vari gradi dell’istru-zione. «Decisive per la formazione del gusto di massa», scrive Fortini,«sono le meno controllate dalla cultura che si qualifica alta e dalla opinionecompetente; con esiti che alla lunga possono essere negativi».

2. E possibile ora stabilire una data di nascita della critica militante dopoaverne indicato caratteristiche e mutamenti? Franco Fortini, nella voce de-dicata alla critica letteraria, sull’Enciclopedia Europea sopra citata, affermache «gran parte del lessico della moderna critica letteraria è già costituito inetà alessandrina» e indica via via le epoche in cui si rinvengono cospicuetracce di questa attività. La figura del critico professionale, continua Forti-ni, si stabilizza «con la grande saggistica romantica» che segue al fervorepubblicistico dell’Età dei Lumi sviluppandosi parallelamente al «mandatosociale che la borghesia nelle sue diverse fasi conferì al ceto intellettuale eall’esercizio della letteratura».

Il fervore pubblicistico a cui accenna è un fenomeno imponente. Vene-to e Lombardia danno un contributo rilevante; fioriscono gazzette, riviste,giornali mentre la figura del gazzettiere si trasforma in quella, più moderna,del giornalista e i discorsi letterari che questi fogli pubblicano assumono ilpiglio di interventi polemici, nell’ambito di un costume culturale che si varinnovando dalle radici. Il letterato comincia ad avere coscienza del proprioruolo intellettuale in una società ancora oppressa, come accade nell’Italiadel primo Settecento, da una «tradizione oscurantista» che ha nella Contro-riforma il suo pilastro maggiore.

L’empirismo in Inghilterra e il razionalismo cartesiano in Francia sono imodelli a cui guardano questi letterati che, sulle pagine di quotidiani e pe-riodici, si aprono ai nuovi fermenti culturali ripensando criticamente il lavo-ro erudito, la storia, la devozione per gli antichi, l’autoritarismo politico edecclesiastico, l’Arcadia. Anche i viaggi, e le relazioni che ne seguono, contri-buiscono a sbloccare una situazione culturale dominata da élite ristrette edagli scrittori di corte insensibili all’estensione della cultura negli strati infe-riori della società. E un clima favorevole al ruolo di guida ideologica che illetterato, il filosofo, lo storico, l’erudito, lo scienziato – insomma l’intellet-

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tuale – cominciano ad acquisire grazie a una maggiore circolazione delleidee attraverso il veicolo degli organi di stampa. Il moto di rinnovamento ci-vile degli italiani trova in questo tipo d’intellettuale – sull’esempio di quantoavveniva in altri paesi europei più avanzati – gli interpreti di un’etica dei di-ritti che si contrappone, a volte con toni ereticali, all’etica dei doveri. Comeha scritto Paul Hazard (1878-1944):

A una civiltà fondata sull’etica del dovere, i doveri verso Dio, i doveri verso il sovra-no, i «nuovi filosofi» tentarono di sostituire una civiltà fondata sull’idea di diritto: idiritti della coscienza individuale, i diritti della critica, i diritti della ragione, i dirittidell’uomo e del cittadino11.

E questa dunque la visione del mondo, l’ideologia che presiede allamentalità degli intellettuali che scesero sul campo della critica militante eteorizzarono, spesso in polemiche spietate, una letteratura legata ai fatti,non ignara del travaglio sociale aggravato dal retaggio di servilismo che ledominazioni straniere avevano lasciato in un paese diviso e lacerato, e unalingua attenta alle cose, sempre più lontana dalle svenevolezze arcadiche.

I «corsari» della critica militante di questa importante fase di transizio-ne, ciascuno secondo le proprie inclinazioni, costituiscono l’avamposto del-la «modernità» nella temperie culturale dell’epoca. Francesco Algarotti(1712-1764) si ispira all’intreccio di «letteratura e scienza, cultura e politi-ca», e parteggia per l’uso corrente della lingua, per i suoi «doveri di comu-nicabilità»; Giovanni Lami (1697-1770) fonda e dirige «Novelle letterarie»a Firenze, un foglio che informa sulle novità librarie italiane e d’altri paesi, ele discute; il «Giornale dei Letterati d’Italia» nasce a Venezia per merito diApostolo Zeno (1668-1750) e del fratello Pier Caterino, e costituisce il pri-mo esempio (secondo Furio Diaz) di un «regolare e importante giornalismoletterario in Italia nel Settecento»; Gasparo Gozzi (1713-1786), compilatoredella «Gazzetta Veneta»; Melchiorre Cesarotti (1730-1808), ricordato so-prattutto per la traduzione dei Canti d’Ossian, dell’Iliade, e per i saggi sullafilosofia delle lingue e sulla filosofia del gusto; i fratelli Verri, Alessandro(1741-1816) e Pietro (1728-1797), esponenti dell’Accademia dei Pugni, fon-datori della rivista «Il Caffè», autori di uno straordinario carteggio e di ope-re storiche, letterarie, economiche; Giuseppe Baretti (1719-1789), talentopolemico espresso massimamente nel quindicinale «La Frusta letteraria» ilcui titolo vale da solo un programma; Giuseppe Parini (1729-1799), essen-

11 P. Hazard, La crisi della coscienza europea nel XVIII secolo, Einaudi, Torino 1946;poi il Saggiatore, Milano 1968, pp. 12-13.

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zialmente poeta ma impegnato anche in un discorso teorico militante intor-no ai «principi delle belle lettere»; Saverio Bettinelli (1718-1808), autore fral’altro delle panflettistiche Lettere Virgiliane in cui, oltre ad attaccare Dantee Petrarca, se la prende con «la rimeria arcadica, l’antiquato culto cruscanteper la lingua trecentesca, la pedissequa imitazione degli antichi»; CesareBeccaria (1738-1794), divenuto famosissimo per Dei delitti e delle pene maautore anche di Ricerche intorno alla natura dello stile.

La battaglia dei critici militanti illuministi, soprattutto nel secondo Set-tecento, è dunque per una letteratura che sia espressione della società. Euna linea che scavalca il secolo e si ritrova fin dai primi anni dell’Ottocentonell’infuriare della querelle tra antichi e moderni, un caposaldo ineliminabi-le per ogni critica che voglia dirsi militante. Infatti in quell’anno capitale perle polemiche letterarie ottocentesche – il 1816 – Madame de Staël accendela miccia con l’articolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni pubblicato ingennaio nel primo numero della rivista «Biblioteca italiana». Invitando atradurre scrittori moderni inglesi e tedeschi, e ad arricchire il proprio lessi-co con innesti dalla lingua quotidiana, Madame de Staël riproponeva pervia linguistica e letteraria sia la «querelle des anciens et des modernes» sia l’e-sigenza di guardare con più attenzione a moduli espressivi non soltanto li-breschi.

Un altro elemento di continuità che serve solo da veicolo insostituibile perla critica militante è la stampa periodica, il cui rinnovamento costituisce unimpegno fondamentale per letterati come Ludovico di Breme (1780-1820),Giovanni Berchet (1783-1851), Pietro Borsieri (1786-1852), un trio di tuttorilievo nel romanticismo lombardo. Proprio il Borsieri, riflettendo anche leidee di questi e altri sodali, scrisse che il giornale ideale avrebbe dovuto essere«una lunga e bell’opera di critica e di storia letteraria e scientifica, distribuita avarie riprese per non generare sazietà, e per seguire davvicino i successivi pro-gressi dello spirito umano». In queste poche parole c’è il programma di ciòche sarà qualche anno dopo, nel 1818, «Il Conciliatore», e soltanto fino al1819 perché la rivista fu costretta a cessare le pubblicazioni dopo la breve vitatormentata dalla censura di polizia nella Milano della Restaurazione. Nei loroscritti letterari, e conviene qui ricordare Silvio Pellico (1789-1854), Ermes Vi-sconti (1784-1841), Giuseppe Pecchio (1785-1835), Giuseppe Montani(1789-1833), Giovita Scalvini ((1791-1843), con piglio polemico e scrittura vi-vace, quasi sempre sullo sfondo di implicazioni patriottiche, si avvertiva il bi-sogno, come scrive Giovanni Orioli, di

agitare le acque stagnanti del purismo, tenere desto l’interesse del pubblico per iproblemi della cultura, opporsi alla pedanteria fine a se stessa e all’accademismo

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che avevano dissociato l’arte dalla vita, difendere infine la libertà del pensiero, cuisarebbero seguite altre libertà12.

In pari tempo, però, osserva Orioli, questi primi teorici del nostro ro-manticismo letterario in parte fallirono nel tentativo di fissare «in una siste-matica dottrina i principi sparsamente accolti e difesi a oltranza». Tranne,naturalmente, Ugo Foscolo (1778-1827), Giacomo Leopardi (1798-1837) eAlessandro Manzoni (1785-1873), le cui poetiche attirano in ugual misuraconsensi e dissensi provocando in tal modo un fertile dibattito nella critica.Si pensi per Foscolo all’impetuoso filologismo psicologico; per Leopardiall’incontro-scontro con la nuova estetica romantica; per Manzoni alla que-stione della lingua e al problema del romanzo. Tutti elementi che si ritrova-no più o meno confusi nel Savonarola della critica del tempo, Niccolò Tom-maseo (1802-1874), i cui umori letterari rimescolano passioni e veleni in ungran calderone di romanticismo populista cattolico. Un altrettanto umoraleprotagonista «alla Tommaseo» è Cesare Cantù (1804-1895) che denuncia imetodi della vecchia critica pur respingendo quelli che lui ritiene i più ri-schiosi della nuova.

Già evidente nelle personalità finora trattate in questa rassegna, l’incli-nazione a una letteratura fortemente variegata d’impulsi civili determinal’attività critica di Giuseppe Mazzini (1805-1872), quant’altre mai legata alRomanticismo, e di Carlo Cattaneo (1801-1869), fondatore nel 1839 dellarivista «Il Politecnico»: entrambi, non a caso, collaboratori dell’«Antologia»(1821-1833) che avviò a Firenze le sue pubblicazioni diretta da Giovan Pie-tro Vieusseux (1779-1863), animatore dell’omonimo Gabinetto.

Mazzini, secondo Giuseppe Petronio (1909-2003), è «il critico italianopiù complesso che si sia avuto in Italia tra il Foscolo e il De Sanctis, assaipiù interessante certo del Gioberti». Un uomo veramente «moderno», dicultura europea, che ancora non ha avuto il giusto riconoscimento in questosettore di attività (forse oscurato dal suo ruolo di ideologo e di agitatore po-litico), autore di scritti letterari in cui «rivendicava il merito di essere stato ilprimo ad affermare il carattere politico risorgimentale del Romanticismo»13.E l’attenzione di Cattaneo più «al significato storico dell’opera d’arte che aisuoi valori estetici» (come scrive Giovanni Orioli nell’opera citata) è nella li-nea di quegli interessi romantici che dell’Ottocento hanno provocato la de-finizione di «secolo della storia». Perciò la storia letteraria di questo perio-

12 G. Orioli, Teorici e critici romantici, in Storia della letteratura italiana, Garzanti, Mi-lano 1969, vol. VIII, p. 467.

13 G. Petronio, Il romanticismo, Palumbo, Palermo 1963, pp. 38-42.

BILANCI E PROSPETTIVE 25

do, mentre Ruggero Bonghi (1826-1895) agita le acque chiedendosi, fin daltitolo del suo saggio, Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia(1856), può a ben diritto rientrare in un capitolo di critica militante. A co-minciare dalla sua violenta opposizione alle storie letterarie pubblicate nelSettecento, gravate da un intollerabile peso d’erudizione e «pressoché nuded’ogni filosofia» (Giovanni Berchet).

Paolo Emiliani Giudici (1812-1872) fu il primo autore ottocentesco diuna storia della letteratura italiana (1844 e 1855, due edizioni con titoli di-versi) in sintonia con il clima del secolo. E per questo motivo suscitò discus-sioni e chiose, lodi e dissensi fra cui si distinsero per acutezza i rilievi di Car-lo Tenca (1816-1883), forse il critico letterario militante di quell’epoca – di-rettore della «Rivista Europea», fondò il «Crepuscolo» nel 1849 – che piùd’ogni altro conserva echi di attualità. Come dimostra anche, oltre alla suafortuna in anni recenti, l’epistolario con Eugenio Camerini (1811-1875),collaboratore del «Crepuscolo», critico molto ascoltato nella Milano tra il1860 e il 1880, lettore incisivo soprattutto di poesia14.

L’altro testo storiografico, pubblicato fra il 1866 e il 1872, che ostentavaun carattere di militanza nonostante fosse destinato all’Università, furono leLezioni di letteratura italiana di Luigi Settembrini, un affresco mosso e viva-ce che costruisce

la linea di svolgimento della civiltà letteraria italiana [...] sul contrasto fra l’autoritàecclesiastica e le forze laiche, tra servitù e libertà, in un alterno avvicendarsi di trionfie di crisi cagionate dal prevalere o meno del presunto dispotismo teocratico15.

Ma il capolavoro storiografico dell’età romantica l’ha scritto FrancescoDe Sanctis (1817-1883) con la Storia della letteratura italiana (1870-1871),un’opera che è anche l’inarrivabile fusione di ideale e reale, poesia e vita,teoria e impegno militante, il cui fulcro sta nell’idea che l’essenza dell’arte èla forma, ma la forma non può essere dissociata dal contenuto che in essa«si scioglie e vive». Autori e opere sono «vissuti» dal De Sanctis, «promoto-re e campione della critica sociologica ed estetica», con una partecipazioneintensa in cui vibrano gli echi della sua esperienza politica e pedagogica.Autori e opere risaltano nella loro specifica individualità sia che lo storicone venga attratto con simpatia sia che ne venga respinto da intenzioni pole-

14 Si veda il Carteggio inedito di Tenca e Camerini, a cura di I. De Luca, Ricciardi,Milano-Napoli 1973.

15 G. Orioli, op. cit., p. 504.

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INDICE GENERALE

Insieme, nel labirinto ....................................................................... p. VII

Avvertenza ....................................................................................... » XI

I. Bilanci e prospettive ................................................................. » 1

Prima viene il testo, 3; La critica militante, 14; Essere utile, 49; Corsaalle idee, 57; Chi legge le recensioni?, 60; Il fossile scrivente, 62; Vene-re e «Le Monde» tricolore, 64; Europa chiama Italia, 66; Messaggi daBabele, 70; Mezzo secolo all’incanto, 75; Buongiorno, giovin scrittore!,80; Gruppo 63: quarant’anni dopo, 88; Tondelli & Company, 94.

II. Colpi di sonda ........................................................................... » 97Modello Arlecchino, 99; Romanzieri in krisis, 102; Novecento, sei fini-to!, 105; La modernità incompiuta, 109; Operazione Antologia, 115;Racconti d’Italia, 119; «QM», una rivista sperimentale, 126; I cantieridella poesia, 136; Poeti alla riscossa, 142; Sanguineti à gogo, 144; Mache cos’è questa Storia?, 150.

III. La ragion critica..................................................................... » 157

Pubblico nuovo, lingua nuova, 159; Che carattere l’Anglologo!, 161; Ilpersonaggio-uomo tra scienza e letteratura, 164; Lezioni di un Mae-stro, 167; Tommaseo il trasgressore, 171; L’Ermetismo giorno per gior-no, 173; Pascoli piccolo borghese, 179; Marcel ritrovato, 181; Giaco-mino e Pier Paolo, anatomia di un incontro, 184; Un biglietto d’invito,196; Vittorini, i suoi furori, 200; Essere assolutamente moderni, 211;Tra il Duce e “Gli indifferenti”, 222; Nella macchina editoriale, 225; Ilcaso Croce, il caso Gadda, 228; Varianti, altro che scartafacci..., 231;Moralità e un pizzico di follia, 234; Caro Eusebio, sono Trabucco, 236;La miniera al Galluzzo, 237; Noi, maniaci di laboratorio, 238; Eversi-vo, dissacrante..., 241; Pazzi malati stravaganti, allegria!, 245; Fantasmidi segni, 247; Metodo qua, metodo là, 249; Via dalla culla neorealista,252; Chiamatemi compagno, 254; Abuso d’intelligenza, 255; Io e ilTasso, 256; Cicatrici storiche, 257; Lettere d’amore per l’America, 258;

Milan l’e un gran Milan, 260; All’insegna della lealtà, 263; Provincia, labestia nera, 263; Il sistema Montale, 266; Un semiologo in cerca dipoesia, 269; Le due verità, 270; Il moto delle forme, 272; Menzogna,ilare musa, 276; Un giullare nel campo minato, 279; Settecento inglese,novissimo!, 281; Candido, impegno e lirismo, 283; Siamo uomini omerce?, 286; Ballando nel meraviglioso, 289; A chi appartiene Garbo-li?, 291; Ritorno all’autore, 300; Quel «pasticciaccio» del grado zero...,303; Sì, il suo disordine resiste alla vita, 317; Letteratura, diamoci deltu, 320; Saltimbanco, anima mia, 324; Poliglotta inconscio, 329; L’oc-chio del Grande Allucinato, 340; Il romanzo della critica, 344; L’arma-dio dei classici moderni, 347; Italia, delitti & canzoni, 350; Gozzanochoc, 355; Inno al breviloquio, 358; Signore dei segni, 362; Lettore,scrivi con me, 364; Questioni di ottica, 368; Tradurre, che show!, 371;Il «Ragazzo d’oro» e il Vecchio Continente, 374; Avanti popolo!, 379;Un altro Novecento, 382; Contini e Calvino, nuovi dioscuri, 389; IlGattopardo? Gulliver in Sicilia, 393; Ecco la terza via, 404; Galeotto èlo specchio, 407; Faccia a faccia, 409; Un libello per sedici campioni,412; Marx formato Propp, 417; Ragno-lettore e i suoi fratelli, 420; Di-savventure dell’impegno, 423; Romanzi, catasto europeo, 428.

IV. Testimoni del tempo ............................................................... » 433

Pellegrina dell’Assoluto, 435; Il poeta? un lavoratore, 437; Cauto sov-versivo dell’immaginario, 440; Gemellaggio a Trieste, 442; Orchestradi parole, 444; Favola pop in Piazza San Marco, 446; Savinio, voglia d’i-taliano, 451; Sambadù, amore proibito, 459; Un gaddiano capestro,465; Abbasso il Kuce!, 466; Ma quanti rimorsi..., 470; La mia e una«razza lazzarona», 472; Tra spie e fuoriusciti, 476; Corsa all’appalto,478; Andavano in via Veneto, 482; Geometrie dell’adulterio, 486;1929, entrò Carla..., 497; Stupro in Ciociaria, 505; Cara zia Amelia,508; Per chi suona la corda pazza?, 512; Cuore caldo, 515; Vittorini: «ilpieno della vita», 516; Il rosso e il nero, 520; Nel nome di Useppe, 534;Penelope in salotto, 546; I segni dell’esclusione, 553; Magritte in RollsRoyce, 555; Dio meno D uguale Io, 558; A ciascuno il suo matrimonio,568; Paternità, questo è il problema, 570; Morte all’Hotel des Palmes,572; E la scienza delle radici, 575; Sicilia, stella polare, 576; Zero, nullae realtà, 580; Milton e quelli delle Langhe, 581; Distruggiamo il Tor-racchione, 583; Eros & Pedagogia, 587; Resistenza modello Mazzini,591; Votare al Cottolengo, 593; Qfwfq, una voce dallo spazio, 595; Ticon zero, come sta? 599; A chi scrive lo scoiattolo, 604; Eccolo, è il nar-ratore mentre narra, 609; Graffiti faustiani, 611; Quel pensiero selvag-gio, 614; Homo sapiens, Homo demens, 616; Tra luna e computer, 623;L’attentato che non c’è, 625; In fuorigioco, 627; Quando l’amore siammala, 629; Contro la totalità della Storia, 630; Palermo Aziz, 633;

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Tre tempi per Pisacane 638; Milleunanotte in una notte, 640; Il barbo-ne abita qui, 643; Giallo acrobatico senza rete, 645; Parla, ricordo, 651;Tanti calci in questi versi, 653; Scrivere, la terapia di Giulia, 656; Gented’archivio, 658; Che mistero quel restauro!, 665; Praga 1968, il sognoinfranto, 668; Torbido asceta, schiavo modello, 671; E adesso poveromaschio?, 673; Fenomenologia dell’erosione, 675; Come fischia l’Ir-realtà, 678; Preziose e ferite, 682; Trilogia, ultimo atto, 684; L’uomonella bara, 686; Scacco matto per tutti, 690; Pensieri a una dimensione,693; Assassino è il Complotto, 699; Ecografia di un temponauta, 707;Baudolino, il gran bugiardo, 722; Priapo l’africano, 725; America, a noidue!, 730; Heros interruptus, 732; Manifesto neoromantico, 737; Bri-coleur, fammi un libro, 742; Donne, basta con Ovidio!, 746; Modestedepravazioni, 748; Negarsi all’amore, 750; Piccola folla solitaria, 752;In principio era il risveglio, 755; Avanzi di Storia, 757; Il naufragio del-l’Io, 759; Ex pugile tiene un diario, 766; Nichilismo al potere, 769; SuaInvadenza il Seduttore, 772; Balletto d’ombre, 774; Palio dei buffi atempo di musical, 777; Attore dell’incertezza, 784; Grottesco italiano,786; Alla ricerca di BB, 790; Corri ragazzo, corri..., 792; Millennio, tidico addio, 795; Via col tempo, 798.

V. Tema: svolgimento ................................................................... » 805

Tutto per la Ricerca, 807; Campus Paradiso, 810; Biancaneve nel BoscoAmericano, 813; E qui domina la civiltà materna, 824; Magica infanzia,827; Con le armi dell’amore, 832; Tra le mura domestiche, 840; Oh,non esigente narciso!, 844; Il piacere dell’incesto, 846; Quel clan cosìperbenista, 849; La grande orfanità, 854; Bambini in forma di versi,860; Una scialuppa per due, 863; Conquista etica, 876; A misurad’omo, 878; Il prete, scrittore e personaggio, 879.

VI. Sotto il vulcano ..................................................................... » 885

Balzac in gonnella, 887; L’amorosa nevrosi, 890; Due patrie, 892; Leparole si pagano, 900; Chi è di scena?, 906; Tuttiquanti, sei Tuttinoi,909; Isola Mezzogiorno, 914; AMO, in sonno e in veglia, 923; Il ragaz-zo di Monte di Dio, 928; E il boia gioca a poker, 930; Bambini e oro!,932; Quando due uomini si amano, 938; Andante marino con surf, 942;Il sentimento delle idee, 949; La perdita della grazia, 957; Poetico liti-gio, 964; De Profundis per una fabbrica, 966; Barocco vesuviano, 975;Dadapolis orribile e magnifica, 978; Mondo monnezza, 982.

VII. Dentro i media ....................................................................... » 993

Solo voci, niente corpo, 995; A tu per tu con Madre Paura, 998; Quella

INDICE GENERALE 1109

certa cultura Rai Tv, 1001; Re Lear in redazione, 1010; Canetti: «Prefe-risco di no», 1012; Caro giornale, ti racconto in versi, 1030; Il diaristafilosofico, 1035; C’è Proust nel suo giornalismo, 1037; Filottete al«Corsera», 1041; Tondelli on the road, 1045; Se post vuol dire postu-mo, 1054; L’uomo caleidoscopio, 1058; Beniamino e i suoi inventori,1065; Io, lettore a vita, 1069.

Nota biobibliografica ....................................................................... » 1079

Indice dei nomi ............................................................................... » 1081

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