+ All Categories
Home > Documents > MASSIMO CATALANIlnx.massimocatalani.com/wp-content/uploads/2012/02/CATALANI... · va, come foto...

MASSIMO CATALANIlnx.massimocatalani.com/wp-content/uploads/2012/02/CATALANI... · va, come foto...

Date post: 17-Feb-2019
Category:
Upload: lydiep
View: 221 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
148
MASSIMO CATALANI NIHIL NIHILISM – 93’481 dizionario dell’arte mia AUTARCHICHE e d i z i o n i ˘ ˘
Transcript

MASSIMO CATALANI

NIHIL NIHILISM – 93’481dizionario dell’arte mia

AUTARCHICHEe d i z i o n i

˘ ˘

Grafica e impaginazioneARTIFICIO - PROGETTI CULTURALI

FotoJANIQUE LEUENBERGER

Training psicomotorioLORENZO M. CATALANI

Trasporti e acquistiMARIA CAPORALI

© Massimo Catalani - Autarchiche edizioni

MASSIMO CATALANI

NIHIL NIHILISM – 93’481dizionario dell’arte mia

AUTARCHICHEe d i z i o n i

˘ ˘

7

“Introduco”, questo il verbo che mitocca, nel presentare questo lavo-ro. Un libro d’arte, un’acquerello,un catalogo, un dizionario. È lavoroin corso, ciò che è sul tavolo in que-sti mesi del 2007, ciò per cui mispendo e ciò per cui sono felice.Apre il lavoro uno scrittore, un fale-gname delle lettere che porta unmuratore di figure con la passioneper le parole. Lo dedico a tutti quel-li che lo guarderanno e leggeranno.

I N T R O D U Z I O N E

Da lontano i dipinti di Massimo Cat8

Da lontano i dipinti di MassimoCatalani sono figure sensuali, pol-pose, linee e curve in rassicurantearmonia, gravide, in procinto dipartorire ancora e ancora pezzi dicreato o di civiltà. Vi è implicita unacieca, fideistica rappresentazionedel mondo che genera bellezze,anche se spesso con materiamostruosa come il cemento. Labellezza è nel sacro gesto creativo,al di là di ciò che viene alla luce.Ma se ci avviciniamo un po’ troppoal quadro, ecco che ci assale unasensazione allappante, di ispidez-za e di allergia: ci ricordiamo dicolpo che anche noi stessi, visti almicroscopio, siamo coperti dimorta epidermide, e di peli. Chesiamo un aggregato di sostanzechimiche, naturali, ognuna dellequali insignificante. Ad accarezza-re un dipinto di Catalani si rischia digraffiarsi le dita. Gli elementi incol-lati alla tela sono sassi e vetri maci-nati, sabbia, greti, laterizi prelevatida cantieri edili, calcari, argille,

alani sono figure sensuali, polpose,9

C E R C A T O R E D ’ O R O

pasta con le zucchine, gli ortaggi,la frutta sono catalogati insiemecon i ritratti, i corpi, i cieli. Non solo,irrompono in questo panoramaedenico squarci di palazzi e costru-zioni quasi tutti di stile razionalisti-co, senza alcuna distorsione visi-va, come foto turistiche scattate dalbasso o di fronte. Come dire: tuttoquello che l’uomo fa rientra nellastessa enciclopedia di ciò che fa lanatura. Con gli stessi materiali,cioè con la polvere, con la sabbia,col vetro, col ferro, sono fatti uomi-ni, animali, piante e case. A questopunto c’è da chiedersi: in tutto que-sto dov’è la storia, dove sono ilprima e il poi, dov’è l’apocalissecosì necessariamente incombentenei colleghi della generazione diCatalani? L’immagine è di qualcu-no che ha liberato il tavolo di lavo-ro con un’ampia sbracciata e hadeciso di cominciare tutto daccapo,ha deciso di fare tabula rasa eaffrontare subito la pre-istoria,senza porsi alcun problema discuole pittoriche o sterili esteticheconcettuali. E questo solo perchéMassimo Catalani, per indole, percandore, o per partito preso, è con-vinto che un fiore che nasce in unporcile è bellissimo come un fioreche sboccia in un giardino. Luiparte da qui. Toglie lo sfondo, cheè ius, e su un colore puro crea unacalla, che è fas. Chi osserva il qua-dro è di fronte all’idea platonica del

cementi, legno, ferro… che adden-sano i colori trasformandoli indenso plasma colloidale. Da que-sto coacervo di durezze eccoesplodere rose rosse come ilfuoco, satolle e leggere; ecco fiori-re una calla che si apre al solecome una vagina in amore; eccoun grappolo di pomodori o di pepe-roncini maturi pronti per esserecolti. Ma non è l’illusione del vero aispirare le composizioni diMassimo Catalani, come fu per isecenteschi autori di nature morte,né la vocazione iperrealista chepure molti di quegli artisti già colti-vavano, ma la fisica legge secondola quale nulla si crea e nulla sidistrugge. Ogni forma sorge daaltra forma. Dopo aver passato inrassegna l’opera fin qui prodottadall’autore, si può senz’altro direche per lui questo assunto è quasireligione, è fede nella magica fisio-logia del mondo materiale. Le aral-diche galline da lui dipinte (neces-sariamente ruspanti perché razzo-lano libere e gioconde), benchémesse in scena per omologarlealle creature umane, sono lì, inve-ro, a dare dignità artistica a unessere vivente al di là del suodestino. La bellezza della gallina èil tutto, è la bellezza del creato, enon ha altro scopo che esibire sestessa. Il massimo dell’effimerocoincide, qui, con l’essenzialità,con l’ontologia stessa. Così la

linee e curve in rassicurante armon10

11

nia, gravide, in procinto di partorire

fiore, oltre ogni contesto sociale. Èuna provocazione, dura e cruda,che tuttavia sbalordisce e colpisce,perché in quella visione essenzialeè implicita la tragedia di un mondocircostante, di un contesto irrapre-sentabile perché inesistente. Ed èinesistente in quanto l’autore hatutto passato alla macina, e impa-stato nei colori, proprio per farnascere un fiore inessenziale allavita degli umani. Per quella callaCatalani ha polverizzato palazzi,castelli, caserme, monumenti, stra-de; ha drenato fiumi, ha raccoltosabbia, pozzolane, limature, fran-tumi di vetro. “Assenza,/ più acutapresenza”, scriveva Attilio Berto-lucci. A premiare Massimo Catalaniè proprio il suo candore, la suapassione autentica per ogni lavorofatto con le mani, che trasforma lagrezza creta in simulacri della vita.In questo non bada a spese. Passail tempo più tra sassi e sabbie,come un cercatore d’oro, chedavanti alle tele. Tutta l’arte comin-cia da là.

VINCENZO CERAMI

ancora e ancora pezzi di creato o 14

di civiltà. Vi è implicita una cieca,15

diz ionar io de l l ’ar te miaN I H I L N I H I L I S M - 9 3 ’ 4 8 1

Prologo

Accademia

Bellezza

Cacio e Pozzolana

Capolavoro

Casta

Cena

Cinema

Classicismo

Contesto

Definizione

Derivato

Disaccordo

Dolore

Dovere

Esoterismo

Evocare

Genius loci

Giudizio

Gommone

Grafica

Grana

Idolatria

Inglesi

Maestria

Maiuscola

Marketing

Merda

Miracolo

Mitra

Orrore

Pasta

Pompa

Privilegi

Problemi

Proporzione

Provocazione

Religione

Ricostruzione

Rosotto

Scrittura

Speculazione

Strumento

Tecnica

Tradizione orale

Trovata

˘ ˘

Non ce l’ho mai fatta facilmente astare zitto. Me lo diceva pure la miamaestra delle scuole elementari,Maria, che mi capiva, che assecon-dava la vivacità e alle volte mi bac-chettava con le assicelle di faggiodegli armadi. Però mi dava spazio estavo buono, il profitto c’era e cisiamo amati tanto. Maestra MariaSivori sorella del famoso calciatoreOmar, mora e potente. Forse comedice mia madre sono nato così, ocosì me lo ha fatto credere lei, maqui, e questo, sono. È parecchio chescribacchio cose su questioni artisti-che, leggo e seguo le cose degli altrie mi coinvolgo, che ho voglia diandare verso una raccolta compiutao incompiuta di pensieri o di mievisioni delle cose e del mondo odare agli altri un consistente numerodi visioni del mio mondo. E vado viacosì, leggo una parola di un diziona-rio personale, guardo una storia cheaffiora, scrivo.

C’era una volta in cui ho visitatocon piacere, in Russia, l’Accade-

fideistica rappresentazione del mon16

P R O L O G O

A C C A D E M I A

mia di Belle Arti di S. Pietroburgo.È capitata la circostanza in cui ioero lì un anno prima delle celebra-zioni per il tricentenario della fon-dazione della città. Si celebrava tral’altro la bravura di un gruppo diarchitetti italiani. L’Italia avrebbedonato, per la festa, quatto busti inbronzo di discrete dimensioni,quattro teste alte più o meno unmetro e mezzo da disporre in unparco, in quei giorni ghiacciati, inuno slargo sulla via degli italiani.L’ho capito molto molto dopo avercreduto, e ricordato per anni, chefosse in riva al fiume in mezzo allacittà, la Neva: evviva i correttori dibozze! Avevo con me una macchi-na fotografica digitale, non ce neerano ancora molte in giro, michiesero di fare delle fotografie damandare a Roma. Andammo conMarco, Linda ed un interprete.Fummo accolti dal decano degliscultori di Russia, l’autore dei bron-zi. Il suo studio era bellissimo e,come tutta l’Accademia, dava unsenso di tempo fermo come se gliZar, o Lenin, fossero passati pocoprima. Ci fece accomodare, ci offrìun tè, una vodka e ci fece vederebozzetti e disegni, ci illustrò la tec-nica di fusione. Poi ce la portò a 17

ndo che genera bellezze, anche se

spesso con materia mostruosa come18

visitare. Altissime aule infilavanouna nell’altra, si passava attraver-so studi e laboratori dove si pote-vano vedere modelle nude in auledi disegno dal vero o motosegheaccese nelle falegnamerie. Gli stu-denti erano di tutto il mondo e di untipo che aveva un suo carattereoriginale, figli di un altro blocco:iracheni, cinesi, coreani del nord.La luce naturale delle finestremolto alte, le enormi tele di canapaarrotolate che aspettavano il loroturno, l’odore dell’olio di lino o ilcolore della fredda polvere delgesso costituivano la scena. Unvago affiorare di memorie associa-to ad uno scivolamento verso lanostalgia distolsero la mia atten-zione subito prima di rendermiconto di essere davanti ad uno deicentri di un patrimonio enorme.Non so se ancora gli studentiquando lì si laureano assurgono alrango di ufficiale militare e comeloro ricevono la divisa con unagiacca e gli alamari, i fregi sul col-letto, originari delle uniformi.Accademia e suo pubblico ruolo:come una società forma se stessa,il rango cui considera e pone i suoigiovani migliori. Ma ci rendiamoconto? 19

e il cemento. La bellezza è nel sacro

Ieri sera, tornando dal cinema conGiorgia, in motorino lungo il CastroPretorio, le chiedevo se avessemai osservato la bellezza della fio-ritura della pianta del Cappero, agiugno. Dove il Muro di perimetrogira, uscendo dai sottopassaggi, alsemaforo del Policlinico, tra le pia-nelle romane in qualche fessuradella calce, a due metri di altezzaci sono un paio di piante che cado-no come l’acqua, fino al nostronaso. La notte, quando il solecocente di questi giorni è passatoa scaldare l’altra parte della sferae i suoi effetti, qui, fanno abbassa-re la temperatura, il fiore ne appro-fitta per dare il meglio di se. Misono allora accostato e ne ho rac-colto uno. Finito il giro ed arrivati aisaluti ci siamo ritrovati a contem-plare il Cappero. Molti di voi pen-seranno che nella vita c’è altro dimeglio da fare, ma il tempo Luidato quella sera si è fissato. LaBellezza, quella della Natura resti-tuisce all’Uomo uno dei suoi centriprincipali. Guardatelo se vi capita,è più bello di un’orchidea, ha quat-tro petali freschi, bianchi di piantagrassa, un fuoco d’artificio di pistil-

gesto creativo, al di là di ciò che vi20

B E L L E Z Z A

li umidi e profumati, dopo un po’che li senti, li tocchi, sono ancoraumidi e profumati di un aroma deli-catissimo. Nel coglierlo pensavoche è un fiore che ha un prima eun dopo. Prima bocciolo va sottosale e poi, frutto, va sott’aceto. Èstrano no? La maggior parte dellepersone che conosco li detesta insalamoia, ovvero sale ed acetoinsieme.L’Egemonia della Tecnica nellanostra società è produttrice di alie-nazione. La tecnica non vedel’umano come invece le Bellezzeche rappresentano la Vita e parla-no al Sentimento. La bellezzadella Natura ci è data così e basta,siamo noi a crearci categoriecome “bella” o “brutta” che per Lei,non hanno senso. La Bellezzadell’Arte fa il mestiere opposto ediverso, è bella perchè siamo noi apensarla, a volerla, a farla così. Oall’opposto, per negazione siamonoi a volerla Brutta e ritorna aper-to il problema: “che cosa vogliamonoi dall’arte?”. Naturalmente nes-suno più vuole un’arte brutta ma inparecchi amano un’arte che riflettele brutture del mondo. Questomette a posto velocemente e conpoco sforzo qualche coscienza 21

ene alla luce. Ma se ci avviciniamo

inquieta. Amare un’arte che riflettele bellezze del mondo, invece,restituisce vita alla bellezza.Poco?

Dipingo in un modo che non mi hainsegnato nessuno o leggendo alcontrario l’ho imparato da tuttiquelli che mi sono passati davantiagli occhi. Sono sempre andato acaccia di parole per raccontare imiei modi di fare, con una tecnicatra le mani, mozzafiato, a cui nonho ancora trovato un nome. Nonsono mai stato ben capace di tro-varle una definizione convincente.Il mio lavoro artistico sia intesocome modalità tecnica, sia intesocome modalità compositiva e poe-tica vaga anonimo e freneticocome sempre. Di tutte le battute lapiù fulminante che ho sentito èquesta: una definizione data daLorenzo, qualche anno fa. Ungiorno in cui eravamo nello studiocon degli amici a parlare di questecose, sentendo me che definivo ilmio stile come fatto di “calce epozzolana”, prese la parola edintervenne dicendo: “Papà, ma tu

un po’ troppo al quadro, ecco che ci22

C A C I O E P O Z Z O L A N A

23

i assale una sensazione allappante,

stai sempre in cucina, tu sei“Cacio e Pozzolana!”

Wikipedia: “Per capolavoro s’in-tende un’opera importante, eccel-sa, la prima in ordine d’importanzad’un artista, artigiano, autore.” Neltempio dell’enciclopedismo attua-le, l’enciclopedia con più lettori (escrittori) nella storia, un capolavo-ro si definisce così e la parola èvalida per un artista, un artigiano,un autore. Ora, per senso comu-ne degli artisti che ho conosciu-to, l’essere messi vicino ad unartigiano non è un complimento.Quando il nostro top-artistaCattelan va dal suo artigiano cherealizza le sue (di Cattelan) operein vetroresina, gli ordina ad esem-pio un po’ di ragazzini da impicca-re ad un albero milanese, pensa diessere assolutamente diverso dalui. L’artista pensa infatti che chigli realizza il lavoro sia un meroartigiano, quasi un operaio, comeuno che fa le porte, uno chemonta i rubinetti. Uno che pensaai soldi, legge giornali sportivi, ladomen ica va a l l o s tad io .

di ispidezza e di allergia: ci ricordia24

C A P O L A V O R O

25

amo di colpo che anche noi stessi,

Sicuramente sa che il sapere arti-giano non c’è più (e non è vero) eprobabilmente anche le personecon cui lavora sono intercambiabi-li (drammaticamente falso). L’og-getto ha perduto il carattere diopera, non serve la maestria. Èfinita la ricerca: a che serve esse-re maestri? Non c’è nulla da difen-dere, nulla da insegnare. Oggiconsumiamo questo, domaniqualcos’altro ci sarà. Il suo artigia-no non sappiamo neanche chi è.Non ha importanza. Chi gli orga-nizza il busines è invece scaltro epotente, una persona cui dovererispetto. L’artista, invece, lavoracon il cervello, non con le mani.Elabora concetti e ha idee fulmi-nanti, come questa dei bambini, etanto basta per la sua statura pub-blica. Il mondo lo riconosce e locelebra, lo arricchisce e lo cita adesempio. Chi lo contraddice quan-do è così comodo e simpatico?Qual è il problema? Il sensocomune che esprime l’enciclope-dia libera Wikipedia alla voce“Capolavoro” mette insieme artistied artigiani in questa voce dove sivedono opere importanti, eccelse.Il punto di vista di tanti artisti èdiverso: pensano di essere i soli a

visti al microscopio, siamo coperti d26

dare alla luce opere importanti,eccelse. Io mi perdo, voi da cheparte state?

È un periodo che di questa parolase ne parla parecchio, è stata unadelle parole hit dell’anno appenaconcluso. Da un libro così intitolatosono usciti fuori un po’ di numeri etutti si sono messi a strillare.Fassino dice che così si apre laporta all’antipolitica che è senzalegittimazione popolare, che non èsocialmente controllabile e non èsensibile alle necessità dei cittadi-ni. Beato lui. Io invece a propositodel dibattito sulla Casta dico: menomale, è una cosa talmente vedutae taciuta da sempre, che un pocodi attenzione in più non guasta.Oltre quanto detto nel bel libro diSergio Rizzo e Gian Antonio Stella,e a quanto si dice in giro, aggiun-gerei un pensiero sul nepotismo,rimanendo curioso di sapere me-glio quanto accade nel restodell’Occidente. Nel nostro paesese nasci in un determinato mondo,qualunque esso sia, devi fare deglisforzi sovrumani per uscirne, for- 27

di morta epidermide, e di peli. Che

C A S T A

siamo un aggregato di sostanze ch28

marti e fare il tuo meritato ingressoin un altro. Qui, il ’68 non è ancorainiziato, siamo ancora alla “Can-zone del Padre” di Fabrizio deAndrè, ricordate? “..non dovrai cherestare sul ponte e guardare lealtre navi passare, le più piccoledirigile al fiume, le più grandisanno già dove andare..” Qui, sesei figlio di biologi difficilmente farailo chef, e viceversa. I magistratispesso sono figli di magistraticome pure i finanzieri e i catastali,i forestali e i parastatali. I porchet-tari, i bancari ed i cinematografari.Poca mobilità sociale, poco spo-stamento. Che cosa fare con que-sta questione della Casta non loso. Non ho idee. Guardo ai giovanie penso che forse ci vogliono isogni degli adolescenti, qualcosache sia ancora capace di inventaredei nuovi mondi, nuove menti chesappiano sognare nuovi sviluppialla nostra civiltà. Qui negli ultimitrent’anni la situazione si è incan-crenita, se cambia qualcosa ades-so ce ne vorranno altri trenta pervedere qualcosa i diverso. Io tra unpo’ sarò vecchio e ho ancora unmucchio di cose da fare, la situa-zione non si sblocca ed è meglionon farci affidamento. Quando 29

himiche, naturali, ognuna delle quali

insignificante. Ad accarezzare un 30

sarò a quel punto lì, io immagino,preferirò andare a pesca. C’è soloun aspetto che mi rode tanto e alquale non ho ancora la mia perso-nale soluzione: la Casta selezionagli ubbidienti. Non ci si entra e nonci si fa carriera se non si è affidabi-li, ricattabili, se non si è pronti aubbidire agli ordini che arriverannoda chi li ha messi li. Vince il piùsqualo, non il più intelligente; non ilpiù utile alla società ma il più furboper sè stesso. Erano meglio i tempiin cui il “Potere” sceglieva di farsirappresentare da gente più discre-ta, faceva più paura ma incutevapiù rispetto, almeno si rappresen-tava per ciò che era. Ora, in pienosfascismo il potere si fa rappresen-tare da teste di legno che non sononeanche credibili. In questi giorniun viceministro va a puttane con isoldi nostri, momenti ne ammazzauna, il suo collega di partito inter-viene il giorno dopo sui giornali perchiedere più soldi per le mogli chepossano evitare strane tentazioniai legittimi rappresentanti del popo-lo in trasferta. Ma strane di che?Un’ altra storia con un vecchioscemo, o vecchio furbo che usaun’ambulanza come un taxi, men-tendo in diretta televisiva e, per 31

dipinto di Catalani si rischia di

ora, nessuno lo castiga. Potreiandare avanti e trovarne ancora.Casta: non è una novità storica,l’eccezionalità della nostra è che ètroppo cara e troppo cialtrona.

Una delle mie prime mostre inizia-va con l’aperitivo: un quadro con leolive, nere, incorniciate era postoal cavalletto sul marciapiede, subi-to fuori della porta della galleria divia Gregoriana, a Roma. Il vino,invece, era ad un chiodo dellavetrina che guardava la pioggiainvernale scorrere lungo la stradain discesa. Apriva il servizio unpiatto di pasta con le zucchineromanesche: rigatoni. Quelle del-l’anno prima erano napoletane, unpo’ più scure e le vedremo al capi-tolo del lemma “Pasta”. Piatto esottopiatto erano presi da una trat-toria romana, li uso ancora, sonodensi, pesanti e fanno sembrare leporzioni più abbondanti di quelleche sono. Li ho dipinti in bianco eblu di Prussia, la pasta in ossidogiallo di ferro, il sugo con i rossi delcadmio e il prezzemolo con il verdedenominato “ftalo”. Visto che strani

graffiarsi le dita. Gli elementi inc32

C E N A

nomi i colori? La tela era larga duemetri ed alta uno (mi sono sempreostinato a dire prima la base e poil’altezza, come alle elementari) eaveva una cornice fatta da miamadre, Maria, in cucina, a casasua. Violetta. La comprò un miocaro amico, Stefano, la sera del-l’inaugurazione, non se ne è maipentito. La libagione continuavacon due uova al tegamino, dellostesso formato ma con un animapiù arancione, poi un altro quadro,delle stesse dimensioni, con unpiatto di carote al vapore, anch’es-se al prezzemolo. Per i più ingordi,e visto che c’era un corridoio primadi un’altra stanza, proponevo unacoppia di quadri con delle larghecornici piatte e bianche, con dentrodue piatti di mezze porzioni dipatatine in padella. Su fondo blu.Un po’ uno scioglilingua. Sull’altraparete del corridoio una ventina dipiccoli quadretti incorniciati chepresentavano un trionfo di manda-rini piramidale. Un’altra vetrina edun altro piccolo lavoro con uncaffè, al vetro. Avevo scritto un pic-colo e contratto testo, stampatocon un corpo piccolissimo, grandediciamo quattro volte un bigliettodel bacio perugina e lo presentavo 33

ollati alla tela sono sassi e vetri

fotocopiato sulla carta delle olive,quella gialla. Erano le sette di seradell’inverno del 1993-94, era la gal-leria di Yanika. Ho servito questomenù dipinto, al pubblico che arri-vava alla vernice che beatamenteaccoglievo. Lei ora non c’è più, èscomparsa prematuramente, mi fapiacere ritrovarmi ad aver fattoquesto lavoro. Conservo un buonricordo lei e di suo marito Carlo.Cucino ancora allo stesso modo,servo sempre le stesse cene sem-pre senza le stesse cose. Forse civado più piano con le patatine.Preparo per gli altri il caffè che,dopo cena, non ho mai bevuto.

Una sera tornavo verso casa dopoaver visto, con una mia amica, unbellissimo film di Zhang Yimou daltitolo “La città Proibita” del 2006.Film cinese, dove c’erano tutti igrandi ingredienti per incollare unospettatore alla sedia e lasciarlo lì.Mi sono ritrovato alla fine del film,quando hanno riacceso le luci, perqualche minuto, attonito, confuso ecommosso, a guardar scorrere ititoli di coda. In Cinese. Una impe-

macinati, sabbia, greti, laterizi prele34

C I N E M A

35

evati da cantieri edili, calcari, argille,

cementi, legno, ferro… che addens36

ratrice bellissima (Gong Lì), unimperatore severissimo (ChowYun-Fat), un palazzo enormecome la corte. Emozioni in gioco,Vita e Morte, Odio, Vendetta, Pacee Guerra. Tradimento. Sentimentiumani e universali. Cinema. Contutto il rispetto e le dovute differen-ze ma quando vado a vedere filmitaliani non sempre mi diverto così.E non è solo l’emergere della cul-tura della Cina perché, ad esem-pio, Kusturica, che è mezzo Serboe mezzo Croato non ha (aveva)una lira e mi incolla alla sedia lostesso, come il tedesco Wenders ecome pure mi fa l’italiano Salva-tores. Vedo nel cinema italianoattuale lo stesso paesaggio di tuttele altre arti: desolazione che riflettelo scenario dello stivale intero. Èbanale, diciamo tutti la stessacosa, ma è così. Cosa abbiamosmarrito? Parlando di Cinemaforse resto tanto incantato dallamessa in scena in maniera travol-gente, che travolge i sentimenti, imiei. Non come quello che deveraccontare l’emergere di un dram-ma passato, di contemplazionefredda ed analitica del dolore,quasi drammi “da camera”, comenel cinema di Almodovar, dove lui 37

ano i colori trasformandoli in denso

fa scatenare i sentimenti più pro-fondi anche quando fa stare fermi(e zitti) i suoi personaggi. E fa starefermo e zitto pure me, prende tuttala attenzione, fa fermare i ragiona-menti fino a calarmi intero dentronel film. Mi sono forse stufato diNanni Moretti?

L’idée de l’antiquité. Un’idea cuisono sempre andato a sbatterecontro. Gira e rigira a me è semprepiaciuta, “l’antiquité”. Mi è semprepiaciuto David!Conosco un bel posto dove pen-sarci su. È a Roma, nei giardini diVilla Medici. Si chiama “il Parnaso”ed è una piccolissima collinetta,prima d’erba poi coperta di scale diselce. In cima c’è un tempietto abase rotonda, una piccola cupolasu colonne ed una base su cui ci sipuò sedere. Bisogna capitarciquando fanno quelle belle mostregrandi, che i romani un po’ cono-scono, in cui aprono tutta la villa.Un luogo ameno. Un colle da cuiosservare il mondo e lasciar frulla-re le idee, dove le Muse e le Arti sipossono incontrare, magari in un

plasma colloidale. Da questo coace38

C L A S S I C I S M O

39

ervo di durezze ecco esplodere rose

bel giorno di primavera. Dove alza-re lo sguardo e sentirsi al centrodella radice dell’albero entro cuiabitiamo. Un albero di storiaumana che cerca sempre di capiredove vanno le radici e dove lefoglie: trovare la luce. Classicismoè questione di misura, una questio-ne di canone di misura che è unargomento riguardante almeno lametà delle persone viventi: quelleoccidentali o occidentalizzate. Perquelle di lingua latina il modo èdiretto; per le altre la relazioneavviene in modo successivo o indi-retto. Tutta Europa deriva da unacultura greca o romana ma nontutta è di lingua latina. L’antro-pologia ci insegna, ed io ci credo,che ragioniamo con i DNA di qual-che secolo precedente e nel casonostro 500-1000-1500 anni fa, inEuropa, eravamo divisi tra popola-zioni stanziali e popolazioni noma-di. Gli Stanziali avevano riti stabili,seppellivano i propri morti, costrui-vano fisicamente memoria, diven-tavano pittori, scultori e architetti,artisti che lasciavano manufatti. INomadi, girando, avevano riti itine-ranti, quindi temporanei, con un ini-zio ed una fine, artisti o sciamaniche davano vita a dei veri e propri

rosse come il fuoco, satolle e legger40

riti-happenings, a delle vere e pro-prie “Performances”. Dove un rito,una festa, qualcosa, iniziava poi,nello stesso luogo finiva. Non sicostruivano tracce. I Latini hannocontinuato a sviluppare questaabitudine di misurare il mondo elo fanno ancora. Questo modo difare è, per me e per qualcun’altro,un valore. Trovo naturale parlareil linguaggio della civiltà che mi haespresso. Parlarlo a modo mio,rimescolarlo e reinventarlo comemi riesce e come è giusto e nor-male fare e che tutti facciamo. Lelingue sono vive. Classicismosignifica continuare ad utilizzareun linguaggio condiviso tra l’auto-re ed il pubblico. Nella condivisio-ne del linguaggio si può fondareun accordo. Qui, per me, sta tuttoil rispetto per l’osservatore, per lasua cultura e la sua libertà di giu-dizio.

Filippo, un autore e sceneggiatoredi cinema, intervenendo sul cata-logo de “La mia Roma”, la mostrache tenni a Milano nel 2003, si sof-fermava sul mio modo di inquadra- 41

re; ecco fiorire una calla che si apre

C O N T E S T O

al sole come una vagina in amore; 42

re l’oggetto da rappresentare,escluso dal contesto. Il titolo chediede al suo pezzo fu: “SenzaContesto”. Fino a quel momento ionon avevo mai usato quella parolacosì, in quel modo. Mi aprì gliocchi. La scrittura, come tutte learti, è capace di svelarci qualcosase l’autore è bravo e se lo spetta-tore è attento. Lui lo fu, evidente-mente anche io. Che voleva direper me togliere il contesto? Che miinteressa l’oggetto e basta, la suaforma, la sua proporzione, il suocolore e la sua materia. Im-maginate la sensazione di dipinge-re il fuoco o l’acqua o il cielo o unaqualsiasi materia, sempre con laterra o la sabbia o i marmi. C’èuna simbolica transustanziazione.Oibò, basta e avanza! Daresostanza ad un oggetto rappre-sentato ad una materia informe.Fatto ciò, che bisogno c’è di met-terci dell’altro? Heidegger nei suoisentieri interrotti usava questametafora: se devo attraversare unbosco (il mondo) non è detto chetroverò un sentiero che mi porti dauna parte all’altra. Probabilmentene troverò prima uno, poi svolteròin un altro, poi aggiusterò il miocammino con un altro ancora. Con 43

ecco un grappolo di pomodori o di

peperoncini maturi pronti per essere44

un po’ di orientamento e di abitudi-ne troverò la mia strada. Dovròtrovare nel mio viaggio il filo rossoche unisce gli spezzoni di sentieroe seguirlo. Mai “il tutto” ma sempreuna “piccola parte” che insiemealle altre forma il mio percorso: ilframmento. Tolgo il contesto perquesto motivo. Filippo scriveva“Certo il contesto non ha il fascinopoetico né la prestanza fisica delledivinità della Grecia classica” e haragione. Fascino poetico e pre-stanza fisica di una Pera o di unaRosa come di una cariatidedell’Eretteo di Atene. Esattamentee sfacciatamente così. Lui scriveinfine che io chiedo al “vorticedella bellezza romana ed al pallo-re architettonico meneghino diarrestarsi un attimo per restituircisegmenti individuali delle loroidentità”. Rivolgersi all’oggetto econtesualizzarlo, studiarne le rela-zioni col mondo, vuol dire pensaredi sapere tutto di lui, è metafisica.In un epoca come la nostra in cuiognuno, se lo vuole, pensa comegli pare, con la sua testa, perchéproporre una conoscenza totaliz-zante? La metafisica della mela lalascio a Newton, a me è sufficien-te la mela. Senza contesto. 45

e colti. Ma non è l’illusione del vero

È un po’ il tema di questo libro. Ri-definire le cose come ciclo dell’at-to umano. Riprendere in esame ilmondo e notare come è mutato ocome è invariato. Ri-mettersi d’ac-cordo con gli altri su cosa intendia-mo quando usiamo una parola.Definiamo e andiamo oltre. Ride-finiamo e ri-andiamo oltre. Non sospiegarlo meglio, lo vedo come ilgirare normale del mondo, come ilciclo delle stagioni o la danza diShiva. È l’indefinibile vitalità dialzarsi dal letto la mattina e rico-minciare a definire il mondo con lavoglia, e nella speranza, di capirlodi più.

Andrea mi spiegava che in borsaposso vendere un titolo che nonho, tra tre mesi. Scelgo un azionedi qualcuno i qualche difficoltà eponiamo la vendo a dieci. Passanole settimane e il valore si abbassa:nove, otto, sette. A quel punto locompro. L’ho già venduto a dieci, lopago sette, me ne metto in tascatre. Mica male. Come nella econo-

a ispirare le composizioni di M46

D E F I N I Z I O N E

D E R I V A T O

mia contemporanea esistono pro-dotti finanziari in cui non si comprapiù una fettina più o meno grandedi una azienda, ma si fa una punta-ta di scommessa sull’andamentonegativo o positivo di un titolo, cosìè nell’arte contemporanea. Il circui-to internazionale è divenuto tal-mente connesso e talmente gran-de che si arriva a non comprare piùl’opera di un artista ma a scommet-tere sull’artista stesso. L’opera nonè importante, se l’artista ha lepezze d’appoggio giuste, se ha unpedigree in regola con gli standarddi quel mercato, va comprato. Èpresentabile al pubblico perchéquesto non guarderà l’opera, magli indici. Quando si compra unazione mica la si guarda, si guar-dano i grafici. Fa venire i brividi maè anche così. La catena diSant’Antonio. Se l’Opera ha fattoparte di alcune mostre essa èdocumento di contemporaneità.Parecchia gente non può non aver-la. Ad esempio, quanti direttori dimusei del mondo non hanno l’ope-ra di qualcuno che è in tutte le col-lezioni principali e che, arrivando,potrebbe legare il loro nome adun’idea di fresca contemporaneità:potrà dire “io vi spiego com’è il 47

assimo Catalani, come fu per i

mondo!”. Inoltre sarebbe senz’altroun ottimo investimento. Il mercatosi espande in nuovi continenti sco-nosciuti e la sete è tanta. È perquesto che salgono i prezzi signo-ra mia... Come non giudicarla unabuona mossa? Ora, a questopunto, facendoci seri, poniamociun quesito. Chi si fa carico delpeso di giudicare che cosa vuoledire quell’opera? E dopo cheabbiamo trovato chi ce la spiega, edopo che lo abbiamo ascoltato, tor-niamo all’Opera. E se guardandolaci accorgiamo che non ci dice nien-te? Che ce ne importa, a noi, di lei?Se non ci interessa niente micapossiamo sentirci in colpa …… nonc’è,…… non passa,…… vabbè!Amici come prima. Ma allora per-ché dobbiamo pagarla noi?

Cosa era e cosa è rimasto del ’77.Se ne fa un gran parlare di questitempi a causa della ricorrenza deltrentennale e dell’uscita di alcunilibri di scrittori che hanno vissutogli eventi di quegli anni. C’è moltomateriale in giro che risponde aiquesiti e non c’è bisogno che

secenteschi autori di nature morte, n48

D I S A C C O R D O

49

né la vocazione iperrealista che pure

aggiunga altro. Ho però unadomanda anche io: cosa non èrimasto di quegli anni? Il mio ricor-do è bellissimo non può non esser-lo. Avevo diciassette anni, pieno disalute e di curiosità guardavo ilmondo che si schiudeva ai mieiocchi. Per capire quello stato d’ani-mo dobbiamo tornare un po’ indie-tro nel tempo, quando il mio mondoera da poco uscito dal boom eco-nomico e dal sogno del finalmentetutto facile. Era un mondo senzacarne né pesce, arretrato, lontanodal mondo, fatto di Claudio Villa eNilla Pizzi, un mondo che avevaancora addosso l’odore contadino.Scandiva le giornate non più lacampana ma il telegiornale dellatelevisione, unica rete, in bianco enero. Un mondo quindi grigio, noio-so dove l’idea di contraddirlo eragià venuta a quelli che avevanouna decina di anni di più di me.Noi, i piccoli, ci infilavamo neimondi dei più grandi e creavamo inostri gruppi, le nostre identità, lenostre mode. Ed era tutto e tuttiinsieme, come sentivamo la musi-ca, come ce ne andavamo in giro,come ci amavamo (anche la vergi-nità era un problema politico). Unavoglia matta di leggere, di studiare.

molti di quegli artisti già coltivavano,50

51

, ma la fisica legge secondo la quale

nulla si crea e nulla si distrugge. Og52

Addirittura per un periodo ero dele-gato di classe al Collettivo d’istitu-to. Ci riunivamo in una stanza pic-colissima dove tutti fumavano, siinterrompevano, la pensavano di-versamente sul tutto del mondo ecose che oggi mi sembrano di lanacaprina. Era la scena di ore eccita-te. Non si era mai d’accordo. Forsetra le cose che non sono rimaste cimetterei proprio la voglia di nonessere d’accordo. La voglia brutaledi spiegarsi e farsi capire, anche acosto di parlarsi addosso. Pas-savamo il tempo riempirci la boccadi enormi questioni ma non parla-vamo mai di soldi (non c’erano),non parlavamo di sesso (si faceval’amore). Comunque pensavamomolto a quello che facevamo perpoi fare il contrario, che non ci por-tava da nessuna parte, ma che perme è stato un bellissimo allena-mento per il cervello!

La mia scuola di dolore si è chiama-ta CTO, centro traumatologico orto-pedico. Ci sono arrivato una dome-nica ad ora di pranzo, da Orbetellodopo una notte di bendaggi e morfi- 53

ni forma sorge da altra forma. Dopo

D O L O R E

na. C’ero arrivato con mia madre,che l’autista dell’ambulanza erapassato a prendere sotto casa,senza avvisarla, naturalmente. Miscaricarono, mi portarono al prontosoccorso e così iniziò il mio corso.Un certo profitto, mi ritengo tuttoraun discreto ortopedico abusivo.Ne ho viste di cotte e di crude, unauniversità. Risparmiandovi i varicasi vissuti da vicino, vi lascioimmaginare quanta voglia ne aves-si, uscito, di sentirne parlare anco-ra. Se non mi piace, nella mia arte,rappresentare il dolore è forse perquesto. Parlarne mi sembra irri-spettoso verso il dolore vero.Siccome la vita ci porta, sempre ea tutti, a degli alti e a dei bassi,quando ho energia da dare al lavo-ro e al mondo preferisco dare gioiaanziché dolore. Più di mezzo annoa letto, quasi un anno ingessato, lavoglia di vivere che ho avuto rialza-to dal letto, ragazzo emaciato, miporta ancora.

Me la prendo con l’Opera, le attri-buisco un dovere, affido a lei que-sta parola. Il dovere di esistere e

aver passato in rassegna l’opera 54

D O V E R E

quello di rivelarsi. Deve esserecapace di parlare da sola, di cam-minare con le sue gambe. Devesaper affrontare il pubblicoaccompagnata soltanto da unadidascalia, può portare delle pro-tesi come il cavalletto, la base, ilchiodo al muro. L’opera ha tantiprivilegi: è importante, ha valore,è al centro dell’attenzione, moltagente se ne prende cura, è finan-che una certificazione di statosociale. Ha però il dovere diincantare, incanto nel senso delmomento in cui per un attimo iltempo si ferma e lei si rivela.

Una volta Achille portò delle pornostar su una pedana del Palazzodelle Esposizioni e la chiamò,l’esibizione ed un video, “Arte ,Esoterismo e Peep Show”... E vabene che c’è il mercato e va beneche ci sono i giornalisti ma setogliamo alle parole il sostegnodel reale diventa tutto una buffo-nata. Nel più pieno senso del ter-mine, del buffone che si esibiscedavanti al Re narrando un testoinnocuo che non scandalizza più 55

fin qui prodotta dall’autore, si può

E S O T E R I S M O

nessuno. Questa é morte dell’artema di quella che non spaventa. Lacuriosità e la vicinanza con quel-l’ineffabile confine che tutti percor-riamo ogni giorno tra ciò che divi-de un senso di pienezza, di entu-siasmo, da un senso di dubbio, disospetto. Quella sera l’arte non haguadagnato, l’esoterismo, invece,ha perso. Era quello che non c’eraproprio. E non c’era nemmeno loZingarelli, in quel posto purall’epoca, già inventato. E non ècosa da poco. Perché se mentia-mo sulle parole allora mentiamopure sull’arte. Esóteros, interiore,intimo, per i greci. Non si ferma ilsospetto. Le immagini del video?Sequenze lentissime, tremanti,senza garbo. Inquadrature di invitialla festa, immagini di Eva Hengersotto l’acqua che non reggevano ilparagone né con gli spot deibagnoschiuma né con i video deimatrimoni. Il velo dell’acqua comequello della sposa. Le tette comeil bouquet. Il tempo interiore delfilm era lo stesso della pubblicitàdell’olio. Bocciato in cinematogra-fia. Questo è un problema moraledell’artista. Se egli si impadroni-sce di un mezzo, deve confrontar-si con esso. Non può usarlo mala-

senz’altro dire che per lui questo as56

mente e dire “tanto ero un’artista”.Lede i legittimi interessi dell’artein generale. Noi stessi, pubblico,eravamo lo spot. Noi legittimava-mo agli occhi della massaia chequesto realmente accadeva. Noieravamo il Porno. Noi eravamo glisfondi e le comparse delle pubbli-cità. Insomma. Siamo allora noi lemassaie che produciamo e consu-miamo noi stessi? O siamo quelliche si trovano di fronte al disvela-mento di un fatto artistico? Ci aiutiprofessore.

Ho conosciuto Vincenzo alla fine diuna fredda mattina d’inverno, aMilano. Era domenica e la camerie-ra del bar iniziava, verso l’oradomenicale del pranzo a rimetteredentro i tavolini che erano sotto ilportico. Mi stava aspettando così,con i pantaloni scuri, un trench adue petti blu abbottonato ed un paiodi rayban con le lenti sfumate in blu.Un assassino o un premio Nobel.Lo avevo cercato per tanti motivi, loavevo sempre seguito e pensavo diavere con lui alcuni fili comuni diconoscenza, lo avevo letto e mi ero 57

sunto è quasi religione, è fede nella

E V O C A R E

rivenduto più volte i suoi “Consigliad un giovane scrittore”. Una verti-gine, un attacco di ardimentosapotenza mi aveva colto nel deside-rare di conoscerlo ed ambire a farequalcosa con lui. Goffo e sgraziatoavevo immaginato di chiedergli unintervento sulle “Calle”. Era untempo che dipingevo calle, i fiori.Per una immaginata radice romanacomune pensavo gli potesse inte-ressare, o anche solo divertire, gio-care un po’ insieme sul doppiosignificato di calla come fiore o callacome “appoggio verso una bugia”.Mi fulminò. Massimo -disse- callaviene da “calda” non c’entra nientecon il fiore. Poi tu mi chiedi di scrive-re su una parola: non te lo meritiche scriva su di te? Mi regalò duepagine di parole, pesanti come lapietra e leggere come le nuvole. Miha visto come uno che con un gestosbaracca la sua scrivania dalla sto-ria per ripartire dalla preistoria.Leggetelo, apre questo volume.Evocare: dal latino Ex-Vocare, chia-mare fuori, richiamare dal profondo,uno degli insegnamenti che più miera rimasto impresso in quel suopiccolo ed adorabile libro. Tuttotorna, anche la domanda “perchésono così cretino?”

magica fisiologia del mondo materia58

59

ale. Le araldiche galline da lui dipinte

(necessariamente ruspanti perché ra60

È un’entità soprannaturale legata aun luogo e oggetto di culto nellareligione romana. Tale associazio-ne tra Genio e luogo fisico si origi-nò forse dall’assimilazione delGenio con i Lari a partire dall’etàaugustea. Secondo Servio, infatti,nullus locus sine Genio (nessunluogo è senza un Genio) (Com-mento all’Eneide, 5, 95). Nel tempomoderno, genius loci è divenutaun’espressione adottata in archi-tettura per individuare un approc-cio fenomenologico allo studio del-l’ambiente, interazione di luogo eidentità. L’Opera diventa aperta elo spettatore più protagonista: l’ar-te di oggi. Cinquemila anni sonobastati per assuefarci ed annoiarcialla convivenza con il Genius Loci.Ora ce ne siamo liberati. Abbiamovisto la nascita e l’arrivo del-l’“International Style”, della “Resi-denza”, dello “Zoning” dei linguag-gi “Minimal” fino ad arrivare, concinquanta anni di slancio, alla“Decostruzione” finale. Siamoall’ultimo passo. In questo mare didetriti non ci manca che l’ultimopasso: il trasporto a DiscaricaAutorizzata. L’indirizzo lo possia- 61

azzolano libere e gioconde), benché

G E N I U S L O C I

mo trovare ancora nel bel libro diRoberto Saviano “Gomorra”. Duealternative: o continuiamo così, edabbiamo quasi finito il lavoro;oppure ripartiamo dalla grandefrattura che creò questa disconti-nuità. Cinquemila anni a cinquanta:uno a cento. Cento per arrivarefino ad un punto e uno per distrug-gere tutto. Cento per edificare l’im-palcato della civiltà occidentale euno per smontarlo. Ed è andatabene. Cinesi, Indiani e qualcun’al-tro stanno facendo più in fretta.Català! Si può sapere cos’è chevuoi? Vorrei sentire un mondo chedopo la sbronza del Boom, delloSboom, del terrore nazionale e poiinternazionale, si sveglia, prepara ilcaffè, stropiccia gli occhi e tra i bic-chieri sporchi e i mozziconi ritrovaqualcosa per cui vale la penaspendere la giornata. Qualcosacosa? Vediamo: copio ed incollo.Cinque anni fa, nel preparare unlavoro cui sarebbero poi seguitevarie mostre scrivevo“StrutturaLinguistica”. Questo è ciò cheabbiamo distrutto e mortificato.Ogni epoca, ogni cultura ha avutouna struttura di segni che svelava ilsuo Genio del Luogo. Viaggiaresignificava “sentire” i luoghi, cono-

messe in scena per omologarle alle62

scerli e riconoscerli. Omologare ilmondo ha prodotto banlieues eperiferie. Alienazioni e violenza, laviolenza autoritaria dei luoghi. Laviolenza autoritaria del Silenzio. LaAfasia dell’architettura uccide lospazio, lo spazio umano, l’uomo.Questo è l’antidoto all’omologazio-ne, non aver paura della propriaspecificità, unica singolarità.Questo lo strumento: il linguaggio.Non esiste lingua viva se noncome fusione di Antico e Con-temporaneo e la continua e rela-zionata coesistenza vivifica il dialo-go e dà pienezza e appartenenza.Per amare un Cinese devo essereprofondamente Italiano e averedavanti uno che è profondamenteun Cinese. Devo riprendere a silla-bare, ripartire dalle forme linguisti-che elementari. Altrimenti siamodue dispersi che vanno in giro inattesa di incontrare una discarica.Autorizzata.

Venne un tempo in cui ero inquietosulla definizione dei miei ultimi studie alcuni degli esami complementariche dovevo ancora fare erano un 63

e creature umane, sono lì, invero, a

G I U D I Z I O

po’ banalotti. Avevo sentito parlaredel corso di Estetica che tenevaEmilio Garroni alla facoltà diFilosofia, a Villa Mirafiori. Chiesiconsiglio ad un mio professore, sol-tanto dopo amico, Giorgio, che cosane pensasse. “Vai vai, è robabuona” rispose.Misi l’esame nel piano degli studi,ad ottobre iniziò il corso e andai.Molto bello e molto sentito. L’aulaera piena da scoppiare e noi stu-denti incantati. Seguii con moltaattenzione e molto impegno ma allafine delle lezioni non mi sentii pre-parato ed aspettai l’autunno, poi lostesso e infine decisi di seguire unaltro corso, anche stavolta conimpegno. Alla fine della stagioneesitai per andare all’appello dopol’estate. Andò bene. Emilio mi hainsegnato tante cose sul Giudizio:che è scevro di ogni interesse, chestimola la libertà d’animo e accendei sensi. Credo, o mi piace pensarlacosì, che arrivava a porre, senzadirlo, che il Gusto, nella conoscen-za, si svela prima dell’intelletto.L’arte anticipa di una frazione lascienza. Gli ho chiesto per qualcheanno di lasciarsi coinvolgere adintervenire su un lavoro che avevoin corso sul tema di una, diciamo,

dare dignità artistica a un essere v64

65

vivente al di là del suo destino. La

bellezza della gallina è il tutto, è la 66

“laica sacralità”. Io dipingevo nuvolee lui prendeva tempo, sentiva diavere una salute fragile e di doversirisparmiare. Poi mi telefonò un gior-no e mi dettò delle cose al telefonoche ho appuntate ascoltandolo sudue foglietti di carta da acquerello,poi me le rimandò per mail. Cos’è ilGiudizio? Rincontriamo un amico, oun parente dopo un po’ di tempo edimmediatamente sentiamo se stabene e se ci fa piacere rincontrarloo no. È indefinibile. È un sentimen-to generale e sintetico che seandiamo a sezionare rischiamo dirovinare. Va lasciato così. Inde-finibile. Il dialogo con l’oggetto dellanostra attenzione ci porterà avederlo sotto altri piani di lettura, anotare altre ed altre cose. Faremocongetture, considerazioni fino ache non ci fermeremo di nuovo, loguarderemo ed egli, l’oggetto, ciridarà il piacere di quella primaemozione. Concludendo: le manife-stazioni dell’oggetto sono infinite, ilpiacere del bello è sempre uno.

Questa storia affonda le sue radiciagli albori della coscienza adole- 67

bellezza del creato, e non ha altro

G O M M O N E

scenziale. Una domanda ripetutatante volte da diventare leggenda,la prima di questo libro: “Perché michiamano Gommone”. Tutto risaleai miei 12-14 anni, andavo al marecon il mio amico Flavio e suo padreMario ci portava in giro con ungommone. I fatti salienti erano due:ero cicciotello e non giocavo a pal-lone. Stavo sempre a mollo. Alungo andare mettere a mare ungommone dalla spiaggia, che ècosa un po’ faticosa, fece venirevoglia d’altro ed il gommone fu tra-sferito al lago di Bracciano. Eraancora navigabile a motore. In più,Mario, ci insegnava a fare sci d’ac-qua. Tra sciate, cadute e capitom-boli la battuta ricorrente era “tu e ilgommone siete uguali!” Passaronoun paio di stagioni ed un giornoarrivò la notizia: la rimessa diBracciano è andata a fuoco contutto il contenuto. Così la battutadiventò “adesso, di gommone, cisei rimasto solo tu!”

Conobbi Luigi in ascensore, unasera. Arrivava a Roma dopo il mili-tare e veniva a studiare. Abitavamo

scopo che esibire se stessa. Il mass68

G R A F I C A

vicini, io al sesto piano, lui al setti-mo, su un’altra colonna di apparta-menti. Io mi formavo da architettoe lui da grafico e pubblicitario.Passavamo parecchie e belle oreinsieme. Era un cultore, in erba,della grafica, della tipografia, delcarattere, del minuto senso dellalettera, dell’arte della calligrafiache c’è nella grafica. Apprez-zavamo la bellezza della “M” tra lelettere che incidono il timpano delPantheon, qui a Roma e passava-mo parecchio tempo a sproloquia-re così…Lui diceva di fare ilmestiere più antico del mondo, lostesso pensavo anche io ma imestieri erano diversi, eravamogiovani e di belle speranze quindianche un po’ puttane per restare aproposito di mestieri antichi. Luisosteneva che il primo uomo dise-gnò un animale per propiziarsi lacaccia. Per questo, diceva, il primomestiere dell’Uomo è stato rappre-sentare il mondo con un segno: ilGrafico. Io sostenevo che il primovivente che ragionò scelse la suagrotta per abitarla. Per ricevere se,la sua donna e i suoi cuccioli. Fuarchitetto! Grafico o architetto,l’Uomo si è dato, e vi ha scrittosopra, un abito per più di cinquemi- 69

simo dell’effimero coincide, qui, con

la anni, e questo abito, o meglioquesti abiti hanno sempre avutouna forma. Servivano tutti e due,effettivamente, a qualcosa. Erano,e sono, e restano, connaturati allavita dell’uomo sulla terra.

Ho conosciuto Ugo ad Ovindoli.Era già un uomo sulla cinquanti-na, un avvocato, alto dirigenteassicurativo. Ero ospite di suonipote Raniero. Avevo da pocosubito l’incidente di motocicletta.Un ammiraglio, all’epoca, settan-tatreenne mi aveva investito diretromarcia da sinistra. Eranopassati più di sei mesi e giravo amalapena con le stampelle.Guardavo gli altri sciare. Avevo incorso perciò una serie di causeper il risarcimento di un sinistroche mi aveva lasciato dei dannipermanenti. Tra una polenta eduna partita a carte si rivelò subitoun uomo con un cuore immenso.Si studiò tutti gli atti e diresse,informò ed insegnò. Non succes-se nulla ma mi aiutò. In questicasi, ogni volta, è presente unsentimento di gratitudine che non

l’essenzialità, con l’ontologia stessa70

G R A N A

71

a. Così la pasta con le zucchine, gli

so controllare. E neanche espri-mere. Tutto ciò che ricevo misuscita un senso di grazia immeri-tata e ne porto memoria a lungo.Gli anni passarono da quell’inver-no tra il 1979 e l’80 fino a quandoverso il 1994 Ugo iniziò a perderela vista ed a temere di diventarecieco. Lo vidi un po’ di volte, lasua vista peggiorava e lui mi rice-veva con un senso di dignitosa econsapevole serenità. Mi davasempre molto coraggio. Nel 1995tenni una mostra ove si vedevanopiccole isole e mari sotto grandicieli di terre. Avevo impasti di terredi geologie diverse, per la granaformidabili al tatto. Riconoscibili.Impastai un cielo a sei colori diocre con una specie di talco chia-mato “Bianco Meudon”. Per l’isolainvece una pozzolana passata adun setaccio più grande. Il marecon un misto tra i due. Il giornodopo, asciutta, la guardai. Bene.Chiamai Ugo per andarlo a trova-re ed l’indomani fui lì. Ormai ciecoe sempre appassionato, insiemealla moglie e a due delle figlie, nelsilenzio di tutti scartò il pacco. Lacommozione fu generale nelvedere lui con la sua isola. Comese la toccava, la accarezzava,

ortaggi, la frutta sono catalogati insi72

faceva commenti. Era sua, lui cela illustrava! Salto tutta la fasesuccessiva per chiudere a direcome questo fu il caso, e la perso-na, in cui e per la quale nacque ilprogetto di Sento Terra unamostra di pittura per vedenti e nonvedenti.

Ho immaginato in questi giorni direalizzare una scultura: un vitellod’oro, un bel casino, significa lavo-rare al negativo, dare valore ad undisvalore, dare sostanza a qualco-sa che non mi piace, cercare ilbello in qualcosa che è brutto. Serealizzo un peperone cerco la suavalenza, il suo carattere sacrale, ilvitello invece mi parla dell’idola-tria, di qualcosa che disprezzo.Eppure sento che lo voglio fare,mi piace e non riesco a spiegarmibene perché mi và. Vediamo. Tutticonosciamo nella tradizione cri-stiana la storia del vitello d’oro,quello che fu adorato mentreMosè era sul monte a ricevere letavole della legge. Adorare…quante volte al giorno sentiamodire “lo adoro”? Spesso si tratta di 73

eme con i ritratti, i corpi, i cieli. Non

I D O L A T R I A

un oggetto, come può essere untelefono, un televisore, un auto.Altre volte si tratta di una persona,un autore di qualcosa, uno stilista,un musicista. E già va meglio, maquante volte ci dimentichiamo diadorare i sentimenti o le persone ededichiamo i nostri sensi alla ado-razione di un oggetto? Idolatriabella e buona! Non fosse altro cheper questo, il mio vitello va fatto; eme lo immagino proprio così:seduto a terra, con le zampe ante-riori ripiegate in posizione di ripo-so, le orecchie dritte e la codaavvolta sul fianco. Tutto d’oro zec-chino, lucente e levigato. Un qual-cosa che guardandolo ogni voltami sia di ammonimento, un lavoroche mi dica, che mi ricordi, di nonprestare troppa attenzione aglioggetti, o meglio che mi ricordi lagiusta posizione da tenere nellascala dei valori: adorare di meno eguardare di più.

Finchè eravamo chiusi in unaEuropa spezzettata gli anglosasso-ni avevano la loro storia, la loro tra-dizione ed al di là di un po’ grigio

solo, irrompono in questo panora74

I N G L E S I

orizzonte, avevano il mondo colo-niale, inesplorato, esotico, ricchis-simo. Noi, per non essere da menoci siamo dati qualche provincettadegna delle nostre forze, non più dimezzo milione di morti. Qui erava-mo, latini ed anglosassoni insieme,qui in questo piccolo e stretto con-tinente. Con l’avvento della mon-dializzazione loro si sono trovatigià piazzati nel mondo. Si sonoritrovati in eredità i Capitali, leBanche, le Basi e se non vi sembrapoco anche la lingua. I più anglo-sassoni sono un inglese, uno scoz-zese o un irlandese. Anche un po’un tedesco e un po’ un polacco oun indiano. Un po’ meno, ma sem-pre più di me, un pakistano.Parecchio un australiano o un neo-zelandese. Discretamente un mal-tese, un sudafricano, un hawaiano.E tutti gli statunitensi con tutti i loroulteriori sviluppi. Tutti? Sonomezzo mondo! Un bel po’ di genteda osservare che mi incuriosisce espesso mi fa chiedere: quali sonole principali differenze tra loro, e dame. Poi ne parlo con una miaamica inglese e lei ribalta tutte lemie certezze. Potenza femminile,potenza madrelingua. Avevo, fino-ra, considerato “pratico” un ameri- 75

ama edenico squarci di palazzi e

costruzioni quasi tutti di stile razio76

cano quanto “formale” un inglese.Poi scrivo il lemma e Linda mi cor-regge: “Se mi posso permettereuna considerazione sui miei con-nazionali - l’inglese è compassato,riservato forse introverso ma nonformale per es. i giardini all’inglesesono quelli spontanei, naturali. Alcontrario sono i latini che amano laforma (i giardini italiani per esem-pio sono i più formali del mondo).Quanto è gentile un irlandese osevero un tedesco. “Se fossi tede-sco ti citerei Goethe!” Per fortunanon è tedesca: darle torto? Nean-che a parlarne. Quanto è gentileun irlandese o severo un tede-sco? Lasciam perdere. Per capirecome essi sono diversi da me, miguardo allo specchio, mi ricordo diessere latino e li inquadro meglio.Mi ricordo gli spagnoli ed i france-si, un po’ i belgi e un po’ gli sviz-zeri. Pure i portoghesi. Loro Goticie riformati. Noi Classici e controri-formati. Rivoluzioni industriale,borghese, comunista tutte passa-te lontane da noi e di più verso diloro. E pure il ’68! Bellezza e veri-tà più spostate verso di noi e lon-tane da loro. Una bellezza assolu-tamente bella ed una verità asso-lutamente vera: ci crediamo? 77

onalistico, senza alcuna distorsione

Occhio Max: una definizione delgenere, vista da Roma dove tuttoè così eterno, rischia di incrostarsifino all’Apocalisse.

Tutta la storia artistica umana haavuto uno sviluppo lineare fino al1700 quando inizia la divisione trale arti. D’ora in poi quelle più orien-tate verso un uso strumentale ver-ranno chiamate “arti”, quelle desti-nate alla contemplazione verrannochiamate “arti belle”. Prima eranoun’unica cosa poi due, facile. Finoall’inizio del ‘900 non ci sono statealtre novità. Il secolo inizia con l’in-dustria ormai in fase avanzata chenon produce più solo acciaio o car-bone: inizia ad affermarsi il prodot-to industriale. Oggetti destinati aduna diffusione a più vasta scala perun pubblico che da contadino si facittadino. Visto l’incalzare dellaconcorrenza l’impresa si vedecostretta ad evolvere ed inizia aproporre un nuovo valore, aggiun-to, all’oggetto: il design. Emil eWalter Rathenau, fratelli, direttoretecnico e commerciale della AEG,danno inizio alla storia del Design

visiva, come foto turistiche scattate78

M A E S T R I A

79

e dal basso o di fronte. Come dire:

quando, in Germania, commissio-nano le prime opere, i primi prototi-pi ad un architetto: PeterBeherens. Lui dovrà inventareoggetti che oltre ad avere unaforma ed una funzione dovrannoavere anche uno stile. Questi dal1906 progetta, realizza, scrive,disegna. Insegnerà al Bauhaus.Sarà sempre di più un protagonistadi questa nuova, ipotizzata, arte.Immagino questa gente al lavoro:la prima cosa di cui avranno avutobisogno, la prima materia cheavranno toccato sarà stata la mae-stria. Per dare la forma ad unacosa, ne devi conoscere benissimola sostanza, le caratteristiche inti-me della materia. Ne devi conosce-re l’odore, il peso, il colore, l’intimaessenza. Ti ci devi rompere latesta. È passato un secolo e tutto ècambiato di nuovo. Oggi il prodottoindustriale ha acquisito delle vere eproprie strutture di comunicazioneche devono essere realizzate dainventori non soltanto capaci maanche così innovativi da diventare imaestri dei loro raggiunti saperi.Quindi Maestri. Ieri oggi e domani,tutti quelli che vogliono spostarepiù in là il limite non hanno maipotuto, e non possono, fare a

tutto quello che l’uomo fa rientra ne80

meno della Maestria. È ancoraattuale che un oggetto sia belloanche perché ha una sua esecu-zione unica, è bello perché ha unasua interpretazione magistrale. Èancora uno dei requisiti. Michelangelo quando ha fatto laCupola, ha pensato alla sua forma,alla forza espressiva del suo valo-re simbolico. Che stesse in piedi,che non cadesse per terra e chedurasse in eterno, lo ha dato percerto. Cos’è la maestria? È quellafacoltà che sta sotto alla moda, allostile, alla forma. Se c’è maestria lamoda è gusto, altrimenti è cianfru-saglia. Uno stile deve convincereper la sua colta costruzione altri-menti è baracca. È una linea rossache seguiamo all’inseguimento diuna vita, che vissuta con maestria,ci sfugge e ci spaventa di meno.

Trittico dell’Ortolano – Questo iltitolo che ho immaginato per que-sti lavori che stanno crescendo inquesti giorni. Sono tre lavori dibase 1,20 e altezza 0,60. Fondo innero-blù, ottenuto miscelando:90% sabbia di ladispoli e 10% 81

lla stessa enciclopedia di ciò che fa

M A I U S C O L A

marmo di carrara come inerti.Colla vinilica come legante e bluoltremare a saturazione. Ne esceuna materia opaca, densissima,molto granulosa apparentementenera ma che nel guardarla spostail giudizio e fa sentire un blu pro-fondo. Su questo fondo ci vado adipingere, o meglio a spatolare trefiori, così piccoli che tenerli fermi efotografarli è un impresa. Vivaci. Ilfiore del Pomodoro, il fiore delPeperoncino, il fiore della Melan-zana. Maiuscoli. Tutti e tre comecampanule, che guardano in bas-so ed in basso mostrano il lorocuore. Uno è giallo caldo, un altroè bianco freddo, il terzo è violaceochiaro. Tutti hanno grandi gambet-ti che si articolano nello spaziocontro ogni gravità. Grave è il fioree leggero il gambetto. Maiuscolo èqualcosa che da oggetto semplicesi innalza, assurge, si eleva acategoria, diventa un punto cospi-cuo, cui spesso ci si riferisce. Unpunto, grande o piccolo, di riferi-mento. La bellezza semplice di unfiore così comune legato tantissi-mo alla nostra esistenza, perchénon deve meritare uno sguardo?Uno sguardo sulla umile e gran-dissima bellezza del mondo.

la natura. Con gli stessi materiali, cio82

Perché nello spazio del nostrosguardo non ci deve essere unposto per la Bellezza? Perchéoltre che vivere le tragedie delmondo non posso vivere ancheun’altra vita dove i miei sentimentisono vivi, il mio cuore in pace?Uno sguardo, quello che chiede lapittura all’osservatore, quello cheun osservatore va cercando quan-do si avvicina ad una pittura.Certe volte la Melanzana si scrivecon la maiuscola.

Dizionario Zingarelli (ingl.) s.m. inv.“Complesso delle attività volte allamiglior conoscenza del mercatopotenziale di un prodotto per orga-nizzarne la vendita nel modo piùefficace”. Questo è un concettoche sottopongo all’attenzione deimiei amici artisti. Alcuni sono deire, altri sono dei sudditi e comesappiamo la conoscenza, in que-sto caso, fa bene. Conoscere ilmercato potenziale, questo dice loZingarelli. Lo teniamo presente?Quanto ci piace di più, stare nelnostro studio, magari con una bellamusica ed in una bella giornata, ad 83

oè con la polvere, con la sabbia, col

M A R K E T I N G

affondare nel nostro lavoro. Inse-guire le cose che ci passano per latesta, lavorare e “laboriosamente”dargli forma. Magari avere un belsistema di gallerie che sappiacapire il nostro lavoro. Mettiamocipure un bel successo di critica e dipubblico. Quant’è più faticosoinvece uscire dal guscio e affronta-re una materia che non conoscia-mo, roba da economisti, numeri.Siamo soddisfatti di come vanno lecose? Perfetto, questo caso èrisolto. C’è un altro caso: quello dichi ha qualche motivo per essereinsoddisfatto. E ne basta uno.Alzando lo sguardo e cercando dicapire come pormi a questa que-stione nel mio lavoro. La primacosa che ho visto, anzi sentito,sulla materia era questa: “unImpresa, spende uno per produrreun prodotto e sei o sette per ven-derlo”. Allora mi sono chiesto:quanto e come io mi spendo pervendere la mia arte, che natural-mente è anche un prodotto?Guardare il mondo con gli occhi dichi compra. Roba vecchia, qualcu-no dirà; non tutta dico io, c’è delmoderno, chi compra è anche libe-ro di non comprare. Non c’è nientedi autoritario se non gli aspetti

vetro, col ferro, sono fatti uomini, an84

85

nimali, piante e case. A questo punto

c’è da chiedersi: in tutto questo dov86

legati alla persuasione ma questolo affrontiamo un’altra volta. Orami sta a cuore chiudere raccontan-do una piccola lezione ricevuta daPaola. “Quando vendi non pensa-re che stai vendendo, tu sei solo liper mostrare e fallo perbene, conzelo e con gioia. Lascia che sial’altro a comprare, nella sua liber-tà. Non ti far condizionare dallasua scelta e non condizionarlo.”

Negli spessi periodi di tempo in cuiera in giro il mangiatore di vermi(che trovate alla lettera P di“Provocazione”) stava per accade-re un altro fatto, diciamo qualcosasempre di disgustoso. Un conflittoumano era in corso, niente digrave. Senza far nomi e sincera-mente una volta soltanto, è succes-so anche a me quel che segue. Inun sistema di segni dove molto ègià stato inventato, ebbi l’idea didipingere e regalare ad una perso-na che capiva bene il messaggio,un quadro con un bello stronzo. Darealizzare con l’impegno che nor-malmente metto in tutti gli altri lavo-ri. Per me che non mi occupo abi- 87

v’è la storia, dove sono il prima e il

M E R D A

tualmente di questo, non era unaimmagine qualsiasi da cercare ecreare. Era il mio primo e volevaessere l’ultimo. Il sempre ed il mai.Doveva essere l’incarnazione ditutti i possibili scenari fecali. Il cano-ne classico espresso nella sua piùpura proporzione. Sarebbe potutoessere lo stronzo del signore. Nonera sposato. Sta di fatto che io, l’og-getto, l’icona, volevo che fosse mia,volevo prima cacarlo, (che non èuna bella idea ma imprescindibilenella composizione), poi piazzarlo,illuminarlo, fotografarlo e infinedipingerlo con la terra ed il marmo.E basta, non fate i maliziosi. Unlavoro non tanto grande e tantosentito...Ho fatto bene a non farlo,non è questo il luogo dell’arte. Ècome quando sono in giro perRoma in motorino e guidando neltraffico mando a cagare qualcuno.Non serve a niente.

Questa è la seconda leggendache racconto. Tre fatti non costi-tuiscono una realtà, ma una leg-genda sì. Il Primo. Ero in Russia. In riva al

poi, dov’è l’apocalisse così necess88

M I R A C O L O

mare in mezzo a delle case chechiamano dacie. Una sorta diTorvaianica Pietroburghese. Co-me la località vicino Roma in cui,prima della bonifica delle paludi, lagenerazione dei nostri nonniandava a caccia di uccelli dipasso. Poi con la generazione deinostri genitori il territorio è statointensamente costruito con secon-de case. Ora con la generazionedei nostri figli le case sono diven-tare da seconde a prime. Così inRussia. Era inverno eravamo in treed era domenica. Il termometrodella macchina segnava –30°. Cieravamo preparati per una pas-saggiata indossando tutto doppio.Due calzamaglie, due calzini, dueberretti. Si vedevano le donne delluogo andare con i secchi a pren-dere l’acqua con indosso una spe-cie di stivale di feltro lungo finoall’inguine e sopra strati e stratifino al fazzoletto in testa. Dellematrioske viventi come nei quadridi Chagall. Siamo scesi dalla mac-china al limite della spiaggia edabbiamo fatto il giro di una piccolacostruzione camminando primasulla spiaggia, gelata. Poi sulmare. Gelato. Fa un certo effettofare due passsi, poi altri due, poi 89

sariamente incombente nei colleghi

altri due verso l’orizzonte ed averesotto i piedi un po’ di neve, chescansata lascia vedere la superfi-cie del mare ghiacciato. Dopoquattro minuti e mezzo eravamogià in macchina di nuovo.Il Secondo. Ho i denti separati efin da piccolo so fischiare in unmodo in cui l’aria passa attraversodi essi. Ne esce un fischio moltoacuto, udibile bene anche se nonha la potenza del fischio dei peco-rari. Mi riesce, neanche tantobene, l’imitazione dell’uccellino.Iniziai con i canarini di mia madre.Cercavo di imitarli per vedereeventuali reazioni. Poi continuaicon una granula indiana di un mioamico e poi varie volte in varie cir-costanze. Continuo ad applicarmicon umiltà e buona volontà maessi, gli uccelli, non mi hannoancora risposto. Io gli fischietto eloro guardano da un’altra parte…Il Terzo. Ho vissuto sempre inmezzo alle femmine e per nonsoccombere ho sviluppato unaintensa conoscenza di studiosodel pensiero femminile. In partico-lare è impegnativo risolvere i rap-porti con gli esemplari di “LupaCapitolina”. Alzano il pelo, digri-gnano i denti, arrivano a mettere

della generazione di Catalani? L’imm90

91

magine è di qualcuno che ha liberato

una zampa anteriore sul fianco el’altra anteriore ti punta un ditoroteandolo. Unghia affilata, minac-cia ravvicinata. E così, dai e dai,ho imparato a parlarci.Riassumendo: cammina sulleacque, parla agli uccelli, amman-sisce le lupe capitoline, ci sono gliargomenti per rendere leggenda-rio un giovane maestro.

Sei anni fa, mio figlio iniziava laterza elementare. Un bel settem-bre romano incorniciava una mat-tina dedicata alle maestre. Si par-lava dei programmi, delle nuovecose che avrebbero insegnato,della storia classica e, visto cheeravamo a Roma, di Roma. Iopadre giovanile subito mi vado adinteressare alla parola “gite”,quando esce per la prima volta.Mi era venuto in mente il Mitreo diSan Clemente e lo proposi.“Mitra?” chiese la maestra di sto-ria. “Si Mitra, la religione prero-mana, sa, per cominciare…” Lamaesta rispose: “Sa, io so’ fore-stiera”. Era solo di Todi. Qual è lamorale?

il tavolo di lavoro con un’ampia sb92

M I T R A

93

bracciata e ha deciso di cominciare

Negli anni in cui ho insegnato inuna università privata chiamataIED, una delle cose che più mi pia-ceva portare ai miei studenti erauno strano palinsesto didattico. Eracomposto di una prima opera edue opere sue derivazioni, altret-tanto importanti. Nel primo capitolo del palinsesto, siiniziava con la lettura, di “Heart ofDarkness”, nella traduzione italiana“Cuore di Tenebra”. Vedevo comemolti di loro non ne sapesseroniente e li stordivo, spaesavo laloro attenzione (sono tuttora con-vinto di non essere un buon docen-te) sottolineando che questa fosseun’opera pubblicata nel 1902 e chesolo allora un artista-poeta-lettera-to riuscisse a scrivere una partituracapace di svelare agli occhi delmondo l’orrore del colonialismo,che il linguaggio fosse straordina-riamente fumoso e destrutturato,ecc. ecc. Gli studenti romani pen-sano in romano, anche quandovengono da altre regioni e si chie-dono “chevvordì?” A quegli occhipersi raccontavo che Conrad fu ilprimo a rivoltare il concetto usatofino ad allora dove la tenebra era

tutto daccapo, ha deciso di fare tab94

O R R O R E

della Barbarie e la luce dellaCivilizzazione, la nostra. Il suoromanzo ce lo fa sentire e ci fachiedere se la luce della civiltàfosse invece la loro. Il viaggio dirisalita di un fiume tenebroso epericoloso come iniziazione umanaad una visione del mondo endoge-na, conosciuta attraverso l’espe-rienza e l’intelligenza personale eletta attraverso il proprio giudizio.Roba da far perdere la testa.Il secondo tempo della mia lezioneè nella prima derivazione delromanzo. Siamo nel 1979 quandoJohn Milius per Francis FordCoppola scrive “Apocalypse Now!”che lo gira e lo produce. Coppolasottolinea come cardine della nar-razione sia la definizione di“Insanity” che viene fatta gravaresul Colonnello Kurtz, che dapprimasi distingue per meriti ed encomifino ad essere destinato ad unacarriera folgorante nell’esercitoamericano. Ha però una sua mora-le, una sua propria caraturaumana, cui tutto questo fa orrore emoltiplicandolo, si mette in proprio.Sfugge alla macchina che gli dagloria in cambio di obbedienza.Il terzo tempo è contemporaneo alsecondo ed è un altro film di 95

bula rasa e affrontare subito la pre-

istoria, senza porsi alcun problema d96

George Hickenlooper e Fax Bahr:“A Filmmaker’s Apocalypse” uscitoin Italia con il titolo: “Viaggio all’in-ferno” dove la moglie di Francis,Eleanor Coppola descrive variecose. È un documentario girato inBetaCam, che narra in presa diret-ta il viaggio interiore del maritoFrancis e del suo lavoro nella rea-lizzazione di questo film. Ci rac-conta ad esempio di come lui pen-sasse di rispettare i contratti cheprevedevano di girare gli esterni incinque settimane, nelle Filippine.Povero ingenuo, ci resterà seimesi. Cosa sono “Darkness” o“Insanity” avrebbe dovuto poi stu-diarli ben più da vicino. Arrivò altracollo economico. Era lui anche ilproduttore di questo film che nonaveva voluto produrre nessuno. Viracconto alcuni episodi che hovisto nel film di Eleanor che narrale stesse scene ma da un altropunto di vista. Nel girare scena delprimo attacco al villaggio, quellodella cavalcata delle valkirie diWagner, per intenderci, oltre avedere Francis in mezzo agli sparicon la cinepresa, il dolly ed ilmegafono, vediamo la sua incaz-zatura quando Marcos, il dittatoreall’epoca delle Filippine, gli ritira 97

di scuole pittoriche o sterili estetiche

mezza flotta di elicotteri d’attacco,regolarmente affittati per andare abombardare, davvero stavolta, altriribelli, veri. Oppure la scena in cuiMarlon Brando gli fa più o menoquesto ragionamento: “tu mi hai fir-mato un contratto per cinque giornia un milione di dollari al giorno enon sai che cosa farmi girare(Francis si era perso). Due me nehai dati di acconto: o li perdi o mifai girare. Coppola allora ideò lascena finale del monologo in cuifece leggere per tre giorni e senzasapere bene cosa, un delirio ditesti e poesie che montò tagliando,poi con calma. Oppure ancora lascena in cui la moglie racconta chequando iniziarono questo viaggioerano molto ricchi. Francis avevaappena vinto l’Oscar con “IlPadrino” ed era veramente sullacresta dell’onda. La rovina econo-mica per la produzione diApocalypse era stata devastante efu costretto a cedere alla UnitedArtists tutti i diritti del Padrino I e II.Che sventola! La fortuna arride agliaudaci ed infine arrise anche a lui.Il successo del film fu eterno, lecasse ebbero il ritorno di tutti irischi e degli investimenti ed anco-ra oggi ricevono royalties che

concettuali. E questo solo perché 98

vanno dalla versione Redux ai variFun Club. Tre testi narranti cometre matrioske. Tre intepretazioni,tre opere d’arte che narravano l’or-rore ed il suo mostro. Tre autori.Tre episodi: Conrad che racconta ilricordo delle armate romane. Fran-cis che inizia il film con un biancoed una sola voce narrante per rac-contare il risveglio del protagonistae il suo sogno, nero, dell’orrore.Eleanor nelle scene della suapaura quando vede il marito che siè perso nell’Orrore.

Erano giorni di sole intenso, sisudava. Eravamo al mare con lamia quasi sposa, ospiti di una cop-pia di amici, in agosto. Il padronedi casa, Roberto, era uno che daragazzini chiamavamo “il secco”.Con gli anni si fece un giovaneuomo e sempre secco rimase.Ancora del tempo passò e vedem-mo un impegno nuovo, una nuovaalimentazione e un nuova attivitàin palestra. Noi maligni abbiamosempre pensato che qualche inte-gratore gli sia stato di aiuto matant’è che mise i muscoli. 99

Massimo Catalani, per indole, per

P A S T A

Indubbiamente aumentò la suamassa. Ogni giorno fette di carneal sangue alternate, nei pasti, acarboidrati. La pasta a pranzo e lebistecca a cena. Anche in vacan-za. L’argomento di conversazioneprincipale diventò il menù. In questicasi ricordo alla mia coscienza cheviaggiare vuol dire conoscere, con-dividere e i primi giorni mi sonolasciato meravigliare da questadieta “muscolare”. Come in tutte leconvivenze, con il passare di giornie con il girare dei mestoli nellepignatte, si capisce se girerannopure le scatole o no, tutto dipendedall’incontro tra i modi di vita. Ilcaldo mi portava a desiderare cosefresche, verdure fredde, cibi crudi,piatti poco elaborati. Riuscivamo amitigare l’impatto bovino col pesce-spada. A metà della settimana, travita di spiaggia e fette di cocomero,pelle calda e arsura, avevo inbocca desiderio di verdure. Tra unargomento è l’altro proposi percena zucchine lesse. Fredde, cap-peri e prezzemolo. Magari conpatate e carote. Apriti cielo! Conun processo ironico ed immediatoscreditò la mia proposta, roba damalati. Rinunciai alle zucchinelesse. Un altro giorno o due dopo,

candore, o per partito preso, è con100

101

nvinto che un fiore che nasce in un

nell’insofferenza, di getto, mi bale-nò in mente la sfida. “ti faccio unpiatto di pasta con le zucchine cuinon potrai dire di no!” Lo immaginaigrande, sfacciato. Era poco più diun anno che avevo messo a puntola mia tecnica personale. Questa èla storia di come nacque il mioprimo piatto di pasta: “Pasta con leZucchine” anno 1991, cm 150x95,marmo, colla e colore su lenzuolovecchio di mia madre.

L’invito era arrivato dal Ministerodegli Affari Esteri, una serata esti-va, al circolo sul lungotevere,dove si sarebbe festeggiata ladelegazione che tornava con ilsuccesso del padiglione italianoalla Expò Mondiale di Aichi, inGiappone, durata metà del 2005.Una cena seduta, sul prato in rivaal fiume. Al mio tavolo alcuni altriartisti che come me, avevano pre-stato per l’occasione dell’Expòalcune opere. Prima della cenaalcuni interventi dei padroni dicasa che hanno dapprima illustra-to il padiglione italiano nella citta-della, e poi i risultati della missio-

porcile è bellissimo come un fiore ch102

P O M P A

ne, ringraziando per i prestiti.Rocco Buttiglione, credo all’epocasottosegretario agli esteri (o mini-stro della Cultura?) intervenne.Superati saluti e ringraziamenti,mentre le ultime arie del ponenti-no romano si spegnevano, iniziòun discorso sulla BellezzaItaliana. Come questa nella Storiaavesse sempre avuto un ruolo dispicco e come cifra distintiva lacapacità di coniugare il bello el’utile. Citava la bellezza dellaFerrari, anche essa esposta adAichi, e la tecnologica bellezzaleonardesca dei suoi freni. Tra glisponsors c’era “Pompe Brembo”.Ci raccontava, da filosofo, comel’Italia della Ferrari, dei suoi stili-sti, del suo Gusto e tutto il resto,rappresentassero nel mondo laBellezza in modo indiscusso. Aqueste parole attorno al mio tavo-lo, tondo, agli artisti si attorciglia-rono le budella come a me. Noiche ci siamo a fare? I nostri mae-stri nemmeno? La bellezza di ieriequivale oggi, alla bellezze che ciindica il politico?Razionalizziamo: pensai. L’arte èfine a se stessa e si fonda nellasua intima possibilità di farcigodere del senso della Bellezza. 103

he sboccia in un giardino. Lui parte

da qui. Toglie lo sfondo, che è ius, 104

Le arti applicate devono arrivaread una “applicazione”. La Ferrario la Pompa Brembo sono delleapplicazioni. La bellezza di unmobile o di una barca o di un autonon sono destinati alla contempla-zione ma servono a mettere inordine i calzini, vivere il mare ofare i giretti. Faccio un paragonecon cui metto d’accordo tutti.Quando ascolto Mozart, chiudo gliocchi ed apro le orecchie, lo fac-cio per godere. Lascio svaporaretutta la mia attenzione mano amano che sento la musica avvici-narsi al corpo. Non serve altro.Non serve a niente. Non deve ser-vire a niente. Non tutta la musicami fa lo stesso effetto, se sento lasuoneria del cellulare non godoaffatto e piuttosto capisco che c’èqualcuno che mi chiama. Quellanon è musica. È qualcosa che siserve del fantasma della musicaper farsi gli affari suoi. Non è lastessa cosa, non si accendono lestesse facoltà dell’animo, anchese uno è bacato. La frontiera tra learti e le arti applicate è viva evegeta, è una vecchietta moltoarzilla. La lezione sulla bellezzadella pompa Brembo professore,prima di cena, ce la risparmi. 105

e su un colore puro crea una calla,

Viceversa, sempre lì, dentro l’edi-ficio del Circolo, ci sono un paio dilavori miei proprio in tema diBellezza, due Rose, perché non fauna passeggiata?

“I russi hanno imparato la lezionedai nuovi paroni de Venexia, gliAmericani: basta dare privilegi apochi, anche denaro naturalmente,e questi si divertono sul serio”.Così scriveva sul “Sole 24 ore” del10 giugno 2007, parlando dellaBiennale, Philippe Daverio. Cosac’è di più bello che essere all’ante-prima di una mostra che per esse-re vista necessita di tanti giorni,tanti incontri con tanti amici, tantialberghi, tanti ristoranti, tutti ele-ganti ed in più con il conto pagato?

“L’arte si occupa di problemi. L’arteinternazionale si occupa di proble-mi”. Internazionali? Non sapreiessere più preciso. Di questo discu-tevo in questi giorni davanti ad uncaffè con Ludovico, un amico critico

che è fas. Chi osserva il quadro è 106

P R I V I L E G I

P R O B L E M I

107

di fronte all’idea platonica del fiore,

oltre ogni contesto sociale. È una108

d’arte. “Nel Club, ristretto, dell’arteinternazionale ciò che non si occu-pa di “problemi” non trova spazio”.Ne discutevamo attorno ad un arti-colo su un settimanale che raccon-tava di una nuova visione del fareartistico di importanti neri newyor-kesi. Tutto ciò associato al candida-to nero alla presidenza degli StatiUniti Obama. All’ultima Biennale ilnostro artista giovane di puntaaccarezzava la stessa tematica.Scelto ed invitato da un curatoreamericano, che invitava solo artistiitaliani operanti in America. Pro-blemi? Parecchi! È da sempre chemi sento sensibile ai problemi delmondo, li ho vissuti in vari modi,non ho mai trovato il modo, l’ispira-zione, l’idea per impegnare il miolavoro, orientarlo verso i “problemi”.Ma non è che il mio lavoro nonponga problemi, almeno a me nepone e pure a qualcun altro. Allorala questione si sposta verso la defi-nizione di “Problema”. L’inter-pretazione della parola secondo unconcetto, per essere semplicemen-te semplici, tipo: “Vip-Candidati-Tsunami-Guerre-Fame-Sangue”non mi piace. Ce n’è già troppo, didolore, in giro per crearne dell’altro.L’arte che celebra un Potere o 109

a provocazione, dura e cruda, che

un’arte che lo denuncia non mi inte-ressano. Forse è una forma dipudore. Quando sono stato nellavita al cospetto del dolore è semprestato in luoghi altri da quello dell’ar-te. E l’arte mi ha portato sempre inluoghi altri da quelli del dolore. Nonsta all’Arte celebrare e mettere inscena il senso di colpa dell’occi-dente. Leggere nelle macerie nonmi dà un mondo nuovo. È moltomeglio prenderle, reimpastarle, tro-vargli nuovi sensi, nuovi motivi divita, di accettazione in un sistema,il nostro. Mi piacciono le arti chefanno questo. Nell’”arte” ci mettotutto, dalla musica al cinema allapoesia. La pittura è soltanto una tradei Pari. Quindi, finito il caffè ed ildibattito sui problemi, continuo apreferire interpretare il mio lavorocome un viaggio verso la sorpren-dente meraviglia quotidiana dellavita. Banale?

Se guardo una zucchina, la suaproporzione mi dice se è correttao no. Se è in salute o no. È unacosa che non vale soltanto perl’ordine corinzio, ma anche quan-

tuttavia sbalordisce e colpisce, per110

P R O P O R Z I O N E

do sono al mercato. Dov’è che miviene la voglia di mangiarla?Nell’immaginarmi il piacere che midarà! Allora l’insieme delle memo-rie, delle regole, delle consuetudinie della storia costituiscono unretroterra alla mia cultura che mi faimmediatamente e senza filtriapparire una zucchina o una colon-na giusta o sbagliata. L’ordine clas-sico è anche questo.

Tutti conoscerete Il Pisciatoio diDuchamp e la Merda d’Artista diPiero Manzoni. Per chi non li aves-se ancora incontrati, sappia che ilprimo è un orinatoio rivoltato e fir-mato con uno pseudonimo, ilsecondo è un piccolo barattolo,come quello del tonno da 200g,con un etichetta che dice: “Merded’Artiste”. Sono sicuro che nelleintenzioni dei loro autori non eranoopere d’arte. Sono nate tutte e dueall’indomani di un rifiuto all’esposi-zione di altre loro opere, nonaccettate. Entrambi gli autori lehanno concepite come provocazio-ne verso un mondo dell’arte che liaveva appena esclusi. “Stronzi!” 111

rché in quella visione essenziale è

P R O V O C A Z I O N E

Sembravano dire. Questo avrannopensato, all’indomani delle esclu-sioni, mentre dicevano “Piscia” o“Merda”. Questo, secco, era il mes-saggio che volevano inviare ai loroinquisitori. Storie divertenti ma checi ricordano come quegli artisti nonavessero in mente di dare caratte-re di “Opus” a quelle opere poichèsemplicemente non volevano dar-glielo. Erano gesti, gestacci, insulti.Le vere opere della loro arte le ten-nero per sé. “Non capite la miaarte? Questo vi meritate!” Tiè! Maquest’altro me lo riporto a casa. Ilsistema dell’arte ha poi fatto ilresto. Trovo che ci sia una soprav-valutazione dell’arte che vienepensata per provocare. Ma quale èla molla che l’arte deve provocare?Sentite quest’altra. Un’altra di que-ste, artistica e più brutale, cui hoassistito una sera, è andata così: inun insieme di ex capannoni, erastata organizzata una mostra-festa, dove oltre al lavoro di alcuniartisti era stata attrezzata una pistaper ballare. In uno di questiambienti c’era un’installazionecomposta da un letto dell’altrosecolo, malandato, in ferro, vec-chio, scrostato, con sopra un mate-rasso di lana, vecchio, andato. Alle

implicita la tragedia di un mon112

113

ndo circostante, di un contesto

due pareti dell’angolo contro cuiera appoggiato c’erano delle tavoleal muro con dei chiodi ed appese,apparentemente, delle bistecche.Completavano l’opera, nel sensodell’intera istallazione un numeroimprecisato di vermi, larve dimosca, per uno spessore di cinqueo sei centimetri, per tutta l’esten-sione del materasso, a due piazze,del letto. Musica, luci, gente cheballa, di luglio in questo capannoneall’Ostiense, vermi che cadono, sipistano, si spiaccicano, schifosa-mente. Tutto questo riguardaval’opera fissa ma il programma,ricco, prevedeva anche una perfor-mance dell’autore. (mi scuso con illettore per la difficoltà nello sceglie-re il linguaggio da adottare nei con-fronti di questo argomento, dovefacilmente si può perdere la misu-ra). Si balla, si spiaccica o si èspiaccicati. Umpa! Umpa! Umpa!Si accendono le luci per l’ingressodell’artista. A tempo di musica e atorso nudo, scalzo e con i jeans,ballando, arriva. Va verso il muro,stacca le “bistecche” e le indossa:erano un gilet. Di carne bovina.Con quel caldo…. Per farla breve:gira che ti rigira si sdraia sul letto, afaccia in giù. Si riempie la bocca di

irrapresentabile perché inesistente. 114

115

Ed è inesistente in quanto l’autore

vermi, li mastica e li deglutisce.Stampa, telecamere, folla, faretti,furia, fretta. Fretta di uscire perritrovarmi fuori, a prendere unaboccata d’aria, ricordarmi di essereattaccato al mondo. Provocare, nelsenso di far nascere, dare vita, aduna emozione ha un senso neutro.Si può cercare di generala bella obrutta ed ognuno fa prodotti daguardare o guarda prodotti, di altri,come gli pare. Provocare il disgu-sto è solo disgustoso.

Tecnica dei predicatori che ren-dono Dio inarrivabile e loro ilponte verso.

Sono nato nel 1960, la guerra erafinita da un po’ e chi voleva, pote-va pensare che non fosse mai esi-stita. I nostri genitori si accontenta-vano di poco dopo l’elettroshockcollettivo e mondiale. Potevanoscegliersi un lavoro, una famiglia,una casa e magari qualche voltaandavano pure a ballare. Così

ha tutto passato alla macina, e im116

R E L I G I O N E

R I C O S T R U Z I O N E

siamo nati noi. Sani e belli, latte inpolvere e Benjamin Spock. Era-vamo ormai in pieno Boom e laspensieratezza, allora, necessariaai consumi prevedeva la rimozionedi tutte le storie dei nostri genitori.La cultura contadina che era cen-trata per legge naturale sullasostenibilità si andava perdendoed insieme ai mobili della nonna igenitori gettavano la cultura delletagliatelle e del rosolio, della mar-tingala e della pialla. Sapevanocostruirsi la vita. Il contadino eraanche falegname e muratore. Nonesisteva ancora lo specialismo.Non ce ne fregava niente dellafame, non ce ne fregava niente diDio, della Patria, della Famiglia.Non ce ne fregava neanche troppodi studiare, di faticare, di soffrire.“Chi te lo fa fare?” era la domandache ti sentivi fare spesso. Soltantodopo da grandicello ho iniziato adascoltare i racconti di famigliasulla Fame, sul Fascismo, sullaGuerra, sulla Guerra Civile. Suuna Italia che da contadina chenon era mai stata nella Riforma,nella Rivoluzione Industriale, nellaRivoluzione Borghese, e che sipreparava a scampare pure daNorimberga per andare a sbattere 117

mpastato nei colori, proprio per far

nascere un fiore inessenziale alla 118

contro il ‘68 dove una intera gene-razione ha voltato lo sguardo e siè messa ad osservare le altrenazioni e perdendo completamen-te una linea di sviluppo con la cul-tura dei padri. Questa è l’origine diLele Mora, il manager dello showsystem. Costruzione contro con-sumo: arrivati ai limiti della soste-nibilità dello sviluppo non è arriva-to il momento di chiederci se nonsia il caso di cercare una soglia,un punto di discontinuità dovesmettere di consumare sfrenata-mante e ritrovare la bellezza dellelente costruzioni? Quanto è lentoun albero o un bambino o unpalazzo. Non è più bello mettere lecose in fila e guardarle crescerepiuttosto che ogni giorno ricomin-ciare da capo?

Ingredienti per quattro persone:quattro pugni di riso carnaroli, duespicchi d’aglio, olio, peperoncino,due bustine di zafferano, un bic-chiere di vino rosso, corposo,quattro rose di campagna, nontrattate. Dividete gli spicchi d’aglioin sei parti ciascuno e soffriggeteli 119

vita degli umani. Per quella calla

R O S O T T O

con il peperoncino. All’inizio delladoratura versate il riso e lasciateche la temperatura salga. Versateil bicchiere di vino e il tutto fumeràdando avvio alla formazione di unpo’ di “cremina”. Asciugatosi il vinoe prima che la cremina vengaasciugata dalla cottura del riso ini-ziate a versare l’acqua bollentecon il mestolo. Aggiungente laprima delle due bustine di zaffera-no e girate meticolosamente.Iniziate a preparare le rose cheavrete precedentemente lasciato amollo con un cucchiaino da caffèdi bicarbonato. Togliete i petali piùbrutti e metteteli sul tagliere.Scegliete i 25 petali più belli per lasuccessiva guarnizione dei piatti.Tagliate gli altri petali a strisciolinesottili. Nel frattempo avrete, conl’altra mano, continuato a girare ilriso e questo sarà ormai quasipronto. Ad un minuto dalla finedella cottura mettete l’altra bustinadi zafferano e la metà dei petalitagliati. Girate, spegnete. Sul piat-to posate l’altra metà delle rosetagliate e sul bordo, dividendo lacirconferenza per cinque, i petali diguarnizione. Grattugiate del pepeal disopra e, se disponibile, lascia-te cadere interi quattro o cinque

Catalani ha polverizzato palazzi, ca120

121

astelli, caserme, monumenti, strade;

ha drenato fiumi, ha raccolto sabb122

chicchi di pepe rosa. Se siete inonda, aspettate tre giorni per i datiAuditel.

Lascio questa voce ad una citazio-ne che girava i giorni scorsi: “Ilrischio per gli scrittori non è mai diaver svelato un segreto, di averscoperto chissà quale verità nasco-sta, ma di averla detta. Di averladetta bene. Questo rende lo scritto-re pericoloso, temuto. Può arrivareovunque attraverso una parola chenon trasporta soltanto l’informazio-ne (che può invece essere fermata,diffamata, smentita), ma trasportaqualcosa che solo gli occhi del letto-re possono smentire e confermare.E questa potenza non puoi fermarlase non fermando la mano di chiscrive”. Roberto Saviano a “IlMessaggero” del 21 giugno 2007

Ho avuto una esperienza: un veroaffare detto di “Maria Calzetta”.Cerco di spiegarmi. Cinque anni fa,all’asta di finanziamento della 123

ia, pozzolane, limature, frantumi di

S C R I T T U R A

S P E C U L A Z I O N E

prima campagna per la elezione asindaco di Roma che corse, e poivinse, Walter Veltroni, fui chiamatoa donare un opera. Durante il gior-no eravamo liberi di portarla.L’appuntamento dell’inizio del-l’evento era per le diciannove aPietralata, in un ex lanificio. Ungrande locale industriale accoglie-va la mostra delle opere in unambiente, vuoto, illuminato di neon.In esposizione molti pezzi, più diduecento. Molte cose, alcune moltobelle, un po’ di magazzino, cosedagli eredi, in generale opereimportanti. L’asta era fissata per ledieci. Qualcuno tra quelli che siincontravano andava a farsi unapizza, qualcuno una bistecca. Alritorno dalla cena la scena apparivaanimata. Si era fatto però talmentetardi ed in piedi nel loft di Pietralatanon si stava così comodi che prestorimase la scena di un asta sostenu-ta da poche persone che compra-vano tutto. I banditori di una impor-tante casa avevano scelto una poli-tica di vendita dove l’opera venivaofferta ad una base d’asta moltobassa per non incorrere nel rischiodi rimanere con dei lavori nonaggiudicati e chiudere l’eventomonetizzando all’istante. Oggi

vetro. “Assenza,/ più acuta prese124

diremmo “cartolarizzando”. Ioavevo donato una piccola figurafemminile, con un fondo di pozzola-na romana ed un impasto nellascala tra il suo rosso scuro ed ilbianco del marmo di Carrara.Quando illustrai a Walter la tecnica,(l’opera si deve illustrare da sola),con cui l’avevo realizzata la osser-vò con molta cura, fece domande,ci fecero delle foto, si interessòmolto e mi disse “Massimo grazie,grazie veramente”. Il valore del-l’epoca era di 1.800.000 Lire. Labase d’asta 350.000. In mezzo atutti quei lotti di lavori arrivati alla “c”toccò alla donnina. La gara fuabbastanza accesa a rialzi di50.000 in 50.000. (come cambianoi tempi: scrivere queste cifre, contutti questi zeri fa pensare al giocodel Monopoli. Seicento! Sei e cin-quanta! Settecento! Settecento euno….. Settecentocinquanta!Settecentocinquanta e uno……Settecentocinquanta e due……Alzai la mano. Ottocento!Aggiudicato. Venne lesta unasignorina gentile, con il librettodelle ricevute e la penna, presel’assegno, mi consegnò il quadro.Elegantissimo. Che piacere sco-prirsi nei panni dell’altro che nor- 125

enza”, scriveva Attilio Bertolucci. A

malmente hai di fronte. Fu così cheme ne tornai a casa una notte, daPietalata, col motorino, la mia don-nina, riflettendo su come era belloandare e tornare con lo stesso qua-dro, ed anche con la stessa donna.Però continuo a chiedermi: io ero lospeculatore o lo speculato?

L’arte contemporanea è unoStrumento per “indurci” a riflette-re..... Quante volte l’avete sentita?A me non è mai piaciuta: puzza distrumento di gestione di qualco-s’altro. Consenso? Visibilità?Potere? Strumento in mano a chi?L’opera non può portarsi addosso ilpeso di indurre qualcuno a riflette-re su qualcosa. Indurre chi, qualecategoria? Il cittadino? Il consuma-tore? Orrore! A riflettere su checosa? Sulla fame nel mondo osulla catastrofe ecologica; la guer-ra o un altro guaio. A me gelanoquelli che queste cose le fanno perdavvero. Se il lavoro non è sincero,capace di convincere fortementeper quanto è forte il messaggio siridicolizza. Non riesco a prenderlosul serio. Non mi svela niente di

premiare Massimo Catalani è prop126

S T R U M E N T O

127

rio il suo candore, la sua passione

nuovo. Magari, visto che ci siamo,mi farei una riflessione sull’indipen-denza di giudizio del sistema del-l’arte di successo. Adoro l’informa-zione e ne faccio uso, mi piaceguardare ai fatti del mondo quandomi vengono espressi in manieracredibile. Alle volte, a convincermici riescono i giornalisti tra i quali c’ègente che ci crede e gente che cimuore. Meno spesso l’arte quandosi nasconde dietro ad un concetto.Invece è l’arte stessa che ci inducea riflettere, che apre i nostri oriz-zonti sempre e tutti i giorni. È il suoopposto, la tecnica ed i suoi deriva-ti, che dandoci le macchine permigliorare la nostra vita ce nerende schiavi. Ci dà la forza lavoroma ci chiede il tempo. Una parte èdovuto, una altra è rubata. Tuttal’attenzione che ci viene assorbitaper propagandarci le macchine èrubata. Se vogliamo una macchinanon dobbiamo che sceglierla enaturalmente pagarla. È un furtoproporci in continuazione vini etelefonini, saponi e scarponi,mostre ed inaugurazioni. Non cibasta la tecnica e la buona volontàper vivere. È l’arte stessa che ciinduce a riflettere perché ci riac-cende i sensi. Questa è la più sem-

autentica per ogni lavoro fatto con le128

plice legge. Il concetto al posto del-l’oggetto l’ha inventato il ‘900, oraha stufato. L’opera continua adessere oggetto che rimanda ad unconcetto, e poi ad un altro è poiinfiniti per quanti sono gli osserva-tore e le osservazioni. E parallela-mente corre il Giudizio che ci dicevia via se ci piace o non ci piace.Quando per la centesima volta cisbatteranno in faccia opere terrifi-canti ed irrilevanti, opere che cispiegheranno qualcosa sul mondosoltanto dopo lo svelamento delloro concetto, come in chiesa,saranno finalmente convinti diaverci indotto a qualcosa? Non c’èreligione, non c’è mai stata unareligione dell’arte. Un uomo unvoto si diceva: io aggiungereianche un giudizio.

Questa è la terza ed ultima leggen-da del libro. Come nasce la mia tec-nica pittorica. Antefatto 1. Mia madre aveva unnegozio di Libreria, Cartoleria eBelle Arti. Lì sono cresciuto e lì hoavuto il diritto di essere il primo adaprire con il taglierino, gli scatoloni 129

e mani, che trasforma la grezza creta

T E C N I C A

che arrivavano dai fornitori. Le carte,i colori, gli inchiostri, le colle aveva-no ognuna un odore che ho ancoradentro. Quando capito in un qualchenegozio del genere che esiste anco-ra provo lo stesso effetto.Antefatto 2. Avevo una professores-sa di Educazione Artistica, alle scuo-le medie che ci chiedeva un lavoromeno di tecnica pittorica e più dislancio, anche concettuale. Miapprezzava molto e mi incoraggiava.Antefatto 3. Ero sposato con unarestauratrice e vivevo avendo suifornelli la colla fatta con le ossa deiconigli e sui tavoli tutti barattoletti dipolverelle varie e talvolta colorate. Antefatto 4. Al tempo dei miei esor-di nel mondo dell’arte ero costrettodentro il disegno tecnico di architet-tura e ho passato parecchi mesi adisegnare il progetto della tesi achina. Per uscire dalla gabbia hoprovato i primi impasti. Antefatto 5. Spendevo varie oredella mia giornata dentro cantieriedili, con la cravatta e la sigaretta, aguardare gli altri lavorare.Così la leggenda vuole che un gior-no, mentre il muratore Mario stavaimpastando qualcosa a terra, ilMaestro (io) si sia strappato la cra-vatta e gettata a terra la sigaretta,

in simulacri della vita. In questo non130

131

n bada a spese. Passa il tempo più

chiese spazio, si avvicinò, impugnòla cazzuola e prese possesso dellamateria. Lì nacque il primo pitto-muratore della storia. Ogni uomoinventa la sua leggenda.

Una volta, guardando un trasmis-sione televisiva, vidi BeniaminoPlacido ed Indro Montanelli. Eranointorno ad un tavolo pieno di libri.Divisi in due gruppi di una quindici-na di volumi intorno ai quali paca-tamente discorrevano con i loroabiti consueti, i loro modi abituali,come in un soggiorno. Parlavanonaturalmente di letteratura ed inparticolare dell’800. Muovevano ilibri come a mostrare il contenutodella pila. Ne leggevano gli autori:Goethe, Stendhal, Hugo, Dosto-evsky, Mann, Puskin, Dumas,Stevenson, Tolstoy, Melville, e cosìvia. Poi passando agli altri: Leo-pardi, Leopardi, Leopardi……Perché questa differenza tral’Italia e il resto dell’Europa? Eperché nel frattempo da noi fiorivala lirica che tutto il mondo ammira-va? Perché in Europa si era svi-luppato il testo scritto e in Italia il

tra sassi e sabbie, come un cerc132

T R A D I Z I O N E O R A L E

testo narrato? Perché erano piùbravi di noi a scrivere e leggere enoi più bravi di loro a cantare edascoltare? I conduttori della tra-smissione imbastirono le risposteintorno ad un concetto che io hocapito così: l’essere vissuti attra-versati dalla Riforma ha portato gliEuropei del nord ad appropriarsidel testo mediante la lettura diret-ta, e quindi leggere molto e poiscrivere molto. Essere vissuti inItalia, dove le Riforma non è pas-sata, ha continuato a portare gliItaliani all’ascolto del verbo da unsacerdote, ascoltare una melodia,vivere una sceneggiatura, fa ladifferenza. Anche questo è il belloed il brutto del nostro paese, iospesso ci godo e spesso mi ciscorno.

Cos’è una trovata? Il vocabolarioZingarelli lo definisce come: “Ciòche si escogita per uscire da unasituazione difficile o imbarazzan-te, idea felice, buona idea.” Ma cirendiamo conto? L’identificazionetotale e perenne tra Idea e Opera.Ciò che non è mai stato in tutta la 133

catore d’oro, che davanti alle tele.

T R O V A T A

storia delle artisti è avverato soloper un secolo e solo per il lavoro,dapprima di alcune avanguardie,poi per l’opera degli epigoni.Quanta arte che abbiamo visto èstata così. Cosa pensa la nostrasocietà, cosa pensa il mio vicino:l’opera esiste ancora o è statasostituita da una “Idea Felice”?Recentemente leggevo l’ultimolibro di Francesco Bonami. Luigira molto attorno alla differenzatra opera e trovata però non homica capito come lui la definisce.Qual è il confine mica lo dice.Vanno bene tutti quelli che hannoavuto o hanno successo. Vannobene pittori e scultori, squartatorie farmacisti. Sono Star, sbancanoal botteghino. Dov’è l’opera d’artee dove la trovata? Oplà, giocodelle tre carte. Io questo confinenon so definirlo meglio di lui maqualche nota a margine la dovròfare, qualcosa sulla essenza del-l’opera che per me, latino, deveavere, tra l’altro, una materialità.La prima parola che mi sconvolsea lezione di Estetica.

Tutta l’arte comincia da là.134

135

139

Massimo Catalani nasce a Roma il 2 aprile del 1960.Cresce nella cartolibreria materna in mezzo a libri, pen-nelli e colori. Dopo la maturità si iscrive ad Architettura.Inizia una stagione di viaggi, letture, esperienze. Si lau-rea nel 1988 e l’anno seguente si iscrive all’Ordine degliArchitetti di Roma. Già nella rappresentazione del pro-getto di tesi sperimenta degli impasti pittorici al confinetra la pittura, il modellato, la muratura d’architettura.Termiata la preparazione dell’esame di stato e dell’unicoesame di dottorato, decide di avere la sua prima “uscita”d’artista. Nelle prime mostre collettive espone dei sogget-ti “irriverenti” per il mondo dell’arte e “riverenti” per il pub-blico: paste con le zucchine, carciofini romaneschi, fichid’india e trittici di peperoncini. Nella prima personale“Natura Picta”, da Roma&Arte, a Roma, quadri appesi almuro, coloratissimi, soggetti semplici, materie sorpren-denti. Uno shock per un mondo in bilico tra concettualee minimale. Da allora ogni anno o due, una nuova espe-rienza. Nel ’93 in risposta alle bombe ai musei della mafiainizia a dipingere galline. Nel ’95 al Polittico presenta“Vedo Terra”, immagini di mare realizzate solo con terrenaturali. Nel ’96, a S.Maria in Vallicella, presenta “SentoTerra”, con il patrocinio del Comune e della Caritas, asostegno della Lega del Filo d’Oro, una mostra perVedenti e Non-Vedenti. Nel ’97, a Ginevra, da “NotaBene” inaugura “Woman, Just part of her” tutto incentratosulla figura femminile. Nel ’98 dà vita ai VideoWall com-ponendo analogie di schermi televisivi raffigurando ciòche la televisione non può mostrare: la bellezza di unoggetto senza prezzo, un limone, un mazzo di cipolle sufondi blù. Nel ‘99 interviene sul carattere agricolo delComune di Roma. Nel 2000 presso la galleria Arhus diBruxelles presenta una vasta antologica, successiva-mente nella galleria PescePalla, Tribeca, New York, pro-

pone “L.I.F.E” un visione d’Italia attraverso la pittura deisuoi cibi. Nel mese di agosto durante la giornata mondia-le della Gioventù, presenta nel chiostro dei SS. QuattroIncoronati, in Roma, la mostra “Simboli Sacri” con unpane, un vino, due pesci, tutti di dimensioni colossali. Nel2001, in maggio, presso lo studio d’arte Campaiola davita a “HPEB” ovvero “hai paura di essere bella?” dovetenta di attribuire alle Rose l’ulteriore valore simbolico dirappresentare la bellezza della pittura in generale. Nel2002 dipinge un albero e lo dona al Gin Charity Gala diMontecarlo per le vittime dell’11 settembre mentre prepa-ra mostra su nuovi soggetti quali l’Architettura, l’imma-nenza del Sacro. Nel 2003 torna a temi di Architetturapresentando “La mia Roma” presso lo studio Freyrie&Pestalozza di Milano. Affronta il tema dell’interpretazio-ne del testo amoroso con la mostra “SMS-TXTErmeneutica del messaggio amoroso”, curata daA.M.Sette e presentata al Teatro Sala Umberto, Roma.Altre mostre in Belgio, in Svizzera. Nella primavera 2004tiene una antologica a Seoul, Corea. Nel settembre unapersonale a New York, secondo passo dell’architetturadal Titolo “My Urbanity”. Nell’Inverno 2005 presenta aMilano e a Ginevra “Anto-illogica”, raccolta di lavorisenza nessun criterio logico. Apre il 2006 con il suo stu-dio ampliato e ammodernato dove prepara nuovi lavorisul profondo mare delle Acciughe e sui volti diAmici&Parenti, poi si dedica a temi sull’immanenza delloSpazio Celeste, mentre riflette e prepara le “Radici delVino Italiano” che porterà a Tokyo nel novembre del2007. Chiuderà l'anno una campagna realizzata conGreenpeace contro il consorzio del Parmigiano Reggianovisibile su You-Tube. Apre il 2008 con una mostra adOrbetello e la prosecuzione della tournée giapponesecon una mostra a Kyoto.

B I O G R A F I A R A G I O N ATA

p.2-3 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 28 elementi misure varie, dimensioni ambiente, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.8 LA GRANDE GIOSTRA DELL'ACCIUGA, dimensioni ambiente, foglio d'oro zecchino 24kt su legno e gesso

p.9 ACCIUGA, 60x60x60 cm, foglia di argentone, ferro e ardesia del Monte Bianco

p.11 ACCIUGA D'ORO, 30x30x30 cm, foglia d'oro zecchino 24kt su legno e gesso, ferro e pietra paesina

p.13 GRANDE BRANCO DI ACCIUGHE, 252x248 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.14 INDIVIDUO E SOCIETÀ-dettaglio, 19x5 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.16 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 15x16 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.17 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 12x11cm, marmo di Carrara, sabbia di Passoscuro e pigmenti

p.18 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 66x90 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.19 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 11x29 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.20 CINQUE ACCIUGHE D’ORO, 71x32 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.21 LA GRANDE ACCIUGA, 188x48 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ladispoli e pigmenti

p.21 ACCIUGA, 94x28 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.22 INDIVIDUO E SOCIETÀ, 15x15 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.23 AMERICA'S CUP CLASS 2007, 186x128 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.24 AMERICA'S CUP CLASS 2007, 21x31 cm, marmo di Carrara e sabbia di Trevignano

p.24 LASER CLASS 2007, 31x32 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.25 OPTIMIST CLASS, 186x82 cm, marmo di Carrara e sabbia di Bracciano

p.26 AMERICA'S CUP CLASS 2007, 40x69 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.27 LASER CLASS 4,7, 20x36 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.28 LASER CLASS 2007 START, 136x61cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.28 LASER CLASS 2007 START, 66x55 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.29 HOBIE CAT 16 CLASS, 62x59 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.30 AMERICA'S CUP CLASS 2007-dettaglio, 90x64 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.30 AMERICA'S CUP CLASS 2007, 90x64 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.31 DINGHY, 23x23 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.32 A C CLASS 2007, 62x80 cm, Calcare di Amelia, marmo di Carrara e pigmenti

p.33 A C CLASS 2007, 62x80 cm, Calcare di Amelia, marmo di Carrara e pigmenti

p.34 WAGNER, 189x73 cm, Calcare di Amelia, marmo di Carrara e pigmenti

p.35 AMERICA'S CUP CLASS 2007, 124x85 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.36 EARTH, 186x186 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.37 LA LUNA, 43x97 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ischia e pigmenti

p.37 THE MOON, 55x18 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

p.38 IL SOLE, 39x65 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.39 THE LARGE MOON, 320x186 cm, marmo di Carrara e sabbia del Lazio

p.39 1'000 MILES ABOVE AFRICA, 131x85 cm, terra del deserto e sabbia del Lazio

p.40 MARS, 39x25 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.41 LUNA CALANTE, 34x55 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

p.42 LA LUNA, 61x65 cm, Calcare di Terni e terra di Capalbio su foglia d'oro 24kt

p.42 THE MOON, 29x24cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli su foglia d'alluminio

p.43 MARTE: IL PIANETA ROSSO, 51x76cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.44 ME, MOON?, 254x137 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

p.45 LA LUNA ROSSA, 128x125 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ischia e pigmenti

p.45 EARTH, 124x126 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.46 THE MOON, 65x61 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

E L E N C O O P E R E

p.46 THE MOON, 48x52 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

p.47 IL PIANETA ROSSO, 20x34 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.48 MANDALA DI PERLE D’OR, 52x51 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.48 ROSA, 64x60 cm, terra del deserto, marmo di Carrara e pigmenti

p.49 PERLE D'OR, 182x122 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.50 BOCCIOLO DI BAC, 31x51 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.50 ROSA PAGANINI, 42x31 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.51 MANDALA DI ROSA ANTICA, 188x188 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.52 GRANDE MANDALA RETTANGOLARE DI ROSA DIAVOLINA, 254x186 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.53 GRANDE MANDALA DI ROSA, 251x253 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.54 ROSA NICCOLÒ PAGANINI, 115x70 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.54 ROSA NICCOLÒ PAGANINI, 80x80 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.55 ROSA PAGANINI, 144x117 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.55 ROSA PAGANINI, 186x168 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.56 MANDALA DI ROSA ANTICA, 121x121 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.57 MANDALA DI ROSELLINA NANA, 131x131 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.58 ROSA BACCARAT, 120x110 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.59 ROSA BACCARAT, 105x127 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.59 ROSA BACCARAT, 125x125 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.59 BOCCIOLO DI BAC, 125x127 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.60 MANDALA DI PERLE D’OR, 127x126 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ischia e pigmenti

p.60 ROSA BACCARAT, 122x163 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.61 MANDALA DI ROSA ANTICA, 45x45 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.62 ROSA BACCARAT, 186x191 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.63 MANDALA DI ROSA ANTICA, 181x186 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.64 HELIANTHUS, 127x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.65 HIBISCUS, 125x129 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.66 CORALLO, 110x80 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.67 CORALLO, 62x42 cm, marmo di Carrara, sabbia di Stromboli e pigmenti

p.68 LIMONE, 102x125 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.69 LIMONE CON UNA FOGLIA, 84x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.69 ARANCIO CON DUE FOGLIE, 19x22 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt patinata

p.69 LIMONE DI AMALFI, 35x50 cm, marmo di Carrara, sabbia di Stromboli e pigmenti

p.70 POMODORO, 60x60 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.71 GRAPPOLO DI POMODORI, 125x85 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.71 TRE POMODORI, 118x118 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.72 MELOGRANO, 101x116 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.73 MELOGRANO, 80x80 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.74 ZUCCA, 186x128 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.75 OLIVE, 62x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.75 DUE OLIVE CON SEI FOGLIE, 63x63 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.75 ZUCCA, 30x21 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.76 TRIONFO DI ZUCCHINE FIORITE ALPHA, 169x253 cm, marmo di Carrara, sabbia di Vigna di Valle e pigmenti

p.76 TRIONFO DI ZUCCHINE FIORITE BETA, 169x253 cm, marmo di Carrara, sabbia di Vigna di Valle e pigmenti

p.77 ZUCCHINA FIORITA, 85x35 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.77 ZUCCHINA, 50x26 cm, marmo di Carrara, sabbia di Bracciano e pigmenti

p.78 TRIONFETTO DI PEPERONCINI, 120x103 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.78 HOT PEPPER, 188x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.79 PEPERONCINO, 151x35 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.79 ACQUARELLO SU VINO, 202x54 cm, grafite e vino su carta

p.80 CARCIOFO ROMANESCO, 64x76 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.80 VERY SMALL TOMATOE, 44x35 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.81 MAZZO DI CIPOLLE, 71x125 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.82 ARANCIO, 188x253 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.83 PRICKLY PEAR V. W., 113x81 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.84 GRECO BIANCO DI CALABRIA, 62x84 cm, terra di Calabria, marmo di Carrara e pigmenti

p.84 SCIACCHETRÀ DI LIGURIA, 62x84 cm, terra delle Cinque Terre, marmo di Carrara e pigmenti

p.85 GRANDE GRAPPOLO D'UVA, 186x249 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.86 UVA FRAGOLA, 35x50 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.86 CESANESE, 59x84 cm, sabbia di Capocotta, marmo di Carrara e pigmenti

p.87 CESANESE DEL PIGLIO DEL LAZIO, 62x84 cm, terra di Sabina, marmo di Carrara e pigmenti

p.88 CALLA, 22x120 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.88 CALLA, 53x186 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.89 CALLA DI QUA E CALLA DI LÀ, 40x180 cm, marmo di Carrara, sabbia di Vigna di Valle e pigmenti

p.90 COPPIA DI CALLE, 31x67 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.91 COPPIA DI CALLE VIOLETTE, 36x132 cm, marmo di Carrara, sabbia di Vigna di Valle e pigmenti

p.91 COPPIA DI CALLE IN ROSSO, 36x133 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.92 GRANDE CALLA, 62x254 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.92 CALLA, 62x168 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.93 CALLA, 33x34 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.93 CALLA, 63x85 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.93 CALLA, 17x35 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.93 CALLA, 62x102 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.94 PARMIGIANO, 33x43 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ladispoli e pigmenti

p.94 RADICCHIO DI CHIOGGIA, 62x84 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.94 PANCETTA, 43x11 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.95 CAPPERI, 18x21 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ischia e pigmenti

p.95 RUCOLA, 62x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.95 BASILICO, 62x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.95 ROSMARINO, 26x21 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ischia e pigmenti

p.96 PASTA POMODORO E BASILICO, 184x60cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.96 GRANDE PASTA AL POMODORO, 253x124 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.97 PASTA CACIO&PEPE, 186x85 cm, terra di Capalbio e calcare di Terni

p.98 PASTA AL SUGO, 84x40 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.99 PASTA ALL'ARRABBIATA, 95x60 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.100 POMODORO E BASILICO, 84x61 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.100 PASTA ALLA PUTANESCA, 87x46 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ischia

p.100 RIGATONI POMODORO E BASILICO, 80x46 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.101 PASTA CON LE VONGOLE, 125x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'alluminio

p.102 TUNNEL, 58x77 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.103 STRETCHING WOMAN, 88x55 cm, terre del Lazio

p.104 HANDS, 135x188 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.105 LYING DOWN WOMAN, 60x68 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.105 PIEDI, 117x43 cm, calcare di Terni e pigmenti

p.106 PIEDI, 188x103 cm, marmo di Carrara, pozzolana romana e pigmenti

p.107 PIEDI, 105x186 cm, marmo di Carrara e sabbia del Lazio

p.107 LORENZO, 126x63 cm, marmo di Carrara e sabbia del Lazio

p.107 PIEDI, 127x125 cm, marmo di Carrara e sabbia del Lazio

p.108 SLEEPING WOMAN, 128x61 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.109 PIEDI, 126x63 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.109 SYREN FEET, 126x126 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.110 SLEEPING WOMAN, 50x20 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.111 LIPS, 70x50 cm, calcare di Umbria e pozzolana romana

p.111 WATCHING WOMAN, 26x28 cm, calcare di Umbria e pozzolana romana

p.112 DONNA SEDUTA, 50x70 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.113 STRETCHING WOMAN, 150x75 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ischia su foglia d'alluminio

p.113 SLEEPIN' WOMAN, 130x80 cm, marmo di Carrara e sabbia di Trevignano

p.114 STRETCHIN' WOMAN, 140x73 cm, terre di Capalbio e calcare di Terni

p.114 SLEEPING WOMAN, 169x63 cm, calcare di Terni e terra umbra

p.115 READING WOMAN, 186x70 cm, marmo di Carrara e sabbia di Trevignano

p.116 SI-STAZIONE FERROVIARIA, 149x186 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.117 VE-Teatro del Mondo, 186x253 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.118 RM-PONTE XXXVIII OTTOBRE, 67x187 cm, marmo di Carrara e sabbia di Ladispoli

p.118 GE-LA LANTERNA, 84x187 cm, calcare di Terni e pozzolana romana

p.119 RM-ROMA TERMINI, 25x94 cm, marmo di Carrara e pigmenti su foglia d'oro 24kt

p.120 VE-LE POSTE, 84x62 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.121 RM-PONTE DUCA D'AOSTA, 126x63 cm, marmo di Carrara e sabbia del Lazio

p.121 MILLENIUM BRIDGE, 128x62 cm, marmo di Carrara, sabbia di Trevignano e pigmenti

p.122 RM-VIA MARMORATA, 170x125 cm, marmo di Carrara, sabbia di Ladispoli e pigmenti

p.122 VE-SANTA LUCIA, 126x62 cm, marmo di Carrara, pozzolana romana e pigmenti

p.123 BO-CARISBO, 62x112 cm, marmo di Carrara, pozzolana romana e pigmenti

p.124 RM-PALAZZO DEI CONGRESSI, 62x63 cm, marmo di Carrara, sabbia di Stromboli e pigmenti

p.124 RM-TRITONE, 62x62 cm, marmo di Carrara, pozzolana romana e pigmenti

p.125 BRXL-PALAIS DE LA FOLLE CHANSON, 91x127 cm, marmo di Carrara, pozzolana romana e pigmenti

p.126 FI-SANTA MARIA NOVELLA, 148x187 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.127 RM-FARNESINA, 141x141 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.127 VE- IL LIDO, 85x124 cm, marmo di Carrara, sabbia del Lazio e pigmenti

p.128 PALMARIA E TINO, 70x72 cm, pozzolana romana

p.129 PONZA, 104x63 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.129 TINETTO, 155x94 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.130 CIRRO, 68x80 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.130 CUMULO, 27x43 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.131 PALMAROLA, 318x172 cm, marmo di Carrara e sabbia di Trevignano

p.132 CUMULO, 26x17 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.132 NUVOLA, 18x23 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.133 CUMULO, 85x125 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.134 PALMAROLA, 156x101 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.135 LA GIRAGLIA, 188x65 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.135 PALMAROLA DA SW, 187x85 cm, marmo di Carrara e pigmenti

p.138 DITTICO METAFISICO, 103x63 cm, pozzolana romana e terra umbra

p.138 CARCIOFO ROMANESCO, 50 cm, marmo bianco

p.138 PIGNA, 48x51 cm, pozzolana romana e terra umbra su foglia di argento

Finito di stamparenel mese di aprile 2008

dalla Tipografia Fast Editdi Acquaviva Picena (AP)


Recommended