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Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

Date post: 05-Aug-2015
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Tesi di laurea
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1 Università degli Studi di Torino Facoltà di lettere e filosofia Corso di laurea in Filosofia Tesi di laurea in Filosofia teoretica “LO STATUTO DEGLI OGGETTI MATERIALI TRA METAFISICHE DESCRITTIVE E REVISIONARIE” Relatore: Prof. Maurizio Ferraris Candidato: Marco Viola matricola n° 331682 Anno accademico 2009-2010
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Page 1: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

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Università degli Studi di Torino

Facoltà di lettere e filosofia

Corso di laurea in Filosofia

Tesi di laurea in Filosofia teoretica

“LO STATUTO DEGLI OGGETTI MATERIALI TRA METAFISICHE DESCRITTIVE E REVISIONARIE”

Relatore: Prof. Maurizio Ferraris

Candidato: Marco Viola

matricola n° 331682

Anno accademico 2009-2010

Page 2: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

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Indice

0. Introduzione

1. Struttura dell’opera 2. Scelte terminologiche

1. Oggetti materiali nel senso comune 1. Corpi materiali come particolari di base 2. Uno, nessuno, centomila schemi concettuali 3. Apologia del tavolo 4. Riassumendo 5. Navi di Teseo e crisi d’identità: problemi degli oggetti materiali

nell’ontologia del senso comune 2. Oggetti materiali nelle metafisiche revisionarie

1. Identità in senso stretto e in senso ampio 2. Tre o quattro dimensioni? 3. Teorie a confronto 4. Una risposta scettica 5. In favore di una metafisica revisionaria

3. Che farsene del senso comune?1. Un solo mondo, diverse ontologie 2. La psicologia come tribunale della metafisica descrittiva

4. Bibliografia

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Introduzione

Il successo della specie umana è dovuto in misura significativa dalla sua capacità di interagire

efficacemente con gli oggetti che popolano il suo ambiente: la postura eretta, che lascia libere

le mani, il pollice opponibile, che ci permette di afferrare e manipolare con estrema

precisione, nonché l’estrema sofisticatezza e il grande numero delle aree neurali deputate

all’interazione con gli oggetti hanno permesso agli esseri umani un rapporto privilegiato con

gli oggetti materiali, con cui siamo incomparabilmente più intimi di qualsiasi altro animale.

La storia del genere umano è dunque anche la storia dell’affinarsi delle capacità dell’uomo di

“addomesticare” oggetti, a partire dalle prime rozze armi utilizzate dagli uomini primitivi per

la difesa e la caccia fino alla realizzazione di grandi opere ingegneristiche quali grattacieli e

shuttle spaziali.

Nella nostra vita quotidiana abbiamo di continuo a che fare con oggetti: io ad esempio sto

scrivendo queste pagine su un computer, che è appoggiato su un tavolo, la schiena

comodamente appoggiata allo schienale di una sedia. Avere a che fare con degli oggetti e

pensare al mondo che ci circonda in termini di oggetti ci sembrano operazioni tanto istintive

da non richiedere nemmeno una giustificazione; e ciò nonostante alcuni filosofi hanno

sostenuto cose come: “il senso comune ci lascia dunque completamente all’oscuro per ciò che

riguarda la vera e intrinseca natura degli oggetti fisici” 1.

Com’è possibile, a fronte dell’evidente disinvoltura con cui adoperiamo oggetti, sostenere che

non conosciamo la loro natura? Se non il senso comune, chi può dirci quale sia questa vera ed

intrinseca natura?

Problematizzare una nozione familiare come il concetto di oggetto materiale può sembrare

una velleità filosofica totalmente superflua fintantoché non si prendono in esame certe

domande: ad esempio gli oggetti con cui abbiamo a che fare non sono eterni, hanno un inizio

e una fine. È corretto dire che si tratta sempre degli stessi oggetti anche in diversi momenti

della loro esistenza? Quanti e quali cambiamenti deve subire un oggetto perché smetta di

essere tale?

Oppure ancora: se viviamo in un mondo di tavoli e sedie, com’è che le scienze fisiche parlano

invece di atomi e campi magnetici? Che rapporto c’è tra gli oggetti del primo tipo, cioè quelli

 1 Russell 1912: pag. 44.

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“normali”, della vita quotidiana, e le entità astratte descritte dagli scienziati? Sembrerebbe che

la scienza, proponendosi di spiegare le entità concrete dell’esperienza, finisca col tirare in

ballo nozioni teoriche molto lontane dalle nostre intuizioni quotidiane. Secondo Einstein,

L’evoluzione [della fisica] procede nella direzione di una crescente semplicità dei fondamenti logici.

Per avvicinarsi sempre più a questa meta, dobbiamo rassegnarci ad accettare il fatto che i fondamenti

logici si allontanano in maniera sempre più accentuata dai fatti dell’esperienza, e che il cammino del

nostro pensiero dale basi fondamentali a questi teoremi derivati, riferentesi all’esperienza sensoriale,

diventa continuamente più difficile e più lungo2.

Storicamente, il divario incolmabile tra l’esperienza e la sua descrizione scientifica si è aperto

con l’affermarsi della fisica e della metodologia scientifica di Galileo, che ha introdotto una

differenza tra qualità primarie, quantitativamente misurabili e intrinseche agli oggetti, e

qualità secondarie, dipendenti dal rapporto tra oggetti e osservatori.

Con l’accentuarsi di questo divario a causa del procedere del sapere scientifico, qual è il

compito del filosofo? Rassegnatisi all’impossibilità di una riconciliazione, secondo Ferraris la

storia della filosofia ebbe due opzioni:

La prima è quella della metafisica prescrittiva: se il mondo della scienza è diverso da quello

dell’esperienza, allora è quest’ultima che va tradotta nella prima, non importa a che prezzo (al limite,

quello della stessa esclusione della ontologia). La seconda è quella della metafisica descrittiva, per cui si

può fare ontologia lasciando da parte ciò che ci dicono le scienze, che riguardano una periferia

importantissima ma anche specialistica, mentre il nocciolo dell’esperienza umana ha a che fare con cose

che non cambiano, o cambiano molto poco, cioè con un mondo che non è mutato granché dai tempi di

Tolomeo3.

In questa tesi intendo prendere in esame e confrontare le concezioni degli oggetti materiali

offerte da alcune metafisiche descrittive e alcune metafisiche prescrittive (o meglio

revisionarie: vedi §0.2), soppesando le argomentazioni in difesa dell’una o dell’altra posizione

e cercando di individuare le metodologie e le finalità di entrambe.

Mi concentrerò solamente su alcuni problemi relativi alla metafisica degli oggetti materiali,

ovvero su cose come tavoli, sedie, montagne e treni, e non sugli esseri viventi quali gatti o

persone. Questa scelta non è dettata da motivi di priorità (i problemi metafisici inerenti agli

esseri viventi si possono legittimamente considerare più importanti viste le numerose

implicazioni dal punto di vista etico), quanto piuttosto dalla convinzione che sia

metodologicamente più efficace iniziare un’indagine metafisica dall’analisi delle entità più

 2 Einstein 1950: pag. 74. 3 Ferraris 2003: pag. .47-48

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semplici, e solo dopo aver fatto luce sulla natura di queste passare in esame entità più

complesse.

0.1 Struttura dell’opera

Nel capitolo primo presenterò alcune scoperte sullo statuto degli oggetti materiali

nell’ontologia del senso comune esponendo le posizioni di due metafisici descrittivi (Peter

Frederick Strawson e Maurizio Ferraris) e alcune critiche mosse al loro progetto e all’idea

stessa di metafisica descrittiva; infine, attraverso il celebre rompicapo della “Nave di Teseo”

cercherò di evidenziare alcuni problemi dell’ontologia del senso comune, quali quello

dell’identità degli oggetti attraverso il tempo.

Il capitolo secondo si apre valutando alcune soluzioni che le metafisiche revisionarie possono

offrire ai problemi di identità attraverso il tempo (ovvero di persistenza) degli oggetti.

Prenderò in esame due famiglie di posizioni denominate comunemente tridimensionalismo e

quadridimensionalismo, soppesando pregi e difetti, e presenterò le obiezioni scettiche di Eli

Hirsch, secondo cui la disputa è meramente verbale e va risolta con l’appello al senso

comune, per rifiutarle in favore della metafisica revisionaria.

Nel terzo capitolo cercherò traccerrò un bilancio volto a chiarire lo statuto del senso comune:

argomenterò che l’ontologia del senso comune (e in particolare la fisica ingenua, ovvero la

metafisica ingenua degli oggetti materiali) è un insieme di teorie utili ma spesso false,

sostenendo così l’inadeguatezza della metafisica descrittiva quale descrizione veridica del

mondo, ma riabilitandola come indagine cognitiva sulla nostra struttura mentale

imprescindibilmente connessa alle scienze cognitive.

0.2 Scelte terminologiche

Data la delicatezza e l’astrattezza delle tematiche, desidero esplicitare fin da subito il

significato dei termini che utilizzerò

• Parlerò di ontologia per intendere il catalogo di entità, proprietà e relazioni che

risponde alla domanda “che cosa c’è?”.

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• Per ontologia del senso comune o ontologia ingenua (ing. “folk ontology”) intendo

quel complesso di entità sottese al modo di pensare e parlare quotidiano4.

• Per ontologia emendate (o revisionate) intendo quei cataloghi di entità che si

riferiscono a una descrizione del mondo in qualche modo distanziatasi da quella del

senso comune, quali ad esempio sono le ontologie delle singole scienze.

• Per metafisica intendo l’insieme di strutture e di leggi inerenti ad una determinata

ontologia nonché l’analisi della natura delle entità, nonché l’indagine volta a scoprire

o formulare queste leggi, cioè a rispondere alla domanda “cos’è ciò che c’è”5.

• La metafisica descrittiva è l’indagine delle strutture innate del nostro pensiero, ovvero

l’analisi delle leggi dell’ontologia del senso comune e dello statuto delle sue entità.

• La metafisica revisionaria (ing. revisionare/prescriptvie metaphysics) indica la

formulazione delle leggi sottese ad un’ontologia revisionata ed il chiarimento della

natura delle sue entità. Accogliendo un suggerimento di Casati6 prediligerò l’uso di

“metafisica revisionaria” ai sinonimi “metafisica prescrittiva/correttiva/revisionista”,

esclusion fatta per i casi di citazione da testi italiani già tradotti. In quei casi i termini

“metafisica prescrittiva/correttiva/revisionista” vanno letti come sinonimi di

“metafisica revisionaria”.

• Utilizzerò indifferentemente le locuzioni oggetti materiali e oggetti fisici per indicare

gli aggregati di materia continui che costituiscono un ingrediente primario e primitivo

dell’ontologia del senso comune.

Ulteriori lemmi o espressioni tecniche verranno presentati in corso d’opera.

   

 4 Come illustrerò in più punti, l’espressione è affetta da una certa indeterminatezza perché non è chiaro quali siano le entità “del senso comune”. Ai fini della presente trattazione può bastare, almeno inizialmente, la nozione vaga e intuitiva di senso comune. 5 Per una spiegazione dettagliata della differenza tra metafisica e ontologia rimando a Varzi 2005. 6 Vedi Casati 2008.  Nonostante la sua brevità, questa dissertazione ha beneficiate dei contribut di svariate persone. Non potendole menzionare tutte, mi preme però ringraziarne almeno tre: Alessio Bucci, che ha letto e commentato questa tesi suggerendomi alcune correzioni. Roberto Casati, il cui corso “Ontologia e scienza cognitiva” ha ispirato l’argomento di questa tesi, e che mi ha gentilmente inviato un suo manoscritto ancora inedito. Un particolare ringraziamento va a Giuliano Torrengo, non solo per i contributi essenziali alla stesura di questa dissertazione, ma anche per la disponibilità e la passione con cui ha risposto a tutti i miei dubbi durante il mio corso di studi. 

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Capitolo primo Oggetti materiali nel senso comune

Il tavolo è un mobile costituito da un piano orizzontale di legno, metallo o altro materiale

rigido sostenuto da tre, quattro o più gambe, di forma e dimensioni diverse a seconda dell'uso

a cui è adibito. Può anche essere sostenuto da una colonna centrale, in questo caso di solito

ha un aspetto più elegante e una superficie più limitata e spesso circolare.

Il tavolo viene usato in cucina o in sala da pranzo per consumarvi le vivande. Può essere

però usato in alternativa alla scrivania in uno studio o in ufficio.

Wikipedia7

Immaginiamo un fisico che, dopo una giornata passata in laboratorio per sondare il

comportamento di particelle di materia microscopiche, torni a casa a cena. Pur sapendo molte

più cose sulla natura della materia, è ragionevole supporre che cucinando e apparecchiando

agirà proprio come una qualsiasi altra persona: verosimilmente penserà “ora devo versare

dell’acqua nella pentola, quindi metterla sul fuoco”, non “a t₁ devo versare la quantità n di

H₂O in questo corpo metallico concavo, successivamente a t₂ poggiare il corpo metallico

contenente H₂O in prossimità di una zona capace di elevarne la temperatura”. Parimenti, se

invitasse un collega a cena, è più facile immaginare che questi dica “l’acqua bolle!” piuttosto

che “la quantità discreta di H₂O che hai versato nel recipiente metallico sta passando dallo

stato liquido allo stato gassoso”, a meno che non voglia scherzare.

Molti filosofi inoltre hanno messo in discussione la natura degli oggetti fisici: Cartesio si

chiedeva se non fossero inganni di un genio maligno, Berkeley era certo che fossero idee nella

mente di Dio, Schopenahuer riteneva che fossero solo illusioni. Ma ognuno di loro ha

adoperato carta e penna per scrivere queste idee. Perfino i filosofi che in tempi recenti hanno

fatto affermazioni come “non ci sono tavoli8” non esitano a parlare di tavoli.

Insomma: anche gli specialisti che hanno ampiamente a che fare con entità appartenenti alle

ontologie delle scienze o i filosofi che mettono in dubbio l’esistenza degli oggetti materiali

 7 http://it.wikipedia.org/wiki/Tavolo. 8 Van Inwagen 1980: pag. 1.

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così come siamo soliti pensarli non possono fare a meno di avere a che fare, nell’agire e nel

parlare quotidiano, con oggetti quali “tavoli” e “libri”.

Chiediamoci allora innanzitutto: che ruolo svolgono questi oggetti della vita di tutti i giorni

nel nostro schema concettuale? Quali sono le ragioni per cui cataloghiamo il mondo in oggetti

materiali? Potremmo farne a meno?

1.1 Corpi materiali come particolari di base

Peter Frederick Strawson (1919-2006) fu uno dei filosofi più importanti della scuola di

Oxford. Conscio delle innovazioni metodologiche della filosofia anglo-americana durante la

così detta “svolta linguistica”, e in particolare dell’analisi del linguaggio ordinario, sentì

tuttavia l’esigenza di spingersi oltre ai soli problemi di linguaggio per riprendere ad occuparsi

di metafisica dopo il lungo oblio cui i positivisti logici l’avevano condannata.

Nel 1959 pubblica Individuals- An essay in descriptive metaphysics. È il primo scritto dove

compaiano l’espressione “metafisica descrittiva” e “metafisica correttiva”, caratterizzate in

relazione reciproca:

La metafisica descrittiva si accontenta di descrivere l’effettiva struttura del nostro pensiero sul mondo,

la metafisica correttiva si interessa di produrre una struttura migliore.9

Delineare questa contrapposizione serve a Strawson per dichiarare i suoi obiettivi: operare

un’indagine sulla struttura dello schema concettuale sotteso alle forme grammaticali del

linguaggio e alle forme dell’esperienza in generale. Un progetto dal vago sapore kantiano:

non a caso Strawson considera le filosofie di Kant e di Aristotele come paradigmi di

metafisica descrittiva.

Questo tipo di indagine, se pure ispirata dall’analisi del linguaggio ordinario ampiamente

praticata a Oxford in quel periodo (ad esempio da Austin10 e Ryle11), non può operare

solamente a livello linguistico:

Quando infatti ci chiediamo come usiamo questa o quella espressione, le nostre risposte, per quanto

rivelatrici a un certo livello, sono portate ad assumere, e non a mettere in luce, quegli elementi

 9 Strawson 1959: pag. 23. 10 Vedi ad esempio Austin 1962. 11 Vedi ad esempio Ryle 1949. 

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strutturali generali che il metafisico vuole siano rivelati. La struttura che egli cerca non si manifesta in

modo semplice sulla superficie del linguaggio, ma rimane immersa.12

L’ambizione di Strawson gli richiede di avventurarsi in un tipo di ricerca inedita (quantomeno

in quel panorama culturale): immergersi “sotto la superficie del linguaggio”, per rintracciare i

fondamenti delle strutture grammaticali nella struttura stessa del pensiero. L’autore stesso è

conscio che oltrepassare il piano linguistico comporta delle incertezze e dei rischi (nel

prossimo paragrafo ne esamineremo alcuni), ma è disposto a correrli perché interessato a

comprendere la morfologia di quella realtà a cui il linguaggio si riferisce e che quindi rende

veri o falsi i suoi enunciati:

Il metafisico deve abbandonare la sua unica guida sicura quando questa non può portarlo tanto lontano

quanto egli desidera.13

Individuals è diviso in due parti: Particolari e Soggetti logici. Si può dire con una certa

approssimazione che la prima di queste si occupa dello statuto metafisico dei corpi materiali,

mentre la seconda ne rintraccia le implicazioni sul piano linguistico.

In un certo senso, Strawson elabora degli argomenti ontologici per dimostrare che la

grammatica inglese (o qualsiasi altra grammatica che privilegi la forma soggetto-predicato) è

la migliore delle grammatiche possibili data la natura della nostra struttura concettuale, perché

la funzione logica di soggetto incarna comodamente sul piano linguistico un corrispettivo dei

particolari di base, colonne portanti della nostra ontologia. Rispecchiando dal punto di vista

logico-linguistico la loro centralità nell’ontologia innata dei nostri schemi concettuali, i

particolari di base o individui sarebbero “ciò che esiste in senso primario14”.

Ai fini della presente trattazione ci concentreremo sulla prima metà dell’opera (Particolari),

tenendo a mente che i risultati di questa indagine metafisica troveranno nella seconda metà un

riscontro nella prassi linguistica.

La trattazione di Strawson apre con la constatazione che la nostra ontologia contiene

particolari oggettivi, ovvero che noi pensiamo che il mondo sia pieno di cose particolari.  

12 Strawson 1959: pag. 23-24. 13 Strawson 1959: pag. 24. 14 Strawson 1959: pag. 237.

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Condizione necessaria affinché questi particolari trovino posto all’ontologia nonché

condizione necessaria per la loro comunicabilità è la possibilità della loro identificazione.

Ci sono pratiche comunicative che permettono di identificare un particolare attraverso la sua

relazione con un altro (“l’uomo che ha sposato Jane”); ma perché una simile forma di

identificazione sia possibile deve esistere una classe di particolari identificabili di per sé tali

per cui ogni altro particolare possa essere identificato in riferimento a questi. Perché sia

possibile una loro identificazione autonoma, questi particolari devono essere passibili di una

definizione ostensiva, e perciò occupare una porzione di spazio.

Strawson rivendica come necessaria e fondamentale per il nostro schema concettuale il

possesso di una struttura spazio-temporale unificata, costellata e al contempo composta da un

arcipelago di particolari spazio-temporalmente determinati: sono oggetti inclusi nella struttura

e condizioni necessarie alla struttura stessa, ed è in virtù delle loro relazioni reciproche che la

struttura acquisisce una (relativa) stabilità e che noi abbiamo la possibilità di orientarci in un

sistema spazio-temporale unificato ove noi stessi abbiamo una nostra collocazione.

Per poter garantire coerenza e continuità a questa struttura non basta però saper identificare

questi particolari: avremo bisogno altresì di poterli reidentificare, ovvero di stabilire l’identità

tra un particolare incontrato in un dato momento rispetto allo stesso incontrato in un momento

precedente. Quest’operazione di reidentificazione dei particolari, non essendoci possibile

esperire in ogni momento la totalità della struttura, dovrà fondarsi su ricorrenze qualitative:

pur conscio che dall’esperire uno “stesso” particolare in momenti diversi non si può che

concludere un’identità qualitativa o una somiglianza, il filosofo oxoniense ritiene

indispensabile ai fini dell’impiego del nostro schema concettuale accettare l’identità numerica

tra particolari almeno in alcuni casi di osservazione non continua.

Sulla base delle operazioni che devono rendere possibili (identificare tutti gli altri particolari,

garantire dei punti di riferimento nello spazio), Strawson individua le caratteristiche che delle

entità devono rispettare per svolgere la funzione di particolari di base:

1. Essi devono essere […] oggetti tridimensionali con una certa durata attraverso il tempo.

2. Devono inoltre essere accessibili agli strumenti di osservazione che abbiamo15, e […]

 15 Si potrebbe precisare, accogliendo la distinzione di Ferraris tra oggetti ontologici ed oggetti epistemologici, che i corpi materiali che aspirino allo status di base devono essere accessibili agli strumenti di osservazione che competono una dimensione ecologica (i.e. occhi, occhiali, binocoli) e non già a strumenti di osservazione specialistici (i.e. microscopi, telescopi). Vedi § 1.3.

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3. devono avere nel loro insieme abbastanza diversità, ricchezza e stabilità e durata da rendere possibile e

naturale proprio quella concezione di una singola struttura unitaria che abbiamo.16

Al vaglio di questi requisiti possiamo concludere che l’unica categoria di particolari di cui

disponiamo capace di assolvere le funzioni di particolari di base sono i corpi materiali, o

quelle cose che possiedono un corpo materiale: un’entità deve cioè possedere“alcune qualità

nell’ambito tattile”17, per quanto in linea di principio anche gli occupatori-di-spazio-

puramente visivi (i.e. allucinazioni, ombre, fantasmi, ologrammi) potrebbero svolgere questa

funzione, salvo il fatto che i pochi casi di occupatori-di-spazio-puramente-visivi in cui ci può

capitare di imbatterci non rispettano le condizioni di durata e/o stabilità.

L’idea della centralità della dimensione spazio-temporale nell’identificazione dei corpi

materiali non è nuova nella storia della metafisica: già Tommaso d’Aquino attribuiva il ruolo

di principio di individuazione alla materia segnata, cioè “che viene considerata sotto

determinate dimensioni”18. Le analogie non sono casuali: proprio come nella tradizione

scolastica, la scuola oxoniense in cui Strawson si forma è permeata da assunzioni metafisiche

di matrice aristotelica, e si può legittimamente asserire che in Individuals venga rivendicata la

priorità ontologica della nozione di sostanza, non a caso una categoria centrale proprio in

quegli autori (Aristotele e Kant) che l’autore considera i più insigni metafisici descrittivi.

Va puntualizzato che, sebbene tutti i corpi materiali siano identificabili ostensivamente, non

tutti i corpi materiali sono sufficientemente diversi tra loro, stabili e longevi da svolgere un

ruolo di primo piano nella nostra struttura concettuale: volendo dare indicazioni stradali ci

riferiremmo piuttosto ai semafori e alla case che alle macchine; nel disegnare una cartina

geografica riporteremmo dapprima le entità più significative dal punto di vista

dell’individuazione, per esempio montagne e città (in ordine decrescente di mutevolezza), e

solo in relazione ad esse e in seguito definiremmo cose come le fasce climatiche: siamo più

inclini a considerare le fasce climatiche come proprietà che interessano con regolarità certe

zone (sulle Alpi c’è un clima rigido) piuttosto che non il contrario (nel clima rigido ci sono le

Alpi).

Benché non tutti i corpi materiali siano ugualmente eleggibili come scheletro ed arredo del

nostro schema spazio-temporale, nessun altro tipo di particolare può svolgere questa funzione:

 16 Strawson 1959: pag. 51 [corsivo ed elenchi puntati miei]. 17Strawson 1959: pag. 51. 18 Tommaso D’Aquino, De ente et essentia, parte prima.

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per dimostrarlo Strawson passa in esame altri tipi di particolari e constata come la loro

identificazione e reidentificazione dipenda dai particolari di base:

i particolari privati, tra i quali eventi mentali e dati sensoriali:

nonostante molta filosofia di matrice cartesiana rivendichi la priorità epistemologica del

punto di vista del soggetto, l’intrinseca soggettività immanente a queste entità li rende

dipendenti, per la loro identificazione, da persone o animali, in quanto non passibili di

un’identificazione ostensiva valida inter-soggettivamente;

i costrutti teorici, quali le particelle della fisica:

anche se pensassimo che, in ultima analisi, siano i costituenti ultimi di tutti i corpi,

essendo inaccessibili ai nostri strumenti d’osservazione ordinari siamo costretti ad

identificarli attraverso la loro relazione con oggetti di taglia ecologica, ovvero a quelli

immediatamente accessibili alla percezione;

gli eventi, o cose-processo19:

sebbene sia possibile, in alcuni casi, effettuare con successo alcune identificazioni

ostensive ad eventi senza il richiamo ad altri tipi di entità (ad esempio: quel temporale), è

molto più complicato collocarli all’interno dell’intero sistema spazio-temporale senza

richiamarsi ad oggetti tridimensionali meno mutevoli. Sembrerebbe perciò una

vantaggiosa disposizione innata quella di distinguere tra cose ed eventi che le riguardano:

noi distinguiamo tra una cosa e la sua storia, o le fasi della sua storia; non possiamo parlare

appropriatamente dell’una nei modi che sono appropriati all’altra, e non parliamo di nessuna delle due

in modi appropriati alla categoria delle cose-processo20.

Qui come altrove, l’argomentazione poggia su un terreno pericoloso: dal modo in cui siamo

soliti parlare delle cose Strawson inferisce che esista una struttura concettuale soggiacente al

linguaggio e che questi sia conformato in modo da esprimere nel modo più economico

possibile le categorie di questa. Vedremo nel paragrafo seguente come sulla base delle

differenze grammaticali presenti in altre lingue si possano e siano state effettivamente

sollevate delle obiezioni a riguardo dell’universalità del progetto della metafisica descrittiva

delineato in Individuals.

 19 Qui Strawson ha evidentemente in mente gli oggetti quadrimensionali descritti da Quine: cfr. § 2.3. 20 Strawson 1959: pag. 66.

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Nel tentativo di fortificare i suoi argomenti, Strawson si premura di mostrare il carattere

necessario di questo schema aprioristico dedicando il secondo capitolo del libro ad un

interessante esperimento mentale: immaginare e descrivere un mondo composto solamente di

suoni, ovvero privo di una dimensione spaziale, mettendo alla prova l’asserto kantiano per cui

è impossibile rappresentare a noi stessi l’assenza spazio. La povertà delle informazioni

esperibili per via uditiiva renderebbe molto complessa la reidentificazione di suoni particolari,

e di conseguenza la difficoltà di attribuire a se stessi e agli altri abitanti di questo mondo un

analogo del corpo renderebbe impossibile o molto difficile rifuggire dal solipsismo21.

L’interesse del filosofo qui è dichiaratamente solo quello di dimostrare quanto poco

intelligibile sarebbe per noi un mondo che offra di esperienze così diverso da quello che

possiamo catturare con i nostri schemi.

Nel capitolo terzo viene vendicata inoltre la primitività logica, accanto alla categoria dei corpi

materiali, delle persone, intese però come entità che possiedono un corpo materiale.

Per saggiare la consistenza dei suoi argomenti, nel quarto capitolo Strawson prende

nuovamente in esame una metafisica che rivendichi il ruolo di particolari di base a delle

monadi leibniziane, concludendo che l’assenza di proprietà spazio-temporali le renderebbe

impassibili di un’identificazione dimostrativa, e perciò incapaci di garantire un orientamento

spazio-temporale e di permettere l’identificazione di altri particolari.

La rivendicazione dell’apriorità e della necessità del sistema spazio-temporale in cui siamo

immersi raccoglie in maniera diretta l’eredità di Kant. Inoltre, la rivendicazione della priorità

ontologica di corpi e persone fa eco alla centralità della nozione aristotelica di sostanza,

l’unica categoria a godere di esistenza in senso pieno e rispetto alla quale le altre categorie

dipendono in qualche modo.

È importante precisare che Strawson non asserisce che questo schema concettuale sia l’unica

via percorribile per concettualizzare e parlare del mondo; tuttavia, benché teoreticamente

praticabili, schemi concettuali alternativi (ad esempio quelle metafisiche che neghino

 21 Forse però le difficoltà riscontrate da Strawson stanno più nei limiti del suo esperimento che nell’impossibilità di immaginare davvero un mondo di suoni. Un simile esperimento mentale è infatti presentato in Flatlandia nella descrizione del mondo a una dimensione: in questo mondo diverse coppie entità sono disposte simmetricamente ai due lati al re del mondo a una dimensione, e questi le riconosce (e addirittura vi si accoppia) tramite un elaborato sistema di suoni. Vedi Abbott 1882.

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l’esistenza di oggetti particolari) risulterebbero controintuitivi per il nostro modo di fare

esperienza e per il linguaggio ordinario. Nelle efficaci parole di Edwin Burtt:

Ci è possibile escogitare un linguaggio con cui operare che non implichi alcun riferimento a particolari?

La sua [di Strawson] risposta a questa domanda […] è che è teoreticamente possibile ma che come

minimo sarebbe scomodo e ci obbligherebbe ad utilizzare costruzioni molto tortuose; diventa chiaro che

il nostro linguaggio ordinario con il suo fiducioso riferimento all’esistenza di particolari ci fornisce un

medium più semplice e più praticabile per le nostre esigenze22.

Oltre al merito storico di aver descritto la differenza tra metafisiche descrittive e revisionarie,

a Strawson spetta il merito di aver attualizzato consolidate nozioni kantiane ed aristoteliche

impletmentandovi le metodologie diffuse nel suo tempo (ad esempio l’analisi concettuale) ed

attuando un sincretismo che svelasse la centralità e l’importanza degli oggetti materiali nella

nostra economia cognitiva e linguistica.

1.2 Uno, nessuno, centomila schemi concettuali

La metafisica descrittiva di Individuals aspira a cogliere delle verità universali

sull’architettura del pensiero umano. Strawson presuppone che, al di là dei mutamenti che

avvengono “sulla superficie del linguaggio”, delle peculiarità dell’epoca storica e dello stile

dei filosofi, esistano relazioni strutturali permanenti:

vi è infatti un solido nucleo centrale del pensiero umano che non ha storia, o non ne ha una che sia

riportata nelle storie del pensiero23; vi sono categorie e concetti che, nei loro caratteri più fondamentali,

non cambiamo affatto24.

Quest’affermazione non è sorretta da alcun argomento: Strawson la considera tanto ovvia da

considerare la metafisica descrittiva per lo più una riscoperta in termini contemporanei delle

scoperte già fatte dai grandi pensatori del passato.

Ad un primo esame, si potrebbe pensare (e così è stato fatto) che il filosofo oxoniense stia

rivendicando una posizione di paradigamticità della lingua inglese sulla base della sua

adeguatezza nel veicolare le categorie della nostra struttura concettuale sotterranea; più

caritatevolmente, si potrebbe pensare che Strawson ingenuamente e indebitamente  

22 Burtt 1963: pag. 28 [traduzione mia]. 23 si potrebbe però pensare che ne abbia una inscritta “nel grande libro della natura”, e instanziata nei suoi geni: vedi §2.5 e §3.2. 24 Strawson 1959: pag. 24.

Page 15: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

15  

                                                           

universalizzi le sue categorie di parlante di lingua anglosassone dando per scontato che

valgano per tutta l’umanità.

Robert Price ha osservato come il tentativo di criticare l’universalità del progetto di metafisica

descrittiva sulla base delle differenze meramente grammaticali tra l’inglese e le altre lingue

non colga nel segno25: l’intento di Strawson è infatti quello di penetrare sotto le strutture

grammaticali della lingua inglese per rinvenire lo schema di pensiero pre-linguistico, che

funzionerebbe essenzialmente in termini di particolari a cui riferirsi e proprietà da attribuirvi.

Strawson non assume che il nostro linguaggio debba contenere necessariamente categorie-

soggetto e categorie-predicato; piuttosto, la grammatica di un linguaggio deve permettere ai

suoi parlanti di usare alcuni termini come soggetti a cui riferirsi e altri come predicati da

attribuirvi.

Non ci troviamo di fronte a una tirannia delle parole inglesi ma piuttosto a una tirannia dei concetti

aristotelici e kantiani che hanno trovato la loro sede naturale nel salotto di Oxford26.

Se si prende sul serio l’intento di Strawson di penetrare sotto la struttura del linguaggio le

critiche empiriche basate sulla grammatica delle lingue naturali perdono parte della loro forza;

è però possibile e legittimo sollevare dubbi di altro genere sulla pretesa di universalità della

metafisica descrittiva. Ammettendo che la metafisica descrittiva riesca a cogliere la struttura

del pensiero soggiacente alle pratiche linguistiche, corriamo il rischio di operare un’indebita

induzione: come è possibile inferire, a partire dal fatto che la struttura concettuale di

P.F.Strawson o di tutti i parlanti di lingua inglese presenti certe caratteristiche, che queste

caratteristiche siano un’architettura concettuale comune a tutto il genere umano? Casati

osserva che

La tesi di Strawson è a ben guardare una tesi empirica. Ci si può domandare: il nucleo profondo è

davvero immutabile, o nessun tipo di pensiero e intuizione è esente dal rischio della variabilità, storica e

geografica? Il fatto che il nucleo sia profondo, ovvero riguardi elementi fondamentali della vita mentale

[…] non lo mette di per sé al riparo dalla variabilità27.

Accogliendo questi suggerimenti distinguiamo due differenti domande che mettono in

discussione il progetto di Strawson:

1. Come facciamo ad essere certi che questo nucleo profondo del pensiero umano esista?

2. Ammettendo che esista, è davvero immutabile?

 25 Price 1964. 26 Price 1964: pag. 110 [traduzione mia]. 27 Casati (in corso di pubblicazione): capitolo 7.

Page 16: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

16  

                                                           

È sulla base di dati empirici che Burtt28 e Berriman29 contestano la pretesa di universalità

dello schema contettuale descritto in Individuals: entrambi citano le ricerche del linguista

Whorf30, e in particolare l’assenza di espressioni o parafrasi della lingua hopi che sembrino

riferirsi a particolari permanenti, impiegando invece proprio quelle cose-processo che

Strawson aveva ritenuto innaturali per un’ontologia del senso comune. Apparentemente

queste obiezioni sono soggette alla contro-obiezione di Price in quanto fondate su argomenti

linguistici: si potrebbe pensare che nelle strutture categoriali degli hopi il concetto di corpi

materiali tridimensionali esiste, solo che non trova espressione immediata nelle loro pratiche

linguistiche. Ma sulla base di quali argomenti decidere se Strawson riesca davvero a

immergersi nelle profondità della nostra architettura concettuale e Whorf si illuda soltanto di

farlo?

Ci si potrebbe legittimamente chiedere come sia possibile indagare oggettivamente qualcosa

così sfuggevole come la struttura del pensiero pre-linguistico. Forse, si potrebbe pensare, la

filosofia non potrà mai definire con precisione se esista un nucleo profondo e immutabile del

pensiero umano, o quali confini abbia: in altre parole, potrebbe essere impossibile fare una

metafisica puramente descrittiva. Potremmo addirittura pensare che lo stesso Strawson prenda

atto delle difficoltà di un simile progetto quando dice che “Forse nessun metafisico realmente

esistito è stato mai completamente, tanto nelle intenzioni che nei risultati, l’una cosa

[descrittivo] o l’altra [revisionario].”31.

Forse, come suggerisce MacDougall, “ci dovrà sempre essere questa dicotomia tra la struttura

del pensiero umano ed il pensiero su questa struttura”32: per esprimere le nostre intuizioni pre-

teoriche e pre-linguistiche dobbiamo formulare una teoria in un linguaggio, rischiando in tal

modo di deformarle per renderle descrivibili e contaminandole con le nostre abitudini

linguistiche.

Dobbiamo concluderne che la possibilità di una metafisica descrittiva pura sia solo un mito?

Dopotutto lo stesso Strawson, quando scrive “certe relazioni permanenti sono descritte in un

linguaggio non permamente, che riflette tanto il clima di pensiero dell’epoca quanto lo stile

 28 Burtt 1963. 29 Berriman 1967. 30 Whorf 1956. 31 Strawson 1959: pag. 23. 32 MacDougall 1973: pag. 214 [traduzione mia].

Page 17: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

17  

                                                           

personale di pensiero del singolo filosofo”33sembra aver coscienza dell’intrinseca difficoltà di

una metafisica puramente descrittiva.

Riconoscere questi limiti (l’impossibilità di rendere conto delle forme del pensiero pre-

riflessivo senza ricorrere ad una teoria; l’indeterminatezza del concetto di “schema

concettuale”) non ci obbliga però ad abbandonare in toto il progetto di una metafisica

descrittiva, ma solo a rivederne le pretese e i fondamenti. Possiamo infatti svolgere delle

indagini su quei nuclei concettuali che riteniamo più radicati nel senso comune, e delegare

alle scienze empiriche il compito di verificare se e quanto abbiano validità per tutto il genere

umano: è quanto fa ad esempio il filosofo Barry Smith34 citando a fondamento dell’esistenza

di un’ontologia del senso comune universale la distinzione tra teorie primarie e teorie

secondarie delineata dall’antropologo Horton:

La teoria primaria non differisce molto da comunità a comunità o da cultura a cultura. Una particolare

versione di questa può essere decisamente sviluppata per coprire un’area di esperienza, e tuttavia

particolarmente poco sviluppata nella copertura di un’altra. A parte queste differenze, comunque, la

cornice generale rimane la stessa. […] La teoria primaria offre al mondo un terreno pieno di oggetti

solidi, permanenti e di taglia media (diciamo da un centesimo a cento volte la dimensione degli esseri

umani)35.

Sembra così che per controbattere alle critiche di arbitrarietà e soggettivismo delle intuizioni

che la guidano la metafisica descrittiva possa (e forse debba) stringere una serrata alleanza

con quelle scienze empiriche che indagano il funzionamento della nostra mente, in particolare

la psicologia empirica: ne riparleremo nel §3.2. Per ora, forti delle discussioni sulla legittimità

di questo progetto, possiamo concludere che il compito del metafisico descrittivo sia quello di

delineare un’ontologia il più possibile vicina alle assunzioni implicite della vita quotidiana e

del linguaggio ordinario.

1.3 Apologia del tavolo

Così come Strawson suggerisce che forse nessuno dei suoi predecessori sia mai riuscito a fare

una metafisica perfettamente descrittiva, Ferraris nell’introduzione di Individuals definisce il

professore di Oxford “almeno in parte, ma in una parte decisiva, un revisionario che si ignora

 33 Strawson 1959: pag. 24. 34 Smith 1995. 35 Horton 1982: pag. 228 [traduzione mia].

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18  

                                                           

o che, per così dire, se la prende comoda”36. Le radici dell’errore di Strawson sarebbero a suo

avviso da rinvenire in un atteggiamento eccessivamente caritatevole verso il

trascendentalismo kantiano, scambiando Kant per un metafisico descrittivo, una sorta di

“fenomonelogo dell’esperienza ordinaria”37 : secondo Ferraris invece “Kant spiega, piuttosto

che descrivere, l’esperienza”38, inaugurando l’oblio dell’esperienza ordinaria in favore

dell’esperienza scientifica che segnerà tutta la filosofia fino ad oggi.

Secondo il filosofo italiano infatti, asserire che “le intuizioni senza concetto sono cieche”

porta a disconoscere la peculiarità dell’esperienza quotidiana, come se questa avesse valore

solo in quanto condizione di possibilità per la scienza: laddove per Kant e Strawson

l’esperienza come eminentemente preconcettuale, per Ferraris l’esperienza è anzitutto

aconcettuale, viene prima di qualsiasi nostro schema, anzi spesso fa a meno di un qualsivoglia

schema39.

In altre parole: nel rispondere alla domanda “come devono essere fatte le cose per esser

conosciute da noi” il filosofo di Königsberg si è limitato sobriamente, secondo Strawson, a

descrivere i limiti della possibilità dell’esperienza, mentre secondo Ferraris ha disegnato una

dimensione normativa ispirati dalla fisica, oltre la quale l’esperienza non può fornire materiale

per una conoscenza certa.

Nel 2001 Ferraris pubblica Il mondo esterno, opera in cui rivendica l’esistenza e la cogenza di

un livello di esperienza che procede anche senza schemi concettuali. Proponendo

un’ontologia di taglia ecologica e professando un realismo ingenuo a proposito degli oggetti

del senso comune Ferraris dichiara i suoi debiti nei confronti dei lavori del percettologo James

Gibson40 e dello psicologo suo maestro Paolo Bozzi: di quest’ultimo sembra far proprio il

motto “Dio mi ha costretto a stare da questa parte, tra i fenomeni; il resto dunque me lo devo

 36 Introduzione a Strawson 1959: pag. 17. 37 Ferraris 2004: pag. 27. 38 Ferraris 2004: pag. 27. 39 la critica che Ferraris muove a Kant è ovviamente molto più sottile e complessa di quanto non riporteremo in questa trattazione: presente in nuce in Ferraris 2001, è sviluppata per esteso in Ferraris 2004 e ribadita in Ferraris 2008. Dato il vivace dibattito che ha seguito la pubblicazione di Goodbye Kant (si veda ad esempio Ferrarin e altri 2006) si può affermare che l’obiettivo di “togliere un po’ di ruggine” (pag.8) da “un monumento” (pag.8) è riuscito. 40 in particolare Gibson 1979.

Page 19: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

19  

                                                           

immaginare. Fingete che il mondo dell’esperienza sia come effettivamente è; poi se ne

parla”41.

Nel riferirsi al mondo dell’esperienza, piuttosto che ad espressioni strawsoniane quali

“struttura del pensiero” (che potrebbero condurre verso il panconcettualismo kantiano)

Ferraris preferisce fare appello alla nozione di “senso comune”. Oltre che terminologica, la

distinzione è sostanziale: invece che alle sole modalità formali delle nostre categorizzazioni

implicite, il filosofo italiano estende la sua attenzione anche a quella ricca e variopinta

ontologia di oggetti che arredano il mondo così come si presenta nell’esperienza ordinaria.

In luogo della tradizionale distinzione tra metafisica descrittiva e revisionaria (nonché tra le

ontologie da esse studiate), Ferraris rivendica il nome di ontologia per il catalogo di entità che

compongono il senso comune, costituiti dagli oggetti già formati nelle pratiche quotidiane di

cui non dobbiamo limitarci che a prendere atto; a questi contrappone i cataloghi composti da

teorie sul mondo (specialmente le ontologie delle singole scienze), riferendovisi col nome di

“epistemologia”.

In questa cornice l’esistenza degli oggetti dell’esperienza comune (quali ad esempio tavoli e

sedie) risulta più basilare di quella mediata dai nostri schemi concettuali (quali ad esempio

atomi o codici penali): tavoli e sedie esistono di per sé in quanto oggetti in cui possiamo

imbatterci, mentre atomi e codici penali devono la loro esistenza al fatto di essere postulati dai

nostri schemi concettuali.

La nozione di senso comune è ex hypotesis vaga, o quantomeno elastica perché

… il mondo dell’esperienza è un bric-à-brac stipato di ogni sorta di oggetti: nozioni di scienza penetrate

nell’uso comune (“paturnie”, “Alzheimer” invece che “rimbambimento”), espressioni irriducibili a una

traduzione scientifica (“paturnie”, “nervoso”), teorie di senso comune sui modi in cui ragioniamo e in

cui dovremmo ragionare, e infine modi di percepire il mondo, refrattari a tutto ciò che sappiamo in

materia42.

Il filosofo prevede perciò un certo grado di “permeabilità” del senso comune; ciò non di

meno, rivendica l’esistenza di un nocciolo duro (o quantomeno più duro) dell’esperienza,

caratterizzato dall’inemendabilità, ossia dall’indipendenza degli enti dai nostri schemi

concettuali:

Possiamo emendare parti del senso comune, magari non il “nervoso” e le “paturnie”, ma certo il

“rimbambimento”, allo stesso modo che siamo in grado di correggere le credenze intorno alla

generazione spontanea o alla caduta dei gravi, ma non possiamo vedere la Terra rotonda, né ci riesce,  

41 Bozzi 2008: pag. 7. 42 Ferraris 2001: pag. 172.

Page 20: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

20  

                                                           

nel ragionamento quotidiano, di far sì che il modus tollens risulti altrettanto evidente che il modus

ponens43.

Da un lato, l’autore ammette “la distinzione [tra ontologia ed epistemologia] è solo

tendenziale”44, essendo pressoché impossibile distinguere ciò che sappiamo da ciò che c’è; e

tuttavia, per quanto presentino confini sfumati e talvolta si compenetrino, i due domini hanno

caratteristiche peculiari e spesso inconciliabili.

Laddove la scienza e dunque le entità epistemologiche hanno bisogno di un linguaggio per

esistere, l’esperienza è eminentemente non linguistica. La scienza, a differenza

dell’esperienza, è soggetta a mutamenti storici: le teorie si affinano, diventano obsolete fino a

generare nuove teorie. Nelle parole di Ferraris:

Oggi è H₂O, domani chissà cosa sarà, e tutto quello che so è che l’acqua si può bere, si può ghiacciare,

si può bollire, si può usare per lavare o per far venire i reumatismi ecc.: tutte cose alla portata di un

liquido che avesse le medesime proprietà dell’acqua, ma una diversa composizione molecolare; […]

Diversamente vanno le cose con l’esperienza. Non diciamo: “Oggi è una sedia, domani chissà cosa

diventerà”, “Oggi è un dito, ma verrà il giorno che sarà tutt’altro”, “Oggi è oro ma potrebbe trasformarsi

in piombo”.45

Contrariamente al carattere necessario ed immutabile dell’esperienza (se sbatto la testa non

posso non provare dolore) la scienza si configura quindi come un’attività di libera

emendazione potenzialmente infinita (sono libero di continuare a produrre spiegazioni nuove

e auspicabilmente più precise del mio dolore).

A differenza di quanto spesso capita nelle filosofie di matrice kantiana, l’esperienza non è

considerata sempre e solo una premessa per la scienza: piuttosto, il processo di emendazioni

che subiscono le teorie scientifiche è volto a rendere conto in modo sempre più raffinato e

preciso dell’esperienza: in altre parole, l’impresa epistemologica è una ricerca della verità che

cerca di rendere conto della realtà dell’ontologia (possiamo dire di una teoria scientifica che

sia vera o falsa; ma sbattendo contro il tavolo ci limitiamo a constatare che è reale).

La caratteristica distintiva dell’esperienza, utile criterio di demarcazione tra oggetti ontologici

e epistemologici, è l’inemendabilità. Inemendabilità significa refrattarietà delle cose ad essere

corrette dal pensiero.  

43 Ferraris 2001: pag. 172-173. 44 Ferraris 2008: pag. 17. 45 Ferraris 2001: pag. 168.

Page 21: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

Per esempio nel caso dell’illusione di Müller-Lyer (figura 1), indipendentemente da quante

misurazioni possiamo effettuare, non possiamo correggere l’impressione che le due linee non

siano lunghe uguali:

Fig.1

EPISTEMOLOGIA

emendabile

ONTOLOGIA

Inemendabile

Scienza

linguistica

storica

libera

infinita

teleologica

Esperienza

non necessariamente linguistica

non storica

necessaria

finita

non necessariamente teleologica

Verità

non nasce dall’esperienza, ma risulta

teleologicamente orientata verso di essa

Realtà

non è naturalmente orientata verso la scienza

Mondo interno (agli schemi concettuali)

paradigma: lo schema concettuale. È nella testa e

parla del mondo, quindi lo si può emendare

Mondo esterno (agli schemi concettuali)

paradigma: tutto ciò che non è emendabile: è nel

mondo e non lo si può cambiare col pensiero

Tab.1: un riassunto comparato delle caratteristiche degli oggetti ontologici e degli oggetti

epistemologici 46

Disponiamo inoltre di un altro criterio per circoscrivere l’ambito degli oggetti dell’ontologia:

“la sfera dell’esperienza è ecologica”47, cioè composta da oggetti di taglia media. Non

possiamo incontrare oggetti come le galassie perché sono entità troppo grandi per essere

esperite; allo stesso modo, non possiamo esperire entità minuscole quali molecole o quark.

Questo appello alla dimensione mesoscopica non si traduce in un’identificazione tout court tra

ontologia ed ecologia: se è vero che l’ontologia comprende quegli oggetti esperibili in una                                                             46 Lo schema è tratto da Ferraris 2001: pag. 89.

21  

47 Ferraris 2001: pag. 157.

Page 22: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

22  

                                                           

prospettiva ecologica, non si limita però agli oggetti effettivamente incontrati nella

percezione. Così, se la sfera dell’ecologia riguarda solo l’ambiente effettivamente esperito,

l’ontologia (includendo tutte le più basilari assunzioni del senso comune) prevede il concetto

di mondo come somma di tutti gli oggetti esperibili.

Ferraris sottolinea che è proprio la loro inerenza alla dimensione ecologica a rendere le

nozioni del senso comune la guida più efficace per le nostre azioni:

Il senso comune risulta generalmente adeguato ai suoi scopi, non per un qualche accesso speciale alle

cose, che lo porrebbe in una posizione vantaggiosa rispetto alla scienza (è un assunto incredibile e

contro intuitivo, giacché allora ci si metterebbe a far scienza solo per imbrogliare la matassa), bensì

perché risulta ecologicamente adeguato.48

Nelle pratiche della nostra vita quotidiana non sarebbe pertinente né economico far precedere

ogni azione da un’analisi scientifica: le nostre predisposizioni innate e le nostre consuetudini

assolvono benissimo le loro funzioni … nella maggior parte dei casi.

1.4 Riassumendo

Abbiamo esaminato due posizioni teoriche accomunate dall’interesse a capire il modo di

pensare intuitivo piuttosto che a rimaneggiarlo. In entrambe gli oggetti materiali rivendicano

un ruolo di entità primarie, centrali e irrinunciabili della nostra ontologia, anche se per motivi

differenti:

Strawson produce un’argomentazione trascendentale, dimostrando la necessità di poter

identificare e reidentificare i corpi materiali e le persone, in quanto particolari di base, per

l’impiego di una struttura spazio-temporale unificata oltre che per identificare altri

particolari

Ferraris, abbracciando una forma di realismo ingenuo e identificando l’ontologia con la

sfera dell’esperienza ordinaria, non ha bisogno di produrre argomenti a favore

dell’esistenza degli oggetti fisici: questi sono già ingredienti primari dell’esperienza, e

ogni metafisica revisionaria che voglia applicarvi strategie riduzioniste o eliminati viste

deve prima prenderli in considerazione:

 48 Ferraris 2001: pag. 174.

Page 23: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

23  

                                                           

Si potrebbe insomma applicare al mondo dell’esperienza ciò che Austin diceva del linguaggio ordinario:

le parole del linguaggio ordinario sono spesso inappropriate, incoerenti, possono accreditare entità

vaghe o inesistenti, però sono le prime parole, il primo livello su cui, per continuità o più spesso per

negazione, si costruisce tutto il resto49.

Riferirsi ad oggetti materiali di taglia ecologica sembra insomma condizione imprescindibile

ed originaria del nostro muoverci nel mondo e del nostro parlare del mondo. Lo stesso Quine,

considerato il metafisico revisionario per antonomasia, constatava che siamo naturalmente

“body-minded”50, e cioè che

Il modo umano spontaneo di suddividere la realtà prevede che le unità in cui termina la suddivisione

siano degli oggetti materiali coesi, impenetrabili, incapaci di movimento autonomo, pazienti di azioni

effettuate nei loro confronti51.

Tuttavia, come ogni scelta teorica, l’accettazione dell’ontologia del senso comune comporta

vantaggi e svantaggi: se da un lato beneficia di un’indubbia priorità epistemica,

corrispondendo (o quantomeno avvicinandosi il più possibile) al modo prioritario e istintivo

di pensare il mondo, dall’altro nei nostri metodi ingenui di uso del linguaggio e di

interpretazione dell’esperienza si nascondono contraddizioni e vaghezze capaci di mandare in

cortocircuito le nostre intuizioni.

Non esamineremo nei dettagli le numerose questioni sollevate dall’ontologia del senso

comune; ci concentreremo sui problemi di persistenza degli oggetti fisici (cioè sulla loro

identità attraverso il tempo), che dato il loro status rappresentano un campione significativo.

1.5 Navi di Teseo e crisi d’identità: problemi degli oggetti materiali

nell’ontologia del senso comune

Nonostante l’ontologia del senso comune funzioni in una grande maggioranza di occasioni, la

filosofia ha da sempre ideato situazioni-limite capaci di mettere in crisi i nostri dispositivi

innati di classificazione del mondo: così come un bravo medico, da secoli diagnostica le

malattie del senso comune anche quando queste rimangono sopite.

Già Eraclito scrisse che “non ci si può bagnare nello stesso fiume per due volte, perché

sopraggiungono acque sempre nuove”. Si potrebbe obiettare che il caso dei fiumi non può  

49 Ferraris 2008: pag. 23. 50 Quine 1976. 51 Casati 2008: pag. 446.

Page 24: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

24  

                                                           

valere come paradigma degli oggetti materiali solidi, in quanto questi non rinnovano

continuamente la materia che li costituisce. Ma è proprio vero?

Immaginiamoci un deserto di sabbia, composto da innumerevoli dune di altezza notevole.

Difficilmente le cartine geografiche del luogo segnaleranno i dislivelli tra dune, così come

difficilmente qualcuno attribuirà mai il nome a una duna, anche se fosse alta quanto una

piccola montagna. Invece ci sembra perfettamente naturale che le montagne abbiano un nome

e un’altitudine segnalati sulle mappe: questo perché le dune, a differenza delle montagne, non

soddisfano quei criteri di durata e stabilità individuati in Individuals. Eppure sappiamo che le

montagne sono soggette a forze di erosione e rispondono alle sollecitazioni della crosta

terrestre: non sono lì da sempre, non sono sempre state uguali; semplicemente, siamo soliti

ignorare i cambiamenti finché non diventano appariscenti, nel caso delle montagne così come

di qualsiasi altro oggetto materiale.

Un caso esemplare, ereditato dall’antichità52 e ridiscusso da molta letteratura metafisica

contemporanea, è quello della nave di Teseo: gli ateniesi, per ottemperare ad un voto fatto

dall’eroe al dio Apollo, avrebbero mandato ogni anno un’ambasciata sacra al tempio di Delo,

sempre con la stessa nave impiegata dall’eroe greco. Eppure, ogni anno alcune tavole di legno

venivano rimosse per essere sostituite, tanto che dopo molti anni possiamo immaginarci che

del legno originario non vi fosse più neanche un’asse. Si tratta davvero ancora della stessa

nave?

Per negarlo, Hobbes propose di immaginare che le tavole sostituite fossero conservate ed

utilizzate per costruire una nuova nave, avendo cura di collocarle nel medesimo ordine in cui

erano nella nave originaria; ne concluse che “non c’è dubbio che questa sarebbe stata,

numericamente, la stessa che fu al principio: numericamente avremmo avuto due navi

identiche, la qual cosa è del tutto assurda”53. Pur concedendo ad Hobbes che sia assurdo di

ammettere l’identità numerica tra le due navi, non è così scontato che si debba accettare

l’identità tra la nave originaria e la sua ricostruzione. L’esperimento mentale richiede

un’analisi più approfondita.

Chiamiamo N₁ la nave originaria impiegata da Teseo; dopo diversi anni ci ritroveremo con

una seconda nave N₂, ottenuta sostituendo gradualmente le tavole di legno di N₁, e una terza

nave N₃, quella rimontata utilizzando il legno originario di N₁. Dal momento che N₂ è

 52 vedi Platone, Fedone 58a. 53 Hobbes, Elementi di filosofia, Sezione prima: “Del corpo”, XI, §7.

Page 25: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

25  

                                                           

chiaramente distinta da N₃, è evidentemente impossibile che entrambe siano identiche a N₁.

Le nostre intuizioni sembrano in bilico fra queste due opzioni.

Probabilmente se nessuno si fosse preso la briga di ricostruire N₃ saremmo stati disposti ad

accettare l’identità tra N₁ e N₂; forse, ma con più dubbi, se N₁ fosse stata smantellata anziché

riparata, ma le sue componenti fossero state conservate e riassemblate in N₃, saremmo stati

parimenti disposti ad accettare identità tra N₁ ed N₃.

Cosa succede? In situazioni ordinarie per concludere che un oggetto x sia identico ad un

oggetto y ci accontentiamo di verificare che soddisfino il seguente principio:

1. Principio di non-multilocazione: non si dà mai il caso che x e y occupino lo stesso

luogo allo stesso istante (se vediamo contemporaneamente qualcosa in due luoghi

differenti concludiamo che si tratta di due oggetti),

congiuntamente ad almeno uno tra questi:

2. Principio di continuità: Esiste una serie continua di luoghi e tempi successivi tali che x si

trova nel luogo iniziale al momento iniziale e y si trova nel luogo finale al momento finale, e

tutti i luoghi intermedi sono occupati nei tempi intermedi da oggetti qualitativamente simili

agli oggetti che li precedono e a quelli che li seguono54 (consideriamo una palla di neve che

rotola giù da una montagna “la stessa” sia a monte che a valle, anche se nel mentre ha

guadagnato dell’altra neve o ha perso quella originaria)

3. Principio di identità formale: x ed y hanno la stessa forma o funzione (consideriamo

un treno “lo stesso treno” se parte dalla stessa stazione e arriva alla stessa stazione,

indipendentemente dalle carrozze da cui è composto)

4. Principio di identità materiale: x ed y sono composti delle stesse parti materiali

(consideriamo un piatto “lo stesso di ieri” se i suoi ingredienti sono identici)

Nella maggior parte dei casi 2, 3 e 4 sono estensionalmente equivalenti: è raro che le relazioni

un x e y soddisfino uno di questi principi ma non tutti gli altri, ed è ancora più raro che ne

soddisfino due o più ma non tutti. Ciascuno di questi principi, se considerato congiuntamente

a 1, sembra essere condizione sufficiente per l’identità di x e y.

Raro però non significa impossibile: nel caso della nave di Teseo siamo portati a considerare

N₁ e N₂ come la medesima nave perché soddisfano, oltre al principio di non-multilocazione, il

 54 ho mutuato questa formulazione da Varzi 2001: pag. 100. 

Page 26: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

26  

principio di continuità spazio-temporale ed il principio d’identità funzionale; d’altra parte

siamo portati a pensare ad una relazione di identità anche tra N₁ e N₃ poiché soddisfano il

principio di non-multilocazione nonché quello d’identità materiale. Tuttavia, è chiaro che N₂ e

N₃ non possono essere la stessa nave in quanto non soddisfano il principio di non-

multilocazione.

Questo perché in condizioni normali vi è una sola entità candidata alla relazione di identità

diacronica (cioè in tempi diversi), mentre N₂ e N₃ sono aspirano entrambe all’identità di N₁,

ognuna in virtù di principi differenti. Intento dell’esperimento mentale era per l’appunto

quello di sottoporre a pressione concettuale le nostre intuizioni a riguardo dell’identità

descrivendo un caso-limite in cui queste vadano in conflitto, suggerendoci che non sono così

affidabili come sembrerebbe a prima vista.

In questo caso il paradosso può essere così formalizzato:

1. N₁=N₂ [per il principio di identità funzionale e il principio di continuità]

2. N₁=N₃ [per il principio di identità materiale]

3. N₂≠ N₃ [per il principio di non-multilocazione]

Ma siccome l’identità è una relazione transitiva:

4. N₂=N₃ [da 1 e 2 per transitività dell’identità]

Da tre premesse che singolarmente risultano plausibili, giungiamo ad una conclusione che

contraddice una delle premesse, oltre ad essere altamente implausibile di per sé. Nonostante la

chiara parentela che N₂ e N₃ intrattengono con la nave N₁ infatti difficilmente vorremmo

ammettere l’identità di due oggetti spazialmente distinti, composti di materia differente e

aventi differente funzione. Un metafisico può accettare la conclusione rifiutando il principio

di non-multilocazione e assumendo così una nozione di identità profondamente diversa da

quella ordinaria, oppure può rifiutare la conclusione cercando di bloccare l’inferenza.

Di quali opzioni disponiamo?

Possiamo negare la proposizione 1 in favore della 2: dopotutto, nonostante la continuità

spazio-temporale N₁ ed N₂ sono oggetti fatti di materia totalmente diversa. Ma a che punto

della sostituzione delle assi N₁ ha smesso di essere identica alla nave a cui venivano sostituite

le assi? Quando anche l’ultima asse è stata sostituita, quando è stato sostituito più del 50%

Page 27: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

27  

                                                           

delle assi oppure già alla prima riparazione? Ogni scelta sembra troppo arbitraria per imporsi

come principio metafisico di identità.

Alternativamente, possiamo negare la proposizione 2: in fondo N₂, a differenza di N₃, ha

costantemente mantenuto la forma e la funzione di N₁. Ma se ad esempio N₂ fosse affondata e

giacesse, deformata e inutilizzata sul fondo del mare, saremmo davvero disposti a negare che

N₁ = N₃? Anche questa opzione dunque rivela un certo grado di arbitrarietà.

Un’altra strategia per rifiutare la conclusione 4 consiste nel negare che l’identità sia transitiva:

1 e 2 sono vere entrambe, ma non ne possiamo concludere 4. Ma così facendo rinunceremmo

ad uno dei principi basilari della nostra logica, e non saremmo più in grado per esempio di

inferire che, se Roma è la capitale d’Italia e Roma è la città più popolosa in Italia, allora la

capitale d’Italia è anche la città più popolosa d’Italia.

Oppure potremmo considerare l’identità una relazione sempre e solo relativa, interpretando 1

e 2 come:

1.1 N₁ è lo stesso mezzo di trasporto di N₂

2.1 N₁ è la stessa materia di N₃

Ma sarebbe ancora possibile esprimere in termini relativi che qualcosa è identico a se stesso?

Che ne sarebbe della relazione di identità assoluta? Dovremmo accettare lo scetticismo di

Hume secondo cui l’identità è una finzione55?

Quelle esaminate finora sono solo alcune delle soluzioni possibili per sciogliere il paradosso

della nave di Teseo, e corrispondono ad una minima parte delle opzioni proposte in

letteratura. Come abbiamo visto, per negare le conclusioni paradossali occorre abbandonare

alcune delle nostre intuizioni metafisiche (negare 1 o 2) o logiche (negare il principio di

transitività dell’identità o relativizzare l’identità): il senso comune è sotto scacco, e sembra

che l’unica via d’uscita per i suoi difensori sia di dare in pasto all’avversario qualche pedina

accettando qualche revisione concettuale, pena l’introduzione di ambiguità e contraddizioni

nella sua ontologia.

   

 55 Hume, Trattato sulla natura umana, Libro I Parte III Sezione II.

Page 28: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

28  

                                                           

Capitolo secondo Table revisited: gli oggetti materiali nelle

metafisiche revisionarie Phylonous: Sono ovviamente d’accordo che esiste tutto, e sono d’accordo che questo tutto

include delle cose che tavoleggiano, per esempio. Ma mi viene il dubbio che tu possa pensare

che in aggiunta a queste cose ci siamo anche i tavoli.

Che cosa c’è e che cos’è, Il mondo messo a fuoco56

Benché non di rado la tensione tra ontologia del senso comune e ontologie revisionate

scaturisca dall’aumentare delle distanze tra l’esperienza quotidiana ed il pensiero scientifico,

nello scorso paragrafo abbiamo osservato come certe revisioni possano scaturire da problemi

genuinamente filosofici: anche se in molti casi è uno strumento efficace, talvolta l’intuito

lascia aperti dei problemi cui bisogna ovviare rimettendo in discussione le nostre posizioni,

ovvero compiendo delle revisioni metafisiche.

Seguendo Goldman, possiamo ritenere che ognuna delle seguenti sia da considerarsi

condizione sufficiente per avere una metafisica revisionaria:

• La postulazione di qualche entità, proprietà o relazione (o tipi di entità, proprietà o

relazioni) non presenti nell’ontologia del senso comune;

• il rifiuto di un’entità, proprietà o relazione (o tipi di entità, proprietà o relazioni)

presenti nell’ontologia del senso comune;

• l’attribuzione a qualche entità di uno status ontologico diverso da quello che ricopre

nel senso comune57.

Proporre una metafisica revisionaria significa prendere le distanze dall’immagine del mondo

propria del senso comune in favore di una ridescrizione ritenuta migliore. Il metafisico

revisionario sarà chiamato ad argomentare il suo rifiuto dell’ontologia del senso comune

denunciando i problemi da cui è affetta e fornendo una teoria in grado di risolverli. Nel caso

 56 Varzi 2010: pag. 6. 57 Goldman 1991: pag. 42.

Page 29: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

29  

                                                           

della nave di Teseo ad esempio, un metafisico revisionario potrebbe scegliere dei criteri

d’identità più severi, delineando una nozione di oggetto materiale che non lo costringa ad

ammettere l’identità tra la nave originaria e nessuna delle altre due, consentendogli così di

salvare una logica dell’identità standard, non revisionata: dopotutto, è quasi inevitabile che un

oggetto nel tempo modifichi alcune delle sue proprietà, e se due oggetti godono di proprietà

anche solo leggermente diverse forse non sono più esattamente la stessa cosa.

In quanto segue esamineremo quest'esempio ed esporremo alcune mosse teoriche capaci di

disinnescare i problemi legati alla persistenza degli oggetti materiali.

2.1 Identità in senso stretto e in senso ampio

Un modo comune per definire la relazione di identità è la così detta legge di Leibniz [ID-L],

composta da dalla congiunzione del principio dell’identità degli indiscernibili [IDind] e del

principio di indiscernibilità degli identici [INDid]:

[INDid] Per ogni x, y e proprietà Q, se x=y allora (Qx Qy)

[IDind] Per ogni x, y e proprietà Q, se (Qx Qy) allora x=y

[ID-L] Per ogni x, y e proprietà Q, (Qx Qy) x=y

Tuttavia, difficilmente si dà il caso che un oggetto mantenga tutte le sue proprietà con lo

scorrere del tempo: la nave di Teseo era fatta di legno di faggio, ma è stata ricostruita con

legno di ciliegio; la mia automobile era lucida e pulita, ora è sporca; la strada che d’inverno

era ricoperta di neve ora è sgombra. Pur parlando di uno stesso oggetto, esaminandolo in

momenti temporali differenti sappiamo che molte delle sue proprietà cambieranno: diciamo

allora che l’oggetto è identico numericamente benché diverso qualitativamente.

La nozione di un oggetto che rimane lo stesso nonostante i cambiamenti è sufficientemente

intuitiva da trovare largo impiego nel linguaggio ordinario e nelle pratiche della vita

quotidiana: non a caso corrisponde alla nozione aristotelica di sostanza “per quanto essa sia

identica e numericamente una, risulterà costituita per accogliere, mediante una propria

trasformazione, i contrari.”58

 58 Aristotele, Categorie, Parte V.

Page 30: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

30  

                                                           

Nonostante sia radicata nel nostro modo di pensare e comunicare, non è detto che la nozione

di sostanza che mantiene la sua identità numerica nonostante i cambiamenti sia la soluzione

più corretta o conveniente dal punto di vista metafisico. Cosa significa che una cosa cambia

eppure rimane la stessa cosa? Per i sostenitori del concetto di sostanza la risposta è semplice:

qualcosa rimane lo stesso anche se subisce modificazioni nel tempo perché a cambiare sono

solo le sue proprietà accidentali, mentre le proprietà essenziali rimangono le stesse:

nonostante non si possa più affermare una perfetta identità qualitativa, l’oggetto rimane

numericamente identico. Dopotutto, anche dopo che le sono state fatte quelle brutte righe

sulla carrozzeria, la mia automobile mi sembra la stessa di prima: la carrozzeria lucida e

perfetta non è intuitivamente una proprietà essenziale per l’identità di un’auto (se invece di

essere semplicemente stata rigata fosse stata fatta a pezzi, difficilmente avrei concesso che il

cumulo di rifiuti sopravvissuti fosse ancora la mia auto).

Accettare questa distinzione comporta però almeno due problemi: innanzitutto, il metafisico

che difenda una concezione sostanzialista di oggetto deve fornire un criterio per discernere

proprietà essenziali e proprietà accidentali, e rendere conto dei casi limite: un tavolo a cui

vengano segate tutte le gambe è ancora un tavolo? Un lago nei pressi del mare, che confluisce

in esso quando c’è alta marea, è ancora un lago? Un uccello che non vola è ancora un uccello?

Il legno di cui è fatta la nave di Teseo è più o meno essenziale della funzione che svolge?

Benché spesso possiamo accontentarci delle risposte approssimative e intuitive suggerite dal

buon senso, non sempre le nostre intuizioni forniscono risposte precise o intersoggettivamente

valide.

È possibile che la scelta di quali proprietà siano essenziali rifletta piuttosto i nostri pregiudizi

cognitivi e le nostre pratiche linguistiche che non le caratteristiche genuine della realtà:

analizzando la natura metafisica di un oggetto apparentemente banale come un tavolo, Varzi

afferma che “non c’è nessuna proprietà intrinseca che faccia di quest’oggetto un tavolo: è un

tavolo in quanto viene usato in un certo modo e per certi scopi. È un tavolo in quanto noi gli

attribuiamo una determinata funzione.”59 Prendere troppo sul serio l’ontologia del senso

comune significa esporsi al rischio del “provincialismo metafisico”, ovvero di scambiare per

caratteristiche intrinseche del mondo quelle categorie che vi proiettiamo in virtù delle

disposizioni cognitive o culturali. Un metafisico descrittivo è ovviamente libero di accettare

questi pregiudizi dal momento che si propone proprio una sorta di “cartografia del mondo così

 59 Varzi 2010: pag. 40.

Page 31: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

31  

com’è per gli esseri umani”, ma deve dimostrare di conoscere bene queste disposizioni,

soprattutto per non spacciare per universali caratteristiche proprie della sua cultura.

Se non vogliamo accettare i problemi dell’essenzialismo, possiamo prendere meno sul serio la

nozione di identità numerica e considerarla come un espediente pragmatico anziché come una

vera relazione di identità, come fece il vescovo Butler:

Quando un uomo giura che lo stesso albero è stato cinquanta anni allo stesso posto, intende solo lo

stesso quanto a tutti gi scopi della proprietà e agli usi della vita comune, e non che l’albero è stato per

tutto il tempo lo stesso nel senso stretto, filosofico, della parola.60

Forti di questo accorgimento possiamo allora distinguere una nozione di identità in senso

stretto e filosofico (che soddisfa appieno ID-L) e identità in senso ampio e popolare (che

rispecchi l’intuizione della sopravvivenza degli oggetti nel tempo). Il germoglio che diviene

albero maturo sarebbe da considerarsi un oggetto che permane identico attraverso il tempo

solo in senso ampio e popolare, laddove invece in senso stretto e filosofico avremmo (almeno)

due oggetti distinti.

Roderick Chisholm riprende e sviluppa la dottrina di Butler: a suo avviso “questa tesi può

essere interpretata come se dicesse che quegli oggetti non sono altro che <<finzioni>>,

costruzioni logiche o entia per alio”61; il filosofo dunque elabora un semplice e ingegnoso

esempio per descrivere la natura di queste entità derivate.

Consideriamo la storia di un tavolo che vede la luce lunedì mediante l’assemblaggio di due

parti A e B; il martedì A viene sostituita con C; il mercoledì B viene sostituito con D (vedi

tabella 2).

Lunedì AB

Martedì BC

Mercoledì CD

Tabella 2: il tavolo dell’esempio di Chisholm

Benché (proprio come nel caso della nave di Teseo) il risultato finale sembrerà uno stesso

tavolo la cui esistenza si protrae da lunedì a mercoledì, di fatto si tratta di una successione di

tre oggetti (AB, BC e CD) che “fanno le veci” del tavolo nei tre giorni: da questi dipendono le

                                                            60 Butler 1736: pag. 305. 61 Chisholm 1976: pag. 146.

Page 32: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

32  

                                                           

proprietà del tavolo-successione. Sebbene sia AB, BC, DC che il tavolo-successione

soddisfino la definizione del termine tavolo, non possiamo dire di avere a che fare con quattro

tavoli distinti: infatti è possibile contare i tavoli secondo il senso ampio e popolare, nel qual

caso ne avremmo uno (il tavolo-successione) o secondo il senso stretto e filosofico, nel qual

caso ne avremmo tre (AB, BC e CD); contarli in entrambi i sensi sarebbe confondere due

registri.

Questo caso semplificato può essere esteso alla maggior parte degli oggetti materiali dal

momento che tutti mutano (anche solo minimamente) la loro composizione: le montagne si

erodono, i mobili vengono mangiati dalle tarme, le automobili riparate. Secondo il filosofo

oggetti siffatti non sono altro che entia per alio. Si tratta di parassiti ontologici che derivano tutte le loro

proprietà da altri oggetti: dai vari oggetti che ne fanno le veci. Un ens per alio non è mai qualcosa, e non

ha mai qualcosa, in virtù di se stesso. È ciò che è in virtù della natura di qualcos’altro. In ogni istante

della sua storia, un ens per alio ha sempre qualche altra cosa che ne fa le veci.62

Si noti che attribuendo l’identità in senso stretto ad AB, BC e CD (rispettivamente) di lunedì,

martedì e mercoledì perché composti per ipotesi dalle stesse parti, Chisholm difende una

forma di essenzialismo mereologico per gli entia per se, secondo cui una cosa cessa di esistere

se perde una qualsiasi delle sue parti. Gli entia per alio manterrebbero invece una sorta di

identità illusoria: gli oggetti soggiacenti che ne fanno le veci non soddisfano le condizioni di

Ind-ID, ma noi li trattiamo come se fossero identici perché facciamo astrazione dei loro

cambiamenti mereologici, o magari perché non ci accorgiamo delle differenze.

Un aspetto interessante di questa proposta teorica è che, oltre a scomporre il tavolo-

successione nelle sue diverse costituenti materiali, scompone il tavolo-successione in tre

diversi oggetti, ognuno corrispondente a un momento temporale preciso (AB il lunedì, BC il

martedì, CD il mercoledì).

Possiamo prendere spunto da questa posizione per formulare una revisione più radicale del

senso comune, che va oltre le intenzioni dello stesso Chisholm: così come possiamo

scomporre (almeno logicamente) gli oggetti nelle loro costituenti spaziali, possiamo pensare

di suddividerli secondo l’asse del tempo.

Dopotutto, visto che possiamo parlare di una regione di spazio occupata da parte di una statua

antica come di una parte spaziale della statua (“il naso della statua è stato ristrutturato”), nulla

ci impedisce di riferirci a ciò che troviamo in un momento specifico della storia della statua

come ad una sua parte temporale (“la statua l’anno scorso è stata ristrutturata”).  

62 Chisholm 1976: pag. 154.

Page 33: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

33  

                                                           

Tuttavia, della nozione di parte temporale non si trovano tracce nel linguaggio ordinario, e più

in generale non sembrerebbe una nozione innata e primaria del senso comune: al metafisico

revisionario che voglia introdurla nella nostra ontologia spetterà perciò l’onere di giustificare

questa revisione.

2.2 Tre o quattro dimensioni?63

Secondo alcuni filosofi gli oggetti si estendono (perdurano64) nel tempo proprio così come si

estendono nello spazio: così come posso suddividere la mia macchina in ruote, motore ed

abitacolo posso legittimamente suddividerla in macchina-ieri, macchina-oggi, macchina-

l’anno scorso.

Una teoria che ammetta la scomposizione degli oggetti in parti temporali si indica

generalmente con il nome di quadrimensionalismo, in quanto attribuisce agli oggetti il

possesso di una quarta dimensione (temporale) oltre a lunghezza, larghezza e profondità.

Identificando un oggetto con una regione di spazio-tempo, un quadridimensionalista può

abolire la distinzione tra le categorie di oggetto e di evento: un oggetto equivarrebbe

precisamente alla serie di eventi che avvengono in una certa area spazio-temporale65. Per via

della loro assimilabilità ad eventi gli oggetti quadrimensionali sono anche chiamati occorrenti

(ing. to occur, capitare): si tratta proprio di quelle cose-processo con cui polemizza Strawson

(§1.1), per le quali non è possibile distinguere tra un oggetto e la sua storia.

I filosofi così detti tridimensionalisti ritengono invece che le parti temporali degli oggetti non

sono entità metafisicamente genuine: parlare di macchina-ieri non significa riferirsi ad una

presunta parte temporale della mia macchina, ma semplicemente riferirsi alla mia macchina

così come era ieri. In difesa di una prospettiva aristotelica e del senso comune, ritengono gli

oggetti materiali entità tridimensionali distinte dagli eventi che li interessano (secondo

Strawson “noi distinguiamo tra una cosa e la sua storia”66), tali da continuare ad esistere

“interamente” (permanere) nel tempo: per questa ragione gli oggetti tridimensionali vengono

anche chiamati continuanti.  

63 Per la stesura di questo paragrafo mi sono in larga parte ispirato a Hawley 2008. 64 Lewis 1986 introduce le espressioni perdurare (to perdure) e permanere (to endure) per connotare rispettivamente il modo di persistere (to persist, termine neutro) nel tempo degli oggetti quadrimensionali e tridimensionali. 65 il caso più esemplare di metafisica quadridimensionalista è quello di Quine (portato alle sue estreme conseguenze in Quine 1976). 66 Strawson 1959. A ben vedere tuttavia questa asserzione, così come tutta l’argomentazione di Strawson, non nega la concepibilità delle cose-processo, di cui anzi ammette la possibilità teorica: si limita ad asserire che noi istintivamente distinguiamo tra oggetti ed eventi.

Page 34: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

34  

Le differenze tra queste due posizioni emergono con chiarezza nei differenti approcci forniti

ai problemi filosofici relativi alla nozione di cambiamento, intimamente connessa alla nozione

di identità.

Se un tavolo fosse per metà nero e per metà bianco non avremmo alcuna difficoltà ad

ammettere che possiede proprietà differenti: semplicemente, una porzione spaziale del tavolo

è bianca e l’altra nera. Supponiamo invece di avere acquistato di lunedì un tavolo

completamente bianco, salvo poi constatare che non si intona con l’arredo della casa e dunque

pitturarlo completamente di nero di martedì: se accettiamo l’esistenza delle parti temporali

possiamo semplicemente asserire che una porzione temporale del tavolo è bianca e l’altra è

nera.

Come fa lo stesso tavolo ad essere bianco (il lunedì) e nero (il martedì)? A meno di non voler

ammettere il possesso di più proprietà inconciliabili da parte dei nostri oggetti, dobbiamo

rendere conto di come uno stesso oggetto possa possedere proprietà diverse e talvolta

contraddittorie in tempi differenti. Abbracciare una metafisica tridimensionalista o

quadridimensionalista apre diverse soluzioni per evitare il paradosso.

Per i quadrimensionalisti la soluzione è semplice: non è il tavolo inteso nella sua totalità ad

essere bianco o nero, sono piuttosto le sue due parti temporali distinte tavolo-di-lunedì e

tavolo-di-martedì ad essere rispettivamente bianca e nera: così come non c’è incoerenza nel

possesso di due parti spaziali con colori diversi, allo stesso modo non c’è incoerenza nel caso

delle parti temporali.

Come fa invece un tridimensionalista a spiegare il cambiamento senza ammettere

contraddizioni? Le opzioni di cui dispone sono almeno tre:

• Considerare il possesso di diverse proprietà in tempi diversi come una proprietà

relazionale tra un oggetto ed un momento temporale: lo stesso tavolo intratterrebbe

cioè la proprietà di essere-bianco in relazione al lunedì e la proprietà di essere-nero in

relazione al martedì.

• Fornire un’interpretazione avverbiale degli indici temporali: l’essere-bianco-di-lunedì

sarebbe pertanto una particolare modalità di essere-bianco del tavolo modificata dalla

locuzione avverbiale “di lunedì”.

• Adottare una metafisica del tempo presentista, secondo cui solo il presente esiste.

L’essere-bianco del tavolo di lunedì non ingenererebbe perciò alcuna contraddizione

Page 35: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

con il suo essere-nero di martedì, semplicemente perché di lunedì il tavolo nero non

esiste e viceversa.

Come nella maggior parte dei dibattiti metafisici, nessuna soluzione al problema del

cambiamento è esente da critiche da parte dei suoi detrattori. Esaminiamone alcune tra le più

significative.

2.3 Teorie a confronto67

È difficile dissentire da quanto afferma Angelone: “anche nel caso dei problemi filosofici

originati dal fenomeno del cambiamento le diverse opzioni metafisiche disponibili sono alle

prese con il difficile compito di rendere solido l’altrimenti fragile equilibrio tra esigenze di

tipo teorico e intuizioni, apparentemente irrinunciabili, di senso comune”68. Cerchiamo

pertanto di individuare i vantaggi teorici ed i costi delle metafisiche tridimensionaliste e

quadrimensionaliste, anche attraverso alcune critiche e le loro risposte.

La metafisica degli occorrenti sembra ben equipaggiata per disinnescare i paradossi ingenerati

dai rompicapo come quelli della nave di Teseo (dopotutto, è per far fronte a casi come questi

che è stata escogitata). Un quadridimensionalista infatti può decidere di considerare N₂ (la

nave che non ha mai smesso di navigare) e N₃ (la nave ricostruita col legno originario) due

oggetti distinti aventi alcune parti spaziotemporali in comune a partire da N₁ (la nave

originaria) in cui coincidono, non diversamente da come due quadrilateri aventi un lato in

comune possono condividere una parte della loro superficie (vedi fig.2).

FUNZIONE

MATERIA

N2N1

N3

Fig. 2

35  

                                                            67 Molti argomenti di questo paragrafo sono tratti da Angelone e Morena 2008 e da Hawley 2008. 68 Angelone e Morena 2008.

Page 36: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

36  

                                                           

Il quadridimensionalista può pertanto risolvere elegantemente questo rompicapo, al prezzo

però di allontanarsi dalla nozione di cambiamento del senso comune. Come osserva Peter

Simons infatti l’adozione di una metafisica quadridimensionalista non spiega il cambiamento,

ma si limita ad eliminarlo:

questo[la spiegazione quadridimensionalista del cambiamento] non è cambiamento ma semplice

diversità temporale, nello stesso senso in cui il possesso da parte del tricolore francese di una parte

rossa, una bianca, e una blu è diversità spaziale. Non è cambiamento nel senso ordinario perché gli

oggetti che hanno proprietà diverse – le parti temporali – non sopravvivono.69

Si noti però che disconoscere la nozione intuitiva di cambiamento non rappresenta un

problema per un quadridimensionalista che abbandoni la pretesa di rendere conto del senso

comune: lo stesso Simons poche righe dopo puntualizza che “la nozione [di oggetto

continuante] è radicata nel nostro modo quotidiano di pensare e di parlare e ci vorrebbe una

rivoluzione concettuale di inaudita magnitudine per rimuoverla o sostituirla”70. Il che è

esattamente quanto si ripropone di fare un metafisico revisionario: rivedere anche in maniera

consistente parti del senso comune. Sul quadridimensionalista grava comunque l’onere di

spiegare che tipo di relazione debba vigere tra certe parti temporali di un oggetto affinché

vengano raggruppate come facenti parte dello “stesso” oggetto perdurante.71

Esaminiamo invece alcuni argomenti contro il tridimensionalismo.

In un breve ed incisivo articolo considerato ormai un classico della letteratura metafisica72

David Lewis accusa le opzioni tridimensionaliste di essere incapaci di rendere conto del

problema degli intrinseci temporanei.

Si definiscono intrinseche quelle proprietà che un oggetto possiede in virtù della sua sola

natura, a differenza della proprietà relazionali, che questi possiede in virtù del suo rapporto

con qualcos’altro. Esempi di proprietà intrinseche sono ad esempio la forma o le dimensioni;

un esempio di proprietà relazionale è invece la posizione spaziale (un oggetto ha una

determinata posizione sempre e solo in rapporto ad un altro oggetti). Inoltre, alcune proprietà

sono temporanee, cioè possedute da un oggetto solo in alcuni periodi della sua esistenza.

Il cambiamento di una proprietà relazionale temporanea può essere spiegato in virtù del

cambiamento di uno dei termini della relazione (ad esempio “prima ero dietro alla poltrona,

 69 Simons 1998: pag. 28 [traduzione di Varzi 2001]. 70 Simons 1998: pag. 29 [traduzione mia]. 71 anche in questo caso le scienze empiriche possono venire in aiuto della metafisica. Vedi §3.2. 72 Lewis 1986.

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37  

                                                           

ora mi ci sono seduto sopra”). Ma come spiegare invece il cambiamento delle proprietà

intrinseche temporanee? Lewis individua tre possibili risposte:

• Asserire che a ben vedere gli intrinseci temporanei non siano vere e proprie proprietà

intrinseche di un oggetto ma piuttosto relazioni che l’oggetto intrattiene con un

momento temporale preciso: se un tavolo è rettangolare di lunedì e quadrato di martedì

(magari perché è stato accorciato da un falegname), questa sarebbe da interpretarsi

come una relazione di tipo “essere-rettangolare” tra il tavolo e il lunedì. Lewis ricusa a

questa posizione di negare l’esistenza di qualsivoglia proprietà intrinseca, e ne

conclude che è semplicemente assurdo.

• Adottare una metafisica presentista, ovvero asserire che esistano solo le proprietà

istanziate nel presente. Questa soluzione però non spiega la persistenza, ma si limita a

negarla: gli oggetti non possono persistere nel tempo se passato e futuro non esistono.

• Infine, rinunciare alla permanenza in favore della perduranza: gli intrinseci temporanei

a ben vedere apparterrebbero a cose diverse (i.e. le diverse parti temporali di un

oggetto), e il fatto che cose diverse differiscano rispetto alle loro proprietà intrinseche

non costituisce un problema.

Si noti che Lewis invoca la necessità di una metafisica quadridimensionalista anche per

salvare certe intuizioni che ritiene più irrinunciabili (ossia l’esistenza di passato e futuro,

l’esistenza degli intrinseci temporanei). Dovremmo chiederci se è davvero scontato che il

tridimensionalismo non comporti alcun costo al senso comune.

Il tridimensionalista può ancora ricorrere ad un’interpretazione avverbiale della predicazione

temporale: Van Inwagen asserisce che inferire dalla predicazione di diverse proprietà in

momenti distinti l’esistenza di distinte parti temporali suona altrettanto gratuito (ed erroneo)

che inferire da un enunciato come “Alice, vista frontalmente, è impressionantemente bella, ma

Alice vista di profilo è esteticamente irrilevante” l’esistenza di due Alice.73 74 Tuttavia, benché

spieghi i problemi di cambiamento, l’avverbialismo solleva altri problemi sulle diverse

modalità di istanziazione di proprietà.

 

73 Van Inwagen 2000: pag. 127 [traduzione mia]. 74 Un celebre caso letterario di moltiplicazione degli enti in base ai punti di vista è rappresentato dal pirandelliano Vitangelo Moscarda: avanzata che fu la sua follia, Vitangelo entra in un salotto dove lo attendono sua moglie Dida ed il signor Quantorzo e vi conta nove persone “o piuttosto, […] otto, visto che io- per me stesso- ormai non contavo più. Voglio dire: 1. Dida, com’era per sé; 2. Dida, com’era per me; 3. Dida, com’era per Quantorzo; 3. Quantorzo, com’era per sé; 5. Quantorzo, com’era per Dida; 6. Quantorzo, com’era per me; 7. Il caro vecchio Gengè di Dida; 8. Il caro Vitangelo di Quantozo”. Pirandello, Uno, nessuno e centomila, libro V, capitolo VI.

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38  

                                                           

Come abbiamo avuto modo di vedere nel capitolo primo, a favore del tridimensionalismo

giocano le argomentazioni trascendentali di Strawson e la priorità fenomenica del senso

comune invocata da Ferraris (vedi §1.1-3). Anche se accettassimo un’ontologia liberalizzata

come quella di Quine, che ammette entità composte da una qualsiasi regione spazio-

temporale75 (es. la mia mano destra più la superficie della Cina eccetto le zone più alte di

400m dal lunedì al venerdì), non potremmo fare a meno di percepire molti di questi oggetti

quineani come innaturali ed arbitrari: questi saranno infatti “invisibili alla cognizione”76

nonché possibili oggetti di riferimento nel nostro linguaggio solo attraverso descrizioni

complesse.

A favore della concezione quadridimensionalista versa invece la sua maggiore compatibilità

con la fisica (da cui d’altronde è ispirata), in particolare con la Teoria della Relatività

Speciale (TRS) di Einstein77.

Come questo breve elenco di argomenti ci suggerisce, lo scontro tra tridimensionalismo e

quadrimensionalismo è di difficile soluzione: come afferma Hirsch citando Lewis

Sembra che alla fine si raggiunga in ontologia uno stadio in cui “tutto è stato detto e fatto”, in cui “ogni

ingegnosa argomentazione, distinzione e contro esempi sono stati scoperti”, cosicché ogni posizione ha

raggiunto uno stato di “equilibrio”. Ritengo che nella disputa ontologica che stiamo discutendo [la

metafisica degli oggetti materiali] lo stadio del “tutto è stato detto e fatto” sia stato raggiunto78.

Forse, come suggerisce Haslanger

a questo stadio del dibattito […] dobbiamo concludere che i vincoli per una soluzione accettabile

(specialmente se ci limitiamo ai vincoli su cui c’è accordo) non sono abbastanza per decidere tra diverse

opzioni plausibili” e pertanto non ci resta che rassegnarci a riconoscere che “ci sono diverse alternative

razionalmente accettabili, e comprendere quali sono e cosa ci offrono è probabilmente il meglio che

possiamo fare79.

Nell’impossibilità di decretare una soluzione migliore in assoluto potremmo accontentarci di

chiarire quale posizione è più adeguata a quali circostanze: lo stesso Quine, benché venga di

norma ricordato per il suo impegno nello sviluppare una metafisica quadridimensionalista, si è

 75 Quine ammette nella sua ontologia oggetti così bizzarri perché difende la così detta tesi della composizione non ristretta, ovvero: dato un qualsiasi numero di entità esistenti nella nostra ontologia è legittimo asserire che esiste ogni loro possibile combinazione. 76 Casati 2008: pag. 446. 77 Per esempio, In TRS non è possibile parlare di “simultaneità assoluta”, sollevando gravi difficoltà teoriche per chi volesse sostenere la posizione presentista. 78 Hirsch 2005: pag. 80-81 [traduzione mia] [le citazioni tra virgolette sono tratte da Lewis 1983. 79 Haslanger 2003: pag. 351 [traduzione mia].

Page 39: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

39  

                                                           

espresso in favore della pluralità degli schemi concettuali. È nota la sua posizione

“pragmatica” nei confronti del dibattito tra il punto di vista fenomenistico (che considera le

entità della percezione e del senso comuni quali entità fondamentali) e il punto di vista

fisicalistico (che invece accorda la priorità alle particelle postulate dalla fisica):

Abbiamo […] due schemi concettuali contrapposti, uno fenomenistico80 e uno fisicalistico. Per quale

decidersi? Ciascuno ha i suoi vantaggi; ciascuno a suo modo presenta un suo tipo di semplicità.

Ciascuno, aggiungo io, merita di essere sviluppato. Di entrambi si può dire, invero, che sono essenziali,

sebbene in due sensi diversi: l’uno in senso epistemologico, l’altro in senso fisico81.

Allo stesso modo, forse potremmo decidere di convivere con questo dualismo teorico,

adottando e sviluppando di volta in volta una posizione tridimensionalista o una posizione

quadridimensionalista a seconda delle esigenze esplicative.

2.4 Una risposta scettica

Di fronte a un simile proliferare di cavillosità metafisiche indecidibili si potrebbe invocare il

senso comune per paragonare le labirintiche dispute tra tridimensionalisti e

quadrimensionalisti, citando la celebre espressione di Carnap, ad un concerto di musicisti

senza talento82. Alcuni filosofi hanno fornito una simile lettura scettica del dibattito: è il caso

ad esempio di Eli Hirsch, che ritiene “primo, che le tipiche dispute nella letteratura sulla

metafisica degli oggetti materiali sono mere dispute verbali; secondo, che il modo giusto per

risolvere queste dispute è richiamarsi al senso comune o al linguaggio ordinario”83.

La soluzione di Hirsch è paragonata da egli stesso alla distinzione carnappiana tra questioni

interne e questioni esterne84, precisando tuttavia, a differenza del filosofo neopositivista, di

non ritenere che tutte le dispute metafisiche siano meramente verbali: sinteticamente, una

disputa sarebbe meramente verbale solo quando:

• entrambe le teorie in discussione sono sufficientemente solide da rendere conto di

fatti empirici (lo stadio dove “tutto è stato detto e fatto”);

 80 Ferraris obietterebbe forse che faremmo meglio a parlare di uno schema pre-concettuale o a-concettuale fenomenistico: vedi §1.3. 81 Quine 1948: pag. 40. 82 Vedi Carnap 1932: pag. 531. 83 Hirsch 2005: pag. 67 [traduzione mia]. 84 Vedi Carnap 1956.

Page 40: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

40  

                                                           

• attuando un’interpretazione caritatevole un sostenitore di una teoria può comprendere

il significato degli enunciati della teoria opposta85;

• le teorie sono compatibili a qualche livello, ovvero: adottare una teoria non significa

contraddire gli enunciati dell’altra teoria.

Cosa si intende per interpretazione caritatevole? Il principio di carità è una norma

d’interpretazione che trova largo consenso presso i filosofi analitici, non di rado considerato

una condizione necessaria per la comprensione degli enunciati di un parlante. Non è facile

trovarne un’enunciazione univoca e precisa; Hirsch lo presenta in questi termini:

a parità di condizioni, un’interpretazione è plausibile fintantoché il suo effetto è di rendere vere o

almeno ragionevoli molte delle credenze condivise dalla comunità.86

L’indecidibilità tra tridimensionalismo e quadrimensionalismo dipenderebbe quindi dal fatto

che i due schieramenti si stanno semplicemente esprimendo in linguaggi (o meglio idioletti)

ontologici differenti: entrambe le (famiglie di) soluzioni sono coerenti e capaci di offrire una

cornice teorica con cui categorizzare gli oggetti, come dimostra il fatto che è possibile per i

sostenitori di un’opzione metafisica “tradurre” nel proprio linguaggio ontologico gli enunciati

dell’avversa fazione. Ma che cosa si intende per linguaggio ontologico?

Stando ad Hirsch, ogni schieramento filosofico abbraccerbbe più o meno consapevolmente

quelli che chiama “assiomi ontologici” (ad esempio: “un’oggetto non può mantenere la sua

identità se cambia alcune delle sue proprietà”), che funzionerebbero come regole

grammaticali di un idioletto ontologico, definendo l’uso e l’estensione dei quantificatori

esistenziali87.

Se la disputa tra tridimensionalisti e quadrimensionalisti è meramente verbale, e cioè le

diverse metafisiche degli oggetti materiali sono soltanto diversi linguaggi ontologici inter-

traducibili, adottare un idioletto ontologico diverso dal linguaggio ordinario sembra

comportare una violazione del principio di carità nei confronti di gran parte della comunità

dei parlanti: per questa ragione Hirsch ritiene di dover optare per il linguaggio ordinario e per

l’ontologia più conforme possibile al senso comune.

 85 Diversi metafisici si curano di asserire che non capiscono cosa intenda il loro avversario quando parla delle entità postulate dalla sua ontologia: ad esempio Van Inwagen sostiene di “non capire cosa siano le parti temporali”, eppure di capire con quali parametri gli esponenti della teoria quadridimensionalista la difendano. Non è chiaro come si possa non capire un enunciato metafisico pur sapendo a cosa si riferirebbe se fosse comprensibile (vedi ad esempio Van Inwagen 2000: cap. 7-8). 86 Hirsch 2005: pag. 71 [traduzione mia]. 87 Luca Morena chiama questa tesi dottrina della variabilità dei quantificatori. Vedi Morena 2007: pag. 90 [traduzione mia]. 

Page 41: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

41  

                                                           

L’argomentazione sembra plausibile: di fronte a una disputa interminabile in cui sembra

raggiunta una fase di stallo, optare per la soluzione più comunemente accettata e/o più affine

alle nostre intuizioni innate sembra la soluzione migliore. Ma è davvero così?

2.5 In favore di una metafisica revisionaria

Si potrebbe sospettare che sia quantomeno rischioso spingere alle estreme conseguenze il

principio di carità: scegliendo sempre l’interpretazione che massimizza ragionevolezza e

verità non si rischia di dimostrare troppo? Ad esempio, esagerando con la carità si può

incorrere nel così detto “paradosso di Putnam”, e cioè (brevemente): data una teoria falsa

(come ad esempio quella del flogisto), ci sono nel mondo oggetti e proprietà tali da permettere

un’interpretazione caritatevole che renda vera la teoria. Hirsch risponde che non c’è bisogno

di respingere o di dubitare del principio di carità per evitare di incorrere in questo paradosso:

idealmente un’interpretazione caritatevole ricerca sia la verità che la ragionevolezza di una teoria, ma se

non è possibile ottenerle entrambe, la ragionevolezza senza la verità è molto più caritatevole della verità

senza la ragionevolezza88.

Detto in parole povere, pensare che qualcuno si sbagli per l’insufficienza di dati è più

caritatevole che pensare che non sappia ragionare: posto che si disponga dei dati percettivi

sufficienti, ogni interpretazione che interpreta la teoria del flogisto caritatevolmente,

rendendola ragionevole, la rende falsa. Il principio di carità dunque non ci costringerebbe

pertanto ad ammettere la verità di ogni teoria.

Ma se l’applicazione del principio di carità ammette la possibilità di errore in merito alle

teorie scientifiche, perché non la ammette in merito alle teorie scientifiche? Howard-Snyder

pone la seguente obiezione:

se gli errori basati sulla limitatezza dei dati sensoriali possono talvolta indurre l’interprete caritatevole

ad ascrivere degli errori ai parlanti, perché lo stesso non dovrebbe valere per gli errori basati sulla

limitatezza dei dati metafisici?89

Dopotutto, la maggior parte di ogni comunità dei parlanti è fatta di non-filosofi, che potrebbe

semplicemente non aver soppesato le implicazioni metafisiche delle proprie credenze:

l’interprete caritatevole può pensare che sia ragionevole per un capitano essere convinto che

N₂ (la nave che continua a viaggiare) sia legittimamente la stessa nave usata da Teseo per

 88 Hirsch 2005: pag. 94 [traduzione mia]. 89 Howard Snyder (manoscritto): pag. 6.

Page 42: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

42  

                                                           

andare a Creta, semplicemente perché nessun filosofo ficcanaso gli ha prospettato la

possibilità di una nave N₃.

Hirsch potrebbe obiettare che non c’è nessuna buona ragione per pensare che la gente comune

compia degli errori apriori, ma “il metafisico revisionista, per esempio, obietterebbe che

l’ontologia del senso comune è il prodotto (in un certo senso arbitrario) delle nostre

preferenze cognitive”90: l’ontologia del senso comune sarebbe pertanto frutto della nostra

evoluzione e della nostra cultura.

Si potrebbe pensare che, visto che è stata selezionata dall’evoluzione, la metafisica del senso

comune è la migliore opzione possibile; così facendo però si cadrebbe in quello che Casati e

Varzi hanno chiamato “l’errore panglossiano”91, ovvero la fallace inferenza che, essendo stata

selezionata dall’evoluzione, l’ontologia del senso comune deve essere l’opzione metafisica

che ci mette in grado di generare più credenze vere. Come osserva Stephen Stich92, non

sempre un sistema cognitivo predisposto a generare credenze vere è il più adatto alla

sopravvivenza: da un canto, certe credenze sono semplicemente irrilevanti per la

sopravvivenza dell’organismo, e sarebbe anti-economico per la sua mente prestarvi

attenzione; dall’altro, fattori quali la velocità di decisione o la minimizzazione del rischio

sono spesso più cogenti per un organismo della capacità di discriminare il vero dal falso. In

uno slogan: l’evoluzione segue criteri pragmatici, non epistemici.

Questi argomenti non mirano a disconoscere totalmente l’argomentazione di Hirsch o la

validità dell’ontologia del senso comune: dopotutto le nostre credenze ingenue sono la nostra

bussola nella vita quotidiana, ed è assolutamente ragionevole invocare per esse

un’interpretazione caritatevole. Inoltre, è possibile che Hirsch abbia ragione a decretare

l’equivalenza teorica tra metafisiche tridimensionaliste e quadrimensionaliste se è vero che

ogni asserzione formulata nel gergo di una metafisica è riformulabile nel gergo dell’altra.

Ciò che spero di aver dimostrato invece è che l’intuitività di una teoria, cioè la sua congruenza

al senso comune, non deve essere un criterio prioritario per le nostre indagini metafisiche;

dopotutto, nell’esposizione hirschiana del principio di carità si specifica che

un’interpretazione è più plausibile quando massimizza verità e ragionevolezza delle credenze

della comunità solo a parità di condizioni (vedi §2.4), ma spesso le condizioni sono tutt’altro

 90 Morena 2007: pag. 100 [traduzione mia]. 91 Casati e Varzi 2002: pag. 145. 92 Stich 1990.

Page 43: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

43  

che pari: si pensi ad esempio con quale facilità i quadrimensionalisti risolvono il problema

delle navi di Teseo, o più in generale come riescono a disinnescare i problemi metafisici del

cambiamento considerando un oggetto persistente come una semplice successione di parti

temporali (§2.2). Ancora, si pensi alle difficoltà in cui un tridimensionalista potrebbe

incorrere nel rendere conto dell’abolizione della nozione di simultaneità assoluta richiesta da

TRS (§2.3).

Certo, il prezzo da pagare per un’ontologia “artificiale” elaborata in seguito a numerose

revisioni metafisiche è un allontanamento dal senso comune e dai nostri dispositivi cognitivi:

molti oggetti quineani (ad esempio “tutti i piani oltre il decimo di ogni edificio dell’emisfero

boreale dalle ore 20 alle ore 23”) sono passibili di riferimento solo mediante descrizioni

lunghe ed un notevole sforzo di immaginazione. Ma in un indagine metafisica che aspiri a

scoperte sostanziali, non siamo legittimati a pensare che un’ontologia sia più veritiera solo

perché come esseri umani e parlanti di una certa lingua disponiamo siamo psicologicamente

predisposti verso di essa.

   

Page 44: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

44  

                                                           

Capitolo terzo Che farsene del senso comune?

Il senso comune, sufficientemente sviluppato, ci conduce alla fisica, e la fisica ci mostra che il

senso comune è falso. Quindi le tesi del senso comune, se sono vere, sono false; quindi sono

false.93

Al termine del capitolo primo abbiamo visto come il senso comune possa trovarsi in

imbarazzo se chiamato a rispondere ai problemi sollevati da certi rompicapi quali quello della

nave di Teseo. Molte metafisiche degli oggetti fisici di stampo tridimensionalista cercano di

salvaguardare le intuizioni del senso comune e al contempo spiegare l’identità attraverso il

cambiamento: ma come abbiamo osservato nei paragrafi precedenti, può capitare che

modellando una teoria sulla base delle nostre sole intuizioni ci si ritrovi mal equipaggiati per

fronteggiare alcuni problemi metafisici (cfr. in §2.3 le obiezioni di Lewis contro la metafisica

presentista e contro l’interpretazione relazionale degli intrinseci temporanei), che dal canto

loro potrebbero richiedere nuove revisioni.

Inoltre, nella conclusione del secondo capitolo abbiamo evidenziato come la vittoria evolutiva

del senso comune non ci permetta di inferire che questo ci guidi necessariamente a credenze

vere. Lo stesso Ferraris scrive:

“il senso comune risulta generalmente adeguato ai suoi scopi, non per un qualche accesso speciale alle

cose, che lo porrebbe in una posizione vantaggiosa rispetto alla scienza (è un assunto incredibile e

contro intuitivo, giacché allora ci si metterebbe a far scienza solo per imbrogliare la matassa), bensì

perché risulta ecologicamente adeguato”94.

Possiamo affermare con una certa sicurezza che, se davvero il senso comune presuppone una

teoria ontologica, questa sarà una collezione un po’ rapsodica, talvolta incoerente, elaborata

secondo le nostre esigenze pragmatiche e/o le nostre predisposizioni cognitive, come

evidenziato ad esempio nel §1.5, quando abbiamo constatato che i diversi principi attraverso

 93 Casti e Varzi 2002: pag. 133 [citando Russell 1948]. 94 Ferraris 2001: pag. 174 [corsivo mio].

Page 45: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

45  

                                                           

cui attribuiamo l’identità alle cose generano nella maggior parte dei casi risultati coerenti, ma

ci sono situazioni (come il caso della nave di Teseo) in cui possono entrare in conflitto.

Anche in virtù delle obiezioni mosse a Strawson nel §1.3, suggerisco che possa essere

quantomeno fuorviante pensare che esista una teoria ontologica del senso comune univoca e

rigidamente determinata. Il nostro modus operandi quotidiano sembra piuttosto quello di

selezionare certi parametri di categorizzazione in base alla loro pertinenza a un dato contesto,

in un senso simile a quello in cui gli assiomi dei vari idioletti ontologici di cui parla Hirsch

fornirebbero diversi quadri teorici modulando il nostro uso dei quantificatori secondo le

caratteristiche del contesto.

Per renderere conto dell’indeterminatezza dell’ontologia del senso comune occorre quindi

abbandonare una netta dicotomia tra un presunto senso comune dai confini netti ed una

metafisica o una scienza che lo stravolgono in favore di un continuum di teorie più o meno

compatibili con le nostre intuizioni quotidiane; propongo pertanto la seguente ipotesi di

lavoro, che presenta se non altro il vantaggio di poter essere smentita o corroborata dai dati

della psicologia: benché nel pensiero e nel linguaggio quotidiano tendiamo ad assumere

l’ontologia per cui siamo maggiormente predisposti psicologicamente (e ad aspettarci che il

nostro interlocutore compia simili scelte ontologiche), abbiamo la capacità innata e inconscia

di modificare i nostri assiomi ontologici, postulare o eliminare entità o proprietà quanto basta

per adeguarci ad un nuovo contesto o ambito di discorso (il che talvolta è necessario per

offrire un’interpretazione caritatevole degli enunciati di un interlocutore), selezionando però

istintivamente la teoria che meno si distanzia dalle nostre intuizioni (difficilmente

scomodiamo la teoria della relatività se qualcuno ci chiede che ora è).

Ad esempio, osservando dall’esterno una stanza vuota e domandandomi “c’è vita là dentro?”

potrei rispondere legittimamente “no, non c’è”; ma se la camera dovesse essere una sala

operatoria, probabilmente sarebbe quantomeno azzardato rispondere “no” prima che qualcuno

abbia effettuato una scrupolosa sterilizzazione, e se fossi il chirurgo legalmente responsabile

di eventuali infezioni farei meglio ad interpretare la domanda nella sua accezione medica.

La capacità innata degli esseri umani di modificare i propri criteri di categorizzazione e

ragionamento alle regole del contesto rappresenta la più grande sfida per gli ingegneri che

cercano di replicarla nelle intelligenze artificiali (si tratta del così detto frame problem95). Da

un punto di vista filosofico, comunque, questa constatazione basti a mettere in cattiva luce il

tentativo di ipostatizzare ogni assunzione ontologica sottesa al linguaggio ordinario e alle  

95 Una breve spiegazione di cosa sia il frame problem si può trovare in Marconi 2001.

Page 46: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

46  

                                                           

pratiche dell’agire quotidiano, come se fosse frutto di una teoria metafisica esplicita e

determinata una volta per tutte.

Se accettiamo queste considerazioni dobbiamo ammettere che l’ontologia del senso comune o

meglio le ontologie del senso comune hanno una natura malleabile, nella cui determinazione

entrano di volta in volta elementi contestuali differenti e spesso impliciti, e il confine con le

ontologie emendate non è poi così netto.

Se è vero che il colore e la forma percepite di un tavolo costituiscono esperienze inemendabile

nel senso invocato da Maurizio Ferraris, non è però scontato il fatto che io consideri

istintivamente di aver davanti un tavolo (per esempio se stessi facendo a pezzi del vecchio

mobilio potrei vedere innanzitutto della legna da ardere). Come già ricordato citando Achille

Varzi “non c’è nessuna proprietà intrinseca che faccia di quest’oggetto un tavolo: è un tavolo

in quanto viene usato in un certo modo e per certi scopi. È un tavolo in quanto noi gli

attribuiamo una determinata funzione”96.

Oltre alla scarsa capacità di affrontare certi problemi metafisici, abbiamo constato che una

teoria metafisica che voglia basarsi solo sulle nostre intuzioni ordinarie poggia su un terreno

friabile. A mio avviso questo dovrebbe bastare a dimostrare che la coerenza, la precisione e la

validità inter-soggettiva, caratteristiche imprescindibili per ogni buona teoria, sono

perseguibili soltanto mediante una metafisica revisionaria ben argomentata i cui criteri siano

esplicitati.

D’altro canto, è difficile pensare che possiamo sbarazzarci dello schema concettuale da cui

partiamo: per quanto contro intuitivi possano essere gli oggetti della nostra ontologia, per

concepirli e nominarli siamo comunque tenuti ad utilizzare l’alfabeto delle nostre intuizioni:

come dice Strawson (§ 1.1), l’identificazione dei particolari non di base dipende

dall’identificazione dei particolari di base. Occorre perciò raffinare ed emendare la nostra

ontologia pezzo per pezzo, come ammette lo stesso Quine: “possiamo perfezionare il nostro

schema concettuale, la nostra filosofia, poco a poco continuando pure a dipendere da esso

come nostro sostegno”97.

Ma che rapporto c’è tra l’ontologia ingenua da cui partiamo per compiere le nostre revisioni e

l’ontologia emendata cui veniamo a capo?

 96 Varzi 2010: pag. 40. 97 Quine 1950: pag. 205.

Page 47: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

47  

                                                           

3.1 Un solo mondo, diverse ontologie98

Le revisioni concettuali di origine filosofica e/o scientifica possono portarci alla postulazione

di entità molto differenti da quelle presenti nel senso comune. Per spiegare il divario tra

l’ontologia del senso comune ed un’ontologia emendata in direzione della fisica, si potrebbe

essere tentati di parlare di un “mondo della percezione” contrapposto ad un “mondo della

fisica”. Questo modo di esprimersi, se preso sul serio e reificato, conduce ad un vero e proprio

dualismo ontologico: da una parte abbiamo il mondo della fisica, fatto di atomi ed entità

qualitativamente neutre, dall’altra il mondo della percezione fatto di corpi e qualità- il mondo

della così detta “fisica ingenua99”.

Ma il dualismo ontologico, oltre ad essere metafisicamente antieconomico, è foriero di spinosi

problemi teorici riguardo al rapporto tra i due mondi: siamo davvero pronti ad ammettere che

il tavolo studiato dalla fisica è un oggetto diverso rispetto al tavolo percepito? Se sì, come ci

spieghiamo la sorprendente regolarità con cui la percezione di un determinato colore è

misurabile dal fisico in base alla lunghezza d’onda delle radiazioni luminose? Come sarebbe

possibile accedere agli oggetti del mondo della scienza se la nostra percezione rimanda

inevitabilmente ad un mondo diverso e parallelo? Queste domande, benché non esauriscano il

novero dei problemi sollevati dal dualismo, ci bastino per invitarci a valutare altre teorie sul

rapporto tra ontologia fenomenica ed ontologie revisioniste ispirate alla fisica.

Un’alternativa al dualismo ontologico è assumere una posizione iper-realista100 come quella

di Paolo Bozzi101, sostenendo che ciò che esiste propriamente sono solo gli oggetti della

nostra percezione così come vengono percepiti. Secondo questa concezione, gli oggetti e le

proprietà postulate dalle scienze esisterebbero soltanto nella descrizione scientifica del

mondo, e questa . Abbracciando una posizione del genere tuttavia ci ritroveremo in grande

difficoltà , alias tra quello che vediamo effettivamente e quello che ci sembra di vedere.

Nel rivendicare l’inemendabilità dei percetti, Ferraris (la cui posizione si ispira e avvicina

all’iper-realismo di Bozzi) insiste sul fatto che le due linee dell’illusione di Müller-Lyer

continueranno a sembrarci diseguali anche dopo che una misurazione ne abbia sancito

 98 In questo paragrafo seguo la struttura di Rapetti e Tagliafico 2008. 99 La fisica ingenua, termine coniato da Paolo Bozzi, è una branca della psicologia che studia le nostre credenze innate a riguardo del comportamento fisico degli oggetti materiali. Si potrebbe anche definire come “ciò che il senso comune ci dice a proposito degli oggetti fisici”. Vedi Bozzi 1990; cfr. anche la posizione di Ferraris in §1.3. 100 L’espressione “iper-realista” è di Casati e Varzi 2002, come l’espressione “approccio ecumenico”. 101 vedi Bozzi 1990.

Page 48: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

l’equivalenza (fig. 3); ma come ho tentato di dimostrare nel §2.5, il modo in cui le cose ci

appaiono dipende sia dal modo in cui sono fatte che dal modo in cui siamo fatti noi (cioè dai

nostri dispositivi cognitivi). In altre parole: inferire la priorità ontologica sulla base di una

priorità epistemica non è sempre una mossa legittima.

Fig.3: Illusione di Muller-Lyer

Dobbiamo pertanto rassegnarci a spogliare il senso comune di ogni dignità ontologica,

limitandoci a considerarlo alla stregua di un velo di Maya da penetrare con l’indagine

scientifica e la speculazione metafisica? Non totalmente: sarebbe infatti avventato inferire dal

fatto che il senso comune conduce talvolta a degli errori metafisici il fatto che sia da rigettare

in toto. Possiamo allora imboccare altre due vie.

La prima proposta teorica è stata elaborata da Barry Smith. Pur riconoscendo che “le nostre

esperienze cognitive sono ovviamente in molti casi non-veridiche”102 Smith pone le basi di un

programma di ricerca ad ampio spettro che consideri il senso comune capace di cogliere

perlomeno alcuni aspetti veridici della realtà, ovvero quelli più salienti dal punto di vista

ecologico. Dopotutto (a meno di essere filosofi idealisti) si dovrà riconoscere che la nostra

percezione ci dice qualcosa sul mondo, anche se con una certa approssimazione e con

modalità diverse dalla descrizione scientifica: in luogo di differenze nelle lunghezze d’onda

delle radiazioni luminose percepiamo differenze qualitative di colore, in luogo di diversa

intensità delle onde sonore percepiamo suoni più o meno forti.

La seconda proposta è presentata in un articolo di Casati e Varzi103. I due filosofi italiani, pur

riconoscendo la fecondità di un simile quadro teorico, mettono in guardia dalla tentazione di

esagerare la realtà della percezione e delle leggi del senso comune:

sappiamo però che a rigor di termini la maggior parte di queste pseudo-leggi sono false […].

Anzi, l’interesse di una tipica pseudo-legge della fisica ingenua, come <<A parità di

condizioni, un corpo pesante cade più velocemente di un corpo leggero>>, risiede

48  

                                                            102 Smith 1995. 103 Casati e Varzi 2002 (vedi anche Varzi 2010).

Page 49: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

49  

                                                           

precisamente nel fatto che essa risulta generalmente adeguata- e sarebbe irrazionale non

tenerne conto- anche se a rigor di termini si tratta di una legge falsa104.

Secondo i due filosofi la fisica ingenua non è altro che una rappresentazione imprecisa

(spesso inesatta) del mondo reale, che sarebbe invece identico o quantomeno molto più simile

a come ci viene descritto dalla fisica scientifica. Facendo appello alla distinzione tra uso

attributivo di una descrizione (che descrive propriamente un oggetto) e uso identificante (che

identifica degli oggetti a prescindere dalla correttezza della descrizione fornita), spiegano

come sia possibile pensare o riferirsi a delle entità fisiche reali, oppure alle leggi che ne

descrivono il comportamento, anche attraverso il filtro sfocato del senso comune.

Utilizzando dei termini della fisica ingenua, o parlando delle sue leggi, in realtà facciamo riferimento

alle entità fisiche effettive. Usiamo una “legge” ingenua per far riferimento a una (supposta) regolarità

in natura. Quando pensiamo che i corpi pesanti cadono più velocemente di quelli leggeri, in realtà ciò a

cui i nostri pensieri si riferiscono è la legge corretta della gravitazione universale; solo che vi pensiamo

attraverso una descrizione scorretta105.

Pur comportando il costo di una negazione quasi totale della realtà ontologica del senso

comune, questo realismo scientifico ha il pregio di rendere conto della distanza tra immagine

fenomenica ed immagine scientifica del mondo senza invocare l’incolmabile divario di un

dualismo e al contempo di spiegare il nesso tra le due garantendo piena dignità metafisica alle

nostre conoscenze scientifiche: siccome le scienze contengono il maggior numero di

conoscenze di cui disponiamo (più delle pseudoscienze o delle semplici opinioni), la

metafisica dovrebbe impegnarsi a descrivere entità che forniscano loro un oggetto, che

offrano cioè un significato alle proposizioni scientifiche.

Accettare questa teoria ci permette da una parte di continuare le nostre indagini metafisiche

senza indugiare in eccessivi scrupoli nei confronti dell’ontologia del senso comune, dall’altra

di spiegare come e come mai i nostri sistemi cognitivi ci portano a postulare una simile

ontologia.

3.2 La psicologia come tribunale della metafisica descrittiva

In quanto ho scritto fino ad ora spero di aver mostrato come il senso comune sia una guida

inadeguata se il nostro scopo è quello di avere un’ontologia solida e coerente: le nostre

assunzioni ontologiche ingenue rischiano prima o poi di contraddirsi. Prendere atto di questo

 104 Casati e Varzi 2002: pag. 155. 105 Casati e Varzi 2002: pag. 157.

Page 50: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

50  

                                                           

scacco logico non significa delegittimare la metafisica descrittiva, quanto piuttosto

rivendicarne con chiarezza intenti e strumenti. Svincolandosi dal compito di redigere uno

schema concettuale il più robusto, coerente, elegante ed esplicativamente potente - a seconda

delle priorità del metafisico revisionario – il metafisico descrittivo può dedicarsi interamente

alla spiegazione delle strutture del pensiero ingenuo, indipendentemente dai problemi teorici

che queste possono ingenerare.

Significativamente, Strawson conclude Individuals con questa frase:

Così, se la metafisica è costituita dalla scoperta delle ragioni, buone, cattive o indifferenti, per cui noi

crediamo d’istinto, allora questa è stata metafisica106.

Non so se scoprire le ragioni per cui noi crediamo d’istinto faccia parte del compito del

metafisico: definire l’ambito e la metodologia di indagine della metafisica è un’operazione

complicata che esula dagli intenti della presente trattazione. Tuttavia una cosa salta all’occhio:

questo compito, che Strawson rivendica per i metafisici, sembra corrispondere a ciò di cui si

sono occupati gli psicologi almeno dagli albori della psicologia cognitiva.

Nel §1.2 abbiamo accennato alla possibilità (forse addirittura alla necessità) di un sodalizio tra

metafisica descrittiva e scienze cognitive. Alvin Goldman scrive:

Secondo la mia proposta, la metafisica descrittiva non dovrebbe semplicemente fornire una lista di

oggetti a cui “la gente” si impegna ontologicamente. Dovrebbe anche cercare di capire o spiegare

perché la gente ha quell’ontologia anziché un’altra, ossia identificare i principi, meccanismi e vincoli

sottostanti che modellano le loro “scelte” ontologiche.107

Sapere quali meccanismi regolano il funzionamento della nostra mente ci aiuta a spiegare se e

perché una soluzione metafisica ci risulti più intuitiva. Ad esempio può spiegarci che un

oggetto quineano come “le gamba del tavolo e gli schienali delle sedie”, indipendentemente

dal nostro credo ontologico, sarà percepito come innaturale perché non soddisfa certi principi

gestaltici.

Gli studi di Max Wertheimer, fondatore della psicologia della Gestalt, indicano che i

meccanismi con cui i nostri sistemi percettivi raggruppano gli stimoli rispondano

essenzialmente alle seguenti leggi108:

Principio della vicinanza: a parità di altre condizioni, si unificano gli elementi vicini

(fig. 4)

 106 Strawson 1959: pag. 237 [corsivo mio]. 107 Goldman 1991: pag. 36 [traduzione mia]. 108 Wertheimer 1923.

Page 51: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

51  

Fig. 4

Legge della somiglianza: a parità delle altre condizioni, si unificano gli elementi simili

(fig. 5)

Fig. 5

Legge della buona direzione: a parità delle altre condizioni, si unificano gli elementi che

presentano continuità di direzione (fig. 6)

Fig. 6

Legge del destino comune: a parità delle altre condizioni, si unificano gli elementi che

condividono lo stesso tipo e la medesima direzione di movimento (fig. 7)

Fig. 7

Page 52: Marco Viola - Lo statuto degli oggetti materiali

Legge della chiusura: a parità delle altre condizioni, vengono percepiti come unità gli

elementi che tendono a chiudersi fra loro (fig. 8)

Fig. 8

Legge della pregnanza (o buona forma): sono preferite le configurazioni più semplici,

regolari, simmetriche e stabili

Queste leggi della percezione concorrono a spiegare perché riconosciamo istintivamente un

tavolo quando è tutto intero davanti a noi, difficilmente quando è scomposto nelle sue parti

nella scatola di IKEA, e perché invece non riusciamo a riconoscerlo se ci viene mostrato

l’albero da cui verrà tratto il suo legno. I nostri meccanismi di categorizzazione dei percetti

sono i principali e primi fornitori di entità per ogni ontologia di senso comune, e le entità che

questi ci presentano sono le più “concettualmente incontaminate” che possiamo trovare.

Lo studio dei principi di organizzazione cognitiva può anche rendere conto dei conflitti tra

intuizioni. Nel caso della nave di Teseo ad esempio la maggior parte delle persone tende a

identificare N₁ con N₂ (la nave che continua a viaggiare) piuttosto che con N₃ (la nave

ricostruita con lo stesso legno), non senza una certa titubanza. Secondo Goldman109,

quest’ambiguità corrisponderebbe ad un conflitto di leggi gestaltiche: l’identificazione di N₁

con N₂ sembra rispettare la legge di buona direzione meglio di quanto non lo faccia

l’identificazione con N₃; d’altro canto N₁ ed N₃, condividendo la stessa costituzione materiale,

sembrano soddisfare maggiormente la legge di somiglianza. Benché in questo caso la legge di

continuità sembra cognitivamente più saliente della legge di somiglianza, ognuna spinge le

nostre intuizioni in direzioni differenti e apparentemente inconciliabili.

L’appello alla psicologia e alle altre scienze cognitive può anche aiutarci a stabilire quali

predisposizioni metafisiche del senso comune siano inemendabili e universali, cioè valide per

tutte le culture, solitamente perché determinate dalla nostra biologia, e quali invece siano

52  

                                                            109 Goldman 1991: §2.2.

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53  

                                                           

passibili di revisioni concettuali. È possibile che le neuroscienze ci offrano indizi dal punto di

vista biologico sull’inemendabilità di cui parla Ferraris studiando la plasticità neurale delle

aree cerebrali deputate a diverse funzioni. Nel caso della visione ad esempio, purché le

connessioni tra retina ed area visiva primaria si siano sviluppate correttamente e non siano

lese, è impossibile modificare la modalità di codifica dell’informazione visiva, mentre nel

caso di sistemi più plastici quali il linguaggio o la memoria si può incorrere in cambiamenti

significativi durante il corso di tutta una vita: posso decidere di cambiare la parola con cui

riferirmi al colore blu a 10 come a 60 anni (magari perché sono costretto ad adottare una

lingua straniera), posso associare al colore blu una notevole quantità di ricordi di ogni tipo,

ma in presenza dello stesso stimolo luminoso i miei coni-S si attiveranno sempre allo stesso

modo, e cioè io vedrò sempre lo stesso blu.

Secondo le psicologhe dello sviluppo Kinzler e Spelke

il core system della rappresentazione degli oggetti è incentrato su una serie di principi che regola i

movimenti degli oggetti: coesione (gli oggetti si muovono come interi connessi e dotati di confini),

continuità (gli oggetti si muovono lungo tragitti connessi e privi di ostruzioni), e contatto (oggetti

differenti influenzano il loro movimento solo quando si toccano)110.

Kinzler e Spelke ritengono che il core system di rappresentazione del movimento sia trans-

culturale (addirittura trans-specifico visto che alcuni esperimenti sono stati condotti anche sui

pulcini), e citano a supporto di questa affermazione alcuni studi condotti sui membri della

tribù Pirahà, il cui linguaggio è particolarmente povero di vocaboli e forme sintattiche, e che

ciò nonostante sembrano condividere i nostri meccanismi di categorizzazione degli oggetti111.

C’è un altro modo ancora in cui le scienze cognitive possono assistere il metafisico

descrittivo: la psicologia evoluzionista può fornirci delle spiegazioni soddisfacenti del perché

abbiamo ereditato proprio quest’ontologia innata e non un’altra. Già l’etologo Konrad Lorenz

suggeriva che gli a priori ontologici per l’individuo sono a posteriori per la specie112: come

ho ampiamente anticipato nel §2.5, i nostri sistemi percettivi sono il frutto di una storia

evolutiva, e se siamo sopravvissuti alle pressioni selettive dell’ambiente è anche grazie a dei

principi di organizzazione percettiva e di ragionamento adatti alle esigenze filogenetiche.

Lo scienziato cognitvo Ramachandran ad esempio spiega con un esperimento mentale

l’importanza adattiva della legge gestaltica di chiusura:  

110 Kinzler e Spelke 2007: pag. 257 [traduzione mia] [corsivo mio]. 111Everett 2005 e Gordon 2004. 112 vedi ad esempio Lorenz 1941.

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54  

                                                           

la visione si è evoluta soprattutto per smascherare i camuffamenti e individuare oggetti in scene

affollate. Ciò sembra contro intuitivo, perché quando ti guardi intorno gli oggetti sono chiaramente

visibili – certamente non “camuffati”. Nell’ambiente metropolitano moderno, gli oggetti sono così ovvii

che non ci rendiamo conto che la visione consta essenzialmente nell’individuare oggetti così da poterli

evitare, schivare, cacciare, mangiare o accoppiarvisi. Prendiamo ciò che è ovvio come garantito; ma

pensa ad uno dei tuoi antenati arborei che cerca di individuare un leone nascosto dietro uno schermo di

macchie verdi (il ramo di un albero davanti a lui). Ciò che si presenta alla visione sono solo alcune

macchie gialle – frammenti di leone. Ma il cervello “dice” (infatti): “qual è la probabilità che tutti quei

frammenti siano esattamente dello stesso colore per pura coincidenza? Zero. Allora probabilmente

appartengono a un oggetto. Fammeli incollare insieme per vedere che cos’è. Oops! È un leone – fammi

correre!” Quest’abilità apparentemente esoterica di raggruppare macchie può aver fatto la differenza tra

la vita e la morte113.

In un modo simile si può presumere di spiegare una buona parte delle nostre preferenze

ontologiche: ad esempio si può supporre che la nostra preferenza per gli oggetti continui (cioè

oggetti le cui parti sono tutte connesse) e mesoscopici derivi dal bisogno di interagire con essi

piuttosto che con altri tipi di oggetti quineani, come testimonierebbe il fatto che la maggior

parte degli oggetti continui vengono “riconosciuti” sia dai magazzini di memoria semantica

sia dai nostri circuiti fronto-parietali che evocano dei potenziali d’azione motoria

corrispondenti alle diverse possibilità di interazione.114

Gli argomenti brevemente presentati in questo paragrafo conclusivo vanno esplicitamente in

direzione di una naturalizzazione della metafisica descrittiva. Un filosofo che affermi che

l’ontologia che descrive è la migliore rappresentazione dell’ontologia del senso comune

dovrebbe corroborare la sua affermazione sulla base di dati empirici provenienti dalle scienze

cognitive, oppure basarsi sui dati fenomenologici ottenuti dall’introspezione o sull’analisi del

linguaggio. La prima fonte sembra ad oggi più affidabile delle altre: l’introspezione presenta

infatti il problema di fare esperienze private e in quanto tale intrinsecamente non

intersoggettive e dunque non verificabili; nel caso dell’analisi del linguaggio si presentano

invece diverse problematiche quali quelle accennate al §1.2.

Ciò non vuol dire che la metafisica descrittiva sia un’impresa da demandare agli scienziati

cognitivi: il loro compito è formulare teorie empiriche sul funzionamento della mente, mentre

quello del metafisico descrittivo è quello di redigere un catalogo di oggetti il più conforme

possibile alle nostre intuizioni ingenue. Sostengo però che ogni un metafisico che avanzi

 113 Ramachandran (manoscritto) [traduzione mia]. 114 Vedi ad esempio Berti e Ladavas 2009: capp. 2 e 7.

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55  

                                                           

pretese di descrittività sia chiamato a confrontarsi con la letteratura scientifica classica e

recente, e che solo sul terreno empirico sia possibile valutare se e quanto la sua ontologia

riesca a cogliere “l’effettiva struttura del nostro pensiero sul mondo”115.

 115 Strawson 1959: pag. 23.

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