MASTER CLASS: PRISON THEATRE AS A RESTORATIVE TOOLBrussels, 21 novembre 2016
PsicoIus Scuola Romana di
Psicologia Giuridica
Antonio TurcoResponsabile attività culturali CR di Rebibbia, Roma
Responsabile nazionale Politiche sociali AICS
CollaborazioniCattedra di Psicologia sociale e giuridica
Dipartimento di Scienze umanistiche e sociali
Università degli studi di Sassari
Prison dramaturgy is a social theatre of testimonies where prisoners are given the opportunity to share their difficulties and
exchange their life stories.
Even if the focus of this Master-Class is on the prison setting and the social inclusion of prisoners, similar theatre tools are used in other fields of social work (e.g. with youngsters, migrants, drug-
addicts, mentally distressed people, victims of violence).
Master-Class on ‘prison dramaturgy’
The Master-Class will be divided in two parts:
1. A general presentation of what is prison dramaturgy in Italy. The presentation will include two short films on two theatre plays performed and filmed by the detainees.
2. A workshop (incl. short comfort break) for sharing experiences and practicing the techniques of this specific type of social theatre and storytelling.
Master-Class on ‘prison dramaturgy’
Master-Class on ‘prison dramaturgy’
general presentation
■ Il primo spettacolo esibito all’esterno delle mura carcerarie risale al 5 luglio 1982.
■ A Spoleto, nell’ambito del Festival dei Due Mondi, il Teatro gruppo della reclusione di
Rebibbia, mise in scena “Sorveglianza speciale” di Jean Genet.
■ Si trattò di un evento eccezionale per vari motivi, nel più importante dei quali si può
individuare la disponibilità dell’autore a concedere ai detenuti, che gli avevano
inviato una lettera in Marocco dove viveva, di poter interpretare l’opera che dal 1967
non era stata più rappresentata.
5 luglio 1982: primo spettacolo all’esterno del carcere
■ Si era, in quel periodo, agli albori della attività trattamentale e pedagogica, del tutto
inedita negli scenari dei penitenziari italiani. Moltissime cose si sarebbero modificate
in seguito.
■ Alla “stagione della speranza”, si sarebbe succeduta la risposta repressiva dello
Stato alle stragi di mafia, culminate con gli omicidi dei giudici Falcone e Borsellino.
■ Il teatro, in questo arco, tra riforma e controriforma, ha mantenuto inalterata la sua
caratteristica di “strumento utile”. Uno strumento di comunicazione e talora di
modifica della realtà istituzionale.
■ Sulla sua funzione trattamentale, sul “valore artistico delle iniziative”, sulla
fondamentale domanda “che cosa è e a che serve il teatro carcerario?” si sono spesi
fiumi di parole.
■ In molti momenti di confronto con la psicoterapeuta Sandra Vitolo avremmo poi
definito il nuovo concetto di drammaturgia penitenziaria.
■ Il teatro carcerario, ad esempio, non può essere ipotizzato come genere a se stante.
■ Così come il teatro carcerario può essere certamente catalogato nel “teatro
delle diversità”.
Le funzioni del teatro penitenziario
■ Il teatro, al di là di qualsiasi connotazione stilistica, di qualsiasi vicenda normativa e
di qualsiasi rivendicazione terapica, ha avuto, nella dimensione reclusa, un merito di
indiscutibile valore.
■ Ha consentito, cioè, più e meglio di altre opportunità di coinvolgimento collettivo, di
superare steccati e appartenenze; ha permesso a detenuti, provenienti dalla
criminalità organizzata, di confrontarsi su un terreno in cui i ruoli non sono stati
determinati dalle funzioni attivate nell’area di provenienza.
■ Il teatro in carcere, se opportunamente canalizzato dal lavoro comune di operatori e
registi, è stato lo strumento con cui si sono sconfitti, anche se in una zona
circoscritta, gli stili e i costumi propri dell’agire deviante.
■ E questo è un aspetto vincente sul quale poco si è riflettuto, perché spesso
abbagliati dal sentire dottrinale.
■ Che il teatro produca autoconsapevolezza e autopercezione, che la pratica determini
migliore capacità comunicativa, che l’azione scenica sia elemento per consolidare
percorsi socializzanti, che la riflessione di gruppo possa costituire una concreta
opzione terapica individuale e collettiva, di tutto questo, da tempo si ha
distintamente cognizione.
■ Se il teatro carcerario può essere inserito, di diritto, nella categoria del “teatro delle
differenze”, questa notazione è ancora più appropriata se si pensa alla sua
innegabile capacità di essere un mezzo che unisce le differenze.
Dal teatro “delle differenze” al teatro che “unisce le differenze”
■ Una valutazione di base che pone il teatro in termini di metaobiettivo del trattamento
rispetto al contenitore complessivo dell’azione trattamentale.
■ Per valorizzare tale concetto è indispensabile fare il punto sulla condizione attuale,
prendendo spunto da una valutazione elaborata durante un seminario, promosso nel
’97 dalla Cattedra di Storia del teatro e dello spettacolo dell’Università di Urbino.
■ La riflessione in questione suggeriva di dividere gli stili di conduzione teatrale nel
contesto istituzionale, in tre grandi ambiti.
Gli stili teatrali
■ Il primo permette di pensare al teatro come testimonianza con l’obiettivo
di valorizzare la specificità della persona.
■ Il secondo ambito stilistico riconduce alla visione terapica del teatro,
impostando l’organizzazione del lavoro sul corpo dell’attore, sprigionandone creatività e
libera espressività.
■ Lo stile educativo rappresenta la terza versione, con lo scopo di promuovere la
funzione socializzante di tale attività.
■ Due le ipotesi programmatiche per identificare le esperienze che si sono
concretizzate, in questi anni, negli istituti penitenziari. Due vere e proprie
modalità differenziate di intendere il teatro.
■ Naturalmente lavorando nel penitenziario ognuno si è rifatto al precedente vissuto
esperienziale, tentando di esaltare la propria vena poetica, ma non potendo fare a
meno di rapportarsi alla realtà dell’istituto.
■ Tempi, modi, storie, regole e problemi hanno certamente messo in campo uno
scambio, un "baratto" per dirla con Barba, certamente una relazione profonda fra
persone che devono produrre assieme un fatto artistico.
I due principali modi di intendere il teatro penitenziario. Criterio di diversità: la opzione del testo
Il testo come laboratorio di pratica sociale: la Compagnia Stabile Assai(e la Fortezza di Volterra)
■ La Stabile Assai privilegia il fatto storico connesso alla dimensione detentiva.
■ La partecipazione dei detenuti alla stesura del testo è un fatto fondamentale per la costruzione dello spettacolo della Compagnia Stabile Assai che parte sempre da avvenimenti classici della storia criminale.
■ La prova, la preparazione diventano, in questa ottica, il momento creativo e dunque la parte più interessante dell’attività.
■ La pratica teatrale supera il concetto dello spettacolo conclusivo, anche se il buon esito della rappresentazione resta l’obiettivo, la tensione ed in qualche modo il sistema di misura del lavoro svolto.
Altri gruppi, altri registi hanno privilegiato e continuano a preferire la messa in scena di un testo classico.
Un esempio specifico è quello della compagnia della sezione di alta sicurezza del Nuovo Complesso di Rebibbia. In tal caso, questi detenuti, con alle spalle un passato criminale di rilievo, tutti di estrazione meridionale, sembrano proporsi come naturali depositari di una tradizione teatrale all’italiana.
Il testo, spesso tratto dalle opere di Eduardo, impone la produzione di uno spettacolo scandito rigorosamente dalle entrate e dalle uscite, dalle inflessioni delle battute precisamente interpretate. Questa tendenza è stata, tra l’altro, sempre presente nella impostazione teatrale minorile.
Nei carceri minorili di Nisida e ad Airola, in particolare, è stato sollecitato un interesse, nei ragazzi, verso il recupero della tradizione partenopea.
La messa in scena dei classici: la Compagnia dell’alta sicurezza del NC di Rebibbia
■ I positivi risultati raggiunti ottenuti dal gruppo “teatro Domani”, con la contemporanea attivazione del laboratorio di dizione e del laboratorio di scenotecnica gestito da un serio professionista come Bruno Garofalo, stanno a ribadire proprio la differenza dei modelli teorici.
■ Là dove è forte l’invenzione, il capovolgimento delle regole del teatro di tradizione a favore di un teatro che supera e rifà la vita, qua è proprio nella osservazione attenta delle regole, è proprio nel rigore con cui ci si accosta al mestiere del teatro, che si misura l’abilità creativa dei detenuti.
■ Si tratta di due modi completamente diversi di vedere il "teatro in carcere". Personalmente
prediligo la dimensione della "drammaturgia penitenziaria" dove forte è il coinvolgimento dei detenuti nella costruzione del testo, nell'azione scenica e nella stessa preparazione dello spettacolo.
La drammaturgia penitenziaria
■ Nella riproduzione dei classici, il rischio è quello di riprodurre le gesta di una sia pur apprezzata filodrammatica.
■ Altro è mettere in scena se stessi e le proprie storie di vissuto criminale.
■ In questa ottica L’obiettivo diventa comune. Costringe entrambi, operatori penitenziari e registi, a predicare una idea diversa di cultura rispetto a quella dominante nell’universo della devianza.
■ Neanche Strehler riuscirebbe a realizzare una opera di Strehler con i detenuti se non si ponesse in una posizione di ascolto dell’altro, del recluso.
■ Di una persona, cioè, che ha all’attivo momenti che le persone normali non hanno mai vissuto.
■ Di una persona o di un gruppo che, spesso, è capace di capovolgere il ruolo, ponendosi in una situazione out e talora giudicante gesta e comportamenti di chi dovrebbe essere depositario del verbo della cultura, sia essa quella omologata o quella alternativa.
■ Una operazione che mira a rendere uguali e tutti meritevoli di identica attenzione, qualsiasi detenuto voglia salire sul palco.
LA SCELTA DEI MODELLI OPERATIVI
■ Sono 112 gli Istituti italiani in cui, in qualche modo, si fa teatro. Un dato di spessore,
soprattutto se si pensa che in ben 42 realtà, la data di costituzione dei laboratori risale agli
anni ottanta, al primo decennio di attività trattamentale.
■ Un dato che non deve indurre alla tentazione di slegare il contenuto artistico dalla vicenda
pedagogica che rimane il naturale contenitore di tutto il percorso operativo.
■ L’idea di un teatro che privilegi la crescita personale del detenuto-
attore sul piano della autopercezione e della riappropriazione di
una identità culturale, è quella vincente.
LA SITUAZIONE DEL TEATRO
■ In tale prospettiva occorre pensare al superamento del termine rigido “teatro” per
individuare nella “performance” un ambito più aperto.
■ Lo spettacolo conclusivo si definisce così come una tensione pedagogica.
■ Detenuti di talento e non, detenuti organizzati e riconosciuti come gruppi di potere all’interno dell’istituto, soggetti con difficoltà psichiatriche o di comunicazione con l’esterno, e poi romani
e calabresi, napoletani e siciliani: tutti potenziali fruitori di una occasione.
■ All’interno del carcere il bravo attore è considerato tale più o meno sul cliché dell’attore dialettale comico: capacità mnemonica, gestione “in proprio” del palcoscenico all’italiana, forti doti istrioniche, secondo modelli classici che dividono ancora in maniera netta spettatore e attore, mestiere e impresa teatrale ed esistenza.
■ Il concetto di capacità modellato su una espressività meno evidente e misteriosa, che
ricorre più alla sensibilità interna è abbastanza sconosciuta dentro il carcere.
Il carcere come luogo di teatro
■ Il teatro che finisce per “essere” facendo a meno del “fingere”, l’esperienza teatrale che coincide con l’esistenza, doppiando
il concetto contemporaneo ripreso dalle avanguardie artistiche dell’arte uguale alla vita, il teatro che apre i propri schemi e che fa saltare ogni barriera di relazione fra attore
e spettatore, il teatro, insomma, che favorisce la base creativa rispetto a quella imitativa: è questo il teatro che appartiene alle esperienze di Brook, del Living, di Grotowsky, di Bene e di Cage.
■ Ed è un modello che, soprattutto senza facili riferimenti, sta dando i suoi frutti, perché pone tutti i detenuti, soprattutto quelli senza occasioni, sullo stesso piano.
■ Lo sconfinamento ha portato il teatro fuori dal teatro: nei manicomi, nelle piazze, negli ospedali, nelle strade, nelle carceri.
■ Questa riflessione ha consentito un rapporto interessante tra teatro e psichiatria, tra teatro e sociologia, fra teatro e pedagogia, trasferendo la possibilità di prevedere un rapporto tra i soggetti, fondato sul connotato educativo.
TEATRO E VITA REALE
■ Il modello del laboratorio teatrale della Casa di reclusione di
Rebibbia
■ Per avere un quadro esaustivo di quanto da tempo si realizza all’interno della Casa
di reclusione di Rebibbia, occorre far contemporaneamente riferimento alle due
componenti essenziali di questa specifica forma di attività:
■ A) il laboratorio teatrale permanente
■ B) la Compagnia Stabile Assai.
TEATRO E VITA REALE
■ La Compagnia Stabile Assai, che è l’espressione artistica consacrata dell’Istituto, è
attiva dal 1982.
■ È stata la prima compagnia italiana di detenuti a formarsi
ufficialmente.
■ L’Associazione culturale “Rino Gaetano” dell’AICS gestisce gli
aspetti artistici e amministrativi della compagnia e del laboratorio teatrale
permanente da oltre venti anni.
La compagnia Stabile Assai della CR di Rebibbia, Roma
■ Di fondamentale importanza è l’attività teatrale nel rapporto tra operatori
(trattamento – sicurezza) e i detenuti e tra gli stessi detenuti.
■ Si può, dunque, ragionevolmente ribadire che il teatro è da sempre l’attività che
migliora il livello delle relazioni tra i detenuti. La condivisione dell’obiettivo
spettacolo cementa nuove amicizie e rende meno conflittuali i rapporti.
■ Trattamento, sicurezza, volontariato, interagiscono con il duplice obiettivo di
rendere più sereno il clima carcerario, favorendo una
partecipazione più consapevole dei detenuti.
■ La comunità esterna partecipa con calore alle iniziative teatrali.
■ Il teatro favorisce una visione meno drammatica ed allo stesso
tempo più riflessiva della condizione carceraria.
Valenza istituzionale e sociale
Master-Class on ‘prison dramaturgy’
workshop
Durante il filmato non viene mai citato
l’episodio che ha determinato la
morte del figlio.
Cosa ha attraversato la vostra mente?
Cosa/come è successo?
Di che si tratta?
Cosa provate pensando che sono
stati i detenuti a scrivere monologo
e copione?
Quale vi sembra il posizionamento
dei detenuti (auto-giustificativo e di
che genere, di assunzione di
responsabilità, altro…)?
Sostanzialmente, cosa pensate del
diretto coinvolgimento dei detenuti
nella stesura del testo?
Se io lavorassi nelle carceri francesi darei parola
ai ragazzi delle banlieues.
Se lavorassi nella carceri irlandesi, darei la
parola a chi ha vissuto il dramma dell’IRA.
Ma, questa è la mia rappresentazione da
italiano…
■ Sessanta sono in media i detenuti coinvolti nella attività laboratoriale.
■ Il laboratorio teatrale permanente utilizza gli spazi interni di una sezione.
■ Gli spettacoli, che vengono organizzati dai detenuti del laboratorio si tengono presso
il campo sportivo o presso un’area interna adibita agli eventi.
■ Perché una delle caratteristiche speciali di questo gruppo è
quella di non poter contare su un vero e proprio teatro.
Il laboratorio teatrale
■ L’interno del corridoio della terza sezione e l’area passeggi della sezione semiliberi
(uno spazio di sapore grotowskyano), durante i quattro mesi estivi, sono i luoghi dove
si riescono due volte la settimana i detenuti che partecipano al laboratorio teatrale o
al laboratorio di teatro terapia.
■ Gli attori o si autosegnalano o vengono segnalati dagli operatori.
■ Le modalità di lavoro prevedono il contemporaneo coinvolgimento della totalità dei
detenuti.
■ Esiste un nucleo stabile di lavoro con un responsabile del laboratorio teatrale e un
gruppo direttivo.
■ Il nucleo si è modificato poiché per anni si è pensato ad una conduzione impostata
su una sola responsabilità gestionale.
Dove e chi
■ Agli inizi dell’anno si aprono le iscrizioni al laboratorio teatrale permanente. Sono aperte a tutti i detenuti. I partecipanti alla selezione devono compilare un questionario redatto dalla psicoterapeuta titolare dell’attività teatrale.
■ La selezione diventa naturale per la gravosità dell’impegno. Sullo stesso piano deve essere ricordato che i membri della Compagnia facilitano l’inserimento dei nuovi elementi provenienti dal laboratorio.
■ Allo spettacolo si giunge dopo circa sei mesi di lavoro in comune, dove vengono utilizzate le risorse individuali dei detenuti e le loro capacità di presenza attiva alla ideazione ed allo svolgimento dell’iniziativa.
■ Vengono privilegiate le partecipazioni spontanee o quelle prive di appartenenza gruppale.
■ Sono inseriti, da anni, i minorati psichici dell’Istituto ed in genere le persone meno rappresentative.
Dove e chi
■ Nel tempo si è compresa l’importanza di differenziare i ruoli di più
componenti del laboratorio che rimane la naturale fucina di passaggio per accedere
alla compagnia.
■ Il nucleo direttivo di entrambe le strutture operative è composto da
detenuti ergastolani o lungodegenti.
■ È altissimo il grado di coinvolgimento dei detenuti partecipanti.
■ Lo spunto di partenza degli spettacoli è determinato dall’obiettivo di raccontare
vicende personali, di gruppo, storiche, tutte legate alla
condizione detentiva.
■ Il concetto di “working progress” è alla base dell’impostazione metodologica.
Ruoli e coinvolgimento dei detenuti
■ Il testo viene perfezionato dopo un lavoro preventivo in cui vengono valutati gli spunti
e le idee degli operatori, dei detenuti o del regista.
■ L’idea di teatro sociale è alla base del lavoro che si sviluppa
attraverso tecniche diversificate che possono rinviare alle concezioni
classiche del “living theatre” o a impostazioni più tradizionali, sempre tenendo conto
delle caratteristiche dei detenuti coinvolti.
Il testo
■ In genere lo spettacolo conclude il lavoro del laboratorio teatrale.
■ Il lavoro è talora preceduto da una esibizione basata sulla pratica teatrale esibita dal gruppo in azione.
■ Il coinvolgimento di un congruo numero di detenuti, il superamento dei conflitti, la valorizzazione dei vissuti, la creazione di una cultura teatrale, il superamento degli stereotipi: questi alcuni dei risultati raggiunti.
L’esito del laboratorio
■ La storia del brigantaggio e della “questione meridionale”,
del disagio mentale in carcere, dell’ergastolo, della
integrazione razziale, del blues o della taranta, una forma
tradizionale di musica e cultura dove viene esaltata la pazzia
femminile, come contenitori culturali di provenienza, sono
alcuni dei temi trattati in questi anni.
I temi
Alcune immagini
La pratica teatrale e le collaborazioni■ Il concetto di pratica teatrale, come detto, è alla base del lavoro.
■ I movimenti di gruppo si sovrappongono agli spazi di interpretazione individuale.
■ Spesso si realizzano spettacoli in cui il testo è prevalente sull’azione e sulla dinamica gestuale.
■ L’attività viene costantemente monitorata dal responsabile culturale dell’area trattamentale, da una psicologa, dal regista e dal responsabile della sicurezza, per valutare le motivazioni e l’andamento dei
singoli partecipanti.
■ L’attività è spesso sostenuta da docenti universitari. L’attività
del gruppo di lavoro è basata sul rapporto interprofessionale.
■ Spesso sono presenti musicisti dell’area jazzistica e popolare della Capitale.
■ L’attività viene inserita nel “piano pedagogico” dell’Istituto.
■ Tutte le figure professionali operano per la condivisione degli obiettivi.
■ Il contributo costante di operatori, detenuti e professionisti
esterni nell’elaborazione del testo, è alla base del metodo di
lavoro.
■ Le tecniche utilizzate sono quelle relative alla gestione delle dinamiche di gruppo, al lavoro
sul corpo, al lavoro sui movimenti, al lavoro sullo spazio scenico e sullo spazio musicale.
■ Le professionalità implicate sono relative al lavoro di attore, alla scenografia e alle musiche.
Pratica teatrale e trattamento
■ Sino ad oggi si sono tenute oltre seicento repliche esterne. Teatri stabili
e teatri di periferia, piazze o aule magne universitarie: questi gli spazi scenici che
evidenziano la validità del prodotto.
■ La compagnia effettua tournée. I detenuti fruiscono per
l’occasione di permessi premiali individuali. In oltre cento
casi è stato utilizzato lo strumento dell’art. 21
dell’Ordinamento Penitenziario per prestazioni artistiche
retribuite.
L’attività esterna della Compagnia
■ La Compagnia ha vinto importanti premi culturali in Italia. Il Premio Massimo Troisi, il premio Cultura della Regione Campania, il premio Radici della Regione Calabria, la palma dell'eccellenza della Regione Lazio.
■ Si è esibita alla Camera dei Deputati-unico caso in Italia- e 3 volte al
Campidoglio a Roma.
■ La Compagnia è l’unico gruppo teatrale italiano che può vantare il riconoscimento del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che ha inviato al Presidente dell’AICS, l’Ente di promozione sociale che sostiene l’attività della compagnia, l'onorevole Bruno Molea, una targa per l’impegno svolto in questi anni.
■ Le iniziative di corredo riguardano pubblicazioni, seminari e rapporti con le università (Sassari, Urbino, Napoli, Cassino, Padova, Roma 3, Salerno, Torino, Cagliari e Palermo le strutture accademiche con cui la compagnia si è rapportata).
Premi e collaborazioni
■ Da sottolineare la partecipazione attiva di un sovrintendente che
recita con la compagnia da oltre 15 anni, di un sovrintendente che si occupa della
gestione tecnica organizzativa, di un ispettore che suona batteria o percussioni con
la band.
■ La Direzione incoraggia e promuove le iniziative.
■ Le migliaia di persone che hanno assistito agli spettacoli, tanto all’interno quanto
all’esterno, hanno apprezzato il lavoro della compagnia.
■ L’attività teatrale ha rappresentato un utile strumento per lo sviluppo
della partecipazione dei detenuti alla vita collettiva
dell’Istituto e ha consentito agli operatori di comprendere molte dinamiche
relazionali.
Valenza istituzionale e sociale
■ Di fondamentale importanza è l’attività teatrale nel rapporto tra operatori
(trattamento – sicurezza) e i detenuti e tra gli stessi detenuti.
■ Si può, dunque, ragionevolmente ribadire che il teatro è da sempre l’attività che
migliora il livello delle relazioni tra i detenuti. La condivisione dell’obiettivo
spettacolo cementa nuove amicizie e rende meno conflittuali i rapporti.
■ Trattamento, sicurezza, volontariato, interagiscono con il duplice obiettivo di
rendere più sereno il clima carcerario, favorendo una
partecipazione più consapevole dei detenuti.
■ La comunità esterna partecipa con calore alle iniziative teatrali.
■ Il teatro favorisce una visione meno drammatica ed allo stesso
tempo più riflessiva della condizione carceraria.
Valenza istituzionale e sociale
■ La qualità artistica degli spettacoli è determinata dal grado di partecipazione
consapevole dei detenuti, con la valorizzazione della loro capacità espressiva.
■ Alcuni detenuti hanno acquisito profonde conoscenze
nell’utilizzo dei costumi, delle scene e degli strumenti
musicali e 4 di loro sono impegnati attualmente in altrettanti
teatri della Capitale, come attrezzisti o addetti alle luci o alla
fonica.
Altri risultati per i detenuti
■ L’attività teatrale è diventata, con gli anni, oggetto di forte condivisione
programmatica e di identificazione nell’immagine dell’Istituto.
■ Gli Enti Locali, la comunità territoriale, il volontariato, conoscono e riconoscono la storia
della compagnia, divenuta oggi il patrimonio della cultura
sociale della Capitale.
■ Il teatro carcerario ha una sua utilità solo ed
esclusivamente se i detenuti sono soggetti e non
oggetto della pratica teatrale.
Pratica teatrale…pratica di comunità
….
Human AgencyIntegrated Relational
System
Knowledge
CourageHope
Responsability
OptimismResilience
CapabilityReciprocity and
obligation
GenerativityConnections
Creativeness Contamination
Participation
Wellbeing
Adaptability
Inclusion
Co.Re. – Community of
Restorative Relationships
Patrizi, Lepri, Lodi, in progress