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Date post: 09-Mar-2016
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LETTERATURA E METAFORE DELLA REALTÀ
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Marshall McLuhan LETTERATURA E METAFORE DELLA REALTÀ II. La critica letteraria a cura di Silvia D’Ofzi ARMANDO EDITORE
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Marshall McLuhan

LETTERATURAE METAFORE

DELLA REALTÀII. La critica letteraria

a cura diSilvia D’Offi zi

ARMANDOEDITORE

Sommario

Nota introduttiva di Alberto Abruzzese I

LA RIVOLUZIONE DELLA PAROLA (Silvia D’Offi zi) 7Joyce o non Joyce? 9Joyce come critico 10Analisi di saggi critici su Joyce 13Un indice di parole contenute nell’Ulysses di Joyce 26Esempi di critica letteraria 28

ELIOT E IL LINGUAGGIO DEL JAZZ (Silvia D’Offi zi) 31Tendenze classiche nella critica 32Rassegna di saggi critici su Eliot 34

LO SCRITTORE E LA REALTÀ (Silvia D’Offi zi) 47Lo stile della prosa di Wyndham Lewis 48Un rinnovato interesse per Wyndham Lewis 53Roy Campbell getta luce su se stesso 66

LA PUNGENTE ELOQUENZA DI POUND (Silvia D’Offi zi) 71La poesia di Ezra Pound 72Studi su Ezra Pound 76

MISCELLANEA 81Come avvicinarsi a Wynstan Hugh Auden 81Empson, Milton e Dio 84Nuovi sviluppi della critica sull’opera di Joyce 85Yeats e Zane Grey 89Gerard Hopkins e il suo mondo 94

Bibliografi a degli articoli 99Bibliografi a 103

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Nota introduttivadi Alberto Abruzzese

L’impresa di pubblicare gli esercizi di critica letteraria di Marshall McLuhan – esercizi nel senso corporale e spirituale del lessico ginnico e religioso – continua con questo secon-do volume, La critica letteraria, ricco di nuove rifl essioni sui mezzi di comunicazione a partire da vari autori di scritture, a volte ancora notissimi ed altre assai meno o persino sconosciu-ti. Ancora noti a chi? Qui si dice di Joyce, Eliot e Pound. Ma è lecito chiedersi: quanti oggi possono capire pagine dedite a intuizioni appena accennate e subito consegnate alla rifi nitura del lettore? Il loro destinatario è il colto, l’erudito, il docente? Sicuramente si può dubitare che possa trattarsi di giovani del nostro tempo anche se studenti scrupolosi. Eppure si tratta di pagine che parlano proprio di loro. Il competente ha in mente solo i testi ai quali McLuhan si riferisce, ma l’incompetente ha la sensibilità giusta per entrare nel modo in cui lo studioso canadese li interpreta. Invitiamo i lettori – quali essi siano – a tenere conto di questo straordinario paradosso. Ancora: quale senso può avere l’essere qui indotti a rifl ettere su libri scom-parsi persino nella memoria e nelle bibliografi e degli studio-si (in particolare quelli di professione)? Ci aiuta a verifi care quanto McLuhan – se avesse avuto la fortuna letteraria che gli è stata negata – avrebbe potuto contrastare e modifi care i con-tenuti e valori applicati nella elaborazione dei canoni maturati e prevalsi in cinquanta anni di critica letteraria e di confl itti ideologici con i media.

Lo spirito anticanonico del nostro autore funziona anche in prospettiva. Grazie all’incremento dei dispositivi digitali in ogni attività intellettuale, le attuali zone della critica letteraria o artistica o sociologica o mediologica non dovrebbero più li-

II

mitarsi a produrre conoscenza ai vertici delle istituzioni di loro appartenenza, ma dovrebbero accelerare processi di connessio-ne con soggettività, contenuti e relazioni di ceti e culture sino a pochissimi decenni fa esclusi dalla sfera storicamente data per pubblica. Dovrebbero consentire un avanzamento delle pratiche e teorie con cui i sistemi moderni, nonostante la loro crisi di senescenza, continuano a pensare e formare i decisori delle società contemporanee. McLuhan è a tal fi ne un autore chiave. Non perché se ne debba accettare il verbo, ma perché ha saputo scegliere le cose di cui parlare e come parlarne con mezzo secolo di anticipo rispetto alle comunità scientifi che ancora oggi dominanti. Ecco perché la sua è una lezione seve-ra: non è più il tempo di essere indulgenti di fronte al ritardo con cui la sua disciplina viene accolta. Già è poco perdonabile la sequenza di errori di valutazione compiuta dalla più parte dei ceti intellettuali organici nell’interpretare l’ingresso della società civile nei territori dei media televisivi: le condizioni del sistema politico italiano ne sono una testimonianza bru-ciante. Assai più imperdonabile l’irresponsabilità che mostra-no gli attuali gruppi di opinione nell’infl uenzare gli attori oggi in confl itto su scale locali e insieme globali senza nulla capire dei linguaggi di cui le reti si stanno facendo espressione.

Il terzo volume di Letteratura e metafore della realtà usci-rà a breve: ho parlato di impresa perché questo nostro lavoro di scavo è fatto di passione e azzardo, mosso com’è dal desi-derio di investire su un patrimonio sino ad oggi sprecato ma che proprio ora può fi nalmente fruttare innovazione: sapere trovare strumenti adatti a interpretare i media in campo con la stessa capacità di associazione genialmente applicata in queste pagine. Nella speranza che l’imprevedibile andamento delle logiche di rete faccia riemergere la letteratura proprio sulla stessa linea di frontiera tra forme espressive ed esperien-za vissuta qui messa a punto da McLuhan. Il suo è stato un viaggio di andata, il nostro può essere un viaggio di ritorno: alla letteratura il compito di mostrarci che è ancora capace di viaggiare.

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LA RIVOLUZIONE DELLA PAROLA

La letteratura è il modo attraverso il quale lo scrittore, il vero artista del Novecento, svela ai contemporanei non tanto la realtà, quanto il metodo attraverso il quale la realtà può essere compresa. Questa è la premessa dalla quale McLuhan parte nel suo viaggio nell’universo della critica letteraria. Lo scrittore svela il mondo e la critica letteraria, nel tentativo di comprendere il metodo di questo disvelamento, compie la fondamentale operazione di scoperta del metodo della sco-perta. Poeti e artisti hanno il fascino ispirato di chi contem-pla, abbagliato dalla luce della verità, la realtà vera colloca-ta al di là della ragione, nell’universo elettronico dei nuovi media. Antesignani della rivoluzione della percezione sono i poeti romantici che hanno indicato la strada agli scrittori delle monumentali opere del secolo scorso, primo fra tutti James Joyce, inventore della forma scritta del pensiero. E poi Thomas Eliot, Ezra Pound e quel Wyndham Lewis, presso-ché sconosciuto in Italia, apprezzabile più per la sua ricerca formale che per i contenuti delle sue opere.

L’importanza di questi autori è grande quasi quanto l’estrema cripticità delle loro opere. Il critico deve mettersi sulle tracce delle loro intenzioni, farsi detective alla ricerca della poetica della forma. Non si può dire certo che i con-tenuti forniscano indicazioni consistenti circa le intenzioni degli autori.

Il primo scrittore proposto da questa raccolta è James Joy-ce. McLuhan parla di Joyce come di un innovatore della lin-gua che arrivò a scoperte in campo linguistico comparabili con quelle di Einstein in campo scientifi co. Alla base di que-

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ste scoperte c’è la manipolazione del fi lo di continuità che lega passato e presente sovrapponendo vari elementi o me-glio, come dice McLuhan, giustapponendoli. La giustappo-sizione rompe la tirannia cartesiana della linearità, non esiste più una causa dalla quale si origina un effetto, ma l’effetto di per sé è ciò che si presenta alla comprensione. Sta all’artista il compito di svelare come funziona il processo conoscitivo della mente umana attraverso l’analisi dell’effetto e del modo per il quale all’effetto si giunge e dall’effetto si parte. Per esempio l’Ulysses è costruito secondo un parallelismo conti-nuo tra la Dublino moderna e l’antica Itaca e questo compor-ta una dimensione temporale basata sul “doppio intreccio”. Anche il naturalismo francese, anni prima della pubblicazio-ne dell’opera di Joyce, metteva in correlazione lo spazio e la luce, cioè fenomeni esteriori e percezioni interne. Si accosta-vano immagini ed esperienze, classi sociali ed epoche stori-che. Contemporaneamente alla manipolazione spaziale degli stati mentali la stampa rivelava, sulle pagine dei giornali, il paesaggio della società industriale. Ai paesaggi mentali si so-vrapponevano i paesaggi metropolitani. Con il moltiplicarsi delle voci e dei punti di vista mostrati diventava impossibile la retorica personale, l’autore non era più un narratore onni-sciente che esponeva il proprio punto di vista, ma colui che era chiamato a mostrare la realtà delle cose. Mallarmé diceva che “il sistema ontologico dei giornali è realismo attualizza-to” e Joyce sfruttò questa caratteristica dell’arte moderna per creare nelle sue opere una compresenza in un unico punto, cioè nella lingua, di presente, passato e futuro.

La crtica letteraria, per McLuhan, ha avuto seri problemi a comprendere Joyce e la reale portata della rivoluzione del-la parola, cominciata dai romantici e da Mallarmé e portata avanti in primis da Joyce. «La poesia si fa con le parole, non con emozioni, sentimenti o idee», questo asserisce il poeta francese, questo traspare nelle intenzioni di Joyce tant’è che

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McLuhan indica, nell’Index del professor Hanley, un elenco di occorrenze di parole nell’Ulysses, uno dei libri più utili per la comprensione di Joyce. Ma se egli ritiene anche che Eliot e Pound siano stati i migliori critici di Joyce ci accorgiamo che il detective che alberga nello scrittore è anche il miglior criti-co letterario, l’unico in grado di riconoscere lo stesso intento che anima anche la propria ricerca.

Joyce o non Joyce?[Titolo originale: Joyce or no Joyce, recensione di K. Sullivan, Joyce Among the Jesuits, Columbia University Press, s.d., in «Renascence», XII, 1959]

Kevin Sullivan ha risolto ogni dubbio riguardante il fat-to se il Joyce del The Portrait1 sia da identifi carsi o no con Stephen Dedalus. La sua risposta è “no”. Sullivan commenta l’assenza nel Portrait della sorprendente fi gura di Tom Ket-tle, un anno avanti a Joyce nella scuola, di gran talento, raf-fi nato e socialmente equilibrato: «Non c’è posto per lui più o meno per lo stesso motivo per cui non c’è posto per lo stesso Joyce». Questo motivo è il fatto che, essendo molto percet-tivi e intelligenti, sia Kettle che Joyce hanno in comune una complessiva consapevolezza dei problemi e della vita attorno a loro che li esclude dalle ironiche, mutevoli prospettive del Portrait. Dublino, “il centro della paralisi” per Joyce, era per Kettle il punto focale del decadimento irlandese contempora-neo. «Dublino – scriveva − mette a fuoco con dolorosa verità lo sviluppo bloccato della nazione nel suo insieme…».

Forse la parte più signifi cativa di questo studio è quella dove viene rilevato il rapporto tra la ratio studiorum dei ge-

1 J. Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man, Londra, The Egoist Ltd., 1917 (trad. it. di C. Pavese, Dedalus. Ritratto dell’artista da giovane, Torino, Frassinelli, 1942).

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suiti e la disposizione naturale di Joyce a scrivere. I gesuiti irlandesi conservavano in larga misura il metodo della ratio di più antica data, con il suo risalto dato alla tendenza a pro-durre più che a consumare. In particolare, la “lezione” con i suoi cinque passi d’approccio ai testi «viene impegnata in un utile tentativo d’insegnare o di studiare Finnegans Wake2 e gran parte di Ulysses3».

Il secondo e il quarto passo, che contengono considera-zioni su “signifi cato” e forma, sono possibili solo quando un capitolo dell’opera di Joyce viene ascoltato, ne vengono per-cepite simultaneamente le molteplici implicazioni e ne viene riconosciuta la trama allusiva come parte integrante del tema centrale e non come un semplice abbellimento pedantesco. L’opera deve essere oggetto di una previa “lezione” (prelec-ted), prima che possa essere letta, perché Joyce è anche l’in-segnante che richiede ai suoi lettori la docilità di uno scolaro. In effetti, senza una tale docilità – l’umiltà opportuna nell’av-vicinarsi a una grande opera d’arte – non c’è affatto alcuna possibilità di capire Finnegans Wake.

University of Toronto

Joyce come critico[Titolo originale: Joyce as Critic, recensione di E. Mason, R. Ellmann (a cura di), The Critical Writings of James Joyce, United Kingdom Press, 1959]

James Joyce, il primo scrittore nato in Irlanda che abbia raggiunto il livello di Dante quanto ad attività letteraria, pub-

2 J. Joyce, Finnegans Wake, Londra, Faber & Faber, 1939 (trad. it. di L. Schenoni, Finnegans Wake, Milano, Mondadori, 1982).

3 J. Joyce, Ulysses, Parigi, Shakespeare and Co., 1922; la prima edi-zione Americana fu Ulysses, New York, Modern Library, 1934 (trad. it. di G. De Angelis, Ulisse, Milano, Mondadori, 1960).

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blicò nel corso della sua vita un numero notevole di scritti critici. Ora essi si trovano tutti raccolti in un libro, nel quale vi sono anche diversi saggi inediti tradotti dall’italiano per la prima volta. Per quanti hanno seguito ogni profi lo e ogni risonanza dell’opera di Joyce, risulta quasi sconvolgente in-contrarlo mentre discorre di Blake o di Parnell nei comuni modelli di prosa. Joyce era solito spronare Yeats, quando sen-tiva conversare questo grande uomo, dicendogli: “Perché non metti questo discorso in ordine creativo?”. Ecco qui Joyce in maniche di camicia che parla prosaicamente di cose da lui messe altrove in ordine creativo. Egli era terribilmente con-sapevole. Il suo “silenzio esilio e astuzia” era una semplice necessità d’esistenza. Quelli che Kenneth Galbraith chiama “legittimi interessi di conoscenza acquisita” non possono mai tollerare una simile chiaroveggenza in nessun tempo o luo-go. E se anche Joyce fosse rimasto un cattolico praticante, il corso terreno della sua vita non avrebbe potuto essere meno tempestoso. Perché egli, da laico, parlò con l’“autorità della conoscenza” a coloro che si accontenteranno sempre di vive-re con opinioni derivate da altri.

I due saggi Drama and Life e Ibsen’s New Drama4 sono di grande importanza per lo studioso di Joyce, perché mostrano con quanta serietà egli considerò il dramma in ogni fase del-la sua opera. In letteratura noi accettiamo delle convenzioni perché la letteratura è una forma comparativamente modesta d’arte. La letteratura è mantenuta viva da ricostituenti; essa fi orisce attraverso convenzioni in tutte le relazioni umane, in ogni attività. Il dramma sarà in futuro in guerra con le convenzioni, se deve realizzarsi veramente. E Finnegans

4 J. Joyce, Ibsen’s New Drama, Londra, in «Fortnightly Review», 1 aprile 1900; di J. Joyce anche Drama and Life: si tratta di un saggio critico e fu letto per la prima volta al Literary and Historical Society of University College. Tutti e due questi saggi furono pubblicati in The Critical Writings of James Joyce, Londra, Ulysses Bookshop, 1930.

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Wake5 è un puro dramma. Esso riguarda nel modo più effi -cace ciò che Joyce vide come l’essenza del dramma. Ma il dramma nudo – che sia la percezione di una grande verità, o il proporsi di un grande problema, o un grande confl itto che è quasi indipendente dagli attori – è proprio quello su cui si concentra la nostra attenzione. In una parola, Joyce si rese conto che anche l’Aquinate è un dramma nel modo più alto.

C’è un intero saggio su Blake (1912), originariamente in italiano6, che è di grande interesse. Joyce ammirava Blake per il suo personale eroismo: «A me sembra che Blake non sia un grande mistico: in lui la capacità visionaria è diret-tamente connessa con la capacità artistica. Blake uccise il drago dell’esperienza e della saggezza naturale e, riducendo al minimo lo spazio e il tempo e negando l’esistenza della memoria e dei sensi, cercò di dipingere le sue opere sul vuo-to del grembo divino». Inoltre: «Uno studio completo della personalità di Blake dovrebbe essere diviso logicamente in tre parti: la patologica, la teosofi ca e l’artistica. La prima, a mio parere, possiamo tralasciarla senza molti scrupoli. Dire che un grande genio è un pazzo, riconoscendone nello stesso tempo il valore artistico, è come dire che aveva i reumatismi o soffriva di diabete».

Alla fi ne di un saggio (originariamente in italiano) su Gal-way, intitolato La città delle tribù (1912)7, c’è un paragrafo che rivela moltissimo del Joyce studente: «La sera è calma e grigia. Da lontano, oltre la cascata, arriva un mormorio. So-miglia al ronzio di api attorno a un alveare. Si fa più vicino. Appaiono sei giovani, che suonano cornamuse, alla testa di

5 J. Joyce, Finnegans Wake, cit.6 Si tratta di una conferenza tenuta a Trieste per l’Università popo-

lare il 28 febbraio 1912 (N.d.T).7 La città delle tribù: ricordi italiani in un porto irlandese è il titolo

di un articolo pubblicato da Joyce sul “Piccolo della Sera” di Trieste nell’agosto del 1912 (N.d.C.).

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un gruppo di persone. Passano, fi eri e marziali, con il capo scoperto, mentre suonano una vaga e strana musica. Nella luce incerta, si possono appena distinguere le sciarpe verdi che pendono dalla spalla destra e i gonnellini color giallo zafferano. Entrano nella strada del convento delle offerte e, mentre la vaga musica si diffonde nella luce crepuscolare, alle fi nestre del convento appaiono, uno a uno, i bianchi veli delle monache».

University of Toronto

Analisi di saggi critici su Joyce[Titolo originale: A Survey of Joyce Criticism, in «Renascence», IV, 1951]

Più o meno per gli stessi motivi che rendono la critica su Eliot fi nora così insuffi ciente, lo stato della critica su Joyce è estremamente imperfetto. L’intera faccenda si riassume nel fatto che quanto si è prodotto di meglio, fi nora, su Joyce, è contenuto in tre saggi degli anni 1920. Il primo è James Joy-ce et Pécuhchet8 di Ezra Pound, che apparve nel giugno del 1922 su «Mercure de France». Il secondo è Ulysses, Order, and Myth9 di T.S. Eliot, apparso in «Dial» nel novembre del 1923. E il terzo è un capitolo di Time and Western Man10 di Wyndham Lewis, pubblicato nel 1927. Pound mette Joyce in relazione con quanto realizzato da Flaubert. Eliot lo mette in relazione con i termini della tecnica simbolistica e Lewis lo colloca con riferimento alle fi losofi e della prima parte del no-

8 E. Pound, James Joyce et Pécuhchet, in «Mercure de France», giugno 1922.

9 T.S. Eliot, Ulysses, Order and Myth, in «Dial», novembre 1923 (trad. it. Ulisse, Ordine e Mito, in Opere, vol. I, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1992).

10 W. Lewis, Time and Western Man, Londra, Chatto, 1927.

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stro secolo. Tutti e tre gli scrittori condividevano l’impegno di Joyce nei confronti della cultura europea. Nello studio e nei risultati questi tre commentatori condividevano con Joyce una consapevolezza di ciò che accadde effettivamente nello spirito e nell’arte dell’Europa dal 1850. La loro opera era co-minciata nel 1910 come un tentativo consapevole d’innalzare il mondo anglofono al livello di Baudelaire, Laforgue, Rim-baud, Flaubert, Cézanne, Brancusi e Picasso. Essi sperava-no, verso gli anni Venti, d’importare e adattare alle esigenze attuali le tecniche e scoperte rivoluzionarie di sessant’anni di nuove intuizioni francesi. Gli anni 1914-1918 segnarono quasi la fi ne di queste speranze. Quegli anni non ebbero alcun effetto diretto per fermare l’opera di Pound, Joyce, o Eliot. Lewis, che prestava servizio in zona di operazioni11, risultò più immediatamente svantaggiato. Ma il danno principale ne derivò all’ambiente in cui aveva avuto inizio l’opera nel 1910. T.E. Hulme e Henri Gaudier rimasero uccisi. Ford Madox Ford ed Ezra Pound non riuscirono a sopportare l’indolenza e l’inerzia che regnarono in Inghilterra dopo la guerra e se ne andarono a Parigi. Ebbe termine, così, l’attività, vigorosa-mente iniziata con la creazione delle due riviste «The English Review» e «Blast» con l’intento di fecondare lo spirito delle persone colte. Ebbe inizio il regno di Bloomsbury12 che ha perpetuato il pre-raffaelitismo, gli anni Novanta, e il dilettan-tismo nelle arti. Esso ha creato uno stato cuscinetto intellet-tualmente noioso tra il mondo anglofono e il mondo migliore del nostro tempo. E proprio attraverso questo labirintico stato cuscinetto dei canoni dell’arte vittoriana ogni persona colta deve ancora cercare a tentoni la sua strada prima di poter ar-

11 Come ufficiale dell’esercito britannico nella Prima Guerra Mon-diale (N.d.T.).

12 Nome di un eterogeneo gruppo di intellettuali e artisti inglesi che, tra il 1910 e il 1920, si riuniva nell’omonimo quartiere londinese (N.d.C.).

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rivare a una visione confusa di James Joyce. Come direbbe Eliot, siamo ancora nell’era di Arnold13.

L’attuale congerie di libri testimonia i molteplici svariati motivi che hanno spinto i loro autori alla ricerca di James Joy-ce. A differenza degli autorevoli commenti di Pound, Eliot e Lewis, questi scrittori si accostano per lo più al loro soggetto con spirito goffo e diffi dente. Molti di essi detestano Joyce. Moltissimi sono profondamente irritati con lui per lo sforzo al quale egli assoggetta la loro capacità d’attenzione. Nessu-no di loro scrive con un immediato senso di ciò che sono i problemi vivi e morti nel nostro mondo artistico. Joyce viene fatto apparire non come una fonte immediata e rilevante di nutrimento artistico, ma come un’enorme messinscena per incutere timore nei deboli di cervello. Contrasteremo questo tono e questo atteggiamento con quello dei tre primi saggi di Pound, Eliot e Lewis. Pound specifi ca il debito tecnico di Joyce nei confronti di Flaubert e spiega la necessità e la fun-zione dell’epopea comica nel mondo contemporaneo. Joy-ce è un purgante, un detergente somministrato ad un mondo mentalmente torbido. La sua epopea è un colossale sottisier che rivela la rozzezza e la stupidità di una società impanta-nata nel soddisfacimento dei più bassi appetiti commerciali. Ciò, ovviamente, è vero, ma non è tutta la verità su Joyce. Egli non era interessato principalmente solo all’epoca del suo passaggio nella storia umana. Il saggio di Eliot si occupa delle specifi che scoperte tecniche di Joyce che sono nel loro genere paragonabili a quelle di Einstein, e che seri profes-sionisti non possono assolutamente ignorare. Fondamentale, tra queste scoperte, è quella di condurre un continuo paral-lelo tra passato e presente: una tecnica di giustapposizione

13 Allusione a Kenneth A. Arnold (1915-1984), pilota privato dive-nuto famoso per essere stato il primo a dichiarare di aver avvistato un UFO (N.d.T.).

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senza copula che sviluppa tensioni analogiche e proporzioni di portata metafi sica. Wyndham Lewis critica Joyce come esponente del bergsonismo. Egli individua in Joyce il grande antagonista contemporaneo alla propria arte statica. La sua interpretazione di Joyce, tuttavia, è molto più profonda e più rispettosa di quanto egli faccia apparire, poiché anche Lewis ha nei confronti di Mallarmé un debito che è non meno pro-fondamente fondato di quello di Joyce, cosicché i suoi rilievi sono indirizzati direttamente a Joyce, piuttosto che al lettore di Time and Western Man14. E Joyce riconobbe che il disac-cordo era all’interno di se stesso e di tutti gli altri uomini, quando sollevò il dibattito con Lewis nella favola The Mo-okse and the Gripes in Finnegans Wake15. Lewis continuò il dibattito anche in The Childermass16. Ma il pubblico per questo dibattito è stato davvero molto scarso. Questo viene detto per illustrare le condizioni della critica su Joyce, che non ha prestato attenzione all’importanza di Lewis in Finne-gans Wake17.

Il libro di Paul Jordan Smith18, che è stato soppiantato da quello di Stuart Gilbert, accetta Ulysses19 come una varia-zione acrostica sul tema del romanzo naturalistico. Ma que-sto era il primo tentativo di rintracciare il ruolo di Omero in Ulysses.

Our Exagmination Round His Factifi cation for Incamina-tion of Work in Progress20 fu un titolo ironico suggerito da

14 W. Lewis, Time and Western Man, cit.15 J. Joyce, Finnegans Wake, cit.16 W. Lewis, The Childermass, Londra, Chatto and Windus, 1928.17 J. Joyce, Finnegans Wake, cit.18 P.J. Smith, A Key to the Ulysses of James Joyce, Chicago, Pascal

Covici, 1927.19 J. Joyce, Ulysses, cit.20 AA.VV., Our Exagmination Round His Factification for Incami-

nation of Work in Progress, Parigi, Shakespeare and Co., 1929 (trad.

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Joyce ai collaboratori in questo primo studio di Finnegans Wake. Il titolo può essere interpretato, più o meno, in questo modo: «Il nostro rapporto sul nostro persistente e occhiuto gironzolare attorno ai bastioni dietro ai quali Mr. Joyce tiene il signifi cato segreto dei suoi lavori in corso (work in pro-gress)». Il titolo polivalente Work in Progress venne sugge-rito da F.M. Ford, che fu il primo a pubblicare un frammento dell’opera nella sua «Transatlantic Review»21. L’unico sag-gio in questo libro che conserva un certo interesse è quello di Frank Budget su Work in Progress and Old Norse Poetry.

L’opera di Stuart Gilbert22 rimane d’utilità secondaria. Egli ebbe da Joyce un prospetto dei temi, dei metodi, dei simboli e dei parallelismi omerici. Presentò metà di questo prospetto a p. 28 e non ne fece uso, perché il farlo lo avreb-be coinvolto in una lettura a fondo del libro visto nella sua profonda struttura simbolistica. Compose invece il suo libro basandosi sulla corrispondenza tra i caratteri omerici e quel-li presenti nel romanzo che Joyce aveva fornito nella parte del prospetto da lui omessa, cosicché l’effetto dell’opera di Gilbert è stato quello di favorire le falsità acrostiche e natu-ralistiche su Ulysses.

L’opuscolo di Charles Duff23 è banale negli intenti e nei risultati, ma contiene talvolta delle intuizioni. In effetti, ogni studioso di Joyce sa che a chiunque si trovi di fronte anche a una sola pagina di Joyce non sfuggiranno dei fatti meritevoli di una seria valutazione. Proprio questa qualità rende Joyce

it. La nostra analisi intorno alla sua realizzazione per la diffusione del work in progress, Milano, SugarCo, 1964).

21 Rivista fondata da Ford Madox Ford nel 1924 che ebbe grande influenza nella letteratura inglese moderna (N.d.C.).

22 S. Gilbert, James Joyce’s Ulysses, Londra, Faber and Faber, 1930.

23 C. Duff, James Joyce and the Plain Reader, Londra, Desmond Harmsworth, 1932.

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un godimento per ogni lettore, ma anche una trappola per l’esegeta zelante.

Il libro di Golding24 rientra nella stessa categoria di quello di Duff, anche se è più ampio nella sua estensione. Joyce, sofi sticato naturalista, si stava creando per il pubblico sprov-veduto. Ma l’opera di Frank Budgen25, che fu la successiva ad apparire, rimarrà di valore permanente per diversi mo-tivi. È fortunato il lettore che si accosta per la prima vol-ta a Joyce attraverso questo libro. Budgen è un pittore che, quando incontrò Joyce, era immune da pretese letterarie. La mancanza di preconcetti letterari, l’indole buona e l’arguzia pronta, spinsero Joyce ad aver fi ducia in lui con una paziente esposizione delle sue intenzioni in Ulysses mentre lo stava ancora componendo. Così, Frank Budgen può riprodurre pre-ziose conversazioni e lettere intercorse tra lui e Joyce, dove si esprimono le sue intenzioni artistiche. Egli dice, per esem-pio:

Vedere Joyce al lavoro sulle Wandering Rocks era come ve-dere un ingegnere al lavoro con compasso e regolo calcola-tore… o … un uffi ciale di marina che rileva il sole, legge la posizione della nave e ne calcola il movimento e la deriva attuale.

Budgen, immune da una formazione pseudo-letteraria, aveva una forte sensibilità, profondamente toccata dalle qua-lità plastiche e drammatiche delle parole così come risultano trattate da Joyce. Ne è un indizio il senso pittorico con cui vede la gamma delle parole usate da Joyce:

24 L. Golding, James Joyce, Londra, Thornton Butterworth, 1933.25 F. Budget, James Joyce and the Making of Ulysses, Londra, Gray-

son and Grayson, 1934.

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Ma per Joyce le parole sono qualcosa di più di un piacevole materiale con il quale poter costruire strutture gradevoli, o di un pensiero o di una emozione che vengono comunicati. Esse si trasformano rapidamente con la storia umana, così come la pechblenda26 con il radio, o il carbone con il calore e la fi amma… “Quante sciocchezze vengono dette sullo sti-le!”, ebbe a dire.

Oggi Joyce ed Eliot sono più facilmente presentabili a persone che mancano di una formazione letteraria formale. La nostra cultura letteraria, rigida nei concetti nominalisti-ci di “signifi cato” e di “stile”, attrae principalmente, come “materia di specializzazione in inglese”, coloro che non sono adatti per temperamento ad acquisire le discipline necessarie per una valutazione di questi scrittori. Wyndham Lewis rap-presenta una valida prova. La profonda stima con la quale la sua opera è ed è stata considerata da Joyce, Eliot e Pound, raramente trova riscontro tra gli ammiratori di Pound. Ma un ammiratore di Joyce o di Eliot che eviti di avere a che fare con Lewis proclama semplicemente il carattere superfi ciale del suo interesse per Joyce o Eliot.

Il Word Index per Joyce del professor Hanley27 gli è valso un posto in Finnegans Wake come “the Madison man”. Le righe citate da Budgen sul linguaggio di Joyce come “pech-blenda” rappresentano il commento pertinente ai presuppo-sti-guida dietro il Word Index. Questi presupposti spostano la comune visione delle parole come se queste fossero mattoni o blocchi separati nella misura in cui lo permette il moderno metodo statistico. In un epilogo dell’Index Martin Joos con-clude che un conteggio delle frequenze delle parole in Joyce

26 Minerale radioattivo.27 M.L. Hanley, Word Index to Joyce’s Ulysses, Wisconsin Univer-

sity Press, Madison, 1951.

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indica che «il linguaggio del libro non è così peculiare come potrebbe apparire a prima vista». Ma è dubbio che questa visione possa aiutare chiunque a vedere che i personaggi di Ulysses sono degli abili robot di clichè e di luoghi comuni tutti di un pezzo. Tuttavia, i curatori dell’opera sono modesti. Essi hanno cercato di fornire uno strumento utile. E in quanto tale l’Index può essere bene accolto. Esso può essere usato dagli studenti che vogliano controllare alcuni dei temi. Ma non è vero che i temi di Joyce s’incontrino, come spesso ac-cade con quelli di Shakespeare, in associazione con le stesse parole. Joyce ha usato le parole in se stesse come agenti in una struttura di analogie situazionali, piuttosto che lessicali. Situazioni, psicologiche e linguistiche, s’incontrano senza le stesse parole. Cosicché, l’approccio di Caroline Spurgeon non è così pertinente per Joyce come lo è per Shakespeare. Anche più di Shakespeare, Joyce è un poeta di situazioni, piuttosto che di espressioni.

La biografi a di Joyce scritta da Herbert Gorman28 rimarrà di valore unico fi no a quando non avremo la pubblicazione completa delle sue lettere e dei suoi quaderni. La sua inter-pretazione di Joyce è insuffi ciente e il suo tono spesso inso-lente è infelice. Egli individua in Joyce un libero pensatore schierato contro la superstizione, e ne fa così una specie di ritratto d’artista del Diciottesimo secolo. Ma ogni studioso di Joyce deve fare riferimento a Gorman.

Il libro del professor Levin29 è eccellente per l’ampiez-za dei riferimenti e per l’individuazione delle allusioni. Do-vrebbe essere ristampato con un elenco più completo delle allusioni tematiche fondamentali, che il professor Levin ha accumulato durante il decennio trascorso dalla prima pubbli-cazione. Ma non è un libro che proponga una critica su Joyce

28 H. Gorman, James Joyce, New York, Rinchart, 1939. 29 H. Levin, James Joyce, New York, New Directions, 1942.

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in termini a lui propri. Per esempio, la frequente menzione di Lewis Carroll e delle sue artifi ciose digressioni viene se-gnalata, ma non esaminata dal professor Levin a proposito di Finnegans Wake. I modi labirintici del professor Dodgson come matematico, logico, fotografo e narcisistico conosci-tore di ragazzine rappresentano uno dei temi e dei metodi fondamentali del Finnegans Wake. Che il mondo reale dei vittoriani fosse un mondo notturno e il suo mondo diurno un incubo matematico è la più piccola delle implicazioni di Joyce nel suo uso di Dodge-son. I paroloni a effetto di “Jab-berwochy”, Joyce li ha trasformati nella voce plurimilionaria della storia e dell’esperienza umana.

I brani scelti da Eliot30 dall’opera di Joyce sono di grande interesse in quanto rappresentano il modo in cui egli ha senti-to il signifi cato di uno scrittore che ha infl uenzato la sua pra-tica poetica fi n da Gerontion31. The Waste Land32 è un epil-lio rispetto all’epico Ulysses, il che equivale a dire che non avrebbe la sua presente struttura se non fosse per l’Ulysses. Fu probabilmente l’Ulysses (ma anche il Portrait33) che Eliot rinviò a Mallarmé, al quale egli aveva preferito a lungo Rim-baud. Ash-Wednesday34 e Four Quartets35 debbono la loro struttura musicale a Mallarmé come a chiunque altro. Ma la

30 T.S. Eliot, Introducing James Joyce, Londra, Faber and Faber, 1942.

31 T.S. Eliot, Gerontion, in Poems, New York, Knopf, 1920 (trad. it. di L. Berti, in Poesie, Modena, Guanda, 1941).

32 T.S. Eliot, The Waste Land, New York, Boni and Liveright, 1922 (trad. it. M. Praz, La terra desolata. Frammento di un agone. Marcia Trionfale, Firenze, Fussi, 1949).

33 J. Joyce, A Portrait of the Artist as a Young Man, cit.34 T.S. Eliot, T.S. Eliot: the longer poems: the Waste land, Ash

Wednesday, Four quartets, a cura di D. Antona Travers, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1976 (trad. it. Il mercoledì delle ceneri, in Opere, a cura di R. Sanesi, Milano, Bompiani, 1992).

35 T.S. Eliot, Four Quartets, Londra, Faber, 1943 (trad. it. di F. Do-nini, Quattro Quartetti, Milano, Garzanti, 1959).

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tecnica labirintica del dramma di Finnegans Wake sta dietro a The Family Reunion (1939)36 e a The Cocktail Party (1950)37. Quest’ultimo in particolare rappresenta l’equivalente diurno del tema della comunione sociale del Finnegans Wake. E Sir Henry Harcourt-Reilly è apertamente basato su Perse O’Reil-ly del Finnegans Wake. Come il Wake, The Coktail Party ha il suo analogo nell’Alceste di Euripide, ma più importante è la sua base nel Prometeo di Eschilo e Shelley.

Campbell e Robinson38 hanno fornito uno Skeleton Key (un grimaldello) per (aprire) il Wake, che però è più schele-tro che chiave. Essi hanno affrontato l’opera più come una struttura d’idee che come un dramma dello spirito in atto. Il risultato è più diffi cile dello stesso Wake. Sentito immediata-mente come una poesia, ascoltato come un dramma, guarda-to come un cinegiornale notturno (night-news-reel), il Wake offre il suo grimaldello (skeleton and key) in un modo molto differente. Ma la chiave è utile come individuazione di molti temi esoterici e miti esotici.

Il resoconto di Mr. Edel39 sugli ultimi giorni, sulla ma-lattia e sulla morte di Joyce a Zurigo è perfetto. Lo stesso racconto l’ho ascoltato da Siegfried Giedion, che si adoprò per portare i Joyce a Zurigo nel 1940. Tra le ironie di questa coda della vita di James Joyce c’è il fatto che il panegirico in inglese al funerale di Joyce fu pronunciato da Lord Derwent, membro della Camera Alta dei Lords.

36 T.S. Eliot, The family reunion, a play, New York, Harcourt, Brace and Company, 1939 (trad. it. Teatro di T.S. Eliot / con un saggio intro-duttivo di Salvatore Rosati, Milano, Bompiani, 1966).

37 T.S. Eliot, The Cocktail Party: a comed, Londra, Faber and Faber, 1953 (trad. it. Teatro di T.S. Eliot / con un saggio introduttivo di Salva-tore Rosati, Milano, Bompiani, 1966).

38 J. Campbell, H.M. Robinson, A Skeleton Key to Finnegans Wake, New York, Harcourt, Brace, 1944.

39 L. Edel, The Last Journey, New York, Goltham Book Mart, 1948.

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La preziosa antologia curata da Miss Given40 dei saggi critici su Joyce è al massimo una sezione trasversale dello stato della critica su Joyce. Si nota per la sua esclusione di Pound e di Lewis, e per avervi incluso un eccellente brano di Hugh Kenner sul Portrait. Libri di questo genere sono indi-spensabili oggi, se l’opera delle piccole riviste deve essere resa accessibile ad un pubblico più vasto.

La bibliografi a di Mr. Parker è un coraggioso tentativo di presentare tutte le vicende riguardanti la pubblicazione delle opere di Joyce. Anche in un’epoca di bibliografi a i problemi presentati dalla pubblicazione simultanea di edizioni legger-mente diverse della stessa prosa e della stessa poesia sono molto diffi cili. Per esempio, la situazione di pubblicazioni quasi simultanee in Inghilterra e in America permette spesso agli autori di migliorare i loro testi in una, ma non in entram-be le pubblicazioni. I risultati sono caotici anche nel caso di T.S. Eliot.

Gran parte di ciò che non appare nella bibliografi a di Mr. Parker risulta inclusa nel catalogo descrittivo curato da Gheerbant della grande mostra su Joyce allestita a Parigi nel 1949. Questa mostra includeva quaderni, scatole di biglietti con annotazioni per il Wake, la sua biblioteca di lavoro, e traduzioni dei suoi libri in una dozzina di lingue. Il libro di Gheerbant è allettante e indispensabile nello stesso tempo. Alcuni dei materiali esposti in questa mostra furono acquista-ti per l’Università di Buffalo dove, si spera, verranno presto pubblicati.

A James Joyce Yearbook41 è una raccolta di saggi e ricor-di. Comincia con una utilissima sceneggiatura del capitolo (il nono del Finnegans Wake) intitolato da Joyce Anna Livia.

40 S. Givens (a cura di), James Joyce: Two Decades of Criticism, New York, Vanguard, 1948.

41 M. Jolas (a cura di), A James Joyce Yearbook, Parigi, Transition Press, 1949.

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Questa sceneggiatura venne fatta da Stuart Gilbert in colla-borazione con lo stesso Joyce ed è più preziosa di tutte le critiche sul Wake come introduzione a quest’opera. Si può trovare in questo libro un’intervista con il padre di Joyce, costretto a letto. Somiglia, signifi cativamente, a un capitolo del Wake.

In questo Yearbook Gillet registra una conversazione con Joyce sul Wake, che

era interamente tecnica, assolutamente semplice, e priva di verbosità sentimentale. Osservai anche che mentre espone-va le sue intenzioni nella maniera più ragionevole, Joyce rimaneva perfettamente impassibile, astenendosi da ogni espressione di vanità o di magniloquenza. Era consapevole che la sua scommessa era alta e che si era lanciato in un’av-ventura pericolosa.

Nello stesso volume, Heinrich Strauman ricorda una con-versazione con Joyce durante la quale gli chiese se «una co-noscenza delle condizioni locali in Dublino avrebbe reso la lettura di Finnegans Wake un po’ più facile». Joyce «rispose decisamente no. Non si doveva prestare una particolare at-tenzione alle allusioni a nomi di luoghi, a eventi storici, a fat-ti letterari e a personalità, ma lasciarsi toccare dal fenomeno linguistico in quanto tale». Proprio qui è la fi ducia di Joyce nelle capacità mimetiche della lingua in se stessa di comuni-care prima e al di là della comune comprensione.

Per un’ironica coincidenza, il libro da recensire subito dopo questo brano doveva essere Joyce’s Dublin di Patri-cia Hutchins42. Esso contiene fotografi e, prese prima della guerra, delle vie Grafton e Nassau durante le ore di attività

42 P. Hutchins, James Joyce’s Dublin, Londra, Grey Walls Press, 1950.

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commerciale. Vi sono notizie e chiacchiere riguardanti molti dei parenti e conoscenti di Joyce. E c’è una fotografi a del convertito inglese, Padre Darlington, che è il Decano degli Studi nel Portrait. Ci sono la Sandymount Strand, il nume-ro 7 dell’Eccles Street, la torre Martello di Ulysses. Miss Hutchins ci racconta in che modo, quando spinse la porta aperta, chiamò Joyce: “Gridai ‘Joyce, Joyce!’, e poi ‘Jimmy, Jim’, ci sei?”. C’è molto dell’atteggiamento mimico del pio pellegrino, ma l’intero libro risulta molto bello. Esso con-tiene una copia fotostatica del saggio di Joyce su Clarence Mangan che è altrimenti introvabile.

Il saggio biografi co di Stanislaus Joyce43 sul fratello è di grande interesse. Come il fratello di Gertrude Stein, Stani-slaus Joyce sembra deprecare la fama del suo familiare, e alcuni dei suoi giudizi sembrerebbero sospetti. Ma c’è qui molto di un eccellente servizio giornalistico su Joyce in Du-blino. Vengono spazzate via molte leggende e spuntano fi gu-re di sicuro profi lo. L’opera deve essere diffusa. Un esempio del suo interesse è dove Stanislaus spiega in che modo Joyce rimase deluso dell’infl uenza di Blake dopo un periodo di af-fascinata ricerca.

Uno degli aspetti di Joyce che colpiscono di più è la sua profonda pietà fi liale e familiare. Altrettanto signifi cativa era la sua capacità di stringere profonde amicizie personali. Una di queste amicizie viene registrata da Lucie Noel44 nel rac-contare l’amicizia tra Joyce e suo marito, Paul Leon. La com-

43 S. Joyce, Recollections of James Joyce, trad. dall’italiano di E. Mason, New York, James Joyce Society, 1950. Questo saggio fu pub-blicato dopo la morte di James Joyce nel Bloom’s day, il 16 giugno del 1950. Originariamente apparve in «Letteratura», Firenze, vol. V, n° 3, luglio/settembre 1941 e vol. V, n° 4, ottobre/dicembre 1941 con il titolo Ricordi di James Joyce.

44 L. Noel, James Joyce and Paul L. Leon: The Story of a Friend-ship, New York, Gotham Book Mart, 1950.

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pagnia maschile era indispensabile all’indole intellettuale e sociale di Joyce, così come lo era il suo affetto per la moglie e i fi gli. E Joyce fu davvero fortunato in tutti e due questi aspetti.

Il recente libro di W.Y. Tindall45 è essenzialmente una rac-colta di notizie prese da precedenti commentatori e trasmesse ad un pubblico popolare. Ma vi sono diversi aspetti dell’ope-ra sui quali anch’egli, talvolta, riesce a far luce.

L.A.G. Strong46 descrive i motivi che l’hanno spinto a scrivere su Joyce, basati sulla comunanza d’ambiente, d’in-teressi e di simpatie. Il suo Sacred River è preziosissimo per la nuova luce che getta sull’interesse di Joyce per il canto e la musica. «Chiunque abbia imparato a cantare una frase, a con-trollare il proprio respiro, a sfumare il proprio tono di voce… trarrà un particolare diletto dal fraseggiare di Joyce». E anco-ra «chiunque possieda la colonna sonora dell’Otello di Verdi e confronti il duetto amoroso alla fi ne del primo atto… con i capitoli terzultimo e penultimo dell’episodio di Anna Livia, scoprirà alcune somiglianze molto interessanti nel fraseggia-re». Questo è molto più utile della maggior parte dell’esegesi di Joyce.

Un indice di parole contenute nell’Ulysses di Joyce [Recensione di M.L. Hanley, Word Index to James’s Ulysses, University of Wisconsin Press, Madison, 1951]

Il professor Hanley è stato amabilmente indicato dallo stesso Joyce, in Finnegans Wake47, come The Madison Man.

45 W.Y. Tindall, James Joyce: His Way of Interpreting the World, New York, Scriber’s, 1950.

46 L.A.G. Strong, The Sacred River: An Approach to James Joyce, New York, Pellegrini and Cudahy, 1951.

47 J. Joyce, Finnegans Wake, cit.

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Con la collaborazione di Martin Joos, Theresa Fein e mol-ti altri, il professor Hanley ha prodotto l’Index48 nel 1937 come un progetto NYA49. La presente è una terza ristampa di un’opera che si è dimostrata di grande aiuto al lettore di Joyce che cerchi immagini ricorrenti e caratteristiche strut-turali in Ulysses50. Come fi lologo, il professor Hanley aveva prodotto una grande raccolta di registrazioni fonografi che del modo di parlare nel New England, ma era rimasto spaventato davanti alla prospettiva di dover compilare un indice di que-sto materiale senza una certa esperienza tecnica. Il professor W.F. Waddell suggerì che l’esperienza necessaria per un si-mile lavoro poteva essere acquisita compilando innanzitutto un indice di alcuni brani interessanti in prosa di dimensioni confrontabili, e citò Ulysses. Il professor Hanley concepì in-fi ne l’idea di un indice dell’Ulysses ad uso di psicologi in-teressati al processo d’associazione, di studiosi d’immagini stilistiche e di tecnica letteraria «… per educatori e linguisti il suo valore maggiore sarà la sua dimostrazione pratica per quanto riguarda la frequenza delle parole».

L’utilità di un simile strumento, comunque, aumenterà con lo studio dello stesso Ulysses, come è già provato dalla richiesta continuamente crescente dell’Index.

St. Michael CollegeUniversity of Toronto

48 M.L. Hanley, Word Index to Joyce’s Ulysses, cit.49 National Youth Agency.50 J. Joyce, Ulysses, cit.


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