+ All Categories

Mead

Date post: 11-Mar-2016
Category:
Upload: armando-editore
View: 213 times
Download: 1 times
Share this document with a friend
Description:
La socialità del sé
29
George Herbert Mead La socialità del sé A cura di Raffaele Rauty ARMANDO EDITORE
Transcript

George Herbert Mead

La socialità del sé

A cura di Raffaele Rauty

ARMANDOEDITORE

Sommario

Introduzione 7 di Raffaele Rauty

LA SOCIALITÀ DEL SÉ 35

Il sé sociale 37 di George Herbert Mead

Il problema della società. Come acquisiamo un sé 47 di George Herbert Mead

Nota bio-bibliografi ca 79

Introduzione

di Raffaele Rauty

9

1. Tra fi losofi a pragmatica e psicologia sociale

Circondato dalla fama e dall’attenzione rivolta agli autori più famosi della Scuola di Sociologia e alla “tradi-zione” di Chicago, città nella cui università svolse la sua attività accademica per circa trentasette anni, divenen-dovi anche protagonista della vita intellettuale e delle iniziative di riforma sociale, George Herbert Mead è sta-to spesso presentato, o ritenuto nel senso comune, come componente della Scuola di Sociologia. La sua progres-siva presenza in tutti i manuali di storia del pensiero so-ciologico attesta la necessità di prenderlo in considera-zione come componente riconosciuto della tradizione sociologica anche se la specifi cità del suo contributo ha infl uenzato in modo alterno la sociologia emergente nel Dipartimento di Chicago e i suoi studenti (Fisher, 1936, p. 809; Strauss, 1977, p. xi), ma è sostanzialmente in-terna alla fi losofi a pragmatista e alla psicologia sociale. James Carey ricorda (Carey, 1975, p. 50) che Mead, e con lui Dewey, ha svolto un ruolo centrale nella fase di co-stituzione dell’Università di Chicago, e di questo è stato testimone particolare William James, il quale nel 1902 evidenziò: “l’università di Chicago, nei sei mesi passati, ha maturato il frutto della gestazione di dieci anni realiz-zata nella gestione di John Dewey. Lo splendido risultato è una scuola reale e una reale corrente di pensiero. Una corrente di pensiero importante. Si sarebbe mai pensato a quella città o a quella università? A volte c’è una cor-

10

Introduzione

rente di pensiero ma non una scuola. A Yale una scuola ma non una corrente di pensiero. Chicago ha entrambe” (James, 1926, pp. 201-202). Era la dimostrazione di una grande capacità organizzativa, di una qualità didattica e di acquisizioni emblematiche più generali sul piano dell’insegnamento e della ricerca (Shils, 1991, p. ix). Si trattava, insomma, di una netta vittoria sul piano di quell’impresa che aveva i caratteri, e risultò, come una sfi da vincente al dominio della vita accademica in atto nel New England, contesto percepito da molti come più consistente e adatto alle iniziative intellettuali di quan-to mai potesse determinarsi nella capitale dell’Illinois (Mead, 1929). Il clima, le contraddizioni dell’emigra-zione, le condizioni di vita, il confl uire di gruppi etnici, il retroterra completamente estraneo sembravano, tra l’altro, contrastare naturalmente con l’idea di sviluppo di una grande università e con la costruzione di un suo rapporto specifi co, conoscitivo e di intervento, con gli affari municipali e i problemi sociali, e, in generale, con la tradizione democratica americana. In realtà, come per altri settori di quell’università, anche la costituzione del Dipartimento di Filosofi a ha attraversato positivamente il tempo, a testimonianza e riproposizione di un clima e di una volontà impegnati caparbiamente a promuovere quell’iniziativa nella realtà di Chicago: “One in Spirit, but not in Opinion”, come dichiarò William Rainer Harper, primo giovane e attivissimo presidente dell’Università nel giorno della sua inaugurazione, a tracciare e riconoscere le differenze presenti, le quali avrebbero però dovuto, conservandosi, accompagnare ed esaltare quell’impresa (Goodspeed, 1928; Storr, 1966). Certo l’attività didattica e scientifi ca di Mead è stata particolarmente signifi cativa per tutti i sociologi (Faris, 1967, p. 99) come per la città

Raffaele Rauty

11

e le sue istituzioni, anche se il riconoscimento avutone dagli studenti è stato comunque alterno e spesso solo implicito, come nel caso di Thomas, pure presente in tre suoi corsi (Lewis, Smith, 1980, p. 229 e ss.). “Virtual-mente tutti gli studenti di sociologia seguirono qualche corso con Mead” (Lindsgtrom, Hardert, Johnson, 1995, p. 11), valutazione ridotta dai dati offerti da Smith e Lewis (cit., pp. 196-97), anche se il corso in “Advanced Social Psychology”, che Mead tenne regolarmente dal 1918, era seguito ogni anno da un numero particolar-mente alto di studenti. In realtà buona parte del lavoro di Mead trovò eco prima della fase di affermazione e cen-tralità della Scuola di Sociologia, articolatasi in partico-lare negli anni Venti, mentre il suo successo come teorico centrale nella costruzione dell’interazionismo simbolico, quindi una attenzione rinnovata nei suoi confronti da parte della sociologia, si registrò, di fatto, dopo la sua morte1, quando cominciò ad essere riconosciuto come uno dei più importanti padri fondatori di quell’orienta-mento. La fase di particolare successo della Scuola, av-viata dalla pubblicazione della Introduction to the Science of Sociology (Park e Burgess, 1921), ma identifi cata con la pubblicazione della ricerca di Nels Anderson (1923), può dirsi quasi conclusa verso la fi ne del decennio, con i volumi di Zorbaugh (Zorbaugh, 1929) e di Park (Park, 1929), nonostante la pubblicazione di ricerche succes-sive2. In quel periodo, nel quale pure l’elaborazione di Mead prosegue in modo qualifi cato, è come se, a dif-ferenza di quanto avverrà in seguito, la stessa risultasse meno immediatamente percepibile nel Dipartimento di Sociologia3 (e quasi invisibilmente resa più consistente dall’espulsione di Thomas dall’università). L’attenzio-ne alla specifi cità dei problemi oggetto della rifl essione

12

Introduzione

e dello sviluppo del pensiero di Mead tende anche ad evidenziare la natura americana della sua elaborazione, sostanzialmente distinta dall’approccio europeo in quel-la sua capacità di “comprendere e indirizzare il compor-tamento individuale verso modi socialmente compatibili di associazione, premessa per lo sviluppo di una nuova società” (Hamilton, 1992, vol. I, p. 2).

George Herbert Mead ha acquisito nel tempo, nella città di Chicago, riconoscimenti progressivi, che ne hanno delineato e documentato partecipazione civile, sensibili-tà politica, approfondimento scientifi co, impegno didat-tico, capacità di profonda innovazione teorica. Peraltro, come è stato anche per diversi suoi colleghi, per esempio Thomas e Park (Baker, 1973), attraverso l’insediamento, il percorso di studio, l’esperienza delle relazioni e degli interventi lì realizzati, ha distanziato, a più livelli, la real-tà originaria circoscritta del piccolo centro di South Ha-dley, nel Massachusetts, dove era nato, la sua cultura, il suo universo. In particolare gli anni tra l’ultimo decennio del XIX secolo e il Primo confl itto mondiale segnano un periodo di trasformazioni sociali profonde, in una dina-mica accentuata delle forze produttive e dell’innovazione tecnologica, che, come e più che nei decenni precedenti, stavano dando luogo a uno sviluppo urbano e metropo-litano nel quale i processi migratori hanno contribuito, come a Chicago, a determinare una realtà completamente nuova. Questo processo, con la presenza in alcuni casi inedita delle soggettività professionali che metteva in mo-vimento, non può comunque essere separato da nessun livello della elaborazione teorica e dall’intervento pratico di Mead, come da quella ricerca che aveva consistenti e continue implicazioni per i fi losofi del Dipartimento (Diner, 1980, p. 35 e ss.), e che riproponeva un’idea di

Raffaele Rauty

13

sviluppo degli individui sempre connessa con la vita quotidiana e i problemi della città. Peraltro, alla con-sapevolezza del coinvolgimento individuale di Mead, si aggiungeva quella del ruolo e dell’infl uenza più generali avuti dal pragmatismo nei confronti delle scienze sociali, anche nella realtà di Chicago, per una promozione della ricerca empirica (Bulmer 1984, p. 29).

2. Mead a Chicago

Mead era giunto a Chicago nel 1893, a trent’anni, con un livello di formazione inferiore a quello in genere pro-prio dei giovani ricercatori; attratto ad Ann Arbor nel 1891 dalla prospettiva dell’insegnamento nell’Università del Michigan, non ha conseguito il Ph.D. a Berlino du-rante il soggiorno europeo, e, nonostante la complessa ed eterogenea esperienza formativa realizzata, ha alle spalle solo tre anni di insegnamento e quasi nessuna pubblicazione. In realtà, per ora, è soprattutto il ricono-scimento di Dewey che gli facilita l’ingresso nella nuo-va grande università e che lo introduce in una serie di rapporti, come è il caso del settlement, oggetto anche di sua specifi ca rifl essione teorica (Mead, 2010a), nel quale svolge per molti anni un ruolo preminente (ne fu tra l’al-tro tesoriere)4. Fa parte di questa esperienza un rapporto di analisi, promosso dal settlement, con l’ipotesi di una survey la quale, nello spirito della ricerca e dei risulta-ti di quanto era stato compiuto a Pittsburgh (Kellogg, 1909), avrebbe dovuto realizzare uno studio che verifi -casse a tutti i livelli le condizioni di vita del distretto nel quale erano insediati gli stockyards (Cook, cit., p. 102). Si trattava di considerare in particolare l’organizzazione

14

Introduzione

complessiva di quella comunità, la realtà della scuola, del lavoro e la condizione di vita degli individui (Univer-sity of Chicago Settlement, 1912-14). Del resto l’attività di Mead a Chicago si consolida ulteriormente, non solo nel Dipartimento di Filosofi a (Thomas, 1983), quando Dewey5 nel 1905 lascia polemicamente Chicago. La rot-tura del fi losofo si determina per l’insorgere di una serie di contrasti con il Presidente Harper come anche con la propria facoltà, nella quale venne licenziata anche la mo-glie, frequente mediatrice dei rapporti accademici. De-wey lascia Chicago (McCaul, 1959) per trasferirsi all’uni-versità di Columbia dove insegnerà fi no al 1929, anno del suo pensionamento (Tiles, 1992; Cochran, 2010). Per un periodo il direttore del Dipartimento diventa Tufts, e, a distanza di poco, Mead. La presenza nell’Università è so-stanziale per Mead, non solo per la centralità dell’attività di insegnamento e ricerca nella sua vita ma anche perché l’idea con la quale lavora nel Dipartimento è premessa di una concezione il cui rigore e la cui prospettiva ne travalicano, oggettivamente e soggettivamente, i confi ni: “l’università non è un uffi cio di esperti ai quali devono essere inviati i problemi della comunità… è una parte della comunità al cui interno i problemi della medesima hanno una propria collocazione. E la comunità è orga-nizzata per individuare quale deve essere la cultura ed estrinsecarla; per determinare qual è la specifi ca forma-zione professionale e farne oggetto di formazione; per trovare quello che è giusto e quello che è sbagliato, e insegnarlo; per strutturare e riformulare i problemi della ricerca come anche per risolverli; in generale per coglie-re, di momento in momento, il modifi carsi del signifi cato della vita e individuare il percorso necessario per ravvi-cinarlo”, dando così senso anche a quello che è giusto

Raffaele Rauty

15

come a quello che è sbagliato (Mead, 1915, p. 351, cita-to in Diner, 1980, p. 29). Quindi Mead è ripetutamente presente nell’intervento per la riforma sociale, tema di fatto connesso in modo sostanziale e condizionante alla sua elaborazione (Mead, 1899) e che si estrinseca in un rapporto privilegiato, come per Dewey, anche se con un coinvolgimento diverso, con la Hull House. In essa svolge per diversi anni un ruolo centrale come dirigen-te e anche come collettore di fondi (Cook, cit., p. 102). È impegnato dunque nel sostegno di attività molteplici, dall’assetto e sviluppo della scuola e dei processi forma-tivi (tema centrale all’interno di tutta la sua rifl essione), al lavoro e alla realtà della sua organizzazione e di come essa si riverberava sugli individui, dall’immigrazione, e dai processi di inclusione che le erano connessi, alle condizioni delle abitazioni e dei livelli esistenziali nella realtà dell’assetto urbano. Mead (così come la moglie) e la Addams ebbero un lungo rapporto, personale e pro-fessionale, condiviso con Thomas, che rafforzò e con-solidò, nel tempo, la stima reciproca (Deegan 1990, in particolare pp. 106-21). Peraltro l’attività di riforma di Mead non si ferma alla presenza nel settlement; già nel 1900 è divenuto Presidente del Comitato di Direzione della Chicago Physiological School, per ragazzi impos-sibilitati sul piano fi sico a utilizzare la scuola pubblica, struttura legata all’Università di Chicago, sostenuta dal Dipartimento di Filosofi a e Neurologia. Diviene poi di-rettore della rivista «Elementary School Teacher», orga-no della scuola fondata da Dewey nel 1896, mentre nel 1908 viene eletto nel Settlement’s Board of Directors, contribuisce alla fondazione della Immigrant’s Protecti-ve League, della quale fu vicepresidente dal 1909 al 1919 (Leonard, 1973; Philpott, 1978)6. Fu inoltre presidente

16

Introduzione

del comitato per l’educazione del City Club, dal 1908 al 1916 (Merriner, 2003), espresse una presenza pubblica diffusa e continua, come nel caso dello sciopero dei lavo-ratori e delle lavoratrici tessili nel 1910 (Buhle, 1976, pp. 1039-52), e si impegnò, in particolare ma non solo nel periodo prebellico, verso ogni ipotesi di riforma sociale e organizzazione politica coerente.

3. Le opere di Mead

Sul piano teorico Mead sembra uno di quegli autori la cui fama e la cui rilevanza crescono esponenzialmente dopo la morte, come di fatto è avvenuto in relazione alla sua elaborazione del behaviorismo come dell’interazio-nismo (Hamilton, 1992, vol. 1, p. 1). In realtà l’attività di Mead, come ma molto più di quella di Dewey e de-gli altri pragmatisti attivi nel Dipartimento di Filosofi a di Chicago7, era coerente con l’idea che il mondo non rappresentasse una realtà immobile e esterna, e che non ci fosse un movimento verso un obiettivo predetermina-to, ma piuttosto che individui e realtà facessero parte di un processo in continuo mutamento, sostenuto dal loro pensiero e dal loro agire. Questa attenzione a una costru-zione e ricostruzione di un nesso coerente tra gli ordini costituiti e il processo di rinnovamento è continuamente presente, con una sensibilità costante per il fatto che quel rinnovamento, legato alle trasformazioni della scienza e alle nuove forme della vita sociale, non poteva e non avrebbe mai potuto essere risolto “con qualche punto di vista già determinato” (Dewey, 1936, p. 329). La ritra-duzione di questa rifl essione deve avere anzitutto come riferimento la valutazione e il riconoscimento sostanziale

Raffaele Rauty

17

delle opere di Mead e della sua elaborazione generale. Nonostante la profonda sottovalutazione della quale spesso è oggetto, legata al senso comune per il quale i suoi lavori principali, corrispondenti alla parte centra-le della sua rifl essione, sono di fatto postumi, c’è invece una consistente produzione scientifi ca di Mead pubbli-cata durante la vita. Si tratta di settantasette articoli, uno o più per ogni anno di attività (Fisher e Strauss, 1979, p. 9) che investono in modo signifi cativo alcuni dei princi-pali temi dell’interesse di Mead. Per esempio alcune idee di psicologia sociale, sviluppo della rifl essione elaborata da Dewey (1896), che si ritraducono in articoli pubbli-cati su rivista entro il 1913 (Cook, cit., p. 68), così come i primi materiali critici favorevoli allo sviluppo di una cultura dell’infanzia e a una critica del sistema scolastico esistente (Mead, 1896), con l’evidenziazione della sua se-paratezza dalla realtà sociale (Meltzer, Petras, Reynolds, 1980, p. 34). La consapevolezza di questo consente di valutare in modo più compiuto il lavoro svolto dai suoi allievi e amici per portare a pubblicazione il contenuto delle sue lezioni, legate ad argomenti molteplici, espres-sione della eterogeneità della sua formazione e dei suoi approfondimenti8. È il caso di Mind, Self and Society, or-ganizzato dalle note di lettura stenografi che delle lezioni del corso di Advanced Social Psychology, tenute da Mead nel 1928 al Senior College all’Università di Chicago, alle quali il curatore Charles Morris (1901-1979) ha aggiun-to alcuni elementi ricavati anche dalle lezioni del 1930. Tra questi, in particolare, Fragments on Ethic, derivante da una serie di note prese dagli studenti al suo corso. Il testo, evidentemente derivato da una forma orale, per le sue ripetizioni, il carattere a volte prolisso e a volte non suffi cientemente stringente del discorso, mostra, a più

18

Introduzione

livelli, limiti consistenti, ripetizioni, circonvoluzioni che forse gli stessi allievi di Mead non hanno voluto evitare (Morrow, 1935, pp. 587-88; Burke, 1939; Lee, 1945), con il risultato di far trapelare anche qualche contraddizione all’interno del testo (Lewis, Smith, 1989, p. 121)9. D’al-tro canto i curatori, gli studenti, ma soprattutto Morris, al di là della meritorietà del lavoro svolto, non ne hanno mai chiarito i principi ispiratori, così che a volte sembra diffi cile, “valutare se una affermazione è di Mead o di Morris” (Joas, 1997, p. 267), situazione non migliorata ma caso mai, anche se positivamente, accentuata dalle edizioni curate da Miller e Reck10, tanto che sembrereb-be desiderabile, ma non facile da realizzare, una edizione critica delle opere di Mead, in grado di restituire la cer-tezza del testo (Joas, cit.)11. A questo c’è da aggiungere che Mead non aveva la fama di conferenziere comunica-tivo (Carter, 1972, citato in Harper, 1987, p. 156), né di persona che gradisse molto la discussione sulle proprie esposizioni (Carey, cit.).

Il riferimento all’attività per la riforma sociale svolta da Mead non è legato solo alla documentazione di un percorso, ma anche e soprattutto alla percezione del rap-porto che unisce la sua elaborazione alla presenza (ed alla trasformazione) sociale, così da tenere fermi i processi centrali dello svolgimento del suo pensiero ma compren-dere il nesso tra quella rifl essione e l’intervento sociale svolto. Deegan e Burger ricordano il rapporto tra Mead e la riforma sociale (1978), sottolineato peraltro dallo stesso autore nei suoi caratteri e nel suo signifi cato: “Noi facciamo questo: risolviamo i problemi, e quei problemi possono manifestarsi solo nell’esperienza dell’individuo. È quello che conferisce importanza all’individuo, che gli dà un valore indefi nibile” (Mead, 1936, p. 411), anche

Raffaele Rauty

19

perché la scienza è “Lo strumento attraverso il quale il genere umano, la comunità, conquistano il controllo del proprio ambiente” (Mead, cit., p. 360). In questo senso il rapporto tra l’uomo di scienza e la disciplina non è dogmatico, è in movimento all’interno della sua teoria, consapevole che quanto può trovare non è destinato a mantenersi in forma perenne, ma piuttosto a poter di-ventare rapidamente eccezione rispetto a quanto dato e quindi principio di ulteriore trasformazione (Mead, 1936, p. 265). Infatti le procedure e il metodo dello scienziato presuppongono una ricostruzione continua, a fronte di una realtà che si modifi ca in modo incessante e ininterrotto. In rapporto a queste premesse si deve ri-conoscere che nell’elaborazione di Mead il fondamento della solidarietà umana è al centro della teoria del sé: “la conoscenza del ruolo dell’altro, condizione necessaria ma non suffi ciente, rappresenta il punto di vista della solidarietà etica” (Feffer, 1990, p. 252), premessa, e nello stesso tempo contenuto, del rapporto legato al tipo di coscienza umana, capace di rendere possibile, nel suo sorgere dall’esperienza, quel progresso (Fisher, Strauss, 1979, p. 11).

4. Il sé sociale

Mead evidenzia fi n dalle prime pagine di Mind, Self and Society che la psicologia sociale è behavioristica nel senso che muove dall’attività che può essere osservata, nel processo dell’azione, e degli atti sociali che la com-pongono, ma non lo è completamente perché non accet-ta di ignorare l’esperienza interiore dell’individuo, anzi è particolarmente interessata alla genesi di quel processo

20

Introduzione

nel suo complesso. Quindi a un nesso che sembra in pri-ma istanza riprodurre o riecheggiare quel behaviorismo si somma una netta differenziazione teorica. Si muove dunque dall’esterno all’interno per determinare come quelle esperienze sorgano all’interno del processo lun-go il cui percorso emerge il signifi cato. È una critica del behaviorismo che muove dalle stesse ipotesi di Watson, ma che nella accezione di behaviorismo sociale, a diffe-renza dell’altro, inserisce un approccio che ricomprende l’attività nascosta, interna. Viene così superata la mecca-nicità di come Watson vede quel comportamento, per cui l’individuo non risponde meccanicamente a stimoli esterni, ma il suo comportamento è sociale, interno alle relazioni sociali, così come sociali sono le azioni umane, degli individui. Del resto tutta la società umana è sostan-ziata, per Mead, da un comportamento cooperativo che non ha radice fi siologica e che non può essere rapportato alle dinamiche presenti nel mondo animale. La mente umana è infatti il prodotto del progressivo adattamento dell’umanità al suo ambiente, un ambiente che si mo-difi ca nel corso dell’adattamento secondo i bisogni, in un processo che non è comunque specifi co solo della dimensione umana. Esso prevede che le azioni dell’indi-viduo comprendano le intenzioni degli altri e su quella base, quasi in modo indiretto, diano la loro risposta. In questo modo i gesti, in una dimensione non umana e non linguistica, non sono portatori di un signifi cato o di una volontà consapevole, non hanno la mediazione del signi-fi cato, in un adattamento che ha quasi carattere istinti-vo. Perché ci sia risposta sulla base delle intenzioni e dei signifi cati il gesto deve divenire simbolico, deve essere interpretato, ricomprendere, a quel livello, l’intero atto. In questo senso il soggetto si dà indicazioni attraverso un

Raffaele Rauty

21

processo che matura all’interno della assunzione di ruolo (role-taking) o anche a un rapporto con l’atteggiamento degli altri.

Per Mead il fatto che un essere umano risponda ai propri gesti presuppone il possesso di un sé, prodotto di un rapporto sociale, cioè che la sua azione, nata e si-tuata all’interno della società, non è rivolta solo verso gli altri ma anche verso se stesso: “il sé agisce in rapporto agli altri ed è immediatamente consapevole degli oggetti circostanti” (Mead, cfr. nel testo)12. È un processo spe-cifi co degli individui umani, che si danno indicazioni e agiscono nei propri confronti nei modi più eterogenei, utilizzando il linguaggio e il processo comunicativo nelle sue varie forme, e in questo interpretano sempre il com-portamento degli altri, attenti ai simboli signifi canti (si-gnifi cati di quei gesti che sono comunque la prima forma di comunicazione) espressi che ne ritraducono le volon-tà, più o meno esplicite o latenti. Reagiscono a questa di-mensione esprimendo, a loro volta, una serie di compor-tamenti (atti sociali) come risposte: “È il meccanismo del gesto che rende possibili le risposte reciproche appro-priate fra i comportamenti dei differenti organismi nel processo sociale. Nell’ambito di ciascun atto sociale si verifi ca, per mezzo dei gesti, un aggiustamento dell’azio-ne di un organismo, implicato verso l’azione di un altro” (Mead, 2010, p. 53). I simboli consentono all’individuo di ritardare la sua risposta, di riconoscere caratteristiche particolari degli oggetti presenti nella situazione così da poterli considerare come mezzi per i fi ni, impegnandosi in una conversazione interna attraverso la quale la situa-zione può essere ricostruita sul piano immaginario: “il sé si forma …attraverso le defi nizioni date dagli altri” (Meltzer, 1967, p. 10). Quei simboli consentono inoltre

22

Introduzione

l’identifi cazione di alternative, la loro organizzazione, verifi ca, selezione (o scelta), per costruire una strategia d’azione prima della risposta diretta: “Il pensiero sim-bolico diventa così il fondamento della ragione umana, della rifl essione, della scelta razionale (o deliberativa) e della risposta ritardata. Il simbolo occupa una posizione strategica nella capacità umana di agire” (Hinkle, 1980, p. 319). Quei simboli consentono la transizione dalla conversazione dei gesti al rapporto esplicito con i ruoli degli altri. Per Mead dunque il signifi cato sorge solo dal-la comunicazione, per cui il rapporto individuo-società, e l’ordine, regolazione determinata da un controllo so-ciale, che ne consegue, deriva dalla consapevolezza di una dipendenza reciproca, così come la realizzazione dell’azione sociale indica il processo che rende la società umana possibile.

La questione della comunicazione nella società era stata in modo ripetuto al centro della rifl essione teorica; già Cooley, nell’indicare i tre aspetti della coscienza (co-scienza, coscienza sociale, opinione pubblica) tutti so-stanziati nella loro esistenza dalla comunicazione, aveva evidenziato il rapporto inscindibile di questa con l’esi-stenza e lo sviluppo delle relazioni umane, ricompren-dendo nella stessa tutti i meccanismi dello spirito come anche le strumentazioni tecnologiche che “li trasmettono nello spazio e li preservano nel tempo” (Cooley, 2010, p. 69). E Dewey aveva ricordato in particolare la connessio-ne, molto più che verbale, esistente tra i termini comune, comunità e comunicazione: “Gli uomini vivono in una comunità in virtù delle cose che hanno in comune, e la comunicazione è il modo nel quale vengono in possesso di cose in comune. Quello che devono avere in comune sono obiettivi, credenze, aspirazioni, conoscenza – una

Raffaele Rauty

23

comprensione comune” (Dewey, 1916, pp. 5-6). Ovvia-mente in questo processo assume un ruolo determinante il linguaggio, forma comunicativa generalizzata e appro-fondita, base dei signifi cati condivisi che attraversano la società e gli individui che ne fanno parte. Del resto l’individuo al quale fa riferimento Mead è rifl essivo, con-sapevole, creativo e sociale e dunque non subisce un’in-fl uenza biologica sovradimensionata. Di conseguenza quel sé è anche strettamente connesso alla comunità e alla società umana, dovendosi presupporre che solo una opportunità diffusa di comunicazione e signifi cato per tutti i membri della società possa provocare, in un pro-cesso che si costruisce e si determina sin dall’infanzia, un corretto sviluppo e rapporto tra l’individuo e gli altri (Deegan, cit., p. 108). E nonostante il rapporto teorico e di frequentazione con le lezioni di Wundt, da questo consegue e si rafforza un ideale di democrazia come anche un impegno sociale, per la realizzazione di quel-la democrazia alla quale è essenziale la consapevolezza della natura dell’esperienza. Allo stesso modo la società alla quale pensa Mead è una società in trasformazione, intrisa “di ottimismo, di pensiero progressista, di libera-lismo, e pragmatismo” (Deegan, 1990, p. 106).

Il rapporto con l’atteggiamento degli altri, abbiamo detto, è un percorso al quale Mead ha dedicato parte consistente della sua rifl essione e che presuppone dun-que un’azione connessa con loro, perché dare indicazio-ni a un’altra persona presuppone la necessità di assu-merne il ruolo, azione nella quale è centrale il processo comunicativo (che si realizza quando il gesto si traduce in indicazione). Ciascuno dei due partecipanti al proces-so deve assumere il ruolo dell’altro per cogliere il signi-fi cato del gesto o dell’indicazione: “L’interazione tra gli

24

Introduzione

esseri umani a livello simbolico è rappresentata da una sequenza successiva di indicazione, interpretazione, de-cisione di risposta, e realizzazione di quella risposta, nel-la quale la risposta manifesta serve come indicazione del-la possibilità di iniziare una nuova sequenza in direzione opposta, e così via” (Morrione, 2004, p. 29). Peraltro il fatto che i soggetti possano rispondere ad un altro pre-suppone che abbiano un sé e questo sé sviluppa l’azione verso se stesso, il quale, nella sua conversazione interna, deve vedersi dal punto di considerazione dell’altro ge-neralizzato (consapevolezza, all’interno dell’individuo, degli altri e della società nel suo complesso). In rapporto a questo la mente, che non ha una consistenza predeter-minata e immobile, è in rapporto con l’attività simbolica, con il pensiero e con l’attività di relazione dell’individuo, con i signifi cati che di volta in volta, in quell’attività pro-cessuale, si determinano e, a loro volta, determinano gli oggetti. Quindi quella società, centrale nella rifl essione di Mead, alla quale viene attribuita l’interazione simbo-lica, nello stesso tempo precede la nascita dei sé e delle menti individuali, ma è anche sostenuta (riprodotta) dai sé e dalle menti: “Questo signifi ca che l’interazione sim-bolica è il mezzo tanto per lo sviluppo degli esseri umani quanto del processo attraverso il quale gli esseri umani si associano in quanto esseri umani” (Meltzer, 1967, p. 19). Tutto questo contribuisce a ribadire, anche se sem-plicemente e parzialmente qui delineate, una ricchezza, fecondità e interdisciplinarietà del pensiero di Mead che con il passare degli anni ne sviluppano il senso del retro-terra formativo, la dimensione teorica e l’infl uenza sugli altri pensatori oltre che il contributo diretto all’analisi della società americana.

Raffaele Rauty

25

NOTE

1 Probabilmente, ma non solo, a partire dal saggio di Blu-mer (1937) che coniava il termine di interazionismo simbolico. Già nel 1920, comunque, la sua centralità era divenuta così evidente da poter essere defi nito il “cosmologo” di quel grup-po (Morris, 1970, p. 189).

2 Nel 1930 viene pubblicato il lavoro di Shaw (1930), poi quello di Frazier (1931), nel 1932 contemporaneamente ai lavori di Cressey (1932), viene pubblicato il primo lavoro di Mead postumo, seguito nel 1933 dal volume di Reckless e nel 1936 dall’altro di Hayner; poi sono pubblicati lavori di Sutherland (1937). È del resto emblematica la citazione quasi marginale che Park e Burgess fanno, nel loro manuale, della elaborazione di Mead (Park, Burgess, cit., pp. 424 e 426).

3 Per esempio Mead non fece mai parte della Society for Social Research, delle cui riunioni fu oratore una sola volta, nel 1929 (Harper, 1987, p. 156).

4 Dewey fu membro del Board of Trustees dal 1897 al 1903 e Mead vi iniziò a tenere conferenze nel 1897 (Cook, cit., pp. 100 e 206). A partire dal 1907 Mead ne divenne oratore uffi -ciale alla cerimonia della domenica.

5 Dewey, molto attivo nella politica sociale a Chicago, dove aveva rapporti con la Civic Federation, il Chicago Women’s Club, la Cook County Normal School; nel 1899 era divenuto presidente dell’American Psychological Association e nel 1905 presidente dell’American Philosophical Association.

6 L’organismo aveva il compito di tutelare dallo sfrutta-mento gli immigranti arrivati da poco e di favorirne il pro-cesso di inclusione attraverso il reperimento di un lavoro e di un’abitazione, l’acquisizione della lingua, il rapporto positivo con i modelli culturali statunitensi. All’impresa oltre a Mead parteciparono Grace Abbott come direttore esecutivo, Sopho-nisba Breckinridge come segretario, Ernst Freund che ne fu presidente.

26

Introduzione

7 Oltre a Mead lavoravano con Dewey nel 1894, Charles A. Strong, docente di psicologia (che nel 1895 lasciò Chicago per l’Università Columbia), Julia E. Bulkley, docente di pedagogia, James H. Tufts, che lo aveva preceduto a Chicago, segnalando-lo al Presidente Harper ed era editore di «School Review» e di «International Journal of Ethics», e che diresse il Dipartimen-to al momento della partenza di Dewey; inoltre, Edward Scri-bner Ames, e Addison W. Moore, i quali divennero professori associati rispettivamente nel 1895 e nel 1900. (Cook, cit., p. 201; Rucker, 1969).

8 Tra i temi trattati: Hume, Leibniz, Henri Bergson, la me-tafi sica di Aristotele, la fenomenologia di Hegel, il problema della coscienza, razionalismo e empiricismo, la logica delle scienze sociali, elementi di etica, la fi losofi a della scienza, la fi losofi a dell’educazione (Mead Papers, citato in Renger, 1980, p. 115).

9 Tra questi orientamenti critici rispetto alla forma fi nale della trascrizione di queste lezioni vanno ricordate le osserva-zioni contenute nell’articolo di Fine e Kleinman (1986, p. 130 e ss.) con i riferimenti alla complessità ed anche all’ambiguità comunque oggettivamente presente non solo nella forma orale del discorso ma anche nella sua ritraduzione scritta, che entra peraltro in rapporto con un “uditorio-lettore” invisibile (Par-ker, Lenertz, 1978, citato in Fine, Kleinman, cit.).

10 Le opere di Mead sono raccolte in più volumi, uno è quello interno alla serie più classica della Chicago University Press, la The Heritage of Sociology, curata da Anselm Strauss (1977), l’altro è il volume curato da Andrew Reck (1964), com-posto da venticinque articoli pubblicati in vita da Mead, tutti tranne tre dei quali riprodotti integralmente.

11 Analogamente Movements of Thought in the Nineteenth Century deriva soprattutto dagli appunti presi dagli studenti ai suoi corsi nella primavera del 1928, più alcune note derivanti dalle lezioni del corso su Bergson tenuto da Mead nello stesso periodo (Cook, 1993, p. xvii).

Raffaele Rauty

27

12 Il passaggio è contenuto nel testo pubblicato attestante la conferenza alla Western Philosophical Society. La società, fondata a New York il 2 luglio del 1901, della quale era stato primo presidente Tilly, aveva contribuito, insieme alla presti-giosa American Psychological Association, al processo di isti-tuzionalizzazione della sociologia ed alla successiva fondazio-ne della American Philosophical Association; la sede di rilievo ha probabilmente contribuito alla forma del testo di Mead, contenuta nella sua estensione, ma soprattutto estremamente densa, quasi troppo sintetica in alcuni passaggi.

28

Introduzione

Riferimenti bibliografi ci

Anderson N. (1923), The Hobo. The Sociology of Home-less Man, University of Chicago Press, Chicago.

Baker P.J. (1973), The Life Histories of W.I. Thomas and R.E. Park, «The American Journal of Sociology», 79, 2, September, pp. 243-60.

Blumer H. (1937), Social Psychology, in Schmidt E.P., Man and Society, Prentice Hall, New York, pp. 1434-98.

Buhle M.J. (1976), Socialist Women and the Girl Strikers, Chicago 1910, «Signs», Summer, pp. 1039-52.

Bulmer M. (1984), The Chicago School of Sociology. Insti-tutionalization, Diversity and the Rise of Sociological Research, University of Chicago Press, Chicago.

Burke K. (1939), George Herbert Mead, «New Repu-blic», 97, January, 11, pp. 292-93.

Campbell J. (2007), The American Philosophical Asso-ciation and Its History, «Transactions of the Charles S. Peirce Society: A Quarterly Journal in American Philosophy», 43, 2, Spring, pp. 404-10.

Carey J.T. (1975), Sociology and Public Affairs. The Chi-cago School, Sage Publications, Beverly Hills,

Carter W.P. (1972), Interview with James Carey, 17.3.1972, University of Chicago, Regenstein Library, Special Collections.

Raffaele Rauty

29

Cochran M. (2010), The Cambridge Companion to De-wey, Cambridge University Press, Cambridge.

Cook G.A. (1993), George Herbert Mead. The Making of a Social Pragmatist, University of Illinois Press, Ur-bana.

Cooley C.H. (2010), Il gruppo primario. I processi comuni-cativi, Kurumuny, Calimera (ed. orig. 1909).

Cressey P.G. (1932), The Taxi-Dance Girl: A Sociologi-cal Study in Commercialized Recreation and City Life, University of Chicago Press, Chicago.

Deegan M.J. and Burger J.S. (1978), George Herbert Mead and Social Reform: His Work and Writings, «Journal of the History of the Behavioral Sciences», 14, pp. 362-73.

Deegan M.J. (1990), Jane Addams and the Men of the Chicago School, 1892-1918, Transaction Books, New Brunswick, New Jersey.

Dewey J. (2004), Democrazia ed educazione, Sansoni, Mi-lano (ed. orig. 1916).

Dewey J. (1936), The Work of George Herbert Mead, «The New Republic», July, pp. 329-30.

Diner S.J. (1980), A City & its Universities. Public Policy in Chicago, 1892-1919, The University of North Caro-lina Press, Chapel Hill.

Faris E. (1936), Review of Mind, Self and Society, «Ame-rican Journal of Sociology», 41, pp. 809-13.

Faris E. (1967), Chicago Sociology. 1920-1932, University of Chicago Press, Chicago.

Feffer A. (1990), Sociability and Social Confl ict in George Herbert Mead Interactionism, 1900-1919, «Journal of the History of the Ideas», 51, pp. 233-54.

Feffer A. (1993), The Chicago Pragmatists and American Progressivism, Cornell University Press, Ithaca.

30

Introduzione

Fine G.A., Kleinman S. (1986), Interpreting the Sociologi-cal Classics: Can There Be a “True Meaning of Mead”?, «Symbolic Interaction», 9, pp. 129-46.

Goodspeed T.W. (1916), A History of the University of Chicago, University of Chicago Press, Chicago.

Hamilton P. (ed.) (1992), Critical Assessments, 4 voll., Routledge, London.

Harper L. (1987), Myths of Chicago School of Sociology, Avebury, Aldershot.

Hinkle R.C. (1980), Founding Theory of American Socio-logy. 1881-1915, Routledge & Kegan Paul, Boston.

James W. (ed.) (1926), Letters of William James, 2 voll., Longmann, Green, London.

Joas H. (1997), George Herbert Mead and the Reinassan-ce of American Pragmatism in Social Theory, in Camic C. (ed.), Reclaiming the Sociological Classics. The State of Scholarship, Blackwell Publishers, Malden, Mass.

Kellogg P.U. (1909), The Pittsburgh Survey, «Charities and the Commons», 2, January.

Lee G.C. (1945), George Herbert Mead: Philosopher of the Social Individual, King’s Crown Press, New York.

Leonard H.B. (1973), The Immigrants’ Protective League of Chicago 1908-1921, «Journal of the Illinois State Historical Society», 66, Autumn, pp. 271-84.

Lewis J.D. and Smith R.L. (1980), American Sociology and Pragmatism: Mead, Chicago School and Symbolic Interaction, University of Chicago Press, Chicago.

Lindsgtrom F.B., Hardert R.A., Johnson L.L. (eds.) (1995), Kimball Young on Sociology in Transition 1912-1968, University Press of America, Lanham, New York.

McCaul R.L. (1959), Dewey’s Chicago, «School Review», 67, 2, Summer, pp. 258-80.

Raffaele Rauty

31

Mead G.H. (1896), The Relation of Play to Education, «University of Chicago Record», 1, pp. 140-45.

Mead G.H. (1915), Madison – The Passage of University of Wisconsin through the State Political Agitation of 1914, «Survey», 35, pp. 349-51; 354-61.

Mead G.H. (1929), The Philosophy of Royce, James and Dewey, «Society for Social Research Papers», No-vember, 7, Chicago, University of Chicago Archives.

Mead G.H. (2010a), Il social settlement: le sue basi e funzioni, in Addams J., Woods R.A., Mead G.H., Il social settlement, a cura di Rauty R., Kurumuny, Cali-mera, pp. 106-12.

Mead G.H. (2010b), Mente, sé e società, Giunti, Firenze (ed. orig. 1934).

Meltzer B.N. (1967), Mead’s Social Psychology, in Manis J.G. and Meltzer B.N. (eds.), Symbolic Interaction. A Reader in Social Psychology, Allyn and Bacon, Bo-ston, pp. 5-24.

Meltzer B.N., Petras J.W., Reynolds L.T. (1980), L’inte-razionismo simbolico. Genesi, sviluppi e valutazione critica, Franco Angeli, Milano (ed. orig. 19751).

Merriner J.L. (2003), The City Club of Chicago: A Cen-tennial History, The City Club, Chicago.

Morris C. (1970), The Pragmatic Movement in American Philosophy, George Braziller, New York.

Morrow G.R. (1935), Review of Mind, Self and Society from the Standpoint of a Social Behaviorist, «Philoso-phical Review», 44, November, pp. 587-89.

Park R.E., Burgess E.W. (eds.) (1921), Introduction to the Science of Sociology, The University of Chicago Press, Chicago.

Park R.E. (1929), The Immigrant Press and its Control, University of Chicago Press, Chicago.

32

Introduzione

Parker J. and Lenertz M.J. (1978), Writing as a Proble-matic Presentation of Self, Paper presented at the Fifth Annual SSSI Spring Symposium, Columbia, South Carolina.

Philpott T.L. (1978), The Slum and the Ghetto: Neigh-borhood Deterioration and Middle Class Reform, Chica-go, 1880-1930, University of Chicago Press, Chicago.

Reck A.J (ed.) (1964), George Herbert Mead Selected Writings, University of Chicago Press, Chicago.

Reckless W. (1933), Vice in Chicago, The University of Chicago Press, Chicago.

Renger P. (1980), George Herbert Mead’s Contribution to the Philosophy of American Education, «Educational Theory», 30, Spring, 2, pp. 115-33.

Rucker D. (1969), The Chicago Pragmatists, University of Minnesota Press, Minneapolis.

Shaw C. (1930), The Jack-Roller: A Delinquent Boy’s Own History, University of Chicago Press, Chicago.

Shils E. (ed.) (1991), Remembering The University of Chicago. Teachers, Scientists and Scholars, The Uni-versity of Chicago Press, Chicago.

Storr R. (1966), Harper’s University: The Beginnings. A History of the University of Chicago, University of Chicago Press, Chicago.

Strauss A. (1977), Introduction, in Strauss A. (ed.), Geor-ge Herbert Mead, On Social Psychology, The Univer-sity of Chicago Press, Chicago, pp. vii-xxxi.

Strauss A. (ed.), George Herbert Mead, On Social Psycho-logy, The University of Chicago Press, Chicago.

Sutherland E.H. (1937), The Professional Thief, Univer-sity of Chicago Press, Chicago.

Tiles J. (ed.) (1992), John Dewey: Critical Assessments, Routledge, London-New York, 4 voll.

Raffaele Rauty

33

Watson J.B. (1913), Psychology as the Behaviorist Views it, «Psychological Review», 20, pp. 158-77.

University of Chicago Settlement (1912-14), A Study of Chicago Stockyards Community, 3 voll. 1. Talbert E.L. (ed.), Opportunities in School and Industry for Children of Stockyards District; 2. Montogomery L. (ed.), The American Girl in the Stockyard District; 3. Kennedy J.C. (ed.), Wages and Family Budgets in the Chicago Stockyards District, University of Chicago Press, Chicago.

Zorbaugh H.W. (1929), The Gold Coast and the Slum, University of Chicago Press, Chicago.


Recommended