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Mediares n.19/2012

Date post: 28-Mar-2016
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In questo numero: - Quanto costa la mediazione? - Mediazione in sanità - La giustizia per riparare o per sanare? - Sindrome da Alienazione Genitoriale - Per una convivialità delle differenze Con gli scritti di: A. Chmieliski Bigazzi, I.C. Iglesias Canle, A. Cimmino, P. Conese, V. Delle Foglie, A. Coppola De Vanna, A. Fanigliulo, M.R. Fascia, A. Fornasari, G. Gallone, I. Grattagliano, S. Ingrosso, S. Legrottaglie, N.D. Liantonio, M. Palmisano, G. Pisapia, R. Porfido, A.L. Tocco, D. Torelli, G. Tramontano, V. Trombini, G.M. Valenti
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DIRETTORE RESPONSABILEAnna Coppola De Vanna · [email protected]

COMITATO SCIENTIFICOAlessandro Diotallevi, Anna Coppola De Vanna, Gianpaolo Impagnatiello,Gianvittorio Pisapia, Federico Reggio, Armando Saponaro, Anna Laura Tocco,Giuseppe Valenti

REDAZIONEElena Straziota · [email protected] de Ruvo · [email protected]

CURATORIStudi e ricerche: Comitato scientifico · [email protected] del mediatore: Comitato scientifico · [email protected] del diritto: Giampaolo Impagnatiello · [email protected]: Gianvittorio Pisapia · [email protected]: Giuseppe. M. Valenti · [email protected]à: Armando Saponaro · [email protected]: Anna Laura Tocco · [email protected]

CADENZASemestrale

STAMPAMartano Editrice S.r.L. Zona Industriale (Le) 73100

EDITORE© edizioni la meridiana, via G. Di Vittorio, 7 - 70056 Molfetta (www.lameridiana.it)

Registrazione del Tribunale di Bari n. 1588 del 17/10/2002

Finito di stampare a ottobre 2012

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In questo numero

Editorialedi Anna Coppola De Vanna 7

Studi e ricercheAndrea Chmieliski BigazziLe Nazioni Unite invitano a incrementarel’uso della mediazione. L’Unione Europea plaude 13

Maria Rosaria Fascia, Viviana TrombiniMediazione in ambito sanitario 35

Andrea CimminoL’indennità di mediazione 57

Alberto FornasariIl doppio sguardo: educazione interculturale e riflessionipedagogiche per una «convivialità delle differenze» 81

N.D. Liantonio, S. Ingrosso, S. Legrottaglie, P. Conese,V. Delle Foglie, A. Fanigliulo, G. Gallone,M. Palmisano, R. Porfido, I. GrattaglianoSindrome di Alienazione Genitoriale: contributo casistico 93

Dossier del mediatoreGianluca TramontanoVisioni alternative della giustizia riparativa? 137

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Itinerari del dirittoInés C. Iglesias CanleLa mediazione in materia civile e commerciale 181

Rubriche

InterdefinizioneGianvittorio PisapiaQuale mediazione senza narrazione? 201

BibliotecaAnna Coppola De VannaUn magistrato ispirato. Gherardo Colombo 211

Giuseppe. M. ValentiArancia meccanica: un apologo(a contrario?) sulla mediazione penale 215

ContiguitàDonato Torelli, Ignazio GrattaglianoMarito, moglie, figli e magistrati,ovvero: i bambini in tribunale 219

StorieAnna Laura ToccoPane, amore e mediazione

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1. Dal «multiculturale» all’«interculturale»

Interessarsi di questioni interculturali rappresenta, per la ricer cascientifica attuale, una necessità. Le dinamiche demografiche euro-pee e il fenomeno dell’immigrazione hanno, infatti, profondamentemodificato il tessuto sociale nel quale viviamo, sempre maggior-mente caratterizzato dalla presenza di persone di diversa nazionalità.E insieme alle persone si spostano gli oggetti, le culture, le lingue ei linguaggi, i saperi della scienza e dell’arte, le tradizioni, i valori, lefedi. Oggi, poi, la cosiddetta «rivoluzione mobiletica», consentitadalla facilità e velocità dei mezzi di trasporto, ha reso più piccolo ilno stro pianeta, ma anche, perciò stesso, più esposto a un incrementodi conflittualità e a una maggiore densità di problemi. Quanto ac ca-duto l’11 settembre 2001 a New York ha rimesso drasticamente indiscussione alcuni precari equilibri, faticosamente raggiunti, facen -do apparire come ingenue tesi, esperienze, prospettive centrate sulla

Il doppio sguardo: educazioneinterculturale e riflessioni pedagogiche per una «convivia-lità delle differenze»Alberto Fornasari*

* Formatore, esperto in Comunicazione e processi multi/intercul-turali, Dottore di Ricerca in Dinamiche formative ed educazione allapolitica, docente (a contratto) in Pedagogia generale e sociale e Peda-gogia sociale e interculturale.

Studi e ricerche 81

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positività di convivenza fra diverse culture, sulla possibilità di un re-ciproco arricchimento nella ricerca di nuove e più avanzate costru-zioni comuni. Trovare le risorse affettive, cognitive, mora li perdecifrare l’esistente, per capire quanto è accaduto e, purtrop po, puòancora accadere, è l’impegno che accomuna chi assume compiti eresponsabilità educative e politiche. L’educazione e la politica, in-fatti, come sostiene Luisa Santelli Beccegato «devono saper ricono-scere le dinamiche del proprio tempo, assumere le sfide che vengonoavanzate per fare in modo che la storia porti il segno delle nostrescelte per la costru zione del bene comune».

Importante è poi tracciare con chiarezza la netta differenza disignificati di due termini, oggi utilizzati come fungibili, ovveromulticulturalismo e interculturalità. Multiculturalità si riferisce aduna situazione in cui individui di diverse tradizioni culturali con-vivono l’uno accanto all’altro senza avere rapporti significativi. Inquesta situazione le relazioni sono lasciate al caso, o dipendonodall’interesse individuale, o sono dirette a un adattamento che silimita a diminuire i danni di una convivenza forzata. Intercultu-ralità si riferisce ad una situazione multiculturale, in cui si ponel’attenzione sul prefisso «inter», cioè sulla relazione tra i soggetticulturali: una relazione che, evitando pericoli di un’assimilazione,permetta la circolazione di elementi culturali in modo da arrivarealla creazione di un codice comunicativo comune tra le culture. Ilmodello francese assimilazionista tendente all’omologazione dellediversità ha dato i risultati che tutti abbiamo potuto osservare congli episodi di violenza verificatisi nelle banlieues parigine; il mo-dello multiculturale di tipo anglosassone ha mostrato anch’essosul lungo periodo delle falle ed è per questo che noi oggi in Italiaparliamo di modello interculturale. Certo la prospettiva intercul-turale ha bisogno di riconoscere la vastità delle dimensioni coin-volte, la multicomponenzialità che le è propria: la legittimità dellesue analisi e, ancor più, la produttività delle sue soluzioni sono inrelazione alla sua capacità di uscire da uno stretto angolo visuale

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per avvalersi di molteplici competenze che vanno dal sociale allopsicologico, dall’economico all’antropo logico, al politico, dallostorico al pedagogico-educativo. La questione inizialmente af-frontata nei contesti nordamerica ni, tedeschi e francesi, cioè nellesocietà maggiormente e più inten samente investite dal problemadell’immigrazione, come educazio ne e didattica per gli stranieri siè venuta via via sviluppando in termini sempre più articolati, ri-cuperando argomentazioni complesse e provenienti da moltepliciversanti disciplinari. Per quanto riguarda l’ambito italiano si è co-minciato ad avvertire queste problematiche verso la seconda metàdegli anni Ottanta, ma è in quest’ultimo decennio che le ricerchesono diventate numerose e significative. I temi trattati vanno dal-l’analisi dell’im plicazione del contesto sociale sull’educazione, allerelazioni fra le società, gli Stati, i rapporti internazionali, all’ap-profondimento del le dinamiche etniche e culturali passando perl’evidenziazione dei principi fondamentali del pluralismo, dei di-ritti umani, delle pari opportunità, della interdipendenza e dellaintegrazione per insi stere sui processi di formazione. La dimen-sione pedagogica entra in questo intreccio di questio ni portandoil suo contributo in termini interpretativi e soprattutto – proprionel rispetto della specificità del suo discorso – in termini proget-tuali. Questo significa riguardare ai grandi e ricorrenti temi se-condo le specificità che contrassegnano il tem po attuale. Indagarela dimensione dell’identità e dell’alterità, dell’essere uguali e del-l’essere diversi, approfondire le categorie del l’incontro e del dia-logo, assumere lo sforzo della costruzione della propria identitàriconoscendo le proprie radici e, ad un tempo, sa pendosene anchedistaccare: questi rappresentano temi che carat terizzano il di-scorso pedagogico generale, ma sono anche gli argomenti che ri-troviamo, con questo sforzo interpretativo specifico, nei contestidi ricerca rivolti oggi all’analisi della questione inter culturale.Ognuno di noi nasce in un certo tempo e in un determinato spa-zio, ma la nostra stessa presenza costituisce un cambiamento delle

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condizioni date. Sta a noi cercare di fare in modo che il cam bia-mento si venga a configurare in termini costruttivi senza rima nerechiusi all’interno delle situazioni in cui accidentalmente siamo statiposti. In tal modo si mescolano così realtà diverse per cui divienefondamentale interrogarsi sui tratti qualificanti un discorso inter-culturale che comporta l’indagare le modalità di percezione, di in-terpretazione e di rapporto con l’altro – sia esso gruppo, società,individuo; capi re quali significati vengano elaborati nei confrontidi dimensioni quali l’identità e la differenza; elaborare strategieper una possibi le convivenza nel rispetto della diversità. A fonda-mento di ogni possibile analisi sta il principio della comune dignitàumana: al di fuori di questa assunzione ogni considerazione di-venta improponi bile, perde il suo senso e la sua percorribilità. Sealla domanda semplice nella sua radicalità, se ogni altra vita «siaaltrettanto im portante della mia» rispondiamo in maniera affer-mativa, allora – e solo allora – possiamo continuare il discorso. Incaso contrario ogni significato di interculturalità, così come ogniautentico significato di democrazia ed educazione, viene precluso.Posta questa base, le categorie fondative del discorso intercul tu-rale sono – a mio avviso – sostanzialmente riconducibili a due. Laprima che assume la diversità non come un ostacolo, un limite, macome una possibilità e uno stimolo per l’arricchimento personalee sociale; la seconda che riconosce nella comunicazione la strate-gia fondamentale da perseguire con se stessi e non solo con glialtri. Una comunicazione che si svolga però tra interlocutori chesi trovino su di uno stesso piano per evitate approcci di tipo et-nocentrico (quando cioè considero la mia cultura superiore allealtre e quando cerco di interpretare le culture «altre» sulla base deiparametri culturali di riferimento della mia, cosa che, ovviamente,porta ad una deformazione valutativa della cultura oggetto di stu-dio). In questa prospettiva la presenza dell’altro, del diverso, dellostraniero perde la sua dimensione di minaccia e assume un ruolopropositivo, costruttivo: il suo esserci è un’occasione per far nasce -

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re nuove realtà. La riflessione pedagogica ha messo in evidenzacome lo straniero, studente o lavoratore che voglia inserirsi in unanuova struttura socia le non per questo debba rinunciare alla pro-pria storia, a quell’in sieme di significati, dalla lingua alla religione,che sono fonda mentali per l’elaborazione della propria identità.Intendere le diversità come opportunità rinvia a un’interpreta-zione rispettosa delle singole peculiarità e nel contempo tesa a fa-vorire la comuni cazione e il dialogo. La valenza interculturalesottolinea ed enfatizza lo sviluppo di un percorso che tende a co-gliere quanto vi è di specifico e quanto vi è di universale nei diversiaccadimenti umani per cercare di per seguire un continuo appro-fondimento di senso e raggiungere inte se sempre più feconde. Glistudi d’impostazione psicologica e sociologica sull’intercul turahanno messo in evidenza come tutte le differenze – di razza, dinazionalità, sesso, classe, politiche, di ruolo, di religione… – co sti-tuiscano un suolo che alimenta le ansie, i timori, le ostilità, l’ag gres-sione, gli atteggiamenti difensivi, le gelosie. Ma nella persona checostruisce una sua autonomia e cerca una sua identità, nella per-sona che si autorealizza, il rapporto con l’altro cessa di essere unaminaccia, un’occasione di aggressione – realizzata, subita, te muta– e si configura come disponibilità al rapporto e all’intenzio nalitàcostruttiva. Imparare a interessarsi delle differenze e a non te merlesignifica innescare una dimensione di reciprocità, alimenta re ilproprio sviluppo superando blocchi di varia origine e natura. Perquanto riguarda gli aspetti educativi, sostiene Santelli Beccegato,«l’interculturalità viene solitamente impostata valorizzando pro-fonde connessioni con l’e ducazione cognitiva, l’educazione etico-sociale e, più recentemen te, l’educazione alla politica». Riferimentitutti di grande rilevanza. I primi, relativi all’educa zione cognitiva,per l’impegno a superare pregiudizi e forme di pensiero stereoti-pato che costituiscono insormontabili barriere per un possibile in-contro con l’altro: la loro decostruzione si pone co me premessaper aprirsi a un percorso formativo con valenza inter culturale, al-

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trimenti inaccessibile. È peraltro da osservare come l’educazionecognitiva, necessaria per un’educazione interculturale, non sia an-cora condizione suffi ciente per un vivere sociale positivo. L’edu-cazione cognitiva, fon damentale per superare l’intolleranza, non èbastante per aiutarci ad andare oltre un altro atteggiamento, cer-tamente meno grave del precedente, ma a sua volta incapace diinnescare processi di attenzione all’altro: l’indifferenza. Atteggia-mento diffuso là anche dove sono riconoscibili alti livelli di infor-mazione e di conoscenza. Da qui la necessità di promuovereun’educazione etico-sociale che, pur fon dandosi nell’interioritàpersonale, non si chiuda affatto nel priva to, ma avverta l’esigenzadi coniugarsi con una dimensione politica e si espone in terminichiari e diretti con scelte di tipo pubblico. L’interculturalità ac-quisisce la sua dimensione autentica nel momento in cui riesce aqualificarsi non semplicemente come un’apertura più o meno con-trollata nei confronti dello straniero e un’accettazione generosadel diverso – mantenendo peraltro inal terate le condizioni disfondo – ma come precisa intenzionalità di costruire una nuova epiù umana realtà comune, di promuovere una cittadinanza attiva.L’educazione interculturale si viene così a connettere con l’edu-cazione alla pace, ai diritti umani, allo svilup po: tutte espressioniche sottolineano l’esigenza di assicurare un ambiente armonico,uno spazio accogliente dove sia possibile la vita per tutti e per cia-scuno, e dove l’«Alter» non diventi mai l’«Alienus».

2. Dinamiche interculturali e condizioni socio-politiche europee

Stiamo vivendo un’epoca di diffuse trasformazioni e di laceran ti con-traddizioni che mettono in crisi, scardinano consolidati modi di pen-sare e di organizzare l’esistenza pubblica e privata. È necessario, sullabase di chiare e fondate ragioni pedagogi che, elaborare nuove pro-gettazioni che utilizzino le energie positi ve esistenti e controllino, ri-

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ducano (se non riescono a eliminare) le forze distruttive. L’impegnoprioritario diviene allora quello di tracciare un cam mino verso l’in-tegrazione che tenga conto di una reale interazione dei diversigruppi. Perché si possa realizzare una società multicul turale e – inprospettiva – una società interculturale è necessario assicurare lapossibilità di riconoscimento e di condivisione di un nucleo minimodi principi e regole che costituiscano la base di una comune convi-venza. Essi sono individuabili:

• nel principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte allalegge;• nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Su questa base comune è possibile perseguire, nel reciproco rispetto,la costruzione di nuove modalità di convivenza. Chi si occupa diquestioni culturali ed educative sa di non poter sperare di ottenererisultati evidenti immediati o sul breve periodo. Deve saper certa-mente agire nel presente, riconoscere priorità ed essere in grado diselezionare temi e strategie che abbiano una loro incidenza nel mo-mento attuale, ma avendo sempre di mira i tempi estesi che consen-tano ai cambiamenti di radicarsi nella coscienza comune. Gli studisul tema dell’interculturalità hanno messo in rilievo come sia neces-sario lavorare sul duplice versante della «prossimità» e della «di-stanza», sia cioè necessario realizzare un percorso di edu cazionesociale, cognitiva, etica, religiosa in grado di sostenere dis ponibilitàpositive nei confronti dell’altro, di superare pregiudizi e stereotipi,di favorire sentimenti di ascolto e di accoglienza; ma ha anche av-vertito come tutto ciò, pur radicalmente necessario, non sia suffi-ciente. In questi ultimi anni è maturata la consapevolezza di quantole dimensioni giuridico-istituzionali incidano sulle dinami che inter-culturali. Ricoeur, come ricorda Santelli Beccegato, definisce «rela-zione corta quella che coinvolge il prossimo e relazione lunga quellache riguarda le implicazioni economiche, sociali, politiche, istitu-

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zionali». La relazione corta ha bisogno del sostegno e della prote-zione della relazione lunga. A sua volta quest’ultima ha bisogno diessere rigenerata continua mente dalle energie della prima per evi-tare l’oggettivazione sper sonalizzante dell’istituzione e della legge ela riduzione del sogget to all’anonimato dei rapporti tecnici, sociali,politici. La responsabilità dell’educatore ha la sua ragione primarianella relazione interpersonale, nella «relazione corta», secondo ap -punto l’espressione di Ricoeur, ma non si esaurisce in questa. Leconnessioni con l’ambiente di appartenenza, la stessa contestualiz -zazione dell’agire educativo, il compito sociale che l’educatoresvolge, il suo ruolo pubblico toccano la «relazione lunga» e gli ri -chiedono un impegno in questa direzione. Per essere effettivamentecredibile, l’educatore deve ampliare la sua attenzione alle dinami-che politiche e istituzionali ed esercita re un impegno critico; dare ilproprio apporto per incrementare i livelli di civiltà.

L’attenzione agli aspetti giuridici, alla «relazione lunga» nel con-testo dell’educazione interculturale si configura come garanzia perevitare pericolosi scivolamenti retorici, sempre possibili in edu ca-zione, ma nei quali si può ancora più facilmente incorrere, pur -troppo, quando si tratta di interculturalità: gli appelli emotivi,sen timentalistici spesso si ritrovano come soluzione per problemiche richiedono invece ben più solide e complesse risposte. La pe-dagogia ha certamente bisogno di continuare ad appro fondire lastruttura del proprio discorso, l’impianto epistemologi co per sempremeglio definire ambiti, modalità, ragioni e scopi della sua ricerca.La stessa pedagogia interculturale richiede di porsi più chiaramentenelle articolazioni dei saperi pedagogici, ma tutto ciò non è fine a sestesso. Se così fosse formalismo e astrattez za (limiti in cui il discorsopedagogico è a volte incorso e incorre) investirebbero pesantementequesto tipo di studio: rafforzare la teoria ha un senso per poter es-sere più incisivamente presenti nella realtà, per riuscire a renderla –sia pure di poco – migliore.

Ri conoscere quali siano i problemi, le loro priorità è il primo

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passo per poter agire nella ricerca di una loro possibile, anche separzia le, soluzione. La prospettiva del dialogo, della convivenza,della non violenza sono prospettive non utopistiche. E l’apporto deldiscorso educativo e di chi si impegna nel settore della formazioneinterculturale è appunto quello di fare emergere come la violenza ola non violenza dipendano da moti vazioni e da scelte ben precise.

Riuscire ad esercitare un’influenza su questi livelli di intenzio na-lità e di responsabilità per far riconoscere a ciascuno non solo la cor-rettezza, ma anche la «produttività» e i vantaggi personali e col lettiviche emergono da comportamenti di apertura e di intesa in rapportoa quelli di rottura e di conflittualità è il senso dell’azione educativa.

La pedagogia si fonda su un principio che consiste nella con vin-zione che il soggetto possa migliorare se stesso e trasformare la re-altà e non soltanto accettarla e continuarla. Se non si parte da questopresupposto lo stesso tentativo di fare un discorso pedago gico sa-rebbe fallito in partenza. È quindi proprio questa convin zione dellapossibilità di un miglioramento, di una continua dinamica costrut-tiva che contrassegna la linea pedagogica generale. E la pedagogia in-terculturale è la risposta all’insieme complesso e spesso drammaticodei problemi del nostro tempo, risposta a con dizioni che richiedononuovi e migliori equilibri. La pedagogia interculturale si configuraquindi come l’angola tura che ci consente di sintetizzare in manieraattuale le tematiche educative generali. Il punto cruciale del discorsoè riuscire a riconoscere le possi bilità intenzionali e creative di ognipersona, rafforzare il suo sape re costruttivo, la sua capacità di com-prendere avendo, nel contem po, coscienza dei vincoli, dei limiti, deicondizionamenti che in un determinato tempo e in un determinatocontesto sono presenti.

Per non rimanere vittime, come pedagogisti e come educatori,di una visione utopica delle cose, di un approccio semplificante esuperficialmente ottimistico dei problemi, spesso invece connotatida pesanti e forti limitazioni, per non limitarsi a fare discorsi sol -tanto di buone intenzioni è necessario calare questi principi nelle si-

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tuazioni e condizioni reali, date appunto spesso da conflittualità, ri-schi e condizionamenti.

Nel nostro tempo l’educazione è attraversata da diffuse incer -tezze teoriche e operative. La pedagogia interculturale deve saperrielaborare i significati qualificanti un agire educativo per sostene reprocessi costruttivi, reali, concreti, per diffondere un sapere capacedi orientare le scelte di una vita in comune. Nell’ambito del l’affer-mazione dei diritti umani, ad esempio, occorre non soltanto muo-versi sui livelli d’informazione perché siano conosciute ledichiarazioni e le normative dell’Assemblea delle Nazioni Unite, del-l’Unione Europea e dei vari Organismi nazionali e internazio nali,ma è necessario operare perché queste affermazioni, indub biamenteimportanti, non restino sulla carta senza un impegno operativo chele possa rendere motivazioni di un agire concreto e contrassegno dieffettivi congruenti comportamenti.

Si apre qui il compito specifico di una didattica interculturale as-sumendo la didattica non soltanto come strategia da applicare in si-tuazioni di apprendimento scolastico, ma come visione interpre tativadelle modalità di impostazione e sviluppo dei diversi proces si di me-diazione che si possono ritrovare in ogni situazione espe rienziale. Èimportante riuscire a realizzare non soltanto dei saperi sulla inter-culturalità, ma riuscire a promuovere comportamenti collegati a que-sti significati. Questo saper vedere i tratti di unione nelle diversestorie di individui, popoli e culture, valorizzarli in luogo di enfatiz-zare gli altrettanto certamente esistenti contrasti e conflittualità èl’indicazione forse più chiara e rilevante che proviene dalle politi-che europee, marcate in senso segnatamente interculturale.

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* Docente di Criminologia e di Sociologia della devianza presso laFacoltà di Psicologia, Università di Padova. Direttore del Corso di per-fezionamento e del Corso di aggiornamento in Criminologia e Crimi-nalistica.

** Questa Rubrica raccoglie l’eredità di quella condotta da FulvioScaparro denominata «Dizionario delle Mediazioni». In quelle pagine

1. Introduzione

Un mediatore di formazione umanistica (quale sia il suo modello diriferimento) se fosse chiamato a svolgere una mediazione civile ecommerciale raramente avrebbe la presunzione di presentarsi, nep-pure dopo avere letto numerosi manuali di diritto e procedura ci-vile, come un esperto nelle controversie previste dal Decreto legi-slativo 4 marzo 2010, n. 28 e dal Decreto ministeriale 18 ottobre2010, n. 1801.

Vi sono avvocati, notai, commercialisti, medici, ingegneri…che ritengono di potere svolgere adeguatamente il ruolo di media-tori dopo avere assimilato qualche nozione di tecnica comunicativa.A questi professionisti riproponiamo quanto già scritto su questaRivista (n. 15-16, 2010), cioè che un organismo riconosciuto do-

Rubriche1Interdefinizione**

Quale mediazione senza narrazione?

Gianvittorio Pisapia*

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vrebbe prevedere, come la legge per altro consente (art. 1 «indivi-dualmente o collegialmente»), una conduzione che veda affidato aun mediatore «canonico» il compito di avviare l’incontro di me-diazione e a un tecnico-mediatore l’incarico di affrontare gli aspetticivilistici e commerciali della controversia.

2. Tra realtà e interpretazione

Da sempre gli uomini narrano e si narrano. Ci chiediamo, tuttavia,se abbia ragione Pinardi quando afferma che l’analogia tra un filmd’azione e la requisitoria di un pubblico ministero, un romanzod’amore e un progetto urbanistico, una proposta politica e una ri-costruzione storiografica, un’analisi sociologica e un elogio funebre,la bugia di un bambino e la diagnosi medica siano tutte, semplice-mente, narrazioni2.

È ragionevole considerare alla stessa stregua il romanzo e il rac-conto, la barzelletta e il sogno comunicato dal paziente all’analista,il conto del negoziante e quanto si legge su un giornale di gossip,la sentenza di un giudice o quello che i periti scrivono nella loro pe-rizia?

hanno trovato spazio alcune voci che fanno parte del vocabolario in-ternazionale della mediazione e la sua finalità era quella di costruire unlessico condiviso tra studiosi e pratici della mediazione. Con «Interde-finizione» si intende puntare l’attenzione sulla relazione tra parole, no-zioni, situazioni, eventi che riguardano l’ambito della mediazione econcetti, nozioni, situazioni, eventi che non sono suo patrimonio di-retto. Una rubrica che contribuisca a fare sì che i mediatori si impe-gnino sempre più verso un’esplorazione del possibile e la mediazionediventi sempre più un’esperienza di confronto, in modo che la consa-pevolezza sulla propria identità conduca a costruire ipotesi, strategie eazioni condivise con altri ambiti disciplinari e professionali per il rag-giungimento di obiettivi comuni.

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Quale mediazione senza narrazione?

Sarebbe ragionevole se non fosse una differenza sostanziale trala narrazione come azione del narrare e il prodotto di tale azione, traciò che è elaborato per essere comunicato all’esterno e il processonarrativo durante il quale – se prendiamo l’esempio della media-zione penale minorile – il reo e la vittima accompagnati dal me-diatore costruiscono e ricostruiscono un’interazione durante gli in-contri nella stanza della mediazione.

Non si intende sottovalutare la ricerca di significati nelle parolegià narrate (la parola deve circolare «altrimenti moriamo senzamorire»3), ma non è sufficiente dialogare o scrivere perché si sia difronte a una narrazione. Narrare è mettersi in gioco accettando l’im-prevedibilità di quanto può emergere durante un’interazione.

Se puntiamo l’attenzione sul prodotto della narrazione abbiamodue figure: il narratore (colui che ha scritto un saggio per «Media-res») e il narratario (colui che legge e commenta l’articolo). Se ci ri-volgiamo alla narrazione come azione – e prendiamo in considera-zione ancora la mediazione penale minorile – il reo, la vittima e ilmediatore sono tutti narratori.

È accogliendo l’accezione del narrare come risultato dell’agirenarrativo che la narrazione è ipotizzabile come «un’articolazione disegni organizzata gerarchicamente secondo una precisa sintassi in-terna», di norma talmente rigida e così precisa che qualunque mo-difica alla struttura di un testo narrativo ne modifica quasi sempreil valore4. In questa prospettiva si giustifica la distinzione tra coluiche narra e il fruitore della narrazione ed è plausibile affermare chenon esiste una narrazione senza un narratario. In questo caso spettaal narratore condurre a sé il narratario, anche se sta a quest’ultimoaccettare ciò che gli è proposto dal momento che «un suo semplicerifiuto bloccherebbe l’intera operazione narrativa facendola essic-care e riducendola immediatamente in polvere»5. Il lettore esaustoche chiude il libro, lo spettatore annoiato che si alza e se ne va dalteatro o dal cinema, la persona infastidita che rifiuta di ascoltare unabarzelletta o non vi presta attenzione, l’uditore che rigetta una re-

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Gianvittorio Pisapia

lazione o un’analisi, tutti costoro sono narratari che bloccano la nar-razione o quanto meno la sviliscono e la destrutturano6.

Nella nostra concezione di mediazione svanisce la dualità tra nar-ratore e narratario. Tutti gli interlocutori sono narratori e il giudice– sempre nel caso della mediazione penale minorile – non assumeràuna decisione unicamente sulla base dell’esito della mediazione.

Questo non può avvenire nella mediazione finalizzata alla conci-liazione, dove il senso della mediazione dipende da un accordo che tro-verà il proprio interlocutore determinante (che diventa in questocaso un narratario) nel giudice, il quale deciderà sulla base dell’accordo(o del mancato accordo) che ha posto termine agli incontri.

3. Conciliazione e mediazione narrativa

In una mediazione che si sviluppi in termini narrativi il senso dellanarrazione è «racchiuso nel non detto quanto nel detto e spesso èla sacralità del non detto che illumina e dà senso al detto»7. Grazieall’oblio selettivo è possibile ricercare la novità e stimolare la crea-tività; il chiaroscuro prodotto dalla maggiore e minore lividezza deiricordi aiuta a creare una prospettiva che si costituisce se i ricordinon sono presenti tutti con forza uguale. La creatività del narraresi colloca lungo la dialettica di un’esperienza tra pratica dell’oblioe della memoria. Ritrovare il dettaglio può provocare infatti sensa-zioni dissonanti per cui è opportuno che il passato cada nell’obliodifensivo; l’ansia per nuovi cambiamenti può indurre a stabilire unospazio limite nel quale non sono ammessi ricordi discrepanti. Nonnecessariamente vi è la volontà di negare quanto è avvenuto, si èsolo scelto (magari inconsapevolmente) di rivivere alcune esperienzee non altre.

Mettere tra parentesi, seppure provvisoriamente, alcuni fatti, fa-cilita gli interlocutori ad «andare incontro a se stessi come incon-tro a un estraneo, qualcuno che si impara a conoscere in quel pre-ciso momento»8. È a questa condizione che il narrare aiuta le parti

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Quale mediazione senza narrazione?

a scoprire possibilità che esistevano ma non erano ancora emerse,e si prospetta come una domanda senza punto interrogativo chenon ha come finalità quella di fotografare l’esperienza quotidianae di riferire ciò che si è registrato nella memoria più di quanto loscopo della fisica sia quello di fotografare la natura.

È possibile che un minorenne autore di reato non riesca a rico-noscere e a narrare quei frammenti di esperienza che non coinci-dono con l’atto di trasgressione e incontri difficoltà a farli emergereperché non corrispondono agli schemi in cui si sente incasellato enon coincidono con lo stereotipo fissato dal giudizio istituzionale.Si dovrebbe allora riuscire a far divenire il processo mediativo unospazio nel quale si costruisce quell’autobiografia senza fatti sugge-rita da Bernardo Soares del Libro dell’inquietudine, personaggio difinzione di Fernando Pessoa.

Nella mediazione finalizzata alla conciliazione diventa essenzialeimpegnarsi a ricostruire storicamente i fatti. Non si può accettare l’ideache quando si trasmettono gli eventi che hanno condotto alla con-troversia questi vengano «ricostruiti» identificandone come signifi-cativi alcuni piuttosto che altri.

In una mediazione narrativa gli interlocutori ignorano come sisvilupperà la comunicazione ed è anche questo che rende possibilefar emergere non solo quanto viene narrato nell’incontro ma, so-prattutto, quanto ancora non è stato narrato e che potrebbe emer-gere tramite parole nuove. Quando in una mediazione si manife-stano parole nuove (e le parole che stanno per sorgere sanno di noiquello che ignoriamo di loro, direbbe René Char) significa che si èdato ascolto al silenzio (che non è mancanza di parole ma assenzadi alcune parole, è la loro ombra). Il silenzio è espressivo al pari deldiscorso, è la condizione affinché la parola trasgredisca le forme pre-costituite del linguaggio assumendo una valenza positiva e pro-duttiva. È il silenzio della parola, «dal quale germoglia il linguag-gio, il silenzio che il linguaggio maschera, il silenzio che il linguaggio

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lascia al suo passaggio, perché forse lo abita da sempre»9. Ascoltareil silenzio è forse lo sforzo più impegnativo di chi è coinvolto nelprocesso narrativo, così come sovente è difficile accogliere l’obliocome un diritto (e a volte un dovere).

Ricorda Anna Coppola De Vanna come in mediazione il silen-zio sia un momento fondamentale. Le emozioni sono sovente ma-scherate e «il silenzio è centrale perché le parole non sempre sonoadeguate a dire, a raccontare»; il silenzio rispetta i tempi e i modidi elaborazione personale dell’esperienza che si sta vivendo10.

Nella mediazione finalizzata alla conciliazione contano le paroleche vengono pronunciate ed è su ciò che è stato detto (oltre che sullecarte) che verrà poi stesso il testo dell’accordo. Non è consentito il si-lenzio (a costo di non pervenire a una conciliazione) perché non è ingioco la propria esperienza di contendenti.

Come suggerisce Paolo Fabbri, la metafora della conversazioneè importante poiché aggiunge, al problema della determinazione oindeterminazione delle storie che vengono raccontate, l’indeter-minazione della relazione fra uomini che se la raccontano. La con-versazione, essendo meno strutturata di altre forme di comunica-zione interpersonale, si caratterizza come spazio dell’imprevedibilitàche «determina, in qualche misura, quello che accade ma non puòpre-determinare definitivamente, salvo alcune condizioni, la ri-sposta»11. Ogni storia diventa penultima, «perché c’è sempre un’ul-tima storia che sarà la risposta a questa storia, anch’essa penultimarispetto all’ultima risposta»12.

In una mediazione narrativa, l’esperienza di ogni soggetto è sot-toposta a continui cambiamenti. Qui gioca l’irresponsabilità dellamediazione, perché dovrebbe mettere di fronte non alla verità sto-rica, ma alla possibilità della verità. Non esistono narrazioni au-tentiche e narrazioni false, esistono solo storie reali anche se non tra-smettono i fatti nella loro veridicità.

Nella mediazione finalizzata alla conciliazione bisogna pervenire

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Quale mediazione senza narrazione?

ad un’ultima risposta che consenta al mediatore di affermare se si èrisolta (in un modo o l’altro) la controversia e diventa irrilevante chel’interazione si declini come conversazione in grado di condurre a«scandagliare l’essere umano nella sua complessità mutevole»13. Bi-sogna ricostruire i fatti nella loro storicità al fine di poterli valutare:sono stati ricostruiti in modo autentico o gli eventi raccontati non cor-rispondono alla realtà?

Concordiamo con Hannah Arendt quando afferma che la nar-razione non dovrebbe conoscere ortodossia; se siamo interessati afare sì che l’attività mediativa diventi occasione di narrazione nondovrebbe ricercare una propria ortodossia, non dovrebbe aspirarea conseguire certezze.

Nella mediazione finalizzata alla conciliazione, se consideriamoprevalente la parte tecnica, non è ammessa la mancanza di ortodos-sia. Per quanto la normativa sia sovente confusa e contraddittoria, visono limiti e vincoli di carattere giuridico dai quali non è possibile pre-scindere.

Il quesito che poniamo ai professionisti è se non ritengano op-portuno vi siano due differenti figure di mediatori, una che gesti-sce l’avvio degli incontri, un’altra che si preoccupa di contribuirea stilare un accordo conciliativo14. Avanziamo questo interrogativoben consapevoli che domandare è evidenziare un problema ed è ilproblema che bisogna esaminare, sempre che lo si ritenga tale. Af-frontare un problema piuttosto che ricercare risposte stereotipateaiuta ad abbandonare i sentieri certi e sicuri del conosciuto e dellosperimentato, in modo da «essere pronti a mettersi in discussionee a mettere in discussione tutto l’universo di convinzioni e con-venzioni, rassicurante e tranquillo, in cui abbiamo condotto la no-stra vita fino ad oggi»15.

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Le edizioni la meridiana… per gli operatori sociali

I LIBRI

Il lato oscuro della menteL’Io di fronte ai cambiamenti

F. Berto, P. Scalari

Verso la NascitaPercorsi per una maternità consapevoleV. Bastianini, D. Daniele, M.L. Verlato

A scuola con le emozioniUn nuovo dialogo educativo

P. Scalari

Psicoigiene e Psicologia IstituzionalePsicoanalisi applicata agli individui, ai gruppi e alle istituzioni

J. Bleger

Quando l’amore se ne vaLa coppia tra disillusioni, accordi, compromessi e separazioni

I. Grattagliano, D. Torelli

Di padre in padreI tempi della paternità

Coppola De Vanna, D’Elia, Gigante

Identità alla derivaVuoto di sé e vuoto di relazione nel tempo del “tutti connessi”

M.L. Verlato

BiblioterapiaLa lettura come benessere

B. Rossi

ConTattoLa consulenza educativa ai genitori

F. Berto, P. Scalari

Ho perso le parolePotere e dominio nelle pratiche di cura

F. Di Lernia

Il benessere nelle emozioniManuale di counseling biosistemico

S. Cristifori, E. Giommi

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Il corpo violatoUn approccio psicocorporeo al trauma dell’abuso

M. Stuppiggia

L’alchimia adottivaNarrazioni e pensieri

M.P. Cosmo

La dignità nel morireIntervento sociale, bioetica, cura del fine vita

Albano, Floridia, Lisi, Martinelli

La psicantriaManuale di psicopatologia cantata

G. Palmieri, C. Grassilli

Mal d’amoreRelazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative

F. Berto, P. Scalari

Nascere e crescereIl mestiere dei genitori

M. De Pra, P. Scalari

Per una nuova prevenzioneP. Misesti

So-stare nei gruppiProposte per esperienze di benessere

B. Rossi

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