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MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO ......vo ordine di relazioni tra gli uomini. Nel Nuovo...

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VIAGGIO NELL’AFGHANISTAN DA RIFONDARE UN VOTO NON FA PRIMAVERA MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVII - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA TRA SFRATTI E CARO AFFITTI MA LA CASA È ANCORA UN DIRITTO? DIPENDENZE IL PARADOSSO DEI FORZATI DEL VIRTUALE CAUCASO PARLA IL NUNZIO: «PACE POSSIBILE. ANCHE DOPO BESLAN» novembre 2004
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VIAGGIO NELL’AFGHANISTAN DA RIFONDARE

UN VOTO NON FA PRIMAVERA

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XXXVII - NUMERO 9 - WWW.CARITASITALIANA.IT

Italia Caritas

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TRA SFRATTI E CARO AFFITTI MA LA CASA È ANCORA UN DIRITTO?DIPENDENZE IL PARADOSSO DEI FORZATI DEL VIRTUALE

CAUCASO PARLA IL NUNZIO: «PACE POSSIBILE. ANCHE DOPO BESLAN»

novembre 2004

editoriale di Vittorio NozzaLA SFIDA DI COMUNICARE NELLA SOCIETÀ DELLE NEVROSI 3parola e parole di Ina SivigliaCURA DEL DEBOLE, CRITERIO DELLA FEDE DI OGNI CRISTIANO 5eucarestia e carità di Antonio LadisaIL GIORNO DEL RISORTO È SORGENTE DI VITA E CARITÀ 6

nazionaleINVESTIAMO NEL MATTONE, MA LA CASA È UN’EMERGENZA 8di Marco Toti e Pietro Gavadatabase di Walter Nanni 13DIPENDENZE IMPALPABILI TRA BANALITÀ E DEVIANZA 14di Alessandro MauriPOVERI VECCHI E NUOVI SOTTO LA LENTE DELLA “RETE” 18a cura dell’Ufficio comunicazionedall’altro mondo di Franco Pittau 20VOLONTARI OLTRE LA LEVA, IL VALORE DI UN SERVIZIO 21di Fabrizio Cavalletticontrappunto di Domenico Rosati 22

panoramacaritas SBARCHI, UN RICORDO, DARFUR, EBAY 23progetti ACCESSO ALL’ACQUA 24

internazionaleLE ROVINE E LE SPERANZE, UN PAESE DA RIFONDARE 26testi e foto dall’Afghanistan di Mario Ragazziconflitti dimenticati di Paolo Beccegato e Domenico Rosati 32CAUCASO: «DOMINA L’ESASPERAZIONE, MA LA PACE È POSSIBILE» 33di Paolo Briviocasa comune di Gianni Borsa 36EDUCARSI AL MONDO, IL GRANELLO CHE FA SCUOLA 37a cura dell’Area internazionalecontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

ritratto d’autore a cura dell’Ufficio comunicazioneLA DIFFICILE ARTE DI RACCONTARE LE STORIE 47

sommario ANNO XXXVII NUMERO 9

ItaliaCaritas

direttoreDon Vittorio Nozza

direttore responsabileFerruccio Ferrante

in redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Paolo Brivio,Giuseppe Dardes, Marco lazzolino,Renato Marinaro, Francesco Marsico,Francesco Meloni, Giancarlo Perego,Roberto Rambaldi, Domenico Rosati

progetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])

stampaOmnimediavia del Policlinico, 131 - 00161 Roma

sede legaleviale F. Baldelli, 41 - 00146 Romatel. 06 541921 (centralino)

06 54192226-7-77 (redazione)

offertePaola Bandini ([email protected])tel. 06 54192205

inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie arretrateMarina Olimpieri ([email protected])tel. 06 54192202

spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di Roma

Chiuso in redazione il 29/10/2004

IN COPERTINABambini si recano a scuola

in una tenda, in una regionemontuosa dell’Afghanistan.

Le recenti elezioni sono stateun passo importante,

ma non bastano a far parlaredi un paese ricostruito

foto Mario Ragazzi

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

La Caritas Italiana, su autorizzazione della Cei, puòtrattenere fino al massimo del 5% sulle offerte percoprire i costi di organizzazione, funzionamento esensibilizzazione.

Le offerte vanno inoltrate a Caritas Italiana tramite:● Conto Corrente Postale n. 347013● Banca Popolare Etica, Piazzetta Forzaté, 2 Padova

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● Cartasì e Diners, telefonando al n. 06/541921, orario d’ufficio.

Mensile della Caritas Italiana

Organismo Pastorale della Ceiviale F. Baldelli, 4100146 Romawww.caritasitaliana.itemail:[email protected]

I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 4 3

LA SFIDA DI COMUNICARENELLA SOCIETÀ DELLE NEVROSI

editoriale

ma il tasso odierno di litigiosità, sovente esasperatodai mezzi di comunicazione di massa, ha raggiuntolivelli che indicano una “nevrosi sociale”;la fatica che la stessa Chiesa vive nel comunicare.Non di rado si comunica con difficoltà all’interno diuna comunità parrocchiale: tra parroco e preti colla-boratori, tra sacerdoti e consiglio pastorale, tra par-rocchia e movimenti, tra catechisti, animatori dellaliturgia e operatori-animatori della carità, tra i diver-si gruppi di fedeli e le diverse categorie sociali e cul-turali, tra residenti e immigrati;la fatica, l’imbarazzo dei credenti a parlare di fede ainon credenti. È uno dei problemi più drammatici del-la nostra cultura occidentale, che sembra essere en-trata in un “mutismo di fede” che rasenta la paralisi;

limpida comunicazione tra pen-siero e cuore, desideri e azioni,sogni e realtà, sentimenti edespressione esterna, malumori esfoghi. Questa fatica talora di-venta così connaturata al nostroessere, da far pensare che non visia rimedio alla “piccola nevrosi”che ogni essere umano devesopportare;la fatica del comunicare nel rap-porto di coppia e nel rapportogenitori-figli. È così proverbialeche stimiamo felici eccezioni lecoppie o i genitori che dicono dinon aver problemi, anzi li rite-niamo poco credibili;la fatica del comunicare tra i di-versi soggetti sociali, talmenteradicata che siamo abituati auna conflittualità permanentetra gruppi con interessi econo-mici, culturali e politici diversi.Una dose di sana conflittualità ènecessaria e può anche far bene,

In India, nella città santa di Benares, lungo la discesa cheporta al fiume Gange, prima di giungere all’ultima scali-nata che conduce al bagno sacro sono ammassati in

mezzo alla strada centinaia di miserabili: storpi, lebbrosi, pa-ralitici, ciechi. Tutti in un grande stradone che va degradan-do verso il fiume, dove passano ogni giorno decine di mi-gliaia di pellegrini. Quei miserabili si agitano incessantemen-te: gridano, fanno vedere le stampelle, tendono i moncherini

ai passanti, per avere un poco di ele-mosina. È una visione che toglie ilfiato. Nessuno di loro parla con chigli sta accanto: nessuno sembra pen-sare al suo vicino e alle sue immensesofferenze. Ciascuno cerca di farsinotare più dell’altro con grida e gesti.

Fa molto pensare questo tristespettacolo, metafora della folla delleincomunicabilità umane del nostrotempo: si toccano l’una con l’altrama non si parlano, non si prendonoin considerazione, non entrano inrelazione, ciascuna tesa versoun’impossibile realizzazione del proprio desiderio. Ce neaccorgiamo anche nelle metropolitane, negli autobus,nelle stazioni, nei grandi agglomerati delle città. E chiviene da altre civiltà, come gli africani dai loro villaggi, sistupisce molto di fronte a tutto questo: sembra loroinammissibile che non ci si saluti, non ci si conosca, nonci si parli e non si entri in relazione. Naturalmente nellanostra società esistono anche tanti bei momenti comu-nicativi. Tuttavia sorge un’obiezione: noi, in fondo, co-munichiamo? Costruiamo una società ricca di relazioni?

Fatiche individuali e collettiveA proposito di comunicazione e incomunicabilità, larealtà quotidiana ci propone:

la fatica a vivere dentro di sé, a livello personale, una

Noi, in fondo,comunichiamo?

Un nuovo Direttoriodella Conferenza

episcopale italianaesamina potenzialità e contraddizioni di un

campo dell’esperienzaumana sempre più

cruciale. Piste di lavoroper Caritas e parrocchie

di Vittorio Nozza

vo ordine di relazioni tra gli uomini.Nel Nuovo Testamento Gesù Cri-

sto, nel rivelare il volto paterno diDio, manifesta ai credenti la loro con-dizione di figli, cui si addicono solovincoli di fraternità. I cristiani, dun-que, si religano a Dio Padre realizzan-do una concreta solidarietà fraterna,soprattutto con quanti vivono aimargini della società. “La religionepura e senza macchie”, infatti, offreun imperativo morale in ordine allacreazione di un forte legame di con-divisione con i più poveri, nei quali icristiani rinvengono il volto stesso diCristo, che si è identificato propriocon chi ha fame, con chi è ignudo,carcerato, malato… (Mt. 25, 31-46).

Ritualismi attenti all’esteriorità,un sentire religioso elitario ed indivi-dualistico, intimismi connotati daforte emotività, comunità dedite arealizzare il proprio benessere psico-sociale appaiono ben lontani daun’autentica visione religiosa cristia-

na. Essa, piuttosto, esige il dono totale e gratuito nell’a-more a Dio e ai fratelli, specie a quelli dimenticati edemarginati. “Religione pura e senza macchia” è quelladunque che, con l’aiuto dello Spirito, le comunità cristia-ne devono e possono realizzare, per compiere non la pro-pria ma l’opera di Dio nella storia, manifestando in talmodo l’autentica identità ecclesiale.

Nella lettera di Giacomo, poco oltre, si afferma che “lafede, se non ha le opere, è morta”. E ancora che è possibile“mostrare la fede attraverso le opere” (Gc. 2, 14-18). Bino-mio che dovrebbe mettere in crisi ogni giorno lo stile di vi-ta di ogni cristiano: nella cura del debole è il criterio di ve-rifica ultimo di una “religione pura e senza macchie”.

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Già nell’Antico Testamento erapossibile rilevare evidenti prodromidi una certa concezione della religio-ne. Il libro di Isaia dice: “Non è piutto-sto questo il digiuno che preferisco:spezzare le catene inique, sciogliere ilegami del giogo, rimandare liberi glioppressi (…) spezzare il pane all’affa-mato, introdurre in casa i poveri sen-za tetto?” (Is. 58, 6-7). Risuona forte iltono polemico nei confronti di altretradizioni religiose, che rischiavanodi risucchiare il novum del monotei-smo ebraico nella concezione, piut-tosto diffusa nell’antichità, di una religiosità tutta esterio-re, che si evidenziava in forme rituali caratterizzate per lopiù da sacrifici di animali. Ma è nel Nuovo Testamento chetale concezione assume contorni precisi e definitivi.

Colmare l’infinita distanzaLa religione cristiana offre una visione inedita: il suo cen-tro è costituito dall’offerta volontaria della propria vita peri fratelli da parte di Gesù. Sacrificio unico e universale, as-sente altrove nella storia delle religioni e, secondo la visio-ne cristiana, capace di colmare l’infinita distanza tra Dio euomo. Sacrificio dettato solo dall’amore, in grado di vin-cere il peccato dell’intera umanità e di instaurare un nuo-

I modi di legarsi a Dio sono differenti

nelle differentitradizioni religiose.I cristiani mettono al centro l’offerta

volontaria della propriavita per i fratelli.

A cominciare da quantisono relegati ai margini

della società

CURA DEL DEBOLE, CRITERIODELLA FEDE DI OGNI CRISTIANO

parola e paroleeditoriale

Nella nostra epoca,una folla di incomunicabilità:si toccano ma non si parlano,non si prendono

in considerazione,non entrano davvero in relazione

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anche i mezzi di comunicazione di massa sperimen-tano la fatica nel comunicare. Il linguaggio e il tonodegli strumenti della comunicazione sociale tendo-no sempre più a suscitare sensazioni forti ed ecci-tanti, per vendere meglio e più di altri le informazio-ni. È una realtà drammatica.Si deve però riconoscere che tale situazione di de-

grado è solo lo specchio di un’intima contraddizioneche sta alla radice della nostra società. Un tema consi-derato in modo esteso e profondo nel Direttorio sullecomunicazioni sociali nella missione della Chiesa - Co-municazione e missione, di recente pubblicato dallaConferenza episcopale italiana. La Chiesa ha una Veritàda trasmettere, una Via da rendere comune, una Vita dacondividere: Cristo da comunicare. In questa missionela parrocchia ha il ruolo principe di motore e custodedella comunità. L’opportunità di essere vicino alle casedi persone diverse per età, cultura e fede la chiama a far-si laboratorio di relazioni che aiuta i singoli e le comu-nità ad andarsi incontro, a costruire legami e tessereamicizie. Rileggere il vasto mondo delle parrocchie nel-la prospettiva del “laboratorio di relazioni e di comuni-cazione” significa ribadire la centralità dell’uomo - chenella relazione realizza la sua identità di persona - e as-sumere la funzione storica di una “Chiesa esperta inumanità”.

Lavorare sulle relazioniChe fare, allora? Tre principali ambiti di lavoro:Le relazioni familiari. La famiglia appare oggi profonda-mente segnata da conflittualità, separazioni, abbando-

ni e distanze, disagio ed esclusione. È bisognosa di spe-cifiche attenzioni anche a livello pastorale. Eppure puòdiventare luogo esemplare di tessitura della comunità,come dimostrano le numerose esperienze di famigliesolidali che costruiscono comunione, condividono lacura dei figli e degli anziani, trovano la forza di accoglie-re chi è nel bisogno.Le relazioni sociali. La parrocchia, anche attraverso l’azio-ne della Caritas parrocchiale, può assumere il ruolo disoggetto che realizza cammini educativi verso un mo-dello fraterno di relazioni, che diventi cultura, stile, ci-viltà diffusa e condivisa. Nell’assumere questa respon-sabilità, le parrocchie devono tenere conto di tessuti so-ciali spesso logorati, segnati da voragini di solitudine.Rientrano in questa intenzione educativa le relazionicon le istituzioni pubbliche e private, in cui le parroc-chie non possono rinunciare alla funzione di sentinelledella responsabilità e della giustizia nei confronti delterritorio e di coloro che lo abitano.Le relazioni intraecclesiali. La parrocchia laboratorio di re-lazioni, cuore della comunione e della comunicazioneecclesiale, non può appiattirsi su singole esperienze (ilgruppo dei catechisti, gli animatori della Caritas parroc-chiale, i membri di una associazione), trascurando laricchezza delle altre espressioni carismatiche che pren-dono vita al suo interno (comunità religiose, gruppi,movimenti, ecc). Doni suscitati dallo Spirito, questeesperienze sfidano la parrocchia a farsi insieme di labo-ratori: “comunione di comunità che parlano il linguag-gio che permette a ciascun uomo e a ciascuna cultura dicapirsi e di capire” l’orizzonte storico della salvezza.

Questa è la religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre:soccorrere gli orfani e le vedove nella loro afflizione (Gc. 1, 27)

Nella nostra società multireligiosa appare ricorrente il rischio

di omologare il concetto di religione sotteso alle differenti

fedi. In realtà i modi di re-ligarsi a Dio e le valenze di questo

legame si rivelano molto diversi: solo nell’orizzonte globale pro-

prio di ogni fede, gli elementi particolari - riti, culto, relazioni co-

munitarie - manifestano la loro specificità. La nostra fede nel Dio

di Gesù Cristo è caratterizzata dall’evento dell’Incarnazione, che

imprime il proprium e l’unicum all’idea di religione.

di Ina Siviglia

Italia CaritasUna nuova veste grafica. Contenuti più incisivi. Opinioni sempre più qualificate. Il periodico è una finestra mensile sulle esperienze Caritas. E sui fenomeni che, in Italia e nel mondo, ci provocano alla solidarietà.

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“contributo Italia Caritas”. A partire dalla data di ricevimento

del contributo, verrà inviata un’annualità del mensile

NewsletterDa novembre 2003 un nuovo strumento informa tutti gli offerenti Caritassull’andamento dei progetti internazionali e sull’esito delle loro donazioni.La newsletter esce almeno due volte all’anno.

Per ricevere la newsletter non bisogna fare nulla: è un atto dovuto,

di rendicontazione e trasparenza, alle tante persone che sostengono l’impegno

Caritas. Contiene anche un bollettino postale per le offerte,

che però possono essere compiute anche tramite altri canali

www.caritasitaliana.itIl sito internet di Caritas Italiana da ottobre presenta una nuova veste grafica.E una nuova struttura interna, pensata per facilitare l’accesso e la navigazione: anche in rete, la comunicazione Caritas si fa più incisiva

Per accedere alle informazioni, gli utenti possono orientarsi tra le nuove finestre

e le nuove rubriche, oltre che tra un comodo elenco di temi, in ordine alfabetico.

L’area riservata, con materiali e comunicazioni interne, è accessibile alle Caritas

diocesane e locali

InformacaritasEra un quindicinale che raggiungeva in formato cartaceo tutte le Caritasdiocesane e locali. Ha mantenuto la sua natura: offre informazioni tempestivecirca le attività, i progetti, gli appuntamenti, i corsi e i convegni Caritas

Per consultare Informacaritas oggi ci si può comodamente servire del sito

di Caritas Italiana: il periodico è scaricabile dall’area riservata e può essere

più agevolmente diffuso agli operatori diocesani e locali. Continua ad avere

una periodicità quindicinale

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Italia Caritas

...linguaggi solidali

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sabato”, ben presto si trasformerà in“giorno del Signore” (Ap 1,10), giornodel Risorto. La domenica, ogni setti-mana, ricorda a tutti noi che se Cri-sto non fosse risorto, vana sarebbe lanostra fede e noi saremmo ancoranei nostri peccati (cfr. 1 Cor 15,17).

Il sole di giustiziaQuesto inscindibile legame della do-menica con la risurrezione di Cristo,richiamato nel logo del Cen dalla so-vrapposizione del Cristo vittoriososul cerchio bianco, è stato messo benin risalto dai Padri della Chiesa. Eccocome si esprime san Girolamo: “Ilgiorno del Signore, il giorno della ri-surrezione, il giorno dei cristiani è ilnostro giorno (…) E se esso è chia-mato giorno del sole dai pagani, an-che noi accettiamo volentieri questadesignazione, perché in quel giornoè apparsa la luce, in quel giorno èbrillato il sole di giustizia nei cui rag-

gi è la guarigione” (In die dominica Paschae homilia).Il Cristo risorto è lo stesso che ha dato la vita per noi

salendo sulla croce e, da quell’“altare”, ci ha rivelato che“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio uni-genito” (Gv 3,16). Il costato aperto di Cristo da feritamortale si è trasformata in sorgente zampillante di vita:è il miracolo della carità! Ecco come la Chiesa canta lasua fede nella preghiera liturgica: “Sacrificato sulla cro-ce più non muore e con i segni della passione vive im-mortale” (Prefazio pasquale IV). Ogni domenica, nelCristo morto e risorto per noi, noi contempliamo l’a-more “smisurato” con cui Dio ci ama e siamo sollecitatia diventare in mezzo ai fratelli segno tangibile della Suatenerezza e misericordia.

Come attingere a questa “sorgente” della carità? Lovedremo proseguendo nel cammino.

Il 28 novembre, prima domenica di Avvento, inizio del nuovo an-

no liturgico, prenderà l’avvio il cammino di preparazione di tut-

ta la Chiesa italiana verso il Congresso eucaristico nazionale

(Cen), che si svolgerà a Bari dal 21 al 29 maggio 2005. Italia Caritas ac-

compagnerà con una serie di articoli, affidati a don Antonio Ladisa,

vicepresidente del comitato diocesano del Cen, il percorso preparato-

rio dell’importante appuntamento ecclesiale.

di Antonio Ladisa

Il Congresso eucaristico si inca-stona, come un prezioso diamante,su un anello d’oro: l’“anno eucaristi-co” indetto dal Papa, dall’ottobre2004 all’ottobre 2005. Il tema sceltoper il 24° Congresso è sintetizzatonella frase di uno dei martiri di Abi-tene: “Senza la domenica non pos-siamo vivere”. A nessuno sfugge co-me tale tema miri ad approfondire erilanciare quanto scrivevano i vesco-vi italiani negli Orientamenti pasto-rali per questo primo decennio delsecolo, poi riproposto nella Nota pa-storale sul volto missionario delle parrocchie: “Ci sembrapertanto fondamentale ribadire che la comunità cristia-na potrà essere una comunità di servi del Signore sol-tanto se custodirà la centralità della domenica, giornofatto dal Signore (Sal 118,24), Pasqua settimanale con alcentro la celebrazione dell’Eucaristia, e se custodirà nelcontempo la parrocchia quale luogo - anche fisico - a cuila comunità stessa fa costante riferimento” (Cvmc, 47).

Ogni domenica il credente è ricondotto all’essenzia-lità della fede e alle sorgenti della carità. Infatti il giornodel Signore, lungi dall’essere un semplice “fine settima-na”, o una giornata per riprendere forza per poi ritornareil lunedì, rinvigoriti, al lavoro, o un giorno di svago e dipuro divertimento, è innanzitutto il giorno in cui faccia-mo memoria della Risurrezione e rinnoviamo la nostrafede in Gesù Cristo. Quell’anonimo “primo giorno dopo il

Senza la domenica il cristiano non può

vivere. Essa ci ricordache, se Cristo non fosse

risorto, vana sarebbe la nostra fede.

E ci inducea contemplare

l’amore smisurato che Dio nutre nei

confronti di ogni uomo

IL GIORNO DEL RISORTOÈ SORGENTE DI VITA E CARITÀ

eucarestia e carità

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Giovanni dormiva in macchina«A Palermo vicenda comune»

Disoccupato, moglie e due figlie, è rimasto senza casa. Giovanni e la sua famiglia hannotraslocato in una macchina. Per tre mesi. Quando la situazione è diventata insostenibile,hanno deciso di occupare piazza Pretoria, dove c’è il palazzo del comune di Palermo.

Da secoli i palermitani la chiamano “Piazzadelle vergogne”, non solo perché ci sono statue di corpi nudi, ma anche per sottolineare i comportamenti delle classi politiche locali.L’amministrazione ha inviato Giovanni e i suoi alla Caritas diocesana. «Dormire in un’auto, vivere per strada e arrangiarsi per i pasti stannodiventando esperienze di vita molto comuni nella nostra città - considera Giuseppe Mattina,vicedirettore della Caritas diocesana di Palermo -. Anche la cattedrale è stata più volte occupata dai comitati degli sfrattati e dei senza casa. Sono stati molti gli interventi pubblici della Caritasdiocesana e dell’arcivescovo De Giorgi persollecitare una risposta degli enti locali».

Giovanni e la sua famiglia sono stati ospitati nel centro Santa Rosalia, destinato a chi ha problemi abitativi. Gli operatori hanno elaborato con Giovanni un percorso per trovareun’occupazione e un appartamento, si sonoimpegnati a garantire al proprietario il pagamentodegli affitti, anticipandone una parte. Dopo alcunesettimane Giovanni ha trovato un lavoro dapanettiere e si è trasferito con la famiglia nella nuova abitazione.

«Ci stiamo impegnando nella promozione del microcredito per agevolare i processi diemancipazione, partecipiamo ai comitati perl’utilizzo dei beni confiscati alla mafia e per ilpiano di edilizia popolare, siamo costanti nelmonitoraggio dell’emergenza casa. Purtroppo -dichiara don Benedetto Genualdi, direttore dellaCaritas diocesana - non sono rari gli sgomberi conl’impiego delle forze dell’ordine in quartieri povericome lo Zen e il Don Orione. Nei limiti del possi-bile abbiamo cercato di mediare con gli assessorie le amministrazioni che si sono avvicendati. Ma non sempre il confronto è stato fruttuoso».

In Italia aumenta il numero di costruzioni. E di coloro che si rifugiano nel mercatoimmobiliare. Ma poi molti alloggirestano vuoti. Gli affitti crescono.Gli sfratti si moltiplicano.L’abitazione è ancora un diritto?

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mila, nei comuni cosiddetti di “seconda cintura” sonopassate da 92 a 120 mila, nel territorio comunale della ca-pitale sono aumentate di “appena” 20 mila (da 1.019.000 a1.039.000). Tutto ciò, mentre la popolazione totale di Ro-ma è diminuita in dieci anni del 6,8% e nella provinciadell’1,6%. A Milano, nella prima corona le famiglie sonopassate da 216 a 238 mila, nella seconda da 199 a 222 mi-la, nel comune da 584 a 588 mila. Intanto la popolazionedel capoluogo è diminuita dell’8,3% e in provincia dello0,8%. Inevitabile, se questi sono i dati, che la necessità abi-tativa cresca, creando una forte domanda di nuovi e piùpiccoli alloggi, mentre l’offerta di alloggi più grandi e co-stosi rischia di rimanere inevasa.

Speculare alla situazione delle aree metropolitane èquella dei piccoli centri delle aree in via di spopolamento,dove immensi patrimoni edilizi sono di fatto abbandona-ti e diventati ormai, nella migliore delle ipotesi, secondecase da week end e per le vacanze.

Nuove tensioni abitativeDa questi dati si deduce una fortetendenza all’abbandono dellegrandi città in favore delle periferiee dei comuni limitrofi, che speri-mentano nuove tensioni abitative.Queste ultime però non risparmia-

no nemmeno le grandi città, che nonostante la perditadi popolazione vedono aumentare le famiglie residenti,mentre l’impennata della domanda nei comuni limitro-fi fa aumentare il costo degli alloggi.

Nei centri di forte attrazione si verificano intantoveri e propri sconvolgimenti urbanistici. L’aumentovertiginoso della popolazione richiederebbe strutture eservizi adeguati, che spesso non ci sono o non si realiz-zano presto. Si pensi ai trasporti (insufficienti) che col-legano le zone periferiche ai grandi centri urbani, cau-sa di un notevole abbassamento della qualità della vita.Lande desolate di palazzoni o villette a schiera che nonsi integrano nel territorio finiscono per rappresentarealtrettanti “non luoghi”: agglomerati senza identità,quartieri dormitorio.

Al cambiamento socio-demografico si aggiunge unaltro elemento di turbativa del mercato. La crisi dellaborsa ha dirottato molti investimenti verso il mattone,incrementando la domanda di immobili, già in tensio-ne per la dinamica demografica. Si acquistano case pertutelare il risparmio e si affittano solo a prezzi elevati. Oaddirittura si è disposti a tenerle sfitte, magari in attesadi rivenderle.

Sembra un controsenso. In Italia aumenta inmodo evidente il numero delle costruzioni(incluse quelle abusive che beneficiano deiripetuti condoni) e nello stesso tempo per-mane l’emergenza abitativa per tante fami-glie. È un segno dei tempi, un’amara schizo-frenia: milioni di metri cubi in cerca di sana-

toria e una inossidabile fame di alloggi. Individuarne lecause non è compito agevole.

Forse per capire si può cominciare dai dati degli ultimidue censimenti. Da cui si nota che la popolazione italiananegli ultimi anni è stata stabile, mentre il numero delle fa-miglie, che riducono la propria numerosità, è in evidenteaumento. Emblematici sono i casi di Roma e Milano. Neicomuni limitrofi a Roma, cosiddetti di “prima corona”, dal1991 al 2001 le famiglie sono aumentate da 165 mila a 206

nazionalediritti sociali

INVESTIAMO NEL MATTONEMA LA CASA È UN’EMERGENZAdi Marco Toti e Pietro Gava

SEMPREATTUALIFoto tratte dallamostra “La casa”(Caritas Italiana1995), che giraancora l’ItaliaFO

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Sfratto in vista per trentamilaUn tale contesto non facilita la ricerca di soluzioni. E cosìmolte persone e famiglie non riescono a comprare unacasa perché non dispongono di capitali iniziali o redditifissi che diano accesso al mutuo. Oppure non riescono atrovare affitti compatibili con le proprie possibilità, o an-cora vedono continuamente aumentare in modo spro-porzionato ai redditi l’affitto di cui sono titolari.

Così le emergenze si moltiplicano. Basti pensare a ciòche significava, per 30 mila famiglie di anziani e disabiliitaliani, la scadenza di fine ottobre: la sentenza 155/2004della Corte costituzionale ha posto uno stop alle proroghedegli sfratti e loro rischiano di andare a vivere per strada,se il governo non affronterà radicalmente la questione. In-tanto in Italia 4 milioni di alloggi restano sfitti (censimen-to Istat 2001). Eppure dal 1983 al 2002 l’esperienza dellosfratto ha colpito 1.503.846 famiglie, e in 365.956 casi è sta-to necessario l’intervento della forza pubblica. Nelle stati-stiche ufficiali non sono d’altronde conteggiati gli sgom-beri che non suscitano clamore, quelli di alloggi messi al-l’asta per l’impossibilità di pagare mutui e quelli di immo-bili occupati in modo abusivo. Sempre dal 1983 al 2002 glisfratti per morosità sono aumentati più del 50%: dato an-goscioso, dovuto ai canoni altissimi oltre che alla crisi didiverse attività economiche. E a fronte di ciò l’Unione In-quilini denuncia che “il Fondo sociale, partito con unostanziamento annuo di 753 miliardi di vecchie lire, si è ri-dotto con le leggi finanziarie 2003 e 2004 a 209 milioni dieuro. Il contributo all’affitto è stato perciò erogato solo al5% delle famiglie inquiline. In Europa la spesa media perl’alloggio e la lotta all’esclusione sociale copre il 3,8% delbudget pubblico, in Italia solo lo 0,2%”.

Negli anni ’90 le leggi che hanno liberalizzato il merca-to della casa hanno contribuito a far salire alle stelle i prez-zi degli affitti. Nel frattempo non sono stati costruiti allog-gi popolari e non sono state elaborate misure per assicu-rare un tetto alle categorie svantaggiate. Un’indagine (An-ci-Cremsa) ha accertato che nel 2002 sono stati assegnatisolo 9.273 alloggi pubblici, pari al 7,8% delle 117.853 do-mande presentate nei comuni ad alta tensione abitativa.Mentre in Italia i cantieri sono fermi, in Europa si costrui-scono più case popolari: da noi sono 2 milioni, 3.500.000in Francia, 4 milioni in Inghilterra e 9 milioni in Germania(Movimento della difesa del cittadino).

Anziani, separati e fuorisedeOggi per il 35,4% degli anziani il canone assorbe almeno il40% del reddito familiare. Tre milioni di anziani vivono so-

li (Censis) e la solitudine non fa che aumentare il disagioabitativo. Quanto ai disabili, il Censis conferma che circa1,2 milioni di nuclei familiari vivono la difficoltà di barrie-re domestiche o condominiali. E una casa decente a unprezzo accettabile sembra rimanere una chimera ancheper le giovani coppie. Gli ostacoli sono molti: disoccupa-zione o basse retribuzioni dei contratti flessibili, impossi-bilità di accendere mutui offrendo garanzie giudicate ade-guate dalle banche, incertezza sul futuro.

Negli anni ’90 è entrata nel mercato abitativo una nuo-va categoria: i separati. Dal 1992 al 2001 le separazioni so-no aumentate del 166% e l’urgenza di un’alternativa avràcostretto molte persone ad accettare costi onerosi. Con-tratti irregolari o in nero, con prezzi elevati, sono la durarealtà anche per migliaia di studenti nelle città universita-rie: le strutture pubbliche offrono circa 30 mila posti letto,la popolazione dei fuorisede sfiora il mezzo milione.

Infine il mercato nero delle case è fiorente anche gra-

zie a chi sfrutta le precarie condizioni abitative di più di950 mila immigrati (Censis), imponendo loro canoni eso-si e costringendoli di fatto ad abitare in appartamenti so-vraffollati. Gli stranieri che non si possono permettere untetto possono sempre accontentarsi di un vagone ferro-viario, un edificio pericolante o un parco pubblico: si cal-cola che nel nostro paese siano tra 17 e 70 mila le persone(anche italiane) senza fissa dimora. La cifra varia in baseagli indicatori adottati, ma secondo l’esperienza di moltioperatori il dato reale potrebbe essere più ampio.

L’Italia ha ratificato il Patto sui diritti economici, socia-li e culturali con la legge 881/1977: all’articolo 11 il Pattorecita che “gli stati riconoscono il diritto di ogni individuoa un livello di vita adeguato per sé e per la sua famiglia, cheincluda alimentazione, vestiario e alloggio adeguati (…).Gli stati prenderanno misure idonee ad assicurare l’attua-zione di questo diritto”. La complessità del fenomeno abi-tativo chiama fortemente in causa l’azione politica ai di-versi livelli, statale, regionale, degli enti locali. Sembraperò che il coraggio e l’efficacia scarseggino, se ci si limitaa ridurre i fondi per il sostegno agli affitti nelle zone conforte tensione abitativa e ad incentivare l’acquisto da par-te delle giovani coppie, che spesso non hanno un redditofisso per ottenere un mutuo. Chissà se la finanziaria 2005si farà carico di questi problemi. Quando si parla di gran-di opere, bisognerebbe riflettere che per ogni persona eogni famiglia la prima grande opera è la casa.

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nazionalediritti sociali

Dal negozio al marciapiede«Ma a Savona si può risalire»

Il suo nome luccicava sull’insegna di un negozio. Poi graviproblemi familiari lo hanno portato al fallimento e a perderele relazioni più importanti. Un uomo solo, senza un postosicuro dove dormire: anche se l’anonimato della stradarende invisibili, il crollo di una persona è difficile che resti a lungo ignorato, in una città di medie dimensioni comeSavona. Così una notte l’ex commerciante è stato ospitatonella casa di accoglienza notturna della fondazioneComunitàServizi, espressione della chiesa locale.

«I servizi finalizzati all’accoglienza abitativa sisviluppano su tre livelli - spiega Maurizio Reineri, operatoredella fondazione -. Oltre alla casa di accoglienza notturna,ci sono le case di seconda accoglienza e gli appartamentidi terza accoglienza. La casa di accoglienza notturna di norma offre ospitalità per brevi periodi e può costituire un primo passaggio per individuare persone idonee a sperimentare un percorso di convivenza nelle nostrecomunità di seconda accoglienza». Proprio dove èapprodato l’ex commerciante, dopo alcune settimane: quiè stato aiutato ad affrontare il suo disagio, con l’obiettivodi un ritorno alla piena autonomia. Gli operatori, insieme ai servizi sociali territoriali, lo hanno accompagnato nelrecupero psicofisico e nel conseguimento della pensione.

Nella diocesi di Savona ci sono quattro case di seconda accoglienza, per un totale di dodici posti; tra esse Casa Emmaus, attivata grazie alla collaborazione con la parrocchia San Francesco da Paola e con icontributi della Fondazione Carige. I costi di gestione del servizio possono essere a carico della fondazione, dei servizi sociali territoriali o a parziale carico dellapersona accolta, se ha un reddito sufficiente. Oggi l’ex commerciante vive con un altro ospite in un appartamento di terza accoglienza e paga la metàdell’affitto. La fondazione ComunitàServizi dispone di 25 alloggi in locazione concessi in modo temporaneo e non gratuito a singoli o famiglie di ex tossicodipendenti,ex detenuti, stranieri o soggetti in difficoltà socio-economica. La fondazione assicura al proprietariol’adempimento delle obbligazioni contrattuali; l’ospite è tenuto a rimborsare totalmente o parzialmente il canonein base alle condizioni di reddito. Il servizio emergenzaabitativa opera insieme ai servizi sociali territoriali e si avvale della collaborazione di volontari.

La petizione dei sindacati:“Cambiare politiche abitative”

Una petizione popolare per riformare in profondità le politicheabitative. L’hanno lanciata in estate Sunia Cgil, Sicet Cisl e UniatUil, i sindacati degli inquilini delle tre confederazioni. I tre sindacatichiedono di “ripensare profondamente il sistema di regole chegovernano il mercato dell’affitto” e sollecitano il governo afinanziare (con un miliardo di euro annui) l’edilizia sociale inaffitto, a portare ad almeno 500 milioni di euro annui il fondo di sostegno all’affitto per le famiglie a basso reddito, a modificarela legge che regola il settore della locazione eliminando il “canonelibero” (ad eccezione delle abitazioni di pregio) ed estendendo il “canone contrattato”, a sostenere le politiche di interventopubblico tramite incentivi e disincentivi fiscali, a definire la possibilità per i comuni di utilizzare l’Ici per favorire il rilancio del mercato delle locazioni. La petzione, con queste e altrerichieste, può essere sottoscritta nelle sedi sindacali.

NON LUOGHIEdifici non integrati nel territorio: quartieri senza identità

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17% raramente, il 13% mai.

La quarta imposta indirettaSul gioco d’azzardo, il rapporto ripor-ta una serie voluminosa di dati:

sul totale delle imposte dirette eindirette del semestre gennaio-giu-gno 2002 (ultimi anni disponibili), iproventi del gioco del lotto assom-mano al 2,7% del totale (oltre 4 miliar-di di euro), classificandosi al quartoposto nella classifica delle imposteindirette, per entità del gettito (supe-rando anche le entrate derivate dallavendita dei tabacchi);

secondo un’indagine Doxa del1998 sul totale delle somme giocate,le famiglie italiane impegnano spes-so il reddito di sussistenza, con valoriestremi di impegno pari al 56% fra lepersone degli stati sociali medio-bas-si, al 47% tra gli strati più poveri e al66% tra i disoccupati;

l’Italia è passata in dieci anni, dal1989 al 1999, da una spesa in giochilegali stimata in 9 mila miliardi a una

spesa di 36 mila miliardi di vecchie lire;ricerche internazionali stimano un’incidenza del “gio-catore d’azzardo patologico” compresa tra l’1 e il 3%della popolazione adulta;

secondo dati del ministero del tesoro e dell’interno, trail 1998 e il 2000 sono stati installati in Italia oltre 800 mi-la videopoker, per un giro di affari di oltre 40 mila miliar-di di vecchie lire;secondo i dati forniti dalla segreteria nazionale dellefondazioni antiusura, il gioco d’azzardo ha assunto nelcorso degli anni un posto di crescente importanza neldeterminare il ricorso al prestito a usura: nel 2000 il co-stituiva l’ottava causa di usura, nel 2001 la sesta, nel2002 la quarta e nel 2003 addirittura la terza.

Uno dei capitoli del quinto rapporto di Caritas Italiana e Fondazio-ne Zancan su disagio ed esclusione sociale in Italia (intitolato Vuo-ti a perdere) si riferisce alle dipendenze senza sostanze, ossia a fe-

nomeni di dipendenza che non sono legati al consumo di una sostanzapsicotropa (droga, alcol, farmaci, ecc.). Rientrano nelle nuove dipen-denze senza sostanze fenomeni molto diversi tra loro: il gioco d’azzardo,la dipendenza da cellulare, lo shopping compulsivo, la dipendenza dalavoro, la dipendenza da sforzo fisico, la cyberdipendenza (dipendenzada internet) e altre. I dati su tali fenomeni non sono sempre disponibili.

Nel rapporto si tenta di fornire al-cune statistiche di sfondo:

la dipendenza da shopping riguar-derebbe una quota compresa tral’1 e l’8% della popolazione adultaitaliana;

secondo i dati Istat relativi al 2000,2.948.000 persone (il 5,7% dellapopolazione italiana) dichiara diutilizzare internet tutti i giorni;il 4% dei ragazzi di età compresatra 11 e 14 anni e il 7,5% dei 15-17enni dichiara di utilizzare inter-net tutti i giorni;si sta diffondendo un uso ludico e sempre più precocedel cellulare: il 21% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni uti-lizza il cellulare tutti i giorni (510 mila giovani). Il 64,8%dei ragazzi utilizza il cellulare “per essere più facilmen-te in contatto con gli amici” e il 44,4% “per il piacere diparlare con chi voglio, in qualsiasi momento e in qua-lunque luogo”;il 28,6% degli adolescenti che frequenta il primo annodi scuola media superiore non spegne mai il telefoni-no e il 33,3% lo spegne raramente;quanto al controllo del cellulare per verificare il ricevi-mento di messaggi sms, un gesto molto frequente enon solo tra gli adolescenti, il 47% dei giovani affermadi eseguire “sempre” tale controllo, il 22% a volte, il

Il fenomeno delle dipendenze

non legate a sostanze è in forte crescita.

C’è chi non può fare a meno dello shopping,di internet o addirittura

del lavoro. E al giocod’azzardo “bruciamo”quasi 40 mila miliardi

di vecchie lire

esclusione socialepolitiche socialipolitiche socialidatabase

ITALIANI, POPOLO DI CICALE:AL GIOCO SPRECANO UNA FORTUNAdi Walter Nanni ufficio studi e ricerche Caritas Italiana

Vedere soddisfatto il proprio diritto all’abitazione: la questione torna centrale nel dibat-tito sociale e politico del nostro paese. Anche in considerazione delle nuove dinamichedi mobilità (da 191 paesi del mondo verso l’Italia, dalla grande città alla periferia), dellescadenze degli sfratti, del caro-casa (in Italia in media il 40% del reddito viene destina-to all’affitto), della flessibilità del mercato del lavoro.

La nuova “emergenza casa” fa soffrire soprattutto i soggetti deboli. Nella recente ricerca della“Rete nazionale dei centri d’ascolto e osservatori della povertà Caritas”, relativa al primo trimestre2004, il problema-casa costituisce quasi il 50% dei bisogni registrati tra le oltre 11 mila persone ri-voltesi ai centri di ascolto di 72 diocesi italiane. Il 23,1% degli utenti ha manifestato il problema ditrovare una casa, il 14% il problema di una casa precaria o inadeguata. Dalla ricerca emerge comesiano più gli uomini che le donne, tra coloro che si rivolgono ai centri di ascolto, a segnalare unproblema abitativo; come pure è maggiore l’incidenza del problema tra gli stranieri rispetto ai cit-tadini italiani. La suddivisione per macro-aree geografiche evidenzia poi che la questione-casaemerge più a nord, rispetto al centro e al sud.

Per i soggetti deboli la mancanza dell’abitazione nonè solo carenza di una struttura fisica, ma fa venir menoun punto di riferimento cruciale nel vissuto quotidiano.Ciò si aggrava in modo particolare nel Mezzogiorno, do-ve la crisi dell’Istituto autonomo case popolari ha postoin seria difficoltà la rete degli alloggi sociali.

Non pensare solo all’emergenzaCresce dunque l’esigenza di nuove proposte, che aiutinoa garantire a tutti il diritto alla casa: bisogna pensare a rin-novare le forme cooperative per l’accesso alla prima casa;a nuovi strumenti di garanzia; a una politica abitativa pergli immigrati, che favorisca non solo le permanenze tem-poranee, ma anche il diritto al ricongiungimento familia-re; a una politica controllata degli affitti; a nuove regoleper l’edilizia sociale; a forme di solidarietà familiare chetutelino i più deboli e i senza dimora.

Tutte queste istanze chiedono il costituirsi di unarinnovata rete sociale nel territorio, che non affronti ilproblema casa solo nelle emergenze, ma entro unquadro politico complessivo, nel rispetto delle perso-ne, con l’attenzione ai più deboli, ma anche all’am-biente e al territorio.

Soffrono i soggetti deboli,urgono proposte “sociali”Il problema-casa è il primo tra quelli segnalati ai centri d’ascolto Caritas.Servono tutele per chi non riesce a sostenere prezzi e regole di mercato

di Giancarlo Perego

nazionalediritti sociali

DENUNCIAD’AUTORELa mostra“La casa”è ancoradisponibileper le Caritasdiocesane.Ha comesottotitolo“Le case,le cause,il caso, il caos,la chiesa”

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rapporto esclusionenazionale

è chi ama fare sport, chi preferisce andare per negozi, chi per rilassarsi chiac-chiera al telefono o in chat. Passioni normali, che nessuno penserebbe di vieta-re o criminalizzare. Eppure per alcuni il passatempo si distorce fino a diventarepatologia, a mettere a rischio l’equilibrio fisico, mentale e familiare. Le dipen-denze senza sostanza sono patologie compulsive simili alla tossicodipendenzao alla bulimia, con la caratteristica di non prevedere l’assunzione di agenti fisi-ci. Le più comuni sono la dipendenza dal gioco d’azzardo, dallo shopping, dai

mezzi di comunicazione, dall’attività fisica e dal lavoro: in tutti i casi il disturbo presenta gli stes-si sintomi legati a dipendenze più conosciute (come l’assunzione di droghe, tabacco o alcol), va-le a dire crisi di astinenza, reazioni incontrollate e desiderio di “averne sempre di più”.

«Queste dipendenze - spiega il dottor Mauro Croce, coautore con Walter Nanni del capitolodedicato alla questione da Vuoti a perdere, quinto rapporto sull’esclusione sociale prodotto daCaritas Italiana e Fondazione Zancan - si costituiscono e si alimentano senza che alcun oggettoesterno modifichi le percezioni e la chimica del soggetto. Non ci si può appellare alla presenza dielementi psicotropi o inebrianti. All’opposto, nascono da abitudini e costumi del tutto legittimie spesso incentivati dalla società». Correre o fare palestra, consumare e acquistare beni, posse-

dere un certo grado di confidenza con le tecnologieinformatiche: valori, per la società contemporanea, rara-mente accostati ai concetti di pericolo o divieto. Il casodelle scommesse e delle lotterie è emblematico: è lo sta-to a organizzare sempre più estrazioni e possibilità digioco, fornendo, per interessi economici, sia l’occasioneche la giustificazione dell’azzardo.

«La mancanza di un elemento tangibile - osserva an-cora Croce -, magari dichiaratamente dannoso, può farpensare che queste patologie siano meno serie rispettoad altre. Il risultato di questo pregiudizio è che gli studie gli interventi istituzionali sono rari e, tolte alcune ini-ziative pionieristiche, piuttosto blandi». In realtà le di-pendenze senza sostanza affliggono centinaia di fami-glie, generando un circolo vizioso che porta a volte a ri-sultati tragici. E sono tanto più pericolose perché piùdifficili da diagnosticare.

Autodiagnosi? ImpossibileL’identikit del soggetto a rischio non è ben definito: ladipendenza colpisce tanto i giovani quanto gli adulti,senza distinzione di reddito o di collocazione geografi-

ca. Anzi, spesso un normale rapporto di fruizione di unservizio - come la posta elettronica o l’acquisto di benion line - evolve in patologia senza che sussistano ele-menti riscontrabili o segnali di allarme.

«Se è vero che le cosiddette dipendenze non da so-stanze spesso si integrano oppure si sostituiscono ad al-tre dipendenze, e se è vero che non è raro trovare perso-ne il cui “arrivo” a una dipendenza è costellato da pre-cedenti momenti di depressione più o meno consape-vole - rileva Croce -, è anche vero che molti altri sogget-ti non possono addurre cause esterne, come traumi ostorie riconoscibili di emarginazione, per giustificare lapropria situazione. L’assenza di elementi biografici delgenere evidenzia che, fatti salvi specificità e sviluppi dif-ferenti a seconda dei casi, e considerato il peso che gio-cano le disuguaglianze sociali, la possibilità di dipen-denza non solo è diventata qualcosa di trasversale a ge-nerazioni, a miti e bisogni diversi, ma è anche divenuta,e questo è l’aspetto forse più inquietante, una condizio-ne sociale aperta a ognuno di noi».

Nel parlare di queste affezioni, il rischio maggiore è

non trattarle con il necessario equilibrio. Da una parte, in-fatti, tutti vivono esperienze di dipendenza, che però nonpossono essere definite patologiche e quindi non rappre-sentano fenomeni preoccupanti. D’altro canto, proprioper questo si tende spesso a minimizzare o banalizzaremalattie che, per la loro incidenza sulla salute e sulla ca-pacità di socializzazione del paziente, non possono esse-re sottovalutate. «La dipendenza viene trattata e svalutatain un’area della banalità (la televisione, la sigaretta, l’alcol,l’azzardo, il rischio, la dipendenza di coppia, ecc.), oppurecollocata in un’area del dominio del morboso e del devian-te, cioè un’area estrema, patologica, lontana, di esclusivacompetenza del medico». Così facendo si tende a limitarealla sfera clinica, e quindi a circoscrivere, un fenomenoche coinvolge elementi psico-sociali che riguardano tutti.Una dipendenza, soprattutto una dipendenza senza as-sunzioni, non può essere autodiagnosticata dal malatocome una semplice influenza; allo stesso modo, non puòessere trattata con pastiglie e antibiotici.

Non esistono limiti assoluti che distinguano la passio-ne innocente dalla malattia, però esistono sintomi rico-

DIPENDENZE IMPALPABILITRA BANALITÀ E DEVIANZA

Non ci sono agenti esterniche modificano le percezionio la chimica del soggetto. Ma molteattività quotidiane, socialmenteapprovate, possono indurredipendenza. Ne derivano patologiepericolose. Perché sottovalutate...

PASSIONICOMPULSIVE

Gioco d’azzardoe dipendenza

dai mezzi dicomunicazione:

abitudiniquotidiane

possonotrasformarsi

in gravi patologie

di Alessandro Mauri

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di contrastarle, ma anzi le rafforza, spingendo in tentazio-ne soggetti apparentemente sani. Entrare nel tunnel diqueste dipendenze è fin troppo facile; difficile, invece, èuscirne (ma non impossibile, dato il numero di casi risol-ti positivamente). Ciò accade perché smettere di tenerecerti comportamenti non garantisce affatto, paradossal-mente, un riscontro positivo in termini sociali: si pensi allavoratore patologico che, d’un tratto, dichiara di non vo-ler più fare straordinari, o al cyberdipendente che all’im-provviso scompare dalla rete. Separarsi dalla propriamanìa significa anche perdere un mondo di relazioni econvinzioni, creando un vuoto interiore che è necessarioriempire. Il compito del terapeuta, in questo senso, è riav-vicinare l’individuo alla complessità della società norma-le, vissuta non più attraverso il filtro dell’esasperazione diuna sola pratica. Una società ricca di paradossi, forse, macapace di ricreare solide relazioni umane.

noscibili che possono met-tere in guardia gli eventualisoggetti critici o i loro fami-liari. «In generale - riassumeCroce, riferendosi al suostudio - abbiamo adottatouna serie di indicatori fun-zionali, che pure sono tuttora oggetto di studioe non fanno parte nell’ortodossia medica. So-no i criteri di Goodman: in sintesi, se per il sog-getto diventa impossibile resistere all’impulsodi mettere in pratica un determinato compor-tamento, che anzi ripete più volte e più a lungodi quanto intendesse fare, e se la reiterazione ditale comportamento lo costringe a sacrificarele attività sociali, professionali o ricreative, allo-ra si può parlare di pericolosa dipendenza».

Smettere è difficileOgni tipologia patologica, però, possiede leproprie peculiarità: lo shopping compulsivo,ad esempio, si collega al problematico rappor-to con il denaro, ma anche al valore simbolicodell’oggetto acquistato e all’atto stesso di com-prare; la dipendenza da sport o esercizio fisicoè invece legata a una cultura perversa della sa-lute e del fitness; il lavoro patologico si tradu-ce in iperattività, tensione e negligenza nellavita familiare.

Scontrarsi con queste patologie non è facile:anzitutto, sono ancora pochi i casi in cui un pa-ziente o un suo familiare riconoscono la presenza di undisturbo e scelgono di affrontarlo prima che sopraggiun-gano situazioni limite. In secondo luogo, soprattutto nelcaso di dipendenze particolari, come il gioco d’azzardo, lacura si scontra con un imponente sistema commerciale,propagandistico e culturale: «Giocare d’azzardo è uncomportamento diffuso, tollerato e socialmente incenti-vato. La maggior parte delle persone partecipa a forme digioco d’azzardo; è esperienza o consuetudine di molticompilare la schedina, acquistare un biglietto di una lot-teria, giocare al lotto».

Più ancora delle tossicodipendenze, le dipendenzesenza sostanza sembrano dunque essere un prodotto in-desiderato della società di cui siamo parte: il sistema di va-lori cui normalmente si fa riferimento nei momenti di cri-si o disagio, riflesso nello specchio deformante di unamente non perfettamente lucida, non solo non permette

Lodi informa grazie alle mail:«Grande attenzione all’azzardo»

Dipendenze senza sostanza: ne ha parlato in più di un’occasione la newsletter prodotta dalla Caritasdiocesana di Lodi, che raggiunge tremila contatti. «Il nostro obiettivo - spiega un operatore - è sensibilizzare il maggior numero di persone possibile a problemi concreti,parlandone con un linguaggio quotidiano comprensibile a tutti. Inizialmente ci limitavamo a comunicazioni interne,ma adesso abbiamo alzato il tiro. Proviamo semplicementea fare informazione su temi delicati».

Da luglio 2003, ogni mese il server della Caritaslodigiana invia una mail che mette a fuoco possibili aree di disagio. Finora, ben 43 lettere elettroniche trattavanopiù o meno direttamente di problemi legati alledipendenze. La scelta di parlare di questi temi è stataarbitraria, non nasceva da testimonianze o esperienzeparticolari. «Non avevamo idea di quale impatto potesseavere parlare di queste cose. All’inizio, non avevamonotizia di pazienti in cura specialistica o di familiaripreoccupati - spiega l’operatore -. Adottiamo, però, un semplice sistema di valutazione, che ci permette di testare il gradimento della popolazione raggiunta dalla nostra newsletter: all’inizio di ogni mail chiediamo a chi la leggerà di risponderci con un ok se l’argomentoaffrontato gli interessa, o viceversa con un ko. Le prime comunicazioni legate all’azzardo patologicohanno ricevuto grande attenzione, quindi ci siamoconcentrati maggiormente su quel filone».

La realtà delle dipendenze, quindi, non riguarda solo i grandi agglomerati urbani, anzi: è proprio nei centri piùpiccoli che la solitudine e l’isolamento sfociano facilmentein manie compulsive. Un centro relativamente piccolocome Lodi, che conta 50 mila abitanti, è comunquebombardato dalle stesse pressioni mediatiche e pubblici-tarie, e offre le stesse occasioni di gioco o tentazionepresenti in città metropolitane come Milano o Roma. «È il modello culturale imperante - dicono alla Caritasdiocesana - a mettere a rischio tutte le persone,soprattutto quelle meno preparate e meno istruite. Il fenomeno è decisamente trasversale alle fasce direddito, alla scolarizzazione e sicuramente alla posizionegeografica». Per iscriversi alla mailing list di Lodi èsufficiente collegarsi al sito www.diocesi.lodi.it/ultimi.Allo stesso indirizzo sono disponibili tutte le mail inviate.

Udine: tentazioni oltre confine,ora c’è un centro terapeutico

Azzardo oltre confine. Tentazione per l’intero Triveneto: a pochichilometri dalla frontiera, in territorio sloveno o croato, casinò e case da gioco sono meta, ogni settimana, di centinaia di turisti italiani, frontalieri del tavolo verde in cerca di emozionie soldi facili. «È stata una moda - sostiene don Luigi Gloazzo,direttore della Caritas diocesana di Udine -. Ma fortunatamentenon ha lasciato grandi segni né alimentato grandi disagi,soprattutto grazie a una salute sociale diffusa nel territorio».La provincia di Udine, comunque, ed esattamente il comune di Campoformido, sono diventati negli ultimi anni punto di riferimento nazionale per la ricerca contro la dipendenza da gioco, grazie agli studi del dottor Rolando De Luca. «Ho cominciato nel 1995 - spiega lo psicologo, che ha aperto,con l’appoggio dell’amministrazione locale, un centro diterapia, con il quale sono in contatto le Caritas del Triveneto -a interessarmi alle esigenze terapeutiche dei giocatori e deiloro familiari. A dire la verità, ci ho messo due anni a trovare i primi pazienti…». Il problema non affiorava. «Ma accogliere il primo caso è stato come scoperchiare il vaso di Pandora:oggi seguo nove gruppi di terapia, circa cento famiglie».Il fenomeno esiste, insomma, ma tende a restare sommerso.Perché i problemi divengano visibili e sia possibile prendernecoscienza, il dottor De Luca ha recentemente fondato, conalcuni pazienti recuperati, l’Associazione degli ex giocatori e delle loro famiglie, e collabora al sito www.sosazzardo.it.Inoltre, ogni anno, organizza in dicembre, a Campoformido, un meeting che raccoglie adesioni da tutta Italia. «Conoscere il problema, però, non basta: bisogna intervenire. Negli ultimianni offerta e pubblicità del gioco d’azzardo sono cresciutedrammaticamente. È chiaro che esistono forti interessi daparte dello stato e delle industrie che producono slot machinee affini perché il mercato continui a crescere: le scommessesono considerate una fonte pulita di guadagni e le macchinetteda bar sono progettate per essere sempre più appetibili,promettendo grandi vincite con il minimo sforzo. La tentazioneè troppo forte». Fortunatamente, insieme all’offerta si sviluppaanche la terapia per uscire dal tunnel del gioco compulsivo:«Le tecniche di cura sono sempre più efficaci - rassicura De Luca -, ma è sempre più difficile vincere il gioco, piuttostoche vincere al gioco. Servirebbe una legislazione che limiti le possibilità di azzardo, o almeno riduca la pubblicità. Però si sa: ciò intaccherebbe una delle principali fonti direndita per lo stato, superiore persino a quella dei tabacchi...».

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rapporto esclusionenazionale

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statistiche e povertà

nuovi poveri sono una realtà sociale in forteincremento, perché non ci si cura abbastanzadei vecchi poveri». Ne è convinto monsignorVittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, e l’haribadito pubblicamente in occasione del 17ottobre, Giornata mondiale per la lotta contro lapovertà. «A livello mondiale - ha dichiarato

ancora Nozza -, nonostante si registri una forbicecrescente tra ricchi e poveri, si allarga il divario tra il pocoche si destina alla cooperazione e ciò che si stanzia perspese militari». Servono quindi interventi destinati adaffrontare situazioni di crisi o sottosviluppo e a sostenereprogetti di pace, dialogo interreligioso, promozione dimetodi nonviolenti. Serve un impegno crescente sullostudio dei motivi strutturali e culturali che stanno allabase dell’impoverimento del Sud del mondo.

E all’interno del panorama nazionale, come si presen-ta la situazione? «Anche in Italia - ha sostenuto il diretto-re Caritas - occorre potenziare gli strumenti di lotta allapovertà. Bisogna definire livelli essenziali di interventosociale, per costruire una rete protettiva universale cheaiuti gli ultimi a rientrare in campo e impedisca ad altrisoggetti di cadere nella spirale dell’impoverimento».

Pensionati tra gli italianiOggi in Italia i poveri si registrano più frequentemente trale categorie dei disoccupati, degli emarginati, dei migran-ti, degli analfabeti. Ma si contano anche tra diplomati, fa-miglie monoreddito con più figli, pensionati. I poveri so-no sempre più tra i giovani e le donne, soprattutto tra gliimmigrati. Questo identikit si ricava dal progetto “Retenazionale dei centri di ascolto e degli osservatori delle po-

vertà e delle risorse”, nato per rilevare in modo sistemati-co situazioni di povertà ed esclusione sociale delle perso-ne che si rivolgono ai servizi collegati alle 222 Caritas dio-cesane italiane. Centri di ascolto e osservatori delle po-vertà e delle risorse si stanno infatti dotando di uno stru-mento comune per analizzare i bisogni sociali emergentie le risposte della comunità ecclesiale.

Viene così sistematizzato un patrimonio prezioso diincontri, storie ed esperienze, che può aiutare a com-prendere meglio il panorama sociale del nostro paese (isoggetti aderenti alla rete coprono più dell’80% del ter-ritorio nazionale). Il progetto sta avanzando nella suafase sperimentale e proprio per il 17 ottobre sono statiresi noti i risultati della terza fase di raccolta dei dati. Ilmonitoraggio relativo al trimestre gennaio-marzo 2004ha riguardato 14 diocesi del nord Italia, 30 del centro e28 del sud. Sono stati elaborati i dati delle 11.696 perso-ne che si sono rivolte ai centri di ascolto delle 72 diocesiin questione. L’80% di costoro ha tra i 20 e i 60 anni (granparte sono tra i 30 e i 40 anni); il 54% è costituito da don-ne. Sono numerosi celibi e nubili (33%), ma è più consi-stente la quota di coniugati (46,5%). Più del 15% sonosenza fissa dimora, il 51,3% vive con familiari, il 27,2%con conoscenti, il 21,5% vive solo. Il 62,6% degli utentidei centri d’ascolto non sono italiani; di essi, circa il 40%è senza permesso di soggiorno, indice del riproporsi intermini significativi del fenomeno degli immigrati irre-golari, nonostante l’ultima grande regolarizzazione del2002. Significative poi sono le differenze registrate traitaliani e stranieri: i migranti che ricorrono ai centri diascolto sono più giovani (più del 90% ha tra 20 e 55 an-ni), in prevalenza donne (55,7%), in maggioranza coniu-gati (53,6%) e con un titolo di studio medio-alto. I trequarti sono disoccupati, rispetto al 58% dei cittadini ita-liani che si rivolgono ai centri d’ascolto. Significativa tragli italiani è invece la presenza di pensionati: circa il13%, cioè uno su otto.

Situazioni di difficoltà e disagio legate al reddito, al la-voro e all’alloggio (spesso tra loro interconnesse) rappre-sentano i tre quarti delle povertà dichiarate da chi si è ri-volto ai centri d’ascolto. Circa l’8% degli utenti ha inveceevidenziato difficoltà derivanti da problemi familiari, so-prattutto separazioni e conflitti tra genitori e figli.

A fronte delle rilevazioni, i centri Caritas continuano aoffrire un ascolto attento, sostegno economico e alimen-tare, ma anche animazione promozionale, cioè coinvol-gimento della comunità, e segretariato sociale, cioèorientamento ai servizi dei territorio.

POVERI VECCHI E NUOVISOTTO LA LENTE DELLA RETE

Dati riferiti a 11.696 persone Font

e: Is

tat

2004

9.0008.0007.0006.0005.0004.0003.0002.0001.000

0

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liVitto

L’Istat misura l’indigenza«Nel 2003 è rimasta stabile»

L’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato a ottobre i risultati della sua rilevazione annuale sulla povertà in Italia.Secondo i dati Istat, nel 2003 le famiglie che vivevano in condizione di povertà relativa erano 2.360.000, il 10,6% delle famiglie residenti, per un totale di 6.786.000 individui,l’11,8% della popolazione. La soglia convenzionale di povertàrelativa per una famiglia di due componenti risultava nel 2003di 869,50 euro, il 5,6% in più rispetto alla soglia del 2002: le famiglie di due persone che hanno sostenuto una spesamedia mensile pari o inferiore a tale soglia sono classificatecome povere; per famiglie di diversa ampiezza il valore dellalinea di povertà si ottiene applicando una scala di equivalenzache tiene conto delle economie di scala realizzabiliall’aumentare del numero di componenti. La soglia di povertàrelativa è calcolata dall’Istat sulla base della spesa familiarerilevata tramite l’indagine annuale sui consumi, condotta suun campione di circa 28 mila famiglie. Lo stesso Istat avverteche esiste un margine di errore campionario, determinatodall’osservazione di una sola parte della popolazione. La diminuzione della povertà relativa registrata tra il 2002 e il 2003 (dall’11% al 10,6%) secondo l’Istat “non è pertantostatisticamente significativa”. Anzi, “la povertà relativa si mantiene stabile rispetto all’anno precedente sia a livellonazionale sia nelle tre aree geografiche. Resta inoltreinalterato il profilo della povertà, che continua a riguardare,seppure con livelli diversi, soprattutto il Mezzogiorno, le famiglie numerose e gli anziani”.L’Istat non ha invece pubblicato quest’anno il dato relativoalla povertà assoluta, definita non in base alla media dei consumi, ma al valore monetario di un paniere di beni e servizi essenziali. L’Istat ha costituito una commissione di studio per verificare e revisionare il paniere, per garantirne“il carattere di minimalità, aggiornandone la composizione”.

«I

30%25%20%15%10%5%0%

1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

nord

centro italia

mezzogiornoPovertà relativa per area geografica

Rete nazionale centri d’ascolto e osservatori delle povertà e delle risorseDISTRIBUZIONE DI RICHIESTE E INTERVENTI (GENNAIO-MARZO 2004)

Terza fase del progetto che elabora dati provenienti da strutture Caritas.12 mila persone ai centri d’ascolto di 72 diocesi: in aumento gli irregolaria cura dell’Ufficio comunicazione

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dall’altro mondo

di Franco Pittau redazione Dossier statistico immigrazione

È L’ORA DELL’INTEGRAZIONE,MISURIAMOLA CON IL TERMOMETRO

rale dell’Italia e a misurare con con-cretezza, nei diversi contesti territo-riali, il livello dell’integrazione. A que-sto riguardo, il Dossier propone unasorta di “termometro dell’integrazio-ne”, elaborato dal Cnel con il suppor-to dell’équipe del Dossier stesso.

Per definire nei tratti generali lasituazione migratoria nel 2004, puòvalere lo slogan coniato da Caritas eMigrantes: “Società aperta, societàdinamica e sicura”. Chi parla di unmondo a chiusura ermetica e diun’immigrazione a carattere tempo-raneo, parla di un mondo che nonesiste, alieno ai caratteri della fasestorica in atto (e, a maggior ragione,di quelle future): l’Italia ha bisognodi immigrati, come i paesi di originedegli immigrati hanno bisogno dinoi e degli altri paesi ricchi.

Secondo Caritas e Migrantes,“l’immigrazione va presentata co-me un’opportunità per rimediare adalcune carenze del passato, affron-

tare meglio il presente e programmare con maggiore fi-ducia il futuro”. Invece, a mancare è spesso l’atteggia-mento di incontro e di valorizzazione dell’altro; come sirileva da svariate indagini, i “nuovi cittadini” si sentonoinquadrati come persone nel sistema produttivo, mascarsamente apprezzati nel quadro della vita civile.

La politica migratoria va infine inquadrata anche inun’ottica europea, fatta non solo di controlli ma anche dieffettiva collaborazione con i paesi di partenza e di politi-che d’inserimento più efficaci. Altrimenti il nostro conti-nente diventerà più mediocre, più povero, più debole, piùvecchio. Lo ha detto il segretario generale dell’Onu, KofiAnnan, parlando all’inizio dell’anno al parlamento euro-peo. Lo sostiene la Chiesa da sempre. E lo ribadisce, con ilsupporto dei dati, il Dossier 2004.

Il “Dossier statistico immigrazione” promosso da Caritas eFondazione Migrantes raccoglie, ormai da 14 anni, i dati di-sponibili nel panorama italiano, sottolineando gli aspetti in-

novativi più rilevanti del fenomeno. L’edizione 2004 del rapporto,presentata a fine ottobre in contemporanea in dodici città, ha unaconsistenza notevole (512 pagine, 60 capitoli, 80 autori, centinaiadi tabelle) e una tempestività che non teme confronti in Italia,grazie al supporto del comitato scientifico che ne cura la stesura,costituito da esperti provenienti dall’impegno pastorale.

Il Dossier presenta dati aggiornatiall’inizio del 2004, non di rado addi-rittura a luglio, nella convinzione cheè necessario basarsi su statistiche“fresche” per riuscire a capire quelloche capiterà domani. Partire dai datisignifica far piazza pulita dei pregiu-dizi e mettersi nella posizione miglio-re per individuare le linee prevalentidel fenomeno migratorio. Si scoprecosì che l’immigrazione, triplicata trai censimenti del 1991 e del 2001, è ar-rivata a un ulteriore raddoppio nel2004: in Italia sono oggi 2.600.000 lepresenze regolari di stranieri.

Società aperta, società sicuraLe persone soggiornanti registrate dal ministero dell’inter-no arrestano il conteggio a quota 2.193.999: se però a que-ste si aggiungono i minori (ormai 400 mila) e una quota dipermessi in ritardo nella registrazione, viene superata lasoglia dei due milioni e mezzo. Ma non è solo il numero afare impressione. Dall’edizione 2004 del Dossier si evinco-no, tra gli immigrati in Italia, una netta prevalenza di per-sone sposate, il fatto che un sesto delle presenze è costitui-to da minori, l’elevato numero annuale di ricongiungi-menti familiari, l’assoluto predominio dei motivi di sog-giorno stabile. Emergono, in definitiva, aspetti che indur-rebbero a riservare grande attenzione al futuro intercultu-

nazionale

Presentato il 14° Dossierstatistico immigrazione,

promosso da Caritas e Fondazione Migrantes.In Italia circa 2.600.000

gli stranieri regolari.Bisogna renderli parte

del tessuto civile.Per non impoverire

il nostro futuro

L’ultimo scaglione. L’ultima volta dei giovani “obbligati”: a prestareservizio alla patria come militari, oppure facendo obiezione all’usodelle armi e dedicandosi al servizio civile. In ogni caso, una datastorica, quella di inizio dicembre: dopo decenni, i giovani italiani cheintendono manifestare la propria adesione a una cultura di pace,nonviolenza e servizio potranno farlo come volontari. Aderendo allaproposta - già frequentata a partire dal 2001 dalle ragazze e dai

riformati alla visita di leva - rappresentata dal nuovo Servizio civile volontario.Il primo triennio del nuovo sistema è analizzato nel rapporto presentato a fine set-

tembre dalla Conferenza nazionale degli enti per il servizio civile (Cnesc). Nel 2003 i14 enti che compongono la Cnesc (meno del 2% del numero totale degli enti, tra loro

economicamente vantaggioso per la collettività, forte-mente richiesto dai giovani e su cui gli enti membri dellaCnesc stanno investendo in modo significativo. Occorreperò non dimenticare che il valore del servizio civile vo-lontario va decisamente oltre le cifre evidenziate: per suanatura, infatti, ha dimensioni di non facile quantificazio-ne. Rilevante, in particolare, è il suo valore educativo per igiovani, e di riflesso l’impatto di tale valore sulle comunitàcon cui essi entrano in relazione. Inoltre il servizio civileoffre un valore aggiunto in termini qualitativi ai servizi of-ferti dagli enti: valore difficilmente misurabile proprio perla natura sussidiaria di tale esperienza.

La fecondità del servizio civile va dunque ben oltrel’impatto economico scientificamente descritto nelrapporto. E il trend in crescita delle richieste di serviziocivile volontario, dal 2002 a oggi, mentre le domande diobiezione di coscienza erano in calo, lascia immagina-re una radicale amplificazione delle domande a partiredal 2005, quando il servizio civile sarà possibile ancheper i ragazzi. L’effetto benefico di tale esperienza sullasocietà italiana è destinato dunque a crescere. Non mi-surabile solo in soldoni.

c’è Caritas Italiana) hanno presentato il 56% dei proget-ti di servizio civile (1.223 su 2.180) e hanno impiegato il44% del totale dei volontari (12.393 su 28.315). Semprenel 2003, erano stati 18.380 i giovani, per la gran parteragazze, che avevano chiesto di svolgere il servizio inuno degli enti Cnesc.

I dati confermano dunque che si è riscontrata unadomanda abbondantemente superiore all’offerta. Sistimano in 100 mila gli utenti diretti dei servizi offertidai volontari, i quali sono impegnati principalmentenel campo dell’assistenza, ma anche nella promozioneculturale, nel reinserimento sociale e nel’educazione.

Rilevante valore educativoIl rapporto tenta anche una valutazione dell’impattoeconomico complessivo del servizio civile sul territorioe sugli enti presso i quali si svolge, nonché del rendi-mento dell’investimento pubblico e della Cnesc. La sti-ma del valore economico dei servizi erogati nel 2003 daivolontari in servizio civile presso gli enti Cnesc è di 150milioni di euro circa: per mantenere in servizio taliobiettori lo stato ha sostenuto costi per 130-135 milionidi euro e gli enti per 10 milioni di euro. L’“utile netto”ammonterebbe quindi a circa 5-10 milioni di euro.

Dal rapporto emerge l’immagine di un servizio civile

VOLONTARI OLTRE LA LEVA,IL VALORE DI UN SERVIZIOIl nuovo servizio civile analizzato dalla Conferenza nazionale. Nel 2003 haprodotto utile per 10 milioni di euro. Ma la sua importanza va ben oltre…

di Fabrizio Cavalletti

nazionalegiovani

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contrappunto

Il ripetersi dell’istanza del “luogo”rinvia insomma a un esame coraledella vita di comunione nelle comu-nità cristiane, in modo che queste af-frontino i nodi dell’esistenza e del de-stino delle persone e del creato senzapreventivamente calcolare - è la veradifficoltà - l’impatto di quel che si di-ce o si fa sulla realtà socio-politica esugli equilibri che vi regnano.

Ma cominciare la scalata dal ver-sante della profezia comporta rischinon calcolabili in anticipo. Lungo iltragitto è necessario liberarsi dai resi-dui rimpianti del possesso di unamaggioranza sociologica, accettandola condizione di minoranza non co-me una condanna, ma come un ta-lento da trafficare.

Ignorato a Lecce e solo sfiorato aBologna, il tema andrà ripreso in vistadel Convegno ecclesiale di Verona(2006). Inquadrare il problema dellademocrazia in un contesto di comu-nione comporta infatti conseguenzeimportanti. E una consapevolezza: al-l’indagine continua per il consegui-

mento del massimo bene umano possibile corrispondeuno stato altrettanto permanente di “non appagamento”.L’espressione è di Aldo Moro, giustamente evocata a Bolo-gna dal vescovo Chiarinelli. Ed è il presupposto dell’auto-nomia laica delle scelte politiche, che si accompagna sem-pre, nel cristiano, alla responsabilità aggiuntiva di chi si im-pegna per il meglio anche quando la mediazione praticanon consente di ottenerlo. È così che nel labirinto della po-litica permane l’inquietudine del cuore, l’assillo di una co-scienza alla quale non è dato di ristagnare nel circuito delcompromesso, anche quando di necessità lo accetta. Fuo-ri da questa traccia non si sfugge all’agguato dell’integri-smo. O all’abbraccio venale del potere di turno.

Voto iniziale della Settimana sociale 2004: «Abbiamo bisognodi un luogo creato da tutte le forze associate del laicato catto-lico italiano, dove sia possibile offrire un’alta formazione a chi

intende impegnarsi nella costruzione di una polis nella quale l’ordi-ne delle cose è subordinato all’ordine delle persone» (dal saluto del-l’arcivescovo di Bologna, Carlo Caffarra). Voto finale del Convegnoecclesiale “Evangelizzazione e promozione umana”, Roma 1976: «Èurgente offrire alla nostra comunità ecclesiale un luogo di incontro,di dialogo, di analisi e di iniziativa che da un lato traduca nei fatti ilnesso inscindibile tra evangelizzazione e promozione umana (…)

e dall’altro superi in radice l’impossi-bile divisione tra chiesa istituzionalee chiesa reale» (dalla relazione finaledi padre Bartolomeo Sorge).

Proposte evidentemente diverse,distanti tra di loro non solo per il tem-po ma anche per le finalità: la primacentrata su un obiettivo di omoge-neità formativa, l’altra rivolta ad atti-vare (e regolare) il dinamismo dellechiese locali in una stagione di effer-vescenza; l’una orientata alla didatti-ca, l’altra alla creatività. Accomunateperò da un applauso-ponte, che mar-ca un’istanza reale, se non una cerchia di bisogni insoddi-sfatti. Ma una tale domanda di luoghi specifici non è an-che il sintomo di un deficit di attrazione dell’unico veroluogo in cui i cristiani sono convocati, per contemplare lacittà di Dio e per concorrere a costruire la città dell’uomo?

Lo stato di non appagamentoDall’esplorazione socio-politica, tipica delle Settimanesociali, la domanda ricade sulla vita delle comunità cri-stiane. È nella saldatura tra ascolto della parola, eserciziodei sacramenti e testimonianza della carità che una co-munità cristiana autentica si realizza compiutamente e siespone come riferimento profetico per tutti.

IL TRAGITTO DEI CATTOLICIIN CERCA DI UN LUOGO COMUNEdi Domenico Rosati

Un appello, alla finedella Settimana sociale

svoltasi in ottobre a Bologna: echi simili

a quelli di un Convegnoecclesiale di quasi

trent’anni fa. Eppure i tempi cambiano:

oggi urge riflettere sulrapporto tra democrazia

e comunione

panoramacaritas

IMMIGRAZIONE

“I respingimentidestanoperplessità”

In occasione dei nuovisbarchi di stranieri avvenuti a inizio ottobre a Lampedusae sulle coste della Sicilia,Caritas Italiana ha ricordatoche “l’annoso dilemma tra soccorso in mare dellepersone e ingresso irregolarechiede un coinvolgimentoproporzionato tra le esigenzee le risorse impegnate. Non si può dimenticare che ogni persona in pericolodi vita è da salvare”. Anche in situazioni di gravipressioni create da sbarchicontinui, per Caritas Italiana“il principio di nonrespingimento chiede di essere rispettato. Tra l’altro, i tempi divalutazione dei respingimentisono talmente stretti da non consentire decisioniadeguate e ponderate”.Caritas Italiana ha inoltresollecitato “alla consuetaattenzione nei confronti deipotenziali richiedenti asilo tra le persone sbarcate”.Invitando “alla più seriaconsidera-zione affinchéeventuali richiedenti sianomessi in condizione di poterpresen-tare la domanda in tempi ragionevoli”. Caritas ha ribadito anche le sue perplessità sullaproposta dei Centri dipermanenza temporanea in Nordafrica. “C’è bisognoanzitutto - ha affermato il

direttore, monsignor VittorioNozza - di una politicaorganica dell’Europa, di un rilancio dellacooperazione e di unarealistica programmazione diflussi. Perché se spostiamola frontiera del respingimentoin stati che non si sono maidistinti per tutela dei dirittiumani, la situazione non può che peggiorare”.

RICORDO

Roberto e Antonio,il nostro graziecinque anni dopo

Il 12 novembre 1999 un aereo del ProgrammaAlimentare Mondiale (Pam),per cause non ancoracompletamente accertate, si schiantava sulla vetta delMonte Piceli, a nord-ovest di Pristina, in Kosovo.L'aereo aveva a bordo 24persone, tutte appartenenti a organizzazioni umanitarie:nessun superstite. Unatragedia che dopo cinqueanni lascia ancora sgomenti;a bordo di quell'aereoc'erano anche AntonioSircana e Roberto Bazzoni,due volontari che per conto e in nome della delegazioneregionale Caritas Sardegna si stavano recando in Kosovoper realizzare progetti a favore di bambini disabili.Caritas Italiana invita tutti a unirsi in preghiera con lefamiglie di Antonio e Roberto,le Caritas diocesane dellaSardegna e gli amici tutti, per ricordare i due volontari.

DARFUR

Situazioneumanitariainsostenibile

Nel Darfur, regione occiden-tale del Sudan, la situazioneumanitaria continuerà a essere insostenibile, se la comunità internazionalee i singoli governi occidentalinon si assumeranno le lororesponsabilità. Lo hannodenunciato a settembre la rete internazionale Caritase le ong Oxfam e Care.L’ultima risoluzione delleNazioni Unite - che minacciasanzioni nei confronti delgoverno del Sudan, accusatodi sostenere le milizie arabeche, combattendo i movimenti ribelli del Darfur,seminano violenze e mortetra i civili - ha aperto timidispiragli di speranza. Maintanto gli sfollati continuanoa morire (l’Oms denuncia damarzo una media di 10 milamorti al mese) e a soffriresenza prospettive concrete dirientro ai villaggi. L’interventodi emergenza Caritas - in collaborazione con Actionby Churches Together,network delle chieseortodossa e protestante -prevede un impegno di 14milioni di euro a vantaggio di 500 mila persone e si staconcentrando nei campiprofughi di tre aree

geografiche (Zelingi, Ta’ashae Kubum) con interventi neisettori sanitario, dell’igiene,della fornitura di aiutialimentari e non alimentari.La rete diocesana Caritassostiene poi la Caritasdiocesana di N’djamena(Ciad), cui è affidata lagestione di tre campi cheaccolgono profughi del Darfurnel paese confinante.

OSSEZIA

Per le vittime di Beslan: dueaste su eBay.it

Nell’ultima decade di ottobreper una settimana eBay.it, la “filiale” italiana della più importante comunità di compravendita on line delmondo, ha ospitato due astedi beneficenza i cui proventisaranno devoluti a CaritasItaliana, per finanziare i progetti in fase di lancio perbambini e famiglie coinvoltinegli eventi della scuola diBeslan, in Ossezia. La primaasta è stata sostenuta dai direttori generali dei sitieuropei eBay, che hannodonato a Caritas oggetti di loro proprietà ed esclusivioggetti da collezione. Laseconda è stata un’iniziativatutta italiana: asta beneficacon oggetti o cimeli, acquista-bili a partire da 1 euro, per fare la propria offerta e contribuire al sostegno di quanti sono stati coinvoltinella tragedia dell’Ossezia.

nazionale

progetti > accesso all’acquainternazionale

Razionata, commerciata, a volte temuta.Negata a un miliardo e mezzo di persone.Ma resta fonte di vita, diritto dell’umanità, bene da condividere, rivedendo comportamenti e modalità di relazione. Per garantire l’accessoall’acqua potabile, Caritas Italiana promuove piccoli, ma significativi interventi in molte zonedel Sud del mondo. Microprogetti per garantirela linfa di ogni vita, individuale e comunitaria.

a cura dell’Area internazionale

[ ]PER LEMODALITÀ

DELLEOFFERTE,SI VEDA

A PAGINA 7

Una sorgente per quattro comunitàAnche dove le acque sono fornite abbondantemente dai terreni, è necessario convogliarle in modoopportuno perché siano fruibili. Nella zona di Jaguarari è stato lanciato un programma di canalizzazionedell’acqua dalla sorgente esistente e di distribuzione alle quattro comunità di Varzinha, Lagoinha, Brito e Poço Cumprido. Beneficiarie dirette saranno 180 famiglie appartenenti alle quattro comunità; i costi del programma serviranno a garantire la fornitura di cento tubi galvanizzati di 6 metri di lunghezza e 75 millimetri di diametro, oltre ai raccordi di congiunzione. Le comunità locali contribuiranno alla realizzazione del programma mettendo a disposizione una cisterna con capacità di 50 mila litri e hanno già collocato i tubi di plastica che collegheranno la cisterna con le varie comunità. La missionelocale metterà a disposizione i propri mezzi di trasporto e collaborerà alla supervisione del progetto.

> Beneficiari 180 famiglie > Costo 5.890 euro > Causale MP 203/04

Bacini di raccolta per migliorare le risaieL’acqua, bene comune. E anche preziosa risorsa produttiva, oltre checondizione di vita. A partire da queste consapevolezze, è stato lanciato un importante programma di costruzione di 50 bacini comunitari di raccoltadell’acqua per altrettanti gruppi di persone, tra le più povere, appartenenti al villaggio di Ngu-Dong, nel territorio della parrocchia di Tin Giang. Beneficiarie dirette saranno 200 famiglie (circa duemila persone) dedite alla coltivazione del riso. Le risaie della zona sono attualmente pocoproduttive a causa dell’acqua salmastra: la realizzazione dei bacini mira a equilibrarne il tasso di salinità. Il contributo locale è rappresentato dalla manodopera (non specializzata) per la costruzione dei bacini.

> Beneficiari 200 famiglie, circa 2.000 persone> Costo 5.500 euro> Causale MP 232/04

Pantein non vuole piùattingere al torrenteL’acqua è talmente indispensabile che chi non riesce ad averla facilmente e pulita siarrangia comunque come può. La popolazionedel villaggio di Pantein (parrocchia di Mese) deve per esempio attingere direttamente a piccoli torrenti, nei quali si abbeverano anche gli animali, con conseguenze disastroseper la salute dei membri della comunità. È statodunque varato un programma di reperimento di acqua per il villaggio, che prevede la costruzione di una cisterna per la raccoltadell’acqua; la cisterna sarebbe collegata alla sorgente da tubature. Beneficiarie direttedel progetto saranno 65 famiglie (359 persone)per lo più immigrate da altri villaggi.

> Beneficiari 65 famiglie, ovvero 360 persone> Costo 6.000 euro> Causale MP 226/04

Le donne di Kagugo pensano alla cisternaNon sempre nel cuore dell’Africa è facile individuare falde e pozzi che possano garantire acqua ai villaggi. E poi attrezzare condutture in gradodi servire le comunità. Il Centro sociale educativo e il gruppo di donnecattoliche di Kagugo ha promosso un programma di reperimento di acquache prevede l’utilizzo di una tecnica alternativa: si tratta di costruire una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana e installare tubature di connessione alle abitazioni. Beneficiari diretti saranno 300 abitanti del villaggio. Il contributo della popolazione per la realizzazione

del microprogetto è stato fissato in una quota equivalente a mille euro. La Caritasdiocesana di Mbarara seguirà il progetto e fornirà il personale tecnico necessario.

> Beneficiari 300 persone > Costo 3.510 euro > Causale MP 191/04

Una condotta idrica rinnovata per AzatÈ stato avviato un programma di ristrutturazione del sistema idrico che serve il villaggio di Azat, grazieal ripristino di 1.650 metri di tubature già esistenti,ma fuori uso dal 1966. Beneficiarie dirette saranno63 famiglie, circa 180 persone, che provengono da una delle zone più colpite dalla mancanza d’acquae che è situata in un’area montagnosa, ai confinicon l’Azerbaigian. Il contributo della comunità localeè costituito dalla manodopera, che garantirà lacopertura del 21% del costo del programma.

> Beneficiari 63 famiglie per circa 180 persone> Costo 5.000 euro> Causale MP 154/04

I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 4 2524 I TA L I A C A R I TA S | N O V E M B R E 2 0 0 4

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di un territorio grande il doppio dell’Italia, solcato da va-ste catene montuose che lo attraversano da est a ovest eda poche centinaia di chilometri di strade pavimentate.In queste condizioni le comunicazioni con le comunitàpiù remote sono difficili e ogni progetto di ricostruzioneaffronta grandi difficoltà logistiche. Gli sforzi per rag-giungere le comunità delle province dell’est e sud-est so-no ulteriormente complicati dall’attività degli “insor-genti”: talibani e gruppi di ex mujiahidin (combattentiislamici), che hanno sin qui ripetutamente attaccato leagenzie delle Nazioni Unite (e addirittura rapito tre fun-zionari a fine ottobre) e le ong internazionali e locali.

Anche l’opera delle organizzazioni di assistenza uma-nitaria, nel più ampio quadro della ricostruzione, è accu-sata dalla propaganda dei talebani e di Al Qaeda di esse-re al servizio della politica americana. Cooperanti e vo-lontari, di conseguenza, sono considerati un bersaglio diazioni militari. Gli “insorgenti” hanno tutto l’interesse aostacolare i lavori di ricostruzione del paese, per potere

poi sostenere al cospetto del-la popolazione il fallimentodegli stranieri e del loro go-verno fantoccio a Kabul. Magli attacchi alla comunità de-gli aiuti hanno anche un’altracausa: dipendono dalla pro-

gressiva erosione di uno “spazio umanitario” neutrale, acui hanno contribuito anche la pratica e la retorica delleforze miliari presenti in Afghanistan. Le truppe della coa-lizione a guida americana hanno un mandato di guerra aitalebani: quando presentano le loro attività di ricostru-zione e assistenza come “umanitarie” creano una perico-losa ambiguità. Lo stesso discorso, in modo più sfumato,vale per le truppe dell’Isaf sotto comando Nato, che han-no un mandato sostanzialmente di peacekeeping (man-tenimento della pace). Si sono verificati casi, documenta-ti alla frontiera con il Pakistan, in cui l’aiuto umanitario èstato condizionato alla collaborazione della popolazione,

frontata con i mezzi normali di polizia e intelligence, edalla sua rappresentazione da parte delle forze dellacoalizione Usa.

I risultati del conteggio elettorale sono arrivati a fineottobre. Dopo aver svolto nei fatti, per un biennio ab-bondante, il ruolo di proconsole Usa, Hamid Karzai haottenuto l’investitura popolare che cercava: è stato elet-to presidente della repubblica già al primo turno. Perl’ufficialità è stato necessario aspettare la convalida del-la commissione elettorale, chiamata a pronunciarsi su-gli episodi di sospetti brogli. Ma la sostanza è chiara:l’Afghanistan si è dato una dirigenza politica attraversol’esercizio del diritto di voto. Non è poco, in un paeseche negli ultimi venticinque anni aveva conosciuto sologuerre, colpi di stato, regimi dittatoriali.

Spazio umanitario neutralePerò l’Afghanistan resta un paese da riconciliare e rico-struire. A partire da un dato di fatto: le crude dimensioni

Èla sera di sabato 9 ottobre. A urne ancoracalde, piove sulle elezioni in Afghanistanuna denuncia di brogli da parte di ben 14candidati alla presidenza della repubblica.Molti operatori internazionali attivi nelpaese, però, hanno già stappato uno deisospiri di sollievo che si tengono in canti-

na per le occasioni di scampato pericolo.Nonostante le minacce di mettere a ferro e fuoco il

paese, lanciate dai gruppi di insorti contro il governoKarzai, gli Stati Uniti che lo sostengono militarmente ele Nazioni Unite, la giornata elettorale si è svolta in mo-do sostanzialmente pacifico. Le misure di sicurezza im-ponenti, preparate da mesi, hanno funzionato. Oppu-re, la forza e capacità organizzativa degli insorti sonostate sovrastimate. Così alcuni mezzi di informazioneafgani possono chiedere che ci si occupi dei problemireali del paese, senza lasciarsi dettare l’agenda dallaminaccia terrorista, che andrebbe ridimensionata e af-

LE ROVINE E LE SPERANZE, UN PAESE DA RIFONDARE

L’Afghanistan ha un nuovopresidente. Ma dietro la scommessa elettoralec’è la necessità diricostruire un tessutoistituzionale credibile.I compiti e le ambiguitàdell’impegno umanitario

afghanistaninternazionale

testi e foto di Mario Ragazzi

RITRATTI AFGANITerra di mescolanze:basta guardare in visouomini, donne e bambinidell’Afghanistan, percogliere la ricchezzae la complessità etnicache distingue il paese

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da cui si pretendevano informazioni sui movimenti degliinsorti, con le forze della coalizione.

In mezzo, a fare le spese di una violenza che non sao non vuole distinguere e secondo la quale tutti gli stra-nieri - civili o militari, organizzazioni umanitarie ocompagnie private di sicurezza - fanno parte del pianostatunitense per occupare l’Afghanistan e combatterel’islam, restano gli operatori umanitari: 24 uccisi nel2004, dopo i 15 del 2003. Quasi tutti afgani, perché nel-le zone più insicure del paese sono loro ad avventurar-si. E a prendersi i rischi del tendere la mano.

Una comunità senza statoCiò di cui oggi necessita l’Afghanistan non è però sol-tanto una ricostruzione infrastrutturale o umanitaria.C’è bisogno anche di una profonda rifondazione isti-tuzionale, dopo gli anni dell’oscurantismo dei taleba-ni, famosi nel mondo per la loro intolleranza. C’era, ineffetti, un’importante differenza di impianto politicotra i talebani e gli altri partiti pure islamisti (come il Ja-miat di Rabbani, con cui hanno fatto la guerra, o ilHizb-islami di Hekmatiar, con cui sono ancora preca-riamente alleati). I partiti islamisti, infatti, assumonole categorie del pensiero politico occidentale per ri-

gettarne certe conclusioni, tra cui l’autonomia del po-litico rispetto alla morale e alla religione. Però man-tengono la centralità del politico, e in particolare del-l’idea di stato. Loro obiettivo principale è la costitu-zione di uno stato islamico. L’aggettivo si riferisce al-l’applicazione della sharia (la legge islamica) e più ingenerale all’ispirazione religiosa come soluzione deiproblemi sociali, economici e culturali del paese; mail concetto di stato è senza dubbio quello occidentalee moderno. La creazione di uno stato islamico è rite-nuta condizione indispensabile affinché i credentipossano vivere da buoni musulmani.

Viceversa il movimento deobandita, a cui attingonoculturalmente i talebani, nato in India nella secondametà del XIX secolo dopo il crollo definitivo del localeimpero moghul e come risposta all’insediamento dellasovranità degli inglesi, ha elaborato un codice sofisticatodi proibizioni e norme di tipo puritano e codificato stru-menti di controllo interni alle comunità islamiche perforzare l’applicazione rigorosa di quelle norme, senzarelazioni con la sfera politica, ormai in mano agli infede-li. Si tratta dunque di una espressione storica dell’islamche sceglie di disinteressarsi del politico e ambisce al so-lo controllo della società civile islamica dall’interno.

Conquistano lo stato afgano, nel 1996, i talebani av-viarono dunque un duplice processo: riaffermarono ilcontrollo del territorio e il monopolio della violenza do-po anni di guerra civile e di arbitri da parte dei coman-danti mujiahidin, ma d’altro canto smantellarono siste-maticamente quel poco che era rimasto delle istituzio-ni politiche del paese, lasciando spazio, nei singoli terri-tori, al personalismo del mullah di turno. Più che uno“stato islamico”, nel senso “moderno” degli islamisti,l’Afghanistan dei talebani è coinciso dunque con l’e-spansione su scala nazionale della comunità islamica,con le sue rigide regole di comportamento.

Accusati di proselitismoOltre a rimuovere le macerie della guerra, la ricostruzio-ne in Afghanistan deve dunque affrontare anche le rovi-ne della devastazione istituzionale. Lo stesso esito dell’a-zione umanitaria, in un periodo medio-lungo, dipendedalla qualità del quadro istituzionale, ovvero dal serba-toio che impedisce la dispersione delle gocce degli aiuti.

E poi c’è la questione religiosa. La costituzione del-lo Stato islamico transizionale dell’Afghanistan rico-nosce l’islam come religione di stato e come criterio dicostituzionalità delle leggi ordinarie. La Corte supre-

ma coincide con la Corte costituzionale, dominata da-gli ulema (plurale di alim, dottore in legge islamica).Però la stessa Costituzione riconosce il principio di tol-leranza religiosa e la libertà di culto - almeno in priva-to - per le persone di altre confessioni. Vi sono, peresempio, consistenti minoranze di afgani di religionesikh o induista, con i loro templi, alcuni dei quali visi-bili a Kabul nella zona a sud del grande bazar.

Per le ong straniere di ispirazione cristiana non visono problemi nell’operare inAfghanistan, almeno se simantengono entro i confinidi un’azione esclusivamenteumanitaria. Durante gli ulti-mi mesi del regime talibano siera verificato il caso dell’arre-sto di alcuni operatori dellaong evangelica Shelter now,accusati di proselitismo cri-stiano e portati in giudizio difronte a un tribunale in cui ri-schiavano anche la pena dimorte: vennero poi liberati

dall’avanzata dell'Alleanza del Nord.Altre ong di ispirazione cristiana hanno continua-

to a lavorare in Afghanistan ininterrottamente negliultimi decenni, sempre sotto l’occhio vigile dei gover-nanti di turno, specie dei talebani, ma senza provve-dimenti restrittivi. La questione del proselitismo con-tinua comunque a essere un nervo scoperto della so-cietà afgana: chi abbandona l’islam commette il reatodi apostasia, punibile con la morte.

Accusare gli stranieri di propaganda religiosa, in-dipendentemente dalla realtà dei fatti, è uno stru-mento a cui ricorrono spesso i leader religiosi o gli im-prenditori politici, per cercare consenso tra la popola-zione o semplicemente screditare un avversario. L’o-micidio di un maulwi (un grado di istruzione religio-sa superiore al mullah) nella provincia di Nangarharnel luglio 2004, causato da una vendetta tra famiglie,è stato legittimato accusando la vittima di “cripto-cri-stianesimo” e proselitismo. Ma la stessa accusa è sem-pre pronta anche per una laicissima ong straniera,perché magari non ha rinnovato il contratto di lavoroal nipote di un mullah influente. Circostanze che ren-dono difficile il lavoro in un paese martoriato da de-cenni di guerra e oscurantismo. Nel quale non è facilevoltare pagina. Ma è doveroso provarci.

SCUOLAE LAVOROLa rinascitadell’Afghanistanpassa attraversola ricostruzionemateriale, maanche lo studio

afghanistan

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prendere questo cammino.Sul versante delle politiche sociali, nel 2005 il governo

afgano dovrebbe iniziare a implementare la componentedel Basic Health Package (il programma sanitario minimoche lo stato si impegna a offrire alla popolazione) relativaalla disabilità, sinora rimandata per ragioni di priorità edisponibilità di risorse. Qualcosa si muove, però, riguardoai bisogni delle singole categorie di disabili. Le ong Serve eIam hanno per esempio firmato i primi protocolli con ilministero della pubblica istruzione per inserire nellescuole ordinarie studenti non vedenti, che saranno affian-cati da tutori esperti in pedagogia. Sono i primi passi ver-so un’istruzione pubblica integrata, che superi l’attualeseparazione funzionale in istituti “speciali” e “normali”.

Nel caso dei sordomuti l’integra-zione presenta invece maggiori diffi-coltà: a parte pochi casi sperimentali,il modello più efficace continua a es-sere quello delle scuole speciali in cuisi insegnano il linguaggio dei segni ele altre materie del curriculum scola-stico. In Afghanistan esistono duescuole ben organizzate per sordomu-ti (Hifa a Kabul e Ship a Jalalabad); nel2003 è stata costituita la prima asso-ciazione di sordomuti, Anad (AfghanNational Association of the Deaf), a

cui le persone udenti possono partecipare solo come so-stenitori esterni: essa ha obiettivi di auto-aiuto, promozio-ne dei diritti dei sordomuti, formazione di insegnanti sor-domuti con una buona preparazione culturale generale esi ripromette di aprire nuovi centri e scuole nelle regionidel paese dove per ora non esiste nulla.

Tra questa nuova e promettente associazione e CaritasItaliana è nato un buon rapporto di cooperazione. Caritasha dato il via a un programma per rafforzare le capacità diAnad di gestire efficacemente i suoi progetti ed espander-si nel paese per raggiungere i sordomuti nelle regioni dimontagna. Per ora Anad gestisce una scuola per 50 bimbi;

L’economia afgana continua a essere schiava della produzionedi oppio. Aumentata vertiginosamente durante gli anni Novanta,qualunque fosse il regime al potere, ha raggiunto il massimonel 1999, sotto i talebani, con 4.565 tonnellate (l’80%dell’oppio prodotto nel mondo). In seguito a un accordo tra ilregime di Kabul e l’Undcp (l’agenzia Onu per il controllo delledroghe), la polizia talebana ha poi imposto il controllo sullecoltivazioni: la produzione si è quindi ridotta a 185 tonnellate(12% del totale mondiale), ma dopo la caduta dei talebani èripresa in grande stile.Diversi sono i fattori che spiegano una ripresa tanto rapida: lacombinazione con un’economia legale rovinata dalla guerra; ilprotrarsi della siccità, che colpisce maggiormente le colturetradizionali rispetto al papavero, il quale richiede una superficiedi coltivazione assai minore; le esigenze di finanziamento dicomandanti e signori della guerra che compongono il patchworkdel potere afgano. Infine, ma è forse il fattore principale, unadomanda mondiale di eroina e derivati che si mantiene robusta.In Afghanistan l’oppio è coltivato in 80 mila ettari (nel 2003)

sparsi in 28 province su 32. Il settore dà lavoro a 1,7 milioni di addetti e genera un fatturato stimato in 2,3 miliardi di dollari,più della metà del Pil afgano legale (dati Unodc). In un settorecon alti profitti, alti rischi e senza un quadro legale, le dispute si regolano con i fucili. E la violenza difficilmente resta confinatanel mondo dell’oppio: assume implicazioni politiche, perché i narcodollari possono fare o disfare carriere e potentati locali.Per i contadini, sulla carta la scelta è ovvia. Con l’oppioguadagnano circa 2.520 dollari l’anno, contro i 670 delleproduzioni legali. Un bracciante guadagna in media 6,77 dollarial giorno stillando il lattice di oppio dal papavero; può ottenere inmedia 3 dollari se miete frumento. In pratica, però, le angheriedei comandanti locali che esigono il pizzo sulla produzione dioppio grezzo o sull’unità di terreno possono diventareinsopportabili. E allora, senza abbandonare del tutto il papavero,i contadini ricorrono alla rotazione con il mais per integrare ilreddito senza correre troppi rischi. Ma per indurli adabbandonare il fiore dell’oppio, occorre un convinto impegnointernazionale

Insieme ad altri quindici membri delle Nazioni Unitea proposito dei quali non esistono indicatori suffi-cienti o adeguatamente certificati (o che hanno di-mensioni talmente piccole da non poter ammettere

comparazioni), l’Afghanistan non compare nella gradua-toria dell’Indice di sviluppo umano, stilata ogni anno dal-l’Undp (Programma Onu per lo sviluppo). Se vi comparis-se, ricoprirebbe una delle posizioni di coda, tanto critica èla situazione socio-economica in cui versa la sua popola-zione. Tra i pochi dati disponibili, nel Rapporto 2004l’Undp evidenzia che l’aspettativa di vita alla nascita deiquasi 23 milioni di afgani non supera i 43,1 anni, il tasso difertilità arriva a 6,8 nati per donna, il tasso di mortalità sot-to i 5 anni a 257 morti ogni mille nati, la sottonutrizioneinteressa il 70% della popolazione,l’accesso all’acqua potabile è possibi-le al 13% della popolazione.

Alberto incoraggiaIn questo quadro, Caritas Italiana haaperto nei mesi scorsi un proprio uf-ficio a Kabul. Dopo aver realizzatoun’approfondita serie di intervistecon operatori di lunga esperienza eun’analisi delle ricerche disponibilisulla situazione e sui bisogni delle fa-sce più deboli della popolazione, Ca-ritas Italiana ha scelto di avviare un programma di assi-stenza per le persone - e i bambini in particolare - affettida disabilità particolarmente invalidanti e di lungo perio-do che interessano anche la sfera cognitiva, come le varieforme di paralisi cerebrale. A parte gli sforzi di una ong in-glese di ispirazione evangelica, Serve, e dell’associazioneafgana Window of Hope, poco o nulla si fa, infatti, per lapromozione umana delle persone disabili. Alberto Cairo,il medico piemontese da anni in Afghanistan, dove gesti-sce un programma di straordinario successo “di e per” di-sabili mutilati per contro del Comitato internazionale del-la Croce Rossa, ha incoraggiato l’operatore Caritas a intra-

la sera vi si tengono corsi di alfabetizzazione per adulti eformazione professionale per falegnami, sarte e calzolai.

Finestre di solidarietàPer i disabili più gravi, invece, si è di fronte al vuoto. Anchese non mancano piccoli segnali di speranza: negli scorsimesi, tre bambini abbandonati negli ospedali sono statiraccolti da persone sensibili e attorno a loro sono natel’associazione Window of Hope (Finestra di speranza) euna casa di accoglienza, dove risiedono anche dodici or-fani, più o meno normodotati. Nella casa due donne ac-cudiscono i bambini a turno, 24 ore su 24, mentre Aref, unfisioterapista dotato di grande calore umano, fa svolgere airagazzi esercizi di riabilitazione. «I risultati - osserva Fran-cois, operatore della Caritas tedesca che aveva visto unanno e mezzo fa i tre bambini abbandonati su un letto diospedale - sono strabilianti. Riconoscono e salutano lepersone care: sono tornati a vivere affetti e relazioni».

A partire dall’esperienza di Window of Hope nasceràpresto un centro diurno di sostegno ai bambini disabili ealle loro famiglie. Se ne occuperà un’associazione di reli-giose di diverse congregazioni italiane: un interessantepercorso di solidarietà, in cui Caritas farà la sua parte.

Caritas Italiana ha aperto un ufficio a Kabul.Ha analizzato i bisogni.E hadeciso di affiancare alcune interessanti esperienze nate dalla società afgana

Vicini a sordomuti e disabilinel paese delle mille povertà

afghanistan

SCUOLA SPECIALEAttività didattiche in uno dei dueistituti per sordomuti del paese

Un’economia tornata prigioniera del papavero e dell’oppio

internazionale

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stanziale a vivere e praticare la convivenza. Certo, è pos-sibile che episodi efferati alimentino la spirale delle vio-lenze, ma è anche vero che essi sono espressione di unasituazione già tragicamente compromessa.

Torniamo, allora, allo scenario. Fatto di comunitàmescolate, minoranze diffuse, popoli arroccati interritori aspri e addossati l’uno all’altro. Il Caucaso èuna miscela “naturale” di conflitti? La pace, nell’a-rea,è geograficamente e culturalmente impossibile?Assolutamente no. La pace nel Caucaso è possibile

come in qualsiasi altra area del mondo. Se noi guardiamoalla storia d’Europa dobbiamo riconoscere che popola-zioni non meno complesse, non meno numerose, nonmeno addossate hanno imparato a convivere. Il proble-ma fondamentale non è il Caucaso come miscela “natu-rale”: esistono una storia di conflitti e un’abitudine alconflitto, ma può esistere anche un’educazione alla pace,che non sia frutto di un’imposizione violenta.

Come si può praticare, questa educazione?L’educazione spetta in fin dei conti agli stessi popoli.

Quello che noi possiamo fare è attivare focolai di incon-

caucaso

Centinaia di bambini rapiti e massacrati in una scuola: difficile immaginare qual-cosa di più atroce. Ma è successo nella parte russa della repubblica dell’Ossezia.E ha diffuso, nell’inquieta regione del Caucaso, nuovi accesi risentimenti, che se-condo molti osservatori potrebbero alimentare un ulteriore inasprimento di con-flitti che paiono irresolubili. Il mondo è inorridito. Poi si è di nuovo distratto. Mamonsignor Claudio Gugerotti, nunzio apostolico in Georgia, Armenia e Azerbai-gian, prova a ritagliare uno spazio alla speranza.

Eccellenza, per anni di Caucaso si è parlato a intermittenza, soprattutto per i fattidi Cecenia. Poi, a settembre, la terribile tragedia di Beslan: anche lei teme che pos-sa rendere ancora più incontrollabili i conflitti caucasici?Quell’episodio è stato il frutto di un’esasperazione già esistente; è obiettivamente

difficile pensare a un gesto più efferato di quello, come espressione di una difficoltà so-

«DOMINA L’ESASPERAZIONE,MA LA PACE È POSSIBILE»Dopo Beslan altre tragedie? Intervista al nunzio apostolico in Georgia.«Esiste un’abitudine ai conflitti. Ma c’è spazio anche per la convivenza»

di Paolo Brivio

VITE DAPROFUGHIIl panoramadel Caucasoè attraversatoda generazionidi sradicati:in Georgiasono 300 milain un paesedi 5 milionidi persone

conflitti dimenticati

E SE NON FOSSE GUERRA?SPUNTI PER UN’ALTERNATIVAdi Paolo Beccegato e Domenico Rosati

tuazioni in cui il terrorismo si ali-menta e recluta agenti, disegnandoun programma di intervento econo-mico-sociale. Si sarebbe attivato ilTribunale penale internazionale concompetenza sui crimini di matriceterrorista. Tutte le polizie e i servizi sisarebbero mobilitati. E se fosse statoindispensabile usare la forza, le Na-zioni Unite avrebbero provvedutocon il consenso necessario, facilitatodal non utilizzo del diritto di veto.

Ancora: alle comunità islamichein Occidente sarebbe stato ricono-sciuto un ruolo ben più rilevante delsemplice coinvolgimento in situa-zioni di emergenza, come nel casodei rapimenti. E le ong avrebberopotuto operare senza apparire subal-terne al potere militare e senza chel’equiparazione degli aiuti delle forzemilitari a quelli caratterizzati da neu-tralità e indipendenza (principi cheregolano il mondo umanitario)creasse ulteriore confusione. Forse si

sarebbe anche individuato un giudice competente in ca-so di crimini contro operatori umanitari. Il codice penaleitaliano, per esempio, non prevede la perseguibilità all’e-stero di cittadini stranieri, salvo casi particolari, assicu-rando sostanziale impunità a terroristi e criminali, comei rapitori delle due Simone e come gli assassini di Anna-lena Tonelli o di Graziella Fumagalli, operatrice di CaritasItaliana, uccisa in Somalia nell’ottobre 1995, caso archi-viato per impossibilità a procedere.

Se queste riflessioni hanno fondamento, il fallimentodelle “logiche di guerra” è argomento importante per chicrede in un’alternativa non bellica di lotta ai crimini delterrore. Si può trovare il modo per un confronto sull’espe-rienza compiuta, che consenta un recupero di efficaciasenza ulteriori offese al comune sentire dell’umanità?

Atre anni dall’attacco terrorista al cuore dell’America e dalla suc-cessiva operazione militare in Afghanistan, è doveroso ripro-porsi l’interrogativo se non fosse possibile, e se non lo sia anco-

ra, seguire una strategia di difesa alternativa alle “logiche di guerra”.Chi aveva condannato quelle stragi come “crimine contro l’umanità”immaginava una risposta non meno energica di chi aveva scelto laformula dell’“atto di guerra”. “Crimine contro l’umanità” è infatti si-nonimo di violazione di un diritto universale e un presupposto peruna reazione morale, prima ancora che politica o militare, di tutti gliesseri umani e tutti i popoli. “Atto diguerra” è invece sinonimo di aggres-sione subìta da uno Stato che, appel-landosi al diritto di autotutela, decidedi gestirla in modo unilaterale. Con inoti sviluppi: individuazione di un“nemico” (prima l’Afghanistan, poil’Iraq), occupazione (con altissimi co-sti umani ed economici) e rovescia-mento dei rispettivi regimi (peraltroferoci e detestabili), ma senza estirpa-zione del terrorismo. Un’escalation diviolenza e disordine che ha concen-trato risorse sul “consumo militare”,anziché su un’iniziativa corale per contrastare l’obiettivodei terroristi: contrapporre l’islam all’occidente.

Se non si è (ancora) arrivati allo scontro di civiltà, ègrazie a Giovanni Paolo II che ha impedito l’abuso del no-me di Dio a copertura della violenza, a un forte movi-mento di contrasto alla guerra e alla dissociazione dimolti stati dall’iniziativa americana, con riflessi sull’Onu,che non ha autorizzato né ratificato i “fatti compiuti”.

Un recupero di efficaciaE se quanto si è speso per la guerra fosse stato impiega-to per una grande alleanza mondiale contro il terrori-smo? Le Nazioni Unite ne avrebbero assunto la guida,chiedendo ai governi di rendere conto delle misure adot-tate. Un dibattito mondiale avrebbe messo a fuoco le si-

L’attacco alle Torrigemelle era atto

di guerra o criminecontro l’umanità?

La lotta al terrorismodoveva per forza

assumere la forma di un’iniziativa bellica?

Domande non oziose.Perché cambiare rotta

è ancora possibile

internazionale

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«Profughi di ogni provenienza,noi aiutiamo tutti i bisognosi»

Ci vuole tutta l’energia di padre Witold Szulczynski,proporzionata alla sua non indifferente mole, per fare argineallo sconforto. Ti butti su un’emergenza, e subito nonlontano ne esplode un’altra. Ma il Caucaso post-sovietico è così. E il sacerdote polacco, direttore di Caritas Georgia da anni, sa bene che il demone della guerra trascina con séla gente comune, già provata da una miseria generalizzata.

A fine agosto padre Witold è stato attivato da una letteradel presidente della repubblica georgiano. È salito inmontagna, a Silvanij, nel cuore dell’Ossezia del sud: lapopolazione ossetina, maggioritaria in quella regione, avevapraticamente radiato, da una trentina di villaggi, migliaia dipersone della minoranza georgiana. Villaggi, scuole eospedali attaccati e dati alle fiamme: Caritas Georgia halanciato appelli e ha messo assieme come ha potuto duecamion di aiuti. Quando gli sfollati georgiani, contadini dimontagna, sono stati fatti tornare nei loro centri, si è persinoimpegnata a ritirare, per usarle nelle mense per i poveri enegli ospizi per anziani che gestisce a Tbilisi e in altre cittàdel paese, una piccola parte delle diecimila tonnellate dimele che i georgiani d’Ossezia non sanno più a chi vendere.

Poi, a inizio settembre, è venuta Beslan. E a soffrirequesta volta sono stati gli ossetini, attaccati in terra russadai terroristi ceceni e daghestani. Padre Witold non se ne èstato tranquillo neanche allora. «Abbiamo cercato il canalegiusto per dare il nostro piccolo aiuto». Oggi grazie a quelcanale, che passa attraverso la diocesi cattolica russa diVladikavkhaz, Caritas Internationalis, Caritas Germania eanche Caritas Italiana possono avviare progetti più strutturatiper offrire sostegno psicosociale ai sopravvissuti e allefamiglie delle vittime.

Caritas Italiana sta organizzando anche una missione cheporterà alcuni vescovi in Georgia e Ossezia del Sud, preludiodi nuovi interventi d’aiuto. «Il fatto è che in Georgia, paesepoverissimo, con cinque milioni di abitanti, sono ospiti 300mila profughi dalle repubbliche russe di Abkhazia, Osseziadel Nord e Cecenia: individui e famiglie sempre meno seguiti,anche perché molti sono arrivati quando cadde l’Urss, unadozzina d’anni fa. E poi ci sono gli sfollati interni. Tutta genteche soffre e non ha grandi speranze. Il Caucaso è unapentola dove bolle tutto - allarga le braccia padre Witold -, ma noi non guardiamo alle appartenenze, e aiutiamo chi habisogno. Qualunque sia la loro etnia, la loro lingua e la lororeligione, poveri e profughi vorrebbero solo la santa pace».

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internazionalecaucaso

ci e istituzionali) prestabiliti, rischia di causare nell’inter-locutore un irrigidimento ulteriore. I contenuti del di-scorso possono essere sacrosanti, ma in Oriente conta lamodalità dell’approccio. Si arriva, ci si siede, si beve unthe, si mangiano i pistacchi, si parla della famiglia e delclima: non si può, nel corso di una breve visita, riempirel’interlocutore di rimproveri per le sue lacune e dispen-sare lezioni di democrazia, pretendendo che ciò abbiasuccesso.

Le guerre caucasiche sono anche, o prima di tutto,lotte religiose? Le religioni sono parte strutturale dell’identità dei po-

poli e delle civiltà. Ma è forzato sostenere che siano cau-sa dei loro atteggiamenti bellicisti. Vi può essere, in uncontesto, un insieme di culture che anziché incontrarsi siscontrano, e nell’ambito di queste culture le religionipossono avere un ruolo fondamentale. Ma non si puòconcludere che esse siano, ipso facto, causa di conflitti.

Cosa possono fare le chiese per seminare uno spiri-to di pace?Le tensioni tra confessioni cristiane non facilitano lo

sviluppo della pace nell’area. Dunque è necessario co-noscersi e incontrarsi: dalla conoscenza e dall’incontronascono iniziative il cui esito a volte è inaspettatamentepositivo. Tale cammino, dopo secoli di difficoltà, nonpuò essere questione di un anno, dipende molto dallospirito degli interlocutori e dalla carità evangelica che loanima. Questo non significa prescindere dai diritti dellesingole comunità e dalla loro sete di giustizia. Ma mette-re il diritto prima dell’amore a volte crea cortocircuiti pe-ricolosi. Un cristianesimo unito e solidale potrebbe eser-citare una reale incisività sui percorsi di pace.

E nei confronti dell’islam?In questo momento storico, anche nel Caucaso, noi

cristiani possiamo sentirci minacciati e travolti, ma dob-biamo sapere che lo stesso avviene a chi, tra i musulma-ni, percepisce il pericolo crescente di un fondamentali-smo terroristico, o per lo meno fortemente violento, lacui prima vittima non sarà l’interlocutore cristiano, maproprio il moderato islamico. In questo clima si riveleràvincente ogni tentativo di rinforzare i soggetti (e anchenell’islam ce ne sono molti) che desiderano il dialogo, latolleranza e l’incontro reciproco. Ogni tentativo di rap-presentare lo scenario come una pura vicenda di con-trapposizioni religiose o è frutto di ignoranza, o è funzio-nale ad altri interessi.

tro, occasioni formative ed esempi di pace vissuta. E na-turalmente favorire in ogni modo lo sviluppo del tessu-to socio-economico: dove regnano miseria galoppantee mancanza di speranza, la violenza attecchisce quasiper necessità. Molti piccoli stati, anche in Europa, nelpassato hanno conosciuto guerre cruente. Ma la cultu-ra, la formazione e la promozione sociale hanno facili-tato il superamento, o almeno il diradamento delle con-flittualità.

Dietro le rivendicazioni indipendentiste e autono-miste (e le relative reazioni “centraliste” o “imperia-liste”) ci sono solo sentimenti nazionalisti? O sonopiù incisivi gli interessi economici, energetici e geo-politici?I due ordini di cause interagiscono. Certamente nel

Caucaso si manifesta una forte tradizione di difesa del-l’etnia a ogni costo, tanto più che si tratta di un’area dovel’etnia non corrisponde allo stato e al territorio. Questacomplessità può essere organizzata in modo federativo,ma è necessario che si tratti di vere federazioni: se preval-gono schemi centralizzati, più essi si affermano più le po-polazioni si sentono conculcate. Però contano anche lequestioni legate alle risorse energetiche (petrolio e gas dalMar Caspio, ndr): ci sono, nell’area, paesi produttori dienergia e paesi dove essa transita, ciascuno con propri in-teressi, e questo finisce per esercitare un grosso peso sul-la stabilità. Ma soprattutto ci si trova in una regione che,dopo aver sperimentato per secoli meccanismi coercitivi

di pace, prima ai tempi degli Zar poi nei decenni dell’U-nione Sovietica, deve ora affrontare il problema dellaconquista di una coscienza di convivenza.

La comunità internazionale si sta dando da fare ab-bastanza?La comunità internazionale comincia a essere molto

interessata al Caucaso; lo dimostrano le continue visite,le presenze, gli incontri. Se però ci si interessa agli altri infunzione di se stessi, per plasmarli a propria immagine esomiglianza o per garantirsi i possibili proventi di unacollaborazione, non si contribuisce a risolvere i conflitti;anzi, a lungo andare li si incrosta. Serve, e non solo nelCaucaso, una politica che guardi all’altro come a un pos-sibile partner culturale, di sensibilità e di incontro, oltreche economico. Per arrivare a tanto, occorre superarestereotipi preconfezionati e considerare l’altro un inter-locutore, non un discepolo forzato.

La qualità dell’interesse internazionale, insomma,non è appropriata?In Oriente non si incontra mai una persona per ag-

gredirla e ricordarle quello che non è. Innanzitutto la siincontra come gesto di amicizia e per ricordare quelloche può essere. Dal dialogo amicale è possibile, peresempio, far emergere alcuni problemi concreti che ri-guardano i diritti umani. Ma un approccio che punta adaiutare per integrare, o che ammonisce su alcune man-canze per ottenere l’adeguamento a certi modelli (politi-

AIUTI E ROVINE IN OSSEZIA DEL SUDCaritas Georgia aiuta i profughi georgiani. Sotto, chiesaortodossa distrutta negli scontri tra ossetini e georgiani

internazionale

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La mondialità è un approccio generale alla persona e alla storia di oggi, una con-sapevolezza comune a tutto il lavoro della Caritas. Che in questa dimensioneglobale è chiamata a promuovere la testimonianza della carità in vista dello svi-luppo integrale dell’individuo, della pace e della salvaguardia dell’ambiente. Unimpegno tale non si esaurisce nei confini di una comunità o di un territorio.Questo modo di operare è radicato nel messaggio cristiano che per sua stessanatura è universale: nostra responsabilità è declinarlo in forme consone ai tem-

pi e ai bisogni dei nuovi scenari planetari.L’educazione alla mondialità è la capacità di cogliere i nessi, di leggere le interconnessioni, di

svelare i legami tra il microlivello dell’azione quotidiana e il macrolivello planetario: un “pensareglobalmente e agire localmente” che parte dall’esperienza e dal vissuto delle persone e delle co-munità per favorirne il cambiamento, a tutela dei più deboli, secondo lo spirito delle beatitudini.La mondialità non si identifica in un lavoro specifico: interventi per le emergenze all’estero, ge-

mellaggi, ecc. Piuttosto, va considerata una dimensionetrasversale del lavoro Caritas, strettamente correlata conla ricerca della pace e dell’interculturalità.

I giochi e i testimoniMolte Caritas diocesane hanno avviato progetti di educa-zione alla mondialità, dedicati soprattutto ai giovani inetà scolare. Ma non solo. Una delle realtà più rappresen-tative di questo sforzo è il coordinamento Granello di se-napa, attivo nella diocesi Reggio Emilia - Guastalla. Nelsettembre 2001 diversi organismi ecclesiali di servizio e divolontariato missionario, tra cui la Caritas diocesana, ilcentro missionario diocesano e gli uffici di pastorale gio-vanile e scolastico, hanno avviato nella diocesi emilianal’esperienza del Granello, ispirandosi, nella scelta del no-me, alla parabola che ben rappresenta lo spirito del mis-sionario: piantare un piccolo seme e lasciare che germo-gli e faccia frutto.

Negli ultimi tre anni, il Granello ha avviato una serie diprogetti di varia natura, dai percorsi didattici agli incontridi formazione, dai cicli di lezioni alle esperienze comuni-tarie, tutti incentrati sui problemi creati dalla globalizza-zione e sull’approfondimento dei temi del volontariato,della povertà, dell’intercultura. Lo scopo di queste diver-se aree di intervento è stimolare la curiosità, promuovere

locale e globaleinternazionale

EDUCARSI AL MONDO,IL GRANELLO CHE FA SCUOLA

a cura dell’Area internazionale

casa comune

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

POVERTÀ, LAVORO, TUTELE:ALL’EUROPA SERVE PIÙ COESIONE

a 15 Irlanda, Portogallo, Grecia, Ita-lia e Spagna occupano le posizionipiù “esposte”.

Esistono poi “spie di povertà”che scavalcano le frontiere. Adesempio le malattie professionalisono presenti in tutti i paesi comu-nitari; a farne le spese sono soprat-tutto, e variamente ripartiti nelle di-verse nazioni, gli operai, i minatori,gli artigiani di particolari settoriproduttivi, i lavoratori non tutelatisotto il profilo sindacale…

La cartina di tornasoleQuali indicazioni trarre da questi -certamente non esaustivi - elemen-ti? Anzitutto che l’Unione, avviata adarsi una maggiore unità sotto ilprofilo politico-istituzionale, devein realtà percorrere una strada piùlunga e tortuosa verso la coesioneeconomica e sociale. Per questo oc-corre intraprendere, con coraggio,senza esitazioni, la strada dell’e-

stensione delle politiche comunitarie anche verso Est everso Sud, per accrescere il livello di sviluppo di stati erealtà locali più arretrati.

In secondo luogo emerge con evidenza come i prin-cipi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ap-provata a Nizza nel 2000 e ora inserita nella nuova Co-stituzione Ue di cui costituisce la Parte II, sono ancoraben lontani dall’essere realizzati. La dignità della perso-na, il diritto alla vita, le libertà personali, il diritto all’i-struzione, l’uguaglianza, il concetto di non-discrimina-zione, i diritti dei bambini, degli anziani e dei disabili(sanciti e tutelati dal Trattato costituzionale firmato aRoma il 29 ottobre) rappresentano un impegno impre-scindibile per l’Ue. E una cartina di tornasole della qua-lità dell’intero percorso di integrazione europea.

Anche l’indigenza, e così la disoccupazione, le malattie profes-sionali, l’abbandono scolastico e la necessità di maggiori tute-le sociali, sembrano non avere più confini. Si stanno anzi qua-

lificando come fenomeni sopranazionali; certamente come “proble-mi europei”. Una lettura paziente dei tanti dati statistici e demosco-pici prodotti dagli organismi e dagli uffici studi dell’Unione europeaconsente una fotografia per certi versi inedita del vecchio continen-te. Ecco qualche esempio. Secondo recenti studi prodotti da Euro-stat, il servizio statistico dell’Ue, la popolazione dei Venticinque

(oltre 450 milioni di persone) ha undiscreto livello qualitativo di vita.Ma è sufficiente andare al di là del“dato medio” per scoprire che esi-stono stati, soprattutto fra quellidell’Europa pre-allargamento, chestanno senz’altro meglio sul pianodelle disponibilità materiali, dei ser-vizi pubblici, dell’istruzione e dellacultura. Differenti sono, da paese apaese, persino le aspettative di vita.Nel complesso la popolazione euro-pea sta invecchiando, ma ci sonorealtà nazionali - specialmente a Este a Sud, Italia e Grecia comprese - in cui gli effetti redi-stributivi dei trasferimenti sociali hanno un impattoben inferiore rispetto a quelli che si verificano in Svezia,Danimarca, Germania o Finlandia.

Tra le curiosità, svetta il triplicarsi nell’Ue, fra il 1998 eil 2003, del numero dei cellulari: da 24 a 78 ogni 100 abi-tanti. Ma anche qui l’uguaglianza è un miraggio: si va dai91 cellulari ogni 100 abitanti dell’Italia agli 89 della Svezia,agli 87 della Finlandia, giù giù fino ai 47 della Lituania, ai39 della Lettonia e ai 36 della Polonia, fanalino di coda.

La graduatoria è ancora diversa se si rilevano i datiriguardanti il rischio-povertà, calcolati in base al reddi-to medio disponibile: in genere i paesi nordici, assiemea Lussemburgo e Germania, stanno molto meglio diquelli orientali e mediterranei. Anche tra i paesi dell’Ue

Esclusione sociale e qualità di vita non sonoegualmente ripartiti trale aree del continente.

Allargata l’Unione e firmato il Trattato

costituzionale, occorreaffrontare problemicruciali. Estendendo

le politiche comunitariea Est e a Sud

FIABA MONDOUn attorerecita una fiaba:il Granellodi senapa entranelle scuoleutilizzando ilveicolo del teatro

Aprirsi alla mondialità: un imperativoche prevede un forte impegno sulversante educativo. A Reggio Emilia ci pensa un coordinamentodiocesano. Che fa ricorso al teatro.Entra nelle scuole. Ed è arrivatoa coinvolgere 16 mila persone

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internazionalelocale e globale

PERCHÈ AVREMMO DOVUTOELEGGERE IL PRESIDENTE USA

tale sociale e individualismo, recente-mente pubblicato dal Mulino) passain rassegna il declino dell’impegnocivico americano a fronte di una po-tenza sempre più spalmata sul mon-do. Alle elezioni presidenziali votameno del 40% degli statunitensi. Ep-pure l’economia del mondo gira at-torno al dollaro. La cui efficacia glo-bale dipende dalla tenuta locale, a so-stegno dell’economia interna ameri-cana. Ovvero: il biglietto verde deveperdere valore, per essere fattore dipotenza. Però non troppo, solo il tan-to che basta per indurre gli asiatici,oggi ago della bilancia, a riempirsi letasche di dollari e non di euro. Sul pia-no interno l’economia cresce (+ 3,5%nel 2003, + 4,5% quest’anno), ma az-zerando il risparmio delle famiglie efacendo aumentare i problemi socia-li. Il risultato è un sistema “drogato”.

A livello geopolitico non esiste unimpero americano: non è mai esistito,per il semplice motivo che gli Usa nonhanno confini. Eppure l’impero c’è,

eccome. La rivista di geopolitica Limes titolava, all’iniziodel 2004, L’impero senza impero. L’analisi procede dal fat-to che quasi tutto l’Occidente vive un complesso nei con-fronti di Washintgon, che può essere di superiorità o infe-riorità. Con gli americani non si riesce a dialogare in mo-do limpido. E le colpe sono di tutti gli interlocutori. Il so-gno americano è troppo fragile per essere ragionevole, mail sogno europeo sconta la stessa sorte.

Ecco perché la provocazione del voto globale alle ele-zioni locali americane può sfociare in una nuova riflessio-ne sull’America e sul mondo. Ma non basta. Occorre an-che proporre un viceversa: che anche gli altri votino perl’Europa, in modo che tutti insieme possiamo recuperarel’orgoglio delle responsabilità comuni.

Provocazione? Sì, ma ponderata. Da noi l’ha rilanciata CarloDe Benedetti: e se votassimo tutti per il presidente degli Sta-ti Uniti? In altri circoli intellettuali la questione gira da tem-

po. Parte da una riflessione semplice, divenuta essenziale dopol’11 settembre. Fino ad allora gli Stati Uniti si dibattevano tra iso-lazionismo e interventismo. Con la lotta globale al terrorismo, idue termini sono diventati una cosa sola: la promessa e la pretesadi difendere la sicurezza del mondo e di garantire il modo di vitaoccidentale si accompagnano all’orgoglio di restare unici e di im-porre un modello a stelle e strisce al resto del pianeta.

Oggi si assiste a un monolaterali-smo nella politica mondiale, mentrec’è un gran bisogno di multilaterali-smo, che però stenta a proporsi. Gliesempi sono innumerevoli, a comin-ciare dalle violazioni dei diritti umani,sanzionate non ovunque nello stessomodo: valgono nell’Iraq di Saddamma non nella Corea del Nord, o in Ci-na e Cecenia. Certo non riguardanoAfrica e Arabia Saudita. Fanno notiziai rapimenti iracheni, mentre mille ra-piti in Colombia non esistono. L’in-quilino della Casa Bianca ha una responsabilità in tuttociò? Sicuramente. Come la hanno le opinioni pubblicheUsa, che ormai si ritraggono dalla partecipazione alla vitapubblica. Non solo è elevato l’astensionismo elettorale,ma serpeggia un più generale disinteresse per le vicende ei problemi della propria comunità e del mondo. La provo-cazione dunque serve per rimettere in pista una riflessio-ne: bisogna cominciare a pensare in modo glocal, cioèglobale e locale insieme, essendo sparita la distinzione trale vicende della propria comunità e quelle del pianeta.

Il dollaro e l’imperoNegli Stati Uniti la partecipazione alla vita pubblica è dra-sticamente diminuita. Un saggio di Robert Putman (Capi-

contrappunto

Sparisce la distinzionetra vicende locali

e globali. E attorno agli Stati Uniti ruotano

l’economia e lerelazioni internazionali

del pianeta.Sorge spontanea

una provocazione.Per recuperare l’orgoglio

delle responsabilità

una corretta informazione e presentare il ricco panoramadi organizzazioni, associazioni e gruppi attivi nel campodella cooperazione allo sviluppo e dell’annuncio missio-nario, ma anche in settori come il commercio equosoli-dale o la lotta al lavoro minorile, alla prostituzione e, ingenerale, alle violazioni dei diritti umani. L’idea è dare so-prattutto ai ragazzi l’occasione di conoscere in manieraapprofondita il significato di termini da cui sono costan-temente bombardati attraverso tv e giornali, ma anche disensibilizzarli a stili di vita consapevoli, a un consumocritico, alla necessità di documentarsi sulle contraddizio-ni del sistema produttivo e dei commerci su scala pla-netaria. Agli adulti e aglieducatori viene invece of-ferta la possibilità diapprofondire le proprieconoscenze: il Granellonon vuole naturalmentesostituirsi agli insegnanti,ma piuttosto collaborarecon loro e fornire le pro-prie competenze.

Così spesso il Granelloentra nelle scuole, con unametodologia di lavoro chegli operatori sociali e glianimatori definiscono at-tiva: si cerca di coinvolgerei partecipanti in giochi cherappresentino i concettiche sono oggetto di di-scussione, per lasciare im-magini più comprensibilie testimonianze più forti.

Normalmente, i formatori del Granello ricorrono averi e propri role-playing game, cioè prove di simula-zione quasi teatrale, in cui uno o più ragazzi si trovanoa gestire, ad esempio, il mercato dell’acqua o del petro-lio, dalla parte delle grandi potenze industriali ovverodei paesi del sud del mondo. L’esperienza è illuminan-te, se è vero che una bambina, mentre venivano distri-buite le dotazioni iniziali, non ha saputo trattenere un“Ma così non vale!”.

Un’altra forma di coinvolgimento è l’utilizzo di te-stimonianze: storie di viaggio, di lavoro, di privazioneraccontate da chi le ha vissute, capaci di trasmetterequalcosa di coinvolgente, oltre il semplice significatodelle parole.

Un impegno contagiosoNel Granello di senapa lavorano soprattutto volontariprovenienti dai vari organismi della diocesi. Sono intutto una cinquantina: alcuni a tempo parziale, aiuta-no l’organizzazione compatibilmente con i propri im-pegni, dando la disponibilità per partecipare agli in-contri. Altri, invece, sono “annuali”, operatori già do-tati di un certo bagaglio di esperienza e fortementemotivati, che si mettono per dodici mesi a completoservizio del coordinamento, svolgendo anche lavori disegreteria e implementando il lavoro in aula. Molti so-no studenti universitari, magari tornati di recente dai

campi missionari oppurein procinto di partire peri campi di lavoro nell’EstEuropa, nel Sud Americao in Africa centrale.

Insieme a loro, ungruppo di formatori pro-fessionisti, provenienti inlarga parte dagli organi-smi che hanno dato vitaal progetto, e che costi-tuiscono la base operati-va degli interventi delcoordinamento. Che so-no andati crescendo finoal punto da raggiungere,nell’ultimo anno, quasiduemila ore complessi-ve; di esse, un numeroconsiderevole è statopassato con classi dellescuole superiori e medie,

nelle parrocchie e persino negli asili. Come detto, leiniziative del Granello e dei suoi operatori si rivolgonoprincipalmente agli istituti scolastici, ma non solo: fi-nora sono stati utenti del progetto 143 enti nel territo-rio della diocesi, per un totale di 16 mila persone, tragiovani e adulti.

Nel prossimo futuro, visti i positivi risultati sin quiottenuti, l’obiettivo è estendere ulteriormente il rag-gio d’azione, o contribuire a formare realtà analoghein altre parti d’Italia. Interesse a confrontarsi con ilmodello reggiano hanno manifestato le Caritas di Pia-cenza, Bologna e Forlì, oltre alla diocesi di Ostuni. L’e-ducazione alla mondialità può apparire un’impresaastratta. Ma è anche tremendamente contagiosa.

di Alberto Bobbio

TESTIMONI ECCELLENTIIncontro, in una scuola della provincia di Reggio Emilia,tra gli studenti e Nedo Fiano, deportato nei lager nazisti,

impegnato a mantenere viva la memoria della Shoah

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agenda territori

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gestito dalla Fondazione Casa dellacarità e avrà il suo strumento operativonel cosiddetto “ticket solidale”: titolid’acquisto, in pezzi da 2 e 5 euro, similiai ticket restaurant, che verrannoconsegnati a persone indigentiindividuate dai centri d’ascolto Caritas,perché possano acquistare beni e (inuna seconda fase) servizi di assistenzanelle centinaia di punti vendita di Milanoe hinterland aderenti all’iniziativa.

VICENZA

Sportello legaleper dare assistenzaa soggetti bisognosi

Ha aperto i battenti il 7 ottobre lo sportello legale di informazioni econsulenze gratuite voluto dalla Caritasdiocesana per le persone in situazionedi bisogno. Sarà aperto il giovedì (19-21) nella sede Caritas, grazie adalcuni professionisti che si sono messigratuitamente a disposizione dopo un corso di formazione. Lo sportellolavorerà su immigrazione, carcere,diritto di famiglia, tutela dei diritti di chi non ha una dimora stabile, o dipersone con handicap fisici o psichici;gode dell’approvazione del Consigliodell’Ordine degli avvocati di Vicenza e Bassano del Grappa ed è l’evoluzione di un servizio di consulenza legale da tempo attivo,ormai non più sufficiente.

TERMOLI-LARINO

Ecco Informagiovani,serve per orientareanche al servizio civile

Un nuovo centro per forniregratuitamente informazioni sulleopportunità di lavoro, concorsi, borse

BOLZANO

Un “Gala”formato solidarietà,gli spettatori diventano volontari

“Caritas Gala” sarà il fulcro delle iniziative della settimana che precede la Domenica della carità (14 novembre 2004) nella diocesi di Bolzano-Bressanone.Il “Gala” presenta una grande novità: al pubblico non saràrichiesto il pagamento di un biglietto d’ingresso, bensì ladisponibilità a svolgere un’attività di volontariato in ambitosociale. Ogni spettatore della serata, in programma sabato13 novembre a Bolzano, nel Teatro comunale di Gries,riceverà una cartolina su cui indicare a chi ha deciso diregalare due ore del proprio tempo in cambio delle due oredi spettacolo a cui assisterà. Duplice l’obiettivo: sostenere

il valore e l’importanza del servizio volontario e mettere in contatto le personecon enti e associazioni che operano grazie ai volontari. Musicisti, attori, clown,prestigiatori, ballerini e cantanti si esibiranno a titolo gratuito nel “Gala”, così come tutti coloro che sono impegnati nel progetto. Di organizzarel’attività volontaria dei partecipanti si occuperanno poi gli operatori dell’Ufficio volontariato della Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali.PER INFORMAZIONI E [email protected]

COMO

Accogliere i detenuti:inaugurata a ottobreCasamica S. Antonio

È stata inaugurata sabato 16 ottobre“Casamica S. Antonio”, la nuovastruttura di accoglienza per exdetenuti, per detenuti in permessopremio e per i loro familiari, realizzatain una palazzina nei pressi dell’oratoriodella parrocchia di S. Antonio, a Como,grazie all’impegno dei Francescaniminori conventuali e al sostegnoeconomico della FondazioneSolidarietà-Servizio (ente autonomoche gestisce i servizi promossi dallaCaritas diocesana). La cerimoniad’inaugurazione è stata preceduta dauna messa celebrata dal vescovo,monsignor Alessandro Maggiolini.

MILANO

Contro la povertàin campo avvocatie il “ticket solidale”

In occasione della Giornata mondiale di lotta contro la povertà, celebratadomenica 17 ottobre, CaritasAmbrosiana ha fatto il puntopubblicamente sulle sue iniziative dicontrasto all’indigenza e all’esclusionesociale. Tra queste, due novità. Insiemead altri soggetti, Caritas ha infattipromosso la nascita di “Avvocati perniente”, associazione cui aderiscono 50 legali attivi a Milano, che forniràassistenza legale gratuita a persone in stato di bisogno inviate dagli entipromotori. A fine ottobre è poi partita la sperimentazione di “I giornidell’accoglienza”, progetto che sarà

Aiutare le vittime di atrocità a superare i traumi,a Roma con "1 Billion" cinquanta governi

La storia, anche nelle epoche più recenti, ha dimostrato che la crudeltà dell’uomo non ha limiti. Purtroppo nessuna democrazia e nessuna ricostruzione possono da sole alleviare le sofferenze delle vittime delle crudeltà degli uomini. Ci saranno sempre - nell’esistenza di chi ha patito guerre, violazioni di massa dei diritti umani e atti di terrorismo - ricordi e circostanze in cui il passato, le sofferenze e le paure riaffioreranno: sono le ferite dell’anima.Il progetto “1 billion”, promosso dalla Caritas di Roma in collaborazione con l’Istitutosuperiore di sanità, l’Istituto studi superiori Assunzione, l’Università di Harvard e la Banca mondiale, cerca di attirare l’attenzione proprio su queste vittime dimenticate, che nel mondo, secondo studi recenti, sono oltre un miliardo.«Il progetto è molto ambizioso e allo stesso tempo di grande attualità» spiega RichardMollica, presidente del comitato scientifico del progetto, docente di psichiatria ad Harvarde responsabile dell’Harvard Program in Refugee Trauma. Una vita professionale spesatra le vittime delle atrocità (Vietnam, Cambogia, Argentina, Cile), fino a essere chiamatodal governo statunitense ad assistere i familiari delle vittime del World Trade Center.«Quello che accade in Italia con gli sbarchi a Lampedusa insegna che certi problemi non sono così lontani. Cercheremo di coinvolgere gli organismi internazionali, cercando di far capire che la salute psichica e morale delle vittime dei conflitti deve essere inserita nei programmi di aiuto post-bellici di ricostruzione».

Convegno internazionale a inizio dicembreIl progetto, iniziato nel 2001 con una fase di ricerca, avrà la sua manifestazione più importante il 3 e 4 dicembre 2004 a Roma: un convegno internazionale chiameràa confrontarsi e discutere cinquanta ministri della sanità dei paesi teatro di violenze e guerre nell’ultimo quarto di secolo. «L’obiettivo del meeting sarà far approvare a questi governi, con il patrocinio dell’Organizzazione mondiale della sanità e dei maggioriorganismi internazionali, una carta programmatica che includa le “ferite invisibili” nei piani sanitari di sviluppo e ricostruzione. Naturalmente il coinvolgimento dei governisarà soltanto uno degli aspetti di “1 billion”, quello ufficiale, ma sarà affiancato anche da un’azione di sensibilizzazione verso gli operatori internazionali del volontariato e della cooperazione».Le esperienze internazionali condotte da Caritas hanno dimostrato che la tutela dellasalute mentale e il sostegno psicologico alle vittime sono una modalità di intervento tra le più efficaci per lo sviluppo dei diritti umani e la crescita socio-economica.«I tragici avvenimenti dell’Iraq ci mostrano come la pace sia un cammino lungo, segnatoda enormi sacrifici e che a volte appare un traguardo quasi irraggiungibile - hacommentato monsignor Guerino di Tora, direttore della Caritas di Roma -. Ma la pace che siamo chiamati a costruire è molto di più di un cessate il fuoco. “One billion”suggerisce che ricostruire il tessuto sociale di una nazione e lenire le ferite invisibili vuol dire aiutare a superare odio e rancore, sentimenti che rendono il passato più importante della speranza per il futuro».

sto in campagna di Alberto Colajacomo

LE FERITEDELL’ANIMAVittime di guerre neiBalcani e in Africa. Per info sul progetto “1 Billion” (1 miliardo),promosso da CaritasRoma con prestigiosipartner internazionali:tel. 06.69.88.64.17,www.1billionproject.org

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agenda territori

di studio, corsi professionali e appuntamenti culturali. Uno spazio di consultazione di documenti, guide,libri, riviste e giornali. Tutto questo si condensa nel nuovo sportelloInformagiovani di Termoli, iniziativanata nell’ambito del Piano di prossimità che la Caritas di Matera-Irsina ha elaborato, insieme a quella diTermoli-Larino, in seguito al terremotodel novembre 2002; Caritas Matera-Irsina ha formato gli animatori dellosportello. Il centro di Termoli, collegatocon l’Informagiovani di Matera, hacome obiettivo non solo l’animazioneculturale e l’integrazione giovanile in aree ad elevata disoccupazione,ma anche la promozione del servizio

civile volontario in una zona doveancora non è avviato. Lo sportello èstato inaugurato mercoledì 20 ottobre.

ROSSANO-CARIATI

Carcerati-giornalisti,secondo anno di corsocon “Calabria Caritas”

È ripresa l’attività di giornalismonell’istituto penitenziario di Rossano(nella foto). L’iniziativa, promossa dalla Caritas diocesana di Rossano-Cariati, fa parte del progetto “Ero incarcere e mi avete visitato”. L’attivitàdi giornalismo, articolata in un corso di formazione e nella collaborazionealla rivista regionale CalabriaCaritas, è giunta al secondo anno.PER INFORMAZIONIwww.calabriacaritas.it

Educazione alla pace,percorso Caritas in sette tappe

Educare alla pace: un impegno che per Caritas Italiana si concretizza in un percorso lungo un intero anno pastorale. E articolato in setteproposte, estese alle Caritas e alle realtà diocesane. Eccole.

Convegno “Riconciliazione e giustizia” (Roma, 25-27 novembre 2004)L’iniziativa completa il percorso su “Giustizia, pace e salvaguardia del creato”, avviato con i convegni sulla Pacem in Terris (Bergamo,ottobre 2003) e sulla cura del creato (Campobasso, aprile 2004).L’obiettivo è offrire un approfondimento sui temi della giustizia socialee leggere i conflitti internazionali a livello politico, giuridico ed etico.

Libro “Interviste sull’obiezione di coscienza” (Roma, dicembre 2004)Verrà presentata una raccolta di interviste a persone che hanno fatto la storia dell’obiezione di coscienza al servizio militare in Italia: un contributo di Caritas Italiana alla ricostruzione storica di un’esperienza che dal 2005 andrà in archivio.

Osservatorio sui conflitti dimenticati (avvio entro il 2004)Caritas Italiana ha deciso di avviare, in collaborazione con PaxChristi, un Osservatorio permanente sui conflitti dimenticati. Si tratta di un sito (www.conflittidimenticati.org) che mira a migliorare l’informazione ed elaborare proposte pastorali di animazione delle comunità.

Marcia per la pace e Giornata mondiale della pace(Comiso, 31 dicembre 2004 - 1 gennaio 2005)

Come ogni anno, Pax Christi Italia, Caritas italiana e Ufficio lavoro,pace, giustizia e salvaguardia del creato della Cei promuovono un importante appuntamento di riflessione e testimonianza.

Rapporto di ricerca sui conflitti dimenticati (febbraio 2005) Seconda pubblicazione da parte del gruppo di ricerca promosso da Caritas Italiana, Famiglia Cristiana, Il Regno e vari istituti, agenzie e università italiane ed europee: l’obiettivo è documentarein modo scientifico l’evoluzione delle guerre nel panoramageopolitico internazionale, negli ultimi tre anni, e i relativi riflessimediatici e istituzionali.

Memoria di San Massimiliano martire (12 marzo 2005)Proposte e iniziative per educare i giovani a scelte e stili di pace,giustizia e nonviolenza.

Progetto Servizio civile all’estero; progetto Caschi bianchi; progetti di solidarietà internazionale e accompagnamento di Caritas e chiese sorelle (permanenti).

bacheca a cura dell’Ufficio comunicazione

Adozioni a distanza e affido di minori,il Sulcis vuole accogliere i vicini e i lontani

Is Urigus, frazione di San Giovanni Suergiu (Cagliari), diocesi di Iglesias. Due anni fa la parrocchia di San Raffaele Arcangelo, 750 persone, ha avviato un progetto per il sostegno e l’accoglienza dei minori in difficoltà. Aldo Maringiò è il coordinatore dei sei membri della Caritas parrocchiale. «Il consiglio pastoraleparrocchiale individua sempre un tema di animazione per i tempi forti - spiega -. Nell’Avvento 2002 abbiamoscelto quello proposto dai sussidi Cei: “Chi accoglie uno accoglie me”». Un percorso di animazione guidatodalla domanda “Noi chi accogliamo?”. I catechisti ne hanno parlato ai ragazzi, i ragazzi in famiglia. Il tema

è stato ripreso e approfondito durante le celebrazionidomenicali. Il cammino ha portato a una risposta: “Accogliamo i vicini, accogliamo i lontani”. Così, la comunità ha avviatocinque adozioni a distanza in India. «Ancora oggi - spiega don Gianfranco Vinci, amministratore parrocchiale fino a pochesettimane fa - l’ultima domenica di ogni mese la comunità portain offertorio i risparmi dei ragazzi del catechismo e le offertedegli adulti per le adozioni».

Un caso fortunatoL’accoglienza dei vicini è stata invece segnata da un casofortunato. «Faccio parte del laboratorio per la promozione e l’accompagnamento delle Caritas parrocchiali promosso dalla Caritas diocesana - racconta Aldo -. Mentre aspettavo l’inizio dell’incontro in una parrocchia ho notato il depliant del Servizio sovracomunale per l’affidamento familiare». Quello dei minori in difficoltà è un bisogno emergente

nel Sulcis Iglesiente. Diversi comuni si sono consorziati per studiare il problema e far fronte alle esigenzedi ragazzi privi della serenità familiare necessaria alla loro crescita. È nato così il servizio, per informare,formare e sensibilizzare. Tra le finalità, individuare e mettere in rete famiglie disponibili all’appoggio in emergenza o all’affido. Dopo un primo contatto di Aldo con il servizio, il consiglio pastorale di San Raffaele ha deciso di avviare un progetto per promuovere l’accoglienza dei minori in difficoltà. É partito un ciclo di incontri, cui hanno partecipato sei coppie e tre single. «Il corso - precisano le operatricidel servizio, Cinzia Mancosu e Rosanna Zuddas - aveva finalità formativa. Durante l’ultimo incontro, però, abbiamo parlato al gruppo di una situazione di emergenza». Sul momento nessuno si è fatto avanti.Sergio e Pinella Porceddu avevano partecipato a tutti gli incontri: «Credevamo di avere tempo per riflettere e prepararci». Ma solo dieci giorni dopo, con le figlie universitarie, accoglievano due fratellini di 4 e 7 anni.«La loro presenza dà gioia e rafforza l’unione. Perché per prendersene cura bisogna collaborare, soprattuttoquando si è tutti impegnati nel lavoro o nello studio». L’accoglienza è diventata una testimonianza visibileall’intera comunità. E non solo: in primavera la Caritas parrocchiale di Is Urigus ha ripetuto l’esperienzainsieme a quelle di San Giovanni Suergiu e Portoscuso. Al secondo corso hanno partecipato otto famiglie.«È un piccolo progetto, per questo si chiama “Pollicino”, come il più piccolo dei bambini», conclude Aldo.Anche la sua famiglia si è resa disponibile per l’appoggio in emergenza e l’affido. Un piccolo segno, che può portare lontano.

oltre il campanile di Monica Tola

PARROCCHIA APERTALa parrocchia di San Raffaele Arcangelo, a Is Urigus, nel Sulcis Iglesiente: solo 750 persone, ma un grande impegno nelle adozioni a distanza (ragazzi in India)e soprattutto nell’accoglienza, all’internodelle famiglie, di minori in difficoltà

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villaggio globale

“Il grande talk”, la televisione in autoanalisi:«Più offerta tecnologica. Come la riempiremo?»

a tu per tu di Danilo Angelelli

La tv che guarda la tv. E in un lucido gioco di specchi si analizza, scoperchiando i propri ingranaggi, destrutturando il propriolinguaggio. Per non sfuggire a se stessa. Per ritrovare la sua dignità. Succede a Il grande talk, sforzo comune di Sat 2000e Rai Educational, in onda ogni sabato, su Rai Tre alle 7.30 e su Sat 2000 alle 13.30 e 20.45. In studio, tra gli altri, glistudenti di comunicazione dell’Università Cattolica di Milano e i più richiesti personaggi televisivi. E poi lui, MassimoBernardini, bonario e inflessibile autore-conduttore.

profonda ansia pastorale, voleva, senzacomplicazioni intellettualistiche, arrivarea tutti. Inutile dire che c’è riuscito e continua a riuscirci.

LIBRI

Interviste perconoscere megliochi sta “Oltre le sbarre”

Dietro le sbarre ci sono uomini, donne e le loro storie da incontrare. Oltre ipregiudizi ci sono vicende ed esperienzedi altri che, paradossalmente, ci fannoriflettere e capire meglio le nostrevicende ed esperienze. Si fa guidare daquesta dichiarazione d’intenti Oltre lesbarre. Storie dal carcere (EffataEditrice, Cantalupa - Torino, 2004),

TELEVISIONE

“Racconti di vita”:storie e contestila domenica a Raitre

Una trasmissione tra le più attente e perspicaci, nella galassiadell’informazione tv dedicata al sociale.Una galleria di ritratti delicati escrupolosi, storie mai fini a se stesse,ma capaci di avvicinare lo spettatore aproblemi che sempre più hanno a chefare con la quotidianità del cittadinomedio, e non solo con i drammi delle fasce marginali. Ha preso il viadomenica 7 novembre il nuovo ciclo di Racconti di vita, che proseguirà finoal 24 aprile. In onda su Raitre,la domenica alle 12.30, il programmaha come autore e conduttore anchequest’anno il giornalista GiovanniAnversa. Alla narrazione di esperienze e vicende personali e di gruppo affidataa immagini e testimonianze, l’edizione2004-2005 affiancherà una conduzioneda studio, che consentirà alla redazionedi contestualizzare con dati,ragionamenti e opinioni i temi presentatidalle storie, oltre che di approfondire di volta in volta aspetti specifici di fenomeni ampi e complessi. In primavera alla trasmissionedomenicale verranno affiancati alcunispeciali, il lunedì sera in secondaserata, che racconteranno storie chemeritano una narrazione più distesa.

LIBRI

“Parabole e metafore”I pensieri di don Belloraccolti in 53 scritti

C’è la parabola della gratuità. E quelladelle disuguaglianze inaccettabili. E ancora la parabola dei poveri, maestridi vita. Cambiando registro, ecco la

metafora del curriculum di Dio, della combinazionevincente, della crescitaumana. Ha parlato anche così, conracconti allusivi

e immagini evocative, l’indimenticatodon Tonino Bello, vescovo di Molfetta epresidente nazionale di Pax Christi.Agilmente raccolti nel volume dal titoloesplicito Parabole e metafore (EdizioniInsieme, Bari, 2004), questi 53 breviscritti attraversano la realtà odiernaraccontando verità quotidiane senza banalizzarle, sottolineando la contemporaneità delle icone bibliche. E arrivando dritti al nocciolo delmessaggio evangelico. In manierachiara e semplice. Perché don ToninoBello, grande divulgatore mosso da una

VIDEO

L’America Latina “En marcha”,i diritti ai tempi della globalizzazione

Un titolo lapidario: En marcha. Un video che racconta la“marcia per la globalizzazione della solidarietà” intrapresadalle popolazioni indigene del Centroamerica, conparticolare attenzione alla realtà dell’Honduras. Il video èun reportage-documentario, che mette a fuoco alcunequestioni cruciali (culturale, della terra, ambientale eindigena) per il continente latino-americano,soffermandosi soprattutto sul caso honduregno. Ilsoggetto e le immagini si devono all’impegno di alcuni

operatori di Caritas Italiana, la cui presenza in Honduras risale all’emergenzacreata dall’uragano Mitch, ma è poi proseguita negli anni con una attentaazione di accompagnamento di realtà ecclesiali e comunità indigene, perl’affermazione della dignità e dei diritti delle popolazioni locali. Dedicato a duefratelli contadini indigeni, incarcerati per le loro battaglie sociali, En marchaha una durata di 30 minuti ed è affiancato da un opuscolo diaccompagnamento, con schede sui temi proposti dal video. Un utilestrumento per capire cosa vuole dire nei fatti, ogni giorno, per tanti uomini edonne, vivere da oppressi ai tempi della globalizzazione.PER INFORMAZIONICaritas Italiana, tel. 06.54.19.21

BONARIO E INFLESSIBILEMassimo Bernardini nellostudio di “Il grande talk”. Nel sito www.ilgrandetalk.it un forum per riflettere e scambiare opinioni sullatelevisione e i suoi programmi

In questa tv di palinsesti costruiti dai pubblicitari, ci sarà sempre meno spazio per gli uominidi televisione?La malattia della tv di oggi è proprio la carenza di anima editoriale. La direzione nelle retiviene sempre più data a uomini di marketing e con poca esperienza editoriale. Risultapertanto difficile pensare a un futuro di contenuti, per la televisione...La tv fino a qualche anno fa lamentava il disinteresse dei giovani. Poi li ha recuperati con ireality show. Un fenomeno che impone una riflessione…Seondo me il reality, in certe versioni ironiche, ha anche una sua ragion d’essere. Ildiktat che c’è sotto è: facciamo una televisione con la “ggente”, che costa meno. Infattiil segreto del reality sta nella scelta del casting. Io non drammatizzo il genere: la realtà èper fortuna ancora più decisiva della televisione. Ma d’altro canto mi preoccupa chenella televisione entrino le storie vere e drammatiche delle persone. La tv non èattrezzata per un simile compito, non è il succo della nostra esistenza, è un momento ditempo libero. Invece spesso assume incisività e autorevolezza sulla vita di persone chenon hanno altro a cui riferirsi.Cosa salva nella tv di oggi?“Otto e mezzo” e “L’infedele” quando non diventano autoreferenziali. In questi due casila televisione raggiunge un tasso di riflessività altissimo. Poi salvo i programmi reportagecome “La storia siamo noi” e, tra quelli di evasione, la levità di Gerry Scotti. È un caso,quest’ultimo, in cui la televisione con grande serenità si manifesta per quello chedovrebbe essere: un aiuto a chi ha finito la propria giornata di lavoro e vuole distendersi.Il digitale terrestre e il conseguente moltiplicarsi dell’offerta porterà a un aumento emiglioramento dei contenuti?Ci sarà sicuramente una chance in più, una virata della televisione verso una pluralitàmaggiore. Il problema però è un altro. Si parla di tv digitale, di tv tematica, di bandalarga, di telefonini in cui si possono ricevere prodotti, di digitale terrestre. Andiamoincontro a un’offerta che potrebbe essere superiore alla richiesta. E poi esistono davveroi contenuti per riempire tutti questi spazi? I contenuti costano e non viviamo unmomento florido dell’economia italiana…La tv sa raccontare il nostro tempo?La tv di oggi si appoggia sulla grande fiction, capace, in alcuni casi, di raccontare buonestorie. Ma, secondo me, chi fa la tv è pieno di pregiudizi e stereotipi riguardo la realtà.Questo impedisce di raccontare il proprio tempo. Bisogna essere curiosi, avere voglia distupirsi di quel che accade. Questo amore per la realtà è proprio una delle cose cheoggi più mancano a chi fa televisione.

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villaggio globale

pagine altre pagine a cura dell’Ufficio comunicazione

Ritratti e ricostruzioni,di mafia non si deve tacere

Di mafia, dopo la stagione delle grandi stragi e dei maxiprocessi, è sempre più difficile sentirparlare. Eppure la conoscenza e l’analisi, oltre alla memoria, sono condizioni indispensabili per alimentare una coscienza civile vigile, capacedi fare argine all’eterna volontà, manifestata dalcrimine organizzato in terra di Sicilia (ma non solo),di infiltrarsi nei gangli dell’economia e della politicache contano. Riesce dunque prezioso il contributo

alla conoscenza e al dibattito pubblici che viene offerto da Cose di Sicilia e di siciliani (Sellerio editore, Palermo, 2004), un pamphlet dato alle stampe dal giornalista Giorgio Frasca Polara, che inanella con affilata ironia, ma anche con coraggio, ritratti di personaggi,ricostruzioni di vicende misteriose del passato, interviste a testimonieccellenti (Sciascia), inchieste “vecchio stile”: senza però l’intenzionedi dare vita a un polveroso museo degli orrori destinati a non tornare,piuttosto con la volontà di raccontare storie che si affacciano sulpresente, e almeno in parte lo illuminano. Di particolare interesse, per il lettore con esperienza ecclesiale, le pagine dedicate al contraddittoriorapporto che la chiesa ha intrattenuto con il fenomeno mafia: Frasca Polara indugia sui silenzi e le ambiguità del vecchio cardinale di Palermo, Ernesto Ruffini, pur sollecitato a prendere apertamenteposizione contro la mafia dalla Segreteria di stato vaticana, alle coraggiose denunce dell’arcivescovo Salvatore Pappalardo, al grido dirompente lanciato da Giovanni Paolo II ai mafiosi perché si convertissero e non attentassero più al sacro valore della vita umana.

un agile libretto scritto dal sacerdote e giornalista professionista AngeloSaporiti, che vive a Zurigo e si occupadi immigrazione. Il testo si apre con una introduzione che raccoglie dati e considerazioni proposti da documentie ricerche di Caritas Italiana, quindi sidivide in due sezioni: “Incontri”, ovverouna galleria di espressive interviste con una decina di giovani e adulti, che raccontano la loro esperienza dicarcerati; “Testimonianze e riflessioni”propone invece l’esito di conversazioni

con testimoni privilegiati (cappellani,operatori carcerari, volontari, il biblistaRavasi), coronate dal testo dell’omeliache Giovanni Paolo II tenne nelpenitenziario di Regina Coeli, a Roma,in occasione del Giubileo delle carceri.In appendice un piccolo vocabolario deitermini fondamentali da conoscere, peraccostarsi al pianeta carcerario. Il tuttointerpretato da un arguto pensiero delfilosofo danese Søren Kierkegaard:“Come in un grosso barile di aringhe vi è sempre uno strato compresso

e spappolato, come nelle casse di frutta quelle che rasentano i lati si ammaccano e van perdute (...) così in ogni generazione esistonouomini che stanno ai margini, vittime dell’imballaggio, i quali hanno la missione di proteggere gli altri”.

LIBRI

Pagine per ragionaresu teoria e prassidella solidarietà

Un testo impegnativo,ma importante per chivuole riflettere sulconcetto di solidarietà,sui valori con cui entrain relazione, sulle sueconnessioni con l’agire

pratico, sulle sue implicazioni con l’esperienza di chiesa. Solidarietà(edizioni Monti, Saronno, 2004) è un testo che “soppesa” lo spessoreteorico del concetto e della pratica dellasolidarietà, a partire dalle più recentiindicazioni della dottrina sociale dellachiesa, ma non dimenticando dianalizzare alcune dinamiche del mondocontemporaneo globalizzato ma divisoda una “faglia” che separa unaminoranza di ricchi benestanti dal restodell’umanità. Il testo è frutto dellariflessione del Servizio di animazionecomunitaria, un gruppo intervocazionale,composto da laici, religiose e religiosi,presbiteri e vescovi, che si dedica alla promozione di una spiritualità di comunione ed è nato nel 1952dall’ispirazione del gesuita padreRiccardo Lombardi e dalla volontà di papa Pio XII. Il libro è completato da una prefazione di don Paolo Tarchi,direttore dell’Ufficio nazionale Cei per iproblemi sociali e del lavoro, e da unapostfazione di monsignor Vittorio Nozza,direttore di Caritas Italiana.

Parole controcorrente, in una Tv sempre più ingorda di casi umani da esporre senzarispetto e senza regole. Parole condivise dai 27 operatori delle Caritas diocesane,che da tutta Italia a metà ottobre si sono incontrati a Roma, in Caritas Italiana, perparlare di “Storie da raccontare” e di solidarietà. Un appuntamento periodico, dipromozione, studio e formazione, ma anche di accompagnamento delle realtàdiocesane per far crescere con gradualità la capacità di comunicazione in ogniambito Caritas. Il confronto si è articolato in due giornate e ha fatto una panoramicasu come le storie vengono raccontate dai media. «Una cosa mi ha sempre colpito -ha detto Paola Springhetti, direttore della Rivista del volontariato -: mentre i mediacommerciali sono alla perenne ricerca di storie, perché si fanno leggere, suscitanoemozioni, sono uno strumento di seduzione del pubblico, i media del volontariato letrascurano. Dissertano, pubblicano discorsi, documenti, interviste, ma raccontanopoche storie. Eppure avrebbero validi motivi per raccontarle. Attraverso le storie sipuò far conoscere un problema sconosciuto, si può denunciare una situazione. Masoprattutto si devono raccontare storie perché parlano di fatti, di realtà che siincarnano in persone. Raccontiamo storie perché per noi, al centro del nostro agiree del nostro pensare, c’è l’uomo. Ed è all’uomo che vogliamo dare voce». Nonservono perciò grandi discorsi. Diventa invece fondamentale «la capacità di ascoltoe di sguardo, di fare le domande giuste senza spaventare, di fermarsi quando si ètoccato un confine, di andare a fondo quando è indispensabile e possibile».

Dare volto senza violare la privacyA volte ci sono immagini che da sole raccontano storie. Come ha evidenziato ilfotografo Romano Siciliani, da sempre legato al mondo del volontariato. «I giornalisociali sono più attenti a quello che un’immagine comunica e hanno grande rispettoper le persone fotografate. Il dilemma più frequente è allora proprio questo: comedare un volto ai poveri e ai disagiati senza violarne la privacy e la dignità?».Sensibilità e attenzioni trasversali. Senza trascurare uno dei media più seguiti: laradio. Paolo Prato di Radio InBlu - rete satellitare della Cei collegata a 200 emittenticattoliche - ha presentato un programma radiofonico settimanale ricco di storie,prodotto dal centro Studi sulla comunicazione sociale della Pontificia UniversitàGregoriana e focalizzato sulle relazioni tra America Latina e Italia.«Comunicare Caritas - ha sottolineato a conclusione dell’incontro il direttore diCaritas Italiana, monsignor Vittorio Nozza - significa condividere l’esperienza deipoveri, dando voce a chi non ce l’ha; della Chiesa, portando il messaggio delVangelo; del mondo, cogliendo i legami tra le sorti di territori distanti».

La difficile arte di raccontare le storie:«Rispettiamo la dignità, ma diamo voce all’uomo»

ritratto d’autore di Ferruccio Ferrante

Ritratto d’autore ogni mese racconta una storia. Questa volta riflette sulle storie. «Che parlano di un percorso individuale, maanche di una dimensione collettiva»: Giovanni Anversa la vede così. E lo dimostra ogni domenica nella sua trasmissione,“Racconti di vita”. «Le storie - secondo il giornalista di Raitre - rappresentano una sorta di chiave di lettura dei fenomenisociali, perché ogni vicenda umana non può essere scorporata dal contesto in cui si svolge».

VOLTIE PAROLEDue foto diRomano Siciliani.Giovanni Anversa,conduttore di“Racconti di vita”su Raitre

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione,stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a:Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - viale F. Baldelli, 41 - 00146 Roma - www.caritasitaliana.it


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