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MARCO COLOMBO · di San Nicola di Vezzano, per poi divenire medico condotto della stessa...

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collana Genti e Paesi - XIV ACCADEMIA LVNIGIANESE DI SCIENZE “G. CAPELLINI” ONLUS - LA SPEZIA COMUNE DI VEZZANO LIGURE Con il patrocinio di: LYONS CLUB CEPARANA LA SPEZIA 2013 Compendio di fisiologia, febbri intermittenti, patologia, materia medica e medicina pratica MARCO COLOMBO a cura di Laura Lotti
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collana Genti e Paesi - XIV

ACCADEMIA LVNIGIANESE DI SCIENZE“G. CAPELLINI” ONLUS - LA SPEZIA

COMUNE DI VEZZANO LIGURE

Con il patrocinio di:

LYONS CLUB CEPARANA

LA SPEZIA 2013

Compendio di fisiologia, febbri intermittenti, patologia, materia medica e medicina pratica

MARCO COLOMBO

a cura di Laura Lotti

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collana Genti e Paesi - XIV

ACCADEMIA LVNIGIANESE DI SCIENZE«GIOVANNI CAPELLINI»

ONLUS

LA SPEZIA 2013

Compendio di fisiologia, febbri intermittenti, patologia, materia medica e medicina pratica

a cura di Laura Lotti

con saggio introduttivo diFranco Bonatti

MARCO COLOMBO

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Le scienze mediche sono ancora oggi in continua evoluzione per cui l’Editore non si assume alcuna responsabilità per qualsiasi lesione e/o danno a persone o beni arrecato dall’uso e/o dalle operazioni

di qualsiasi prodotto, metodo, istruzione o idea contenuti in questo volume datato 1835-1876.

In copertina: Aconito - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

Disegni tratti da:Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

V. Mercati e Boncompagni - FitoterapiaLuigi Figuier - Storia delle Piante

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III

L’Accademia Giovanni Capellini pubblica questo studio di medicina ot-tocentesca di Marco Colombo (1835-1876). Compendio di fisiologia, febbri intermittenti, patologia, materia medica e medicina pratica. Si deve a Laura Lotti la scoperta di questo medico poeta del primo Risorgimento spezzino con il libro Il solidarismo patriottico di Marco Colombo del 1997. Questo pa-triota, che ha operato fra San Venerio, dove è nato nel 1802, Bologna e Par-ma, è citato da Giovanni Capellini nei Ricordi, editi da Zanichelli nel 1914.

L’amicizia di Colombo con Francesco Capellini, padre di Giovanni, con Giulio Cesare Da Passano e con Giacomo Tommasini, professore di me-dicina all’università di Bologna, aiuta a capire il personaggio. Proprio l’in-contro col grande luminare Tommasini, docente di fisiologia e patologia a Parma e quindi di clinica medica a Bologna, medico della duchessa Ma-ria Luigia e seguace delle teorie di Giovanni Rasori, segna la formazione di Colombo. A Bologna Tommasini afferma la necessità di adottare il meto-do sperimentale nella pratica medica, ciò che costituisce un radicale cam-biamento rispetto ai metodi in gran parte empirici fino ad allora usuali.

I prodotti, i metodi e le istruzioni contenuti in questo volume sono datati dal 1835 al 1876 e rappresentano uno spaccato dell’applicazione medica otto-centesca. Marco Colombo, dopo aver conseguito la laurea presso l’università di Bologna e l’abilitazione alla professione medica presso l’ateneo genovese, inizia nel 1848 il suo qualificato impiego presso l’ospedale di San Nicola di Vezza-no, per poi divenire medico condotto della stessa comunità. Questo periodo è caratterizzato da importanti scoperte scientifiche e tecniche. Si inizia a capire l’importanza di raccogliere, esaminare e classificare dati e informazioni riguardo salute e malattia. La medicina inizia a concentrare i suoi sforzi sull’osservazio-ne microscopica applicando le nuove scoperte al campo della fisiologia e della patologia. Si chiarisce la struttura del sangue, il ritmo e l’origine del battito cardiaco, i meccanismi della respirazione, della digestione, del sistema nervoso.

In questo clima di fermento scientifico anche i vecchi ospitalia iniziano a

Prefazione

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IV

trasformarsi in strutture con servizi di assistenza. Il giovane medico Colombo aderisce alla “nuova dottrina medica italiana”, propagandata da Tommasini, e cura con le metodiche descritte nei suoi appunti i malati indigenti ricoverati nell’ospedale. Si comincia a distinguere tra sintomatologia, che si occupa degli effetti percepibili della sofferenza degli organi, e semiologia, intesa come studio degli indicatori che permettono di giungere alla diagnosi. La figura del chirurgo, fino a questo momento in posizione assolutamente subalterna rispetto a quel-la ritenuta più nobile del medico, inizia a conquistare una maggiore dignità.

Nelle prime elezioni a carattere censitario, tenutesi a Vezzano dopo la pro-mulgazione dello statuto albertino, i votanti sono 180, numero elevato se si confronta con gli elettori di altri comuni rurali che raggiungono a malapena la decina. Migliorate sono anche le condizioni igieniche generali, se il colera che imperversa con virulenza in Liguria nel 1854 miete nel comune di Vezzano sol-tanto dieci vittime, delle quali otto sono donne. Il colera amplia il campo d’azione della sanità pubblica e ne rafforza i poteri d’intervento in tema di igiene urbana.

Nella prima metà dell’Ottocento il drammatico arrivo delle pandemie di colera rilancia il dibattito sulla natura e le cause di tale malattia, sui mecca-nismi della sua diffusione e sulla apparentemente disordinata distribuzio-ne geografica e sociale. In ambiente medico e più in generale nell’opinione pubblica, si ammette la natura contagiosa di molte malattie epidemiche, ma senza una coerente teoria che possa legare insieme cause, effetti, variazio-ni nel tempo e nello spazio delle loro manifestazioni. Grazie alla perizia di Marco Colombo, a Vezzano, dodici persone colpite da colera guariscono.

Uno studio di grande interesse che ci dà uno spaccato della medicina italia-na dell’Ottocento e di una realtà sociale che la introduzione di Franco Bonatti chiarisce compiutamente.

Giuseppe Benelli Presidente dell’Accademia Lunigianese di Scienze “G. Capellini”

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È un duplice motivo di orgoglio, per me, partecipare alla realizzazione di questo volume sia in qualità di Assessore del Comune di Vezzano Ligure, rappresentato dal Sindaco Fiorenzo Abruzzo che appoggia e apprezza le mie scelte in ogni occasione, sia di Medico Pediatra perché si tratta di una pubblicazione che rivela il considerevole apporto che un nostro cittadino, in pieno periodo risorgimentale, diede alla medicina nazionale. Un’ulteriore tessera bibliografica, quindi, che va ad aggiungersi agli studi che Laura Lotti ha compiuto su vicende storiche e personaggi vezzanesi fra i quali Marco Colombo. Egli si è distinto per la capacità di coniugare in maniera assolutamente pertinente tre diversi aspetti della sua personalità: senso civico, professione medica e vocazione poetica. È doveroso, infatti, ricordare che, dal 1841, divenne medico per l’assistenza ai poveri nell’Ospitale di San Nicola e che, nel 1848 entrò nel Consiglio Comunale vezzanese dove rimase fino al 1866, dedicandosi, quindi, parallelamente al lavoro e all’azione politica con un impegno e una dedizione fortemente sociali a tal punto che, alla sua morte, il figlio dovette vendere parte delle proprietà del padre che si era indebitato avendo svolto gratuitamente la sua attività di medico. Un personaggio, quindi, da ammirare e che visse la rinascita della scienza italiana e, allo stesso tempo, la costruzione pubblica di uno spirito nazionale, unita a un grande interesse letterario, realizzando un compendio interessante non solo per medici e studiosi, ma anche per tutti coloro che desiderino conoscere in modo approfondito un periodo storico in cui si è originato il nostro Paese. Definirei, infatti, gli appunti scientifici di Marco Colombo, riprodotti fedelmente dalla curatrice, un trattato storico della medicina dell’Ottocento con argute riflessioni sulla continua evoluzione di questa importante disciplina che, fin dagli albori, ha aiutato l’umanità a combattere il male e la superstizione. Un ambito al quale il medico diede un significativo contributo ponendo il paziente al centro della scienza e che, oggi, lo rivela uno dei precursori dell’insegnamento clinico moderno: applicando gli insegnamenti che aveva ricevuto all’Università di Bologna da Giacomo Tommasini, suo maestro di vita e di professione oltre che amico e protettore, ravvisò la necessità di adottare

Presentazione

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il metodo sperimentale nella pratica medica, in particolar modo nell’esame al tavolo anatomico, apportando, quindi, un radicale cambiamento rispetto ai metodi in gran parte empirici usati fino ad allora. Presentare questo volume, pertanto, non vuole dire proporre al lettore una medicina d’altri tempi e distante dalla nostra cultura ma, al contrario, riportare l’attenzione su quei principi che hanno governato la scienza medica fino a tempi recenti. Un lavoro in cui un cosmo specialistico è descritto in modo semplice, ma puntuale: risulta, infatti, attentissima l’esposizione sulla fisiologia d’organo e d’apparato così come colpiscono le dettagliate analisi della circolazione del sangue e gli studi sul sistema nervoso e muscolare; attuale è l’utilizzo di farmaci come la digitale ancora oggi prescritta; affascinante, inoltre, la parte legata ai medicamenti perché per ogni malattia o stato di male vi era una soluzione specifica e interessante è, infine, la descrizione del vaccino per debellare il vaiolo, virus che provocò decessi fino agli anni Settanta del Novecento quando, grazie alla vaccinazione universale, si è arrivati a sradicarlo a livello mondiale. È evidente, quindi, che le conoscenze di Colombo e colleghi fossero, per il tempo, precise e la disanima delle ricette mediche per la cura di varie patologie, basate soprattutto su proprietà vegetali e minerali, fa nascere in chi legge il desiderio di sperimentarle perché trovano riscontro nelle teorie e nei principi degli antichi sistemi terapeutici della medicina occidentale.

Questi testi, pur nella loro brevità, contengono, infatti, informazioni difficilmente reperibili a livello scientifico e, allo stesso tempo, indicazioni fondamentali per chiunque desideri svolgere al meglio una professione, non solo medica, come si evince da un appunto che si trova in calce al documento “Cholera morbus comparso in Genova nel 1835”, nella dedica che Marco Colombo fa ai suoi figli Attilio e Pompilio, in cui vi è un’esortazione eloquente allo studio e al confronto assidui con un’umiltà che è caratteristica delle persone di grandezza d’animo e di cultura: “Se mai foste salutati col nome di Medico, e se moltissime cognizioni acquistate in detta professione, vi prego a non ostinarvi a crederlo certo, meno che si desse occasione di potermi intendere e detto questo ancora senza essere vili, confessate l’ignoranza degli uomini medici”.

Voglio, quindi, ringraziare sentitamente i fautori della pubblicazione di questo volume: Laura Lotti per aver reso fruibile un patrimonio da valorizzare e salvaguardare e l’Accademia Lunigianese di Scienze “Giovanni Capellini” per aver creduto, come noi, in questo progetto.

L’Assessore alla Cultura di Vezzano Ligure Dott.ssa Paola Baldini

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Il medico Marco Colombo,dopo aver conseguito la laurea presso l’u-niversità di Bologna e l’ abilitazione alla professione medica presso l’ate-neo genovese, iniziò nel 1848 il suo qualificato impiego presso l’ospedale di San Nicola di Vezzano, per poi divenire medico condotto della stessa comunità,in conformità alle nuove disposizioni di legge in materia sani-taria.

L’ospedale di San Nicola, posto a metà strada tra il borgo superiore e quello inferiore, ebbe origine antiche. Nel medioevo la funzione princi-pale degli ospedali era quella di ospitare pellegrini e viandanti. La Chiesa ottemperando al precetto evangelico della carità verso i poveri, promosse l’istituzione di ospizi lungo le principali vie di transito. A Luni, già in età alto medievale, è attestato dalle fonti un ospedale, gestito dai canonici della cattedrale di Santa Maria. Nel 1203 con il trasferimento del capitolo e della sede vescovile da Luni a Sarzana anche l’ospedale, intitolato all’a-postolo San Bartolomeo, venne trasferito al di fuori delle mura del popo-lato borgo di Sarzana e continuò ad essere gestito dal collegio canonicale.

Per tutto il medioevo e l’età moderna gli ospedali erano considerati vere e proprie istituzioni ecclesiastiche e come tali sottoposte alla vigilan-za del vescovo diocesano. Questi, durante le visite pastorali alle parroc-chie, non trascurava mai di ispezionare personalmente o attraverso un suo delegato gli ospedali,che erano considerate opere pie.

Le prime notizie sull’ospedale vezzanese di San Nicola ci vengono fornite da don Domenico Bassano,convisitatore del cardinale Benedetto Lomellini, il quale visitò il territorio di Vezzano il 5 maggio 1568.

Dal verbale dell’accurata visita all’ospedale di San Nicola si evince che lo stesso era articolato in più edifici: una cappella con un altare dedicato a San Nicola di Mira, in cui con regolarità era celebrata la S.Messa, un locale con due letti per ospitare pellegrini e infermi, un servizio igienico non adeguato, poco distante sorgeva un altro locale dove era ospitato un

Il servizio sanitario nella comunità di Vezzano Ligure

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VIII

frate che, per incarico del consiglio della comunità di Vezzano, predicava la dottrina cristiana nei quaranta giorni di quaresima. Lo stesso locale era adibito saltuariamente a scuola. Apprendiamo inoltre dallo stesso verbale redatto in latino curiale che l’ospedale è “discopertum et apertum”da tutti i lati, segno evidente che l’edificio è di fatto abbandonato, è in ordine soltanto la stanza per il predicatore.

Per lo zelante ecclesiastico la causa di tanto degrado è ascrivibile all’amministrazione dell’ospedale che da circa quaranta anni è passa-ta dagli ecclesiastici a due laici, nominati dal consiglio della comunità. Dall’interrogatorio dell’amministratore Vincenzo Tornabuoni risultò che questi riscuoteva soltanto poco più di 25 scudi dagli affitti dei numerosi terreni donati nel tempo all’ospedale da facoltosi vezzanesi. Il visitatore, consultato il libro dell’estimo, scopre che gli affitti non riscossi ammon-tavo a ben 230 scudi.

In verità la mancata riscossione della cospicua somma di denaro non deve essere soltanto imputata alla negligenza dell’amministratore laico, il quale peraltro tiene con cura il libro dell’estimo ma piuttosto da una prassi, consolidata da alcuni decenni, secondo la quale i massari incontra-vano serie difficoltà nell’esigere i canoni di affitto di molti appezzamenti terrieri, donati nel tempo a pie istituzione. La predicazione protestante, come è stato giustamente notato nella vasta diocesi di Luni-Sarzana, non intaccò se non in casi assai sporadici la dottrina cattolica ma si diffuse una prassi secondo la quale molti eredi si ritenevano esentati dall’adempiere legati testamentari che prevedevano offerte scaglionate nel tempo a favo-re di opere pie. I testatori pensavano infatti che attraverso la donazione di offerte in denaro o prodotti agricoli la loro permanenza in purgatorio sarebbe stata abbreviata. La predicazione protestante aveva preso di mira e spesso ridicolizzata questa credenza, per cui molti eredi si considerava-no esentati dall’adempiere questi legati testamentari.

ll diradarsi a partire dalla prima metà secolo XVI della pratica religiosa del pellegrinaggio è anch’essa da collegarsi alla diffusione della predica-zione protestante nell’Europa centrale, da dove partivano molti pellegri-ni. Dopo l’anno Mille il pellegrinaggio fu uno dei motori della ritrovata mobilità delle persone che ebbe come immediata conseguenza il rinascere dei commerci. Lungo le vie dei pellegrinaggi sorsero hospitalia (ospizi) dove rifocillare viandanti o curare infermi. Le mete principali dei pelle-grinaggi furono: Roma ove erano venerate le reliquie degli apostoli Pietro

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IX

e Paolo e Gerusalemme. Nel corso dell’XI secolo la potente abbazia di Cluny promosse il pellegrinaggio alla città di Santiago di Compostela in Galizia, dove era venerata la tomba dell’apostolo Giacomo. Questa de-stinazione con il conseguente afflusso dei pellegrini da tutta l’Europa cri-stiana aveva l’intento di favorire il processo di Reconquista della Spagna allora musulmana.

Gli itinerari verso Roma o Compostella potevano essere affrontati in-teramente a piedi ma più spesso i pellegrini preferivano imbarcarsi ed effettuare una parte del viaggio via mare. Dai porti di Lerici, Porto Ve-nere e La Spezia molti pellegrini si imbarcavano alla volta di Ostia o di Marsiglia per poi proseguire l’ultimo tratto del percorso a piedi.

L’ospedale vezzanese, posto su di una importante via collinare pro-spiciente il mare, nell’età medievale dovette ospitare un gran numero di pellegrini. L’intitolazione a San Nicola dell’ istituzione ospedaliera di Vezzano denuncia un’origine sicuramente antica. Il giorno 6 dicembre, in cui la Chiesa fa memoria del santo vescovo, è considerato festivo negli statuti trecenteschi della comunità di Vezzano.

San Nicola nacque probabilmente a Pàtara di Licia, tra il 261 ed il 280. Cresciuto in un ambiente di fede cristiana, perse prematuramente i genitori, a causa della peste, ereditando da essi un ricco patrimonio. In seguito lasciò la sua città natale e si trasferì a Myra dove venne ordina-to sacerdote. Alla morte del vescovo, venne acclamato dal popolo come nuovo pastore. A causa della sua testimonianza di fede, fu imprigionato ed esiliato nel 305 durante le persecuzioni emanata da Diocleziano, fu poi liberato da Costantino nel 313 e riprese l’attività apostolica. Intervenne al concilio di Nicea condannando duramente l’Arianesimo, difendendo la fede cattolica. Gli scritti di Andrea di Creta e di Giovanni Damasceno confermerebbero la sua fede radicata nei principi dell’ortodossia catto-lica. Si prodigò per ottenere rifornimenti di cibo durante una carestia a Myra e la riduzione delle imposte da parte dell’imperatore. Morì nella città dell’Asia Minore il 6 dicembre, presumibilmente dell’anno 343 forse nel monastero di Sion. La sua tomba fu subito meta di pellegrinaggi.

Numerosi scritti in greco ed in latino ne fecero progressivamente diffondere la venerazione nel mondo bizantino-slavo e in Occidente, a partire da Roma e dal Meridione d’Italia, allora soggetto a Bisanzio. San Nicola è così diventato già nel medioevo uno dei santi più popolari del cristianesimo e protagonista di molte leggende riguardanti miracoli a fa-

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vore di poveri, di defraudati e dei fanciulli. Quando Myra cadde in mano musulmana, una spedizione barese di 62 marinai, tra i quali i sacerdoti Lupo e Grimoldo, partita con tre navi di proprietà degli armatori Dot-tula, raggiunse la città dell’Asia Minore e si impadronì del corpo di S. Nicola, che giunse a Bari l’ 8 maggio 1087.

Non deve dunque meravigliare se ad un santo così popolare e conside-rato insieme con San Sebastiano protettore dalla peste, flagello assai fre-quente nel medioevo e nella prima età moderna, fosse dedicato l’ospedale vezzanese, che per tutta l’età di mezzo dovette accogliere molti pellegrini, diretti a Roma o a San Giacomo di Compostella.

A causa del diradarsi dei pellegrinaggi nella prima metà del secolo XVI, l’ospedale aveva perduto la sua funzione principale di ricovero per i viandanti. Da quel periodo iniziò la lenta decadenza, passato sotto l’am-ministrazione comunale, gli edifici vengono pertanto destinati ad altro uso, il locale dell’antico ospedale è di fatto abbandonato, mentre la cap-pella è officiata normalmente, l’altro locale è adibito a residenza nel pe-riodo quaresimale per il predicatore, in altri periodi vi si tengono lezioni scolastiche.

II visitatore don Bassano, ottemperando alle disposizioni del cardinale Lomellini, fedele esecutore nella diocesi lunense dei dettami del Concilio di Trento, in accordo con i consiglieri della comunità, rimuove dall’in-carico l’amministratore Tornabuoni per aver trascurato i suoi doveri e lo sostituisce con due autorevoli sacerdoti del luogo che ricopriranno la carica di massari dell’ospedale. Il primo di questi sacerdoti è un autore-vole esponente del clero locale si tratta di Baldassarre Taravacci, titolare della chiesa di Santa Maria e canonico della cattedrale di Luni-Sarzana. Egli fu autore di un poema Topografia della Lunigiana, opera rimasta ine-dita sino al 1869, quando fu riscoperta dal canonico Pietro Andrei. Il carme elegiaco venne dedicato al cardinale Benedetto Lomellini, l’autore invita nella parte introduttiva del carme l’alto prelato a recarsi aVezzano, località amena ed invitante per ritemprarsi dalle fatiche ed elevare i suoi pensieri a Dio, con queste significative espressioni:

Vienne dunque a Vezzano, o Pastor mio,Se d’allietarti mai desiderasti Quindi meglio potrai levarti a Dio,Le cure abbandonando alcuni istantiChe t’assediano il cor cotanto pio.

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XI

Quanto sien dei terreni più prestantiDel cielo i beni qui provar potrai,Qui dai travagli si diversi e tanti Un riposo di cielo, oh certo, avrai. Il secondo amministratore è il sacerdote Pompeo Aloisini, discendente

da una delle famiglie altolocate del borgo, egli è titolare della cappellania di San Pietro nella chiesa di Santa Maria, fondata dal suo avo ser Gero-nimo.

I due autorevoli amministratori, convocati dal visitatore don Domeni-co Bassano, si impegnano in primo luogo a riscuotere i redditi dell’ospe-dale, il ricavato dovrà essere impiegato nel restauro degli edifici dell’ospe-dale che dovrà tornare ad essere luogo di ricovero per ammalati indigenti e pellegrini. I consiglieri della comunità da parte loro si impegnano a trovare un altro alloggio per il predicatore quaresimale.

I provvedimenti emanati dal visitatore don Domenico Bassano, pun-tualmente eseguiti dai nuovi autorevoli amministratori, riportarono in breve tempo l’ospedale di San Nicola a riprendere le proprie funzioni, come attesta il verbale della visita effettuata due decenni dopo dal convi-sitatore don De Angelis, delegato dal vescovo Angelo Peruzzi, incaricato dalla Sede Apostolica di visitare la Diocesi di Luni-Sarzana.

Dall’accurato verbale della visita del 16 aprile 1586 risulta che l’edifico è articolato in due stanze una per gli uomini con due letti e una per le donne sempre con due letti. I locali sono ben puliti e con letti ordinati e forniti di biancheria, qui vengono ospitati pellegrini, ma più spesso am-malati. Un cappellano celebra saltuariamente la S. Messa nell’altare di San Nicola, fornito del necessario. L’ospedale ha un reddito sufficiente derivante dagli affitti di beni immobili soprattutto terreni che vengono re-golarmente riscossi dai due massari. Il reddito derivante dagli affitti viene impiegato nella manutenzione degli edifici e nello stipendiare uno ospita-liere che accoglie i pellegrini e gli ammalati e un medico che cura i poveri della comunità di Vezzano che versano in precarie condizioni di salute.

Nell’archivio storico comunale si conserva ancora oggi un registro dei redditi dell’ospedale che inizia nel 1696 per terminare nel 1837. Dall’esa-me di questo registro si evince che l’ospedale era amministrato congiunta-mente dalla comunità e dalla parrocchia, mediante due massari uno laico e l’altro ecclesiastico, nominati dal consiglio della comunità; tuttavia l’au-torità ecclesiastica esercitava una sorta di vigilanza tanto che l’ospedale fu

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sempre oggetto di visita ispettiva dei vescovi diocesani. Con il passare degli anni l’ospedale dovette perdere progressivamente

la sua funzione di ospizio per pellegrini per divenire luogo di ricovero per ammalati indigenti, che erano curati da un medico, nominato dal consi-glio della comunità. I massari da parte loro continuavano a riscuotere gli affitti dei terreni donati alla pia istituzione; con il ricavato stipendiavano il medico e l’ospitaliare e effettuavano piccoli lavori di ordinaria manu-tenzione. Quando l’ospedale necessitava di lavori di ristrutturazione più ampi e complessi interveniva l’amministrazione comunale con fondi pro-pri. Nel 1705 i locali dell’ospedale di San Nicola furono restaurati e resi più funzionali mediante un collegamento trai vari edifici, nell’occasione fu posta una nuova targa in marmo con la scritta racchiusa in un elegante cartiglio “Ospitale di S.Nicola 1705”.

Il decreto dell’imperatore Napoleone del 7 marzo 1806, che prevede-va la soppressione delle opere pie e l’istituzione di ospedali gestiti dalle autorità comunali in tutto il territorio dell’impero tra cui la Liguria, non venne applicato all’ospedale di San Nicola perché di fatto l’istituzione ospedaliera vezzanese era da molti anni amministrata dal consiglio comu-nale che continuò a nominare i massari. Dalla prima metà dell’ottocento furono eletti dal consiglio comunale a questa carica i facoltosi proprietari terrieri, un sacerdote espletava le funzioni di cappellano celebrando sal-tuariamente la S. Messa nell’oratorio di San Nicola e assistendo spiritual-mente gli ammalati.

A Sarzana invece il consiglio della municipalità con deliberazione del 27 febbraio 1807 dovette istituire una commissione di laici con il compito di amministrare i i due ospedali cittadini di San Bartolomeo e di San Laz-zaro, gestiti sino allora dall’Opera di Santa Maria.

Nonostante la benemerita attività dell’ospedale a favore degli infer-mi indigenti la grave epidemia del tifo petecchiale che imperversò per tre anni a partire dal 1817 nell’Italia centro-settentrionale provocò nel comune di Vezzano ben 84 vittime, particolarmente colpita fu la frazio-ne di San Venerio. Secondo l’autorevole parere del medico Michelini il diffondersi del morbo in proporzioni così allarmanti specialmente nelle frazioni rurali è da imputarsi all’inosservanza delle più elementari norme igieniche quali “la poca netezza delle persone e delle case, il quasi totale difetto di biancheria”. A ciò si aggiungano le precarie condizioni igieni-che delle case rurali che avevano la stalla al piano terreno, un’unica gran-

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de stanza al piano superiore che era adibita a cucina e a camera da letto, un semplice impiantito di legno separava la stalla dall’abitazione priva di acqua e servizi igienici.

Dal 1848 il giovane medico Marco Colombo iniziò la sua attività pro-fessionale nell’ospedale curando con ogni probabilità con le metodiche descritte nei suoi appunti i malati indigenti ricoverati nell’ospedale.

A metà dell’Ottocento la grave crisi economica e sociale che aveva caratterizzato i primi decenni del secolo può dirsi superata, ormai molte famiglie non vivevano più nell’indigenza, la tradizionale classe agiata dei grandi proprietari terrieri che contava poche decine di famiglie all’inizio del secolo si allarga. Nelle prime elezioni a carattere censitario, tenutesi a Vezzano, dopo la promulgazione dello statuto albertino i votanti sono ben 180, numero elevato se si confronta con gli elettori di altri comuni rurali che raggiungono a malapena la decina.

Migliorate dovevano essere anche le condizioni igieniche generali ,se il colera che imperversò con virulenza in Liguria nel 1854 mieté nel comune di Vezzano soltanto dieci vittime. Tra di esse la grande maggioranza era-no donne: sette contadine ed una sarta la più anziana di 79 anni fu Erne-sta Papa la più giovane di 25 di Teresa Rezzi ,si registrarono soltanto due decessi tra gli uomini il possidente Nicola Catti di 62 anni e l’agricoltore Giovanni Simonini di 38 anni. Grazie alla perizia dei medici tra questi Marco Colombo dodici persone colpite da colera guarirono.

Negli anni successivi all’Unità d’Italia le amministrazioni comunali che si susseguirono, cercarono di assicurare migliori condizioni di vita ai cit-tadini favorendo la costituzione della società di mutuo soccorso. Queste associazioni sia di tendenza cattolica che mazziniana si diffusero in modo capillare nella seconda metà dell’Ottocento in molte località dell’Italia centro-settentrionale per cercare di risolvere i problemi derivanti dalla precarietà del lavoro, dal rischio della disoccupazione, dall’inabilità per-manente alle attività lavorative derivate dai infortuni, da malattie croni-che, dalla vecchiaia. Mali di fronte ai quali, come scrisse autorevolmente Franco Della Peruta, dopo la crisi e la soppressione delle corporazioni erano in genere impotenti le strutture assistenziali create dalla carità pri-vata e dall’ancora debole intervento pubblico.

Nell’aprile del 1887 iniziò la propria attività in Vezzano Capoluogo la Società di mutuo soccorso Leone XIII il cui scopo, come recita un artico-lo dello statuto era quello di garantire “al socio infermo inabile al lavoro

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oltre tre giorni l’indennità di lire 1 per cadaun giorno durante il periodo della malattia o dell’inabilità al lavoro e sino alla concorerenza di tre mesi nel corso di un anno. In caso di vecchiaia o di malattia cronica il mutuo soccorso è fissato in un assegno mensile per deliberazione del Consiglio”.

La Società assicurava anche servizi domiciliari di assistenza sanitaria come prevedeva l’articolo 35 dello statuto: “il mutuo soccorso si estende altresì a mutualità di servigi personali, cioè l’assistenza della notte al letto del malato”.

Le entrate della Società derivavano da una “cassa corporativa che era alimentata dai doni dei soci protettori, dalle sottoscrizioni dei soci onora-ri, delle tasse mensili di lire una dei soci attivi”.

Alcuni anni più tardi, precisamente il 1 agosto 1892 iniziò la propria attività un’altra Società operaia di mutuo soccorso di tendenza mazzinia-na che aveva lo scopo come recita il primo articolo dello statuto: “l’assi-stenza e sussidio fra i soci sia per malattia comune o infortuni sul lavoro”. I soci di questo sodalizio sono in maggioranza operai residenti sia nel capoluogo che nelle frazioni. Essi avevano trovato lavoro nel nuovo Arse-nale Militare o nelle ditte che eseguivano i lavori per la costruzione della linea ferroviaria La Spezia-Parma.

La carità privata a Vezzano si espresse in un varie forme di mecenati-smo volto ad innalzare la qualità della vita sociale.Il sindaco Centi,quasi al termine della sua attività amministrativa, prima di rappresentare il colle-gio nel consiglio provinciale di Genova donò il 30 ottobre 1901 al Comu-ne un vasto palazzo di sua proprietà perché divenisse la degna sede degli uffici municipali, della posta e telegrafo e del primo ciclo delle scuole elementari.

Il successore del sindaco Centi, Giuseppe Ambrosi rivolse la sua at-tenzione ad organizzare sul territorio un efficiente servizio sanitario. Con l’apertura alla Spezia del nuovo ospedale civile l’antico ospizio di san Ni-cola si trasformò in studio del medico condotto.

Il sindaco Ambrosi emanò nel 1903 un accurato regolamento di po-lizia sanitaria e di assistenza medico chirurgica. Il regolamento prevede-va che “il servizio di polizia sanitaria e di assistenza medico-chirurgica –ostetrica nel Comune è disimpegnato da due medici condotti e da due ostetriche condotte, mentre il servizio di vigilanza igienica è disimpegnato dall’Ufficiale Sanitario”. Questi aveva il compito di vigilare sull’igiene e sulla salubrità delle case private specialmente su quelle della classe meno

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abbiente. I medici e le ostetriche prestavano gratuitamente ogni giorno l’assistenza sanitaria agli abitanti indigenti del Comune elencati in una lista consegnata a ciascun medico dalla Giunta Comunale che provvedeva ad aggiornarla ogni anno.

L’assistenza sanitaria nel Comune di Vezzano continuò ad essere as-sicurata applicando con scrupolo le norme di questo regolamento per molti anni, praticamente sino alla riforma sanitaria attualmente in vigore.

Franco Bonatti

Fonti archivistiche

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XVI

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Gli appunti di medicina di Marco Colombo, conservati presso gli eredi sono riprodotti fedelmente in questa pubblicazione. Essi coprono un arco di tempo che va dal 1826, anno della sua iscrizione all’università di Bologna, al 1876, anno della morte 1).

Nato a San Venerio nel 1802 in una famiglia di piccoli proprietari terrieri, Marco si iscrisse al 2° anno di Medicina nell’università pontificia grazie alla riorganizzazione dell’ateneo bolognese del 1824, riorganizzazione che aveva richiamato in quella città molti studenti non solo dello Stato pontificio, ma anche degli altri Stati limitrofi ed in modo particolare da alcune zone del Regno di Sardegna, come la Liguria orientale. Infatti per gli studenti della Riviera di Levante era più facile raggiungere l’Emilia che non la Liguria occidentale in quanto durante il dominio francese era stata costruita la strada della Cisa che collegava Spezia con Parma, mentre Genova poteva essere raggiunta solo via mare. Inoltre l’università ligure attraversava una grande crisi dovendo lottare contro l’egemonia piemontese che tentava con ogni mezzo di favorire una politica scolastica accademica che privilegiasse Torino rispetto alle altre città del Regno. L’università di Bologna era inoltre nota per la presenza del professor Giacomo Tommasini che gli studenti adoravano per l’ardore con quale cercava di propagandare le proprie idee riportate nel libro “Nuova dottrina medica italiana” che aveva entusiasmato i giovani spiriti patriottici per quel “nuova” ed “italiana”.

Nel periodo napoleonico l’accesso all’università si era allargato ed anche giovani appartenenti a famiglie del ceto medio proseguivano gli studi negli atenei. La scelta di Marco Colombo, che aveva studiato

Marco Colombo e la medicina del suo tempo

1) Gli appunti sono composti da un registro cm 22x33 - pagine 124 e da vari quaderni di dimensioni più piccole (1 quaderno cm 15x21 - pagine 20, 2 quaderni cm 15x21 - pagine 40, 1 quaderno 15x21 - pagine 30) e da fogli sparsi.

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nel Collegio della Spezia con Francesco Capellini (padre di Giovanni, futuro rettore dell’università di Bologna) ed Andrea Di Negro, venne probabilmente influenzata anche dalla famiglia genovese la cui Casina a Genova era frequentata da letterati e personaggi famosi, fra cui lo stesso Tommasini. Infatti il primo compagno di studi a Bologna nella casa di Borgo Paglia fu proprio Andrea.

Il Tommasini era membro di varie accademie, istituzioni che fin dal Seicento avevano contribuito allo scambio di idee tra i dotti di diverse nazionalità ed alla più rapida conoscenza dei risultati via via conseguiti. Le università italiane si erano allargate sempre più nei programmi e perfezionate nella didattica, ma mentre nel rinascimento avevano irradiato cultura nel resto del mondo, dal Seicento furono in declino per ragioni politiche e commerciali che avevano portato in primo piano le Nazioni dell’Europa nord-occidentale. Gli atenei di Padova, Bologna, Roma e Napoli si mantennero in auge per la fama dei singoli docenti e un po’ per le tradizioni.

Il Settecento è, secondo Arturo Castiglioni, un periodo che nella storia della medicina ebbe un carattere proprio per cui tale epoca va esaminata come una fase distinta dello sviluppo storico del pensiero medico. In questo secolo, infatti, si affermò, in tutti i campi della vita politica ed intellettuale, un forte idealismo rivoluzionario, vista la necessità di costruire nuove strutture in politica, in letteratura, in economia. In medicina i nuovi “architetti” furono i sistematici, che cercarono di far luce sui problemi più importanti della vita sulla base delle scoperte nel campo delle scienze esatte (chimica, fisica, botanica, biologia) e delle ricerche sperimentali. Essi dettarono su questi fondamenti le leggi delle nuove formazioni sotto l’influenza dei filosofi che con i loro ragionamenti determinarono non solo le nuove forme sociali e politiche, ma anche il nuovo sviluppo della medicina.

La scuola filosofica tedesca nel Settecento assunse così un posto direttivo della civiltà europea. Emanuele Kant (1724-1804) affermò che le origini della scienza dovevano essere ricercate nell’intelletto umano e fondò un sistema critico in cui vennero fissati i limiti della scienza umana. Egli pose così il germe di una dottrina i cui seguaci giunsero alla conclusione che la filosofia era la regina di tutte le scienze e che ad essa spettava l’ultima parola anche nella decisione delle questioni che si presentavano nello studio delle scienze naturali.

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Ma la tendenza continua a sperimentare, provare e valorizzare sempre più le forze della natura fece sì che il Settecento fosse per la medicina moderna un secolo importante soprattutto perché si gettarono le basi di quei metodi di ragionamento e di lavoro scientifico che rimasero anche dopo il crollo di tutte le costruzioni sistematiche. (sistema animista del tedesco Giorgio Ernesto Stahl (1660-1734); sistema solidista di William Cullen di Edinburgo (1712-1790); il magnetismo animale o mesmerismo dal suo fondatore, il viennese Francesco Mesmer (1734-1815); il sistema omeopatico di Federico Samuele Hahnemann (1735-1843); la teoria vitalista di John Brown (1735-1788), allievo di Cullen.

In Italia i sistemi non ebbero molti seguaci; solo quello del Brown ebbe accoglienze favorevoli, grazie a Giovanni Rasori di Parma (1766-1837), che ne pubblicò gli “Elementi”, ed a Giacomo Tommasini (1768-1846), ultimo dei grandi sistematici italiani. Tali illustri clinici, benché creatori e fondatori di sistemi, (teoria degli stimoli e dei controstimoli), nella pratica non seppero discostarsi molto dalla via tradizionale del buon senso, ed il nostro medico spezzino fu il loro allievo ideale. Il suo corso di laurea comprendeva gli esami: di anatomia umana, botanica, chimica, materia medica, patologia, medicina teoretica-pratica e clinica medica, medicina politico legale e farmacia. I suoi docenti furono in ordine Francesco Mondini, Antonio Bertoloni, Antonio Santagata, Fulvio Gozzi, Aliosio Rovati, Giacomo Tommasini, Domenico Gualandi e Francesco Maria Coli. Per laurearsi era necessario discutere una tesi e quella di Marco fu in chimica. La laurea gli conferì la facoltà di esercitare la professione ma solo nei confini dello Stato dove era stata conseguita per cui Marco dovette ottenere dal re Carlo Alberto la possibilità di esercitare la sua attività nel Regno di Sardegna, dopo aver sostenuto alcuni esami presso la facoltà di Genova (1841). In quello stesso anno diventò il medico dell’ospedale San Nicola di Vezzano Ligure, l’antico ospedale dei poveri.

Negli appunti di Marco Colombo esistono continue citazioni di studiosi, moderni ed antichi, italiani e stranieri, che avevano dato o stavano dando un notevole apporto allo sviluppo della medicina. La stampa medica periodica infatti integrava sempre più il lavoro delle accademie e portava i dibattiti, le diverse opinioni e le conclusioni su di uno stesso tema tra il pubblico, fuori dai ristretti confini dei dotti. Alla

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stampa periodica si era inoltre aggiunta una produzione intensificata di libri, tradotti nelle varie lingue, che concorrevano a completare l’insieme di tutte le possibili forme della divulgazione del sapere a cui attingere. Le scienze della natura non erano più studiate come fini a se stesse, ma con l’intento di utilizzare le conoscenze ai fini dell’applicazione alla pratica della medicina.

La patologia stava seguendo una doppia via: quella dei sistemi che partiva da presupposti ideologici spesso legati ad antiche reminiscenze dottrinali ed aventi parvenze scientifiche per i loro costrutti, e quella segnata dalle scienze sperimentali, da cui la patologia traeva le basi e l’indirizzo. Marco, forte delle sue conoscenze, si rivelò un buon osservatore; propugnò la necessità dello studio della fisica, della chimica, dell’anatomia normale e patologica, della fisiologia e studiò la materia organica ed inorganica, l’essenza della vita e delle sue leggi, la funzione degli organi e dei tessuti. Come patologo studiò le febbri ed altre epidemie, ritenendone l’origine parassitaria, la diffusione per contagio e la necessità assoluta delle norme sanitarie difensive, assegnando una parte importante al clima ed alle disposizioni individuali circa la trasmissione delle malattie infettive. Come clinico, inoltre, ravvisò il bisogno dell’esame al letto del malato per cui fu degno seguace del Tommasini, precursore dell’insegnamento clinico moderno. In relazione alla farmacologia e terapia, il Colombo proclamò come importante l’azione della china nella cura delle febbri palustri, anche se forse esagerò in parte nelle terapie debilitanti, quali l’uso di sanguisughe ed i salassi.

Come molti grandi e piccoli medici dell’Ottocento fu enciclopedico e diventò noto nella sua città anche per la dottrina letteraria e per la sua “arte poetica”. Del resto la cultura umanistica era indispensabile ai medici, i quali attingevano le loro nozioni dall’antichità classica e dalla più recente cultura rinascimentale e secentesca raccoglievano i frutti delle ricerche passate, dei problemi risolti o sollevati dai predecessori. Essi ricorrevano talvolta al trascendentale, ma le grande epidemie e le loro conseguenze ed i grandi rivolgimenti sociali e politici indussero le loro menti a meditare. Marco Colombo rifuggì dagli estremismi dei vitalisti, ed intese comunque, sempre, la medicina come scienza umana per eccellenza, che si prefiggeva di ricercare i problemi patologici in quel fantastico microcosmo che è l’uomo. Il Colombo svolse così la sua

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professione in perfetta sintonia coi tempi nuovi ed anche come uomo politico e poeta sentì e visse profondamente il suo periodo storico, così romantico e pieno di ideali patriottici.

Durante gli anni trascorsi a Bologna continuò a coltivare il suo amore per la poesia (pubblicò nel 1828 un sonetto dedicato all’amico Maurizio Casella, uno studente di Lugano che si era laureato nell’ateneo pontificio) e forse grazie al professor Tommasini avvicinò il giovane Giacomo Leopardi, amico non solo del medico parmigiano, ma anche degli altri componenti della sua famiglia, la moglie Antonietta Ferroni, la figlia Adelaide ed il genero Ferdinando Maestri. Fra le carte di Marco sono state infatti ritrovate alcune traduzioni di poesie del poeta latino Mosco e del greco Simonide, traduzioni che in quel periodo consentivano al Leopardi di mantenersi nella città pontificia senza gravare sul bilancio familiare.

Infatti dal settembre del 1825 al novembre del 1826 visse a Bologna anche Giacomo Leopardi e attraverso il suo epistolario si ha notizia dell’ambiente politico, sociale e culturale della Bologna del primo Ottocento, la stessa Bologna in cui si formò il giovane Marco, aspirante letterato che fece di tutto per incontrare il poeta recanatese che, desideroso di stabilire contatti vivi con gli uomini, aveva abbandonato Recanati.

L’incontro con Marco è, come abbiamo accennato, provato dal fatto che tra i manoscritti del giovane studente di medicina sono stati ritrovate alcune poesie minori del Leopardi con errori ortografici, o con differenze in alcune parti rispetto a quelle date alla stampa per la prima volta nell’edizione Starita del 1835. Inoltre il Colombo, dopo aver conseguito il baccalaureatus il 2 luglio del 1827, si era trasferito da Borgo Paglia in via Clavature ed aveva preso una stanza in casa Cavalli ed è probabile che la casa sia quella dei congiunti del Leopardi a cui allude il Tommasini nelle sue lettere. Anche in quella casa Marco incontrò molto probabilmente il Leopardi.

L’ultima casa abitata dal giovane vezzanese fu quella di via Cartoleria vecchia, vicino al Teatro del Corso ed alla casa del Leopardi in via Santo Stefano, attigua al teatro. Marco infatti si era avvicinato al melodramma, coltivando una grande passione per la musica che lo accompagnò per tutta la vita. Lasciata Bologna nel 1830, uscì da quel mondo di letterati e versificatori, come lui vissuti in un ambiente culturale, sociale e

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politico ricco di fermenti malgrado le repressioni tentate continuamente dalla polizia papalina con l’aiuto di infiltrati involontari come lo stesso Leopardi. Il poeta infatti nello stesso periodo frequentava a Bologna sia casa Tommasini sia casa Brighenti, il primo patriota e futuro iscritto alla Giovane Italia, l’altro spia al servizio del duca di Modena.

Un rapporto di stima e solidarietà, che andava ben oltre quello che lega professore e studente, si instaurò in quegli anni tra il Colombo ed il Tommasini: infatti da quest’ultimo il giovane spezzino imparò non solo l’arte medica, ma l’amore per la patria e la libertà che lo indusse ad avvicinarsi. alla politica. Il Tommasini era in quegli anni un carbonaro come il genero Ferdinando Maestri, e venne processato per la sua attività cospirativa dal tribunale speciale, presieduto dal cardinale Invernizzi, che aveva indagato sull’attentato al cardinale Rivarola. Furono le manifestazioni studentesche ad indurre i giudici ad archiviare il caso e ad assolvere i professori Tommasini e Francesco Orioli. Il clinico parmigiano venne però costretto a lasciare Bologna, dove era strettamente controllato da spie come il Brighenti, ed a rientrare a Parma, dove poteva contare sulla clemenza di Maria Luisa, sempre indulgente nei confronti dei suoi sudditi migliori.

Dopo la laurea Marco rientrò alla Spezia, ma non cessarono i suoi rapporti coll’illustre clinico parmigiano, anzi diventarono più stretti dal punto di vista politico poiché a villa Ombrosa, residenza dei Tommasini a Parma, aveva trovato ospitalità Giuditta Sidoli, la donna del Mazzini, rientrata in Italia da Marsiglia dove aveva incontrato ad amato il grande genovese, ora esule in Inghilterra.

I motivi della rottura dei rapporti tra il giovane medico spezzino ed il poeta recanatese potrebbero essere di natura ideologica e politica, dal momento che il Colombo, al pari del Mazzini, non condivise la posizione del Leopardi nei confronti della politica.

Il Colombo, grazie anche all’amicizia stretta col marchese Giulio Cesare Da Passano e con la moglie Maddalena Quartara, era ormai diventato un fervente mazziniano e pare che fosse proprio il giovane medico a mantenere i contatti fra la Sidoli ed il Mazzini, in corrispondenza con la madre Maria a Genova, città nella quale poteva esser facilmente avvicinata dal Da Passano durante i suoi continui trasferimenti dalla Spezia, città in cui viveva, a Genova, sua città natale. La vita politica di Marco si svolse così all’ombra del marchese.

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Il giovane medico era anche un poeta e tutta la storia d’Italia venne da lui “vissuta” attraverso le sue poesie che, in numero veramente rilevante, descrivono le vicende storiche italiane ed europee, dalla morte di Napoleone, alla spedizione dei Mille, dalle guerre d’indipendenza all’entrata di Vittorio Emanuele a Roma dopo l’unificazione del Regno d’Italia. Altri personaggi spezzini, importanti per quel periodo storico furono suoi amici, basti citare Francesco Capellini, il cui figlio venne tenuto a battesimo dal Colombo, il letterato Lorenzo Costa, Giulio Rezasco, con lui nella Società d’incoraggiamento, e gli esponenti delle maggiori famiglie spezzine fra cui i Castagnola, i Pontremoli, i Federici di Arcola ed i Picedi ed i Giustiniani di Vezzano Ligure, comune della cui amministrazione fece parte il Colombo dal 1848 al 1863, ed Agostino Paci, medico dell’ospedale San Bartolomeo di Sarzana.

Ma Marco conobbe anche altri personaggi molto importanti per la storia italiana come Giuseppe Garibaldi, ospite nella casa dei Da Passano alla Lobbia, ed incontrò lo stesso Giuseppe Mazzini che pare si fosse rifugiato prima a Castagnola, vicino a Massa, e poi al Monte di San Venerio, ospite dei Perioli, la famiglia della madre di Marco, mentre cercava di sfuggire ai francesi che lo stavano ricercando dopo la caduta della repubblica romana ed il suo sbarco a Livorno. Studi recenti e la tradizione orale di questa lembo della Riviera di Levante hanno suffragato tale tesi vista l’assoluta mancanza di notizie nella biografia del Mazzini sulla modalità di fuga da Roma a Marsiglia.

Gli appunti di medicina del Colombo, pubblicati in questo libro, sono perciò degni di nota sia perché legati al personaggio, la cui vita è stata da me documentata in precedenti pubblicazioni, sia perché rappresentano una valida documentazione scritta dei livelli di conoscenza dell’arte medica, esercitata nel nostro comprensorio da coloro che, dopo la laurea conseguita a Genova, Bologna, o nella più vicina Pisa, si confrontavano e riflettevano su quel loro sapere in continua evoluzione ed adeguamento alle nuove conoscenze che la medicina sperimentale stava introducendo in Europa ed in Italia.

Per meglio comprendere ed inquadrare le scoperte della medicina nel corso della sua storia millenaria, ho ritenuto opportuno inserire in nota nel testo schede biografiche sintetiche degli studiosi più importanti citati dal Colombo nei suoi manoscritti.

Laura Lotti

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Compendio di fisiologia, febbri intermittenti, patologia, materia medica e medicina pratica, compilato

secondo il modo di vedere di Marco Colombo (1835)

DELLA FISIoLogIA

La Fisiologia, giusto l’etimologia della parola, altro non è che il discorso sulla natura, ma brevemente si può definire la scienza della sanità, e non della vita, perché la vita può considerarsi tanto nello stato fisiologico che nel patologico. Siccome poi i corpi viventi si dividono in vegetali e animali, così la Fisiologia si divide in animale e vegetale, e, a guisa dell’Anatomia, può suddividersi in semplice e comparata.

ConFronto DEI CorPI

Cosa si deggia intender per vita è tuttora arcano e di esso si ha piuttosto un’idea negativa che positiva, si sa ciò che non è vita; ma ignorasi ciò che in realtà esso sia alla guisa della febbre. I corpi della natura furon divisi in tre gran regni, cioè animale, vegetale e minerale, ma siccome il vegetale e animale hanno uno stretto rapporto, cioè una struttura organica, perciò fu proposta la seguente più consecutanea divisione ed è: di corpi organici ed inorganici. Chiamansi organici quelli che constano di solide parti fibrose, con vari umori contenuti in canali. L’inorganici diconsi poi quei corpi, che constano di parti omogenee integranti e quanto meno non constano essenzialmente di eterogenee parti. I corpi organici furono eziandio chiamati vivi. Questa sostituzione di sinonimi non va presa strettamente ed in vero i corpi organici dopo morte conservano tuttora la struttura organica e quando si dice corpo morto s’intende che ha già vissuto, come mai hanno vissuto quelli che non sono organici. Di più convien distinguere le sostanze chimiche organiche che, sebbene prive di vita, concorrono però alla medesima.

I corpi organici si dividono in animali e vegetali. L’inorganici poi in semplici e composti. V’è ragione a credere che anche i semplici si possono suddividere in più semplici. Quando dicesi corpo organico si intende sempre composto.

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DIFFErEnZE E CArAttErI

Fra i corpi organici ed inorganici la prima differenza sta che l’inorganici constano di molecole integranti omogenee, di eterogenee li organici sia per esempio una pietra che suddivisa presenta sempre masse simili, al contrario nelli organici vi sono molte parti diverse, nelle piante p.e. v’è la corteccia, il libro, la midolla, nelli animali l’ossa, muscoli, nervi e membrane.

SEConDA DIFFErEnZA

Li organici risultano necessariamente di parti solide e fluide, le parti solide, pochissime eccettuate, sono fibrose: i fluidi son vari e contenuti in canali. L’inorganici non constano necessariamente di solide e di fluide parti: di queste alcune sono ovviamente solide, altre fluide, altre, come nella cristallizzazione, possono contenere parti solide e fluide e pur anche senza mutar natura. Alcuni corpi inorganici sono semplici, moltissimi poi risultano di due elementi. Li organici poi son tutti composti, o risultano almeno di tre principi. I vegetali contengono, giusta l’analisi, l’ossigeno, l’idrogeno, il carbonio e taluni l’azoto. Tutti questi quattro principi costantemente si riscontrano nei corpi organici a cui si può aggiungere il fosforo, lo iodio, la calce. L’inorganici, siccome son semplici, almeno poco composti, possono per lungo tempo rimanere nella medesima condizione senza mutarsi, eccetto che siano da un agente distrutti. Per lo contrario li organici siccome constano di più elementi, distrutto quel principio che tempera durante la vita la podestà delle forze chimiche, si risolvono e danno origine a più composti senza l’intervento d’alcuna (illeggibile) causa. Li organici hanno in consenso generale simpatia, e se li si disgiunge, tutto si distrugge e perisce la vita. Non così nell’inorganici. Li organici hanno una forma tendente alla rotondità, l’inorganici in cristalli oppure molecole sovrapponentesi e quindi accrescentesi; li organici crescono per una forma interna, questi sono generati da Enti simili e simili li generano. Non vi è generazione nelle altre e reggono alle leggi di affinità e di attrazione. Li organici finché son vivi eludono le forze chimiche, fisiche, idrauliche ec. e muoiono in determinati periodi, e perdono quelle proprietà che avevano durante la vita e si risolvono nei suoi vari elementi. Finalmente i corpi inorganici, siccome non vivono, non muoiono e le mutazioni che vi accadono sono ben lontane da quelle delle vere morti.

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DIFFErEnZE FrA LI AnImALI E vEgEtALI

Si riducono a quattro: 1° Li animali, come dissimo, sono più composti dei vegetabili, l’azoto in oggi abbondantissimo, e di più vegetabile o non v’è o v’è ben poco: li animali abbondano di più parti liquide, in queste le parti solide costituiscono il sesto di tutto il corpo e nelli altri la quarta parte. Li animali, dal zoofito all’uomo, son dotati di un canale interno e da cui attraggono le sostanze alimine, i vegetabili si nutrono alla superficie esterna soltanto. A ragione diceva Ippocrate 1) essere il ventricolo alli animali ciò che è la terra ai vegetabili. Infine li animali hanno una forza percettiva, sensitiva, e una facoltà locomotrice: quali due proprietà mancano affatto nei veri vegetabili, checché si sia detto della sensitiva, della ninfea ec. Questi son moti passivi e non attivi, son moti d’espansione prodotti dall’azione delli agenti esterni che cessati cessa.

LA vItA ConSIDErAtA nEI vArI vIvEntI

La vita presenta mutabili varietà nelli esseri che ne godano, immensa è la catena che separa i corpi organici dalli inorganici, pochi anelli di separazione vi son fra gli animali. I vegetabili come le piante son dotati d’un organico apparato che ha qualche somiglianza colla struttura degli animali; la vita è semplicissima nel polipo. Essi constano d’una sostanza molle, senziente, contrattile dentro un sacco. La struttura organica poi non è così manifesta. Noi non diremo nulla della pretesa vita dei minerali, né se vi sieno dei corpi intermedi fra le piante e i minerali da Buffon 2) Litofiti né dell’opinione dè Polaristi che ammettano la vita eziandio nei metalli, ma siccome noi intendiamo per corpi vivi quelli che son generati, generano e muoiono, e perciò quanto accade nei minerali non va desunto dalla vita, ma dalle forze fisiche e chimiche. Non ammettiamo pure la divisione di corpi in Fanerobiati e Critubiati. Per noi tutti son Fanerobiati quelli che si chiamano Critubiati sono affatto abiati.

1) V. Scheda biografica p. 128 n. 35 2) Ibidem

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DEI movImEntI

Il movimento presenta un manifesto ed un notabile argomento della presenza della vita che eseguiscono le parti solide e fluide dalle quali ne nasce l’organica struttura. E il sangue agisce sul cuore e lo induce a muoversi, il cuore si muove e reagisce sul sangue finché sia dappertutto distribuito. Convien però distinguere i moti inorganici dai moti vitali organici. I moti meccanici per essere eccitati richiedono una forza esterna, i fisici dall’attrazione, i chimici dall’affinità. Niente di ciò si conserva nei moti vitalici. Tutto quello che è capace di mettere in azione il principio della vita dicesi stimolo dai Fisiologi senza credere con alcuni medici che per stimolo deggia intendere tutto quello che è capace di erigere le forze vitali, ma non è nostro uffizio di parlare delli stimoli e controstimoli?

DEL PrInCIPIo DELLA vItA

Cosa sia vita è un mistero: tre sono le principali ipotesi emesse. I primi la riposero nella struttura organica, altri nell’animo e infine in un fluido speciale. Osserveremo la prima che distrutta la struttura organica si estingue la vita, ma la dissoluzione delle fibre organiche piuttosto qual effetto che causa si deve riguardare. Di più nella morte naturale senile non v’è lesione organica. La sentenza di Stahl 3) (animo) non regge al fatto. Le piante vivono eppur non han conoscenze checché ne abbia detto Bonet 4): la terza opinione di Darwin 5) pare la più conciliabile. Se un corpo vivo vive e dopo qualche tempo più non vive convien dire che abbiam perduto un principio sottilissimo. Prova questa opinione da un esempio fisico: vi sieno due taniche di ferro, vi si accostino, pure non s’attraggono, dove una delle medesime sia imbevuta dal principio magnetico si scuotono. Bisogna dire dunque che vi sia sopraggiunto qualche principio. Questo principio perduto va distinto dal principio animo.

3) V. Scheda biografica p. 132 n. 564) V. Scheda biografica p. 123 n. 85) V. Scheda biografica p. 125 n. 18

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ProPrIEtà DEI CorPI vIvEntI

I moti che si eseguiscono nei corpi viventi, come dissimo, ben lungi si discostano dalle leggi meccaniche, fisiche e chimiche. Già si chiede se sia unica la causa dei movimenti o duplice. Varie sono in ciò le ipotesi... Allor ne stabilisce due cioè la sensività propria dei nervi e l’irritabilità dei muscoli. A questa aggiunge infine la forza morta che in qualche modo paragona all’elasticità. Bichat 6) seguita la seguente divisione cioè proprietà vitali e proprietà di tessuto. Diconsi proprietà vitali quelle che sono si strettamente unite colla vita, che tosto seguita la morte si distruggono, le proprietà poi del tessuto non cessano colla morte perché non dipendono dalla vita, ma piuttosto dal modo con cui è costrutta la organizzazione. Le proprietà vitali poi son due, cioè la sensività e la contrattilità. Per sensività dicesi quella facoltà con cui le parti dei corpi organici “touché” da idonei stimoli eseguiscono dei movimenti propri della vita. Contrattilità è poi quella proprietà per cui le parti “touché” d’altri stimoli alternati, momenti si contraggono e si rilasciano. La sensività poi è duplice, cioè animale e organica, della prima noi ne siamo consci, della seconda no. Duplice è poi la contrattilità cioè: l’organica e l’animale. Nell’organica i movimenti sono oscuri, e si sottraggono dall’impero della volontà. Nell’animale sono manifesti e i moti sono alternativi. La contrattilità organica dicesi pure da taluni forza tonica, motilità, ec. Le proprietà poi di tessuto sono pure due e cioè: l’estensilità e la contrattilità. Per estensilità di tessuto s’intende quella proprietà per cui le parti si possono distendere senza lacerarsi. Per contrattilità di tessuto poi è quella per cui alcune organiche parti all’azione di taluni agenti si contraggono e si crepano. Ne abbiamo un esempio nelle membrane. Se le tiri si estendono e se le avvicini al fuoco si corrugano, le proprietà di tessuto finalmente, non subito, si distruggono colla vita e perdurano, lacché si conserva nella membrana morte.

turgorE vItALE

S’intende quella facoltà con cui alcune parti tocche da stimoli diventano (illeggibile) e si espandono come nella faccia quando viene

6) V. Scheda biografica p. 123 n. 5

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il pudore, n’abbiamo delli esempi nella gravidanza ec. Par che la flogosi altro non sia che il turgore vitale aumentato oltre il naturale: da Brufurio venne chiamato Emormesi e da Tommasini 7) Angioidesi.

Bortes costituì cinque proprietà vitali che sono la sensività, la contrat-tilità, l’espansilità, la forza di sito fisso e la tonicità. Blumenbach 8) ne stabilisce pur cinque: la sensività, l’irritabilità, la contrattilità, le forze proprie della vita e la forza plastica. Dumas 9) oltre la sensitività e la contrattilità ammette la forza assimilatrice e la resistenza vitale. Vi sono taluni che osservando l’ugual temperatura tanto nei climi caldi che freddi stabiliscono due altre proprietà dette birigenia e criptofiria: mediante l’uno si svolge il colorito, coll’altro si assorbe. Infine il Professor Medici 10) ammette la forza detta di riproducibilità ossia forza specifica, per cui si rigenerano le parti del corpo umano. Passiamo ora all’opinione di quelli che ammettano una sola proprietà, e fra questi campeggia Brown 11), Rolando 12) ec.. Questa proprietà fu detta irritabilità e da Brown incitabilità. Per incitabilità si deve intendere quella proprietà con cui l’organica fibra, tocca da alcuni agenti, eseguisce dei moti tutto affatto privativi della vita. La vita vien da lui riposta nell’eccitamento, e giusto Brown la vita è uno stato coattivo e passivo, secondo Brown l’incitabilità una variante modificata nei vari organi. Vari furono che s’opposero a questa dottrina, fra li altri sono Berlinghieri 13) cui rispose Tommasini. La vita non è sempre passiva e questo lo vediamo nella comparsa dei mestrui.

DELLE ConDIZIonI DELLI umorI

La vita nei solidi è manifestissima, nei fluidi come privi di una struttura organica e soltanto dotati di forza evasiva, o plastica, o quasi non hanno vera vita e secondo Tommasini li umori non cominciano a vivere se non quando sono convertiti in struttura organica. Né convien già dire che i fluidi si convertano in solidi e perciò siano vitali. Li alimenti p.e. si convertono in solidi eppur non son vitali. Lo stesso per

7) V. Scheda biografica p. 133 n. 618) V. Scheda biografica p. 123 n. 69) V. Scheda biografica p. 126 n. 2010) V. Scheda biografica p. 129 n. 4011) V. Scheda biografica p. 124 n. 1212) V. Scheda biografica p. 131 n. 4913) V. Scheda biografica p. 123 n. 4

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omologia si deve intender delli altri umori.

DELLA DEFInIZIonE DELLA vItA

Varie son le definizioni. Quella di Brown si deve anteporre alle altre e la ripone sull’azione degli stimoli, sull’irritabilità per cui ne nasce l’eccitamento in cui consiste la vita. Altri nell’incitamento del cervello. Dumas poi vuole che la vita sia il complesso dei moti, dei fenomeni che nascono dall’azione mutua delli organi. Il Martini definisce la vita quei periodi che percorrono i corpi per cui affetti da idonei stimoli, che non si possono avere che colle leggi meccaniche e fisiche.

DELLA DIvISIonE DELLA vItA

Secondo Bichat la vita si divide in animale e organica, detta la prima sensitiva, percettiva, organica; la seconda detta pure vegetale. Mediando la prima l’uomo si può dire viva in qualche maniera extra se colla seconda vive per sé. Ripara le perdite mediante la nutrizione.

CArAttErI D’AmbEDuE

Li organi che presiedono alla vita animale sono pari e simmetrici, hanno delle forze regolari e li organi sono della medesima condizione vitale. Nella vita animale pure vi sono delle intermissioni, la consuetudine attonda la sensibilità e perfeziona il giudizio, infine tutto quello che spetta all’intelletto appartiene alla vita animale, per lo contrario li organi nella vita organica non sono né regolari né simmetrici, né fa il bisogno che sieno nelle medesime condizioni d’incitamento, l’esercizio della vita organica è continuo e la consuetudine non lo regge; infine le passioni appartengono alla vita organica. Questa distinzione non regge al fatto. Infatti i reni e i testicoli sono pari e simmetrici, né è sempre vero che abbiano sempre luogo le funzioni della vita organica che possono pure avere le loro intermissioni e l’uso tempra ambedue le vite. Quanto spetta alle passioni, appetiti ec.. se ne parlerà altrove. La divisione proposta non regge in natura, ma solo s’ammette per agevolare la spiegazione dei fenomeni ed a ragione Ippocrate paragonava il corpo umano a un circolo in cui non v’è né principio né fine e dovunque v’è principio e fine. Siccome l’incitabilità è

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varia nei vari tessuti e sistemi, così ora conviene distinguere i sistemi fra di loro. Li antichi ammettevano tre rudimenti del corpo umano cioè: le fibre, le lamelle e la concrezione inorganica; Bichat ne ammise vent’uno cioè: cellulare, nervea ec..Tommasini quattro cioè: il nerveo, l’irrigatore, l’assorbente e il cellulare, il muscolare poi lo rapporta al nerveo.

Rolando ne mise due soltanto il cello muscoloso e il nerveo. Per organi s’intendono quelle parti circoscritte di complessa struttura, composta di elementi organici che esercitano alcune funzioni. Per apparati poi s’intende un complesso d’organi che conspirano all’esercizio di qualche funzione. Sistemi finalmente sono dei tessuti semplicissimi ovunque diffusi.

DEL SIStEmA nErvEo

Il sistema nerveo si deve riguardare come il più nobile e puro dell’organismo da cui vengono rette tutte le funzioni. Diamo ora le principali cose ad esso spettanti dedotte dalle osservazioni.

Non v’è dubbio che il sistema nerveo sia l’instrumento della vita animale, come è certo che nel cervello esiste il comune sensorio, cioè quel punto a cui si riferiscono tutte le impressioni, ed invero legato un nervo il senso si perde, e tolto si restituisce come legato un nervo che va a un muscolo più non si contrae, e tolto di nuovo si contrae e leso il cervello anche all’integrità del nervo, non v’è più moto volontario, né sensazione. Da ciò dunque si può dedurre che l’impressioni fatte alli organi senzienti si propagano al cervello mediante i nervi onde ne nasce la sensazione. Vi furono taluni che misero in dubbio tali verità. 1° Tagliato il cervello non duole. 2° Vi sono delli esseri acefali con vita e moto, di più dei fatti patologici provano che distrutto per malattia o altrimenti il cervello non aver più luogo la memoria onde dicono che almeno il cervello non è l’unico strumento dei sensi e dei moti volontari. A ciò si risponde: il cervello folgorato dole acremente. 3° Nelli acefali mostri non vi sono moti volontari, ma organici e i moti che si osservano nelli animali dopo l’amputazione del corpo questi dipendono o dall’aria o da altri stimoli agenti sui nervi o parte di quelli viventi giacché le parti non subito muoiano, giacché, tolto il corpo, veri moti volontari non si danno. Infine non si può dire rigorosamente pertanto che vi sieno delli animali omnimamente privi di cervello o di qualche parte che ne faccia

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Dal sistema nerveo dal Manoscritto di Marco Colombo.

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le veci, come son i plessi, i gangli ec...Come si può rifiutare l’opinione di quelli che non ammettono

i nervi quali ministri della sensibilità. È ben vero che alcune parti durante la salute non danno sentire di sensazione che si riduce in atto coll’applicazione di qualche stimolo o malattia. Le ossa, legamenti ec. ne sieno d’esempio. Infatti altro è sentire, altro è esser dotato di sensività. È falso che vi sieno parti senza nervi. La sottile anatomia e analogia ce lo fa credere anche nelle parti sierose e nell’osso istesso. Si disputa se la vita organica sia retta dal sistema nervoso unico, o no. Noi ammettiamo che i moti organici dipendono dai nervi e non dal cervello e soppressa la loro efficacia non vi è uffizio alcuno della vita interna. Quell’influenza che il sistema nervoso esercita sulla vita organica fu della inervazione, noi la chiamiamo Neurergia. È tuttora questione se duplice sia il sistema nerveo spettante le vite o no. Bichat il centro del sistema animale lo colloca nell’Encefalo, dell’organico colloca tanti centri nei gangli. Nicherand stabilisce il centro della vita organica nei nervi simpatici.

Altri infine oltre il duplice sistema nerveo ammettono pure duplici nervi. Li uni spettanti al senso, li altri al sempre cosa costante che dalle lesioni cerebraline nascono soltanto delle aberrazioni della vita animale e da quelle del cervelletto i vizi della vita organica. Questo è contraddetto dall’anatomia patologica: i nervi che vengono dai gangli comunicano col cervello. Rolando poi spiega il fenomeno ammettendo i nervi senzienti e i motori che diversificano fra loro per l’origine. I nervi senzienti vengono dal cervello, i motori dal cervelletto. I primi dotati di mobilità, i secondi di fluido nerveo.

Si osserva che vi sono dei nervi motori come dell’occhio, che vengono dallo midollo allungato. Tommasini spiega i fenomeni d’ambedue le vite coll’unico sistema nerveo osservando che nei nervi vi sono varie condizioni: se ciò non fosse si dovrebbero ammettere tanti nervi quanti sono le parti dè sistemi ec.. ma ciò è assurdo.

Fu creduto per lungo tempo che il cervello fosse diviso da tanti stomi, da cui prendono origine i nervi mai crescenti in progresso. Ciò è falso. I nervi spinali presentono delle tuberosità e si osserva la midolla sui gangli a crescere: si son visti mostri senza cervello pure crescere. da ciò convien dedurre che ciascheduna parte del sistema nervoso ha una sua propria efficacia, esistono per sé né del tutto prendono dal cervello o dallo spinale midollo.

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È ancora materia di controversia fra Fisiologi il modo con cui i nervi eseguiscono i loro uffizi: a due si possono ridurre le opinioni e cioè: quella che ammette l’evoluzione d’un fluido speciale considerando il cervello come un elettro motore. Noi osserveremo con Tommasini, che non è ancora ben dimostrata l’esistenza di questo fluido ed in primo: il cervello ed i nervi son dotati d’una struttura fibrosa e per conseguenza idonea ai moti: la midolla non tutt’affatto priva di moto e questi si possono propagare. Non esiste l’analogia fra il cervello ed un elettro motore. Veggiamo finalmente se si possono spiegare facilmente i fenomeni ammettendo il moto. I nervi ricevono le impressioni e le diffondono in due maniere ciò far possono per l’oscillazione, o mediante il fluido, ma siccome l’oscillar non possono perché vi mancano le condizioni necessarie o perché i stomi producono delle vibrazioni fa d’uopo che sieno tesi ed elastici, ma i nervi son molli, non tesi dunque, non possono oscillare; ma ciò anche concesso, le vibrazioni non possono di molto estendersi perché i nervi non son liberi, ma interrotti e perciò si ricorre al fluido. Ma dimostrata la non analogia tra la pila di Volta 14) e il cervello e dimostrato il moto dei nervi e siccome anche omesso il fluido ci vorrebbe un altro agente per metterlo in azione e però godendo la natura la semplicità, né dovendosi i moti esplicare, li Enti senza necessità stabiliscono col Martini, e Tommasini, che i nervi hanno il loro moto d’incitamento, e ch’ogni incitamento consiste in qualche moto: questo moto sarà poco manifesto, ce ne persuade l’analogia e la ragione. Noi però, negando il fluido nerveo, fingiamo il principio vitale ovunque diffuso residente specialmente nei nervi, che compatisse l’incitabilità alle fibre.

DEL SIStEmA muSCoLArE

La forza per cui i muscoli tocchi da stimoli alternativamente si contraggono e si rilasciano fu detta contrattilità, motilità, irritabilità da Haller 15) da esso questa forza creduta insita ai muscoli istessi: dopo le belle scoperte di Scarpa 16), che dimostrò i nervi cardiaci, noi possiamo dedurre che l’irritabilità dipende omnimamente dal sistema nervoso, giacché legato, o tolto, il nervo che si distribuisce ai muscoli perde tosto

14) V. Scheda biografica p. 133 n. 6515) V. Scheda biografica p. 127 n. 3016) V. Scheda biografica p. 131 n. 52

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l’intiera sua contrazione, inoltre il cuore, che è l’ultimo a morire e anche stanato dal corpo ancor per indeterminato tempo si contrae e si rilascia, all’applicazione del veleno p.e. viperino cessa tutt’affatto di muoversi, dunque l’irritabilità superstite vien distrutta dall’azione stupefacente del suddetto veleno.

Or si dimanda quale sia l’agente dell’alternativa azione contrattiva e rilassativa dei muscoli. Varie sono le ipotesi: chi la ripone in un fluido particolare elettrico p.e., altri nel magnetico e simili. Noi su ciò osserveremo che fin’ora questo fluido non è dimostrato, come si ignora com’esso possa comportare alla fibra muscolare creduta vescicolare le forze irritarie. Di più, dato anche la struttura vescicolare e il fluido, perché i moti saranno alterni.

Noi senza seguire alcuna particolare opinione diremo che tale è la proprietà dei muscoli, tale il modo d’incitabilità, che dall’applicazione degli stimoli alternativamente si contraggono e si rilassano. Diciamo che i muscoli si contraggono perché sono di natura contrattile e li ravvisiamo tali perché realmente ne vediamo la loro contrazione. Dall’effetto ne deduciamo la causa che tutt’ora per noi ammettiamo incognita la condizione alla contrazione muscolare non ravvisiamo passiva, ma attiva e questa azione la chiameremo oscillazione, o risalto vitale secondo Tommasini.

DEL SIStEmA IrrIgAtorE

Quel sistema che diffonde il sangue in tutte le parti e lo riprende, chiamasi irrigatore il cui centro è nel cuore. L’irritabilità di esso, ormai ammessa, convien vedere se essa dipenda giusto Gall 17) o dallo spinal midollo, oppure dal cervello o dalle parti adiacenti. Osserveremo che anche leso lo spinal midollo perdurano i moti del core come anche leso il cervello e lo spinal midollo il core agisce tuttora: dai contrari sperimenti di Nilson e Gall noi possiamo dedurre che tutte le parti pertinenti al sistema nervoso godono d’una proprietà loro specifica, e privativa, di più contro l’opinione di Beavery. Scarpa dimostrò una gran copia di nervi cardiaci. Inoltre i patemi d’animo non dimostrano oggi l’efficacia dei nervi nel pervertire i moti del core. Le arterie, che appartengono al sistema irrigatore, furono oggetto di discussione anatomico fisiologica.

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17) V. Scheda biografica p. 127 n. 25

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Molti credettero che esse fossero dotate di tono muscolare, altri no. Questa forza muscolare contrattile e attiva lo dimostra: 1° l’analisi chimica, la flogosi, angiosidesi ec. e questa medesima forza muscolare siccome osserviamo pure nelle vicinanze delle vene vicine al cuore conviene per analogia ammetterla. Inoltre la contrattilità solo di cui tanto le arterie che le vene, ed i vasi capillari, sono forniti danno plausibile ragione come effettuar si possa la circolazione del sangue dalla periferia al centro nonostante la affrattuosità, i giri varissimi e contro le leggi idrauliche e di gravità. Da ciò riferisce che il core non è l’unico agente della circolazione (giacché v’è alterazione cardiaca senza alterazioni di pulsazione e viceversa) inoltre come spiegare la continua circolazione contro le leggi generali idrauliche? Dunque ciascuna parte del sistema irrigatorio gode di un’azione contrattile sua propria anco indipendente dal sistema encefalo spinale per cui essa continuamente seguita.

DEL SIStEmA LInFAtICo

Questo sistema detto assorbente dal suo uffizio linfatico dalle apparenze è diffuso in tutte le parti, ove però si eccettui il cervello in cui da taluni negasi la sua presenza. L’azione dei bagni, delle unioni mercuriali ec. dimostrano che essi sono ovunque diffusi, ciò si comprova vieppiù dalla riproducibilità e nutrizione continua delle parti: i vasi linfatici sono dotati di due membrane, la seconda delle quali creduta muscolare che non si riscontra se non nei grandi animali nel tutto toracico. L’assurzione non va confusa coll’azione delle forze capillari, ed essa esclusivamente succede mediante i suoi vasi linfatici bianchi, assolventi detti, chiliferi che che ne abbia detto Magendie 18) come lo vedremo in seguito.

DEL SIStEmA CELLuLArE

Il sistema cellulare è il fondamento si può dire di tutto il corpo. Da esso la bellezza, le forme si desumono. Parecchi fisiologi hanno attribuito al cellulare la contrattilità, e da Tommasini il turgore vitale.

18) V. Scheda biografica p. 129 n. 38

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DELLI umorI

Li antichi dividono li umori in escrementizi ed escremento vecrementizi. I primi due umori sono come inservienti alla nutrizione e rimangono nel corpo, il terzo viene espulso; ma siccome non vi sono delli umori che si possono dire affatto privi di principi nutritivi eppure questa divisione è peccante. Favero ha diviso li umori in due classi salini, oleosi, saponacei, mucosi, albuminosi, fibromosi. Il Martini avuto riguardo al modo con cui vengono segregati li umori, li divide in chilo, sangue e linfa: li umori segregati si dividono in mucosi e composti cioè quelli che vengono segregati nelle glandole conglomerate.

Ecco l’analisi del chilo: acqua, albume, fibrina, materia odorosa, vari sali neutri. Il sangue è un liquido rosso di odore quasi orinoso, di sapore salso più pesante dell’acqua. La sua temperatura è più alta nelle vene che nelle arterie.

Estratto il sangue dalla vena lascia scaturire del vapore, che fu creduto acido carbonico, che però non è, non estinguendo la fiamma della candela né rende torbida l’acqua di calce. Il sangue consta di siero e di materia bianca fibrosa, che non si scioglie né nell’acqua, né nel siero cui si dà il nome di fibrina. L’intera massa chiamasi crossamento e la parte che si separa dalla fibrina si chiama cuore o materia rossa. Il siero se ne può avere introducendo il dito nel cavo del tubo intestinale nelli animali uccisi tosto dopo il parto. Contiene delle parti acquose, l’idroclorato di sodio, l’albumina, il muco, gelatina e qualche poco di calce. Il tessuto cellulare è pure irrorato d’un umore sieroso, che si unisce all’olio e alla pinguedine. La midolla delli ossi è simile alla pinguedine, più tenue però: non si ha però di essa l’analisi. Due sono li umori dell’occhio, l’acqua il cristallino, il vitreo. Dalla superficie esterna del corpo scaturisce un umore, che passa facilmente in vapore, di un odore speciale, e chiamasi insensibil traspirazione. Contiene, secondo Thénard 19) dell’alcool acetico, acqua, idroclorato di sodio e di potassio, ed una materia oleosa, e gas acido carbonico.

La traspirazione polmonare non diversifica gran fatto dalla cutanea se si eccettua la rapidità. Queste decenti respirazioni presentano l’antitesi, il sugo gastrico non ancora bene analizzato è però né acido né alcalino, antisettico e disaliente dalli alimenti, né si dee negar né

19) V. Scheda biografica p. 132 n. 59

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confondere colla saliva come pretese Montegne.Il liquore ammioscoso detto dal cognome della membrana presenta

un colore latteo, odore fatuo, sapore sul salso. Diciamo ora alcune cose delli umori che vengono segregati dai follicoli mucosi.

Il muco secondo che vien segregato dalle varie parti prende nomi diversi come smideriano, cerume, meiboniano, salivare, e sugo pancreatico.

DELLI ALImEntI E DELLE bEvAnDE

Tutto quello che è capace di riparare le perdite e nutrirsi dicesi alimento. Varie sono le divisioni degli alimenti cioè in Eupepti, dispepti, in plichili, in Euchini, e Cacochini. Eupepti diconsi quelli che facilmente si digeriscono, al contrario dispepti. Se contengono parti nutritive diconsi polichili, se poche Oligichili, se danno buon chilo diconsi Euchini, se chilo di cattiva qualità Cacochini. È meglio dedurre gli alimenti in esculenti e poculenti. Li esculenti come fibrosi richiedono la masticazione. I poculenti sono liquidi, o sono nutritivi, o no. Ai nutritivi spetta il latte, il vino; ai poculenti l’alcool e forse altre bevande. L’acqua come si osserva per esempio nei pesci. Il regno minerale poi non somministra che rigorosamente parlando dei condimenti. Ippocrate disse alimentum ipse unum et non unum ciò si spiega che tutte le materie che possono nutrire desunte dalle diverse sostanze danno infine un umore omogeneo detto chilo. Vi è chi pensa che vi siano delle sostanze che riparino le parti solide, e le altre le fluide, ma questo è falso giacché il sangue, che contiene tante parti solide che fluide, serve alla nutrizione, di più se sia le solide che le fluide sostanze contengono i medesimi principi. Si dimandano se vi sia una sostanza immediatamente olibile o se questo consiste nel rucelloso, nell’olio o nel muco, ec. ma siccome non v’è un’immediata sostanza soltanto olibile. Dunque bisogna dire che questa facoltà è comune a vari altri elementi di più se l’uomo è onnivoro come lo prova segnatamente la sua struttura ossia Polifago potendosi esso servire tanto delli alimenti del regno animale, vegetale che minerale. Dunque se Haller serisce che i primi uomini si servissero solamente del cibo vegetale che ne sia di ciò prova sempre più che l’uomo può impunemente cibarsi dell’uno e dell’altro. La bevanda più omogenea primitiva è l’acqua, indi viene il vino che toglie e modera la sete, ed erige le forze, indi in mancanza del vino v’è la birra, che inebria meno del vino, poscia il

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siero, che si ottiene dalla fermentazione di alcuni frutti, e in specie dal pomo poco usato da noi. Dai liquori fermentati si ottengono li acidi, che soglionsi unire all’acqua per avere una grata bevanda.

DELLE FunZIonI

Tutte le parti della vita animale godono d’una vita sua propria. Per funzione s’intende l’azione, o l’uffizio di cui gode ciascuna parte.

Si dividevano dalli antichi in quattro classi cioè animali vitali naturali e genitali. Questa divisione non è troppo consona giacché la vitali e naturali sono sì strettamente unite che separar non si possono. Altri le distinsero in fisiche, meccaniche, organiche ed inorganiche, ma siccome nulla vi è d’inorganico nel corpo e tutte le funzioni animali s’eseguiscono non con leggi meccaniche fisiche onde Dumas ne costituisce quattro classi cioè di composizione, o costituzione, di aggregazione o aggregato, di comunicazione generale o speciale. Bichat due classi ne fa, funzioni dell’uomo e della specie, e le prime le suddivide in quelle che spettano la vita animale e l’organica. L’organiche si dicono pure assimilatrici, o nutritive suddivise in tre ordini cioè in funzioni spettanti il sesso mascolino, femminino, o ad ambedue. Galeno 20) così li divide, in vegetative, e in senzientie, in quelle che rinchiudono il consenso d’ambedue. Nicherand poco si discosta da Bichat. Noi le dividiamo in nutritive, animali e vegetali.

DEL nESSo DInAmICo

Le molteplici azioni dell’economia animale hanno il mutuo consenso, o rapporto detto nesso dinamico. Ecco l’aforismo d’Ippocrate su questo proposito: consensus unus, respiratio una, consensentio omnia.

Triplice è il modo di consenso cioè simpatia, sinergia ed antitesi. La simpatia, o consenso, è quella particolare conspirazione delle parti per cui le une, affette la medesima mutazione, sentono le parti consenzienti. Si distingue in generale e particolare, in attiva e passiva. La generale si eseguisce fra tutte le parti del corpo, la particolare fra alcune parti soltanto, come il ventricolo nel cervello, le parti genitali colle mammelle ec. La sinergia, o associazione, è il consenso di più parti per eseguire più facilmente la medesima funzione, così l’apparato gastro epatico per la

20) V. Scheda biografica p. 126 n. 24

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digestione, l’uropoietico per l’orina. È legge dell’economia animale che mentre si aumenta un’azione in una parte, in altre sia diminuita. Nel tempo della digestione il capo è grave, i sensi esterni durante l’azione di certi patemi vegetano per così dire infievoliti: siffatto dicesi tudine delli organi, dicesi antitesi, o antagonismo. Le varie specie del nesso dinamico altrimenti spiegar non si possono, che per mezzo del sistema nervoso.

DELLA SAnItà, mobILItà ED EnErgIA

La sanità emerge dal libero esercizio normale di tutte le funzioni. Non richiedesi già per la salute che tutte si eseguiscano, bastando che ve sia l’attitudine. Ippocrate disse che il supremo grado di salute esser desidioso, ma la strettissima sanità non esser vicino alla malattia, ma bensì che la forza muscolare di troppa parte indicare che non v’è il perfetto equilibrio fra le varie parti vitali.

Due condizioni vi si notano nella fibra vivente cioè la mobilità, e l’energia. La mobilità, detta anche recettività, dicesi quella condizione della fibra che viene vivamente scossa dalli stimoli, e tosto si assopisce, al contrario energia quella condizione della fibra per cui più debole e lenta è l’azione delli stimoli, ma che però perdura per maggior tempo; dunque sono in ragione inversa. la mobilità è più comune fra le donne, l’energia nelli uomini.

DELL’ASSuEtuDInE

L’assuefazione modifica l’uomo in modo da costituirne una seconda natura. Tre ne sono gli effetti, cioè di ottenere l’incitabilità (il carattere nell’uretra), di rendere i moti più facili e più agili (Ballerini), terzo di aguzzare il giudizio, e di perfezionarlo.

DELL’Età

Le età sono i vari periodi della vita soggetti a varie mutazioni. Furov divise in età di aumento o giovinezza, di decremento, o vecchiezza. La più usitata è la seguente che divide in sette e cioè infanzia, puerizia, adolescenza, gioventù, virilità, vecchiezza e decrepitezza. Queste sono delle mutazioni speciali nei vari climi e sessi.

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DEI tEmPErAmEntI, CoStItuZIonI E AbItI

Per temperamenti s’intendono quelle principali varietà sia rispetto al corpo, che all’animo. Galeno per spiegare i temperamenti ammise quattro umori cioè il sangue, la bile, la pituità e la malinconia. Sebbene la dottrina delli umori sia per dire così rancida si ritiene tuttora: con più ragione però i moderni fanno dipendere li umori dalla preponderanza d’alcun sistema ed apparato p.e. dal sangue sanguigno, bilioso dal fegato, e se esso è torbido, melanconico pituitoso dalla preponderanza del sistema linfatico e cellulare. Cabanis 21) ne aggiunge due cioè il nerveo e il muscolare. Noi però ammettiamo queste condizioni piuttosto quali costituzioni speciali del corpo ossia qual misura della forza o no dell’individuo. I temperamenti per l’età, le malattie e pel sesso ec. Ai temperamenti vi si accosta ben da vicino l’idiosinergia. Per idiosinergia s’intende quella condizione dell’incitabilità per cui uno viene affetto d’alcuni agenti ed altri no. Dissimo che i temperamenti emergono dalla preponderanza di alcuno apparato e che dalla misura delle forze vitali ne nascono le speciali costituzioni del corpo, che due speciali sono, cioè l’atletica e la debole. Queste condizioni esterne come collo grosso, corpo ec. corpo macilente ec. dicesi abito.

DELLE vArIEtà DELL’umAn gEnErE

Quattro sono secondo li autori le varietà cioè l’Europa settentrio-nale, l’americana, la pura e l’indica. Altri ne mettono cinque come l’Europea, l’Asiatica, la Americana e l’Oceanica, ossia della nuova Olanda. Altri ammettono pure li Albini e i Cretini, ma queste non sono che alterazioni, o vizi di deformazione segnatamente dal cervello. Si deggono considerare come imbecilli. I Cretini s’osservano nel Vallese, nel Ducato d’Aosta e di Savio. Sono fatui, stupidi, di piccolissima statura, di lungo e prominente gozzo ec.

DELLA mortE

Bichat ne costituì tre specie cioè cerebrale, cardiaca e polmonare secondo che viene primariamente o secondariamente lesa l’una o l’altra parte di queste funzioni. Si divide pure in naturale, spontanea ed accidentale. L’unica cosa determinante la morte è la putredine, fa

21) V. Scheda biografica p. 125 n. 15

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d’uopo però ch’essa sia profonda, attacchi in viscere essenziali alla vita, tutti li altri segni sono incerti.

DELLA FAmE E DELLA SEtE

La fame è quella sensazione che avverte della necessità di prender cibo. Fu divisa in animale e naturale. Noi però la dividiamo in vera e legittima, ed in elegittima nota o spuria. La fame moderata non è ingrata. Vi sono delli esempi dell’astinenza protratta fino a delli anni; che che ne sieno, questi fatti appartengono alla Patologia giacché nello stato fisiologico non si può trarre oltre il terzo giorno senza gravi inconvenienti.

La sete è il desiderio delle bevande e questa nasce dalla mancanza delle parti umide del sangue, come la fame si divide pure la sete. La sete è sempre più imperiosa. Si discute quale sia la vera causa della fame e della sete. La deducano alcuni dalla confricazione muta delle membrane del ventricolo vuoto, altri dall’acrità del sugo gastrico e dai nervi compressi e simili.

Quando lo stomaco è vuoto si segrega minore quantità di succo gastrico, né vi è ragione che induca il ventricolo a contrazioni più veloci, di più bevuto dell’acqua, o altro liquidi, che diluisce il succo gastrico e distende le pareti del ventricolo, placa per poco tempo la fame, ma non la toglie giacché essa nasce da una mancanza di nutrizione, che vincer non si può che colli alimenti. Meno felici furono quelli che costituirono la causa della sete nella muriatica aere, alcalina diserasia: queste non son dimostrate e ove sieno per effetto e non per causa si devono avere. Dumas e Nicherand hanno opinato più giustamente la fame doversi avere qual affezione nervosa che principalmente risiede nel ventricolo e che quindi per consenso nervoso si diffonda a altre parti del corpo.

La sete poi, che risiede principalmente nelle faucie, indi simpaticamente si diffonde ad altre parti. Dumas più oltre spinse le sue indagini ed esaminò quale sia la condizione del sistema nervoso tanto relativo alla fame che alla sete e pretende che la causa della fame risieda nella debolezza del sistema linfatico, e della sete nell’orgasmo del sistema sanguigno. Tenta provare la sua asserzione coi seguenti sperimenti. Dato a un cane digiuno da vari giorni, una discreta dose d’oppio con canfora cessa la fame, onde da questo esperimento e

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Della morte, Della fame e della sete, dal Manoscritto di Marco Colombo

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dall’osservazione che passata l’ora del pasto cessa la fame ne conchuide che la fame consiste nella debolezza del sistema linfatico e la sete nel orgasmo del sistema sanguigno. L’oppio e l’azione di qualunque stimolante può per qualche tempo non solo temperare e togliere la fame, ma anche la sete, ma questa morbosa sensazione, cessata l’azione dei narcotici, è più intensa e gagliarda si fa sentire sì la sete, che la fame, perché è solo un predispositivo, che non si possono naturalmente togliere che riparando la nutrizione o dando al sangue delle parti colle acque la che non s’ottiene nello stato fisiologico colli agenti di cui fece uso il Dumas.

DELLA monDuCAZIonE (mAStICAZIonE)

Li alimenti presi coi denti vengono segati, lacerati e triturati, e sottoposti all’azione disalinata della saliva: il cibo immedesimato colla saliva viene portato mediante il piano inclinato della lingua, la di cui base va a poggiare sulla epiglottide; il lobo alimentare nel cavo della bocca e, mediante l’azione dei muscoli stilo glossi, vien portato nell’Esofago e si forma in allora la seconda operazione chiamata deglutazione: tosto che il lobo alimentare perviene all’esofago, si stabilisce un moto peristattico detto o vermicolare, che si protrae sino al ventricolo: la gravità del lobo alimentare pare che non v’abbia gran parte in questa operazione giacché anche nei funaboli succede. L’epiglottide poi è utilissima in questa operazione, e l’opinione di Magendie è che la riconosce come un ente inutile è falso. L’utilità è dimostrata dalla Tisi, e che la natura ha fatto niente d’inutile.

Le parti che ne devono fare le veci quando lo si taglia, come nei cani che non muoiano di soffocazione, prova soltanto che natura fu provvida, che le parti adiacenti possano sebbene imperfettamente compiere l’uffizio principale della prima. Riflette Nicherand a questo proposito: se un uomo può vivere e camminare colle coscie si è vero che le gambe sono inutili.

DELLA ChImoSI

Per chimosi s’intende la conversione degli alimenti in una speciale polenta omogenea, e quando ciò succede ermeticamente si chiude l’optio superiore dell’esofago in modo tale che li stessi vapori che ne

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escano nello stesso stato puro fisiologico: lacché vien denegato da Magendie che crede essere il ventricolo un ente passivo e pretende ciò dedurre da alcuni esperimenti. Questo è falso, il piro, il cancro, le affezioni spasmodiche del ventricolo ben provano che questo viscere è attivissimo e nobilissimo.

Il chimo ha varia natura secondo che si desuma dal vegetale ed animale regno. La digestione in generale si fa fra quattr’ore. Varie son l’opinioni circa la chimosi. Ippocrate la credea una cassione, altri una fermentazione, altri macerazione, che la reputa dal succo gastrico e dalla saliva quali solventi delli alimenti. Tutte queste opinioni hansi da riguardare false: 1° il calore se é forte perturba le digestioni come vediamo nelle febbri ardenti, fermentazione, putrefazione del corpo umano sono, non v’è, e il sugo gastrico è un potente antisettico; quanto concerne alla macerazione, questa idea talmente meccanica, che non merita confutazione speciale. Le leggi della vita ben lungi si discostano dalle idrauliche, chimiche, fisiche ec. A torto Montegne 22) negò l’esistenza del succo gastrico credendolo saliva deglutita. Le glandole Micipari, i numerosi semivasi che serpeggiano lungo il ventricolo e l’analisi chimica del sugo gastrico istesso provano la necessaria utilità ed esistenza del medesimo.

Spallanzani 23) colle sue artificiali digestioni otteneva una non perfetta digestione da che senza l’influenza nervosa dei nervi pneumo-gastrici non si può ottenere essendo la Chimificazione come la chilificazione l’operazione omnimamente chimico vitale. Quando il chimo dopo aver sofferto l’azione del sugo gastrico pancreatico subisce una nuova mutazione che chiama chilosi e i numerosissimi vasi linfatici assorbono il chilo, che tradutto il canale toracico viene convertito in sangue e questa operazione si chiama Ematosi o sanguificazione. La soluzione è triplice cioè esterna, interna ed interstiziale. L’esterna è comprovata dall’applicazione di alcuni rimedi che servono a tabellare malattie interne p.e. i bagni, le unzioni ec. L’interna poi la prova la nutrizione che ripara le perdite giornaliere, l’interstiziale la scomparsa di tumori interni o simili, e li sperimenti di Hunter 24) e di Scarpa sui denti, i quali in seguito della Rubia tinctorum i denti prendono un colore giallo che

22) V. Scheda biografica p. 130 n. 4223) Ibidem24) Ibidem

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Della chimosi, dal Manoscritto di Marco Colombo

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svanisce insensibilmente. Tralasciando l’uso della suddetta sostanza, è pure comprovata la sorzione interstiziale dietro l’operazione della depressione della cateratta. Mascagni 25) nel suo gran (illeggibile) dei vasi linfatici provò ad evidenza, che ai soli vasi linfatici compete l’assorbimento e non alle vene come pensano Magendie ed altri avendo esse non libere le estremità, ma continue colle arterie laddove liberi sono i fini dei vasi linfatici. Dunque quando si trova della linfa nelle vene e nelle arterie oltre che esse sono prodotte di numerosi vasi linfatici si può dire che vi fu rottura, corrosione o meccanica introduzione della linfa nelle medesime. V’è un’opinione recente cioè che i vasi linfatici abbiano un così detto moto retrogrado, ma conviene osservare che contro la direzione dei vasi linfatici, come dimostrò Mascagni, non può seguire vero assorbimento, e le comunicazioni tra il ventricolo p.e. e la vescica orinaria l’anatomia non le svela; da ciò si riferisce che l’intiero assorbimento si fa nel canale toracico che si scarica nella via destra ora con una ora con due aperture e talora nell’altra pnelavia.

Infine v’è l’opinione di alcuni, che ammettono altre vie di comunicazione più brevi dei vasi linfatici p.e. nelle vene emulgenti ec. Queste ove esistono non sono che aberrazioni anatomiche giacché, se sempre esistessero, l’anatomia ne mostrerebbe l’esistenza; inoltre siccome nel tragitto linfatico la linfa subisce notabili mutazioni attraversando le glandole si conglobate che conglomerate, con queste vie brevi non v’avrebbe più la nutrizione.

DELLA CIrCoLAZIonE DEL SAnguE

Condotto il sangue dalle arterie alle estremità vien ripreso dalle estremità venose terminanti nelle due vene cave, dalle medesime il sangue è portato all’orecchietta destra, questa si contrae e spinge il sangue nel ventricolo destro, che pure si contrae. L’apice del cuore posa alla base e le valvole triglochine ne impediscono il regresso, e il sangue passa per l’arteria polmonare indi portato ai polmoni è ripreso dalle quattro vene polmonari. Da queste vien respinto all’orecchietta sinistra, che si contrae: le valvole mitrali ne impediscono il regresso, e allora il sangue passa per l’aorta e le valvole ne impediscono il regresso. Per l’arteria aorta ascendente, discendente viene il sangue diffuso a

25) V. Scheda biografica p. 129 n. 39

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tutte le parti del corpo, e ripreso dalle vene opponendovi al regresso le valvole altrimenti la circolazione precede nel Feto. Dalla sistole e dalla diastole nasce il polso. Fu divisa la circolazione in grande e minore ossia polmonare. Già osservammo che il cuore non è l’unico agente della circolazione. Si osserva che la sistole dell’orecchietta è sincona come l’è la sistole delle arterie. Non è ancora ben stabilita la quantità di sangue in ciascun individuo. Generalmente si stabilisce da 27 a 28 libbre di sangue. Haller pensa che il sangue arterioso è al venoso come 4 a 9.

La quantità del sangue si può aumentare o diminuire. Il primo vizio si dice pletora, il secondo inanizione. Di tre specie di pletora vi sono, cioè la vera, l’apparente, la relativa, o per meglio dire con Tommasini qualitativi e quantitativi.

DELLA rESPIrAZIonE

Di due specie sono i movimenti che succedono nell’inspirazione ed espirazione. Questi movimenti sono o meccanici o chimici, che vengono sempre retti dalle forze vitali. I primi moti consistono nella dilatazione e constrizione alternativa del petto, i secondi dalla mutazione cui soggiace il sangue a contatto dell’aria dei polmoni. Dilatano il petto i muscoli esterni ed interni ed in ispecie il Diaframma e sebbene nei polmoni non vi sia niente di muscolare pure sono contrattili e attivi; i muscoli intercostali interni ed esterni agiscono alternativamente e formano un antagonismo, ed ecco il motivo dell’inspirazione ed espirazione. Mutazioni chimiche della respirazione. Ecco come si spiega da Lavoisier 26): nella respirazione si assorbe una parte di gas ossigeno atmosferico, e vi si svolge l’acido carbonico, che sotto forma di vapori acquei viene espirato. Il sangue nero abbonda d’idrogeno e di carbonio, il gas ossigeno ispirato si risolve, una parte dell’ossigeno unendosi al carbonio ne emerge l’acido carbonico, che sciolto dal calorico prende una forma elastica, una seconda parte s’unisce coll’idrogeno, indi l’acqua, la terza finalmente s’immedesima col sangue. Si dimanda ora se l’acido Carbonico sia un edotto o no prodotto. È certo che l’aria atmosferica per la respirazione perde in parte del gas ossigeno e acquista il gas acido Carbonico. La temperatura del sangue è di 31 gradi del termometro di Réamur 27). Azione dell’ottavo passo

26) V. Scheda biografica p. 129 n. 3627) Ibidem

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nella respirazione. Si dimanda ora se la respirazione dipenda dal cuore dalle arterie. Il Professor Martini è d’opinione che i moti del cervello e della respirazione hanno una specie d’armonia fra di loro e pare che il cervello nell’ispirazione s’abbassi e nell’espirazione si eriga. La causa prima della respirazione pare, come vedremo, dipendere da una speciale impressione dell’aria, asserendo fin d’ora d’ignorarsi la vera causa dell’alterna ispirazione ed espirazione.

DELLA SECrEZIonE

Il sangue, portato dalle vene e dall’arterie per tutte le parti e alli organi secernenti, emette vari principi i quali in seguito alle varie loro unioni vengono a formare i diversi umori. I Fisiologi pensavano che tutti li umori fossero contenuti nel sangue, e quindi venissero segregati dai vari organi secernenti. Ma questa opinione non regge al fatto giacché distrutti alcuni organi non v’è più secrezione d’umori. Nelli Eunuchi p.e. mancano tutti i fenomeni prodotti dall’efficacia del seme, lo stesso dicasi delle mammelle, che distrutte più non si surge latte, lacché prova ad evidenza che li umori non sono tutti contenuti nel sangue e ch’essi abbisognano dell’integrità dell’organi secernenti.

Di due specie di secrezioni si notano, la prima che si fa senza il concorso delle glandole, la seconda poi che si fa mediante le medesime. La prima dicesi secrezione semplice, ed esalazione, le seconda secrezione composta o glandolare. Fu creduto dai Fisiologi che la secrezione si facesse dai porri inorganici dell’arterie, ma questo è falso giacché non identico umore viene separato per esalazione in tutto il corpo. Convien dunque dire che vi è un particolare apparato secretorio, che sfugge la considerazione oculare e che da esso vengono separati i diversi umori. Tutti li umori, se eccettuiamo la bile, vengono segregati dalle arterie, come dalla vena porta viene separata quella parte che chiamasi bile. Infatti l’apparato sanguigno venoso della vena porta, che ha una struttura particolare come un sangue particolare, prova che la bile viene segregata dal sistema venoso. A ragione osserva Haller, se la vena porta non segregasse la bile, quale altro ufficio può comportarle? Molte sono l’opinioni circa l’uso della milza. Chi opina che essa separa l’atro bile, o l’umore malinconico, altri che somministri i globuli rossi del sangue.

Caramelli e Mareschi pretendono che il sangue soffra una mutazione

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simile nella milza che contribuisce a separare la bile; infine v’è chi pensa esser la milza una speciale diversione del sangue che dopo la digestione ivi si raduni e durante la digestione si facci un’affosso di sangue al ventricolo per cui viene ad aumentarsi la secrezione del succo gastrico. Tutte queste opinioni meritano una speciale conferma, giacché questa meccanica compressione non ha luogo sia il ventricolo pieno o no, di più si osserva che la milza in quelli morti per gravissime (illeggibile) presentare minore volume la milza stessa.

Dunque la milza per la vena splenica porta gran quantità di sangue alle vene porte, che suggia a mutamenti non ancora ben definiti. Non si deve però omettere l’atro bile o umore malinconico giacché queste sono opinioni ipotetiche e rancide come è ipotetico che la milza serva a mantenere l’equilibrio col fegato, dunque convien dire che la milza ha un uffizio tutt’affatto speciale e che forse è un aiuto succedaneo al fegato istesso, giacché, tolta o inferma la milza, si perturbano le funzioni gastro-epatiche. Il Timo, poi, che è grande nel feto e che perde insensibilmente il suo volume, pare che nel feto stesso abbia un uffizio particolare che tuttora ignorasi. Tanto il timo come la glandola tiroidea diminuiscono coll’età e nessun finora ha dimostrato la presenza d’un tutto escretorio lacché rende tuttora arcano il loro vero uso.

DELLA nutrIZIonE

Siccome è legge naturale che i corpi continuamente si rinnovino e si disperdano i principi, perciò tutte le parti del corpo umano hanno delle speciali condizioni per mantenersi nel loro esercizio. Si disputa tuttora se tutti li elementi del corpo, o una parte soltanto, si rinnovino. Taluni opinano che si consumino e si riparino, altri poi che le parti considerate elementari non siano soggette a riparazioni. Il Martini aderisce all’opinione che talune parti si distruggono, altre non. È ancora oscuro lo spiegarsi perché a un determinato tempo il corpo non solo ripari le perdite, ma accresca anche volume, tal cosa è arcana. N’è pure un altro oggetto oscuro in Fisiologia cioè che si trovino in alcuni animali dei principi che non si osservano nell’aria che si respira. La Fisica p.e. pare dunque i primitivi, o elementari principi sappiano, o in determinate circostanze risolversi, e prendere una mutazione tutta affatto speciale.

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DELLA tEmPErAturA vItALE

Li esseri organici, tanto nei climi caldi, che nei freddi, conservano una costante temperatura vitale. Ippocrate era d’opinione che il calore fosse innato, altri lo dedussero dall’attrito degli atomi, o dal fregamento, altri dalla digestione e nutrizione, altri lo spiegano mediante i cambiamenti chimici che accadono nelli umori. Pare probabile che non unico sia il fronte della omogenea temperatura vitale. La respirazione ha una gran parte in questo. Infatti quanto più grande è il volume dei polmoni relativamente al corpo via maggiore si osserva la temperatura vitale, ma perché non può da se sola produrre il calore. Secondo che il calorico sia sottratto dall’atmosfera, nella medesima proporzione si rigenera, ma non si spiega perché i corpi viventi conservino il medesimo calore nell’aria caldissima. L’aumentata esalazione cutanea sottrae una gran parte di calorico lacché accade pure nel bagno o in altri vitali momenti in cui li umori passano dallo stato solido all’aeriforme perdono una gran parte di calorico, e così omogenea mantiensi la temperatura. Siccome li Enti non si deggiano moltiplicare senza necessità, noi non ammettiamo l’opinione di Conaveri che vuole il principio Criptopiria, e Ipirigenia. Martini crede che la temperatura vitale è un effetto dell’incitamento, o della vita: che la respirazione, la digestione, secrezione, e la nutrizione istessa contribuiscono in gran parte a mantenere l’omogenea temperatura dei sensi sebbene cinque siano i sensi tutti però in ultima analisi si riducano a tatto.

DELLA vIStA

La luce, venuta a contatto della retina, le fa un’impressione che mediante il nervo ottico si propaga al comune sensorio e v’induce una sensazione: si dimanda perché i corpi che in senso inverso si portano nella retina, e noi ne abbiamo la sensazione retta. Osserveremo che la posizione dell’oggetto è solamente relativa. Se domando perché una duplice impressione sui due occhi produca soltanto una semplice sensazione. È facile spiegare la cosa. Le impressioni sono uguali, nel medesimo tempo vengono portate nel comune sensorio perciò si confondono, e se è permesso il dire, formano una sensazione composta omogenea.

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DELL’uDIto

Le orecchie concorrono all’udito. Si dimanda se al solo vestibolo, ai canali semicircolari, alla coclea, o a qualche parte soltanto si degga riferire l’udito. È ragionevole il credere, che tutta la polpa nervosa vi contribuisca; si dimanda se la porzione dura del nervo uditivo, che costituisce il nervo speciale, concorra all’udito. Pare che almeno indirettamente vi concorra per la relazione che ha col 7mo paio. Acciò poi normale sia l’udito conviene come anche la vista sieno nelle medesime condizioni, cioè nel istesso grado di incitabilità.

DELL’oLFAtto

La membrana incisteriana ne costituisce la sede. L’aria carica delli effluvi dei corpi nel tempo dell’ispirazione viene ricevuta nelle narici. L’estremità molli dei nervi quasi nudi ne sentono impressione, e la mutazione si propaga al sensorio comune e indi ne nasce la sensazione dell’olfatto. L’olfatto primeggia al gusto giacché li alimenti portati nella bocca, prima segnalano l’olfatto, che il gusto.

DEL guSto

Siccome coll’olfatto sentiamo li odori, così col gusto sentiamo i sola: le labbra, il palato, l’ugola, l’esofago vi contribuiscono; la sensazione dell’ustione dell’acrità ec. è varia. Muove le risa leggere che anche senza lingua si possa avere gusto. Le varie poi papille della lingua contribuiscono al gusto. Si disputa se al gusto contribuisca esclusivamente il quinto paio, o anche li altri nervi. Dopo Galleno tutti i Fisiologi pensarono che l’ottavo e nono paio produca i nervi motori e il quinto i senzienti, ma alcuni stami del grande ipoglosso si distribuiscono alla lingua, e perciò deve contribuire al gusto.

DEL tAtto

Esso è ovunque diffuso. La sede principale è la cute e specialmente quella che è all’estremità delle dita. Le papille ora coniche ora longitudinali, e vilose, inservono all’acutezza del tatto. Moltissimi nervi, provenienti dalle diverse parti, si distribuiscono alla cute. La rete Ruvischiana difende la mollezza delle papille cutanee, e l’epidermide difende la sensibilità della cute. Si disputa se la cuticola sia organica o

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no. Moison nella sua memoria sull’epidermide ha in certo qual modo dimostrato la cuticola essere pure organica. Pel tatto noi conosciamo la figura dei corpi, la mollezza, la durezza ec. Il tatto talora è acutissimo e ciò succede specialmente quando li altri sensi sono sospesi o inerti. Riconoscono i ciechi dal tatto l’asprezza dei corpi ec. in guisa che essi sono in grado di rilevarne eziandio il colore. Il tatto è il senso più perfetto di tutti. I sensi interni sono tanti quanto li esterni. V’è cioè un udito interno, un tatto interno ec. ed hanno fra loro un antagonismo.

DEI motI voLontArI

È data all’uomo la facoltà d’avere una consapevolezza delle mutazioni che accadono nella sua economia e di alcuni moti che chiamansi volontari. I moti che si dicono muscolari vengono dai nervi cerebrali. Vi sono dei nervi senzienti e motori la che si prova che i nervi senzienti ricevono impressioni dall’esterno, e le comunicano al comune sensorio; i motori al contrario ricevono impressioni dall’interno, e si propagano ai muscoli. I muscoli poi hanno un moto alterno la di cui causa non è ancor ben cognita; la forza poi dei muscoli è grandissima e Borelli 28) pretende che la forza dei muscoli sia in ragione del peso di cui ciascheduni sono provvisti. I movimenti muscolari sono molteplici ed hanno una grandissima utilità. La prima è quella che per arbitrio dell’anima tutto il corpo, o solamente qualche parte, si trasferiscono di luogo a luogo (locomozione). Dal progressivo movimento giudichiamo l’esistenza dell’animale natura, e neghiamo la consapevolezza nelle piante, perché i movimenti non sono spontanei, ma vengono prodotti da cause esterne.

DELLA voCE, E DELLA LoquELLA

Ai moti volontari spettano quelli che si emettano nella voce. Due sono le opinioni principali, alcuni pretendono che sia un’istrumento a corde, altri a fiato, noi col Martini ravvisiamo l’organo della voce vocale ed istrumentale.

28) V. Scheda biografica p. 123 n. 9

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DEL Sonno

A torto fu creduto essere l’immagine della morte, alcuni riposero la causa nella compressione del cervello e nella mobilità delli spiriti nervei. Pare che il sonno serva a riparare le perdite, e però mentre li altri sistemi sono per dir così in una specie di momentanea tranquillità e in allora succede il sonno in cui più facile vien la chilificazione, e per conseguenza la nutrizione.

Nel sonno non tutte le funzioni intellettuali sono sempre in stato di perfetta quiete lacché osserviamo nei sonnambuli ec. Sebbene la consuetudine passi molto, ciò nonostante si può stabilire che il sonno dura dalle 6 alle 8 ore nelli adulti, breve nei vecchi, e lunghissimo nei neonati.

DELLA CIrCoLAZIonE DEL FEto

Eguale di quella delli adulti ad eccezione di ciò: 1° che il sangue materno soffre una qualche mutazione nella placenta avanti di portarsi al Feto. Dalle vene ombelicali il sangue viene portato al fegato, pel (illeggibile) venoso va nelle vena cava inferiore e portato nell’orecchietta destra del core. Siccome li asti delle vene cave non s’oppongono al sangue, che dipende per la vena cava superiore dal capo, e dall’altre parti superiori non vi pone ostacolo, e passa nel forum di Botallo 29), e quindi nell’orecchietta sinistra e al ventricolo sinistro.

Era dunque necessario che una parte del sangue dall’orecchietta destra per l’interposta apertura passasse nella sinistra e mediante il dutto arterioso andasse all’aorta e in parte ai polmoni per la loro nutrizione, il dutto arterioso, appena seguita la respirazione, l’oblitera come s’oblitera il forame di Botallo , e quando ciò non succede nasce quella malattia conosciuta sotto il nome di Cenosis, morbus ceruleus, o Bleé descritto d’Alibert 30).

29) V. Scheda biografica p. 124 n. 1130) V. Scheda biografica p. 123 n. 1

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DELLA PAtoLogIA

DELLA DIAtESI

Per Diatesi li antichi chiamavano qualunque siasi affezione morbosa, e tante erano le diatesi quante le malattie, onde fu detta diatesi flogistica, passiva, nervosa ec.

I moderni poi intendono uno stato morboso d’incitamento diffuso in tutto il corpo e permanente. Quello speciale poi processo morboso comune tanto delle malattie universali che locali il quale si stabilisce di preferenza in un organo, apparato e in un sistema dicesi condizione Patologica, o stato patologico. Per forma di malattia intendono l’aspetto, o fisionomia della malattia come si presenta alli occhi, e questa serve essenzialmente a costituire una giusta Diagnosi p.e. la Pneumonite si ravviserà di forma, e diatesi flogistica con condizione Patologica ai polmoni. Ciò posto giusto Brown la diatesi sarà duplice, cioè stenica ed Astenica, che corrisponde alle malattie calde e fredde ed attive e passive delli antichi.

Altri ammettono con Giannini 31) la Diatesi nervo stenica, che siccome essa consiste in debolezza, o attonia del sistema nervoso susseguita da reazioni del sistema arterioso e muscolare; in prova adduce le febbri intermittenti, che all’avvilimento nervoso nello stadio del freddo vi susseguita nel secondo periodo la reazione del calore. Nervostenica, però, giusta l’etimologia, altro non è che vigore dei nervi. Osserveremo 1° che due condizioni essenzialmente opposte nel medesimo individuo nello stesso tempo non si danno, di più se il sistema nervoso è depresso e regge tutti li altri, se la vitalità è una, come mai vi potrà essere eccesso di vitalità nel sistema arterioso e muscolare che vien retto dal nervoso?

Altri ammettono la Diatesi irritativa come Fanzago 32). Osserveremo che, tolto l’effetto, si toglie la causa onde i moti irritativi sono consensuali-simpatici, non permanenti e subito, non di rado, si tolgono con ematico, purganti e simili. Questa a buon diritto dai moderni vien chiamata condizione irritativa la quale, se perdura anche tolta la causa irritante, è perché all’irritazione ne è susseguito un processo permanente, o flogistico, o attonico, p.e. i vermi, i calcoli, un agente

31) V. Scheda biografica p. 127 n. 2832) V. Scheda biografica p. 126 n. 22

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qualunque dell’occhio danno dei moti d’universale perturbazione chiamati disafini, in armonia, che simulano i moti, d’aumentato e diminuito, eccitamento, ma siccome se subito s’impiegano li acconci rimedi, che eliminare il possono, si tolgono e si restituisce la salute lacché non succede nelle malattie diatesiche sì flogistiche , che non, onde la diatesi irritativa non è ammissibile perché nella vera diatesi i morbi hanno un periodo necessario, che si possono temperare, ma non vincere subito lacché ben spesso ci accade osservare nelle condizioni irritative.

CEnnI DI mArCo CoLombo

AvvErtImEntI gEnErALI DEL moDo D’APPrEnDErE LA PAtoLogIA

Deve sempre la Patologia essere preceduta da una chiara e semplice Fisiologia, perché senz’essa infruttuoso ne riuscirebbe il di Lei studio. Essenzialissima è la parte patologica perché costituisce quasi un corpo di cognizioni che tutte, più o meno, riguardano l’uomo infermo senza delle quali niun può indicare rimedi sicuri e metodi curativi. Onde intraprendere utilmente il di lei studio, convien dedurre dei principi semplici e certi, e questi s’otterranno col mezzo dell’analisi e della sintesi. Il metodo sintetico per lo più contenta i Patologi sistematici, ma chi ama scoprire più facilmente la verità mai si diparte dal metodo analitico; dunque l’analisi sarà la base principale del Patologico raziocinio, che però non sarà male disgiungerlo dalla sintesi; perché la sintesi potrà servire ad esplorare la verità dell’analisi. Per istituire una vera analisi conviene servirsi dei mezzi che Cabanis, seguendo l’orme di Condillac, ci ha diligentemente illustrato, cioè converrà porre in pratica: l’analisi descrittiva, la istorica, quella che si fa per decomposizione, quella che per deduzione. Per raccogliere i fenomeni morbosi sono in grand’uso le prime due: l’analisi di decomposizione, simile all’analisi chimica, ci servirà d’aiuto per conoscere la natura e l’indole di qualche causa materiale delle malattie, e per comprendere i particolari processi morbosi delle parti affette. L’ultima è quasi una derivazione di quelle che abbiamo accennato.

La Patologia deve essere regolata dai principi e casi rilevati dall’osservazione e dai fatti. La Patologia è stata divisa in quattro parti:

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in Losologia, che parla delle malattie in genere e delle differenze; in Eziologia, che abbraccia le cause dei mali; in Sintomatologia, che considera li effetti delle malattie ed in Semeiotica, che tratta dei segni cui è appoggiata la diagnosi e la prognosi delle malattie.

DELLA mEDICInA In gEnErALE

A chi considera la malattia in generale s’hanno a presentare due cose da considerarsi cioè: cosa sia la malattia e quanti sieno i di lei generi; sudarono li antichi patologi per definire la malattia, ma invano poiché non è possibile di esattamente definire un ente immaginario, essendo appunto essa un ente astratto e metafisico. Per farsi un’idea chiara della malattia bisogna partirsi da quella della salute. La malattia è cosa opposta alla salute, e dallo sbilancio di questa facilmente si potrà conoscere la malattia. Molti hanno parlato della malattia, e la distesi di Galleno, ossia la costituzione del corpo, o la disposizione preternaturale che offende le funzioni; la emetria del medesimo contrario alla simmetria, l’affezione contro natura risedente nel corpo di Fernel(io) 33); la disposizione viziosa, e non naturale delle parti del corpo di Sennert(o) 34) per cui diventano inette ed impotenti ad effettuare le funzioni naturali, lo stato del corpo vivente che toglie la facoltà di esercitare qualunque azione di Boerheave, quello stato del corpo umano vivente di Gaub(io) 35) per cui le azioni proprie dell’uomo non possono esercitarsi conformi alla legge della salute, la discordanza delle funzioni del corpo umano rispetto alla sua conservazione di Neitg, una certa preternaturale disposizione del corpo cedente le di Lui azioni di Ludwig 36); quello stato del corpo umano che toglie la facoltà di esercitare qualunque azione, e che non permette che le azioni si eseguiscono facilmente, e senza in un modo di Galvani 37); tutte queste definizioni son tali che esprimono colla definizione della salute lo stato alla salute stessa contrario senza che indichino la natura generale o la essenza dela malattia, quindi questa stessa cosa osservando Gaub(io) disse acconciamente “come il retto serve di norma la curvo, così la sanità della malattia”.

33) V. Scheda biografica p. 126 n. 2334) V. Scheda biografica p. 131 n. 5335) V. Scheda biografica p. 127 n. 2736) V. Scheda biografica p. 129 n. 3737) V. Scheda biografica p. 127 n. 26

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Dunque è difficile penetrare la natura della malattia, ed è meglio contentarsi a descriverla colle parole, e con una formula generale. La salute è riposta nella gioconda e facile retta funzione delle azioni e delli uffizi tutti delli animali e uomini e nel sangue eguali in equilibrio della vitalità. La malattia però sembra essere posta nella molesta, difficile e perturbata esecuzione di molte o di alcune funzioni e nella mutazione maggiore o minore, parziale o fatale dell’equilibrio dei moti vitali. Le funzioni della vita vengono perturbate, quando perturbati sono i moti vitali.

Ora faccio una disgressione e parlo come io l’intendo sempre seguitando l’orme dei dotti, e cioè per mio comodo. Boerheave 38) ove lascia il vocabolo di facoltà, e di quello d’azione si scrive che, secondo lui, suona l’istesso che funzione. Hahn 39) dice che per funzione s’intende la facoltà d’esercitare qualsiasi azione, né Haller ammette discrepanza fra funzione e facoltà distinguendole soltanto dall’azione; ma facoltà indica il potere d’eseguire qualche cosa, e funzione l’esercizio della cosa medesima.

Li antichi divisero le funzioni in vitali, naturali ed animali, ma non piace molto questa divisione ed io crederei che tutte le funzioni siano animali come dice Gregori che, per mezzo di queste, “conosciamo il mondo e godiamo la terra”, abbenché quest’espressione non piaccia troppo a Colombo scrivente. La più vera direi quella di Galleno che da per prime funzioni quelle che esercitano i due sistemi, cioè il vegetativo e il sensitivo, senza che l’uno dipenda punto dall’altro, pur per seconde quelle che esercitano con forze unite insieme i medesimi sistemi, come da questa divisione non discorda Bichat.

DELLE DIFFErEnZE ACCIDEntAtE DELLE mALAttIE

Le differenze delle malattie furono divise in accidentali ed in essenziali. L’accidentali dipendono da alcune fortuite condizioni delle malattie e sono di qualche utilità pel medico, le essenziali, che riguardano l’essenza della malattia, sono utilissime poiché ci additano la loro intima natura e c’indicano la cura ed i rimedi.

Trattando tali differenze, alcuni cominciano dalle essenziali, altri dalle accidentali, ma meglio è incominciare dalle accidentali perché

38) V. Scheda biografica p. 123 n. 739) V. Scheda biografica p. 127 n. 29

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diventerebbe più facile la cognizione delle essenziali. Sono molte le differenze accidentali. Per distribuirle in classi con un certo metodo, si sogliono ricavare o dall’origine e causa, o dal luogo che occupano, o dalla loro veemenza, o dal corso, durata o forma esterna, dall’indole o dal vario esito, o dalla varia maniera con cui terminano. In quanto all’origine vi furono molte differenze, ed in specie le malattie ereditarie. Per malattia ereditaria si intende quella che passa dai genitori nei figli e fors’anco nei più tardi nipoti. È certo che si danno malattie ereditarie si’ universali che locali: alcune mostruosità, alcune malattie delli orecchi, delli occhi e altri simili sono puramente locali.

Fra le differenze delle malattie ci sono ancora le congenite, o connate, e queste non si confondono con le ereditarie. Esse nascono con noi prima che esistessero nei genitori. Per lo più dipesero da cause che offesero il feto nell’utero materno. Fra queste cause s’annovera la situazione incomoda, violenze portate all’utero, l’afflizione dell’animo materno, le malattie fortuite in cui cade la madre, in tempo di gravidanza; vi può influire una particolare disposizione del feto, come i piÈ curvati, l’ano imperforato, il labbro leporino, l’idrocefalo, l’ernie che s’annoverano fra le malattie congenite. Avventizie ed acquisite, diconsi quelle malattie che assalgono l’uomo nel corso della sua vita cui controvoglia, o spontaneamente va in contro.

A quest’ordine spettonsi quelle malattie che chiamansi primarie o secondarie. Le primarie son quelle che nascono senza la precedenza d’altre che perseverando o cessando ne partoriscono delle altre che secondarie si chiamano. Le secondarie possono dare origine a altre come le ostruzioni nate da febbri intermittenti che partoriscono delle Idropisi. La malattia secondaria, estinta la primaria, può esistere. La malattia secondaria per lo più è più pericolosa della primaria.

Le malattie furono divise in endemiche, epidemiche e sporadiche. Le endemiche sono quelle che sono proprie d’una città, o d’un sol paese, come la tisi in Inghilterra, o noia della vita, le intermittenti nelle Maremme, o nel Mar Baltico lo scorbuto, in Pollonia la (illeggibile), nella Giunea il dragoncello, nel Perù la lue. Tolte le cause non esisterebbero malattie endemiche.

Epidemiche diconsi quelle che attaccano molte persone nel medesimo tempo in qualche paese senza che siano perpetue. Queste dipendono da una causa comune che affligge una popolazione.

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Sporadiche son quelle che, non essendo proprie di un dato luogo, né essendo nate nello stesso tempo, ma attaccando soltanto alcuni individui, dipendono da cause particolari per lo più fornite come l’effimera...ec.

Le malattie contagiose sono state divise in contagiose per distanza, in contagiose per contatto. Le malattie si sono divise ancora in stazionarie ed intercorrenti, secondo Sidenham 40) le stazionarie sono quelle che sopravvengono in alcune vicende di stagione, e stabiliscono un lungo domicilio in qualche paese; le intercorrenti sono quelle che vengono indistintamente ogni anno. Le infiammazioni sono più frequenti nell’inverno, in primavera le reumatiche o catarrali, in estate la cholera, le coliche, le diarree e le dissenterie, in autunno le febbri periodiche. le malattie epidemiche variano nei solstizi e nelli equinozi.

Altre differenze: malattie interne, esterne, fisse, vaghe, retrograde, idropatiche, simpatiche, locali, universali. L’interne son quelle che attaccano l’interne parti del corpo, li organi; esterne quelle che progrediscono oltre la superficie del corpo come le cutanee. fisse quelle che, occupata una parte del corpo, vi prendono sede costante. Vaghe quelle che passano da un luogo all’altro come la potagra, l’artrite; retrograde quelle che, abbandonando la superficie del corpo, attaccano l’interne visceri come le cutanee. Idropatiche quelle che risiedono realmente ove si manifestano i principali segni denotanti il loro carattere come la pleurite.

Simpatiche quelle che occupano una sola parte secondo i sintomi che l’accompagnano; e sembra che abbiano un’altra sede ora più vicina, ora più distante dalla vera, come la verminazione.

Locali quelle che nuocciono alle funzioni di qualche parte o organo senza ch’arrechino alcun detrimento all’universalità del sistema come i tumori, si’ esterni che interni. Universale quella che disturba in generale le funzioni dell’economia animale, togliendo di mezzo l’equilibrio della vitalità. in ogni malattia si considera il principio, l’aumento, la stazione, il decremento, e la fine e la convalescenza.

Quando le malattie si tengono il medesimo grado di veemenza dal principio sino alla fine, chiamonsi monotone. Se dal loro principio crescono gradatamente ed equabilmente sino alla stazione, chiamansi Epaemostiche. Se manifestano la loro forza nel principio e diminuiscono

40) V. Scheda biografica p. 131 n. 54

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quasi per gradi, conservata la proporzione, chiamansi parametriche. Altra differenza: acute e croniche. L’acute son quelle il di cui corso

è celere, e porta del pericolo. L’acutissime non oltrepassano il quarto giorno come la veemente apoplessia e la violenta febbre perniciosa; se terminano nel decimo quarto giorno diconsi esattamente acute, non esattamente acute se arrivano al vigesimo primo giorno, se oltrepassano o s’arrestano al confine di 14 giorni diconsi acute decidue; croniche son quelle in cui non è prossima né la salute, né la morte. Le malattie altre son continue, altre intermittenti. Continue son quelle che dal loro principio sino alla fine progrediscono senza alcuna intermittenza, altre furono dette continue continenti, continue remittenti. Intermittenti son quelle che nel loro decorso accadono manifeste interruzioni. Si’ l’intermittenti, che le remittenti tutte le volte che osservano un periodo diconsi periodiche, e l’ordine de’ periodi chiamasi tipo. Si sono distinte le remittenti in quotidiane remittenti, in terzane remittenti o triteopie, in quartane remittenti. l’intermittenti: in quotidiane intermittenti o cathemerine, terzane intermittenti, o Tritee, quartane intermittenti, o titartree. Tanto la terzana, che la quartana fu divisa in semplice, duplice, triplice, quintana, sestana ec.. Le febbri che sono inormali, o mutano facilmente il periodo, diconsi anomale, ometriche, vaghe, atipiche.

Secondo l’indole le malattie si chiamano benigne e maligne. Per la loro indole sono state chiamate pestilenziali. Quelle che si rinnovano si chiamano recidive, come l’epilessia, l’intermittenti. Si sono divise in attive e passive, le prime aumentano le forze, le seconde le abbattono. Secondo l’esito diconsi sanabili e insanabili, e salutari.

DELLE DIFFErEnZE SPEttAntI L’ESSEnZA DELLE mALAttIE

Tutte le malattie, o sono locali, o sono universali. Secondo Testa 41) e Bufalini 42) tutte le malattie sono locali, e niuna ve n’ha di universale. Se tutte le parti fossero perturbate conservando la medesima proporzione, esisterebbe un nuovo uomo, non un nuovo stato di malattia. Le malattie locali però, a me pare, che possino tendere a divenire universali, e nell’istesso tempo, che dividere non si debbano come sopra le malattie, ma piuttosto in lievi e gravi.

41) V. Scheda biografica p. 132 n. 5842) V. Scheda biografica p. 124 n. 13

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DELLE DIFFErEnZE DELLE mALAttIE LoCALI ContrIbuEntI A SCoPrIrE LA Loro ESSEnZA

Tommasini ha ridotto le differenze delle malattie a tre classi. Neikard e Brown ne stabiliscono sei classi, Fanzago due cioè in primarie e secondarie, parlando delle malattie locali. Diconsi primarie tutte quelle che si manifestano senza essere state precedute d’alcuna malattia universale o da un’altra parimenti locale, secondarie quelle che dipendono da una malattia universale o locale precedente. Le malattie primarie si possono dividere in tre ordini. Il primo che abbraccia tutte quelle che non oltrepassano mai il confine della parte, o dell’organo, che dapprima hanno attaccato.

Al second’ordine appartengono quelle malattie, che sebbene locali suscitano nel medesimo tempo dei moti morbosi in altre parti del corpo senza che ne insurga una malattia universale. Trattasi infatti dei moti simpatici o consensali, e n’abbiamo delli esempi nella verminazione, nell’epilessia simpatica, nelle febbri dette irritative. Quest’ordine di malattie appartiene in oggi alla dottrina dell’irritazione. Il terz’ordine è formato da quelle, che sebbene nei loro principi siano veramente locali nonostante la condizione patologica del luogo affetto è tale che commuove e perturba sommamente la forza vitale della stessa parte specialmente se questa è molto sensibile. Spesso n’abbiamo li esempi dai processi infiammatori locali, ma l’affezione locale si deve considerare come malattia primaria.

DoCumEnto:

Cholera morbus comparso in Genova nel 1835

addì 1° agosto, Istruzione sanitaria e cura iniziale.All’annunzio che il Cholera morbus s’era manifestato in Nizza al

mare, udironsi varie voci. Gli uni lo volevano apatico, gli altri ordinario, questi contagioso, quelli epidemico, altri da individuali cagioni, ossia sporadico. Si cercò il metodo preservativo, ed il curativo; specialmente poi si cercò di conoscerne uno specifico. Né queste controversie agitaronsi solamente fra Medici: ogni classe di persona si sta occupando di un oggetto che sembra richiedere le indagini, e la proposta di tutti. Ora non può più rimanere verun dubbio, se la malattia scoppiata in

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Cholera morbus comparso in Genova nel 1835, addì 1º Agosto. Dal Manoscritto di Marco Colombo.

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Nizza, e poi estesasi a Villafranca, a Cuneo ec.. sia il Cholera morbus asiatico. Non si dibatte con troppa ostinatezza la questione se sia contagioso, od epidemico. Atteniamoci a quanto ci suggerisce la prudenza. In tale supposizione adopereremo cautele, le quali non tornerebbero inutili qualora fosse d’indole epidemica. Non pretendiamo di discuoprire specifici, che le nostre ricerche sarebbero vane, ma procuriamo di investigare i mezzi, che possiamo avere, tanto per preservarsene, quanto per opporre una resistenza al primo assalimento. Abbiamo a tal fine reputato convenevole di proporre in modo succinto e adatto alla comune intelligenza alcune regole preservative, ed iniziali curative del Cholera morbus.

1° I precipui preservativi sono tre: tranquillità d’animo, temperanza: evitare le vicissitudini dell’aria. L’idea di malattia contagiosa debba incutere minor paura di quella di malattia epidemica; a fuggire i contagi basta evitare i contatti imprudenti, l’epidemica largamente si estende, né è in noi il raffreddarla.

A contrarre i contagi, oltre al contatto, è necessaria una predisposizione, e fino a un certo punto si può toglierla o diminuire quella predisposizione. La fuga è vile ed inutile. Un gran mezzo sì è la tranquillità. Non imperterriti e temerari convien esporsi all’occasione trascurando quei precetti che tendono ad avvalorare i corpi. Non siamo pusillanimi, non presuntuosi: siamo tranquillamente circospetti. la temperanza è un gran mezzo per conservare la sanità e preservarsi dalle malattie. Senza di questi tutti i farmachi sarebbero affatto vani.

Vi sono alimenti assolutamente e generalmente indigesti. tali sono le frutte immature, o già tendenti a corruzione. Vi sono alimenti nocivi relativamente. Qua spettano i farinacei, i legumi e simili. I robusti ne hanno il vantaggio, quelli di complessione e di ventricolo debole ne soffrono, e qui ciascuno deve essere medico a se stesso. Il vino è utile, ma prego moderatamente. L’acqua vite si può usare, ma allungata nell’acqua. Uso in somma moderata di quelle sostanze che per sé sono eccitanti. Chi è sobrio non muti modo di vita, chi intemperante si corregga. Non è il vitto vegetabile per nulla dannoso, né l’acqua o bevanda. Un mutamento se subito potrebbe essere nocivo, la abitudine deve essere rispettata. Si riprova la dissolutezza, che predispone ai contagi. Non ogni cholera è asiatico...

Sintomi caratteristici: Freddo marmoreo alla cute, ed alla lingua,

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vomito ed evacuazione di materie liquide simili a decotto di riso o chiaro d’uovo sbattuto, estrema debolezza, crampi alle mani, ed ai piedi; color livido a queste parti ed attorno agli occhi, polsi quasi insensibili ed altri.

Cura iniziale: Uso di flanelle particolarmente necessario; fregazioni con panni lini, coperte di trapunte o panni lani; sufficiente temperatura nella camera. Le fregazioni si facciano con panni lani, o con spazzolette alquanto rigide. Le fregazioni secche sono da preferirsi alle aromatiche. A varie parti del corpo ed in specie alla regione dello stomaco si applichino polente calde, sacchetti di cenere calda, o mattoni caldi e si rinnovino a misura che si raffreddano. I bagni sarebbero utili, ma per le difficoltà del trasporto dell’ammalato esponendolo al raffreddamento non si consigliano. A quando a quando qualche bevanda aromatica eccitante, come infusione di menta, di camomilla, di salvia, di melissa, acqua di cannella, e di cedro; alcune gocce d’etere nell’acqua summenzionata, o versate su di un po’ di zucchero: l’alimento sia una semola rara in brodo di pollastro, ed anche cotto col burro; massima nettezza. Raccolgansi le evacuazioni del ventre, e le materie vomitate venghino trasportate fuori dalla camera e gittate nella latrina. Una traversa a varia piegatura sotto il corpo dell’infermo. e all’uopo si cangi.

Gli assistenti lavinsi le mani a quando a quando con acqua in cui sia disciolto cloruro di calce ed in difetto con aceto. Si spruzzi con dell’acqua il pavimento. Presso il letto dell’infermo si svolgano vapori d’acido nitrico. A tale uopo mettasi un po’ di sal nitro in un recipiente di vetro, o di terra, e vi si versi sopra acido solforico allungato nell’acqua. Intanto si vada pel medico.

Cura: Teriaco andromato 3/1; China califaria 4/8; Rabarbaro in polvere 2/8; Absenzio ben tritolato 2/8; Una scorza d’arancio. Si ponga il tutto in una bottiglia con tre libbre di vino generoso; si agiti di quando in quando per lo spazio di tre giorni che deve rimanere in infusione; quindi si filtri e se ne prende un’oncia per mattina, oppure un sol cucchiaio.

Scrive il Colombo in calce al documento:

“Ch’ama conoscere le sciocchezze de’ Medici relativamente alla dottrina del contagio, legga le presenti istruzioni sul Cholera morbus comparso in Genova nel 1835, e se ne è sentimento medico, oppure sentore di Medicina, lo sottoscritto è per giuocare tutte le sue sostanze.

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A Attilio e Pompilio (figli di Marco Colombo): Se mai un dì foste salutati col nome di Medico, e se moltissime cognizioni acquistate in detta professione, vi prego a non ostinarvi a crederlo certo, meno che si desse occasione di potermi intendere e detto questo ancora senza essere vili, confessate l’ignoranza degli uomini medici”.

DELLA FArmACoLogIA SEConDo hArtEmAn

S’intende per Farmacologia, Iomatologia, o materia medica quella parte della scienza medica che si occupa di quanto concerne i medicamenti si’ relativo al corpo vivo, che al moto d’agire nello stato patologico. Dicesi poi forza medicatrice, o medicamento, quella sostanza capace di produrre una salutare mutazione nel corpo morboso, ossia la sanità. La Farmacologia si divide in generale e speciale, generale esibisce la scienza dei medicamenti, il loro modo di agire, e qual sia il modo d’esplorare l’azione medicamentosa dei medesimi. La farmacologia speciale poi si occupa dei singoli medicamenti partitamente e in ciò fa di bisogno della conoscenza istorica di ciascheduno, la sinonomia, l’origine, l’abito esterno ec. 2° la conoscenza fisico-chimica o materiale, 3° l’azione medicamentosa sulla vita animale, e la direzione in qualche organo, o apparato. Finalmente il vero, ed opportuno modo di applicare ciascun rimedio.

In tre maniere possono i rimedi giovare: col rimovere cioè la causa capace a generare, o sostenere la malattia; 2° col moderare, temperare, o del tutto spengere ciò che può mantenere la malattia. 3° col disporre la vita dell’ammalato a reprimere, o a spegnere la malattia col indurre una virtù medicatrice di cui tutti li esseri viventi son dotati. I rimedi diconsi profilattici quelli che impediscono lo sviluppo della malattia ossia preventivi: poliattivi che mitigano i morbi insanabili, diretti, o specifici che la tolgano radicalmente, veri assoluti specifici, se si eccettua la china, l’oppio, il mercurio, lo zolfo non ve ne hanno, indiretti poi, che soccorrono in qualche modo alla malattia, da ciò si può dedurre che l’azione dei medicamenti è assolutamente relativa. I rimedi si desumono da varie fonti. In quelli che agiscono sulla vita somatica di (illeggibile), o morali inorganici che penetrano la mistione così detta organica, in dietetici, e in farmaceutici, e finalmente in meccanici. I rimedi si dividono in olopatici, ed omeopatici cioè in quelli che contraria contrari, similia similibus sebbene raramente curantur. Duplice è la maniera

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d’agire dei medicamenti cioè modo meccanico, e modo dinamico, meccanico che mutano la massa del corpo organico, e dinamico sulle forze o proprietà vitali. P.e. l’Elettricismo, il Galvanismo ec. L’azione dei medicamenti si divide poi in primaria e secondaria. Triplice e quadruplice è l’esame dei medicamenti, cioè il Fisiografico, il Fisico, il Chimico, il Medico. Per l’esame fisiografico giovano i sensi esterni. l’esame medico è il più utile. Vario è il modo d’applicazione dei rimedi, esterno, interno, ed in forma aerea o porosa, fluido, liquido ec.

Dose dei medicamentiLoro segni. Varia nelle varietà, climi, temperature ec. Libbre, once,

dramme, scrupolo, grano, manipolo, fascicolo, pillole. (Le misure sono precedute dai segni, irriproducibili al computer).

DEI mEDICAmEntI ChE moDErAno LA ForZA PtoStICA, oSSIA EvACuAntI

L’emissioni di sangue generali, e locali: fatte cioè colle mignatte, scorificazioni, o con un’istrumento speciale, che ne facci le veci settimamente inventato.

Li emetici la cui azione è molteplice cioè idiopatico, simpatico, antagonistico. Nella apoplessia, nella gravidanza orine ec. ben si guarda dall’applicazione delli emetici.

DEL tArtAro EmEtICo

Sinonimia. Tartaro, stibiato, tartrato, antiminio di potassa. È un sale triplice composto d’ossido d’antimonio, di (illeggibile), e d’acido tartarico nella proporzione che sei per cento parti ve ne siano 3 once d’ossido. Si ha sotto forma di cristalli con piramidi trigone, che s’accostano alla figura ottagona. Son bianchi, inodori, di sapore metallico ec. Uso nelle affezioni gastriche, nelle ostruzioni, infarcimenti, nell’isterismo, ipocondrio ec. nella retropulsione delli esatemi. Modo d’applicazione interno, esterno e per clistere. Preparazioni principali: il vino stibiato consta di due o tre grani sciolti in un’oncia di vino generoso di Spagna. Dose a goccie fino a una dramma interpolatamente. Si dà nelle affezioni reumatiche, catarri, come incisivo, ed espettorante. V’è pure il vino antimoniato di Huxham, che si comanda nelle medesime affezioni, e si ha colla soluzione del vetro d’antimonio nei vini

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generosi. Dose la medesima. L’azione dell’emetico vien distrutta dalla china, dose da un grano o due in 4 once d’acqua distillata.

DEL SoLFAto DI ZIngo E DI rAmE

Lo zingo, o vetriolo, è un sal medio composto di zingo, e d’acido solforico. Son cristalli prismatici di sapore austero solubili nelle quadruplici parti d’acqua fredda. È un potentissimo e pericolosissimo emetico. Dato a piccole dosi si comanda nell’asma, ipocondria, isteria, epilessia e affezioni spastiche del sistema nervoso. Si usa però generalmente come topico, e segnatamente nelle affezioni dell’occhio, nelle blenovagie lente, e come emostatico cioè per fermare l’emoragia. Si usa pure in forma d’unguento, ma di rado. il solfato di rame o vetriolo ceruleo è un sal medico che consta d’ossido di rame e d’acido solforico sotto forma di rombi ablunghi, di colore ceruleo, di sapore acerbo nauseoso. È un potente ematico poco usitato. Dose da uno a quattro grani sciolti nell’acqua fredda. Si usa sotto forma d’unguento o soluzione come il solfato di zingo.

DELL’IPEPACuAnA

Sinonimia. Cepelis ipecaquana, ipecaq. fosca. Cresce nelle selve del Brasile. È una radice secca, contorta, grassa, con anelli o incisure, con epidermide internamente fosca, o nera e colla rottura dà una sostanza impuramente bianca, di odore ingrato, di sapore acre, sub-amaro, nauseoso. Secondo l’esame di Pelletier 43) consta di materia alcalina propria detta Emetica, d’olio, cera, gomma di amido, di sostanza fibrosa e d’acido gallico. V’è un’altra specie d’ipecaquana che cresce nel Perù meno emetica detta Psicotria Emetica. L’ipecaq. È stimolante, purgante, emetica. Dose da uno scrupolo a mezzo nell’acqua distillata, o in polvere. Si unisce pure al tartemet. Si fa l’infuso acqueo o vinoso, e la tintura che si dà da cinque a sei gocce. V’è pure le poveri del Dover cioè parti eguali d’oppio, e ipecaquana e otto di zucchero. Si commenda a grani nella diarrea, e nella dissenteria, nei catarri e reumi. L’emetina da due a quattro grani in quattr’once d’acqua come emetica da darsi a cucchiaini. L’ipecaquana conviene nelle affezioni gastriche, diarree, dissenterie, estrazioni ec. e a piccolissime dosi nell’Emoragie

43) V. Scheda biografica p. 130 n. 45

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come nauseose, e sedante onde produrre un momentaneo avvilimento universale.

DELLA vIoLA oDorAtA

È una pianta Europea emetica, che ha una radice nodosa, di sapor sub-amaro, acre simile all’ipecaq. S’ha sempre a dare a doppia dose sia in polvere, sia in decotto o decazione. Secondo Orfila contiene un principio emetico come l’ipecaq. Si prepara pure in sciroppi di viola che si usa come leggiero espettorante. Taluni ammettono pure l’Azoro europeo che è una radice di sapore acre, amaro, aromatico ec. può a una dramma produrre il vomito. La foglia pulverata riesce starnutatoria.

DEI rImEDI, ChE EvACuAno PEr L’Ano

Di due specie di purganti si hanno, cioè i refrigeranti, o antiflogistici, o calefacenti. Si suddividono in Ecopratici e in purganti antiflogistici più attivi. I primi diconsi pure benigni. I purganti calefacenti si suddividono in meno irritanti ed in drastici. Fra li Ecopratici si annoverano i sughi dolci delle piante, l’oli pingui recenti ec. ed alcuni sali uniti.

DELLA mAnnA

La manna è un succo che viene dal Frazinus ornus, Frazinus rotondi follia. Cresce nelle regioni caldissime, e si estrae dalle ferite della corteccia e in forma spessa si vende in commercio. tre sono le specie di sugo, la più bella più difficilmente si trova in commercio detta manna in lacrime, che viene estratto da un insetto detto Iettigonia orni. La seconda detta manna cannellata, che viene in pezzi lunghi, giallicci, d’odore grato e sapore dolce; terza la manna vulgare o colabrina in forma di masse irregolari, o in pezzi bianchicci o gialli, di sapor meno grato. Dalla medesima si estraggono dei granelli più duri per distinguerli dalla manna sordida, o crassa. V’è pure la manna Laricina, o Brigantina, che viene dal pino larice delle Gallie, poco usata. La manna contiene del zucchero e della gomma. Dose da 2 once a 3 come purgante nelle affezioni gastriche e biliose. In minor dose si dà nelle affezioni catarrali. V’è pure il siroppo mannato che si ministra a oncie. La manna si scioglie nell’acqua calda, e quando si vuol rendere la di lei virtù più attiva si uniscono sali nitri.

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DEL Frutto DI tAmArInDI

Lo tamarindo indico è un albero che viene dall’India Orientale, dall’Egitto, dall’America, che presenta delle silique dello spessore d’un dito nel cui interno vi è una midolla con semi duri, con fibre legnose, ed allora si ha un frutto di tamarindo di color nero, d’odor vinoso, sapore acido. Contiene del muco della gomma. Si amministra nella sierosa, nella biliosa, nella putrida, dissenteria, emorragie ec. Il frutto di tamarindo si amministra in decotto da oncie 1 a 2, è meglio però la polpa di tamarindo ottenuta per mezzo del setaccio, che si dà ad oncie ed anche sciolta in conveniente veicolo o in elettuario. Vi è il siero di latte tamarindato cioè un’oncia di tamarindo in una libbra di latte. Si dà nella febbre ardente e nell’affezioni gastriche. Il succedaneo al tamarindo è la pruna: ossia polpa di pruna, che si ottiene dai frutti maturi e spruzzati dalle prune col levarli il nucleo. Medesimo uso, medesima dose, e applicazione eguale.

DELLA CASSIA FIStoLA

È un albero che vien dall’Arabia, dalle Indie in forma di canne o silloque. La parte medicinale è la polpa che si estrae come i tamarindi. Medesimi usi.

DEI SALI urItI, E DEL CEmAr DI tArtAro

Sinonimia. Cristal. di tart.tart. depurato. È un sale che consta d’acido tartarico, e di liscive, che si ottiene dal grano di latte. Uso purgativo. Convien nei casi che si sanno. V’è pure il siero di latte con cremor di tartaro, o acqua imperiale, che talora si associa all’emetico e forma la porzione conosciuta col nome d’Emeto-catartico. Dose da 3 once.

tArtrAto tArtArIZZAto

È un sal neutro in forma di cristalli dal sapor salso e serve per promuovere l’escrezione e secrezione e come purgante si dà mezz’oncia a una, come diuretico a dramme.

SoDA tArtArIZZAtA

È un sal triplice che consta di lisciva, di soda, e d’acido tartarico. S’ha in cristalli pellucidi della forma di prismi poligono, di sapor salso sub-amaro. Si dà come purgante e diuretico.

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DEL CArbonAto DI mAgnESIo.

La magnesia o bianca, o anglica, si dà da un screpolo a una dramma come assorbente delli acidi della prima, e seconda strada. Si ottiene dai minerali.

DELLI oLI PInguI, o oLIo DI rICIno

L’olio di ricino si ottiene dai semi espressi dalla pianta detta palma cleristi. Si dà da un’oncia a due come purgante, e nelle coliche. I succedanei sono l’olio d’oliva, di semi di papavero, di lino e di canepa.

DEI PurgAntI rEFrIgErAntI PIù PotEntI oSSIA SAL DI gLoSSEr

S’ha pure in cristalli prismatici irregolari. Comendasi nell’affezioni gastriche , si dà alla dose di mezz’oncia a una nell’acqua calda.

DEI PurgAntI CALEFACEntI E FLogIStICI oSSIA DEL rAbArbAro

Due sono le specie dei rabarbarini. La principale è il rabarbaro moscovita; la seconda l’indico. Si ha in commercio per lo più in pezzi lunghi e solidi. Consta d’un principio estrattivo detto rabarbarino; a piccole dosi nelle debolezze del ventricolo, dell’intestini, a un ottavo come purgante. Cotto perde la sua virtù purgativa, in decotto da due a tre dramme, o ottavi. L’estratto di rabarbaro da un screpolo a una dramma. V’è il siroppo di rabarb. semplice o composto con cicoria. V’è pure il rabarbaro Repontico di Siberia d’infima qualità.

DELLE FogLIE DI SEnnA

Son foglie che provengono dalla cassia lancievolata, che viene dall’Asia, dall’Africa, dall’Egitto. Preparati. Infuso di senna o sei dramme nell’acqua. Si unisce la rabarbaro, alla manna, e si fa il siroppo così detto idromele dei bambini, ed il siroppo delle foglie di senna. V’è infine il lettuario che consta delle foglie di senna, del cremor di tartaro, della polpa di tamarindi, del sambuco che purga insensibilmente dato ad oncie.

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DELL’ALoE

Quattro specie d’aloe vi sono cioè succotrino, cobaltino, epatico, e lucido. È un sugo che viene dall’aloé pisciata dell’Isola Sonotora onde succo trino detto. Questa si può dare da un seripolo a una dramma, in forma pillolare si può dare come purgante. I preparati principali sono l’estratto acquoso e resinoso. Siccome esso ha un’azione elettiva sul fegato e l’intestino retto, si dà per promovere l’emorroidi, e per vincere le stasi epatiche addominali, o ostruzioni. V’è pure la tintura aloetica semplice e composta di mirra e croco di marte che si dà a goccie. L’altre specie d’aloe sono poco usitate eccetto nella veterinaria.

DEI PurgAntI DrAStICI, o gIALAPA

Convolvus Ialappa linnei. Vien dal Messico, dalla città di Gialapa. È una radice globosa di colore oscuro fosco, d’odore ingrato ove sia riscaldato, d’un sapore nauseoso, resinoso, e acre. Contiene una materia particolare detta Ialapina.

Preparazioni particolari. La resina di Gialapa, che si prepara collo spirito di vino, è un violento drastico; si dà da 5 a 10 grani. V’è pure la tintura di Gialapa che si dà da una dramma a un’oncia. La Gialapa sola si dà in polvere da uno scrupolo a due.

DELLA grAZIoLA oFFICInALE

È una pianta perenne che abita nei luoghi umidi con radice bianca grossa come una penna da scrivere, di sapore amaro quasi senza odore. l’erba si può dare in polvere o in infusione. Epicraticamente a grani e da uno scrupolo a una dramma in una volta, in infusione da sei dramme in una libbra d’acqua. V’è pure l’estratto di Graziola che si dà da 5 a 10 grani in pillole sciolto in acqua.

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DELLA rADICE DELL’ELEboro nEro

L’eleboro nero è una radice con rami brevi da cui sorgono delle fibre lunghe, globose, di sapore acre, sub-amaro, ingrato e lasciante una specie di calore. Contiene pure una sostanza speciale pure detta Eleborina. Fu comendato nella mania, melanconia, idrosi, nell’amenorea, o dismenorea. La radice di quest’erba si dà da grani 5 a 10. L’estratto dell’eleboro nero si dà da 5 a 20 grani in forma pillolare da prendersi

epicraticamente. A questi purganti s’aggiunge la radice di Brionio, e il Boletus pinni laricii. Sono però poco usati.

DELLA SCAmonEA

È un sugo resinoso della radice del convolvolo, scamonio, pianta dell’Assiria e d’Aleppo. Consta d’una resina particolare, di gomma e materia amara. Ridotto in polvere e unito alle mandorle dolci forma un preparato che si da a pochi grani. vi è la resina di scomonio che si ottiene sciogliendo la resina nello spirito di vino. È pericolosissimo drastico. La gomma gretta è un sugo gommoso resinoso indurato e vi son di due specie: la gomma gretta del Sion e spuria che vien dal Seilon. S’ottiene colle incisioni della pianta conosciuta Cambogia gretta. Si da a grani come purgante, ed è comendata in specie contro il Tenio.

DELLA CoLInquItIDE

La colinquitide è una pianta dell’Arabia, della Siria con frutti globosi, con semi bianchi spugnosi tenaci, duri, di sapore amarissimo, e dolcigno, di odore dolcigno nauseoso. Contiene un principio resinoso Colecetina detto. Siccome difficilmente si tritura, di dà piuttosto in infusione. La tintura di colucintide si dà da 10 a 20 gocce il giorno nelle artriti, e paralisi inveterate. Vi è finalmente l’olio di croton tiglium, che è una pianta delle indie Orientali con semi che contengono un olio drasticissimo, e si mitiga con sciroppo, gomma ec.. Taluni aggiungono semi di Euforbia latiridise caieput catapuzia. Dai semi s’estrae un’olio pure drastico.

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DEI DIurEtICI

Fra le piante amare s’annovera il Tarassaco. Scontodon saraxum. Cicoria saponaria e fumaria. Il Tarassacum è pianta europea che cresce ovunque ed ha la grossezza d’un dito, di sapore amaro salso contenente il succo da due a tre oncie, via decazione ec..

DELLI ACIDI

Oltre l’aceto comune, tartalico, ossalico, citrico vi è il siroppo d’aceto o ossierato. Come s’aggiunge l’aceto di Scilla marittima, il calcico ec. S’usano come diuretici ed espettoranti, astringenti. L’aceto concentrato, o radicale a goccie per l’asfissie.

DELLA PIEtrA CAuStICA, oSSIA PotASSA CAuStICA

Preparati. Il liquore caustico alcalino, e la tintura alcalina è una soluzione satura della potassa caustica. Si dà a gocce. Lo stesso dicasi della soda pura ossia dell’alcali minerali caustici. Si dà come deostruente nei tumori freddi glandoli induriti e come risolvente esternamente sotto forma d’impiastro o soluzione da un grano a due in sufficiente quantità d’acqua da toccare le parti sospette come nelle ulceri, tumori ec..

DELLo ZoLFo, o ZoLFurEttI

Fra le preparazioni dello zolfo in natura vi sono i così detti fiori di zolfo colla sublimazione, che si danno nelle erpeti ec. Ècommendato pure nelle inveterate tossi da 4 grani a 8, unito all’estratto della salsoporilla e simili. V’è l’unguento di zolfo semplice e composto, e balsamo di zolfo. Vi sono pure le sulfimigazioni e i bagni, così detti sulfurei prendendo 3 o 4 d’epato di zolfo, e sciogliendo in sufficiente quantità d’acqua.

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DEI SALI ComPoStI. DELLA tErrA FogLIAtA DI tArtAro

Consta di lisciva carbonica, e d’acido acetico. È un sale bianco di lamelle nitide, di sapore pungente, che si liquefa facilmente esposto all’aria, e si scioglie nell’acqua e nell’alcool. S’usa come potente diuretico alla dose d’uno scrupolo ad una dramma per lo più unito all’estratto di tarassaco, saponaria, o sciolto nell’acqua e dulcerato d’uno sciroppo aperitivo così detto. Si prescrive nelle Idropi, nell’infarcimenti e per eliminare il latte ec. Vi è pure la terra fogliata di tartaro secca, o cristallizzata e non differisce dall’altro né per gli usi e proprietà se non che essa si può prescrivere in polvere.

DEL murIAto D’AmmonIACA, o DEL SALE AmonIACo

È un sal neutro che consta d’ammoniaca, e acido muriatico. Offre dei cristalli bianchi, tenui, di sapore salso pungente. È stimolante, e agisce specialmente sulle membrane mucose. Generalmente si dà sciolto nell’acqua da 5 a 10 grani. Vi è pure altra preparazione, che si chiama muriato di sacro ammoniacale di cui parlerò nelle preparazioni di ferro.

DEL murIAto DI bArIto, E DI CALCE

Il muriato di barito si presenta sotto forma di cristalli romboidi pellucidi, che non vengono mutati né dall’aria, né dall’azione del foco che si scioglie in duplice dose d’acqua. È un rimedio potentissimo contro le scrofole. Si dà a grani e con somma precauzione. Li effetti nocivi secondo Orfila 44) vengono distrutti dalle emulsioni mucillagginose lattee ec. e specialmente secondo l’esperienza d’Orfila dall’acido solforico di molto dilungato. Il muriato di calce che s’usa pure nelle scrofole ed infarcimenti a grani, o sciolto nell’acqua si presenta sotto forma di cristalli prismatici. S’amministra a grani.

DELLE ACquE SEmPLICI E mEDICAtE

L’acqua sì fredda che calda va sempre amministrata pura, o distillata, pei sali che può contenere. L’acque si dividono in alcaline, acidule, muriatiche, sulfuree secondo che constano di calce, magnesio, zolfo ec. e si usano nelle malattie in cui convengono i sali da cui si ricavano.

44) V. Scheda biografica p. 130 n. 44

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DELL’IoDIo

L’Iodino è un corpo semplice che si trova specialmente nell’acque marine e piante marine. Consta di piccole lamelle, che si scioglie più facilmente nello spirito di vino etereo, che nell’acqua. Unito all’ossigeno forma l’acido iodico, e coll’idrogeno, l’acido idroiodico. Si dà a gocce nell’infarcimenti linfatici, ostruzioni con qualche mucillaggine, e specialmente nel bronconcello, ossia gozzo da 5 gocce a 10 da prendersi a cucchiai. È però più comendevole l’uso della pomata d’iodio nel gozzo, bubboni, tumori e. Taluni prescrivono pure le tavolette.

DEI PrEPArAtI D’AntImonIo

I preparati d’antimonio sono abtimonio crudo ossia antimonio sulfurato nero, il sulfuro d’antimonio dorato, antimoniata, l’epate d’antimonio, il kermes minerale, il sulfuretto di calce stibiata, o antimoniato. Vi s’aggiungono i sali che hanno un’azione caustica, e non s’usano come rimedi esterni, e sono il muriato d’antimonio, il buttiro d’antimonio, e il liquore d’antimonio muriatico. Tutti questi preparati che si danno o in tintura o in polvere convengono nei dolori reumatici, artritici, nell’Ischiade, nell’affezioni mercuriali, e simili.

PrEPArAtI DEL mErCurIo

Sono il mercurio vivo, o argento vivo, che viene naturalmente dalle montagne della Spagna, delle Gallie, Ungheria ec. Si dà come antalmiutico nel volvolo, nelli incarceramenti ec. I preparati sono il mercurio sulfurato, l’unguento cinereo, o napoletano di mercurio, il mercurio gommoso di Glend che si ha unendo la gomma arabica col siroppo. Si dà nella lue venerea ove non si possono usare unzioni, da 6 a 7 pillole al giorno da due grani crescendone la dose gradatamente. Il mercurio dolce o colomelano ossia muriato mite di mercurio, e il sublimato corrosivo ossia il pelclorito di mercurio, ch’è un sal medio, che consta d’acido muriatico, e di cloro. V’è finalmente il mercurio solubile di Hahneman 45), ed il prussiato di mercurio, che non s’amministra con somma cautela, ed a frazioni di grano.

45) V. Scheda biografica p. 128 n. 31

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DELLE PrEPArAZIonI D’oro

L’oro da taluni si prescrive da un grano a due nelle affezioni veneree inveterate, da altri si forma unguento per detergere l’ulceri. Fra i preparati principali dell’oro si dee annoverar l’oro fulminante così detto, ossia l’ossido ammoniacale d’oro. Si encomia contro l’affezioni spastiche, nelle distensioni dei nervi e simili. È però un rimedio da servirsene con somma cautela attesala sua virtù fulminante. Ai preparati d’oro si aggiunge quelli di muriato d’oro, e di soda che si accosta all’azione del sublimato corrosivo. Si usa a frazione di grano per uso esterno, in frizione alla pianta dei piedi e alle gengive, giuste l’esperienze di Croistoin di Montpellier segnatamente nella lue venerea: dall’esperienze però di Vacca Andrea 46) risulta che questa preparazione serve soltanto a temperare o modificare li sconcerti venerei, ma non a vincerli onde egli giustamente osserva di doversi sempre dare la preferenza alle preparazioni mercuriali, con specie all’unguento.

DEI CAuStICI

Fra i caustici si enumerano le soluzioni delli acidi minerali come l’acido nitrico, solforico ec. e il sublimato corrosivo. Si usa però pure l’ossido rosso di mercurio detto anche precipitato, o l’argento nitrato o pietra infernale. Taluni l’amministrano eziandio a frazioni di grani sciolti nell’acqua, o in pillole nell’epilessia. Tutti questi caustici vanno però usati con massima cautela che richiede eziandio l’uso dell’arsenico contro le ribelli febbri quartane.

Fra i rimedi mucillaginosi, o plastici, vi sono l’amido, i grani di Sogù che vengono dalla palma farinaria che si amministra cotta col brodo nella Iscuria, diarrea, stranguria, e specialmente nelle dosi da un ottavo a due per minestra, a questi si aggiunge il riso, la radice di Salepè, le mandorle dolci e amare. Altri comendano i brodi di vipera, l’albume e varie specie di latte.

DEI rImEDI CorroborAntI

Chiamonsi corroboranti quelli che constano d’un principio amaro, e si suddividono in amari, corroboranti semplici, in amari aromatici, in

46) V. Scheda biografica p. 133 n. 63

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corroboranti astringenti e in corroboranti nutrienti e in fine in amari astringenti aromatici. Fra questi primeggiano le varie specie di china. Fra i succedanei sono la centaura, o genziana centaura, che si dà in polvere in decotto ed in estratto da una dramma a due, e in decotto fino a due oncie nelle dispepsie, e debolezze di ventricolo e simili. Inoltre si usa il trifoglio fibbrino, pianta palustre.

Vi è anche il cardo benedetto, il marubbio e finalmente la poligola amara da distinguerla dalla poligola virginiana. S’aggiunge eziandio la genziana e la radice di Colombo come astringente e tonica nelle debolezze del sistema gastrico epatico, diarrea, dissenteria da uno scrupolo a due in polvere o in pillole da prendersi epicraticamente. Si aggiunge anche il legno Quassio o di simaruba nelle debolezze di stomaco, nell’ipocondria, nell’isteria. La corteccia d’Angustura che viene dall’America in polvere, o in estratto o in pillole da grani a scrupolo nelle varie debolezze. Fra li amari vi è pure il fiele, che si usa nelle malattie di languore, e come tonico nelle vie digestive in bevanda.

Fra i rimedi amari aromatici vi è la pianta comune conosciuta sotto il nome di Artemigia Vulgare. Si dà in infusione o estratto e in tutte le tinture toniche così dette. Vi è eziandio il seme santonico che viene come pianta specialmente dalla Palestina. Questi flosculi essiccati s’amministrano come vermigismo da due dramme a mezz’oncia. Infine vi è il Tanacetto vulgare che è un’erba di sapore amaro, d’odore forte, emulante la canfora. Vi è la corteccia di Croton Coscherille pianta americana, che si dà come succedaneo alla china sino a una dramma in infusione vinosa, acquosa, estratto, tintura ec. Fra gli astringenti tonici vi è la radice di tomentilla del polligo non bistorto, pianta europea, della Rotania che viene dal Perù, e la corteccia di quercia. Si annovera pure il sugo di Chateù che viene dai frutti delle Arece Chateù delle Indie, che in commercio si vende sotto il nome di terra Chateù, o Iapponica.

Aggiungasi in fine il gommo-china che viene dal Giappone. Contiene un principio eminentemente astringente, e conviene nei problemi sanguinolenti alla dose d’uno scrupolo in polvere ed anco in estratto. Altri annoverano pure le ghiande della quercia, la corteccia di salice, e la corteccia d’ippocastano in decotto, ed evvi chi comenda il decotto di foglia di uva orsina come litontriptico.

Fra i corroboranti nutritivi s’annoverano le sostanze amare, e plastiche come il Lichen islandico, e lichen polminale, e la foglia

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dell’acquifoglia, pianta palustre che contiene un principio detto febbrifugo elicina per distinguerlo dalla salicina pur tonica e febbrifuga. Fra i corroboranti amari astringenti aromatici vi sono i fiori di rosa, centifoglia o damascena. Si usa l’acqua di rose, l’aceto di rose, la conserva, il miele rosato e vi è chi ne prescrive il siroppo. Inoltre la radice cariofitatum e la chilca mille foglium che si dà in estratto, in tintura, in fusione nelle medesime affezioni.

DELLE vArIE SPECIE DI ChInA

Corte, peruviana, officinalis, condominea, quando è buona viene in pezzi tosti di color oscuro grossi come una penna da scrivere, o un dito mignolo con dei licheni grossi, gialli scabri, con fessure trasversali. La faccia interna poi levigata del colore della cannella, giallo ferrugineo, di rottura non fibrosa, ma vitrea, con macchie splendenti di odore aromatico, sapore amaro e leggermente aromatico astringente. Essa contiene segnatamente non solo la Cinconina, ma la Chinina. In infuso, a freddo, a caldo, estratto, decotto, in polvere. l’estratto si distingue in gommoso e resinoso, il siroppo di china e tintura di china., Si aggiunge la china regia o lancifolia, la china gialla o cartagnese, la china rossa ossia china oblongifolia e la china bianca. Vi sono poi altre specie di china come la china coribea, o del Surinam. Queste però son piuttosto emetico purganti, che toniche.

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DEI CorroborAntI CoLorAtI

La radice di rubbia tintorum, il campeggio e la grafite che non è altro che il carbonetto nativo di ferro. il ferro, o marte, si usa la limatura di ferro e l’ossido di ferro nero detto Etiope marziale a grani nella dispepsia, amenorrea, dismenorrea, ec. Vi è pure l’ossido di ferro fosco o croce di marte, astringente. Si aggiunge l’estratto malato di ferro che è l’estratto di marte, ferro fatto col sugo di pomi. Vi sono pure le tinture di ferro accettico, e la tintura di marte astringente, la tintura di marte tartarizzata e il colibe, ossia il tartaro colibeato a grani. Vi s’aggiunge il vino ferrato e solfato di ferro a grani. È usatazione la preparazione dei fiori salini amoniacali marziali. Infine le varie specie di acque ferrate, o marziali si artifiziali che termali da prescriversi nelle dispepsie, amenorree, ostruzioni ec.

DEI mEDICAmEntI StImoLAntI

Si dividono in positivi e negativi. I positivi chiamonsi pure volatili, ed espansivi, negativi poi fissi, o permanenti.

DELLA mEntA PIPErItA

Pianta dell’Inghilterra, ora nostrale, è un’erba di odore piccante, di sapore aromatico ec. Contiene un principio etereo. o fisso. I preparati sono l’acqua di menta piperita, l’olio di menta e le tavolette. Tonica antispasmodica e nervina, ad oncie. Succedanei, la menta crippa e la menta silvestre; il rosmarino, il timo, il sepillo hanno i medesimi usi.

DELLA mELISSA oFFICInALE

È una pianta delle province meridionali d’Europa. D’odor gratissimo sapor sub aromatico. S’usa in sugo a mezz’oncia. L’acqua di melissa ad oncie. Si ha lo spirito di melissa composto e si dà a scrupoli nelle affezioni nervose. Succedanee la salvia, l’isoppo, e fiori d’arancio. Queste foglie si usano nell’Isteria ed epilessia.

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DEI FIorI DI LAvAnDA

Pianta comunissima si usa in infusione come diaforetica ed esternamente per fumenta per risolvere i tumori freddi. S’usa l’olio distillato, l’acqua come antispasmodico. Lo stesso si dica dei fiori di camomilla di cui si prepara l’acqua distillata, lo siroppo, e l’estratto da un ottavo a un’oncia.

FIorI DI SAmbuCo

Preparati. Acqua distillata e sciroppo dalle bacche di sambuco, e i primi a dramme come diaforetico.

DELLA noCE moSCAtA

Viene dalla miristica moscata delle isole Molucche. È un nucleo oleoso, giallo bianco, d’odore soave, di sapore aromatico e grato da cui si estrae una sostanza detta macis. Preparati. Olio distillato, olio di noce moscata, e la tintura che si dà da una dramma a due. S’usa esternamente nelle cardialgie.

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DEL LAuro

Del laurus nobilis proprio della Spagna ed ora naturalizzato in Italia presenta delle bacche nere più o meno intense. Si dà da 5 a 10 grani nelle ostruzioni idropipsie e malattie di languore. Si da’ pur l’olio di bacche di lauro ed il legno come diuretico.

DEL FILAnDrIo ACquAtICo

Telandrium acquaticum. È una pianta perenne che ama i luoghi paludosi, che ha dei semi ovali simili a quelli di finocchio, di sapore amaro aromatico, di un’odore suo proprio. Si dà a grani nelle febbri intermittenti, nelle gonorree, nelle tisi incipienti mucose, bronchiti ec.

DELLA rADICE D’AngELICA

È una pianta bienne di Germania, anche ora fra noi ricettiva anche nei giardini. Si presenta la radice con dei rami che ha un odore forte poco dissimile dal muschio acre, colefaciente e amaro. S’usa nel tifo, nelle affezioni nervose a dramme si prepara l’estratto alla medesima dose.

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DELLA vALErIAnA

Ve ne sono due specie: la silvestre ed officinale. S’usa in estratto ad uno scrupolo, o in polvere, t intura, s i dà l ’acqua dist i l lata ad oncie concentratissima specialmente nelle epilessie.

DELL’ArIStoLoquIA LungA

L’aristoloquia è una radice rotonda ineguale, farinosa, d’odore forte, sapore amaro aereo aromatico. Ve ne sono di tre specie, la rotonda, la lunga e l’aristoloquia climatis. Si dà in polvere da uno scrupolo a due in infuso per promuovere il flusso mestruo.

DELLA rADICE DI gALAngA

È una radice delle Indie Orientali, nodosa, tuberosa, di color giallo scuro, di sapore caldo acre, odor penetrante aromatico. Si dà in polvere a scrupoli o a dramme nelle debolezze, nelle paralisi ec.

DELLA rADICE DI ZEDoArIA

L’amonum zedoaria è una radice che vien dalle Indie Orientali, rugosa, nodosa, cinerea, ora in pezzi rotondi, ora bislunghi onde fu detta zodoaria rotinda, e longa. Di sapore acre aromatico, d’odor penetrante quasi simile a quel della canfora. Contiene un principio oleoso etereo. Si dà a grani, in polvere e a dramme in infusione nel tifo, nelle debolezze di ventricolo ec. Poco dissimile dalla zodoaria è l’Amonum zinziber o zenzero proprio dell’America e dell’Antille. Questa radice contiene un olio etereo e di resina. È valutata qual forte stimolante. Si dà a grani in polvere ma si preferisce l’infuso a dramme perché meno irritante.

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DELL’ArnICA montAnA

Questa pianta oltre la radici si danno specialmente i fiori. La virtù dell’arnica è stimolante, convien nel tifo e debolezze. i fiori si danno da tre a dieci grani uniti col miele o sciroppo.

Preparati: l’estratto, lo siroppo. Tanto la radice che l’estratto si danno a grani. Contro li effetti troppo attivi dell’arnia si prescrive l’aceto.

DEL LEgno gojACo

Legno santo, legno benedetto, indico. Guoiaco officinale. Si dà la corteccia rasa in decotto e in infusione da mezz’oncia a un’oncia. Si dà l’estratto, la resina ed entra nella preparazione conosciuta sotto il nome di decotto della legna in cui oltre il goiano v’è il ginepro, la bardana, salso porillo, liquirizia ec. È un decotto depurativo diaforetico.

DEL LEgno SoSSAFroS

Il legno sossafros proprio della Carolina, o della Virginia; si usa in medicina la radice, la corteccia nei reumi, artriti, serofole ec. Si dà l’estratto o in infusione.

DEL bALSAmo CoPoIbE

Questo balsamo che viene dalla copoifera officinalis del Brasile si ottiene colle iniezioni della corteccia di quest’albero lacché si fa anche due o tre volte l’anno. È giallo, spesso, d’odor forte grato, di sapore particolare acre solubilissimo nell’etere e nello spirito di vino, si unisce generalmente alla trementina e alli oli. Rende l’orina amara. Si dà nelle coliche, nelle blenorree inveterate come consolidante le ulceri, si usa pure nella tisi mucosa alla dose d’uno scrupolo a due dramme il giorno col rosso d’ovo, il miele, colla mucillaggine di gomma arabica, coi siroppi e simili. Si usa pur sotto forma di unguento unito al grasso.

DEL bALSAmo DI PErù

Balsamum indacum. Mijroxirum peruiferum. Albero bellissimo dell’America australe, resinoso in tutte le sue parti, e vi si ha di due specie negro e bianco. Il balsamo peruviano negro è quello che si ottiene dalla cossione dei rami delle piante ridotta poi in parte che galleggia in olio, che condensato diviene balsamo di odore gratissimo, poco

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dissimile dalla vaniglia e dal bengoino. Il balsamo buono o bianco deve sciogliersi nell’acqua fredda. Si usa misto col siroppo, colla trementina ec. Si adultera col benzoi ecc, ma l’odore, il sapore particolare del balsamo peruviano lo fanno distinguere.

DEL bALSAmo DELLA mECCA

Balsamum iudaicum. Viene dalla pianta detta balsamum iudaicum orientales, dalle foglie di quest’albero trasuda un olio balsamico. Ha un odore penetrante, giocondo di sapore sub amaro aromatico. Ha i medesimi usi delli altri balsami.

DEL bALSAmo DEL toLù

È un albero dell’America meridionale e proviene dal Tolù, il quale mediante dell’incisioni all’albero esso si ricava, e mediante l’azione calda dell’atmosfera in pochissimo tempo si converte in una resina secca. Medesimi usi delle altri balsami.

DELLo StIrACE

È una pianta della Spagna e del Messico, e ve ne hanno di due specie, una che viene prontamente, o trasuda dalla pianta, che difficilmente si ha in commercio, di colore rosso scuro, o nero, di odore simile all’ambra, e al benzoino; l’altra che si ottiene dalla decazione dei rami, e ridotto poi a consistenza d’estratto. Generalmente si usa all’esterno nelli unguenti.

DELLA trEmEntInA

Ve ne è di varie specie cioè: la trementina del Canada migliore proveniente dall’albero detto pino del Canada; la 2° balsamum carpaticum o del Libano che viene dal pino cembra dei Monti Carpazi e del Tirolo; 3° la trementina di Cipro; 4° la trementina veneta che viene dal pinus laricis, e finalmente la trementina comune proveniente dal Pinus picca o pino abete.

La trementina si comenda nelle malattie di debolezza dell’utero, della vescica, dei reni ec., nelle malattie epatiche, nell’inveterati reumi, e contro il Tenia. È frequentissimo l’uso all’esterno per correggere,

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temperare le supurazioni ulcerose ec. Si dà in pillole, in bolo, in emulsione, da 3 grani a 20, oppure sotto forma d’impiastro come solvente. V’è pure l’olio essenziale di trementina, e spirito che si usa nell’Ischiadi, reumi, artriti, e simili.

DEL bEnZoIno

S’ottiene dallo stirax benzoin dell’Isola di Sumatra, di Giava, si vende in commercio in masse, esposto al foco s’infiamma. Consta d’una sostanza resinosa, d’acido benzoido, ed una piccola quantità di balsamo simile al Perù. È forte, stimolante, nervino. Raro è l’uso interno, si può però dare in grani, in pillole nelle malattie nervose. Si usa segnatamente nelli impiastri, e nei linimenti. I preparati principali sono l’acido benzoico, e i fiori di benzoino, e la tintura di benzoino che si usa per l’ulceri, ferite ec. come detersivo e consolidante.

DELLo StorACE

È una resina che si ottiene dallo Stirax officinalis, che viene dall’isole dell’arcipelago, dalle parti meridionali d’Europa ec. Lo storace ha i medesimi usi del Benzoino.

DELLA gommA AmonIACA

La gomma amoniaca è una gomma resina che viene dalla Ferula orientale, e ve ne sono tre specie, in grani, in lacrime e in pani. Quella in pani è preferibile, d’odore simile all’olio, sapore ingrato. Si dà per uso esterno, ed interno per cerotto, o uso interno in pillole sino a una dramma il giorno. Si fa il latte di gomma amoniaca, sciogliendo in qualche acqua aromatica o nel curato con sciroppo da prendersi a cucchiai nei catarri come espettorante. La massa pillolare è composta poi di aloè, e altre sostanze purganti.

DELLA gommA gALbAno

È una pianta dell’Asia non ancora ben conosciuta detta Gumum Galbanum. S’ottiene dalle trasudazioni di quest’albero, che condensato si vende in grani in masse in commercio. Stimolante nell’affezioni dell’utero, catarri cronici ec. Si è pure conosciuta ottimo vermifugo. Si dà in pillole, in tintura, impiastro come l’amoniaca

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DELL’ASA FEtIDA

Gummi ase fetide. Ferula asa fetida. L’asa fetida è un sugo gommoso resinoso che s’ottiene dalla ferula asa fetida. Si vende in commercio in pezzi di varia grandezza, di colore giallo fosco, di odore fetido penetrantissimo. S’usa nelle affezioni nervose. Si dà da tre grani a uno scrupolo in pillole, per uso esterno si fanno delli impiastri pei tumori, come risolvente col sapone, gomma amoniaca e simili. Si fa pure la tintura che si dà a goccie nelle affezioni nervose coll’acqua distillata antispasmodica come melissa, salvia ec.

DELLA mIrrA

S’ottiene dall’albero detto gummi mhirre dell’Arabia da cui trasuda un succo bianco che si condensa in seguito. Ve ne sono di due specie, la mirra in sorte e la mirra eletta. La mirra di buona qualità presenta delle masse angolate, pellicide e con rottura splendida; consta di sostanze gommose resinose, e d’un olio etereo. È stimolante nervina. Uso nei catarri, nella tisi e nelle malattie di languori. Si commenda esternamente come detersivo nelle ulceri attoniche. Dosi da 5 a 10 grani per volta in pillole o in polvere. Preparazioni principali: la tintura di mirra che s’usa specialmente per fumenti e garganismi. L’estratto acquoso di mirra da 5 grani in forma pillolare per cadauna dose. La mirra entra in quasi tutte le misture toniche e cardiache.

DELLA gommA SAgoPEno

La pianta che dà questa sostanza resinosa non è ancora ben definita. Secondo Nildenow dalla ferula persica. Ha un sapore acre amaro, di odore simile all’olio, composta di gomma e di resina, e d’olio etereo. È analoga al Galbano, e all’asa fetida.

DEL SuCCIno

L’Electrum o ambra slava. Viene dai lidi del Mar Baltico specialmente ove si raccoglie mediante le reti e talora dalla scavazione delle terre. È un bitume secco giallo, raramente rosso e verde, pellucido, con rottura vitrea, che triturato dà un’azione elettrica, e sparge un odore particolare, non scioglientesi nell’acqua, e nello spirito di vino, ma bensì nell’acido nitrico. Colla distillazione a secco si ottiene l’acido succinico, e l’olio

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di succino. Virtù: stimolante, tonico nervino, raramente si dà in natura ma i suoi preparati, come la tintura di succino in gocce, come l’acido succinico ossia sal di succino volatile, a grani nelle affezioni spastiche nervose, nelle paralisi e simili. L’olio di succino s’usa nelle asfissie ec. applicando alle narici, o internamente dato.

DELL’oLIo DI PEtroLIo, o DI PIEtrA, o SASSo

È (illeggibile), s’usa esternamente ed internamente con somma cautela, però esternamente nelle affezioni paralitiche, nei tumori freddi, vermi ec. e nella colica così detta saturnina, internamente la dose è di 10 grani col zucchero e altro.

DELLA CAnForA

La canfora viene dal laurus cinamomum, laurus sumatrensis: la menta piperita e il rosmarino ne danno pure piccola copia. Quello che s’usa fra noi viene dal laurus chanfora, e s’ottiene dalla radice e dai legni cotti in vaso ferreo coll’acqua. La purissima poi che viene dal laurus di Sumatra, che trasuda spontaneamente, è purissima e difficilmente s’ha in commercio. La canfora presenta una materia bianca cristallina, tenera, fragile, con frattura nitida e tenace che non si può ridurre in vera polvere. Essa è solamente volatile, si scioglie nell’alcool, nell’olio e nell’acqua. Consta di carbonio e d’idrogeno, né è ben definito se contenga anco dell’ossigeno. L’azione della canfora è stimolante, e a gran dosi produce vertigini, tremito, deliqui e sopore onde conviene in tutte le malattie di real debolezza, (illeggibile) ec. ha un’azione elettiva sulle vie urinarie e però comendasi nelle (illeggibile) notturne, ec. È pure utile esternamente nelle affezioni paralitiche, sfacelo ec. Uso interno: s’unisce a piccoli grani con zucchero irrorato, con olio. S’unisce con bianco d’ovo, mucillaggine, miele da prendersi interpolatamente. S’usa l’olio aceto canforato esternamente nei reumi, artrite ec.

DEL CAStoro

Il castoro, o castor fiber, è un animale, che abita lungo le sponde del mar di settentrione, conosciutissimo per la sua industria, bellezza ec. È celebre per la materia che contiene ai lati delle parti genitali vicino all’ano, contenuta in due follicoli contenenti una materia sebacea,

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d’odor forte ingrato ec. che quindi si converte in una sostanza friabile, dura che s’usa in medicina. Ve ne sono di due specie, il moscovita e il canadese.

Si dà come un ottimo nervino stimolante, nei languori, cardialgie ec. Dose da uno a cinque grani. Si dà per clistere. I preparati sono l’acqua di castoro distillata, la tintura di castoro da 15 a 20 gocce, e la tintura eterea di castoro da 5 a 10 gocce, in tavolette da 4 a 5 il giorno di 3 grani cadauna.

DEL moSChIo

Moschius moschifer. Animale simile alle capre, che abita nelle alte regioni del Tibet, Tartaria e China. Dal Moschio, vicino all’ombelico, scaturisce un follicolo della grandezza d’un ovo di colombo, e di più circondato da peli dalla cui membrana si separa il moschio. È d’odor forte, penetrante, disgustoso. È composto di gelatina, albumina, resina, ed antiniana. È stimolante, penetrantissimo, e si unisce all’oppio per impedire la gangreca senile, e si dà da 5 a 10 grani. Sciogliendo il moschio nello spirito di vino forma la tintura da darsi a gocce nelle affezioni nervose.

DEL ZIbEto

Il Zibeto, detto Ziverra Zibeto, è un animale dell’Asia meridionale che contiene in due vescichette accanto dei genitali dell’ano che separa una materia di color bianco fosco, odore forte penetrante emulando il mosco, e sapore amaro. Siccome irrancidisce facilmente ed è costoso difficilmente s’usa e si preferisce il Muschio.

DELLI EtErI

Per etere si intende un fluido composto d’alcool con acido, è leggerissimo, volatile penetrante, grato, facilmente infiammabile, ha una virtù eccitante la vita sensifera. L’etere sciolto nell’alcool chiamasi spirito d’etere, o spirito acido dolce, che si dà a gocce come eccitante. L’eteri principali sono l’etere acetico, sulfureo, nitrico e muriatico. I più usati sono l’acetico ed il solforico, e si esibisce da mezzo scrupolo a uno in conveniente veicolo, ed instillandolo sul zucchero.

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PrEPArAZIonI DELL’EtErE ACEtICo

Spirito d’etere acetico, o liquore anodino vegetabile che non è che una soluzione d’etere acetico nello spirito di vino. Medesimi usi. Dall’etere solforico poi s’ottiene la preparazione conosciuta col nome di spirito d’etere solforico, o liquore minerale d’Hoffman, che non è che la soluzione dell’etere solforico nell’alcool nella preparazione che di una parte dell’acido solforico ve ne sieno tre di alcool. Dall’etere nitrico si ottiene lo spirito d’etere nitrico, ossia lo spirito di nitro dolce, che s’ottiene colla distillazione dell’alcool e dell’acido nitrico colla giunta di carbonato di calce. È stimolante forte nervino. Dall’etere muriatico s’ottengono due altre preparazioni cioè lo spirito d’etere muriatico ossia lo spirito di sal dolce e liquor acido di Haller ossia elisir acido che si ha collo spirito di vino, acido solforico uniti assieme. Si dà a 20 gocce in conveniente (illeggibile) nelle affezioni consuntive.

Se ad una parte dell’elisir acido di Haller si unisce 3 parti di alcool s’ottiene la famosa acqua di Robel e se si aggiungono sostanze aromatiche si ha la tintura aromatica acida della farmacopea austriaca.

DELLA PrEPArAZIonE DELL’AmonIACA, o AmonIACA PurA LIquIDA, LIquor CAuStICo D’AmonIACA

S’ottiene dalla fermentazione di vegetabili ed animali. Si dà nell’asfissia ec. internamente a gocce. Preparazioni: spirito di sale amoniaco vinoso che si ottiene unendo due parti di spirito di vino con una d’amoniaca. Lo spirito di sale amoniaca succinato, acqua di luce che consta di 10 grani di sapone di Spagna, una d’alcool, e 4 d’amoniaca caustica. Il linimento amoiacale, o volatile, ch’è l’unione dell’amoniaca coll’olio, e vi è pure il linimento volatile canforato aggiungendoci la canfora, e il linimento saponato canforato conosciuto sotto il nome di Opodeldon.

Di più v’è il carbonato d’amoniaca o sal volatile che si dà in soluzione da un grano a cinque che, attesa la sua volatilità, non si dà in pillole. V’è il carbonato d’amoniaca piroleosa, o spirito di cervo, e aggiungendo il succino si ha lo spirito di corno di cervo succinato che si dà da 20 a 30 gocce nelle affezioni nervose ec., nell’acqua fresca. Infine v’è lo spirito di Minderero che s’ottiene dall’amoniaca carbonica, e dall’aceto, si dà a dramme.

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DELL’oLIo AnImALE EtErEo, o DEL DIPEL

Si ottiene dalla distillazione delle parti secche delli animali colla polvere di carbone tenendolo in luogo oscuro. È d’odore penetrante, di sapore fervido, volatilissimo. Consta di carbonio, idrogeno, e forse di fosforo. Si usa nel tifo, perniciosa, epilessia ec. Si dà a gocce nell’etere, ed esternamente applicato nei tumori freddi, geloni, indurimento di glandole ec.

DEL FoSForo

Si dà a una quarta parte di grano unito olio di mandorle, mucillaggine, gomma arabica ec. e si scioglie nell’etere, fà sia purissimo e privo di alcool onde non succeda la combustione. Per uso esterno su due dramme di olio vi si unisce due o tre grani di fosforo, nel tetano e nei reumi.

rADICE D’ononIDE SPInoSA

Pianta europea che ha la radice lunga, rotonda, grassa ec., ha una virtù alquanto diuretica e si dà nell’Idropi affezioni urinarie generalmente in decotto da un’oncia di radice su d’una libbra d’acqua. La radice di bardana s’usa poi nell’artrite, nell’isope tigenesi, malattie veneree da un’oncia a una libbra d’acqua da prendersi interpolatamente.

DELLA rADICE DI SALSA PorIgLIA

Radix sasso porille smilax siphilitica. Pianta dell’America meridionale che dal fusto nodoso getta due rami più o meno lunghi, grossi come una penna da scrivere con epidermide cinereo fusca, con medulla bianca, e molle senza odore, di sapore dolce, indi subamaro, contiene dello zucchero, dell’amido, della gomma, della resina e una materia particolare alcalina detta poriglina. Si dà nelle imputreggini in decotto da uno scrupolo a due in estratto da mezzo ottavo a uno. Nell’Europa meridionale si coltiva una non dissimile radice detta salsa poriglia italica. Indi viene la smilax china, la china orientale che ha i medesimi usi, e nelle affezioni mercuriali.

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DELLA vIoLA trICoLorAtA DEttA AnChE IoCCA

Nasce nei prati, campi, orti. S’usa in estratto a piccole dosi giacché provocherebbe il vomito. Si prescrive nelle impetigini, erpeti, crosta lattea, nei reumi ec. da cinque grani a uno scrupolo, e in decotto da una dramma a due. Si dà anco il siroppo d’Iocca comendato nella crosta lattea. La radice poi dell’iride florentina in generale non s’usa, che per sulfumigi.

DEL PEPE

Ve ne ha di due specie, il nero e il bianco. Contiene una materia cristallina sui generis detta piperina, comandato specialmente nelle febbri intermittenti. Dose a grani.

DEL PEPE CubEbA, o piper condatu

Son frutti o bacche dell’isola di Iava, e di Ghinea, che in commercio si ha in forma di piselli d’odore e sapore simile al pepe. Vochen trovò una sostanza analoga al balsamo copoiba, che fu comendata contro la blenorragia, d’amministrarsi cautamente e nel secondo stadio. Si dà da mezza dramma a una o in pillole, o in polvere da prendersi repartitamente. V’è pure il pepe lungo, che ha i medesimi usi, e a questo si deve aggiungere infine il pepe di Spagna, o peperone, che contiene una sostanza particolare detta Copesicina.

DELLE PIAntE ACrI, AromAtIChE, AntISCorbutIChE

Le principali sono: l’erba scordium, la coclearia officinale, i semi di senape, e il nonsturzio acquatico, e la coclearia armoracea. Sono sostanze diuretiche ed antiscorbutiche. Si dà l’estratto, il sugo ad oncia e la conserva.

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DELLA SILLA, o SquILLA mArIttImA

Si dà in polvere, la radice in grani come l’estratto, o in pillole o sciolto in qualche acqua aromatica. Si prepara l’aceto sillitico, e l’ossimele sillitico come espettorante, diuretico e detersivo. Finalmente la tintura di squilla da 10 a 20 gocce.

DEL CoLChICo AutunnALE

Pianta perenne dell’Europa di cui si usa la radice, i fiori, i semi a grani, o in pillole nell’affezioni idropiche e fu moderatamente raccomandato nella gotta sì in estratto che in tintura, o gocce. Si prepara pure il vino di colchico

DEI SEmI DI SAbADIgLIA

Viene dal Neretrum sabadilia dal Messico in capsule contenenti grani. Si ricava una sostanza detta Nerotrina che è un purgante drastico, come purgante a un grano. I semi però si danno fino a una dramma il giorno nelle affezioni verminose. Si prepara colla pomata, con olio e grasso nei pidocchi.

DELLA rADICE DI PIrEtro

Pianta detta antemis piretrum, dell’Europa australe e di Barbaria con radice rugosa rotonda di poco odore, di sapore acre intenso e caldo. Si dà come masticatorio nella paralisi della lingua, nell’odontalgia come scialogogo apponendolo anche nel vuoto del dente.

DELLA PuLSAtILLA

Pianta perenne dei monti, e s’usa la foglia e l’erba. I chimici hanno trovato una sostanza particolare Anemonea detta che è un alcale e così chiamata Anemone pulsatilla. L’erba si dà secca da un ottavo a due in infusione da prendersi a cucchiai. Si prepara l’acqua distillata per l’estratto da 6 a 20 grani. È comendata nelle affezioni paralitiche specialmente nella paralisi del nervo ottico, reumi, impetigini.

rhus radicons et rhus toxicodendrum

Pianta dell’America settentrionale che si coltiva anche nei nostri orti. Li effluvi di questa pianta, ed il succo esternamente applicati producono

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delle pustole scabbiose, tumefazione, rossore. Dato internamente produce nausea, vertigini, vomito, convulsioni ec. È comendato nella paralisi, melanconie, erpeti ec. La foglia seccata si dà da un quarto di grano ad un ottavo per infusione, ed in estratto a mezzo grano. Li effetti di questa sostanza ove indicano sintomi di avvelenamento s’adoperano il sugo di cedro, l’aceto internamente.

DELLA cortica mesereum, o daphore mesereum

Dafne timelea è una corteccia tenue, tenace, priva d’odore, rosso gialla eccitando un ardore intollerabile nella bocca, e delle vesciche sulla cute. Contiene la dafnina, e non è da usarsi che esternamente come vescicatorio. Si può preparare anche però l’olio come si usa per impiastri ed unguenti, epispastici, come si usa il succo gommo-resinoso d’Euforbia per impiastro e vescicatorio. A questi rimedi narcotico agri convien aggiungere l’aconito napello, la digitale purpurea, la cicuta, o conium maculatum.

DELLE ContArIDI

Lytta vescicatoria, o melo vescicatoria insetto della Europa Meridionale. Contiene un principio detto cantaridino.

DEL rAmE. cuprum mEtALLICo, o vEnErE

S’usa in limatura, o grani. Fu comendato nella Idrofobia.

DELLo ZIngo

Del zingo si usano i fiori così detti, ossia ossido di zingo. Si danno internamente a grani nel isteria, convulsioni ec. Ad uso esterno si dà un unguento per li occhi, si preferisce però il solfato di zingo come collirio giacché preso internamente è forte emetico. I moderni preferiscono il solfato di cadmio sciolto a grani nell’acqua; del bismuto non s’usa che il nitrato e magistero, e si dà a grani, ed ha i medesimi usi del zingo; unito poi al grasso, e olio si formano unguenti pei putigini, scabbie ec.

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DEI mEDICAmEntI SEDAntI, o nArCotICI

Dell’acido idrocianico, o acido prussico. Consta di carbonio, azoto e idrogeno. Li effetti velenosi di questo terribile medicamento si vincono coll’amoniaca. Dell’acqua di lauro ceroso, d’amandorle amare e di foglie di per Sico. Si danno a piccole dosi come deprimenti.

DELL’oPPIo

L’oppio. Papaver sonniferum. Pianta annua della Persia, e dell’Arabia che si vende sotto varia forma in commercio. L’oppio tebaico vero e genuino s’ottiene facendo delle incisioni alle capsule da cui sgorga un succo latteo, ed inspessito. È il migliore.

Quello poi che si ottiene dalla espressione col fuoco è di minore bontà detto questo in commercio meconico. In commercio viene in pezzi rotondi o pianati di varia grandezza con vari involucri.

Contiene parti estrattive della morfina, e della narcotina. Preparati: 1° si può applicare esternamente, farne delle pillole, emulsioni e misture. La

morfina è una materia alcalina che si dà a una quarta parte di grano. In medicina però si preferiscono i sali di morfina come il solfato, e l’acetato di morfina che si dà pure a un quarto di grano, o in polvere, o in siroppo, o in tintura. Si dà l’estratto acquoso di Baume a grani la tintura d’oppio semplice o tintura tebaica, e la tintura anodina del Sisdow fatta col vin di Spagna con proporzione da uno a quindici. La polvere di Dover, che è parte eguale d’oppio con della ipecaquana. Le pillole di Stirace e la triacca ossia Elettuario anodino, e la massa pillolare di cinoglosso che si danno nelle diarree, e nelle malattie di debolezza. S’usa pure il siroppo di Diaclodio e di maconio a oncie come sedante. Succedaneo all’oppio abbiamo il papavero, papaver rheos, e s’usa il siroppo rosso, o bianco, e talora per lavativo.

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DEL lactuarium

È il succo della lattuga sattiva, reso spesso mediante l’azione del foco e dicesi anche Tridace. I medici si servono di questa sostanza alla dose da 4 a 8 grani nei dolori reumi, ed in specie nell’insonnia. Giusta l’opinione d’alcuni gode di virtù analoghe all’oppio, pare però che sia dotata di virtù alquanto virrose, e fredda al contrario dell’oppio che è un vero stimolante.

DELL’IoSCIAmo nEro

È una pianta che ovunque si ritrova nei luoghi specialmente rustici. Dalla foglia si ottiene un principio narcotino sui generis detto Iusciamino, gode di virtù analoghe all’oppio, e si dà a grani. Si prepara l’estratto e l’olio di Giusquiamo. Si fa pure l’impiastro di Giusquiamo, che s’usa come torpente. I semi di Giusquiamo, pure narcotici, somministrano colla espressione una sostanza oleosa.

DELLA datura stramonium

Pianta annua dei luoghi umidi, e s’usa la foglia e i semi che contengono un principio alcalino detto daturino. È un potente narcotico e si dà da mezzo grano a uno nelle affezioni isteriche e nervose.

DELL’AtroPo bELLADonnA

Pianta perenne di cui si usa l’erba e la radice. Ha essa pure un principio alcalino detto Atropina, e s’usa a grani. S’usa nella mania, melanconia, epilessia, ed in specie nell’amaurosi. Giusta dose omeopatica è un preservativo della scarlattina. S’usa generalmente l’estratto a grani o sciolto in acqua.

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DEI rImEDI nArCotICI ACrI. DELLA DIgItALE

La digitale purpurea presenta foglie pezzolate, lunghe, molli, di odore ingrato, e di sapore amaro nauseoso. Oltre la gomma e la resina contiene un principio amaro detto digitalina che a dosi energiche produce vomito. S’usa generalmente a una dramma in infusione teiforme, come diuretico, ed ottimo sedante della forza angeologica. S’usa l’estratto, le foglie polverizzate a grani e a gocce.

DELLA nICotInA tabaccum

È drastico, forte, e s’usa in fumo, e per lavativo.

DEL conium maculatum, o CICutA

S’usa per cataplasma, in estratto, e si conserva a grani.

DELL’ACConIto nAPELLo

Pianta perenne alpina che contiene una sostanza alcalina detta Acconitina. Ha un’azione elettiva sulle membrane e si comenda nei reumi internamente da 2 a 4 grani, e in estratto, nonché l’erba seccata a grani.

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Della nicotina tabacum, dal Manoscritto di Marco Colombo.

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DELLA DuLComArA, o SoLAnum DuLComArA

S’usano le stipiti. Ha un principio Alcooloide particolare detto Solanina, e s’usa il decotto e l’estratto. Si dà nelle serofole, lue venerea, scorbuto, ed erpeti

DELLA noCE vomICA

Stryenos nux vomica. Pianta delle Indie Orientali, del Ceylon, che contiene un principio sommamente velenoso detto Stricnina, e brucino e s’usa a frazione di grano come narcotico, ed antelmintico. Più frequentemente s’amministra l’estratto.

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Caffè - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

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Digitale - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

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Olivo - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

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Alloro - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

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Stramonio - Paola Lanzara - guida alle Piante Medicinali

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Valeriana - V. Mercati e Boncompagni - Fitoterapia

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PAtoLogIA SCrIttA PEr mArCo CoLombo (1867)

DELLE FEbbrI In gEnErALE

Duplice è l’etimologia della febbre.Taluni la ripetano dal verbo Ferveo, ossia accendo, altri dal verbo

Februo (senex però) ferveo perché credevano essere la causa di un accesso di calore, altri poi considerarono la febbre quale conato, o sforzo della natura per espellere dal corpo i morbosi principi. Ambedue queste etimologie peccano di molto.

1° Non sempre c’è eccesso di calore, e ne abbiamo degli esempi nelle febbri perniciose, come le sincopali, le coleriche ecc. nelle quali costantemente si osserva un freddo glaciale marmoreo da principio fino alla fine. È poi falso che le febbri sieno espiatrici delle malattie. È bensì vero che vi sieno delle febbri salutari, e che giova talora promuoverle come nelle Paralisi, nell’Apoplessia, nel Tetano ecc. Dunque vanno limitate le lodi delle febbri. D’altronde è grandissimo il numero delle febbri maligne, perniciose ecc.

La febbre, come giustamente nota Francesco Vacca Berlinghieri, si può descrivere e non definire come pure osserva Cullen 47), ed a ragione il Vacca disse: si sa quando non v’è febbre, ed ignorasi tuttora in che essa deggiasi realmente riporre. Quella parte poi di medicina teorica pratica che di occupa delle Febbri chiamasi Piratologia dal verbo Pireo il Logos che suona discorso sulle febbri.

Su cento morti 90 periscono di febbre, e la loro morte accade in generale nello stadio del freddo e quanto esso è più intenso e lungo, altrettanto più grave il pericolo. Se si volesse dare un nome speciale a ciascheduna febbre, infinite sarebbero. Noi pertanto le dividiamo in vere, intermittenti periodiche, dette d’accesso, intermittenti ed incontinenti e continue.

Giusto Rubbini, le intermittenti vennero divise in Steniche, Asteniche ed Irritative ben poco esso curandosi del modo con cui percorrono i loro periodi siano essi quotidiani, terzanori, o quartani, ma bensì avendo riguardo alla Diatesi, o all’indole dominante delle medesime. Le continenti giustamente non si ammettono perché impossibile concepire una febbre che in tutto il suo periodo più, o meno

47) V. Scheda biografica p. 125 n. 17

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lungo, conservi costantemente l’intera sua intensività, e forza ove si eccettui probabilmente l’effimera. In tutte le altre v’è un aumento, un decremento più o meno manifesto.

ArtICoLo PrImo

LA FEbbrE In gEnErALE

La febbre viene definita nel modo seguente: dicesi essere un individuo colpito da febbre quando dopo languore, tristezza ed altre molestie tien dietro una lassitudine di tutto il corpo accompagnata da calori o rigore ora oltre modo (illeggibile) seguito da sudore. A questi fenomeni si aggiungono i movimenti abnormi del cuore, delle arterie e la lesione di più funzioni. Da ciò ben appare che il nome di febbre si deve dare piuttosto al complesso di più sintomi che l’uno dopo l’altro si succedono, e quanto più essi sono regolari, più facilmente se ne costituisce la presenza.

Si deduce inoltre che non basta l’uno o l’altro sintomo per costituire la vera presenza della febbre, ma bisogna procedere cautamente, ed avere riguardo alla somma dei fenomeni che lo accompagnano. Non v’ha sistema (illeggibile) della febbre strattamente parlando. Infiniti sono i sintomi che accompagnano le febbri varianti in qualità, numero, intensità e procedenti da cause varie e diverse.

In generale le febbri intermittenti cominciano dal freddo, che costituisce il primo stadio così detto cui tien dietro il secondo stadio o di calore ed il terzo di sudore e di perfetta Apiressia. Notisi però che il freddo ora è soltanto ad sensus, ora reale e termometrico sensibile cioè al malto, agli astanti. Talora il freddo irregolarmente comparisce e può mancare talvolta come la febbre lipirica d’Ippocrate, Causus, cominciando il calore e susseguendo il freddo, e circa il calore vi sono pure le medesime anomalie e specialmente nelle febbri perniciose.

Il sudore poi quando sia laterizio è da riguardarsi come segno certo di febbre intermittente. Il sudore ha pure le sue irregolarità, ora è parziale, ora universale ecc., alituoso, odoroso, specifico, sui generis. La qualità del polso soggiace ad infinite irregolarità che difficilmente si possono costituire, ora è celere, ora profondo, ora frequente, duro, resistente, pieno, irregolare ed ora poco si scosta dallo stato naturale.

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48) V. Scheda biografica p. 124 n. 1049) V. Scheda biografica p. 133 n. 62

Le funzioni animali, come le altre, presentano esse pure non poche anomalie; ora v’è somma mobilità ed irritabilità, ora aumentate ora diminuite le secrezioni, ed escrezioni, talora sospese, irregolari sono le digestioni.

Le cause poi sono varissime, e non v’è da stupire se i fenomeni sono diversissimi. Ciascun stadio ha i suoi sintomi particolari. Ecco come si esprime il Borsieri 48) nella sua definizione della febbre: La Febbre è una malattia di tutto il corpo che lede più funzioni, ora occulta, ora lenta, ora assidua, intermittente e periodicamente ricorrente, eccitata dalle cose preternaturali; o meglio naturali il più delle volte con diminuzione delle forze animali, con polso frequente, celere e colla mutazione del calore del corpo che si risolve colla cassione, o con qualche critica evacuazione quando la malattia si risolve in salute. Vi sono infine delle febbri che ledono una soltanto del corpo e diconsi lapiche dal Torti 49)

queste spettanti in generale alla classe delle perniciose come le cefaliche, e taluni amano meglio chiamarle semplici congestioni. Che che ne sia non si devono sprezzare quelle leggi che furono sancite dall’uso generale del parlare.

ArtICoLo SEConDo

DELLE IntErmIttEntI

Diconsi intermittenti quelle febbri che spontaneamente cessano, e ritornano notandovi uno spazio tra l’uno e l’altro accesso libero da febbre o Apiressia. Diconsi quotidiane, terzane, quartane, secondo il tempo in cui hanno luogo gli eccessi, o parossismi, secondo cioè che gli accessi succedono ogni due, tre giorni, quattro giorni ec. notandosi però tra l’uno e l’altro accesso un tempo libero da febbre. Diconsi regolari, o irregolari secondo che i parossismi si succedano regolarmente, o irregolarmente.

Oltre la febbre quartana si revoca in dubbio da taluno che ve ne siano di quelle che accadono oltre il quarto giorno, e pensano che le medesime, se realmente si osservano, si debbano rispettare da un regolare ordine di parossismo terzanario, o quaternaro, che si rinnova e cessa a un determinato tempo. Avvi però chi le ha osservate.

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Diconsi poi continue quelle febbri che sempre e senza interruzione dal principio alla fine percorrono il loro periodo fintanto che del tutto cessano o lasciano libero il malato. Si riducono a questa l’Effimera, la Sinoca, Tifo, il Sinoco cioè quella malattia che da principio è accompagnata da febbre sinoca infiammatoria, e da Tifo. ossia febbre nervosa, come la febbre lento nerosa di Huxham 50), e la putrida degli antichi. Diconsi febbri remittenti quelle che presentano delle remissioni ed esacerbazioni in tempi determinati senza però che vi si noti una vera Apiressia. Queste come le vere febbri intermittenti hanno i loro accessi, ora tutti i giorni, ora un giorno sì, ora un giorno no, ed allor si chiamano Anfimerine. Da ciò ben si deduce che in ultima analisi tutte le febbri si riducono in continue, in continue remittenti. Le continenti poi non esistono se pure non si eccettui l’Effimera.

Le febbri si dividono in semplici, o solitarie, in composte, o complicate, quando cioè è sola o vi si associa qualche malattia, come infiammazione, catarro, esatemi ec.

Dicesi febbre primaria o essenziale quella che per sé costituisce malattia e quella cioè che nasce da una determinata causa, come l’effimera, da un patema d’animo, dal freddo in la Sinoca da soppressa evacuazione del sangue. Secondaria se nasce da malattia passata, come la terzana da sofferta sinoca; sintomatica quella poi che ha l’effetto di una malattia esistente, come una febbre che sopravviene a un’ulcera, ad una ferita ec. Si dividono infine in annue, estive, autunnali, vernali, stazionarie.

Le stazionarie, poiché dopo Sthal e Sydenham non si videro più, si dovrebbero revocare in dubbio giacché non si è osservato che possa essere un agente qualunque capace di fare cessare tutte le malattie dominanti. Le febbri si suddividono eziandio in acute, croniche, benigne, maligne, endemiche, epidemiche ed in costituzionarie.

EZIoLogIA

Siccome che grandissimo o pressoché innumerabile è il numero delle cause che possono dar luogo alle febbri sieno pur esse predisponenti ed occasionali diremo:

1° che non vi sono cause tra le non naturali dette, dal cui vizio non ne possa nascere la febbre.

50) V. Scheda biografica p. 128 n. 34

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2° La particolare Idionnerapia 3° Si osserva che le occasionali fanno luogo qualche volta di febbre

di causa prossima. La causa prossima forma tuttora un problema di difficile risoluzione e Romazzini 51) dice che la teoria delle febbri intermittenti è intradesiderata non inverosimile però da riporre la causa prossima nelle viziate proprietà del cuore e delle arterie o direttamente, o indirettamente, ma questa proposizione sempre presa in ristretto senso.

La mancanza poi d’accordo dei medici nello stabilire la causa delle febbri intermittenti, viene compensata dalla considerazione, che tutti son d’accordo nello stabilire quello che più importa, cioè il vero metodo razionale curativo, che consiste nella china e in tutti li amari.

DELL’ESIto o tErmInAZIonE DELLE FEbbrI IntErmIttEntI

Varia è la determinazione delle febbri. Alcune finiscono brevemente mediante l’insensibile traspirazione, o coll’aumento dell’escrezioni, altre con dell’eruzioni alla cute, con dei tumori particolari, ed altre finalmente progrediscono lentamente terminano nella salute, e si convertono in altra malattia, e talora colla morte. Dicesi terminazione per Lisin quando la febbre gradatamente si risolve, e dicesi per Crisi quando si fa quasi ex tempore in determinati giorni delle critici accompagnati talora da gravi tumulti né sempre privi di pericolo. Crisi altro non sieno che giudizio di una malattia. Bisogna notare il tempo, la qualità, il luogo e la quantità dei fenomeni che succedono durante la crisi. È regola generale di nulla innovare durante la crisi, e durante la sua apparizione, in questo caso bisogna temperare la malattia, o gli sforzi della natura, né mai disturbarla.

Baglivi 52) a questo proposito dicea: Medicus naturae Minister, natura non obtemperat, natura non imperat, o come disse Ippocrate: Quo natura vergit, cotendere debemus. Conviene diligentemente distinguere i fenomeni critici, o salutari dai fenomeni morbosi, consensuali, o sintomatici, i moti ossia conati critici che si eccitano dalla forza medicatrice, che discaccia la malattia. I moti critici succedono nei giorni così detti critici, ossia impari gli altri per contrario succedono

51) V. Scheda biografica p. 131 n. 5052) V. Scheda biografica p. 123 n. 2

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in qualunque siasi giorno di febbre, i critici sforzi ben tosto sollevano l’ammalato, gli altri al contrario ben presto riescono nocivi.

La dottrina delle crisi va bensì rispettata, né presa strettamente. Quello che poi riguarda la cura delle febbri intermittenti va desunto dalla considerazione dell’indole della febbre, delle cause etc, sesso, genere di vita, temperamento. Conviene pure osservare che talora le febbri sono salutari come nelle epilessia, convulsioni ecc. Conviene soprattutto aver riguardo al (illeggibilie) da cui sono sostenute, ed alla Diatesi, che ciascheduna può vestire.

DEI gEnErALI SIntomI DELLE FEbbrI IntErmIttEntI

In ciascuna febbre oltre l’accesso od invasione deesi riguardo all’Apiressia, o infebbricitazione. I periodi delle febbri sono regolari, o irregolari, vaghi ed erratici ed hanno generalmente tre stadi cioè di freddo, calore e sudore.

Nel primo stadio del freddo si osserva che è preceduto da un senso di languore, o debolezza, cui tien dietro una difficoltà di eseguire i movimenti volontari. Il freddo generalmente comincia dall’apice del naso, e dalle estremità delle dita e da un senso di surfrigerazione, che si stende dal corpo agli arti come se sulla cute scorresse dell’acqua fredda, indi nasce l’Anoressia, la nausea ecc. impallidisce il colore della faccia, e della cute, ed un freddo universale occupa tutta la superficie del corpo indi un tremore degli arti, sbadigli e stridor di denti. L’unghie, le labbra, le palpebre e l’estremità illividiscono. Si diminuisce il volume del corpo, la pelle si accappona, l’evacuazioni ed escrezioni si sospendono, le ulceri, se vi sono, si chiudono, la respirazione difficile e dolente il capo, e non di rado si perturbano le funzioni mentali. L’orina in questo stadio è acqua impura e tenue, la sete intensissima, si rigettano facilmente le prese bevande e quanto si trova nel ventricolo. Questo stadio, che dura più o meno, è il più pericoloso, e si deduce dall’estensione ed estensità del freddo istesso.

Cessato il freddo ne sussegue il secondo stadio che è di calore ora aere, mordace, ora insensibilmente si aumenta, la cute divien molle e scompariscono le escrezioni. L’orina si fa rossa, torbida e l’ammalato appetisce bevande acide e fredde.

Diminuito il calore subentra il terzo stadio, o sudore. Questo in generale comincia dalla fronte, che si distende a tutto il corpo, e

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insensibilmente cessano i morbosi sintomi. Se le cose non succedano regolarmente diconsi Anomale, o vaghe. Vi

sono pure delle febbri intermittenti che dal principio alla fine hanno i parossismi protratti in guisa che nessuna o poca Apiressia si manifesta cosicché l’un parossismo incalza l’altro, ed in allora queste febbri si chiamano subentranti, o parossimali. Esse però per non confonderle con quelle che realmente non intermettono, e che sono di natura continue e continue remittenti convien distinguere le seguenti cose: 1° Se da principio v’era una manifesta Apiressia, e se i parossismi hanno luogo in determinate ore, se nella remissione il sudore si fa con sollievo del malato, se succedono in tempi in cui dominano intermittenti, se vengono prodotte da cause che possano ingenerarle, come se nel decorso della febbre stessa vi nasca il rigore, o qualche altro definito sintomo, infine la considerazione delle orine che saranno torbide, laterizie, in allora si potrà senza tema d’abbaglio giudicare, che sono reali febbri continue parossimali, e non febbri continue remittenti, o continue.

tIPo, vArIEtà E ComPLESSo DELLE IntErmIttEntI

Giusto il tipo vario, regolare, irregolare che si nota in ciascuna febbre intermittente, le febbri furon dette duplicate, e triplicate, se due nel medesimo giorno, o raramente tre parossismi si osservano. Diconsi duplicate terzane, o duplice, e triplici quartane quando due, o tre febbri succedono in modo che vi manchi le vera Apiressia propria di ciascun giorno determinato. Nella duplice terzana l’accesso si rinnova in ciascun giorno, come eziandio nella triplice quartana ogni due giorni. Nella quartana poi duplice quando vi è il terzo giorno libero da febbre. È proprio delle febbri di mettersi l’una contro l’altra, e siccome non vi è un determinato tempo in cui appariscono i parossismi (lo che è soggetto a fallacia) si può tener per principio che le febbri quotidiane assalgono nelle ore mattutine, le terzane al mezzogiorno, le quartane a sera.

Si osserva pure che le febbri lente, e tobiche possono vestire il carattere di quotidiane, lo che è però da taluni negato, ed evvi ancora la quotidiana duplicata legittima una volta da Frosek veduta.

La febbre quotidiana che non oltrepassa le ventiquattro ore ha dei parossismi lunghi che accrescono e decrescono lentamente in cui il freddo non è tanto intenso. Nella febbre terzana poi propria

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segnatamente d’autunno il freddo è più intenso, e più spesso si notano le orine laterizie. I giovani e gli adulti ne vanno più soggetti. La duplice terzana si distingue dalla quotidiana perché in quella i parossismi si corrispondono in ciascun giorno, nell’altra in giorni alternativi.

La quartana, che apparisce nello spazio di 72 ora, è la più contumace e la più pericolosa. In questa il freddo è più molesto, ed intenso, e doloroso cosicché pare che le ossa si rompano. Soggiacciono alla quartana gli adulti gracili e malinconici. La terzana è poi quella che più spesso si converte in perniciosa. Raramente vi sono febbri oltre il quarto giorno, vi è pure chi le ha notate, come le sestane, ottane, mensili ed annuali. Pare che siano le rinnovazioni delle terzane prodotte da nuova occasional causa. Sogliono le febbri intermittenti associarsi con altre malattie che giova ben distinguere. Fra le complicazioni v’ha quella chiamata Emitriteo.

I Medici non sono d’accordo se queste febbri siano da riferirsi alle intermittenti, o alle remittenti. Ecco come si esprime Cullen: Tanto la terzana che ogni giorno appare ricomparisce con due accessi in giorni alternativi, e con un parossismo solo in giorno alterno, quanto la terzana che ricomparisce quotidianamente con interposte remissioni più notabili nel giorno impari e pari e meno tra il pari e l’impari. Dunque si vede che non è cosa costante fissare il tipo di queste febbri. Pare probabile che cedendo anche ai medesimi rimedi possono essere della medesima indole.

Le febbri diconsi benigne, maligne, o per meglio dire perniciose. Per perniciose poi s’intendono quelle febbri che sono accompagnate da uno speciale sintomo, che viene, cresce, decresce onnimamente colla febbre. Diconsi pure commitate, slipate dal Torti cosicché non c’è malattia che costituir non possa sintomo di una febbre perniciosa. Diconsi perciò Cefalogiche, Oftalmiche, Catarrali, e quando una febbre occupa una parte soltanto dicesi topica, al contrario universale. Le perniciose sono le più terribili.

moDo DI ConoSCErLE

Quando comparisce senza plausibile motivo ed apparente causa un sintomo, e che tosto cessa, si ha luogo quando regnano le intermittenti, e se vi sono le orine laterizie unite assieme si deduce la presenza di febbre perniciosa. Si distinguono in Endemiche, Epidemiche, Diatepiche ec.

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DELLE CAuSE E DELLA PrognoSI

La causa prossima è ancora oscura. Chi la ripone nella caloricità, chi in un seminio paludoso, nei miasmi, e chi in un contagio specifico. È pure oscura la causa della regolarità, e irregolarità dei parossismi. La prognosi va desunta dalla natura della febbre, dai sintomi, dalla stagione, dalla recidività, dalle complicazioni e simili. È buon segno se una febbre da complicata si fa semplice e viceversa.

DELLA CurA

Convien stabilire una cura razionale, che non può essere identica in tutte le varietà delle febbri. È più facile di temperare una febbre e sopprimerla, che di richiamarla soppressa. La principale vista deve tendere alla considerazione del genio ossia della Diatesi, o condizioni che possono accompagnarla. Questo rende ragione , perché talora giovino li (illeggibile).. tanti e tonici, ora l’emeto-catartici, ora il salasso istesso ec. Da ciò si deduce che non può esservi un febbrifugo universale. La cura si divide in quella che è propria del parossismo, e in quella che si deve stabilire fuori del parossismo per impedire la recidività. Nel parossismo si deve avere riguardo alli stadi col temperare il freddo, colle bevande calde, diaforetiche, e col moderato calore.

Col temperarne il calore con rimedi acidi, subacidi e simili, e con alleviare l’eccessivo dolore di capo colle prudenti emissioni sanguigne, e circa il sudore si deve moderare, non sopprimerlo.

È però più facile curare una febbre fuori del parossismo, che nel parossismo istesso. I rimedi principali, avuta la debita attenzione alla Diatesi, sono gli amari corroboranti, tonici, astringenti, nervini, stimolanti detti febbrifughi. L’ancora sacra è poi la china e i suoi preparati. Affinché la china agisca convien eliminare ogni causa di complicazione, sì gastrica che verminosa, o flogista riducendo la febbre alla semplicità. Non convien subito desistere dalla china anche cessata la febbre dovendo soltanto diminuirne la dose. Eccone un quadro di diversi rimedi.P. Solfato di chinina g.mi 24Estratto di genziana q.b.P.ne N° 8 una ogni due ore nell’Apiressia-Altro

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P. Citrato di china g.mi 24Estratto d’assenzio q.b.P.ne N° 8 -AltroSolfato di chinina bibasico centigrammi 10Acido tartarico polverizzato centigrammi 30Sciroppo di menta grammi 40Acqua distillata grammi 100 mcUn cucchiaio ogni due ore nell’Apiressia-AltroIoduro di ferro e di chinina grammi unoEstratto di valeriana q.b.P.ne N° 40 tre il giorno-AltroP. Polvere di radica di valeriana silvestre grammi 39Rabarbaro ottimo grammi 20Dividi in parti uguali N° 18. una parte ogni tre ore in mezzo bicchiere d’infusione di salvia nell’Apiressia, cioè quando l’ammalato è senza febbre.

DELLE FEbbrI rEmIttEntI

Chiamansi febbri remittenti dette da taluno anche febbri continue periodiche. Le febbri continue parossismali sono quelle che sebbene non lascino giammai l’ammalato, sono però accompagnate da assai manifeste esacerbazioni, e da remissioni ricorrenti a determinati periodi, e continuano in modo finché o cessino del tutto, o mutino natura, o si convertino in vere febbri intermittenti.

Bisogna guardarsi bene dal non confonderle colle vere continue e ciò si evita considerando i sintomi con cui si notano le esacerbazioni, come all’ordine che seguitano, onde a ragione disse Cullen che in ultima analisi le febbri tutte possono dividersi in quelle che hanno una perfetta Apiressia, ed in quelle che hanno soltanto una remissione. Le febbri remittenti, come l’intermittenti hanno un ordine nelle loro esacerbazioni, cioè: quotidiano, terzonario, quartenario, e per questo furono dette Anfimerino tetartrofio, e tetrofio, se le remissioni, o esacerbazioni hanno luogo tutti i giorni, ogni due, e ogni tre giorni ecc.

Esse possono pure venire accompagnate da sintomi perniciosi. Le

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cause sono analoghe a quelle che possono ingenerare le intermittenti. Il freddo non è tanto lungo, ed intenso, e viene interrotto da ricorrente calore che non suol essere tanto protratto, come lieve il sudore. Da ciò si vede che quelle febbri hanno pure i loro tre stadi come l’intermittente. Accade però che appena comparisce il sudore , tosto rientra una nuova febbre e da ciò i pratici le han dato il nome di febbri intermittenti subentranti.

Quanto poi spetta alla cura, stabilita ben ben la congruenza, e la natura dei sintomi, ben si vede che si deve procedere come se si trattasse di febbri intermittenti, onde non rado accade, se sono leggere ed eliminato il fomite, che cedano da per se. Quando però meno manifeste ed oscure si fanno le remissioni, ed esacerbazioni in allora convien sospettare che la febbre abbia mutato indole, e per ciò bisogna andar molto più cauti sulla scelta dei febbrifughi. Nelle remittenti, siccome siccome è più celere il corso, maggiore il pericolo, non bisogna temporeggiare sull’amministrazione dei rimedi.

DEL tIFo

Ecco come si descrive da Cullen: malattia contagiosa, calore poco aumentato, polso piccolo, debole, per lo più frequente, orina poco mutata, turbamento assai notevole delle funzioni del sensorio con diminuzione pur notevole delle forze.

È una malattia terribile che talora sotto lieve apparenza induce pronta morte; ora si estende a due, o tre settimane, ora fino alla quarta, e veste i caratteri di febbre lenta, nervosa ed è mai priva di pericolo. Questa febbre è sempre accompagnata da Diatesi nervosa lo ché serve a farlo distinguere da altre febbri. Giusto i luoghi ove sviluppasi fu detto tifo nosocomiale, castrense, navale ec. Fu diviso in mite e grave, in semplice e composto, in primario e secondario, in sporadico ed epidemico, in spontaneo e contagioso. Per la verità fu detto petecchiale, miliare, Ictorides.

SIntomI unIvErSALI

Apatia, lassezza universale, malessere, sonnolenza, torpore, insonnia, inquietudine, tristezza, irritabilità alla memoria causa. Perdurano i menomati sintomi insensibilmente, si aumentano e succedano delle orripilazioni, sbadigli frequenti, calore e freddo alternatesi, avvilimento

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del corpo, ottuso dolor di capo, dolore, o meglio dire senso di peso all’epigastrico, amarezza in bocca, gusto depravato, perturbamento ai sensi esterni ed interni. Questi sono i principali sintomi che precedono il tifo, e in questo frattempo il malato è appena febbricitante. Ma di giorno in giorno crescono i sintomi e sopraggiungono dolori gravativi di capo, ora ottuso, occhi ora lacrimanti, or tumidi, or fissi, or sguardo truce, vi prende talora il coma, talora il letargo, ora il delirio, la lingua si fa aspra, nerastra, crassa, nera, screpolata.... L’ipocondri si fanno tesi come pure il meteorismo, ora il polso è irregolare, e vi sono i così detti segni di tifologia (segno infaustissimo) e in giorni non sempre determinabili appariscono alla cute petecchie e i sintomi aggravandosi, ove non succedano le crisi, il malato o soporoso, o convulso, muore.

Fra le cause predisponenti il tifo si annoverano le soverchie evacuazioni, i patemi deprimenti, l’inerzia, cattivo cibo e bevanda, l’eccessivo freddo, l’eccessivo caldo, l’abitazione umida, non ventilata, la poca nettezza del corpo e simili. Fra le occasionali, un contagio sui generis o specifico, ma può svolgersi ancora senza contagi ove intense sieno le azioni delle numerate cause. Non vi è malattia in cui si deggia andar più cauti nel pronostico. È buon segno se l’ammalato vien sollevato dal sonno, dai rimedi, dagli alimenti, e se poco si discostano dallo stato naturale le funzioni del comune sensorio, come se è poco mutata la fisionomia, se il respiro ed i polsi poco si discostano dallo stato naturale, e se la lingua e la faccia sono umide. È buon segno se all’apparire delle miliari, cessano le convulsioni, se le petecchie ove non siano nere, ed una discreta emorragia talora giova. La persistenza dei segni contrari è fatale.

CurA

Siccome la diatesi che accompagna il Tifo è nervosa ed astenica, bisogna perciò cautamente agire nelle emissioni di sangue che in generale sono controindicate, meglio è però l’applicazione delle mignatte, e coppe scarificate. L’uso dell’emetico prudentemente amministrato può giovare moltissimo, sì per togliere l’imbarazzi gastrici, che per muovere la Diaforesi, che può essere utile. I catartici, eccettuati sempre i drastici, ci possono convenire in principio della malattia, e giovano i clisteri di malva, di camomilla. Conviene sempre avere di mira l’insensibile traspirazione, che va promossa cogli infusi di camomilla,

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salvia e coll’applicazione delle coppette a seno. Fra i purganti sono da preferirsi i Rabarbarini in pochi grani, la

cascia, i tamarindi, prugne ec. Siccome si deve erigere e sostenere il sistema nervoso, Ippocrate comendò il vino rosso austero, e i moderni la Canfora da grammi 6 a 12 in conveniente veicolo unita anche all’Assa fetida. Comendossi pure il liquore d’Offmar 53), e il liquore di corno di cervo dal Professor Chiesa. Viene commendato l’uso di china, e sempre parati specialmente in decotto. Si suol dare la tintura di Huxham a grani 13 se è spiritosa, e se vinosa a grammi 26.

Se pertinaci saranno le veglie, somma la mobilità nervosa, in allora si useranno i calmanti con cautela però sempre, come la triana di Venezia, il Mitridale, il Discordio. Giovano moltissimo i vescicanti. La dieta sarà tenue, subacida la bevanda. Bisogna aver riguardo alla ventilazione, alla nettezza della camera ec.

DELLA ProFILASSI. CurA PrEvEntIvA

Avuto di mira alla conservazione della purità dell’aria, della camera con tenervi dell’aceto in ebollizione togliendo ogni escremento, si faranno delle abluzioni di cloruro di calce, del cloro istesso.

Il Medico nell’assistere tali malattie deve regolarsi come se si trattasse di peste non toccando mai il polso senza prima e dopo lavarsi con aceto, di non traggugiar la saliva, di fiutar l’aceto, di non visitarli a digiuno, di non ispirare il loro alito facendo prima nella camera ed intorno al letto una leggera soluzione di cloruro di calce, e togliendo ogni immondezza, né fidarsi delle piante così dette aromatiche, come incenso, o mirra, che mascherano, e non tolgono il seminio contagioso.

noSogrAFIA DEL vAjoLo

Regolare, o irregolare, è il vajuolo nel suo sviluppo; il regolare presenta quattro distinti periodi: Periodo d’incubazione, d’invasione, di supurazione, e d’isseccazione. L’incubazione non presenta di solito fenomeni generali ben dichiarati, la cui durata varia da tre, quattro a sette o otto giorni.

L’invasione viene spesso indicata da brividi seguiti da calore diversamente forte con disposizioni al sudore, secchezza della pelle,

53) V. Scheda biografica p. 130 n. 44

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accelerazione del polso, lassezza, dolori nelle membra, all’epigastrio, nel dorso e nei lombi, cefalee, nausee, vomitazioni, o vomito, sonnolenza con risvegliamento di soprassalto, o veglia. In certi casi il volto è animato, v’ha lacrimazione, agitazione, moti convulsivi limitati alle labbra e alli muscoli della faccia, ed estesi nel resto del corpo; esistono sbadigli, ansietà, inquietudine inesprimibile.

Il principio del vajuolo viene annunziato però da sintomi di menengite, di pneumonia, o di gastrite, e questo proemio dopo aver persistito con maggiore o minore intensità, per due, tre, quattro giorni, cessa ordinariamente al momento in cui comparisce l’eruzione, qualche volta si prolunga molto di più.

Fra i fenomeni precursori del vajuolo alcuni fissarono l’attenzione dei pratici. Perciò considerò Rosen 54) la lacrimazione dell’occhio sinistro, Rhazes 55) il dolore dorsale, e Sydenham le convulsioni, siccome preludi in qualche modo patognomici del vajuolo in individui che non fossero pur anco da questo esatema stati offesi.

Ma codesti diversi sintomi non meritano gran fiducia. In molte circostanze non esiste alcun segno prodromo e lo sviluppo delle pustole costituisce il primo segno della malattia. L’eruzione principia ordinariamente sotto forma di macchiette, o puntini rossi, i quali presentano presto leggera convessità. Compariscono dapprima sul mento intorno alle labbra, quindi sulla fronte, e sulle guance donde si dilatano al collo, al tronco, ed alle estremità inferiori. Qualche volta si sviluppano prima sulle parti genitali, altre volte sulla parte inferiore dei reni, e sulle natiche. Codeste macchiette si innalzano a poco a poco dal livello della pelle e sin dal domani, o posdomani, scorgesi sulla sommità di ciascheduna un punto trasparente che si trasforma in vescichetta superficiale e piatta nella quale si accumula certo fluido dapprima sieroso, e senza colore, poi torbido bianco giallastro.

Dal quarto al settimo giorno le pustole prendono forma emisferica, la marcia che contengono diventa più consistente, e l’areola infiammatoria che le circonda si rileva maggiormente. Il tessuto cellulare sottocutaneo si gonfia ed il gonfiamento occupa dapprima il volto sensibilissimo particolarmente sulle palpebre e sulle labbra.

All’ottavo giorno per solito l’eruzione ha acquistato il suo sommo

54) V. Scheda biografica p. 131 n. 5155) V. Scheda biografica p. 130 n. 48

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d’intensità ed allora la tumefazione si manifesta sulle mani e sui genitali. La disseccazione di solito sopravviene dal 10° al 12° giorno; la tumefazione comincia a diminuire, e si scorge un punto nerigno che costituisce la depressione centrale, e dal quale comincia la disseccazione. Qualche volta in pari tempo si dissecca tutta la superficie delle pustole. Altri screpolano e lasciano stillare parte della materia che contengono, che l’indurisce e forma crosta gialla, rugosa, e imbrunisce prima di staccarsi. La caduta delle croste avviene al quindicesimo, al ventesimo quinto giorno, talvolta più presto, tal altra più tardi.

DEL vAjuoLo IrrEgoLArE

Il vajuolo irregolare offre gran numero di varietà, le une sono relative all’eruzione, le altre dipendono dai sintomi generali che l’accompagnano, e dalle complicazioni. Relativamente all’eruzione , il vajuolo si distingue in discreto ed in confluente secondo che le pustole sono rare ed isolate, o numerosissime e ravvicinate le une alle altre oppure anche affatto confuse.

Nel vajuolo confluente i fenomeni sono ordinariamente assai più gravi che nel vajolo discreto, lo sviluppo dell’eruzione è più precoce, le pustole sono stiacciate, poco elevate al di sopra della pelle e sembrano confondersi tutte col loro ravvicinamento in una specie di pellicola comune cinglutinata alla faccia. I sintomi funesti sono tosse secca, acuta, dolorosa, estinta e spesso si crede allora all’esistenza del (illeggibile). È cosa rarissima che la disquamazione sia compiuta innanzi il ventesimo quinto, o il trentesimo giorno. V’è il vajuolo coerente, che è quel che sta tra il valuolo discreto e il confluente.

Il vajuolo cristallino, quello le cui pustole sono ripiene di liquido semi-opaco, e quasi trasparente, il vajuolo verrucoso o corneo, prefigoide le di cui pustole sono larghissime e rassomigliano alle bolle del (illeggibile) e all’ottavo e decimo giorno si deprimono e divengono moriose. Fu chiamato vajolo sanguigno quello le cui pustole contengono sangue, o almeno liquido sanguinolento.

Il vajoliode differisce dal vajuolo per l’irregolarità del suo corso, l’incostanza dei suoi sintomi, il modo d’apparizione delle pustole, la quale segue a masse eccessive occupanti dapprima l’estremità, quindi il tronco, poscia la faccia, per l’imperfezione della supporazione, la prontezza della disseccazione, e la mancanza di febbre secondaria.

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Gendrin in una curiosissima memoria da esser recentemente pubblicata sopra il vajuolo, il vajuoloide e la vaccina, portato viene alle conclusioni seguenti:

1°- I soggetti vajolati o vaccinati risentir possono l’influenza del contagio vajoloso, il quale allora ha per effetto di produrre il vajoloide.

2°- Il principio contagioso del vajuolo agendo su soggetti poco atti a provare i suoi effetti, vale a dire che non ebbero né il vajuolo né la vaccina può altresì far nascere il vajoloide.

3°- Il vajoloide benché traente la sua origine dal vajuolo si propaga per inoculazione ai soli soggetti che non furono né vajolati, né vaccinati e conserva sempre i suoi caratteri propri senza tendere a ravvicinarsi al vajolo. La prima parte di tale proposizione viene provata da esperienze che, riferisce l’autore, quanto alla seconda parecchie osservazioni provano non essere essa costantemente vera.

4°- Il vajoliode differisce dal vajuolo per la sede delle sue pustole che non oltrepassano l stato papillare. È fuori dubbio che la contagione vajolosa attaccar può le persone vajolate, vaccinate, e determinare in esse una malattia che non differisce in generale con tratti essenziali dal vajuolo primitivo, se non tuttavia ordinariamente per la sua benignità e per l’esito più rapido di fenomeni che s’osservano alla pelle.

DEL vACCIno

Vaccinum, o virus vaccinum, virus vaccinali, o materia vaccinale, è un fluido capace di trasmettere per inoculazione la malattia particolare conosciuta sotto il nome di vaccino. Il vaccino secondo Depuytren 56) ed Huxham, sotto il rapporto delle proprietà fisiche e chimiche è certo liquido trasparente senza colore, viscoso, senz’odore, di sapore acre e salso avente gran rassomiglianza colle lacrime e la materia sierosa prodotta dai vescicatori. Esposto all’aria sopra superficie piana si dissecca prontamente senza perdere la sua trasparenza, e vi si attacca intimamente. Nello stato liquido o disseccato si discioglie facilmente nell’acqua, un calore forte lo scompone e volatilizza, la temperatura e l’eccesso dell’aria atmosferica, gli fanno soffrire decomponimento totale; si ossida coll’ossigeno dell’aria, e si neutralizza col gas, acido carbonico.

Pare composto di acqua ed albumina in proporzioni indeterminate.

56) V. Scheda biografica p. 126 n. 19

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Esaminato col microscopio vi si distinguono due facce, certi corpicini suddivisi e vicinissimi gli uni agli altri aventi figura oblunga, ed una specie di moto vermicolare. Tale osservazione sembra confermata dal dottor Arrigoni 57) di Treviglio.

L’epoca in cui si forma il virus vaccino è ordinariamente dal terzo al quarto giorno dell’inoculazione ed è allora che comincia ad acquistare la sua proprietà riproduttrice. La conserva per lo più fino all’ottavo, nono giorno, ed in certi casi fino al duodecimo ed anche ventesimo giorno, particolarmente quando lo sviluppo della pustola fu ritardato. Il carattere essenziale del vaccino produttivo è la viscosità, e si conosce ai seguenti segni, dice Husson:

1°- Una gocciola posta fra due dita deve filare come sciroppo;2°- La leggiera resistenza che provasi nel distaccare la lancetta; 3°- La forma globosa che assume il vaccino nella pustola allorché fu

essa punta;4°- La lentezza onde sorte;5°- La prontezza della sua disseccazione all’aria, principalmente

osservabile allorché l’instrumento che si adopra per fare l’inserzione si copre nella punta d’intorno aggrumato come gommoso;

6°- Il color rilucente che prende il vaccino, quasi d’argento, se si spande sull’areola, color simile in qualche modo alle tracce che lasciano dietro di sé le lumache quando camminano;

7°- Il vaccino che si spande sulla pelle si dissecca e la stira come il muco delle narici in tempo freddo stira il labbro superiore;

8°- Il sangue si mescola difficilmente al vaccino viscoso;9°- I fili che se ne impregnano sono duri, non possono piegarsi senza

che la materia cada in scaglie d’aspetto vitreo. Il virus vaccino si conserva e si porta in distanza. Si pervenne più

volte a vaccinare non solo le vacche, ma anche capre, asine, cani, montoni, e questi animali fornirono e fornir potrebbero ancora, il fluido vaccino proprio ed esser trasmesso all’uomo.

tErAPEutICA DEL vAjuoLo

Il trattamento del vajuolo può distinguersi in curativo e preservativo. Il trattamento curativo varia in ragione della forma che prende la

57) V. Scheda biografica p. 123 n. 3

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malattia e delle sue complicazioni. Nel vajuolo discreto si prescriverà l’uso delle bibite minorative ed acidette, dei clisteri emollienti, dei pediluvi semplici, o leggiermente irritanti, e dieta diversamente rigorosa. Al principio dell’eruzione si applicano i cataclismi di farina di lino, sola o mescolata colla senape all’estremità inferiori per attirarvi in qualche modo l’eruzione, e durante l’eruzione il malato sia astinente permettendosi solo qualche alimento nel tempo della disquamazione, epoca nella quale sta bene far prendere uno o due bagni tiepidi per facilitare la caduta delle croste e rendere la pelle più permeabile. Quanto al vajuolo confluente si conviene generalmente nel periodo maggiore che l’accompagna.

Proposero alcuni medici uno o due salassi copiosi con mignatte all’epigastrio. Alle volte questo metodo corrisponde, alle volte non porta quegli effetti che si attendono. Cotugno 58) consigliava l’etiope minerale, altri il colometano in dose lassativa, e cose simili.

Della Roche ottenne buonissimi effetti dai vescicatori posti alle gambe, ma io credo che rendano i risultati variabili.

Durante il periodo dell’eruzione bisogna insistere sulle bibite diluenti e dieta rigorosissima. Il malato dev’essere in camera abbastanza vasta e moderatamente calda, mutar spesso la biancheria, e rinnovare di quando in quando l’aria che respira. Il troppo gran calore può esser nocivo.

Alcuni praticarono i bagni freddi e all’abluzioni fresche per scemare la violenza dell’eruzione, siffatto mezzo riesce di rado quando la faccia trovasi enormemente gonfiata e dolorosa, allora giova ricorrere al salasso generale, o alle mignatte al collo, o dietro le orecchie.

Se esiste forte agitazione: i bagni tiepidi, i narcotici consigliati da Sidenham non convengono nei bambini, ma bisogna lavar frequentemente gli occhi con decazioni emollienti, con acqua di lattuga, o acqua vegeto- minerale tiepida ed allungata; sturare le narici introducendovi blandi liquidi, diminuire il calore, che esiste nell’interno della bocca mediante garganismi ed iniezioni, e facendoli bere spesso, impedire il grattarsi ed asprir di polvere d’amido le pustole già grattate.

Nel periodo di disseccazione si ricorre ai bagni tiepidi semplici ed emollienti e diversamente ripetuti. In ultimo a seconda delle complicazioni e dei sintomi d’infiammazione che possono sorgere, il pratico si dovrà regolare.

58) V. Scheda biografica p. 125 n. 16

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ALCunI CEnnI SuLL’InoCuLAZIonE

L’inoculazione praticata da tempo immemorabile in Africa e in Asia per moderare la violenza del vajuolo spontaneo fu introdotta a Costantinopoli da Timoni 59) e Pilarini 60), al tempo di un’epidemia vajolosa che desolò quella città nel 1673.

La Facoltà di Medicina di Parigi, consultata dal Parlamento su tale proposito, promulgò un decreto nella maggiorità di cinquantadue voti contro ventisei in favore della pratica dell’inoculazione nel Regno.

Ordinariamente dopo l’uso di alcuni bagni tiepidi destinati a rammollire la pelle, producevasi a tale operazione. Veniva praticato con buon esito in quasi tutte l’età ed in ogni stagione, in soggetti sani, la dentizione, l’epoca dei mestrui, la gravidanza, le malattie epidemiche e le flemmassie acute erano generalmente considerate siccome dovute controindicare.

Diversi metodi furono adoperati per comminare artificialmente il vajuolo; il semplice contatto della materia vajolosa fresca, o disseccata colla pelle ricoperta o priva d’epidermide, oppure colle membrane mucose, il vescicatorio, le iniezioni e finalmente le punture. Quest’ultimo processo ordinariamente usitato: nel Levante ed era pure da molto tempo quello che adoperavasi in Inghilterra ed in Francia. La parte interna delle braccia era scelta in preferenza dagli inoculatori, i quali d’altronde procedevano assolutamente per la vaccinazione.

Il giorno susseguente a quello dell’inserzione del virus, un leggiero prurito sentir facevasi nel sito in cui la puntura era stata fatta, e vi si distingueva mediante lenti, una macchietta di color rosso-aranciato, visibile all’occhio nudo nel terzo giorno e della larghezza allora di una lenticchia. Il quarto giorno accresceva l’accrescimento della rossezza sulla quale esisteva alquanto elevamento e pizzicore.

Nel quinto avveniva prurito maggiore, il progresso dei sintomi infiammatori e sen aprivasi colla lente una piccola vescichetta trasparente.

Il sesto giorno fastidio nei movimenti del braccio che era doloroso, la pustola principiava ad imbianchire nel suo centro, che si deprimeva; un cerchio rossiccio vedevasi nel circuito.

Al settimo dì il dolore si propagava lungo la parte interna del braccio

59) V. Scheda biografica p. 132 n. 6060) V. Scheda biografica p. 130 n. 46

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fino all’ascella ed al collo; la pustola formava una specie di flemmone talvolta circondato da pustole piccolissime e già si dichiarava la febbre d’invasione segnata dattorno. Giorni di brividi leggieri, calore, cefalgia, diversamente forte, sudore, tristezza, nausee ed anche vomiti; fenomeni che precedevano ordinariamente di ventiquattr’ore un’eruzione affatto simile a quella del vajuolo naturale, il più semplice e discreto. Era a Tenner riservato l’offrirci un preservativo se non più sicuro, almeno esente da ogni specie d’inconvenienti. (Guersent).

ErItEmA

Tumore diffuso poco elevato di color rubicondo simile al rame e piuttosto rosso vivace, sotto il tatto sparisce e subito ritorna, serpeggia qua e la. Dolor simile a quello che risveglia il fuoco. Un liquido giallastro solleva la cuticula, ed evacuato offre un colore livido. È affezione propria della cute, e quando viene attaccato tutto il sistema dicesi Erisipeta.

oFtALmIA mEmbrAnACEA

Rossore, ardore, gonfiezza delle membrane dell’occhio, in specie della congiuntiva, continua cisposità, dolore dell’occhio, effusione di lacrime, vista diminuita, e quasi perduta, aborrimento alla luce, polso celere e duro, palpebre gonfie. Se l’infiammazione è grave mosche agli occhi, oggetti tinti di vari colori, veglia continua, calore grande, delirio feroce.

oFtALmIA DEI tArSI

Ai segni descritti si aggiungono gonfiezza, prurito dei tarsi, trepidazione glutinosa, minore infiammazione della congiuntiva, turgore, rossore ecc.

EnCEFALItE

Infiammazione del cervello con inquietudine, calore, dolore, che si propaga per l’occipite al collo, ed a tutta la spina, sonno turbato, tremito, occhi infiammati con moti convulsivi, intolleranza alla luce ed al suono, volto gonfiato, udito acuto ed intollerabile, sognando s’alza improvvisamente, o siede immobile, pupilla contrattissima vede fiamme e scintille, occhi feroci e sanguigni, delirio, agitazione universale, veglia continuamente fino all’ottavo giorno. Pulsazione delle carotidi,

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e temporale, polso spessissimo è debole, celere e duro, respirazione laboriosa, voce vacua e stridula, orina acquosa, epistossi. Crescendo corpo languido, sospiri, e mucosa nera e asciutta, perdita di voce ecc.

gLoSSItE

Infiammazione della lingua con dolore, rossore, gonfiezza dura, sensibilità grande e loquietà impedita, difficoltà di deglutire, e il dolore e gonfiore sempre crescendo continuo flusso di saliva densa e viscosa, respiro difficile, tosse veemente, dolore di capo e veglia continua, lingua tumida, immobile, aumentata e sporgente in fuori; faccia or rossa or pallida, abbattuta e ricoperta di sudore, sete e fame urgente, polso duro e frequente, orine scarse e rosse, cute urente. L’esito fra 5 e 7 giorni.

ottItE

Infiammazione dell’orecchio con dolore grave, ardente e pulsante in specie se attacca le parti interne. Ansietà, dolore di corpo, veglia, delirio, convulsioni, e deliqui, vomito, udito ora acutissimo, ora ottuso, polso prima duro, pieno e frequente, poi debole, piccolo e depresso, orina scarsa e rossa. Si divide in esterna ed interna.

AngInA tonSILLArE

Infiammazione delle tonsille con dolore, gonfiezza, rossore delle membrane mucose delle fauci specialmente dell’ugola, del velo peldulo palatino e delle tonsille, difficoltà di deglutire, angustia alle fauci, viscosità della bocca e delle faucisinoco, pochissima respirazione per le narici, rigurgito di cibo, e di bevande per le narici, polso forte duro frequente, voce rauca, acuta, nasale, insonnia e tosse. Dolore dell’orecchio interno, rumore nell’atto della deglutazione, sordità.

AngInA mALIgnA

Languore, lassezza per più giorni, brividi di freddo, nausea, ansietà, color urente, ed intenso, dolor di capo, freddo all’occipite, molestia e raucedine alle fauci. Gonfiezza dell’ugola, tonsille e glandole mascellari, che acquistano un vivo colore, macchie bianche e cinestri sulle parti oggette, serpeggianti e confluenti e coprono le fauci di grasse croste che cadute presentano sottoposte ulcerette, ventre costipato, faccia or

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rossa, or tumida pallida, occhi umidi ed infiammati, polsi celeri, piccoli, frequenti, irregolari, respirazione rumorosa e roca.

AngInA trAChEALE

Languore, molestia, frequente freddo cui succede caldo, dolore ottuso ad una porzione della trachea senza che nelle fauci comparisca alcun tumore. È preceduta da leggera tosse, da sintomi catarrali, raucedine rumorosa, concomitante la raucedine e la tosse. La voce s’assomiglia a quella del gallo. Faccia pallida, or rossa o livida e tumida, sete ardente, ispirazione strepitosa con minaccia di soffocazione, sonno breve e turbato, tosse interrotta e secca, senso ingrato di calore, inquietudine, dolor di capo, gonfiezza di piedi e di mani con poca traspirazione, orina prima limpida, poi torbida deponente un sedimento mucoso, polso da prima forte e duro quindi frequente e debole, sinoca, aggravandosi estremità fredde e gonfie, difficoltà di respiro, abbondante sudore del capo, e del petto ed istantaneamente muore talvolta con un senso di strangolazione nelle fauci.

AngInA PArotIDEA

Tumefazione esterna della parotide e delle mascellari, respirazione e deglutizione poco alterata, sinoca, tumefazione or piana, ora eminente, affezioni nelle mammelle, e nei testicoli, piressia veemente, abbattimento di forze, nausea, vomito di materie verdi, sospiri frequenti, ansietà, inquietudine, facilità alle lipotimie.

AngInA FArIngEA

Rossore nel basso delle fauci, deglutizione difficile, e dolorosa, rigurgito dei cibi per le narici, sinoca, respiro assai libero, tosse veemente e secca, calore, ardore e rossore alle parti muscolari della faringe.

DELLA CIStItE ACutA

Cause - Retrocessione della gotta, e reumatismo, un calcolo prolungato nella vescica, la riprensione degli esantemi, la soppressione dei mestrui, o delle emorroidi; da errori della dieta, stravizi di cibo, eccesso di coito, esercizi violenti fatti a cavallo, uno spavento, ritenzione d’urina, una blenorragia esasperata, ingorgo della prostata.

Sintomi - Dolor vivo pungente alla regione ipogastrica, bruciore

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di orina, intollerabile ardore nel canale dell’uretra, alla distenzione del basso ventre, tumore ovale al di sopra del pube, nausee frequenti, vomito, febbre ardente, sete, avversione per gli alimenti solidi, costipazione, mancanza di sonno ec.

Cura - Rigorosa dieta, leggiere decazioni di semi di lino raddolciti con sciroppo di ninfea, decotto d’orzo, sostanze mucillagginose, ma specialmente salasso e mignatte.

DELLE mALAttIE orInArIE

DEL DIAbEtE

È uno scolo straordinario d’orina, e si divide in tre specie: Diabete mellito, insipido e cascoso.Cause - Par che sia riposta nello stomaco, o in qualche vizio dei reni,

ma nulla v’ha di positivo.Sintomi - Sudori e traspirazioni soppresse, pelle urente, asciutta,

rugosa, squamosa, o forforacea, lingua talvolta ricoperta da uno strato di afte, voce rauca come nella consunzione polmonare, molta inclinazione alla malinconia, sete inestinguibile, ed enorme perdita di orina.

Cura - Astringenti, marziali, brodi bene consumati, sostanze latte, carni arrostite, in una parola tutto ciò che possa rendere buona nutrizione, continue frizioni sui lombi, docce solforose, ghiaccio come topico.

EnurESI

Continuo flusso d’orina, ed impotenza di ritenerlo. Ella è di quattro specie:

1°- Enuresi stenica caratterizzata da un’irritazione violenta portata e mantenuta negli organi orinari, e si cura coi contro stimoli.

2° - Enuresi astenica, che è prodotta da uno stato di debolezza, e si cura coi tonici e gli stimoli.

3° - Enuresi spasmodica: le donne vi sono moltissimo soggette; e ve ne sono alcune presso le quali un eccesso di gioia produce un simile effetto. Molti non possono ridere senza perdere orina, il timore e lo spavento hanno lo stesso risultato.

4° - Enuresi notturna. È un flusso involontario d’orina che accade nel tempo del sonno, e specialmente assale i bambini e i ragazzi. Qualche

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volta questa enuresi non è che il risultato di una leggiera paralisi che si può superare, e di un’abitudine che si può vincere. Quando dopo il parto resta un flusso d’orina involontario si ricorre alle fomentazioni fatte col decotto di rose rosse, a fumigazioni di vapori di aceto o incenso.

DISCurIA

Escrezione difficile e dolorosa delle orine. Di due specie. Discuria vescicale, che spesso proviene da spasmo della vescica, o escoriazione, o esulcerazione di quest’organo. Discuria uretrale quando la causa è nell’uretra. Ella è frequentissima nei vecchi.

Sintomi - Nel corso di questa malattia si prova uno sforzo per evacuare l’orina, e quasi ad ogni momento, accompagnato da un dolore distensivo, ardente e pruriginoso. La sede principale della Discuria sta nel collo della vescica, e del canale dell’uretra.

Si sente una sensazione cuocente e una pressione gravativa in tutta la regione ipogastrica. Questa malattia è continua; ma in qualche tempo è più ostinata ed indimabile, ora è grave, ora leggiera, desta la febbre, provoca dei movimenti spasmodici, il polso è duro, frequente, ineguale. I dolori in alcune occasioni simulano l’isterismo, o la nevralgia, il sangue accompagna spesso l’orina, e le dà l’aspetto della lavatura della carne. L’organo orinario è spesso assalito da una completa paralisi, le orine vi si accumulano e vi contraggono una qualità ammoniacale così densa che provocano la Discuria la più incomoda e un calcolo può cagionare li stessi sconcerti, e qualche volta è cagionata ancora da uno spasmo nervoso.

Cura - Difficile è guarire le affezione della vescica e dei reni, pure ecco il metodo curativo. Dijsuriam vene sectio solvit, il salasso, rimedi blandi come decazioni d’orzo e di liquirizia, sughi da trifoglio fibrino, di paretoria, di tarassaco, e di lattuga, il siero, i brodi gelatinosi ec. Si adopera ancora il vino bianco nitrato, acque di Vichy, l’infusione d’uva ursina, lavativi reiterati con una decazione di omento di vitello, di seme di lino, fomentazioni ammollienti sul basso ventre, i semi cupi. Riposo conveniente, evitare gli esercizi violenti, garantirsi dal freddo e dimenticare la Venere. Si mantenga lo spirito in perfetta tranquillità.

DELLA StrAngurIA

Di due specie. Stranguria vescicale che è il risultato di uno stato spasmodico del collo della vescica, o della vescica medesima. Stranguria

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uretrale, che spesso è il risultato delle blenorragie mal curate.Sintomi - Il liquido escrementizio evacua a gocce per gli sforzi

numerosi e ripetuti, e questo è un sintomo caratteristico, che non dà tregua. Orina con angoscia e bruciore straordinario mescolata con qualche stria di sangue, e spesso con filamenti mucosi, ed è quasi sempre depravata. Si può convertire in perfetta iscuria, allora si manifestano nuovi sintomi; la regione ipogastrica si tumefà e risente una tensione dolorosa, e le forze si esauriscono con rapidità, ed in breve si manifesta la fatale febbre orinosa.

Cura - Calmare lo spasmo e irritazione delle vie orinarie, blande fomentazioni e clisteri lassativi, e internamente emulsioni, iniezioni tiepide ec.

DELLA ISCurIA

Soppressione completa, o impedimento dell’escrezione orinaria.Sintomi - Tumore dolente al lato, avente forma globosa della vescica,

che svanisce e si abbassa quando l’orina è stata svuotata. L’orina evacuata è farinacea, e talvolta unita ad una materia

purolenta, e sanguigna. Nessun appetito, piccolo polso e frequente, faccia rossa e coloratissima, palpitazioni e tremiti del cuore, respirazione difficile e ansante vomiti, costipazioni continue, vertigini, deliqui, delirio, talvolta il sudore del malato ed il sangue estratto hanno odore orinoso.

Cura - Metodo antiflogistico e rilasciante. salasso, mignatte al perineo, lavativi con decazioni emollienti, fumente, coppette consigliate dall’Anteo, e questi mezzi convengono anche quando l’Iscuria è prodotta dal calcolo renale. Si otterrà molti vantaggi siringando l’ammalato.

DELLA LItIASI

È la pietra della vescica. Sintomi - I sintomi più comuni della presenza dei calcoli in vescica

sono un falso bisogno di evacuare le feci e i pruriti costantemente diretti verso l’intestino retto, e la cura sta nell’estrazione del calcolo.

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CurA DEL colèra morbus PEr mArCo CoLombo (1873)

Sintomi essenziali del colèra morbus.Vomiti biliosi frequenti, con ripetute eruzioni albine, contrazioni

degli arti, o crampi, e raffreddamento delle estremità, cianosi. Nei malati di colèra il polso diventa eziandio debolissimo, ed impercettibile.

Metodo curativo convenevole a ben trattare il Colera Morbus.Durante le prime ore delle evacuazioni giova prescrivere una

bevanda leggiera alquanto mucillagginosa, avvertendo, che laddove fosse troppo carica di mucillaggine, potrebbe opprimere lo stomaco e questa appena tiepida, e quasi fredda, e si farà prendere a quarti di bicchiere. Questa quantità basta a calmare la sete, e a rendere meno dolorose le contrazioni del ventricolo. È utile l’acqua di ribes poco satura, fredda e in piccolissime dosi, ma ripetute di frequente. A queste bevande si aggiungano varie applicazioni emollienti e sedative al qual uopo basteranno semplici compresse imbevute di decotto d’altea e teste di papavero ad una moderata temperatura. Si possono ancora nel principio del morbo amministrare i clisteri gommosi e narcotici a discreto calore. Dieta austera e calma del sistema nervoso, assoluto riposo degli organi muscolari e sensoriali. Si collochi il malato in luogo fresco ove non penetri né luce, né rumore, né odore acuto, che non patisca freddo, né sia oppresso da coperte. Se questi rimedi corrisponderanno, si dovranno replicare. In questo secondo periodo del colèra morbus si prescriveranno i narcotici, cioè: Laudano liquido da 15 a 20 goccie, qualche pozione e l’estratto gommoso d’oppio, da un terzo di grano fino a uno giungendo a farne prendere fin tre o quattro grani entro ventiquattrore. Clistere con Laudano, impiastro di Teriaco sull’Epigastri, Rubefacienti, Vescicatori sull’Epigastrio, o all’estremità inferiori. Possono svanire totalmente i sintomi coll’applicazione di un largo vescicante sulla regione del basso ventre, che corrisponde allo stomaco ed al lobo sinistro del fegato. Il bagno tiepido è un mezzo prezioso e troppo di rado adoperato. Borwy assicura essere l’acido nitrico allungato, lo specifico di questo morbo. Dose: da 15 a 20 gocce stemperate in un’infusione di radica di Colombo.

La cura seguente sarà utilissima nel colèra morbus.Secondo le circostanze si farà prendere all’infermo ogni due o tre

ore. Magistero di Bismuto grani tre con qualche grano di zucchero, e oltre di ciò si farà bere l’infusione di foglie di melissa, e quando il dolore

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delle mani e dei piedi è fortissimo, queste parti devono essere più volte strofinate nella giornata con una mistura calda composta di un’oncia di liquore d’ammoniaca caustica, e sei once di spirito composto di Angelica. Queste strofinazioni in alcuni casi si dovranno continuare per 48 ore senza interruzione, ossia finché si faccia separazione di orina. Se l’infermo avrà la lingua ricoperta di un’alta patina gialliccia, si aggiungerà al rimedio suddetto, ed a ogni dose, tre grani di rabarbaro torrefatto. Il medico non deve usare altro rimedio né prima, né dopo l’amministrazione del rimedio bismuto, perché questo distruggerebbe tutta l’azione di questo. Cominciata la separazione dell’orina, si darà all’infermo una polvere di Bismuto mattina e sera. Le Autorità locali dei Comuni dovrebbero provvedersi di una certa quantità delle anzi dette polveri, e distribuirle ai medici locali. In caso che i malati si lagnassero dei dolori alla bocca e dello stomaco, s’applicheranno ivi 10 o 12 mignatte, né si trascurerà l’uso dell’olio di Ricino, né quello di mandorle dolci, nonché degli impiastri ammollienti sull’addome. La tranquillità d’animo, e l’indifferenza della malattia sono mezzi eroici per la guarigione. Infine il Medico si deve regolare a seconda dei sintomi e della intensità del morbo; cioè: Erigere le forze quando sono abbattute, deprimerle qundo son troppo esaltate e calmarle quando troppo irritate. E poiché è ancora ignota la natura del Morbo, e notissima la provenienza, lo scrivente crede inutile parlarne. Ad altri la fortuna dello scoprimento di tanto malore che, forse col tempo, continuando a famigliarizzarsi nelle contrade d’Europa verrà perdendo di sua intensità, e minori vittime darà alla Morte e sarà come tutte le altre comuni malattie trattato.

Intanto io credo che si possa in esso distinguere: 1° Nel primo periodo: Diatesi irritativa, Nel 2°: Diatesi di stimolo. Nel 3° di contro stimolo.Nella Diatesi irritativa, tutti quei rimedi capaci a calmarla i quali sono

già stati indicati, né trascurare si dovranno tutti gli altri che possono avere un’azione consimile. A forza di pazienza e di prove a tutto si arriverà, né io stesso dispererei, se l’occasione mi si presentasse, di ottenere dei buoni risultati. Il Medico non deve essere né empirico, né sistematico, ma razionale, ed è appunto con la sana ragione ed esperienza che l’uomo giunge a vincere le più ardue difficoltà, a rendere quasi nulle le distanze di città in città, a fabbricare i fulmini istessi, a potrà domare i mostri, che dalle contrade dell’Asia emersero?

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IL mAgnEtISmo AnImALE (1873)

Niente s’ha di nuovo sulla terra. Tutto, o presso che tutto fu in altri tempi presentato, sospettato o provveduto e l’azzardo più che la scienza guidò spesse volte l’uomo sulle primitive tracce di un sentiero conducente all’applicazione nuova di un principio, o di una cosa ormai conosciuta. L’azzardo muove il primo passo, il Genio dell’uomo opera il resto. Le più belle scoperte dei nostri giorni hanno di nuovo che la loro applicazione in grande. Il caso favorisce lo sviluppo del genio, l’incredulità e lo scetticismo lo arrestano nei suoi voli, e qualche volta allontanano di molti secoli i limiti della potenza. Senza di ciò, senza questa classe pericolosa di sapienti che non prestano fede nemmeno a quello che hanno veduto e toccato da quanto tempo non godremmo noi delle immense applicazioni di quel motore dalle ali di ferro, che congiunge il mondo in una sola famiglia, del telegrafo che toglie or mai qualunque distanza, e permette ai diversi popoli di comunicare tra loro rapidamente quanto il pensiero?

Nella pugna virtù giammai non langue / Né ti colga stupor se presunzione/ Sconfitta da virtù si giace esangue. Se l’incredulità avesse per fondamento un’intima e ferma convinzione, il danno sarebbe assai men grande imperocché i suoi partigiani potrebbero rinvenire il modo con che modificare o cangiare la loro opinione; ma quando si ha che fare con peccatori induriti, ricalcitranti, ostinati, che non credono, perché non vogliono credere ogni volta che un fatto è superiore alla loro intelligenza, il che avviene di sovente, allora il male assume maggiore gravità, e questa gravità si aumenta in ragione diretta della condizione e dell’influenza di questi accecati per principio. Basta alcune volte il decreto inconsiderato ed imprudente di un’Accademia per far indugiare lungo tempo una scoperta, od una nuova applicazione, che sola avrebbe immortalato il suo secolo.

Finalmente tanto ostinata è la venerazione di certi individui per questi rappresentanti della scienza, che essi di buon grado ricrederebbero alla luce del giorno, ove quelli avessero il capriccio di negarla. Le nuove idee rinvennero in qualunque tempo accaniti oppositori, che in luogo di farne argomenti di profondo studio miseri, misero a scherno.

Il perché un dotto scrittore diceva in proposito: Se si raccogliessero

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tutti gli innumerevoli sbagli dei sapienti e degli spiriti forti di ogni secolo, se si notassero tutte le annotazioni dei decreti supremi che condannarono tante preziose scoperte ed ammirande invenzioni sfuggite all’ostracismo pronunciato contro di esse, quale crudele e poco edificante mortiroligio non sarebbe egli giusto pei sapienti e per gli spiriti forti?

Citiamo alcuni esempi: Il Monaco Giberto, dappoi Papa sotto il nome di Silvestro II fu tenuto in sospetto di fattucchiero per aver rinvenuto gli orioli a molla. Un processo venne invocato a Strasburbo contro Guttemberg, perché quando mostrò i suoi saggi tipografici, fu accusato di occuparsi di un’arte avente del meraviglioso. Cristoforo Colombo, implorante indarno di Regno in Regno, i mezzi onde effettuare la scoperta del nuovo mondo, fu considerato per molto tempo come un visionario.

Il creatore della moderna Fisica, l’immortale Galileo, quegli che dato un nuovo aspetto alle scienze naturali, non si è veduto egli perseguitato siccome Eretico per aver scoperto una verità nascosta fin dalla nascita del mondo?

Salomone di Cares, il trovator del vapore fu rinchiuso qual pazzo nell’ospitale di Bicetre e l’applicazione di quell’agente qual forza motrice venne per molti anni considerata una chimera.

L’inventore del gas, l’ingegnere Francese Lebon morì nella miseria senza che alcuno degnasse di esperimentare il prodotto delle sue locubrazioni. Mesmer 61) che osò per primo parlare del magnetismo, fu chiamato ciarlatano, impostore!

L’elettricità non fu essa negata nel suo nascere, ed i telegrafi elettrici non si considerarono per molto tempo un’utopia? Quante cose meravigliose non palesano i fatti che la ragione ripugnava di credere! Il para-fulmine, il Dacheritipo, la Galvano-plastica, la elettrizzazione, l’applicazione dell’aria come motore, e quanti fenomeni inapplicabili la cui realtà non può più essere oppugnata da nessuno! Se questi tristi insegnamenti ci vengono, ci vengono dal passato, ed un po’ anco dal presente, sappiamo almeno approfittarne per l’avvenire.

61) V. Scheda biografica p. 130 n. 41

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rICEttE (FIrmAtE mArCo CoLombo)

Cura dell’angina difterica di Van-Swiethen 62).Toccare tutte le parti malate specialmente gli orli delle false

membrane con miele rosato in cui si aggiungerà da un terzo a un quinto circa di acido idrocloridrico concentrato. Si proporzioni la quantità di acido allo stato delle parti. Se la membrana mucosa sia pallida e scolorita attorno alle piastre, si aumenti la quantità dell’acido, e se sono attorniate da cerchio rosso carico si aggiunga maggior copia di miele scemando la proporzione dell’acido.

I Moderni curano la Difterite come segue:P. Nitrato d’argento cristallizzato grammi 3Disciogli in acqua distillata grammi 20Si tocchino le piastre ogni 3 o 4 ore.Per garganizzare:P. Clorato di potassio grammi 2Acqua distillata grammi 40Si garganizzi ed io aggiungo di più diverse cartelle di un grammo o

due di zolfo, che do a bevere al malato una alla mattina, l’altra al mezzo giorno ed un’altra alla sera.

Nelle malattie della faringeAngina acuta:P. Acqua di fonte grammi 400Borace veneto grammi 1Miele rosato grammi 15Per garganismo.

Nella tonsillite cronica:P. Infuso di salvia grammi 15 per 400 di colaturaSale ammonico grammi 2Miele rosato grammi 55 Per garganismo.

62) V. Scheda biografica p. 132 n. 57

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Nel catarro della Faringe e nella tromba d’Eustachio 63):P. Acqua di fonte grammi 400Sale ammoniaco grammi 2Miele depurato grammi 15Per garganismo.

Nella malattia dello stomaco:P. Solfato di zingo centigrammi 5Acqua distillata grammi 90Tintura di noce vomica g.ce 10Un cucchiaio da minestra al mattino, mezzo giorno e sera.

Nel catarro stomacale cronico con costipazione:P. Succo di tarassaco detto di gramigna 15 grammiSale ammoniaco centigrammi 50Tre volte il dì un cucchiaio da caffè.

Nella dilatazione dello stomaco con cardiologia:P. Acqua di lauro ceraso grammi 8Tintura di noce vomica g.ce 10Da prendersi tre volte al giorno.

Nella cardialgia per ulcere perforate:P. Magistero di bismuto centigrammi 30Estratto di bella donna milligrammi 25Zucchero bianco polverizzato grammi 2Mescola e dividi in prese uguali N°6 una presa tre volte al giorno.

Purgativo nell’Itterizia gastro-duodenale:P. Estratto acquoso d’alcool grammi 4Radica di rabarbaro polverizzata grammi 2Estratto di tarassaco q.b. per far pillole N° 60 da prendersi 3 o 4

pillole alla sera.

63) V. Scheda biografica p. 126 n. 21

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Nella diarrea cronica:P. Sesquiocloruro di ferro centigrammi 50Ogni due ore, 2 cucchiaiate da minestra.Come derivativo sul canale intestinale nell’edema polmonare acuto:P. Foglie di digitale polverizzateRadice d’ipecaquana centigrammi 50La infusione in 150 grammi d’acqua bollente, cola e aggiungi:Lo sciroppo di poligalo grammi 15Ogni due ora una cucchiajata da minestra.Idem:P. Acqua di melissa grammi 30Etere acetico g.ce 10Tintura di vaniglia grammi 1Sciroppo di scorza d’arancio grammi 8A cucchiajate da caffè come analettico nell’agonia.

Nella Tenia:P. Estratto etereo di felce maschiaFelce maschia polverizzata grammi 1Estratto di tarassaco q.b. per fare pillole N° 20Si danno tre pillole alla mattina presto, dopo mezz’ora altre tre, e se

la tenia non è emessa, dopo qualche ora si dà un purgante.Altra:P. Kousso ed anche lo stagno polverizzato.Altra:P. Polvere di bacche di camalla grammi 10Sospendi in acqua di finocchio grammi 100Da prendersi la metà alle otto del mattino, l’altra metà alle 10 pure

del mattino, e a un’ora pomeridiana olio di ricino grammi 20.Altra: P. Olio di ricino grammi 25Etere solforico grammi 6

Nelle nevralgie che durano da tanto tempo:P. Vetrarina centigrammi 5Sugna lavata grammi 4La pomata d’applicarsi sulla pelle denudata prima da un vescicante.

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Nella Ichiade: Olio di crotantiglioOlio d’oliva grammi 2Si facciano frizioni la mattina, la sera con 10 goccie sul punto di

uscita del nervo ischiatico finché si produca l’eczema.Nella Iteralgia:

P. Acqua di melissa grammi 30Liquore anodino di Hoffman grammi 1Da prendersi 10 gocce ogni due ore.

Nelle convulsioni isteriche:P. Acqua lonfa g.ce 10Acqua di melissa grammi 6Da prendersi ogni mezz’ora 10 gocce.

Nell’Epilessia:P. Atropina milligrammi 25Alcool rettificato g.ce 250Poni in vaso chiuso ermeticamente, da darsene 5 g.ce al giorno.

Nel decubito:P. Cloroformio grammi 8Gutto perga q.b. Si sciolga in esso per farne fomentazione.

Malattie del sistema genito-orinario:P. Emulsione di mandorle dolci grammi 150Canfora rosa centigrammi 10Ogni 2 ore due cucchiaiate da minestra.Altro:P. Decotto di ononide spinosa (grammi 15 per grammi 200)Acetato di potassa grammi 8Da prendersi ogni due ore, come diuretico nell’Idropie.P. Canfora rosa centigrammi 50Luppolina grammi 1Estratto di tarassaco q.b. per fare pillole N° 20 da prendersene due

alla mattina e due alla sera.P. Canfora rosa centigrammi 30Estratto di trifoglio fibrino grammi 4

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Estratto di tarassaco q.b. per fare pillole N° 60 da prendersi ogni sera 5.

Nelle intermittenti ostinate che non hanno ceduto al chinino:P. Corteccia peruviana grammi 30Far bollire per mezz’ora con sufficiente quantità di vino generoso

fino alla riduzione di once 8, cola, ed aggiungi:Sciroppo di zenzeroSciroppo di pinnamono grammi 15Da prendersi ogni due ore un cucchiaio da minestra.

Nella Spermatoria, o polluzioni notturne:P. Bromuro di potassio centigrammi 20Zucchero bianco grammi 5Dividi in prese uguali N° 8 da prendersi una presa ogni sera.

Nello Scorbuto:Corteccia peruviana grammi 15Acqua di fonte grammi 200Fa decazione da ridursi a grammi 150, cola e aggiungi Elisir acido g.cce 10Sciroppo di scorza d’arancio grammi 15Ogni due ore una cucchiajata.

Nei calcoli biliari:P. Etere solforico grammi 4Olio di trementina grammi 1Da prendersi tre volte al giorno g.cce 5.

Nel reumatismo cronico:P. Colchicina pura centigrammi 5Sciogli in 500 g.cce d’alcool da prendersi 5 g.cce al mattino.

Nelle scottature:P. Cera gialla grammi 8Olio di oliva q.b. per fare unguento molle.

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Nella sordità per catarro delle trombe d’Eustachio:P. Sale ammoniaco grammi 5Acqua di fonte grammi 400Per fare iniezioni nel meato suditorio.

Nella paralisi delle vescica:P. Estratto di noce vomica centigrammi 20Spugna lavata grammi 8Per spalmare candelette da introdursi due volte al giorno nell’uretra.P. Estratto di noce vomica centigrammi 20Acqua distillata grammi 200Giornalmente per iniezioni.

Nel catarro del naso:P. Ipoclorito di calce grammi 1Acqua distillata grammi 200Da aspirarsi per le narici.

Nel carcinoma:P. Silicina centigrammi 15 fino a 60Zucchero bianco grammi 4Dividi con dosi uguali N° 6, tre prese al giorno.

Nelle piaghe suppuranti:P. Borace veneto centigrammi 50Acqua distillata grammi 120Per uso esterno.

Nelle ragadi dell’ano:Sugna lavata grammi 8Estratto di belladonna centigrammi 20 fino a 30Sale ammoniaco depurato grammi 2Per frizioni intorno all’ano.

Nell’ulcere dei piedi in seguito a carie:P. Sugna lavata grammi 8Precipitato rosso centigrammi 10Per medicatura.

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Nella cancrena:P. Precipitato rosso centigrammi 10Unguento comune grammi 8Per uso esterno.

Nell’emmorragia:P. Acido solforico grammi 1Acqua di fonte grammi 400Da prendersi a cucchiajate nelle emoragie profuse.Idem;P. Segala cornuta polverizzataZucchero bianco grammi 2Dividi in prese uguali N° 5. Ogni mezz’ora una presa.

Nel sarcinoma della lingua:P. Infuso di cicuta grammi 40 per 400 grammi. Per isciacquario.

Nella mastite:P. Farina di segala e crusca in parti uguali. Si agitino con acqua calda per fare impiastro.

Nella congiuntivite cronica catarrale:P. 1° Collirio astringente latteoAcqua distillata grammi 60 per collirio.Da bagnare tre o quattro volte al dì gli orli palpebrali.2° Acqua di ConradP. Sublimato corrosivo milligrammi 25Acqua distillata grammi 120Tintura anodina g.cce 10Mucillaggine di semi di cotogno grammi 4Per collirio, da prendersi come sopra.

Congiuntivite Blenorragica:P. Nitrato d’argento cristallizzato centigrammi 50Acqua distillata grammi 30Si deve spennellare la faccia interna della palpebra fino alla

ripiegatura della mucosa, poi passare sopra con un pennello bagnato in una soluzione di sal comune.

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Congiuntivite serofolosa:P. Calomelano sottilmente polverizzato grammi 8Da spalmare la congiuntiva con un pennello.p. Precipitato bianco centigrammi 30 fino a 60Estratto di belladonna grammi 50 fino a 100Unguento semplice grammi 4Esattissimamente per fare pomata. Si facciano frizioni ogni 3 ore alla

fronte, e alla regione temporale, e s’applichi sopra una striscia di carta.P. Carbonato di magnesia grammi 4Estratto di cicuta grammi 1Zucchero bianco grammi 4Dividi in prese uguali N° 20. Si comincia da due al giorno, il settimo

giorno, anzi il terzo giorno 3, il settimo giorno 4 e cinque fino a 6 al 10° giorno specialmente in caso di grave fotofobia e spasmo delle palpebre.

Metrorragie dopo il parto:1°- Energiche pressioni e frizioni sull’utero per eccitare energici

dolori.2°- Ergotima grammi 4. Se ne usi la metà sciolta in un bicchiere

d’acqua, e dopo una mezz’ora l’altra metà.3°- Più: iniezioni d’acqua fredda nella vagina e anche nella cavità

dell’utero per mezzo di una siringa uterina. Iniezioni di esquicloruro di ferro (grammi 4 per 30 grammi). Sciogli in acqua distillata grammi 400. Cessata l’emorragia si tenga la donna in una posizione orizzontale tranquilla. Si può dare qualche analettico: come vino, brodo, oppure: Tintura eterea d’acetato di ferro grani 8. Se ne prenda ogni mezz’ora da cinque a dieci gocce sopra un pezzettino di zucchero.

Metrorragie nel puerperio:P. Estratto di segale cornuta grammi 1Acqua di fonte grammi 121Tintura di cinnamomo e sciroppo, di scorza d’arancio, grammi 15Ogni mezz’ora un cucchiaio da caffè. Iniezioni fredde come sopra, e

rimuovere la cagione dell’emorragia cioè i resti di placenta.

Metrorragie in seguito di endometrite, e metrite parenchimalosa nella forma acuta:

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Riposo del corpo, dieta severamente regolata, 8 o 10 mignatte applicate alla porzione vaginale, fomenti freddi sul basso ventre.

Nella Idrofobia:Lavare per bene la ferita con aceto caldo ed acqua tiepida, e appena

asciutta versarvi sopra alcune g.cce di acido idrocloridrico. Questo neutralizza il veleno. Ma passar sopra la ferita con un ferro infocato io lo credo il più sicuro mezzo, e far quindi l’indicata lavanda sarebbe ottima cosa.

Nella Silifide:P. Ioduro-potassio grammi 10Biioduro di mercurio centigrammi 5Sciroppo di salsa pariglia grammi 250Con un cucchiaio alla mattina, l’altro alla sera. Per sciogliere la

callosità delle ulceri.P. Protoioduro di mercurio grammi 1Estratto d’oppio centigrammi 50Incorpora in assugna porcina.

Per accellerare il parto:P. Segala cornuta dramme unaSciroppo semplice grammi 25Spirito di menta g.cce treA cucchiajate.

Nella Gonorrea:P. Tonnato di zingo grammi 13 disciolti in grammi 150 d’acqua.

Per l’erpete o lattime:P. Pirofosfato di ferro citroammoniacale grammi 75Mezzo cucchiaio alla mattina, al mezzo giorno e alla sera,

esternamente olio di pesce e suffumigi di fumaria.

Per rianimare le forze nelle febbri perniciose e troncare il periodo:P. Laudano liquido g.cce 20Liquore anodino g.cce 30Sciroppo di cedro q.b. per uso.

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P. Citrato di chinina g.ni 24Estratto d’assenzio q.b. Fare pillole N° 8.Vescicanti e seropismi

Nelle intermittenti:P. Solfato di chinino bibasico centigrammi 60Acido tartarico polverizzato centigrammi 30Acqua distillata grammi 100Sciroppo di menta grammi 40Un cucchiaio ogni due ore nell’Apiressia.Altro:P. Citrato di chinina centigrammi 20Acido citrico centigrammi 20Acqua distillata grammi 100Da prendersi in tre volte.

Nelle convalescenze delle febbri:P. Ioduro di ferro e di chinina grammi unoEstratto di valeriana q.b.

Per arrestare il sangue nelle ferite delle mignatte:P. Percloruro di ferro: si versi qualche goccia sulla ferita.

Nei reumi:P. Opopeldoi d’arnica grammi 25Estratto recente di belladonna grammi 1Estratto d’oppio centigrammi 50Fare unguento.

Nelle affezioni dolorose delle vie orinarie:P. Liquore antinefritico di Adami grammi 150Da una a due dramme per giorno mescolato con once otto di decotto

di semi di lino o di radici d’altea.

Nella Idropija:P. Sempiterno selvatico, volgarmente detto pedoacci, in decotto. Decotto di ononide spinosa.

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Collodio pel cholera:Passare semplicemente una mano di collodio ricinato 30, o 40

grammi, e prendere per ogni bevanda acqua di Seltz, o ghiaccio, o acqua comune senza acqua vite o rhum. I vomiti si arrestano istantaneamente, le evacuazioni infine in pochissimo tempo, i crampi diminuiscono rapidamente. Cinque minuti o dieci dopo passato il collodio sul ventre, si sviluppa tra la crosta formata dal collodio e l’epidermide una punta di calore, mezz’ora dopo essa è cresciuta a tal segno che il ventre è invaso da un calore potente, che spandendosi come da un centro, s’irradia in verso il petto e la radice dei membri le cui estremità sono raggiunte in due ore circa. Allora comincia un sudore il più delle volte abbondantissimo e con esso, il veleno cholerico viene eliminato dall’organismo: il malato è guarito.

Cura dell’emottisi:Bevande fredde ghiacciate, viaggi di mare in paesi lontani e di una

temperatura molto elevata. Fosfato di calce grammi uno, pillole N° 10. due al giorno, dieta lattea, decotto di Lichene Islandico, gelatina d’orzo e di riso, brodi di pollastro e di granchi di canale, emulsioni leggermente nitrate, bevande copiose e rinfrescative, assoluto riposo, silenzio. Dosi refratte d’Ipecaquana; vescicanti in vicinanza della parte affetta e uso lungamente continuato.

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Schede biografiche

1 d’Alibert Jean Louis (1768-1837). Seguace della scuola del Bichat, pubblicò nel 1829 un famoso trattato di dermatologia.

2 Giorgio Armeno detto Baglivi (1668-1707) Venne detto Baglivi dal nome del dottore leccese che lo raccolse orfano e lo adottò. Nato a Ragusa studiò medicina a Salerno e Napoli, dove si laureò, e poi a Bologna dove fu allievo di Marcello Malpighi. Per i suoi studi viaggiò molto e una volta diventato professore alla Sapienza di Roma, godette della protezione di papa Innocenzo. Studioso di atomistica, seguì in generale i dettami di Ippocrate, ma si discostò dalla teoria umorale ed attribuì il formarsi delle malattie alle mutazioni operate in un primo tempo sulle parti solide del corpo, mentre i liquidi si altererebbero solo secondariamente. Gettò le basi della dottrina solidista moderna in contrapposizione agli esagerati estremismi delle dottrine jatrochimiche.

3 Arrigoni. Noto per aver tradotto nel 1835 la Storia della medicina e della chirurgia dello storico tedesco Kurt Sprengel (1766-1833).

4 Berlinghieri Vacca Francesco, (1732-1812). Professore dell’università di Pisa, fu uno strenuo oppositore delle teoria dei controstimoli del Rasori. Osservatore acuto e vivace polemista, sostenne la differenziazione fra gli stimoli vitali e quelli morbosi e con validi argomenti impugnò tutta la costruzione della medicina del Brown.

5 Bichat Maria Francesco Saverio di Thoisette (1771-1802). Studiò a Lione ed a Parigi, dove fu medico dell’Hotel Dieu. Anatomo e fisiologo, lasciò molte testimonianze e la sua dottrina può essere considerata una diretta successione di quella di Haller. Il rinnovamento della medicina da lui operato si basò non su congetture, come per i sistematici, ma su osservazioni reali.

6 Blumenbach Johan Friederich (1752-1840) naturalista. Studiò a Jena e Gottinga dove si laureò in medicina. Insegnò per quasi 60 anni storia naturale, anatomia e fisiologia comparata, storia della medicina e fu considerato dai suoi numerosissimi allievi il Magister Germaniae. Può essere considerato il fondatore dell’antropologia fisica, ma il suo grande successo derivò, più che dalle novità delle sue ricerche, dal suo attaccamento alle tradizioni e dal rigore della sua metodica osservazione.

7 Boerheave Ermanno (1668- 1738). Medico, professore di chimica ed apprezzato cultore di botanica fu insegnante della stessa materia a Leida. Fu come G.B. Morgagni fautore di numerose scoperte anatomiche e uno dei formatori del moderno pensiero medico. Infatti ritornò ai precetti ippocratici, rivolgendo il suo eclettico insegnamento allo studio del malto.

8 Bonet Teofilo da Ginevra (1628-1689). Nel suo Sepulchretum anatomicum, pubblicato nel 1679, raccolse un gran materiale anatomico, descrivendo quasi 3000 casi, molti dei quali però trascritti da altri autori.

9 Borelli Giovanni Alfonso (1603-1679) Nacque a Napoli e, secondo alcuni storici, era figlio di Tommaso Campanella, che lo aiutò nel suoi studi con Torricelli. Dal 1639 insegnò matematica all’università di Messina per conto della quale viaggiò in Italia ed in Europa per esporre le sue revisioni del teorema di Euclide. A Firenze respirò l’atmosfera galileiana. Dal 1646 si interessò anche di biologia e pubblicò uno studio sulle cause delle febbri maligne (1649) definendole non fenomeni morbosi ma curativi per cui non si doveva ostacolarle ma rimuoverne le cause.

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Anticipò lo studio dei succhi gastrici inquadrando matematicamente nei suoi studi i vari fatti organici. Nel 1656 insegnò a Pisa dove conobbe Malpighi e continuò gli studi di biologia. A Firenze dal 1664, fece installare telescopi nel forte di San Miniato continuando gli studi di Galileo. Fu il capostipite degli Jatromeccanici. Nel suo libro De motu animalium applica i trovati della meccanica statica e dinamica ai movimenti attivi e passivi dell’apparato locomotore e nella seconda parte del libro i principi della idraulica allo studio della circolazione del sangue, alla determinazione dell’energia dell’apparato cardio-vascolare, al modo di prodursi delle secrezioni, al mistero generativo, non riuscendo, però, a chiarire tali fenomeni complessi solo con i dettami della meccanica. Tornato nel 1670 a Messina venne accusato di cospirazione antispagnola ed esiliato. In Calabria si legò a vecchi amici e diventò membro dell’Accademia della regina Cristina di Svezia. Nel 1677, in difficoltà economiche, trovò ospitalità a Roma dai padri Scolopi di San Pantaleo, chiesa in cui venne sepolto nel 1679.

10 Borsieri Giovanni Battista (1725-1785). Allievo di Morgagni 64) e di Vallisnieri 65), fu professore di clinica medica a Pavia e protomedico a Faenza. La sua opera principale fu Institutiones medicinae practicae, divulgata con successo non solo in Italia, ma anche all’estero.

11 Botallo Leonardo (1530- 1587). Astigiano, di famiglia nobile, studiò e si laureò in medicina a Pavia dove insegnava chirurgia il fratello Secondo. Diventato medico delle truppe francesi affermò la sua conoscenza in ambito traumatologico e nel 1560 venne chiamato alla corte di Caterina dei Medici. Viaggiò per l’Europa e diventò medico della casa reale d’Austria. I suoi studi di anatomia umana normale e patologica, in modo particolare del cuore e dei vasi sanguigni, vennero pubblicati nel 1561, Morì a Parigi nel 1587, aiutato dalla regina viste le sue condizioni economiche precarie. Fu un anatomico ed un venerologo abbastanza famoso. Scrisse un codice sui rapporti tra medico e malato, dimostrandosi un convinto sostenitore dei salassi che dovevano, secondo la sua opinione, essere praticati ad oltranza, ritenendoli il toccasana di ogni male. Egli stesso, però, ne fu vittima ammalandosi per averne fatto un uso incondizionato.

12 Brown John (1736-1788) Studioso di lettere classiche e testi biblici, si laureò ad Edimburgo sotto la giuda di William Cullen, dal quale però ben presto si allontanò, contrastando a viso aperto le teorie mediche codificate e creando una nuova corrente per lo studio della genesi delle malattie. In realtà la sua analisi fu molto simile a quella del suo maestro. Trasferitosi a Londra per insegnare medicina, il Brown condusse una vita tanto sregolata da essere imprigionato per debiti. La sua opera principale fu Elementia medicinae, in cui è esposta la sua teoria degli stimoli, secondo la quale la vita nella sua essenza non è uno stato normale, ma costretto e mantenuto da continui stimoli. Lo stato di salute è costituito, secondo il Brown, dalla normale eccitabilità degli organi, dalla dosatura esatta degli stimoli; ogni deviazione da questo stato di normalità provoca uno stato morboso stenico, se l’eccitazione è troppo forte, astenico, se troppo debole. La terapia consiste nella prescrizione di sedativi ed eccitanti.

13 Bufalini Maurizio (1787-1875). Studiò alcuni anni a Bologna per poi passare a Pavia, dove insegnava A. Scarpa, ed a Milano con Rasori. Nel 1813 diventò assistente alla cattedra di clinica medica nell’ateneo bolognese. Pubblicò alcuni anni dopo (1819) Fondamenti della patologia analitica dove ribadì la necessità che alla base della scienza medica vi fosse l’esame dei fatti, introducendo il metodo sperimentale. Contestato nei suoi studi dai vitalisti, tornò ala professione a Cesena ma nel 1835 venne chiamato ad insegnare a Firenze. Aprì con i suoi studi la strada alla medicina che scrutava il paziente con l’osservazione, col coltello, col microscopio,

64) Vedi scheda biografica p. 130 n. 4365) Vedi scheda biografica p. 133 n. 64

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con le macchine, inaugurando il secondo periodo dell’Ottocento della nostra medicina, che seguì la via indicata dalla patologia cellulare e della microbiologia. Apprezzabili anche i suoi studi in ambito pedagogico- sociale basati non solo sulla ragione ma anche sulla morale ma rimane nella storia della medicina per aver alzato alta la voce contro le micidiali terapie salassanti e contro la teoria del Brown e dei suoi seguaci italiani. Nei suoi scritti e durante le lezioni proclamò le sue nuove dottrine patogenetiche; propugnò a base della scienza medica i fatti assolutamente controllati, dai quali risalire a formulare il giudizio diagnostico, basato sull’esame diretto del malato e rifuggente da ogni filosofismo. Fu accademico dei Georgofili, dei Lincei e segretario dell’accademia della Crusca. Nel 1848 venne eletto senatore nella Toscana costituzionale e nel 1860 senatore del regno d’Italia.

14 Buffon Giorgio Luigi Léclerc de (1707-1788). Autore di un’opera di storia naturale, studiò essenzialmente gli animali in rapporto ai grandi fenomeni della natura, ai costumi, alla qualità delle abitudini, all’acclimazione, al mezzo di vita. Pubblicò anche studi sulla storia dell’uomo, sugli animali, sui carnivori, sugli uccelli, sui minerali e sulle epoche della natura. Evidenziò nelle sue opere acuto senso critico nel rintracciare le cause delle degenerazioni degli animali e nel riunire in un quadro ben architettato tutte le varietà delle specie umane.

15 Cabanis Pierre Jean Georges (1757- 1808). Fisico e medico francese, studiò a Parigi dove allacciò contatti con alcuni scrittori e filosofi dell’epoca. Lasciate le lettere, intraprese gli studi di medicina diventando professore nella facoltà parigina e membro dell’Institut. Aderì alla Rivoluzione, ma fu uno dei secessionisti del 18 brumaio 1799. Nella sua principale opera medico-filosofica, Rapports du physique et du moral de l’homme, sostiene la preponderanza del primo sul secondo fino a giungere a definire il cervello un organo per la secrezione del pensiero. Il Cabanis presupponeva, infatti, che la vita fisica si riducesse alla sensazione e questa all’azione di stimolo e reazione del cervello.

16 Cotugno Domenico (1736-1822). Nato a Ruvo di Puglia in una famiglia di modeste condizioni, dimostrò fin da giovanissimo grande intelligenza e memoria. Nel 1753 era a studiare medicina a Napoli dove si laureò nel 1756 ed iniziò a dedicarsi alla ricerca anatomica e clinica. Nel 1765 conosce Morgagni a Padova, l’anno seguente diventò docente dell’ateneo partenopeo dove fondò L’Accademia delle scienze (1780). Fu medico celebre ed illustre anatomico. A lui si devono i primi studi sulla sciatica, malattia a cui dette il nome e della quale scrisse sul De Ischiade nervosa. Si occupò in particolare del fenomeno dell’udito e delle dinamiche dei liquidi nei labirinti. Fu un fautore del progresso nel campo dell’igiene sociale tanto da far promulgare dal re di Napoli un decreto (1782) che comminava gravi pene corporali a chi si fosse sottratto alla disinfezione delle case e della roba dei malati di tisi per i quali formò un reparto apposito nel 1783. Interessanti i suoi diari di viaggi in Europa al seguito dei Borboni.

17 Cullen William (1712-1790) Nato ad Edimburgo, fu un accanito avversario del sistema animista di Sthal e fondatore del sistema solidista sullo studio dei movimenti del sistema animale, dal cui stato dipendono i fenomeni delle malattie. La sua opera principale, First Lines of the Practice of Physic, edita nella sua città nel 1776, fu tradotta in molte lingue e rapidamente si diffuse in Europa e specialmente in Germania, visti i rapporti stretti che esistevano in quei tempi fra le università tedesche ed inglesi.

18 Darwin Erasmo (1731-1802) poeta, medico e filosofo inglese. Uomo di notevole ingegno e di grandissima cultura letteraria e scientifica, dopo essersi laureato in medicina ad Edimburgo si stabilì come medico pratico a Lichfield ed in seguito a Derby. I suoi scritti furono molto apprezzati al suo tempo ed anche recentemente hanno attirato l’attenzione dei biologi. La sua

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opera più importante è Zoonomia (edita a Londra nel 1794 e tradotta in Italiano nel 1803-1805), un trattato filosofico di fisiologia umana, con speciale riguardo alla patologia ma ricca di considerazioni generali su tutto il regno animale.

19 Depuytren Guglielmo (1777-1835).Figlio di un avvocato, nel 1809 divenne primario chirurgo dell’Hotel Dieu di Parigi e ben presto il chirurgo più rinomato d’Europa. Nel 1833 si recò in Italia, richiamato dalla sua fama. Fra le sue numerose opere la più nota ed importante è il volume sulle lezioni di chirurgia pubblicato nel 1839.

20 Dumas Jean Baptiste André (1800-1884). Chimico francese, membro dell’Accademia delle scienze di Parigi, professore alla facoltà di medicina di Parigi ed al collegio di Francia. Lasciò l’attività di farmacista per dedicarsi alla ricerca scientifica e compì importanti studi di chimica organica applicata e di chimica teoretica, riguardanti in particolare i pesi atomici. Fu con Joannes Jacob Berzelius, Jean Louis Prévost ed altri uno dei precursori dell’ematologia. Infatti la storia della fisica e della morfologia del sangue comincia agli inizi del Seicento dopo l’invenzione del microscopio; la storia della chimica fisiologica del sangue inizia i primi dell’Ottocento dopo che Joseph Priestley e Antoine Laurent Lavoiaser ebbero gettato le basi della chimica moderna.

21 Eustacchio Bartolomeo (1500 o 1570 o 1510 – 1574). Incerta secondo gli storici la sua data di nascita a S. Severino nelle Marche da padre medico da cui ereditò la condotta nel 1539. Nel 1546 era alla corte di Urbino dove approfondì i suoi studi di matematica, di geometria, ritenuti importanti per l’architettura del corpo umano. Conosceva latino, greco ed arabo, lingue importanti per le traduzioni di testi antichi di medicina. Verso il 1560 divenne professore di anatomia alla Sapienza di Roma, città nella quale si era trasferito al seguito del cardinale Giulio Della Rovere di cui era medico personale. Appassionato di anatomia fu tra i primi a fare sezioni necroscopiche su autorizzazione del pontefice, confrontando i suoi studi con quelli di Galeno e di Aristotele, non senza polemiche dopo la pubblicazione dei suoi studi. Cessata l’attività accademica per motivi di salute continuò a fare il medico di Della Rovere. Notevole la sua figura di scienziato per l’imponente mole delle ricerche condotte sul corpo umano.

22 Fanzago Francesco Luigi (1764-1836). Dopo la laurea in filosofia a Padova (1785) si iscrisse a medicina a Pavia, influenzato da J.P. Frank e da J. J Gregory. Studiò a Firenze ma si laureò a Padova dove diventò docente di patologia speciale nel periodo napoleonico. Da 1817 al 1827 insegnò medicina legale clinica medica e fu rettore dell’ateneo e preside di facoltà dal 1828 al 1835. Importanti i suoi studi sulla pellagra. Si oppose alla teoria del Brown con le stesse obiezioni del Rasori, di Giannini, del Guani, del Tommasini e di Rubbini e cercò di avvicinare tale teoria a quella di Mascagni con aperture biologiche e concezioni pratiche. Fondatore di una scuola di formazione di medici responsabili della salute pubblica (1807), fu membro di molte società ed accademie italiane e numerose furono le sue pubblicazioni su vaiolo, febbri, ulcere nell’aorta ecc.

23 Fernel Giovanni (1497-1558). Fu filosofo, matematico, astronomo e medico molto noto a Parigi grazie alla stima di cui godeva da parte di Caterina dei Medici. Tipico esempio della mentalità retriva dell’università di Parigi, fu un seguace fedele di Galeno fino a negare importanza alle più recenti scoperte anatomiche che, secondo la sua opinione, erano decisamente meno importanti della filosofia. Nonostante ciò, esercitò con nobiltà la sua arte, affermando che occorreva molta pratica per ben esercitare la professione, non bastando la teoria.

24 Galeno Claudio . Nacque a Pergamo nella Misia nel 138 d.C. Dopo gli studi di filosofia, a 17 anni iniziò a studiare medicina recandosi a Smirne, Corinto ed Alessandria per approfondire le sue conoscenze. Approdato a Roma all’età di 34 anni iniziò a dare pubbliche lezioni di anatomia

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accattivandosi l’amicizia di illustri personaggi e l’invidia dei medici romani. Lasciata Roma per amore degli studi e dei viaggi, tornò alla corte romana a 38 anni chiamato da Marco Aurelio e nell’Urbe scrisse le sue opere (circa 400) andate in gran parte distrutte. Ci sono pervenute 83 opere sicuramente sue, 19 dubbie e 15 commenti agli scritti di Ippocrate. Le opere di Galeno sono una vera e propria enciclopedia, testamento filosofico, biologico e medico del mondo antico. Egli fu il fondatore della medicina sistematica basata sul presupposto che ogni organismo è costruito secondo un piano fissato da un ente supremo e il corpo non è che lo strumento dell’anima. Tale sistema restò valido fino al Seicento in quanto dogmatico nei suoi asserti ed intessuto di enunciazioni di carattere teologico e perciò accolto con favore dalla Chiesa, dagli Ebrei e, successivamente, dagli Arabi. Il suo sistema dottrinale, pur basato sui principi ippocratici, guidò la medicina sulla via degli esperimenti. Infatti Galeno eseguì vaste ricerche sull’anatomia degli animali, sulla morfologia umana; in fisiologia compì ricerche applicando il metodo della vivisezione; in patologia enunciò concezioni che, facendo risalire molti stati morbosi alla alterazioni morfologiche di singoli organi o apparati, si staccarono almeno in parte dalla dottrina umorale di Ippocrate. In diagnostica e terapia formulò numerosi precetti, alcuni dei quali rimangono validi ancor oggi.

25 Gall Francesco Giuseppe (1758-1828) Discepolo di Gerardo van Swiethen, studioso di anatomia patologica del cervello.

26 Galvani Luigi (1737-1798). Dopo una crisi religiosa giovanile, si dedicò agli studi universitari in medicina a Bologna, sua città natale, allievo di L.B. Beccari e di Galeazzi. Si laureò il 14 luglio del 1759 ed il giorno successivo in filosofia. Grazie all’appoggio del suocero si affermò in ambito universitario ma la sua diventò vera fama solo dopo la pubblicazione dei suoi studi sull’elettricità animale (1791) Insegnò anatomia e chirurgia e poi medicina pratica ed ostetricia nell’Istituto di Scienze (1782-1796). Medico e ostetrico famoso, fu priore del collegio di medicina e di filosofia e protomedico della città di Bologna. Molti i suoi studi fra cui quelli sulla osteologia, sulla formazione delle ossa, sull’anatomia comparata sul moto e la contrazione. Per non aver aderito alla repubblica cisalpina (1796) fu privato dell’insegnamento, delle cariche pubbliche e della pensione per cui morì nella sua città debole e demoralizzato.

27 Gaub Gerard David (1704-1780) fisiologo. Nelle sue Institutiones patologiae medicalis volle conciliare la patologia umorale con la solidista e poggiò lo studio delle malattie su basi fisiologiche.

28 Giannini Giuseppe (1774-1818). Dopo gli studi in seminario si iscrisse a medicina a Pavia dove si formò con maestri come Scarpa e Volta. Si laureò nel 1795 e dal 1797 diventò vice primario dell’ospedale maggiore di Milano, città che gli consentì di perfezionare i suoi studi. Imparò le lingue in frequenti soggiorni all’estero e grazie all’inglese studiò la medicina straniera ed entrò in contatto con clinici e scienziati europei. In linea con Tommasini, con Fanzago e Rasori in relazione alle opposizioni poste alla teoria del Brown, pubblicò i suoi studi a Milano (1800-1802). Antitetico rispetto al Rasori, propose cure terapeutiche basate su bagni freddi per le febbri ed il tifo ed introdusse la vaccinazione per il vaiolo. Filantropo e patriota fu medico di corte durante il regno di Eugenio Beauharnais . Malato di tubercolosi morì a Milano nel 1818.

29 Hahn Johann (1674- 1742) medico tedesco.

30 Haller Albert von (1708-1777) Eminente fisiologo, anatomico e botanico di Berna fu un discepolo di Ermanno Boerheave a Leida. Laureatosi in medicina viaggiò per l’Europa

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(Inghilterra, Francia e Svizzera). Professore di anatomia, chirurgia e botanica nell’università di Gottinga, socio di 23 accademie, ebbe molte cariche pubbliche che fecero sì che potesse dotare l’università di teatri, gabinetti scientifici, orto botanico, scuola di levatrici, collegio chirurgico. Fecondo scrittore (150 opere in varie lingue) Haller fu un eccelso fisiologo e viene considerato come colui che gettò le basi della fisiologia moderna..

31 Hahnemann Christian Frederich Samuel (1755-1843). Fu l’ideatore del sistema omeopatico. Proclamò il principio Similia similibus, affermando che molte malattie guariscono se si giunge a provocare un fenomeno analogo a quello che ne determina l’inizio, mediante sostanze medicamentose i cui effetti sono tanto più notevoli quanto più piccole sono le dosi nelle quali esse vengono date. I suoi libri di omeopatia, malgrado la grande campagna contro il suo sistema fatta dai medici del tempo, si divulgarono in tutto il mondo e furono fondate cliniche che ebbero, ed hanno, grande successo specialmente in America.

32 Hoffmar Frederich. Noto per aver gettato, unitamente al Baglivi, le basi della dottrina solidista moderna in contrapposizione degli esagerati estremismi delle dottrine jatrochimiche. La jatrochimica fu infatti una dottrina medica diffusasi nel XVIII secolo, secondo la quale i processi vitali, sia fisiologici che patologici, hanno un’origine chimica individuata nella fermentazione. Il conseguente metodo terapeutico fu fondato sull’uso di sostanze chimiche naturali o prodotte dall’uomo.

33 Hunter William (1718-1783). Medico della regina e professore di anatomia. Prende nome da lui il canale di Hunter. Fratello di John (1728-1793), famoso anatomista, chirurgo e direttore dell’ospedale San Giorgio nonché fondatore di un importante museo anatomo-patologico. Studiò ed eseguì importanti esperimenti sugli animali. Dette il nome ad uno speciale metodo per la legatura degli aneurismi ed eseguì importanti ricerche sulla fisiologia degli organi genitali, sull’ulcera e sulla circolazione capillare.

34 Huxham John (1694-1768). Medico inglese contemporaneo di van Swiethen e seguace della sua scuola. Grazie a lui e ad altri grandi medici italiani e stranieri, l’indirizzo clinico ippocratico, illuminato dalle nuove acquisizioni scientifiche sperimentali, trionfò nel Settecento.

35 Ippocrate. Nato a Chio, città dell’Ellade, intorno al 460 a.C., ricevette dal padre Eracleide i primi insegnamenti dell’arte medica. Viaggiò per la Tracia, la Tessaglia, l’Egitto, la Libia mosso dal desiderio di sapere. Scrittore, maestro, medico pratico, conquistò grande fama fra i suoi contemporanei. La sua notorietà non si affievolì mai nei secoli per i giudizi lusinghieri espressi su di lui da filosofi e medici di tutti i tempi. Le sue opere, raccolte nel III secolo a.C., costituiscono il Corpus Hippocraticum, vasta enciclopedia in cui sono presenti alterazioni riferibili a circostanze fortuite, ad ignoranza dei copisti, al superstizioso culto professato a Ippocrate nel Medio Evo. Resta comunque sempre valido il suo “giuramento” con il quale il medico, prima di accingersi a praticare l’arte, giura per Apollo e per tutti gli dei di compiere il suo dovere, di rispettare il suo maestro, di procedere nel miglior modo secondo il suo giudizio per cercare di guarire i malati, di non impedire la concezione o il normale sviluppo del bambino nell’alvo materno, di mantenere il segreto professionale. Secondo la scuola di Coo lo stato di salute e quello di malattia sono considerati come espressione di un’armonica, alterna mescolanza degli umori fondamentali del corpo. La dottrina umorale sviluppata da Ippocrate e dai suoi discepoli costituì per oltre duemila anni le basi di ogni concezione di patologia generale. Fu il primo tentativo di mettere in relazione le influenze ambientali con le caratteristiche fisiche e chimiche degli abitanti. Con Ippocrate lo studio del malato diventò organico e metodico, in grado di consentire qualche rilevante formulazione

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diagnostica, dopo un esame comprendente l’ispezione, la palpazione, forse la percussione ed una rudimentale ascoltazione. L’esame clinico fu dimenticato per secoli e tornò in auge solo agli inizi dell’Ottocento. La terapia medica di Ippocrate contemplava un numero limitato di medicamenti con la caratteristica di essere innocui: infatti dovevano semplicemente favorire i processi difensivi e riparativi messi in atto spontaneamente dalla natura guaritrice. Importanti furono i precetti igienici, quali ginnastica, massaggi, bagni, provvedimenti dietetici.

36 Lavoisier Antoine Laurent (1743-1794). Spiegò il fenomeno respiratorio sulla base della chimica, affermando la scomposizione dell’aria operata dai polmoni. Fermò la sua attenzione anche alla salubrità degli ospedali, specialmente nei periodi in cui imperversano le epidemie.

37 Ludwig Karl Frederich (1816-1895) fisiologo tedesco. Laureatosi a Marburgo (1840), fu professore di anatomia a Zurigo ed a Vienna e di filosofia a Lipsia. Illustrò tutte le branche della fisiologia, dalla circolazione del sangue alla secrezione renale, dal sistema nervoso alla chimica fisiologica, acquistando una notevole fama in tutto il mondo. Le sue ricerche furono condotte in una cornice vivamente antivitalistica ed utilizzando tecniche sperimentali e di misura spesso basate su strumenti scientifici da lui stesso inventato (come il chimografo). La sua opera più importante fu il Manuale di fisiologia umana (1852-1856) che gli attirò profonde inimicizie nell’ambiente accademico che non accettava di ricondurre la fisiologia ai principi della chimica e della fisica.

38 Magendie Francois (1783-1855). Insigne fisiologo francese, approfondì gli studi anatomici e diventò professore di fisiologia e patologia generale al collegio di Francia. Fu uno dei fondatori del moderno metodo sperimentale, sia nel campo della fisiologia che della patologia e medicina pratica. I suoi scritti, tradotti in molte lingue, trattano la patologia, la tossicologia, la farmacodinamica, la fisiologia della digestione e dell’assorbimento, del cuore, del calore animale, del sistema nevoso. Importanti le sue lezioni sul colera e sui fenomeni della vita (Parigi 1835-1838).

39 Mascagni Paolo (1752-1815). Nato in provincia di Pisa, si laureò a Siena dove acquisì una solida formazione medica, biologica e naturalista. Fu docente di anatomia a Siena, Pisa e Firenze dove fece ricerche complesse sul sistema dei vasi linfatici. Iniziò a lavorare sulla riproduzione di parti anatomiche facendosi aiutare da valenti scultori e dopo la presentazione al granduca Pietro Leopoldo ottenne l’incarico di riprodurle per il gabinetto fiorentino di storia naturale (1782). Si occupava contemporaneamente di geomineralogia con studi naturalistici nel volterrano e nel senese, interrotti nel 1799-1800 quando venne accusato di giacobinismo ed incarcerato per sette mesi durante l’occupazione degli Austro-Russi. Col ritorno delle truppe francesi venne nominato docente di anatomia a Pisa (1801) e tenne lezioni a Firenze di fisiologia e chimica nell’ospedale di S. Maria Nova. Fu socio di molte accademie scientifiche e corrispondente dell’Istituto delle Scienze e delle Arti di Parigi, (scienze moderne e chirurgia). Morì all’improvviso senza poter terminare i suoi studi sulla “Gande anatomia”.

40 Medici Michele (1782-1859). Docente di fisiologia all’ università di Bologna, seguì gli studi di Haidenhain andando otre la teoria dei controstimoli. Dopo aver studiato grammatica, umanità e retorica, frequentò le lezioni di farmacologia del professor Francesco Coli fino a laurearsi in medicina nel 1802. Medico all’ ospedale Maggiore di Bologna ne diventò primario nel 1818. Dal 1815 fu docente di fisiologia nell’ateneo della città pontificia dopo che la disciplina era stata scorporata da anatomia comparata a seguito del riordino dell’università. Importante fu il suo studio anatomico delle ossa. Nell’interpretazione dei fenomeni fisiologici fu un vitalista convinto andando oltre le teorie degli timoli e dei contro stimoli portate avanti al Tommasini, dal Rasori e da Brown. Pubblicò nel 1833 l’importante Manuale di fisiologia dove,

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contrapponendosi al Tommasini, sosteneva che la riproduzione non era funzione subalterna alla vita o all’eccitamento, ma un atto primitivo pari all’eccitamento. Importante furono anche i suoi studi anatomico-fisiologici sulla funzionalità cardiaca, anticipando le scoperte di altri studiosi, e sulle funzioni del sistema nervoso autonomo contrapponendosi agli studi di Bichat. Gli studi sulla fisiologia fatti dal Medici furono più innovativi nella qualità e nella metodologia di quelli del Tommasini, di Francesco Puccinotti e di Maurizio Bufalini. Importanti anche e le sue indagini storiche rappresentate dalle biografie di illustri anatomisti.

41 Mesmer Francesco (1734-1815), medico viennese fondatore del magnetismo animale. Sostenne l’influsso dei pianeti sui fatti fisiologici e patologici dell’organismo. Introdusse la terapia magnetica derivante dall’imposizione delle mani sul malato, metodo col quale sosteneva di ottenere stupefacenti guarigioni in quanto, secondo la sua dottrina, ogni corpo vivente possiede un fluido magnetico che circola e dal quale emana una forza speciale. I medici del tempo scatenarono una violenta campagna contro di lui, ma Mesmer continuò ad esercitare una suggestione straordinaria sui suoi malati. In Francia ebbe la protezione della regina Maria Antonietta e il re lo pregò di rimanere in quel paese offrendogli stipendi favolosi per l’epoca. Furono suoi clienti Lafayette e molti illustri letterati e politici del tempo. Durante la Rivoluzione fu costretto a lasciare la Francia ed a riparare in Svizzera dove morì completamente dimenticato.

42 Montegne Jean Francois Camille (1784-1866) Medico e botanico francese, membro dell’accademia della scienza e della medicina. Notevoli i suoi studi di botanica crittogamica.

43 Morgagni Giovanni Battista (1682-1771). Nato a Forlì, fu tra i rimi a studiare l’anatomia patologica. Allievo di Marcello Malpighi a Bologna, si laureò a 19 anni in filosofia e medicina ed ebbe come palestra le corsie dell’ospedale di S. Maria della Morte. Sostituì Antonio Maria Valsalva, che si era trasferito a Parma ed al suo ritornò si spostò a Venezia dove frequentò la farmacia di Girolamo Zannichelli in vista della futura professione a Forlì (1709-1711). Sostituì Vallisneri nella cattedra di medicina teoretica a Padova (1711) per passare a quella di anatomia nel 1715. Diventò un matematico della medicina imprimendo il suggello del positivismo e molti furono gli studenti europei che frequentarono le sue lezioni, in modo particolare tedeschi. Fu non solo medico, ma prosatore, poeta, storico, archeologo e agronomo. I suoi studi più importanti riguardarono la struttura delle varie parti del corpo umano che dettero inizio all’evoluzione della medicina sulle tracce del metodo sperimentale di Galileo, più seducente dell’astrazione filosofica. Interessanti i suoi scritti sotto forma di lettere inviate agli amici.

44 Orfila Matheo José Bonaventure (1787-1853). Medico spagnolo, acquistò grande fama in Francia nel campo della medicina legale e della tossocologia, grazie alle sue ricerche.

45 Pelletier Pierre Joseph (1788-1842), chimico francese. Insegnò alla scuola di farmacia di Parigi. A lui si deve la scoperta della maggior parte delle basi salificabili vegetali, fra cui la chinina, e l’antielmintico, un alcaloide contenuto nella corteccia del melograno.

46 Pilarini Jacopo. Console veneto a Costantinopoli, nel 1715 inviò alla Serenissima repubblica di Venezia un dettagliato rapporto sulla cura e sui risultati della vaiolizzazione.

47 Réamur René Antoine Ferchault de (1683-1757) Tecnologo e naturalista francese, contribuì al consolidarsi in biologia di una metodologia rigorosa, applicandola ampiamente nei suoi studi sui processi digestivi dei quali riuscì a dimostrare la natura chimica.

48 Rhazes. Nacque in Irak a metà del IX secolo. Studiò a Bagdad dove esercitò ed insegnò

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medicina. Morì nel 932. Fecondo scrittore pubblicò 200 libri che trattano di medicina, filosofia, matematica ed astronomia. Tradotti in latino i suoi libri più famosi furono il Trattato sul vajuolo e la risipela, il Liber medicinalis Almansoris ed il Continente. Il primo tratta del vaiolo e fu tradotto in greco per ordine di un imperatore di Costantinopoli. Il secondo è un’opera in 10 volumi, tra i quali sono notevoli quelli di chirurgia e terapia, studiati nel Medio Evo in tutte le università italiane. Il terzo è un’enciclopedia in cui Rhazes appare medico ippocratico nell’esame del malato e della terapia.

49 Rolando Luigi (1773-1831) Anatomico torinese, allievo del piacentino Paolo Mascagni, insegnò medicina a Sassari e anatomia umana a Torino. Fu insigne studioso di anatomia umana e comparata e di fisiologia del sistema nervoso diede il suo nome al solco tra il lobo parietale ed il frontale, al tubercolo cireneo ec..

50 Romazzini Bernardino (1633-1714). Nato a Carpi, dopo aver conseguito la laurea in filosofia e medicina, si trasferì a Roma per perfezionare i suoi studi, ma rientrato nella sua città coltivò gli studi delle lettere classiche. Esercitò la professione ed insegnò medicina prima a Modena ed in seguito a Padova. Suoi modelli furono Ippocrate e Thomas Sidenham. Grande clinico lasciò saggi in cui tratta dell’igiene della mente e del corpo, delle malattie in rapporto ai mutamenti atmosferici, dei pregi e degli inconvenienti della china, prescrivendola solo nelle febbri intermittenti. La sua opera maggiore fu De morbis artificium diatriba, pubblicata a Modena nel 1701, in cui cerca di scoprire le cause delle malattie del lavoro.

51 Rosen Niels di Upsala (1706-1773). Descrisse gli esantemi acuti secondo l’indirizzo clinico ippocratico, illuminato dalle nuove acquisizioni scientifiche sperimentali.

52 Scarpa Antonio (1752-1832). Nato in una famiglia veneta di origini popolari, studiò a Padova, dove fu discepolo di Giovanni Battista Morgagni ed a Bologna. A venti anni fu nominato professore di anatomia a Modena e primario chirurgo degli ospedali militari del Ducato. Dal 1783 insegnò anatomia e a Pavia e nel 1787 ottenne la cattedra di chirurgia. Ebbe contatti con i più grandi scienziati del tempo. Per essersi rifiutato di giurare fedeltà alla repubblica cisalpina fu destituito dai suoi incarichi, ma nel 1805 Napoleone, lo rimise nella sua cattedra e lo nominò suo chirurgo personale, grazie alla fama di cui Scarpa godeva. Anatomista e chirurgo era diventato celebre per i suoi studi sul sistema nervoso periferico, sull’innervazione del cuore, sull’anatomia topografica della regione mediale della coscia, sulla miopia.

53 Sennert Daniel: medico svizzero, precursore dello Jatrochimismo.

54 Sidenham Thomas di Windford (1624-1689) Studiò ad Oxford - e probabilmente anche a Montpellier; si laureò a Cambridge ed esercitò la sua professione di medico a Londra. Grazie ai suoi studi di patologia generale e speciale si guadagnò l’appellativo di Ippocrate moderno. Infatti ebbe il merito di ritornare al concetto unitario e costituzionalistico della patologia e di considerare la malattia una entità estranea all’organismo umano, il quale cerca, con le sue risorse naturali, di liberarsene grazie alla febbre, definita dal Sidenham “purificatoria”.

55 Spallanzani Lazzaro (1729-1799). Originario di Reggio Emila, studiò retorica e filosofia dai Gesuiti. Ordinato sacerdote iniziò ad insegnare logica ma ben presto passò a fisica, geologia, mineralogia. Nel 1769 ottenne la cattedra di scienze naturali a Pavia e vi restò per tutta la vita. I suoi contributi più importanti furono per la biologia in polemica con le teorie positive di Needham e Buffon ed a favore della teoria della generazione spontanea. Importanti le sue scoperte sulla generazione animale grazie al contatto diretto dello spermatozoo con l’uovo. Sue

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le prime esperienze sulla fecondazione artificiale. Fu, al pari di Haller, un geniale ricercatore. Studiò la circolazione, la respirazione, la digestione; rilevò l’azione esercitata dal cuore sulla circolazione, l’elasticità delle arterie, il passaggio del sangue dalle arterie alle vene attraverso i capillari; scoprì i globuli bianchi; intuì la respirazione cellulare. In merito alla digestione, al termine dei suoi studi sui gallinacei, sui mammiferi e su se stesso, considerò la digestione non più come una funzione meccanica di triturazione degli alimenti, ma come un’operazione chimica; rilevò il potere antisettico del succo gastrico, l’influenza del colon sulla digestione, i movimenti dello stomaco e praticò digestioni artificiali in vitro. Vero precursore delle biologia moderna, si basò sulla sperimentazione dopo aver osservato i fatti ed i fenomeni.

56 Stahl Giorgio Ernesto (1660-1734), medico e filosofo. Insegnò patologia, dietetica, filosofia, botanica e farmacologia nell’università di Halle dal 1694. Fu autore di circa trecento scritti, il più importante dei quali è la Theoria medica vera, che lo portò in conflitto con Hoffmann, suo amico e collega ad Halle. Dal 1716 fu medico di Corte a Berlino e si dedicò esclusivamente ai suoi studi. Il sistema dello Stahl fu detto animista per aver egli sostenuto che l’anima era il principio supremo della vita e che non poteva identificarsi con l’intelletto, ma piuttosto con la natura. Nei suoi scritti egli sostiene che è l’anima che rappresenta l’unità di tutto l’organismo e che lo protegge dal decadimento al quale il corpo giunge quando viene abbandonato dall’anima. È quest’ultima, inoltre, che provoca nell’organismo la serie di movimenti dalla quale dipende la vita normale. Se i movimenti sono alterati, subentra la malattia che altro non è che la tendenza dell’animo (o della natura) a ristabilire l’ordine dei movimenti attraverso le vie del sistema circolatorio.

57 Swiethen Gerard van (1700-1772). Discepolo e connazionale di Ermanno Boerheave, tradusse il pensiero e l’indirizzo medico del maestro all’università di Vienna, città nella quale era stato chiamato dall’imperatrice Maria Teresa affinché riordinasse ed incrementasse gli studi. Sotto la sua guida quella università diventò una delle più importanti d’Europa per la presenza di grandi clinici che vi accorsero da vari paesi europei per operare sotto la sua guida.

58 Testa Antonio Giuseppe (1756-1814). Nato a Ferrara, studiò a Bologna dove conobbe Rezzonico, ambasciatore veneto, che seguì come medico in molte capitali europee. Rientrato in Italia insegnò clinica medica nella sua città natale diventando direttore degli ospedali cittadini. Nel 1780 era docente a Bologna ed ispettore della pubblica istruzione. Illustre clinico, resta famoso per i suoi studi sulle malattie cardiache dove dette contributi preziosi sulla patologia ed anatomia del cuore (1810), sull’ereditarietà e nel campo della fisiologia con osservazioni originali pubblicate nel 1787 a Londra. Professore del testo ippocratico, di fisiologia, di patologia e di medicina clinica nell’Ateneo della sua città natale, fu anche rettore dell’università di Bologna dove insegnò clinica medica. Nelle sue pubblicazioni trattò dell’insorgenza delle malattie, dei vari fenomeni patologici e fisiologici. Fu anche un letterato, di lui rimangono testi di storia della medicina e numerose biografie.

59 Thénard Louis Jacques (1777-1837). Chimico francese, insegnò dal 1802 al collegio di Francia. Fu uno degli organizzatori dell’insegnamento delle scienze naturali in Francia e col suo Traité de Chimie élémentaire (1813-1816), tradotto in molte lingue, contribuì alla diffusione della cultura clinica in tutto il mondo. A lui si deve, fra l’altro, la scoperta dell’acqua ossigenata (1818).

60 Timoni Emanuele. Medico greco che nel 1713 rese nota in Europa la pratica dell’innesto del vaiolo adottata in Cina da epoche remote. I cinesi solevano infatti immettere nelle narici degli individui sani le croste del vaiolo per preservarli dal contagio; le donne circasse, allo stesso fine,

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si pungevano con aghi umettati di pus del vaiolo, conseguendo lo stesso risultato.

61 Tommasini Giacomo (1768-1846) Condivise con Giovanni Rasori la teoria dei controstimoli, ma mentre quest’ultimo rinnovò la terapeutica, egli volse le sue cure allo sviluppo della patologia, diventando così entrambi i rinnovatori della scuola medica italiana, derivante dall’evoluzione del sistema di Brown. Il Tommasini nacque a Parma e nella sua città fu professore di fisiologia, patologia e più tardi di medicina forense. Nel 1814 il governo provvisorio di Bologna gli affidò l’insegnamento di medicina teoetica-pratica e di clinica medica. Nella città pontificia conobbe Giacomo Leopardi, che frequentò la sua casa durante i soggiorni bolognesi (1827-1829), instaurando un rapporto di grande amicizia sia col medico che con i suoi familiari, la moglie Antonietta Ferroni, la figlia Adelaide ed il genero Ferdinando Maestri. Nel 1829 il Tommasini ritornò nella sua città come protomedico di Stato e medico della sovrana Maria Luisa. Viaggiò a lungo in Francia ed in Inghilterra per motivi di studio, stringendo amicizia con i maggiori esponenti della cultura. Fu un clinico geniale ed un osservatore profondo e sagace, malgrado la cultura medica di cui era imbevuto. Ritenne necessario per il medico lo studio della chimica, della fisica, dell’anatomia normale e patologica e condusse ampie ricerche sui caratteri distintivi della materia organica ed inorganica, sull’essenza della vita e delle sue leggi, sulla vita della cellula, sulle funzioni degli organi e dei tessuti. Come patologo studiò a fondo la febbre gialla ed altre epidemie, ritenendone l’origine parassitaria; analizzò la diffusione del contagio e ritenne come assolutamente necessarie le norme sanitarie difensive; assegnò una parte di rilievo al clima ed alle predisposizioni individuali circa la trasmissione delle malattie infettive. Come clinico il Tommasini ravvisò il bisogno dell’esame al letto del malato ed al tavolo anatomico, e può perciò considerarsi il precursore dell’insegnamento clinico moderno.

62 Torti Francesco(1658-1741). Si laureò a Bologna e tornò a Modena, sua città natale, per insegnare medicina ed anatomia. Clinico di grande valore, è noto per i suoi studi sulla malaria: stabilì infatti le dosi di chinino da somministrare nella fase apiretica e precisò che le complicazioni della milza e del fegato da malaria non sono da imputarsi alla cura col chinino.

63 Vacca Berlinghieri Andrea (1772-1826) Allievo di Bell e di Depuytren, fu ritenuto il capo della scuola pisana di patologia e clinica chirurgica.

64 Vallisneri Antonio (1661-1730). Naturalista, nacque a Treviso e studiò a Roma alla scuola di Malpighi. Si laureò a Reggio Emila ed insegnò medicina pratica a Bologna e dal 1700 a Padova. Membro della Royal Society di Londra, fece studi importanti sulle generazioni degli insetti, dove dimostrò l’origine dalle uova, negando la generazione spontanea. Fece studi anatomici sui rettili e sugli uccelli e ricerche sui fossili. Studiò inoltre la generazione delle piante acquatiche per cui venne considerato da alcuni storici un precursore delle teorie dell’evoluzione.

65 Volta Alessandro (1745-1827). Indirizzato agli studi giuridici dallo zio, li abbandonò per studiare i fenomeni fisici. Applicò le correnti elettriche nelle malattie dell’udito. Fu con Luigi Galvani un antesignano dell’elettroterapia. A venti anni pubblicò i suoi studi sull’elettricità che, poco conosciuta, si stava affermando in quegli anni. Nel 1775 costruì il suo primo apparecchio, l’anno successivo scoprì il gas metano che lo portò alla pistola elettrica. Docente di fisica sperimentale a Pavia (1779), ne diventò rettore (1785). Basandosi sull’esperienza delle rane di Galvani, giunse all’invenzione della pila, grazie alla teoria del contatto fra due metalli, pila chiamata “elettromotore”. Grazie alla scoperta dell’energia elettrica continua, seguita dall’arco elettrico - detto voltaico – venne invitato a Parigi da Napoleone (1801). Morì a Como, sua città natale.

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Adami 115Alibert Jean Louis d’ 31, 117Aloisi Pompeo IXAmbrosi Giuseppe XIIAndrei Pietro VIIIArmeno Giorgio detto Baglivi 81, 117Arrigoni 93, 117Bassano Domenico V, IXBaumé AntoineBeavery 12Beccari L.B. 121Bell CharlesBerlinghieri Vacca Francesco 77, 117Bertoloni Antonio XVIIBerzelius Joannes Jacob 120Bichat Maria Francesco Saverio di Thoisette 5, 8, 10, 16, 35, 117, 123Blumembak Johan Frederich 6, 117Boerheave Ermanno 34, 117, 127Bonet Teofilo 7, 117Borelli Giovanni Alfonso 30, 117Borsieri Giovanni Battista 77, 118Bortes 6Borwy 102Botallo Leonardo 31, 118Brighenti Pietro XXBrown John XVII, 6, 7, 39, 118, 119, 120, 121, 123, 126Bufalini Maurizio 38, 118Buffon de Giorgio Luigi Lèclerc 3, 119, 125Cabanis Pierre Jean Jacques 18, 33, 119Campanella Tommaso 117Capellini Francesco XVI, XXICapellini Giovanni XVI, XXICaramelli 26Casella Maurizio XIXChiesa 89Coli Francesco Maria XVII, 123Colombo Attilio 43Colombo Cristoforo 105Colombo Marco V, XI, XV, XVII, XVIII, XX 3, 33, 35, 42, 43, 102, 106Colombo Pompilio 43Conaveri 28Condillac Etienne Bonnot de 33Costa Lorenzo XXICotugno Domenico 94, 119

Cullen William XVII, 77, 84, 86, 87, 118, 119Da Passano Giulio Cesare XX, XXIDarwin Erasmo 4, 119De Angelis sac. IXDella Roche 94Deuytren Guglielmo 92, 120Di Negro Andrea XVIDrago Maria XXDumas Jean Baptiste André 6, 7, 16, 19, 21, 120Eustacchio Bartolomeo 107, 111, 120Fanzago Francesco Luigi 32, 39, 120Favero 14Fernel (io) Giovanni 34, 120Ferroni Antonietta XVX, 126Frank J.P. 120Frosek 83Furov 17Galeazzi 121Galeno Claudio 16, 18, 29, 34, 35, 120, 121Galileo Galilei 105, 118, 124Gall Francesco Giuseppe 12, 121Garibaldi Giuseppe XXIGaub(io) Gerard David 34, 121Gendrin 92Giannini Giuseppe 32, 120, 121Gozzi Giulio XVIIGregory J.J. 35Gualandi Domenico XVIIGuersent Louis Benoit 96Hahan Johann 35, 121Hahneman Christian Frederich Samuel XVI, 53, 122Hoffmar Frederich 89, 109, 122Hunter William 22, 12Huxham John 44, 80, 89, 82, 122Kant Emanuele XVIIppocrate 3, 17, 22, 28, 78, 81, 120, 122, 125Inverizzi card. XXLavoisier Antoine Laurent 25, 120, 123Lebon 105Lisin 81Lomellini card. Benedetto V, VIILudwig Karl Frederich 34, 123Maestri Ferdinando XIX, XX, 126Magendie Francois 13, 21, 22, 24, 123Malspighi Marcello 117, 118, 124, 126Mareschi 26

Indice dei nomi

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Martini Bartolomeo 7, 11, 14, 26, 27, 28, 30Mascagni Paolo 24, 120, 123, 124Mazzini Giuseppe XX, XXIMedici Michele 6, 123Mesmer Francesco XVI, 105, 124Michelini Luigi XMoison 30Mondini Francesco XVIIMontegne Jean Francois Camille 15, 22, 124Morgagni Giovanni Battista 117, 118, 119, 124, 125Neikard 39Neitg 34Nicheran(u)d 10, 16, 19, 21, 39Nildenow 64Nilson 12Orfila Matheo José Bonaventure 46, 52, 124Orioli Francesco XXPaci Agostino XXIPelletier Pierre Joseph 5, 124Peruzzi mons. Angelo IXPilarini Jacopo 95, 124Prévost Jean Louis 120Priestley Joseph 120Puccinotti Francesco 123Quartara Maddalena XXRasori Giovanni XVII, 117, 118, 121, 123, 126Réamur André René Antoine Ferchault de 25, 120Rezasco Giulio XXRhazes 90. 120Rivarola card. Agostino XX

Robel 67Rolando Luigi 6, 124Romazzini Bernardino 81, 125Rosen Niels 90, 125Rovati Aloisio XVIIRubbini 77, 120Santagata Antonio XVIIScarpa Antonio 11, 12, 22, 118, 121, 125Sennert Daniel 34, 125Sidenham Thomas di Windford 80, 90, 124, 125Sidoli Giuditta XXSilvestro II, papa 105Simonini Giovanni XISpallanzani Lazzaro 22, 125Sprengel Kurt 117Stall Giorgio Ernesto XVII, 4, 80, 125Svieten Gerard von 106, 122, 127Taravacci Baldassarre VIIITesta Antonio 38, 126Thenard Louis Jacques 14, 126Timoni Emanuele 95, 126Tommasini Adelaide XIX, 126Tommasini Giacomo XV, XVI, XVII, XVIII, 6, 8 10, 11, 13, 25, 120, 123, 126, 127Tornabuoni Vincenzo VITorti Francesco 79, 84, 127Vacca Berlinghieri Andrea 54Vallisnieri Antonio 118, 124, 127Valselva Antonio Maria 124Volta Alessandro 11, 121, 127Zannichelli Gerolamo 124

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Bibliografia

S. Arieti, Medici Michele, in “Dizionario biografico degli Italiani”. Vol. 73, Ed. Treccani, Catanzaro 2009, pp. 144-146.A. Castiglioni, La storia della medicina Vol. 1: dalle origini alla fine del ‘700 Vol. 2: dal ‘700 ai giorni nostri, Ed. Mondadori, Milano 1948.A. Cazzaniga, La grande crisi della medicina italiana del primo Ottocento, Milano 1951.L. Figuier, Storia delle piante, tradotto da Stefano Travella, Terza edizione italiana, Ed. F.lli Treves, Milano 1882.R. H. Major, Storia della medicina, Ed. Sansoni, Firenze 1959.P. Lanzara, Guida alle piante medicinali, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1978.L. Lotti, Giacomo Leopardi e gli amici di casa Tommasini, Ed. Fabbiani, La Spezia 1998.L. Lotti, Il solidarismo patriottico di Marco Colombo, un medico poeta nel primo risorgimento spezzino, Ed. Fabbiani, La Spezia 1997.V. Mercati, E. Boncompagni, Guida pratica all’utilizzazione ragionata delle piante officinali, 2ª ede, Ed. Aboca, San Sepolcro (AR), 1997.G. Montalenti, Storia della biologia e della medicina in “Storia delle scienze” coordinata da Nicola Abbagnano, vol. III Tomo 1 Ed. U.T.E.T. Torino 1962A. Pazzini, Storia della medicina 2 Vol. Ed. Libraria Milano 1948J. Starobinski, Storia della medicina Ed. Mursia, Milano 1964M. Tridente, Manuale di storia della medicina, Ed. Leonardo da Vinci, Città di Castello 1948

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Indice

Prefazione a cura di Giuseppe Benelli pag. IIIPresentazione a cura dell’Assessore alla Cultura del Comune di Vezzano LigurePaola Baldini V

F. Bonatti, Il servizio sanitario nella Comunità di Vezzano Ligure VIIL. Lotti, Marco Colombo e la medicina del suo tempo a cura di Laura Lotti XVII

DELLA FISIoLogIA:- Confronto dei corpi 1- Differenze e caratteri 2- Seconda differenza 2- Differenze fra li animali e vegetali 3- La vita considerata nei vari viventi 3- Dei movimenti 4- Del principio della vita 4- Proprietà dei corpi viventi 5- Turgore vitale 5- Delle condizioni delli umori 6- Della definizione di vita 7- Della divisione della vita 7- Caratteri d’ambedue 7- Del sistema nerveo 8- Del sistema muscolare 11- Del sistema irrigatore 12- Del sistema linfatico 13- Del sistema cellulare 13- Delli umori 14- Delli alimenti e delle bevande 15- Delle funzioni 16- Del nesso dinamico 16- Della sanità, mobilità ed energia 17- Dell’assuetudine 17- Dell’età 17- Dei temperamenti, costituzioni e abiti 18- Della varietà dell’uman genere 18- Della morte 18- Della fame e della sete 19- Della monducazione 21- Della chimosi 24- Della circolazione del sangue 25- Della respirazione 25- Della secrezione 26- Della nutrizione 27- Della temperatura vitale 28- Della vista 28- Dell’udito 29- Dell’olfatto 29- Del gusto 29

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- Del tatto pag. 29- Dei moti volontari 30- Della voce, e della loquella 30- Del sonno 31- Della circolazione del Feto 31

DELLA PAtoLogIA:- Della Diatesi 32- Avvertimenti generali del modo d’apprendere la Patologia 33- Della Medicina in generale 34- Delle differenze accidentali delle malattie 35- Delle differenze spettanti l’essenza delle malattie 38- Delle differenze delle malattie locali contribuenti a scoprire la loro essenza 39

Documento: Cholera morbus comparso in Genova nel 1835 39

DELLA FArmACoLogIA SEConDo hArtEmAn: 43- Dosi dei medicamenti (n°. 100) 44

II Parte

PAtoLogIA SCrIttA PEr mArCo CoLombo (1867): 83- Delle febbri in generale 84- Delle intermittenti 85- Eziologia 86- Dell’esito o terminazione delle febbri intermittenti 87- Dei generali sintomi delle febbri intermittenti 88- Tipo, varietà e complesso delle intermittenti 89- Modo di conoscerle 90- Delle cause e della prognosi 91- Della cura 91- Delle febbri remittenti 92- Del tifo 93- Sintomi universali 93- Cura 94- Della profilassi. Cura preventiva 95- Nosologia del vajuolo 95- Del vajuolo irregolare 97- Del vaccino 98- Terapeutica del vajuolo 99- Alcuni cenni sull’inoculazione 101- Eritema 102- Ottalmia membranacea 102- Ottalmia dei tarsi 102- Encefalite 102- Glossite 103- Ottite 103- Angina tonsillare 103- Angina maligna 103- Angina tracheale 104

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- Angina parotidea pag. 104- Angina faringea 104- Della cistite acuta 104- Delle malattie orinarie 105- Del Diabete 105- Enuresi 105- Discuria 106- Della Stranguria 106- Della Iscuria 107- Della Litiasi 107

DoCumEntI: - Cura del cholera morbus per Marco Colombo (1873) 108- Il Magnetismo animale (1873) 110

Schede bibliografiche 123

Indice dei nomi 134 Bibliografia 136

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Finito di stamparein n. 600 copie

nel mese di Ottobre 2013 presso laAmbrosiana Arti Grafiche srl

La Spezia


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