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Mensile di aggiornamento e approfondimento in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica Numero 19 - marzo 2015
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Mensile di aggiornamento e approfondimento

in materia di

immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

Numero 19 - marzo 2015

 

FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015 2

    

n. 19 – chiuso in redazione il 3 marzo 2015

Sommario

Pagina

NEWS Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 4 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 18 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 22

APPROFONDIMENTI Immobili e professione «TERZIETÀ DELL’AGENTE A RISCHIO» Gli agenti immobiliari reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito nel loro campo di competenza… «Sia chiaro che non è un attacco al mondo delle banche tout court», premette Paolo Righi, presidente nazionale Fiaip, contattato da Casa24 Plus. Il Sole 24ORE – Casa24, 26 febbraio 2015 26 Immobili e agevolazioni BONUS DEL 50% PER SPESE NOTARILI SU VINCOLI UNILATERALI Sono detraibili le spese notarili per la costituzione di un vincolo pertinenziale all’unità immobiliare principale delle parti del sottotetto rese abitabili con un intervento di ristrutturazione. Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015, n. 970 pag. 348 28 Prestazione energetica RENT TO BUY, APE E IMPIANTI TERMICI La legge 90 del 3 agosto 2013 ha sancito in modo definitivo l’obbligo, su tutto il territorio italiano, dell’attestato di prestazione energetica (APE) in occasione di trasferimento di immobili. Luca Rollino, Pier Paolo Bosso, Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015 - Quaderno, n. 1 pag. 26 33 L’ESPERTO RISPONDE Ambiente, edilizia e urbanistica, immobili 38

 

 

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     Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Edilizia e PA, Il Sole 24 ORE e-mail: [email protected] © 2015 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze.

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Professione

Immobiliare: Esposto di Fiaip alla Banca d’Italia - Righi (Fiaip): "L’attivita' di alcuni istituti di credito è lesiva anche degli interessi dei consumatori"

Gli agenti immobiliari Fiaip reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito nell’intermediazione immobiliare. Dopo l’esposto all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, arriva quello depositato oggi alla Banca d’Italia in merito all’esercizio da parte di Unicredit Subito Banca e Intesa San Paolo Casa dell’attività di intermediazione immobiliare. La Fiaip, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, nell’esposto presentato dall’Avv. Antonio Catricalà a Via Nazionale, evidenzia alcune anomalie come la commistione tra l’attività bancaria e quella dell’intermediazione immobiliare che vede violare da parte di alcuni istituti di credito regole di trasparenza e correttezza che gli intermediari sono tenuti ad osservare con i clienti e chiede uno stop allo sbarco dei big di credito nell'intermediazione immobiliare. “Riteniamo – dichiara il Presidente Fiaip Paolo Righi - che l’attività svolta da parte alcuni istituti di credito nel mercato dell’intermediazione immobiliare possa risultare lesiva anche degli interessi dei consumatori e non è in linea con le regole delle trasparenza e correttezza che le banche e gli intermediari finanziari sono tenuti a osservare nei rapporti con la clientela”. La richiesta avanzata dalla Fiaip è quella di bloccare l'attività delle due banche nel settore delle compravendite immobiliari perché “gli istituti di credito – precisa Paolo Righi – dovrebbero sostenere e favorire la crescita degli operatori presenti sul mercato e non fare direttamente impresa, generando una situazione di concorrenza sleale. Per questo chiediamo che la loro attività sul fronte dell'intermediazione immobiliare venga fermata dalle autorità competenti”. Secondo Fiaip la presenza, all'interno di un medesimo gruppo bancario, di imprese chiamate a svolgere, seppure mediante una gestione separata, attività bancaria e attività di intermediazione immobiliare, con conseguente evidente commistione tra tali attività, oltre a integrare una violazione delle regole di trasparenza e correttezza che gli intermediari sono tenuti a osservare nei rapporti con i clienti, potrebbe comportare una lesione delle garanzie di indipendenza e imparzialità nei confronti di consumatori e risparmiatori interessati a beneficiare delle prestazioni rientranti nell'una o nell'altra attività”. “E’ evidente – continua Righi - la commistione d’interessi esercitata da alcuni istituti di credito, e intermediari appartenenti alla medesima compagine societaria. Ciò può dar luogo a casi d’inosservanza del divieto previsto esplicitamente dalla D.lgs 141/2010 che vieta, anche in via strumentale, la possibilità di segnalare alla propria clientela mutui bancari a chi svolge l’attività di intermediazione immobiliare”. Il rischio dello svolgimento, da parte di soggetti appartenenti allo stesso gruppo bancario, di attività creditizia e d’intermediazione immobiliare, si legge ancora nel testo depositato dall’ Avv. Catricalà, è quello di uno “scambio incrociato di informazioni e dati riservati relativi alla posizione finanziaria e alla esposizione debitoria dei consumatori”, i quali “potrebbero essere indotti a scelte che, lungi dall'essere libere e consapevoli, sarebbero il frutto di un'azione concordata e condivisa di detti soggetti a proprio esclusivo vantaggio”.

 

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(Fonte: Ufficio Stampa Roma, 11 marzo 2015)

Credito: Fiaip presenta un esposto all’Antitrust contro l’ingresso di alcuni istituti di credito nel settore dell’intermediazione immobiliare

La Fiaip, Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, ha depositato presso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato un esposto in merito all’ingresso delle banche nel settore dell’intermediazione immobiliare segnalando i gravi riflessi negativi che si produrranno sia in termini di violazione della tutela della libera concorrenza, che di tutela del consumatore. Per la Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali, la possibilità, concessa alle imprese del credito, di detenere partecipazioni in altre imprese non può dispensare da un'attenta analisi dei profili di anticoncorrenzialità che emergono nel momento in cui una banca entra in nuovi mercati, come quello dell'intermediazione immobiliare o del commercio al dettaglio. Fiaip pone l’accento sull’ eventuale mancata libertà di scelta del consumatore nella ricerca e nella scelta di un agenzia immobiliare di fiducia poiché il cliente potrebbe subire un indebito condizionamento nelle proprie decisioni, senza considerare la pressione che la banca potrebbe esercitare sul proprio correntista, essendo a conoscenza della sua condizione patrimoniale. “Le banche hanno una precisa funzione sociale, che è quella di tutelare il risparmio dei cittadini e di impiegarlo al meglio, finanziando imprese e famiglie, il tutto per fare crescere l’economia e la ricchezza del nostro Paese, dichiara Paolo Righi, Presidente Nazionale Fiaip. Le tre banche oggetto del nostro esposto molto probabilmente hanno pensato di impiegare i denari raccolti dai risparmiatori e gli aiuti della Banca Centrale Europea con lo scopo di fare concorrenza diretta a quelle imprese che invece dovrebbero finanziare.” In un momento in cui gli operatori del settore immobiliare e del commercio sono alla canna del gas, con una pressione fiscale ormai insostenibile che sta strangolando le imprese, tutto ci si poteva aspettare tranne che alcune banche pensassero di cercare di fare concorrenza a quelle stesse imprese che invece dovrebbero finanziare ed aiutare a crescere”. “Il sistema bancario del nostro Paese ha svolto e sta svolgendo egregiamente la propria funzione sociale, nonostante i tempi di crisi e le difficoltà ad operare in questi momenti - dichiara Paolo Righi - per fortuna i tanti istituti con cui mi sono rapportato sul tema pensano ancora che, anziché cercare di fare (forse male) il mestiere degli altri, sia necessario cercare di fare bene il proprio” (Fonte: Ufficio Stampa - Roma, 17 febbraio 2015)

Mercato immobiliare e delle costruzioni

Immobiliare: investimenti in Italia salgono a EUR 5,3 miliardi in 2014, 80% esteri Il 2014 si è chiuso in modo positivo per il settore immobiliare italiano con investimenti che hanno toccato gli € 5,3 miliardi con un progresso del 20% sull’anno precedente. La stima è di due società internazionali di advisory, CBRE e JLL. I più attivi sono gli operatori esteri che rappresentano l’80% degli investimenti totali. Per quanto riguarda gli italiani, ormai sono attivi quasi solo i fondi legati alle casse di previdenza di alcune categorie come commercialisti, medici e architetti. «L’attendismo degli investitori italiani è forse una delle cause che ha impedito all’Italia di agganciare l’Europa nella forte crescita degli investimenti – spiega il Ceo di CBRE Italia, Alessandro Mazzanti – gli investitori internazionali invece hanno confermato una fiducia elevata, a prescindere dalla debole economia del Paese». Davide

 

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Dalmiglio, Head of Capital Markets di JLL in Italia sottolinea che «i prodotti che hanno trainato i volumi sono certamente i portafogli, sia a destinazione mista che composti da immobili a uso ufficio ma anche industriali e logistici, sempre più apprezzati da parte di molti soggetti esteri». Inoltre «tutti i prodotti retail continuano a segnare un trend positivo grazie all’attività di parecchi fondi di private equity, investment managers,e anche da parte di investitori istituzionali (fondi pensioni) e alcuni investitori core tedeschi. Per quanto riguarda il settore uffici, la nota positiva è che l’interesse si sta spostando anche verso asset localizzati in distretti consolidati o emergenti ma periferici, purché vi sia un sottostante immobiliare e finanziario solido». A livello globale, secondo i dati di JLL, gli investimenti hanno raggiunto i 700 miliardi di dollari con un +18% sul 2013 (+4% a 218 miliardi nel solo quarto trimestre). E anche il 2015 si preannuncia positivo con transazioni comprese fra i 730 e i 750 miliardi di dollari. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 12 febbraio 2015)

Mercato immobiliare: ripresa nel III trimestre, transazioni +3,7% su anno

Nel III trimestre 2014, il mercato immobiliare riprende a crescere, segnando un +3,7% su anno dopo la battuta d’arresto del II trimestre. In nove mesi la crescita è dello 0,4% tendenziale (425.975 le convenzioni rogate). Nel III trimestre, il 93,4% delle convenzioni (124.510) riguarda immobili a uso abitazione e accessori, il 6% immobili a uso economico (7.971) e lo 0,6% immobili a uso speciale e multiproprietà (784). Tutte le ripartizioni geografiche mostrano segnali di recupero nel comparto abitativo, con valori sopra la media nazionale al Centro (+5,2%), al Nord-Est (+4,5%) e nelle Isole (+3,9%). Gli Archivi notarili con sede nelle città metropolitane sono i principali beneficiari dei segnali positivi relativi alle compravendite immobiliari. Lo rileva l’ISTAT. Rispetto al III trimestre 2013, segnali di miglioramento si registrano sia nel comparto immobiliare a uso abitazione e accessori (+3,7%), sia nel comparto economico (+4,8%). Le convenzioni notarili per compravendite immobiliari a uso economico fanno registrare aumenti significativi nelle Isole (+17,7%) e al Centro (+16,6%), mentre al Nord-Ovest (+1,4%) e al Nord-Est (–3,6%) risultano inferiori alla media nazionale. Nel III trimestre 2014, gli Archivi notarili registrano aumenti del 4,8% nel comparto abitativo (+2,8% negli Archivi con sede in altre città) e del 14,7% nel comparto economico (–0,9% nelle altre città). Nel III trimestre, i mutui, i finanziamenti e le altre obbligazioni con costituzione di ipoteca (66.350) registrano un forte aumento (+13,9%, per un totale di 66.350 mutui). In nove mesi, la crescita è pari al 7,8% per un totale di 201.079 convenzioni rogate. Importanti segnali di recupero in tutte le ripartizioni geografiche, in particolare al Sud (+22,6%) e nelle Isole (+21,8%). La crescita dei mutui e degli altri finanziamenti con costituzione di ipoteca immobiliare osservata negli Archivi dei grandi centri (+16,1% su anno) è stata maggiore di quella registrata nei centri più piccoli (+12,4%). (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 17 febbraio 2015)

Nel III trimestre 2014 più compravendite ma settore debole

Il numero di compravendite immobiliari è cresciuto, ma il settore delle costruzioni resta debole. Si legge nel Bollettino economico di Bankitalia. In particolare, si sottolinea, nel III trimestre del 2014 il numero di compravendite di abitazioni ha segnato un deciso rialzo, pur collocandosi ancora poco al di sopra dei livelli minimi toccati nel 2013. Le transazioni sono aumentate in misura marcata anche nel comparto non residenziale. Nello stesso periodo è proseguita, pur attenuandosi, la flessione dei prezzi delle case in atto dalla fine del 2011. In ottobre la produzione nel settore delle costruzioni, valutata nelle medie mobili di tre termini, è aumentata dello 0,9%. I giudizi sulle prospettive a breve termine delle imprese del comparto restano improntati al pessimismo. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 17 febbraio 2015)

 

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Costo di costruzione di un fabbricato residenziale: +02% a dicembre Nel mese di dicembre 2014 l'indice del costo di costruzione di un fabbricato residenziale rimane invariato rispetto al mese precedente e aumenta dello 0,2% nei confronti di dicembre 2013. In media annua l'indice per il 2014 diminuisce dello 0,2% rispetto all'anno precedente. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 24 febbraio 2015)

Immobili

Nuovo libretto per impianti termici. Il termine per l'adempimento slitta al 31 dicembre 2015

Per l'integrazione del libretto impianti, il differimento del termine, si è reso indispensabile a causa degli adempimenti da presentare. Il Milleproroghe. Il provvedimento, Legge 27 febbraio 2015, n. 11 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative) è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n.49 del 28-2-2015. Lo slittamento. Durante l’esame parlamentare è stato aggiunto il comma 2-bis che ha differito al 31 dicembre 2015 il termine, scaduto il 25 dicembre 2014 (come previsto dall’articolo 11, comma 7 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91), per l’espletamento degli adempimenti come previsto dall'articolo 284, comma 2, del D.Lgs. 152/2006, (Codice dell’ambiente) relativi all'integrazione del libretto di centrale degli impianti termici civili. Il motivo. Il differimento, si legge nel dossier diramato dal Senato, si è reso indispensabile in quanto tra gli adempimenti da presentare, figura un atto in cui si dichiara che l’impianto è conforme a determinate caratteristiche tecniche le quali però erano state eliminate in seguito all’entrata in vigore del comma 52 dell’articolo 34 del decreto-legge 179/2012 e che poi sono state reintrodotte con il comma 9 dell’articolo 11 del citato D.L. 91/2014. Gli adempimenti. Sulla base delle indicazioni del succitato art. 284, co. 2, del D.Lgs. 152/06, il Libretto di Centrale degli impianti termici civili aventi potenza maggiore o uguale a 35 kW, deve essere integrato, dal responsabile dell'impianto, da una dichiarazione attestante che l'impianto è conforme alle caratteristiche tecniche di cui all'art. 285 di detto D.Lgs. 152/06 ed è idoneo a rispettare i valori limite di emissione di cui all'art. 286 del medesimo decreto; inoltre, va integrato anche con l’elenco delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie ad assicurare il rispetto dei valori limite di emissione e la perfetta efficienza dell’impianto. Con il D.Lgs. 24 giugno 2014, n. 91 (art. 11), gli adempimenti relativi all’integrazione del Libretto di Centrale per gli impianti termici civili, se non espletati in precedenza, andavano effettuati entro 6 mesi dall’entrata in vigore del decreto stesso (sempre nei 30 gg. successivi, andava fatta obbligatoriamente trasmissione all’Autorità competente). Ora il termine slitta ulteriormente al 31 dicembre 2015. I controlli. Ricordiamo che questi nuovi libretti vanno approntati sia per i tradizionali impianti termici per il riscaldamento degli ambienti (pompe di calore, impianti solari o di teleriscaldamento), sia per quelli adibiti alla climatizzazione estiva e gli inquilini o proprietari o terzi responsabili dell’impianto, dovranno preoccuparsi di registrarvi gli impianti installati nelle unità immobiliari, nonché i livelli di efficienza e i risultati della diagnosi completa che verifica anche i livelli di sicurezza, salubrità e igiene. I controlli e gli interventi di manutenzione dovranno essere obbligatoriamente affidati a personale tecnico qualificato e dotato di adeguati requisiti professionali e in tal caso il Libretto va aggiornato sistematicamente, riportando ogni

 

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singolo intervento di controllo o verifica (compresi gli eventuali interventi manutentivi) e poi il tutto trasmesso al Catasto Regionale Impianti. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 2 marzo 2015)

Contratti di rent to buy. Disciplina fiscale

L'Agenzia delle Entrate con circolare 19.2.2015, n. 4 fornisce chiarimenti in merito alle aliquote e alle modalità di tassazione del nuovo schema contrattuale rent to buy, vale a dire il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili (art. 23, D.L. 12.9.2014, n. 133, conv. con modif. dalla L. 11.11.2014, n. 164). Disciplina fiscale: il trattamento fiscale da applicare al canone corrisposto dal locatario si diversifica tenendo conto della funzione specifica per la quale le somme sono pagate dall'affittuario al proprietario: per il godimento dell'immobile o come acconto sul prezzo finale di trasferimento. Nel primo caso si applicano le norme previste per i contratti di locazione, sia dal lato delle imposte dirette che da quello delle imposte indirette; nel secondo caso invece per la quota di canone versata come anticipazione del corrispettivo pattuito per la vendita si applicano le norme previste per gli acconti prezzo. Trattamento Iva: i canoni di locazione versati per il godimento dell'immobile abitativo sono esenti da Iva, salvo il caso in cui il concedente sia un'impresa di costruzione o di ripristino e opti per il regime di imponibilità Iva. L'esenzione si applica anche ai canoni di locazione versati per immobili strumentali, con la possibilità di optare per il regime di imponibilità da parte di tutti i soggetti passivi (non solo le imprese di costruzione o di ripristino). Proprietario/concedente non in regime d'impresa: se il venditore è un soggetto Irpef privato, alla quota di canone per la concessione in godimento si applica la disciplina dei redditi fondiari e l'imposta di registro è proporzionale (2%), sia per gli immobili abitativi che strumentali. Resta ferma, se sussistono i presupposti, la possibilità di optare per la cd. cedolare secca. Il corrispettivo per il trasferimento dell'immobile è tassato come plusvalenza realizzata mediante cessione a titolo oneroso di immobili, se la stessa avviene entro 5 anni dall'acquisto. Alle quote di canone incassate come accontoprezzo si applica la disciplina dei redditi diversi ed esse diventano imponibili al momento della cessione effettiva dell'immobile. (Il Sole 24ORE – Tecnici24, 25 febbraio 2015)

Per il creditore niente spese durante il pignoramento

Chi sta pignorando un appartamento in condominio deve pagarne le spese. Questo, almeno, sembrava l’orientamento unanime della giurisprudenza, almeno sino alla sentenza del 24 ottobre 2014 del Tribunale di Napoli. Ma andiamo in ordine. Secondo la Cassazione (sentenza 2875/1976) le spese di manutenzione dei beni pignorati gravano sul creditore procedente e, in caso di inerzia, sul nominato custode. Che dovrà sostenere personalmente l’esborso richiedendone la restituzione in fase di liquidazione. La stessa sentenza precisa come sia compito del custode, quando non si possa custodire senza spese, richiedere al Giudice il provvedimento che obblighi il creditore a depositare le somme. Ma con ordinanza del 24 ottobre 2014 il Tribunale di Napoli rileva, invece, come «il creditore ha diritto di espropriare i beni del debitore nello stato in cui si trovano, senza dover sopportare alcun onere economico per la previa esecuzione di opere volte a salvaguardare l’integrità dell’immobile o il suo valore di realizzo».

 

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Il Giudice, nel precisare come, anche in presenza di pignoramento, il diritto di proprietà rimanga in capo al solo debitore esecutato, rileva che, anche quando il bene pignorato è fonte di pericolo per l’incolumità pubblica e/o privata, la responsabilità per gli eventuali danni causati a terzi dalla rovina del bene, sia solo ed esclusivamente del proprietario. In caso di pericolo per l’incolumità pubblica i lavori di straordinaria manutenzione dovranno essere eseguiti dal debitore e, se inerte, la competente autorità attiverà la procedura di esecuzione in danno. Per il Giudice napoletano per la conservazione e manutenzione degli impianti e delle strutture murarie, anche in presenza del custode giudiziario, unico responsabile per la messa in sicurezza rimane il solo proprietario. Il Giudice di Napoli, pertanto, dopo aver rilevato come spetti al custode l’ordinaria amministrazione del bene e la gestione passiva degli immobili (accantonamento dei frutti prodotti dal bene), ha disposto che il custode informasse l’esecutato perché effettuasse le opere di straordinaria manutenzione nonché sollecitasse il creditore ad anticipare eventualmente le somme. Nulla vieta, infatti, al procedente, a ciò debitamente autorizzato, di farsi carico delle spese nell’ottica di realizzare dalla vendita un maggior ricavo così come è possibile, per quanto improbabile, che le spese trovino copertura nei frutti prodotti dal bene. Un ruolo fondamentale nei procedimenti immobiliari è infatti rivestito dal custode giudiziario. Non deve solo mantenere e conservare, ma anche salvaguardare il valore del bene, porre in essere una gestione atta ad incrementare le potenzialità economico-funzionali del compendio nonchè adottare una liquidazione finalizzata alla miglior collocazione sul mercato. Ha anche diritto di partecipazione e di voto – e il corrispondente diritto di impugnazione - nelle assemblee condominiali senza preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione. Se oggetto dell’assemblea sono, invece, opere di straordinaria manutenzione, innovazioni, eccetera, il custode dovrà necessariamente e preventivamente munirsi dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per poter presenziare e votare. (Chiara Magnani, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)

Condominio

La multa «vecchia» va cambiata

Dopo un lungo oblìo la riforma del condominio (legge 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013) ha risuscitato la multa per le violazioni al regolamento condominiale che il Codice civile aveva previsto originariamente ma che poi, nel concreto, aveva perso ogni possibilità di effettiva applicazione. Ora invece ci sono sanzioni sino a 200 euro ma, in concreto, come funzioneranno? E come si possono applicare quando este già un vecchio regolamento che prevede una sanzione? La norma interessata è l’articolo 70 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile. Nel Codice del 1942 veniva stabilito che per le infrazioni al regolamento di condominio poteva essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento. Questo importo, non venendo mai aggiornato, di fatto, al momento della riforma, corrispondeva a 5 centesimi di euro e quindi era irrilevante. E le sentenze avevano chiarito che nemmeno all’unanimità (cioè, “contrattualmente”), i condòmini potevano aggiornare l’importo di lire 100 trattandosi di “nullità” per contrarietà a legge. Così con la riforma si è posto rimedio a tale situazione, modificando l’articolo 70 delle Disposizioni che, nel nuovo testo, dispone che «per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in

 

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caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l’amministratore dispone per le spese ordinarie. L’irrogazione della sanzione è deliberata dall’assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell’articolo 1136 del codice». L’amministratore A questo punto va osservato che viene eliminata la legittimazione dell’amministratore di condominio rispetto all’irrogazione della “multa”. Con l’intervento della nuova norma, tale soggetto ne risulta del tutto esautorato, essendo solo l’assemblea, con delibera a maggioranza qualificata (la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500 millesimi), l’organo competente ad assumere la relativa decisione. Detta modifica rende più complicata l’irrogazione (anche se, in effetti, consente una scelta più meditata), permanendo comunque la necessità che la previsione di una sanzione sia contenuta nel regolamento di condominio (infatti è scritto nella norma che «può essere stabilito»). Gli importi La norma nulla dice sulla possibilità, o meno, di “personalizzare” gli importi della sanzione (se, per esempio, è possibile stabilire una multa oltre l’importo di euro 200,00); questione che, in applicazione dei princìpi ante riforma, dovrebbe essere risolto nel senso dell’impossibilità di stabilire (neppure contrattualmente) un aumento della sanzione. Del resto il legislatore si è dimenticato anche di stabilire la conservazione (o meno) dell’efficacia dei “vecchi” regolamenti di condominio, già vigenti al 18 giugno 2013 (entrata in vigore della riforma del condominio), contenenti una clausola di semplice richiamo all’articolo 70 delle Disposizioni (cioè priva dell’indicazione al precedente importo di lire 100). In questo caso le differenze tra le due versioni dell’articolo 70 (prima e dopo la riforma) consigliano, anche solo per mera cautela, di ritenere automaticamente inefficace la vecchia clausola, considerando anche che l’articolo 155 delle Disposizioni già prevedeva tale automatismo. E quindi occorre stabilire una nuova clausola, con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno 500 millesimi. Discorso analogo quando invece il regolamento prevede espressamente un importo sino a 100 lire, che va comunque cambiato, sempre con la stessa maggioranza. IN SINTESI 01 COME FUNZIONA La “nuova” multa dell’articolo 70 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile deve essere contemplata in un’apposita clausola del regolamento di condominio; è prevista per le infrazioni dei doveri e degli obblighi contenuti nel regolamento 02 IRROGAZIONE L’amministratore non ha competenza diretta alla relativa irrogazione, quindi, solo l’assemblea può comminarla 03 LA MAGGIORANZA La decisione assembleare deve essere assunta con una maggioranza “qualificata”: la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500 millesimi 04 L’IMPUGNAZIONE Il singolo condomino che contesta l’irrogazione a suo carico della sanzione deve necessariamente proporre impugnazione della relativa deliberazione assembleare davanti all’Autorità giudiziaria (ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile) 05 VECCHI REGOLAMENTI

 

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Sui regolamenti già esistenti, invece, la soluzione sembra quella di una nuova delibera dell’assemblea (approvata con la maggioranza degli intervenuti, che rappresenti almeno 500 millesimi), con la quale si decida di adottare un nuovo importo per la sanzione (Luigi Salciarini, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)

Sì ai passi carrai blocca-estranei Con sentenza 3509, depositata ieri, la Cassazione interviene nel regolare una questione sorta all’interno di un Supercondominio, che aveva con delibera assembleare deliberato la chiusura (anche diurna) agli estranei dei cancelli carrai di accesso alle aree comuni dei condomìni facenti parti del complesso immobiliare. Il ricorrente lamentava il grave danno causato da tale delibera alla propria attività commerciale di autofficina. Il Tribunale di Milano decideva a sfavore del ricorrente ma la Corte d’appello constatava come la delibera incriminata era da considerare illecita in quanto emessa in violazione del dettato dell’articolo 1120 del Codice civile, secondo comma, che vieta le innovazioni che (come nel caso esaminato) «rendono talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino». Ma la Cassazione ha dato ragione al supercondominio, in quanto l’apposizione di due cancelli per il transito pedonale e per il passaggio veicolare «non comportando alcun mutamento di destinazione delle zone condominiali ed essendo anzi dirette a disciplinare in senso migliorativo l’uso della cosa comune», non rientrerebbero nelle innovazioni . Occorre rilevare come la Corte Suprema abbia di fatto giudicato un caso che vedeva due interessi chiaramente contrapposti: quello del supercondomino a disciplinare meglio gli ingressi nell’area comune, e quello del gestore l’attività commerciale, a non vedere diminuire la propria clientela a causa delle accresciute difficoltà di accesso ai locali. Resta tuttavia difficile sostenere che la delibera non sia fortemente peggiorativa rispetto all’uso della cosa comune che sino ad allora esercitava il condominio ricorrente. (Enrico Morello, Il Sole 24ORE – Norme e Tributi, 24 febbraio 2015)

Non ci si può nascondere dietro a una siepe. Inutile invocare la tutela della privacy per non rimuovere la siepe a ridosso del confine

Alberi di alto fusto e siepi piantate ad una distanza inferiore da quella prescritte dal codice civile devono essere rimossi o comunque mantenuti ad un’altezza tale da non recar disagio al fondo confinante. Il caso. L'amministratore di un condominio, faceva causa ai suoi vicini per ottenere la rimozione o l’arretramento di alcuni alberi e siepi piantate a ridosso del confine. I proprietari delle piante chiarivano di avere ottenuto per usucapione il diritto di tenerle ad una distanza inferiore a quella legale. Dopo che il giudizio di appello condannava i proprietari degli alberi e delle siepi a una complessa opera di arretramento e potatura, quelli ricorrevano in Cassazione. Qual è la giusta distanza che deve intercorrere tra alberi e confine? Per rispondere a tale domanda bisogna rifarsi all’art. 892 c.c., che rimanda ai regolamenti e, in loro mancanza, agli usi locali, dando dunque la precedenza alla normativa di rango regolamentare. Operando una distinzione tra alberi di alto fusto, alberi che tali non sono e siepi, la norma specifica anche le modalità di calcolo delle distanze. Tuttavia, l'art. 892 c.c., mentre spiega che cosa debba

 

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intendersi per albero di alto fusto e per albero che non è di alto fusto, tace rispetto a quello che debba intendersi per siepi vive, rimandando al significato comune del termine. Una questione di altezza. La Corte di Cassazione, ritenendo i motivi di ricorso inammissibili, in quanto troppo generici, ha richiamato la sentenza n. 2865/2003 la quale specifica, che gli alberi di alto fusto, secondo la botanica, sono quelli il cui tronco sia più alto di tre metri, e per tali motivi devono essere piantati a non meno di tre metri dal confine, rispetto a quanto stabilito dall'art. 892, n 1, c.c. La morfologia del terreno. Un'altra lamentela del ricorrente riguardava il fatto che l'ordine di tagliare le siepi non tenesse affatto in considerazione che l'andamento del terreno non era lineare e pertanto la siepe non si sarebbe mai potuta effettivamente uniformare. Ma, ancora una volta, la Cassazione non ha condiviso le argomentazioni del ricorrente, dato che la normativa civilistica si riferisce all'altezza di ciascuna pianta, prescindendo dalla morfologia dei terreni sui confini. Funzione delle siepi. Infine, la sentenza specifica che le siepi, pur avendo varie funzioni, non hanno come funzione principale quella della tutela della riservatezza. Si tratta di strutture vegetali che servono a difendere l’habitat, a riparare dal vento, a proteggere i terreni dall’erosione e a consolidare il fondo con le loro radici. E non si deve dimenticare il contributo che offrono nel trattenere le polveri, le sostanze inquinanti e le immissioni. Spesso, poi, costituiscono anche recinzione fisica. Insomma, non hanno una correlazione necessaria con la riservatezza. E la normativa sulle distanze minime dal confine punta a evitare l’intrusione nella proprietà altrui di rami e radici, proprio come risulta avvenuto nel caso di specie. Conclusioni. Alla luce delle precedenti considerazioni la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3232 del 18 febbraio 2015, ha stabilito che sia gli alberi ad alto fusto sia le siepi, piantate ad una distanza dal confine inferiore a quella prescritta dall’art. 892 c.c., devono essere rimossi o almeno avere un’altezza che non provochi disagio al fondo confinante. Merito della sentenza è quella di aver fornito delle specifiche rispetto alla nozione di albero di alto fusto, e sulla funzione delle siepi. (Ivan Meo, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 23 febbraio 2015)

È lecita una sbarra sulla servitù di passaggio «L'apposizione di un cancello di agevole apertura, non configura spoglio o molestia ma costituisce un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori dovendo al riguardo ritenersi del tutto irrilevanti le ragioni soggettive che abbiano spinto i resistenti alla collocazione del cancello». Nella fattispecie sottoposta di recente all'attenzione della Corte di Cassazione (sentenza 1584/2015) si trattava di un sbarra collocata su un'area condominiale (sulla quale insisteva una servitù di passaggio) la cui apposizione veniva contestata da un negoziante perché, a suo dire, la stessa impediva o rendeva più difficoltoso l'acceso ai clienti. Riteneva pertanto leso il suo diritto di servitù di passaggio e ne richiedeva la tutela possessoria in quanto ciò costituiva spoglio o turbativa. Sosteneva, inoltre, che la facoltà di chiudere il fondo fosse riconosciuta solo al proprietario del fondo servente e non anche al titolare di un diritto reale minore (diritto di servitù di passaggio di cui era titolare anche il condominio che aveva deliberato di apporre la sbarra) con la conseguenza che doveva ritenersi vietato, al titolare ovvero al possessore di una servitù, di apportare qualsiasi innovazione rispetto all'estensione ed alle modalità di esercizio della stessa.

 

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La Corte nel ribadire quanto già espresso in altre simili fattispecie, ha precisato che non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce spoglio o turbativa, "essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l'esercizio del possesso (Cass. n. 11036 del 2003; Cass. n. 1743 del 2005), circostanza che non aveva riscontrato nella fattispecie. I giudici di legittimità, tenuto conto che dall'accertamento effettuato dal giudice di merito "la barra automatizzata in questione, munita di un citofono senza fili avente centralina con pulsante di chiamata accessibile anche a soggetti a bordo di sedia a rotelle e cordless di risposta, poteva essere aperta con telecomando", respingevano la domanda di rimozione formulata dall'attore in quanto" la sbarra non apportava apprezzabile menomazione del passaggio esercitato dai potenziali clienti della ricorrente" e quindi non sussisteva alcuna turbativa nell'esercizio del diritto di servitù. (Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 19 febbraio 2015)

Condominio parziale: configurabile anche nel caso di corridoio posto al servizio soltanto di alcuni appartamenti

In tema di condominio negli edifici, l’art. 1117 cod. civ. contiene un’elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale. Nel quale ultimo caso, inverandosi l’esistenza di un c.d. “condominio parziale”, deve ritenersi nulla, per violazione della norma imperativa di cui all’art. 1118, 2° comma, cod. civ., la clausola del contratto di vendita di una singola unità immobiliare che escluda la coeva cessione della comproprietà su una o più cose comuni. Il principio di diritto è stato espressamente enunciato dalla Suprema Corte in una recente sentenza con la quale è stata cassata con rinvio la pronuncia impugnata (cfr., Cass. civ. Sez. II, Sent. 29 gennaio 2015, n. 1680, Pres. Piccialli, Rel. Manna, P.M. Russo). Il giudice di legittimità, precisa la sentenza, è interpellato su due questioni sequenziali: la prima, se e a quali condizioni il corridoio di accesso ad alcune unità immobiliari di un fabbricato condominiale possa considerarsi parte comune ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., (nel testo anteriore alle modifiche di cui alla legge n. 220/2012); in caso affermativo, se si possa escludere il trasferimento della comproprietà pro quota in occasione della vendita di unità immobiliari al cui servizio esso sia destinato. Sulla prima questione va premesso, specifica la Cassazione, che l’art. 1117 cod. civ. contiene un’elencazione non tassativa ma solo esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un’oggettiva e concreta destinazione al servizio comune (cfr., Cass. civ. n. 6175/2009). Tanto premesso, si ribadisce che l’art. 1117 cod. civ. non stabilisce una presunzione legale di comunione per le cose in esso indicate nei nn. 1, 2 e 3, ma dispone che detti beni sono comuni a meno che non risultino di proprietà esclusiva in base ad un titolo; e che il criterio d’individuazione delle cose comuni dettato da tale norma non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (cfr., Cass. civ. S.U. n. 7449/1993). Servizio esclusivo che, ove riferito non ad una sola, ma a più unità immobiliari, dà luogo al c.d. “condominio parziale”, a sua volta configurato nella giurisprudenza anche con riferimento al caso di corridoi posti al servizio soltanto di talune delle unità immobiliari condominiali. Non senza puntualizzare, specifica la S.C., che il c.d. condominio parziale non possiede una autonomia perfetta, distinta e separata da quella relativa al condominio avente ad oggetto l’intero fabbricato, ma costituisce null’altro che una situazione configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, in ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni condomini (cfr., Cass. civ. n. 2363/2912, che difatti ne ha escluso l’autonoma legittimazione in giudizio).

 

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Quanto al secondo interrogativo, la Corte regolatrice osserva che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un appartamento sito in un edificio in condominio, con la quale sia esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comuni dell’edificio stesso, deve ritenersi nulla, poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condomino alle dette parti comuni, vietata dal capoverso dell’art. 1118 cod. civ. Infatti, se si considerasse valida la vendita che escluda un diritto condominiale, si inciderebbe sulle quote millesimali, in violazione del comma 1° dell’art. 1118 cod. civ. E’ pacifico in dottrina ed affermato anche in giurisprudenza (cfr., Cass. civ. n. 561/1970) che in materia di determinazione del valore dei piani o delle porzioni di piano rispetto a quello dell’edificio, da cui dipende la proporzione nei diritti e negli obblighi dei condomini, l’assemblea dei condomini non dispone di alcun potere, non essendo materia di deliberazione l’accertamento di uno stato di fatto. Ed è chiaro, conclude la decisione in esame, che ciò che non può disporre l’assemblea condominiale non può nemmeno essere realizzato da un singolo condomino, il quale, pertanto, non può alienare la propria unità immobiliare separatamente dai diritti sulle cose comuni. Corte di cassazione, Sezione II, Sentenza del 29/01/2015 n. 1680 Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 1117 Cod. Civ. art. 1118 Cod. Civ. art. 1123 Cod. Civ. art. 1362 Cod. Civ. art. 1470 Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione civile, Sez. II, sentenza 17 febbraio 2012, n. 2363 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 24 novembre 2010, n. 23851 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 10 luglio 2007, n. 21246 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 28 aprile 2004, n. 8136 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 29 maggio 1995, n. 6036 Cassazione civile, Sez. Un, sentenza 7 luglio 1993, n. 7449 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 25 luglio 1977, n. 3309 Cassazione civile, Sez. II, sentenza 6 marzo 1970, n. 561 (Federico Ciaccafava, Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 10 febbraio 2015)

L'omessa manutenzione non legittima il condomino ad eseguire a sue spese lavori sulle parti comuni

Il singolo condomino non può provvedere autonomamente, senza autorizzazione, a realizzare interventi innovativi sulle parti comuni per superare gli inconvenienti che penalizzano la sua proprietà esclusiva. E ciò anche in presenza di una palese inerzia o trascuratezza nella cura e manutenzione degli impianti comuni da parte dell’amministratore o dell’assemblea. È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 1898/2015, pubblicata il 3 febbraio scorso, con la quale è stata conferma la condanna alla rimessione in pristino delle opere realizzate dal condomino su alcune parti comuni inerenti il riscaldamento centralizzato, trattandosi di innovazioni che richiedevano la preventiva autorizzazione dell’assemblea. Non risulta provata l’avvenuta segnalazione all’assemblea o all’amministratore degli inconvenienti che si sarebbero manifestati a causa del cattivo funzionamento dell’impianto. In ogni caso, osserva la Corte, l’eventuale trascuratezza nella manutenzione dell’impianto non giustifica il condomino a “farsi giustizia da sé”. Anche perché il condomino, se avesse davvero subito gli inconvenienti lamentati, avrebbe potuto comunque rivolgersi ai vigili del fuoco per far sospendere il funzionamento dell’impianto di riscaldamento.

 

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Il condomino in questione non era comproprietario dell’impianto centralizzato di riscaldamento, essendo dotato di riscaldamento autonomo. Anche per questo, forse, decideva di far chiudere, a sue spese, un’intercapedine della canna fumaria che, a suo dire, causava danni al suo appartamento. A seguito dei lavori, però, la centrale termica risultava messa in comunicazione diretta con la sala contatori elettrici, costringendo il condominio a sospendere il servizio dell’impianto termico per assenza delle condizioni di sicurezza richieste dalla legge. Nel giudizio di merito, avviato su iniziativa del Condominio, il proprietario veniva condannato alla rimessione in pristino dei luoghi. Veniva infatti accertato che le modifiche all’impianto termico non solo erano state eseguite senza autorizzazione o delega dell’assemblea, ma anche senza il preventivo intervento delle autorità competenti e, soprattutto, non consentivano più l’uso dell’impianto secondo le norme vigenti per la prevenzione incendi. Contro la sentenze di condanna il condomino ha proposto ricorso in cassazione, sostenendo che i lavori in questione, eseguiti a sue spese e senza chiedere alcun rimborso, rientrerebbero nell’uso consentito delle parti comuni ex art. 1102 c.c. Si tratterebbe di interventi per migliorare il godimento dell’impianto in considerazione del suo cattivo funzionamento, realizzabili quindi anche senza autorizzazione. Tali interventi, infatti, non avrebbero mutato la destinazione della cosa comune e nemmeno sarebbero stati in alcun modo la causa del non uso dell’impianto di riscaldamento da parte degli altri condomini. Ma per la Corte di Cassazione le cose non stanno così. In realtà, i lavori eseguiti configurano delle innovazioni ex art. 1120 c.c., realizzate illegittimamente senza delega condominiale su beni che in larga parte sono di proprietà comune. Gli ermellini osservano che la disciplina dell’art. 1102 c.c. trova applicazione nelle sole ipotesi di comproprietà del bene comune. In particolare, affinché possa operare il c.d. diritto condominiale, è necessario che sussista una relazione di accessorietà fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l’edificio in comunione, nonché un collegamento funzionale fra i primi e le unità immobiliari di proprietà esclusiva. Nella specie, risulta invece che il ricorrente non fosse comproprietario dell’impianto centralizzato di riscaldamento su cui è illegittimamente intervenuto. Manca inoltre la prova che l’interessato abbia segnalato subito gli inconvenienti lamentati all’assemblea o, anche soltanto informalmente, all’amministratore. L’inerzia dell’una e dell’altro per quanto attiene alla manutenzione dell’impianto non risulta dunque dimostrata. Né risultano segnalazioni o richieste d’intervento rivolte al competente comando dei vigili del fuoco. In ogni caso, l’iniziativa del singolo condomino si risolve in un’alterazione della destinazione dell’area, tant’è che l’impianto di riscaldamento era stato successivamente bloccato dai vigili del fuoco proprio perché l’abbattimento dell’intercapedine esponeva i locali al rischio di incendio. (Il Sole 24 ORE – Tecnici24, 10 febbraio 2015)

Edilizia e Urbanistica

Niente veranda sul piano attico del condominio se lede il decoro architettonico Proprietaria condannata alla rimozione del manufatto per violazione del regolamento condominiale e del decoro dell’edificio. In tema di condominio negli edifici, l’art. 1122 c.c., vietando a ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, di eseguire opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, pone il limite agli interventi che il singolo condomino può effettuare sulle cose di proprietà esclusiva.

 

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Per comprendere in cosa consiste il danno (ex art. 1122 cit.) che preclude la possibilità di eseguire l'opera sulla porzione esclusiva è doveroso far ricorso all'art. 1120, comma 4, c.c., norma che ha individuato gli interessi condominiali che non possono essere lesi neppure con le innovazioni deliberate a maggioranza dall'assemblea condominiale. Questo, infatti, è il percorso logico che giustifica l'applicabilità dell'art. 1120 c.c. alle attività del singolo su cosa propria, comunque finalizzate all'uso più intenso della cosa comune. Di ciò si è reso consapevole anche il legislatore della riforma (legge 11 dicembre 2012 n. 220), che ha completato l'art. 1122 c.c., recependo nel testo novellato l'insegnamento giurisprudenziale che aveva già interpretato la norma nel senso esposto. È questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 2109 del 5 febbraio 2015, ha confermato la condanna della condomina alla rimozione della veranda coperta realizzata sul terrazzo di sua proprietà per violazione del decorso architettonico dell’edificio. Il fatto. Il condominio agiva in giudizio per la rimozione della veranda di circa 16 mq adibita a camera da letto, costruita dalla proprietaria del terrazzo sul piano attico dell’edificio. La condomina si era opposta alla domanda, negando l’efficacia contrattuale del regolamento e ritenendo l’opera assolutamente non lesiva del decoro architettonico. Inoltre, mancava la prova di un effettivo danno al decoro del fabbricato. Condannata sia in primo che in secondo grado, la condomina ha riproposto le medesime eccezioni anche dinanzi alla Corte di Cassazione, sottolineando altresì come il giudice non avesse ricercato soluzione alternative all’ordine di demolizione della veranda. La suprema Corte, tuttavia, ha confermato la sentenza di merito. Quanto all’effettiva lesione del decoro architettonico, per gli Ermellini essa emerge chiaramente dalla descrizione del fabbricato contenuta nella CTU espletata durante il giudizio di primo grado. Le caratteristiche della veranda, infatti, erano tali da compromettere le linee architettoniche e l’aspetto armonico del fabbricato, giacché il manufatto nulla aveva a che fare con il progetto originario dell’edificio, era stato realizzato in maniera del tutto occasionale ed era ben visibile sulla facciata principale. Il giudice non è tenuto a ricercare soluzioni alternative alla rimozione. Secondo la Corte, una lesione di gravità così evidente esimeva del tutto dalla ricerca di eventuali misure alternative alla demolizione, non essendovi peraltro alcuna norma di legge che vincoli il giudice alla ricerca di esse prima di ordinare la rimozione delle opere lesive del decoro architettonico. E neanche le parti, osserva ancora la Corte, hanno indicato o proposto soluzioni alternative. Il nuovo articolo 1122 c.c. La veranda oggetto di giudizio rientra tra gli interventi sulla porzione di piano di proprietà comune, disciplinate dall’art. 1122 c.c. come novellato dalla legge di riforma del condominio. Tali opere, così come quelle realizzate sulle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, devono essere realizzate in modo da non arrecare danno alle parti comuni ovvero determinare pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. Il concetto di danno ex art. 1122 c.c., come si diceva in apertura, si ricava dall’art. 1120 c.c. in tema di innovazioni, con riferimento a quelli interessi - quali appunto il decoro architettonico - che non possono essere lesi neppure con le innovazioni deliberate a maggioranza dall’assemblea dei condomini (Cass. civ. 18350/2013). (Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 12 febbraio 2015)

 

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Da demolire la camera da letto in terrazza La veranda in alluminio e lamiera adibita a camera da letto ed edificata abusivamente sulla terrazza di un palazzo a due passi da San Pietro reca un’offesa al decoro che può essere sanata solo dalla demolizione. La Cassazione, con la sentenza 2109, conferma l’ordine di demolizione di una veranda che la proprietaria era decisa a mantenere, negando la disarmonia con l’edificio e giocandosi anche la carta della prescrizione: la stanza era stata costruita, nell’86 da un precedente proprietario. Per i giudici però l’unica soluzione è il “piccone”. Una scelta quasi “dettata” dalla perizia. Secondo il consulente il corpo di fabbrica nulla aveva a che fare con la composizione prevista dal progettista, era posto in maniera occasionale e incombeva sulla facciata principale. La grave lesione, desumibile già dalla tecnica di costruzione, risparmiava al giudice l’obbligo di trovare un accomodamento meno radicale della demolizione, come chiesto dalla proprietaria della camera “con vista”. L’opera, spiegano i giudici, rientra nella nozione di intervento sulla porzione di piano di proprietà personale, perché riguarda un bene esclusivo, come quelli menzionati nell’articolo 1122 del Codice civile, che non può essere modificato in danno della cosa comune. E il danno va individuato in base all’articolo 1120 che indica gli interessi dei condomini che non possono essere lesi neppure con le innovazioni votate dalla maggioranza dell’assemblea: tra queste ci sono quelle che pregiudicano stabilità e decoro architettonico dell’edificio. Un’indicazione recepita anche dal legislatore che, con la riforma del condominio, ha completato l’articolo 1122 recependo l’insegnamento espresso anche in questa occasione dalla giurisprudenza. (Il Sole 24 ORE – Norme e Tributi, 6 febbraio 2015)

 

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Legge e prassi

(G.U. 2 marzo 2015, n. 50)

Economia, Fisco MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 29 dicembre 2014 Adeguamento dei canoni di abbonamento alle radiodiffusioni, per l'anno 2015. (G.U. 06 febbraio 2015, n. 30) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 28 gennaio 2015 Azioni di supporto specialistico finalizzato all'efficiente funzionamento dei sistemi di gestione e controllo degli interventi cofinanziati nel periodo di programmazione 2014/2020. (Decreto n. 1/2015). (G.U. 09 febbraio 2015, n. 32)

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 23 dicembre 2014 Autorizzazione alla Cassa depositi e prestiti S.p.a. a fornire, a condizioni di mercato, la provvista necessaria per effettuare operazioni di finanziamento destinate al sostegno dell'internazionalizzazione delle imprese e delle esportazioni. (G.U. 12 febbraio 2015, n. 35)

MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI DECRETO 11 dicembre 2014 Criteri e modalità applicative per la prestazione di garanzie. (G.U. 12 febbraio 2015, n. 35)

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE COMUNICATO Conto riassuntivo del Tesoro al 30 novembre 2014. Situazione del bilancio dello Stato. (G.U. 13 febbraio 2015, n. 36) ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI PROVVEDIMENTO 27 gennaio 2015 Modifiche ed integrazioni al regolamento n. 7 del 13 luglio 2007, concernente gli schemi per il bilancio delle imprese di assicurazione e di riassicurazione che sono tenute all'adozione dei principi contabili internazionali di cui al titolo VIII (bilancio e scritture contabili), capo I (disposizioni generali sul bilancio), capo II (bilancio di esercizio), capo III (bilancio consolidato) e capo V (revisione contabile) del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - codice delle assicurazioni private. (Provvedimento n. 29). (G.U. 14 febbraio 2015, n. 37) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO

 

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Avviso di sospensione dello sportello per il Bando per la concessione di agevolazioni alle imprese per favorire la registrazione di marchi comunitari e internazionali. (15A01207) (G.U. 20 febbraio 2015, n. 42)

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 19 dicembre 2014 Indennizzo alle imprese per i danni subiti in conseguenza di delitti non colposi commessi per ostacolare l'attività dei cantieri. (G.U. 23 febbraio 2015, n. 44) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 8 gennaio 2015 Determinazione delle misure del diritto annuale dovuto per l'anno 2015 alle camere di commercio. (G.U. 23 febbraio 2015, n. 44) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA DECRETO 18 giugno 2013 Ammissione alle agevolazioni FAR per il progetto di ricerca e formazione DM62538, presentato ai sensi dell'articolo 13 del decreto 593/2000, a fronte dell'APQ Regione Liguria. (Decreto n. 1151). (G.U. 26 febbraio 2015, n. 47) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 24 dicembre 2014 Adeguamento delle disposizioni contenute nel decreto 13 febbraio 2014 concernente programmi di investimento finalizzato al rilancio industriale delle aree di crisi della Campania, alle nuove norme in materia di aiuti di Stato previste dal regolamento (EU) n. 651 del 17 giugno 2014. (G.U. 26 febbraio 2015, n. 47) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 20 febbraio 2015 Modifiche al decreto 23 gennaio 2015 relativo alle modalità e termini per il versamento dell'imposta sul valore aggiunto da parte delle pubbliche amministrazioni. (G.U. 27 febbraio 2015, n. 48) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, DECRETO 24 febbraio 2015 Modificazioni al decreto 26 gennaio 2015 inerente criteri e modalità per il deposito telematico dei titoli della proprietà industriale. (G.U. 27 febbraio 2015, n. 48) LEGGE 27 febbraio 2015, n. 11 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative. (G.U. 28 febbraio 2015, n. 49)

Energia

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE DECRETO 19 gennaio 2015 Modalità di versamento dell'accisa sull'energia elettrica fornita o consumata nella regione Siciliana tramite modello F24, sezione «accise». (G.U. 06 febbraio 2015, n. 30)

 

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MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Approvazione del Piano operativo annuale 2014 della ricerca di sistema elettrico nazionale. (G.U. 06 febbraio 2015, n. 30) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 26 gennaio 2015 Approvazione dei programmi di manutenzione annuali predisposti dai gestori di reti di trasporto di gas naturale, per l'anno termico 2014-2015. (G.U. 12 febbraio 2015, n. 35) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO DECRETO 6 febbraio 2015 Determinazione e modalità di allocazione della capacità di stoccaggio di modulazione per il periodo contrattuale 2015-2016. (G.U. 23 febbraio 2015, n. 44)

Immobili

DECRETO 4 febbraio 2015 Individuazione di beni immobili di proprieta' dell'INPS. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in Latina. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in Tarvisio. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Rovigo. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile in La Spezia. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un'aliquota demaniale in Comeglians. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un sito in Campolongo Tapogliano. (G.U. 11 febbraio 2015, n. 34) AGENZIA DEL DEMANIO, DECRETO 9 febbraio 2015 Individuazione di beni immobili di proprietà dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

 

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(G.U. 17 febbraio 2015, n. 39) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI ACCORDO 18 dicembre 2014 Accordo tra il Governo, le regioni e gli enti locali, concernente l'adozione di moduli unificati e standardizzati per la presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL) e della comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA) per gli interventi di edilizia libera. (Rep. Atti n. 157/CU). (G.U. 19 febbraio 2015, n. 41)

 

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Giurisprudenza

Condominio

Corte di cassazione - Sezione V penale – Sentenza n. 5633, 5 febbraio 2014

Si può dare dell'"incompetente" all'amministratore durante l'assemblea di condominio Definire “incompetente” l’amministratore di condominio in assemblea non configura il reato di ingiuria ex art. 594 c.p. Tale termine, infatti, utilizzato all’interno dello specifico contesto condominiale, è da valutarsi come una legittima critica verso l’operato dell’amministratore.

È quanto deciso dalla quinta sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 5633 del 5 febbraio 2015, ha assolto una condomina nonostante l’inequivoco significato della definizione utilizzata contro l’amministratore.

La vicenda si colloca nel classico contesto dell’assemblea di condominio. Nevi tesi e discussione non proprio tranquilla, volano parole grosse ed una condomina particolarmente agitata rivolge all’amministratore il poco elegante epiteto di “incompetente”.

La cosa non passa inosservata e l’amministratore denuncia la condomina. Per il Giudice di Pace è evidente la lesione provocata al decoro, personale oltre che professionale, dell’amministratore, anche perché il “complimento” veniva riferito in presenza di tutti i partecipanti all’assemblea. La donna veniva dunque ritenuta colpevole del reato di ingiuria e condannata al pagamento di euro 800 di multa, oltre al risarcimento dei danni in favore dell’amministratore. La condanna veniva poi confermata anche dal Tribunale in secondo grado.

Di segno opposto, invece, il parere dei giudici di legittimità, che hanno accolto le difese della condomina ritenendo non configurabile il reato contestato. Risulta decisivo, per la suprema Corte, il contesto in cui si sono svolti i fatti, ossia durante lo svolgimento dell’assemblea di condominio.

Si legge nella sentenza che, avuto riguardo al contesto della discussione condominiale durante la quale è stato utilizzato il termine “incompetente”, lo stesso risulta senz’altro esercizio di un legittimo diritto di critica nei confronti dell'amministratore, con riguardo alle modalità di gestione del condominio.

Il termine utilizzato non trascende di per sé i limiti di tale esercizio, non investendo la persona dell’amministratore in quanto tale, ma limitando la critica agli atti dalla stessa compiuti nel compimento del proprio incarico. Né il superamento dei limiti di cui sopra può essere desunto da altri comportamenti segnalati nella sentenza impugnata, quale in particolare l'affissione nella bacheca condominiale, nei giorni successivi, di un biglietto nel quale l’amministratore veniva definita come una «mentecatta», trattandosi di fatti estranei a quello oggetto d'imputazione, che si è esaurito nell'ambito della discussione nell'assemblea del condominio.

 

FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015 23

La decisione della Cassazione non rappresenta certo una novità nel panorama giurisprudenziale in materia. Molto spesso i giudici sono chiamati a decidere sulla rilevanza penale o meno di comportamenti, gesti o espressioni posti in essere durante le assemblee di condominio. Ad esempio, è dello scorso 11 novembre 2014 la sentenza n. 46498 con la quale la stessa Cassazione avevano confermato la condanna per diffamazione ex art. 595 c.p. nei confronti del condomino che, durante l’assemblea, aveva accusato l’altro condomino di essere moroso ed abituato a non pagare le spese condominiali.

In quella circostanza, la Corte si era soffermata sui limiti del diritto di critica, affermando tra l’altro, che “la critica nei confronti di un condominio può legittimamente estrinsecarsi all’interno di un’assemblea condominiale o nei rapporti con l’amministratore, ma di certo non può legittimare affermazioni offensive rivolte nei confronti di terzi”, tanto più sé, come nel caso di specie, ignari ospiti della persona offesa (Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole24 ORE – Tecnici24, 11 febbraio 2015)

Immobili

Corte di Cassazione - Sentenza n. 3028, 16 febbraio 2015

Preliminare di compravendita immobiliare. La consegna anticipata non fa decorrere i termini per eccepire i vizi In caso di preliminare di vendita immobiliare, la consegna dell’immobile effettuata prima della stipula del definitivo non determina la decorrenza del termine di decadenza per opporre i vizi noti, né comunque quello di prescrizione, perché l’onere della tempestiva denuncia presuppone che sia avvenuto il trasferimento del diritto di proprietà. Questo il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 3028 del 16 febbraio 2015. Secondo i supremi Giudici, prima della stipula dell’atto definitivo, la presenza di vizi nella cosa consegnata abilita il promissario acquirente – senza che sia necessario il rispetto del termine di decadenza di cui all’art. 1495 c.c. per la denuncia dei vizi della cosa venduta – ad opporre la eccezione di inadempimento al promittente venditore che gli chieda di stipulare il contratto definitivo e di pagare contestualmente il saldo del prezzo. Lo stesso promissario acquirente potrà chiedere, in via alternativa, la risoluzione del preliminare per inadempimento del promittente venditore, ovvero la condanna di quest’ultimo ad eliminare a proprie spese i vizi della cosa. Il caso – Una società edile stipulava tre preliminari di compravendita aventi ad oggetto altrettanti appartamenti in corso di costruzione. Al momento della stipula della vendita definitiva, il società chiedeva che ai promissari acquirenti di versare un prezzo maggiore di quello originariamente pattuito in ragione della maggiori spese derivanti dalla lievitazione del costo del muto per l’acquisto dell’area da edificare e del costo dei materiali. I promissari acquirenti si rifiutavano di sottoscrivere il contratto e citava in giudizio, tra gli altri, la società edile perché fosse condannata ex art. 2932 c.c. a trasferire coattivamente l’immobile e risarcire i danni, contestando peraltro anche la presenza di vizi costruttivi degli immobili. La società si opponeva e chiedeva in via riconvenzionale il pagamento delle somme richieste. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda attrice rilevando, in estrema sintesi, da un lato, che il promissario acquirente era ben a conoscenza delle maggiori spese che avrebbe dovuto sostenere al momento della stipula del definitivo, dall’altro, che i termini per la denuncia dei vizi erano ampiamente decorsi. Veniva invece accolta la domanda della promittente venditrice, poiché si accertava che erano i promissari acquirenti ad essere inadempienti, non avendo versato le somme pattuite.

 

FIAIP News24, numero 19 – marzo 2015 24

La sentenza veniva dunque impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, che ha accolto i motivi di ricorso ritenendo la decisione dei giudici d’appello errata in almeno tre punti, di seguito sintetizzati. Convenzione di acquisto del suolo e contratto preliminare. Per gli Ermellini appare illogico porre a carico dei promissari acquirenti l’obbligo di pagamento del conguaglio del prezzo sul presupposto che questi fossero pienamente informati delle due convenzioni, successive ai preliminari, stipulate dalla società edile con il Comune per l’acquisto dell’area da edificare, considerato che i promissari acquirenti erano rimasti estranei (e dunque terzi) rispetto alle convenzioni medesime. Valutazione comparativa dell’inadempimento. L’unico inadempimento effettivamente imputabile ai promissari acquirenti è quello relativo al pagamento degli interessi di preammortamento del mutuo fondiario aperto per l’acquisto dell’area. Tuttavia, osserva la Corte, in questi casi è necessario svolgere una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avuto riguardo anche alla proporzionalità degli stessi rispetto alla funzione economico sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, al fine di valutare la gravità o meno dell’inadempimento a norma degli art. 1455 e se il rifiuto ad adempiere non sia in buona fede e quindi giustificabile ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c. Tale valutazione comparativa appare assolutamente carente nella sentenza di merito impugnata. Preliminare di vendita con consegna anticipata e garanzia della cosa venduta. Si tratta dei principi di diritto già riferiti in apertura. Nei contratti preliminari di compravendita immobiliare non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, atteso che il preliminare non è idoneo a provocare il trasferimento della proprietà. In tali casi, dunque, il termine di otto giorni, utile ad eccepire i vizi della cosa venduta, decorre dal momento in cui è stato trasferito il diritto di proprietà - cioè dalla stipula del definitivo - atteso che l’art. 1495 cc. individua quale presupposto dell’eccezione il trasferimento del diritto di proprietà della cosa. Nel caso di specie, dunque, il giudice territoriale ha errato nel dichiarare prescritto il diritto dei promissari acquirenti di eccepire i vizi costruttivi degli appartamenti e, di conseguenza, non ha verificato l’effettiva esistenza o meno degli stessi. Per tali motivi, la Cassazione ha rinviato la decisione alla Corte d’appello competente, che dovrà rivalutare l’intera vicenda applicando i principi summenzionati. (Giuseppe Donato Nuzzo, Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 23 febbraio 2015)

Corte di Cassazione - Sezione III – Sentenza n. 2865, 13 febbraio 2015

Locazione: in caso di risoluzione anticipata, risarcibile al locatore anche il mancato guadagno Il locatore che abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto. L’ammontare del danno risarcibile costituisce valutazione del giudice di merito che terrà conto di tutte le circostanze del caso concreto. Tale il principio di diritto espressamente enunciato dal giudice di legittimità in una recente decisione. Nel caso in esame, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso del locatore, ha cassato con rinvio la pronuncia impugnata con la quale la corte di merito aveva rigettato la domanda volta al risarcimento del danno per la anticipata cessazione del rapporto di locazione, escludendo che i danni lamentati dal ricorrente – indicati nella mancata corresponsione dei canoni di locazione dal rilascio dell’appartamento alla nuova locazione, e nella differenza tra il canone originario ed il minor canone concordato con i nuovi conduttori dalla conclusione del nuovo contratto di locazione fino alla naturale scadenza di quello intestato all’attuale parte controricorrente – fossero conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del locatario.

 

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Secondo la Cassazione, l’art. 1453 cod. civ., facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte adempiente, la quale chieda la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, al risarcimento dei danni, ricomprende, tra i danni risarcibili, anche il mancato guadagno, se ed in quanto esso costituisca conseguenza immediata e diretta, ex art. 1223 cod. civ., dell’evento risolutivo. Trattasi, specifica la S.C., di un danno potenziale e futuro, la cui concreta risarcibilità postula l’effettività della lesione dell’interesse del creditore all’esecuzione del contratto; il che comporta con specifico riferimento alla fattispecie della risoluzione della locazione per inadempimento dell’obbligazione di pagamento dei canoni da parte del conduttore – che la mancata percezione di un canone mensile, nel periodo successivo al rilascio per effetto della pronuncia risolutiva – sia dipesa da causa diversa dalla volontà del locatore di non locare nuovamente l’immobile riservandosene la disponibilità materiale. Va, quindi, ribadito, conclude il giudice di legittimità, che, in caso di inadempimento contrattuale, il rimedio del risarcimento del danno per equivalente è in ogni caso utilizzabile, sia che il contraente non inadempiente chieda la condanna all’adempimento della controparte, sia che chieda la risoluzione del rapporto contrattuale per inadempimento della controparte. Riferimenti normativi: Cod. Civ. art. 1223 Cod. Civ. art. 1453 Cod. Civ. art. 1571 Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione civile, Sez. III, sentenza 14 gennaio 2014, n. 530 Cassazione civile, Sez. VI, sentenza 10 dicembre 2013, n. 27614 (Il Sole 24 ORE - Tecnici24, 17 febbraio 2015)

 

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Immobili e professione

«Terzietà dell’agente a rischio» Il Sole 24ORE – Casa24, 26 febbraio 2015 Gli agenti immobiliari reagiscono contro lo sbarco in forze dei big del credito nel loro campo di competenza. Dopo l’esposto di Fiaip all’Antitrust che ha segnalato l’ipotesi di violazione della concorrenza, Fimaa ieri in un comunicato ha denunciato: «Con l’intermediazione delle banche il cliente-consumatore intenzionato all’acquisto di un immobile non ha alcuna garanzia di terzietà tra chi vende e chi compra, tutela che solo gli agenti immobiliari indipendenti possono garantire. Gli istituti di credito, infatti, intendono impadronirsi del mercato mettendo al servizio delle loro società di intermediazione immobiliare soci nominalmente professionisti, ma di fatto dipendenti in tutto e per tutto dagli istituti di credito, per stipulare tutti i contratti immobiliari. Con nessun beneficio per il cittadino». «Sia chiaro che non è un attacco al mondo delle banche tout court», premette Paolo Righi, presidente nazionale Fiaip, contattato da Casa24 Plus. «Ma tutto ci si poteva aspettare, in un momento di crisi che non accenna a finire, tranne che iniziative come queste». Che cosa non va? Il problema principale è che si tratterà di una concorrenza impari. Le banche hanno praticamente aiuti illimitati. Ricevono denaro a bassissimo costo dalla Bce e di fatto non possono fallire, come una qualunque altra impresa. La loro funzione sociale dovrebbe essere quella di sostenere le attività economiche, agenzie immobiliari comprese, non di fare loro concorrenza entrando in terreni che non sono di loro competenza. Teme uno sbarco in massa delle banche e la chiusura di tante piccole agenzie? Al momento no, ci vuole più tempo per valutare gli effetti occupazionali sui nostri associati. Inoltre, so per certo che diversi istituti di credito rilevanti si guardano bene dal seguire questo esempio e preferiscono continuare a fare il proprio mestiere. È che ci sono in ballo alcuni punti sostanziali, riguardanti la nostra attività, che in questo modo entrano in palese contrasto con la legislazione. Quali? In primo luogo, la cosiddetta terzietà dell’agente. Il Codice civile impone che questa figura metta in contatto due parti tra loro, senza però avere alcun legame con esse, né di collaborazione né di dipendenza. Difficile sostenere che un agente sia terzo, all’interno di una filiale, quando l’immobile oggetto della trattativa appartiene alla banca o a un suo cliente. Il secondo problema riguarda i mutui. Dal 2010, con il Dlgs 141/2010, per gli agenti è vietato segnalare all’acquirente eventuali mutui da sottoscrivere per finanziare l’operazione. Come si fa a credere che un agente operante all’interno di una banca si astenga dal suggerire al compratore i prodotti dell’istituto?

 

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Ma per i consumatori non è un vantaggio che si apra un nuovo canale di compravendita? Secondo me no. Per quanto riguarda la questione di mutui, saranno meno propensi a confrontare più preventivi e scegliere il più conveniente. E poi potrebbe aprirsi la strada a pratiche poco amichevoli. Se un cliente ha un debito verso la banca e chiede di ristrutturarlo o rifinanziarlo, in cambio potrebbe essere invitato, non dico obbligato, a iniziare a considerare un mandato di vendita del proprio immobile. Avete in mente altre azioni oltre all’esposto all’Antitrust? Certo. Speriamo che il garante capisca l’urgenza del tema e risponda nel giro di 7-8 mesi. E comunque, a giorni, presenteremo una richiesta indirizzata questa volta alla Banca d’Italia, perché vogliamo che anche via Nazionale si esprima su questo tema.

 

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Immobili e

agevolazioni

Bonus del 50% per spese notarili su vincoli unilaterali Alessandro Borgoglio, Il Sole 24 ORE – Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015, n. 970 pag. 348  Sono detraibili le spese notarili per la costituzione di un vincolo pertinenziale all’unità immobiliare principale delle parti del sottotetto rese abitabili con un intervento di ristrutturazione. È quanto chiarito dall’Agenzia delle entrate, con la ris. n. 118/E del 30 dicembre 2014. L’Amministrazione finanziaria torna a occuparsi, con l’interessante ris. n. 118/E della fine dell’anno scorso, della detrazione per le spese di recupero del patrimonio edilizio, tra cui ovviamente rientrano quelle per le ristrutturazioni. L’occasione per intervenire sul tema è stata fornita da un’istanza di interpello presentata da un contribuente, con la quale sono stati richiesti chiarimenti in merito alla possibilità di detrarre, nell’ambito delle spese agevolabili per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, anche quelle per la redazione di un atto notarile di costituzione di un vincolo unilaterale. La risposta positiva fornita dal Fisco è interessante perché contribuisce a meglio delineare l’ambito operativo della fattispecie agevolativa, includendo al suo interno anche le spese che, seppur non strettamente indispensabili per la realizzazione dell’intervento, si pongono comunque in stretta relazione con lo stesso, come si vedrà a breve. Bonus del 50% per tutto il 2015 Il decreto “salva Italia” (D.L. 201/2011) ha reso strutturale, a decorrere dal 1° gennaio 2012, la detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, inserendola nel corpus normativo del TUIR. Il nuovo art. 16- bis reca, in sé, tutta la disciplina del beneficio fiscale de quo , originariamente introdotto dall’art. 1 della legge 449 del 27 dicembre 1997, e poi modificato e prorogato con le successive leggi. Tuttavia, per quanto concerne le disposizioni attuative, ai sensi del comma 9 del nuovo art. 16- bis , rimane ancora applicabile, in quanto compatibile, il regolamento di cui al D.M. 41 del 18 febbraio 1998. Il comma 1 del predetto art. 16- bis dispone che dall’IRPEF lorda si detrae un importo pari al 36% delle spese documentate, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a € 48.000 per unità immobiliare, sostenute ed effettivamente rimaste a carico dei contribuenti che possiedono o detengono, sulla base di un titolo idoneo, l’immobile sul quale sono effettuati gli interventi sostanzialmente già previsti dalla precedente normativa. Il comma elenca dettagliatamente tutti gli interventi agevolabili, ma, per quel che qui rileva, è sufficiente ricordare i seguenti previsti dalla lett. a ): - «interventi di restauro e di risanamento conservativo», ovvero interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell ’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio, l’inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell’uso, l’eliminazione degli elementi estranei all’organismo edilizio;

 

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- «interventi di ristrutturazione edilizia», ovvero interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare a un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi e impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica. Il D.L. 83/2012 aveva previsto, al comma 1 dell’art. 11, l’innalzamento dal 36% al 50% della detrazione delle spese per tutti gli interventi elencati nel predetto art. 16- bis , ancorché limitatamente alle spese sostenute dal 26 giugno 2012 (data di entrata in vigore del decreto) sino al 30 giugno 2013. Inoltre, lo stesso comma aveva altresì stabilito che nello stesso periodo, ovvero dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013, era aumentato il limite di spesa su cui calcolare la nuova detrazione del 50%, che passava dai precedenti € 48.000 ai nuovi € 96.000, ovvero il doppio di quello di prima. L’art. 16 del D.L. 63/2013, al comma 1, si era limitato a sostituire le parole «30 giugno 2013» dell’art. 11, comma 1, del D.L. 83/2012 con «31 dicembre 2013». In tal modo, la detrazione «potenziata» al 50% e con limite di spesa aumentato a € 96.000 era stata prorogata sino alla fine del 2013. La legge di Stabilità 2014 ha disposto, poi, una nuova proroga della detrazione, su una spesa massima di € 96.000 per unità immobiliare, nella misura del: - 50% delle spese sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014; - 40% delle spese sostenute dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2015. La legge di Stabilità 2015 ha previsto, quindi, mediante integrazione dei commi 1 e 1- bis dell’art. 16 del D.L. 63/2013, che gli interventi di cui all’art. 16- bis del TUIR sono ancora agevolabili fino al 31 dicembre 2015 nella misura del 50% delle spese sostenute, con un limite di € 96.000 per unità immobiliare, mentre i predetti interventi antisismici godono fino alla fine dell’anno del trattamento di favore con aliquota al 65%, entro il medesimo limite di spesa (tabella 1). Tabella 1

Interventi di cui all’art. 16- bis del TUIR

Fino al 25.6.2012

Dal 26.6.2012 al 31.12.2015

Dall’1.1.2016

Detrazione IRPEF 36% 50% 36%

Limite di spesa per unità immobiliare € 48.000 € 96.000 € 48.000

Detrazione massima € 17.280 € 48.280 € 17.280 Da ultimo, si ricorda che per la fruizione della detrazione in oggetto sono previsti specifici adempimenti, quali, per esempio, il pagamento delle fatture mediante bonifico speciale, nonché l’indicazione in dichiarazione di determinate informazioni, come più dettagliatamente rappresentato nel riquadro 1 . RIQUADRO 1 Adempimenti per fruire della detrazione di cui all’art. 16- bis del TUIR. 1. Prima dell’inizio dei lavori deve essere inviata all’ASL competente per territorio, mediante raccomanda A/R, la comunicazione di inizio lavori, salvo i casi in cui ciò non sia previsto dall’art. 99, comma 1, del D.Lgs. 81/2008.

 

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2. Il pagamento delle fatture relative ai lavori deve essere effettuato tramite bonifico bancario o postale da cui risulti la causale del versamento con l’indicazione della norma agevolativa, il codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento, nonché il numero di partita IVA o il codice fiscale del soggetto a favore del quale è effettuato il bonifico (quando vi sono più soggetti che sostengono la spesa, e tutti intendono fruire della detrazione, il bonifico deve riportare il numero di codice fiscale delle persone interessate al beneficio fiscale; se il bonifico contiene l’indicazione del codice fiscale del solo soggetto che fino al 13.5.2011 era obbligato a presentare il modulo di comunicazione al Centro operativo di Pescara, gli altri aventi diritto, per ottenere la detrazione, devono riportare in un apposito spazio della dichiarazione dei redditi il codice fiscale indicato sul bonifico). 3. Fino al 13.5.2011, occorreva inviare, con raccomandata, al Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle entrate, l’apposita comunicazione preventiva di inizio dei lavori, contenente, tra l’altro, l’indicazione dei dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di intervento. Dal 14.5.2011, invece, in forza dell’art. 7, comma 2, lett. q ), del D.L. 70/2011, tale adempimento è stato soppresso e in sua sostituzione è stato previsto che il contribuente: - indichi nella dichiarazione dei redditi: - i dati catastali identificativi dell’immobile oggetto di interventi agevolati; - gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo, come, per esempio, il contratto d’affitto, se i lavori sono effettuati dal detentore (per esempio, il conduttore); - gli altri dati richiesti ai fini del controllo da detrazione; - conservi ed esibisca, a richiesta dell’Agenzia delle entrate, i documenti previsti dal provv. Agenzia delle entrate del 2.11.2011, n. 149646, ovvero: - abilitazioni amministrative in relazione alla tipologia di lavori da realizzare (concessione, autorizzazione o comunicazione di inizio lavori). Se queste abilitazioni non sono previste è sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui deve essere indicata la data di inizio dei lavori e attestare che gli interventi di ristrutturazione edilizia posti in essere rientrano tra quelli agevolabili (cfr. ris. n. 325/E/2007); - domanda di accatastamento per gli immobili non ancora censiti; - ricevute di pagamento dell’ICI/IMU/TASI, se dovuta; - delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori e tabella millesimale di ripartizione delle spese per gli interventi riguardanti parti comuni di edifici residenziali; - in caso di lavori effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi, dichiarazione di consenso del possessore all’esecuzione dei lavori; - comunicazione preventiva contenente la data di inizio dei lavori da inviare all’Azienda sanitaria locale, se obbligatoria secondo le disposizioni in materia di sicurezza dei cantieri; - fatture e ricevute fiscali relative alle spese effettivamente sostenute; - ricevute dei bonifici di pagamento. 4. Fino al 13.5.2011, le fatture relative agli interventi agevolati dovevano recare, a pena di decadenza, la separata indicazione del costo della manodopera. Dal 14.5.2011, l’art. 7, comma 2, lett. r ), del D.L. 70/2011 ha abolito tale obbligo di indicazione in fattura e non ha introdotto, in sua sostituzione, alcun nuovo adempimento. Ambito operativo La detrazione in oggetto spetta ai contribuenti che possiedano o detengano, sulla base di un idoneo titolo (proprietà, locazione, comodato ecc.), l’immobile oggetto di intervento di recupero. L’agevolazione compete anche agli imprenditori individuali e ai soci di società semplici o di persone, purché si tratti di immobili non strumentali e che non costituiscano “beni merce”. Ha diritto alla detrazione, inoltre, anche il familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile, purché ne abbia sostenuto le relative spese e siano a lui intestate le fatture e i bonifici. Può usufruire dell’agevolazione anche chi effettua in proprio i lavori ammessi al beneficio, ma limitatamente alle spese sostenute per l’acquisto dei materiali utilizzati. In caso di decesso del soggetto destinatario dell’agevolazione, le quote residue della detrazione spettano agli eredi, purché detengano, da subito, direttamente e materialmente l’immobile, senza tuttavia la necessità di adibirlo a propria abitazione principale.

 

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Nell’ipotesi di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte è trasferita per i rimanenti periodi di imposta, salvo diverso accordo delle parti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare. Il limite di spesa, attualmente previsto nella misura di € 96.000, deve essere considerato in relazione a ogni persona fisica beneficiaria e a ogni singola unità immobiliare: pertanto, in caso di presenza di più soggetti destinatari dell’agevolazione, occorre ripartire l’importo di € 96.000 per ogni avente diritto. Inoltre, occorre tenere conto delle spese sostenute negli anni pregressi per lo stesso intervento che prosegua in anni successivi, in modo tale che tale limite venga considerato sulla pluralità degli anni in cui è durato lo stesso intervento. La detrazione deve essere ripartita in 10 rate annuali di pari importo. Tra le spese che possono essere considerate per il calcolo della detrazione rientrano, oltre a quelle relative agli specifici interventi, anche quelle a esse strettamente connesse o comunque necessarie, come quelle di progettazione, perizia, imposte e tasse varie (riquadro 2 ). L’Agenzia delle entrate, al riguardo, aveva fornito importanti chiarimenti, seppur in relazione all’art. 1 della legge 449/1997, che recava la disciplina dell’agevolazione in oggetto prima della sua stabilizzazione mediante inserimento nel TUIR. La relazione illustrativa al D.L. 201/2011, che ha appunto introdotto l’art. 16- bis del TUIR, ha fatto salvo il consolidato orientamento di prassi formatosi in materia e, pertanto, i chiarimenti pregressi del Fisco sono applicabili anche alle nuove disposizioni del TUIR, che peraltro ricalcano quelle del vecchio art. 1 della legge 449/1997. RIQUADRO 2 Spese detraibili. - Progettazione dei lavori; - acquisto dei materiali; - esecuzione dei lavori; - altre prestazioni professionali richieste dal tipo d’intervento; - relazione di conformità degli stessi alle leggi vigenti; - perizie e sopralluoghi; - imposta sul valore aggiunto, imposta di bollo e diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni, le denunce di inizio lavori; - oneri di urbanizzazione; - la redazione della documentazione obbligatoria atta a comprovare la sicurezza statica del patrimonio edilizio; - altri eventuali costi strettamente inerenti la realizzazione degli interventi e gli adempimenti posti dal reg. n. 41 del 18.2.1998. Per quel che qui rileva, con la circ. n. 57/E del 24 febbraio 1998 (par. 4) e poi con la circ. n. 121/E dell’11 maggio 1998 (par. 5), l’Agenzia delle entrate ha precisato che, tra le altre, rientrano nelle spese ammissibili all’agevolazione l’imposta sul valore aggiunto, l’imposta di bollo e i diritti pagati per le concessioni, le autorizzazioni e le denunzie di inizio lavori. Spese notarili agevolabili Un contribuente, mediante istanza di interpello formulata all’Agenzia delle entrate, ha chiesto se tra le spese che possono concorrere alla detrazione vi siano anche quelle notarili per la redazione di un atto di vincolo unilaterale, con il quale venga costituito pertinenza dell’abitazione principale un sottotetto recuperato ai fini abitativi mediante ristrutturazione. Per inquadrare l’intervento in oggetto, occorre evidenziare che lo stesso è stato posto in essere nell’ambito di quelli previsti dalla L.R. 21 del 6 agosto 1998, che promuove il recupero ai fini abitativi dei sottotetti. È la stessa legge, peraltro, a stabilire che gli interventi in oggetto sono classificati tra quelli di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione.

 

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Inoltre, la predetta legge regionale, all’art. 3, prevede che il rilascio della concessione edilizia per il recupero del sottotetto ai fini abitativi comporta la corresponsione del contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione e al costo di costruzione. Tuttavia, tale contributo è ridotto nella misura del 50% qualora il richiedente la concessione provveda, contestualmente al rilascio della concessione stessa, a registrare e a trascrivere, presso la competente conservatoria dei registri immobiliari, dichiarazione notarile con la quale le parti rese abitabili costituiscano pertinenza dell’unità immobiliare principale. Il contribuente che ha promosso l’istanza di interpello all’Agenzia delle entrate aveva operato proprio in tal senso, sottoscrivendo tale atto notarile di costituzione di vincolo unilaterale di pertinenza, al fine di ottenere la riduzione del contributo. L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il costo sostenuto per la redazione di tale atto notarile, in quanto rilevante per la determinazione dell’importo del contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione che è detraibile secondo quanto già in precedenza illustrato, debba seguirne il medesimo regime fiscale ed essere ammesso anch’esso in detrazione. Si ricorda, infine, per quanto concerne la fattispecie in oggetto, che già in passato l’Agenzia delle entrate aveva stabilito che è agevolabile l’intervento per rendere abitabile un sottotetto esistente, a condizione che ciò avvenga senza aumento della volumetria originaria (cfr. circ. n. 57/E/1998). Se, invece, la ristrutturazione avviene senza demolizione dell’edificio esistente, ma con ampliamento dello stesso, allora la detrazione compete solo per le spese riferibili alla parte esistente giacché l’ampliamento configura comunque una nuova costruzione (cfr. ris. n. 4/E/2011; circ. n. 39/E/2010 e circ. n. 36/E/2007).

 

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Prestazione energetica

Rent to Buy, APE e impianti termici Luca Rollino, Pier Paolo Bosso, Consulente Immobiliare, Edizione del 28 febbraio 2015 - Quaderno, n. 1 pag. 26 Rent to Buy e APE La legge 90 del 3 agosto 2013 (in G.U. 181 del 3 agosto 2013) ha sancito in modo definitivo l’obbligo, su tutto il territorio italiano, dell’attestato di prestazione energetica (APE) in occasione di trasferimento di immobili. Detto attestato è chiamato, infatti, a svolgere il ruolo di strumento di “informazione” del proprietario, dell’acquirente e/o del locatario (art. 6, commi 1, 2, 3 e 8, D.Lgs. 192 del 19 agosto 2005) circa la prestazione energetica e il grado di efficienza energetica degli edifici. Oltre a fornire all’utente raccomandazioni per il miglioramento dell’efficienza energetica, con le proposte degli interventi più significativi ed economicamente più convenienti, l’attestato di prestazione energetica deve, inoltre, contenere tutti i dati che consentano “ai cittadini di valutare e confrontare edifici diversi” e quindi di poter scegliere l’edificio da acquistare o da locare in base alla prestazione energetica. La legge 90/2013, andando a modificare il D.Lgs. 192/2005, ha introdotto differenti obblighi, che devono essere sempre considerati quando ci si appresta ad affittare e/o vendere un immobile: l’obbligo di dotazione, l’obbligo di allegazione, l’obbligo di informativa e l’obbligo di consegna. Peraltro, le richieste sancite dal D.Lgs. 192/2005, così come modificato dalla legge 90/2013, sono cogenti e necessarie su tutto il territorio italiano, e devono poi essere accompagnate dalle prescrizioni conseguenti all’applicazione delle normative regionali in materia di attestato di prestazione energetica, emanate da quelle regioni che abbiano recepito la dir. n. 2010/31/UE (art. 17, D.Lgs. 192/2005). Anche qualora le regioni avessero recepito tale direttiva, gli obblighi introdotti dalla legge 90/2013 restano comunque vincolanti, in quanto equiparabili a principi fondamentali e inerenti un campo (quello delle compravendite immobiliari) per il quale le regioni non hanno facoltà legislativa (art. 117, Cost., Titolo V). Primo aspetto saliente è l’obbligo di mettere a disposizione l’APE sin dai primi momenti della trattativa immobiliare. Qualora l’immobile non sia ancora costruito e/o ultimato, il venditore e/o il locatario fornisce evidenza della futura prestazione energetica dell’edificio (avvalendosi dei dati contenuti nella relazione ex art. 28 della legge 10/1991, obbligatoria per legge) e produce l’APE entro 15 giorni dalla richiesta del rilascio del certificato di agibilità (comma 1, art. 6, D.Lgs. 192/2005). In conseguenza di quanto sopra, chi volesse avviare un’operazione di Rent to Buy corretta dovrà disporre dei dati energetici dell’edificio già quando inizierà le trattative. Si ricorda, peraltro, che gli annunci immobiliari devono contenere le indicazioni in merito alle prestazioni energetiche degli edifici (comma 2 - quater, art. 13, D.Lgs. 28 del 3 marzo 2011). Quindi, a maggior ragione, un’operazione di Rent to Buy “pubblicizzata” richiede tassativamente il possesso delle informazioni inerenti classe e prestazione energetica degli edifici. La legge 90/2013 introduce poi l’obbligo di allegazione nel caso di vendita dell’edificio, ma non nel caso di locazione di singole unità immobiliari. In occasione di un’operazione di Rent to Buy, quindi, l’APE non dovrà essere allegato al contratto iniziale, ma dovrà essere allegato all’atto finale di chiusura, con il definitivo passaggio di proprietà dell’immobile. Tuttavia, come

 

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vedremo nel prosieguo della trattazione, le parti in causa devono essere informate da subito in merito alle caratteristiche energetiche dell’immobile, e tale conoscenza deve essere testimoniata nella documentazione contrattuale. Questo fa nascere due problemi: la validità dell’APE “iniziale” allorquando vi sarà l’atto finale di compravendita e la correttezza delle informazioni in esso contenute. Ai sensi del D.Lgs. 192/2005, l’attestato di prestazione energetica è valido 10 anni dal suo rilascio ed è aggiornato a ogni intervento che modifichi la classe energetica dell’immobile. Inoltre, affinché l’APE resti valido, devono essere effettuate le operazioni di controllo di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento previste dal D.P.R. 74 del 6 aprile 2013, comprese le eventuali necessità di adeguamento. Qualora tali disposizioni non siano rispettate, l’attestato decade il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le operazioni di controllo dell’efficienza energetica. Il rispetto delle scadenze si può riscontrare sul libretto di impianto e climatizzazione relativo all’impianto termico installato all’interno dell’immobile, nel nuovo formato previsto da D.M. 10 febbraio 2014, diventato cogente su tutto il territorio nazionale dal 15 ottobre 2014 e adottato con integrazioni già da diverse regioni (Lombardia, Veneto e Piemonte su tutte). Un’operazione di Rent to Buy potrebbe partire con un APE valido, per poi richiedere la produzione di un nuovo APE prima dell’atto conclusivo, in quanto sono passati più di 10 anni (decadenza temporale) o in quanto sono stati fatti interventi che hanno modificato la classe energetica (decadenza per aggiornamento), o perché non sono stati fatti i necessari interventi inerenti il controllo dell’efficienza energetica (decadenza per negligenza). Vi è poi il caso, non remoto in realtà, per il quale l’APE resta valido (dato che non si verifica nessuna delle cause di decadenza sopra elencate), ma i contenuti in esso riportati, in primis l’indicazione della prestazione energetica, cambiano in seguito a interventi che non modificano la classe. L’APE, infatti, riporta non solo un indice di prestazione energetica e una classe, determinata sulla base di quanto previsto dalle vigenti normative nazionali, ma documenta tutta una serie di informazioni energetiche e impiantistiche. I dati riportati possono cambiare nelle varie regioni che si siano dotate di un proprio format di attestato (si vedano per esempio Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta). Tali dati non necessariamente incidono direttamente e significativamente su classe energetica e indice di prestazione globale (i soli parametri che, per legge, se variati, causano la decadenza dell’APE). Per esempio, nel caso di interventi di riqualificazione energetica che il cedente nel Rent to Buy potrebbe intraprendere (come quelli per usufruire delle detrazioni del 65% dall’IRPEF), vi potrebbero essere dei cambiamenti dei dati parziali, ma nessun cambiamento di classe e indice globale di prestazione energetica. Tali interventi migliorano quindi la prestazione energetica (si pensi, per esempio, alla sostituzione degli infissi o del generatore di calore) o, più semplicemente, cambiano alcune caratteristiche del sistema edificio-impianto dell’immobile senza richiedere necessariamente la produzione di un nuovo attestato. In tal caso, seppur non esplicitamente richiesto dalla legge, è necessario produrre un APE aggiornato in sostituzione di quello primigenio, in quanto, in occasione dell’atto di compravendita finale, si dovrà allegare l’APE (in rispetto dell’obbligo di allegazione) e riportare apposita clausola con cui le parti dichiarano di aver ricevuto le informazioni e la documentazione in ordine all’attestazione della prestazione energetica degli edifici (art. 6, comma 3, D.Lgs. 192/2005). Si procede pertanto in ottemperanza del cosiddetto obbligo di informativa, con il quale vengono riportate all’interno dei documenti contrattuali informazioni specifiche sulla prestazione energetica. Queste sono desumibili dall’APE solo se questo è aggiornato a valle dei vari interventi, anche se non è cambiata la classe energetica e se l’attestato non è decaduto. La necessità di dichiarare la ricezione della documentazione, comprensiva dell’APE, sancisce anche l’obbligo di consegna da parte del venditore o del proprietario all’acquirente o al conduttore. Si sottolinea come il non rispetto dell’obbligo di informativa, dell’obbligo di consegna o dell’obbligo di allegazione comporta il pagamento in solido e in parti uguali della sanzione

 

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amministrativa pecuniaria da € 1.000 a € 4.000 (violazione in occasione del contratto di locazione iniziale) o da € 3.000 a € 18.000 (violazione in occasione dell’atto di compravendita finale). Comunque, anche in caso di pagamento della sanzione, l’APE deve essere prodotto entro 45 giorni, a cura del proprietario dell’immobile nel caso di costruzioni esistenti o del costruttore nel caso di nuove realizzazioni. Oltre alle sanzioni nazionali esistono anche sanzioni regionali che vanno a punire tramite una multa le violazioni della normativa locale. Tali sanzioni possono sommarsi a quelle nazionali, qualora la motivazione sia da ricondursi a specifiche prescrizioni previste solo a livello regionale. Per tale motivo, l’attenzione deve essere massima, per non incorrere in una sommatoria di multe distinte, anche molto onerose. Si noti che il D.L. 145 del 23 dicembre 2013 ha eliminato la nullità automatica degli atti di compravendita privi di APE, introducendo la suddetta sanzione pecuniaria. Tuttavia, l’efficacia e la non contestabilità di un’operazione comunque complessa quale il Rent to Buy, deve essere curata necessariamente anche dal punto di vista “energetico”. Una carenza o una non conformità dei documenti previsti dalla legislazione vigente può essere una debolezza invalidante o, peggio ancora, una motivazione che una delle due parti potrebbe addurre per invalidare e/o interrompere l’operazione a proprio vantaggio. Rent to Buy e impianti termici L’efficacia e la non contestabilità dell’operazione di Rent to Buy viene garantita anche dal rispetto delle prescrizioni del D.P.R. 74 del 16 aprile 2013, in materia di documentazione inerente gli impianti asserviti agli edifici. Si è già detto come il libretto di impianto e di climatizzazione, sul quale sono riportati i controlli di efficienza energetica, sia essenziale per testimoniare la validità dell’APE. Prima di iniziare l’analisi, è necessario definire bene quali sono le figure che hanno un ruolo quando si parla di impianti tecnici negli edifici. Tali figure sono sancite dal D.Lgs. 192/2005 s.m.i., dal D.P.R. 74/2013 e, prima, dal D.P.R. 412/1993 e s.m.i. Si tratta di distinguere innanzitutto tra proprietario dell’impianto, responsabile dell’impianto e terzo responsabile. Il proprietario dell’impianto termico è il soggetto che, in tutto o in parte, è proprietario dell’impianto termico. Nel caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati amministrati in condominio e nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, gli obblighi e le responsabilità posti a carico del proprietario sono da intendersi riferiti agli amministratori (Allegato A, D.Lgs. 192/2005). Il responsabile dell’impianto termico è: l’occupante, a qualsiasi titolo, in caso di singole unità immobiliari residenziali; il proprietario, in caso di singole unità immobiliari residenziali non locate; l’amministratore, in caso di edifici dotati di impianti termici centralizzati amministrati in condominio. In caso di edifici di proprietà di soggetti diversi dalle persone fisiche è invece il proprietario o l’amministratore delegato. L’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione dell’impianto termico e il rispetto delle disposizioni di legge in materia di efficienza energetica sono affidati al responsabile dell’impianto, che può delegarle a un terzo. La delega al terzo responsabile non è consentita nel caso di singole unità immobiliari residenziali in cui il generatore o i generatori non siano installati in locale tecnico esclusivamente dedicato. In tutti i casi in cui nello stesso locale tecnico siano presenti generatori di calore oppure macchine frigorifere al servizio di più impianti termici, può essere delegato un unico terzo responsabile che risponde delle predette attività degli impianti (art. 6, comma 1, D.P.R. 74/2013). Le casistiche che possono essere rilevate in occasione di un’operazione di Rent to Buy, sono semplicemente e banalmente due: impianto autonomo o impianto centralizzato.

 

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Nel primo caso, sino al momento del passaggio di proprietà definitivo, il cedente resta il proprietario dell’impianto, mentre l’inquilino ne sarà il responsabile. Quando vi sarà il passaggio di proprietà dell’immobile, l’inquilino diverrà anche proprietario dell’impianto. A questa fattispecie, devono essere ricondotti eventuali impianti aggiuntivi di riscaldamento e impianti autonomi di climatizzazione estiva. Per questi, infatti, ai sensi della nuova e vigente legislazione, valgono gli stessi principi e, salvo diverse indicazioni fornite a livello regionale (vedasi la legislazione lombarda in materia), devono essere dotati di libretto di impianto. Nel caso di impianto centralizzato, invece, l’inquilino non assume un ruolo responsabilizzato, ma è il semplice fruitore dell’impianto. Il responsabile sarà l’amministratore o, nel caso, un terzo responsabile regolarmente delegato. Il regime di condominio regolamenterà poi la proprietà dell’impianto centralizzato, che si configura come un bene comune. Questo aspetto può creare non poche problematiche qualora l’operazione di Rent to Buy sia condotta per un’unità immobiliare collocata in un immobile per il quale sia attivo un contratto di servizio energia. Si tratta di un caso particolare, che sarà sviscerato più avanti nella trattazione. Il D.P.R. 74/2013 sancisce che i libretti di climatizzazione, di cui gli impianti devono essere dotati, in occasione di trasferimento a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’unità immobiliare, devono essere consegnati al futuro inquilino, debitamente aggiornati, con gli eventuali allegati (art. 7, comma 5, D.P.R. 74/2013). Con tale passaggio, l’inquilino, nel caso di impianto autonomo, diventa il responsabile dell’impianto termico ed è chiamato a garantire l’esercizio, la conduzione, il controllo, la manutenzione, nonché il rispetto delle disposizioni in materia di efficienza energetica (art. 6, comma 1), di tutela dell’ambiente e di sicurezza (art. 6, comma 3). Ne discende che per iniziare correttamente un’operazione di Rent to Buy , in un’unità dotata di uno o più impianti autonomi di climatizzazione estiva e/o invernale, il futuro acquirente, per ciascuno degli impianti autonomi di climatizzazione, dovrà ricevere da subito il libretto di impianto e di climatizzazione aggiornato (o, per quelle regioni dove è già partita la dematerializzazione del documento, i riferimenti per l’accesso a tali documenti sul portale regionale); diverrà così immediatamente il responsabile dell’impianto, con tutti gli oneri conseguenti. Sarà, quindi, il responsabile del rispetto delle scadenze inerenti i controlli di efficienza energetica dell’immobile (che, se non rispettate, possono invalidare l’APE, come visto sopra) e delle prescrizioni ambientali in materia di emissioni in atmosfera. Tuttavia, sino all’atto di compravendita finale, non sarà il proprietario dell’impianto (che è invece il proprietario dell’immobile) e non sarà tenuto a produrre l’APE aggiornato, obbligo in carico invece al dante causa. Nel caso di impianto centralizzato, invece, l’impianto sarà proprietà comune, mentre il libretto di impianto sarà conservato dal responsabile d’impianto o dal terzo responsabile. Le problematiche impiantistiche si intersecano, quindi, con quelle energetiche e inerenti l’APE, e rischiano di pregiudicare la validità dell’operazione di Rent to Buy. Nel caso di impianto autonomo è possibile un corto circuito, tale per cui il conduttore, responsabile dell’impianto, mette in atto operazioni volte a garantire il rispetto delle prescrizioni in materia di risparmio energetico o di tutela dell’ambiente (ad esempio cambio caldaia), tali da comportare una decadenza della validità o dell’attualità dell’APE corrente, senza darne comunicazione al proprietario dell’immobile (e dell’impianto). In questo modo, si compromette la correttezza dell’atto di compravendita finale. A tali situazioni si può porre rimedio attraverso un costante flusso di informazioni tra avente causa e dante causa (con tutte le criticità del caso, qualora il dante causa avesse molte operazioni di questo genere attive); oppure, molto più semplicemente, si può prevedere, prima dell’atto di compravendita definitivo, la produzione di un nuovo e aggiornato APE, sostitutivo di quello in essere. Considerando il costo degli attestati sul mercato, parrebbe quest’ultima la soluzione più logica ed economicamente più conveniente. Nel caso di impianto centralizzato, analogamente, un cambiamento o una minima variazione del sistema centralizzato può rendere non aggiornati gli APE esistenti riferiti alle unità immobiliari del condominio, senza peraltro implicarne la decadenza. Anche in tal caso, molto

 

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semplicemente, si può ovviare procedendo, prima dell’atto di compravendita definitivo, alla produzione di un nuovo e aggiornato APE, sostitutivo di quello in essere. Nell’impianto centralizzato, inoltre, ai sensi del D.P.R. 74/2013, bisogna sempre verificare che il terzo responsabile sia validamente delegato, per evitare l’insorgere di spiacevoli sorprese all’atto del passaggio definitivo di proprietà. Il primo aspetto da verificare è che la delega sia stata data legittimamente. La delega non può essere data se l’impianto non è conforme alle disposizioni di legge, salvo che nell’atto di delega sia espressamente conferito l’incarico di procedere alla loro messa a norma (art. 6, comma 2). La difformità è sia tecnologica sia documentale e può essere relativa alle disposizioni in campo ambientale, alle disposizioni in materia energetica e impiantistica e alle prescrizioni normative in materia di termoregolazione e contabilizzazione dei consumi di riscaldamento. Si tenga presente che il delegante deve porre in essere ogni atto, fatto o comportamento necessario affinché il terzo responsabile possa adempiere agli obblighi previsti dalla normativa vigente, e garantire la copertura finanziaria per l’esecuzione dei necessari interventi nei tempi concordati. Negli edifici in cui sia instaurato un regime di condominio, la predetta garanzia è fornita attraverso apposita delibera dell’assemblea dei condomini. In tale ipotesi, la responsabilità degli impianti resta in carico al delegante fino alla comunicazione dell’avvenuto completamento degli interventi necessari, da inviarsi per iscritto da parte del delegato al delegante, entro e non oltre 5 giorni lavorativi dal termine dei lavori. Nel Rent to Buy, verificare la legittimità della delega al terzo responsabile significa evitare di scoprire un aggravio di spese per risolvere le criticità connesse a una non conformità legislativa dell’impianto. Tali spese, che a seconda del momento in cui sono richieste possono essere a carico del cedente o dell’acquirente, possono essere anche molto onerose e rischiano di falsare la convenienza economica dell’operazione. Ma non è tutto. L’art. 6, comma 4, prevede che il terzo responsabile comunichi tempestivamente, in forma scritta, al delegante l’esigenza di effettuare gli interventi, non previsti al momento dell’atto di delega o richiesti dalle evoluzioni della normativa, indispensabili al corretto funzionamento dell’impianto termico e alla sua rispondenza alle vigenti prescrizioni normative. Negli edifici in cui vige un regime di condominio, il delegante deve espressamente autorizzare, con apposita delibera condominiale, il terzo responsabile a effettuare i predetti interventi entro 10 giorni dalla comunicazione di cui sopra, facendosi carico dei relativi costi. In assenza della delibera condominiale nei detti termini, la delega del terzo responsabile decade automaticamente. In questa ipotesi, se la difformità legislativa insorge nell’esercizio delle funzioni del terzo responsabile, oltre alle spese necessarie al ripristino si devono considerare i rischi civili e penali in cui si può incorrere. Infatti, qualora non si proceda a incaricare il terzo responsabile di effettuare le operazioni di eliminazione della difformità, la responsabilità dell’impianto torna al delegante, ovvero l’assemblea condominiale (l’unico soggetto che si possa fare carico dei relativi costi), che ne risponde in toto. Nuovamente, è necessario che nel Rent to Buy l’impianto sia strettamente considerato, per evitare di dover incorrere in sanzioni pecuniarie che possano variare l’attesa redditività dell’operazione o, peggio ancora, essere causa di una risoluzione anticipata del contratto. In estrema sintesi, si può dire che un’operazione di Rent to Buy non può prescindere dalla completa conoscenza e dalla gestione di tutti gli aspetti inerenti la prestazione energetica e gli impianti asserviti. Questo deve essere fatto dall’inizio ed è nell’interesse di entrambe le parti, al fine di evitare contestazioni, impugnazioni o altre criticità che possano interrompere un’operazione complessa e prolungata nel tempo quale si profila il Rent to Buy.

 

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Casi pratici

Immobili

LA PRESENTAZIONE DELLA CIL PER I LAVORI «STRAORDINARI»

D. Vorrei sapere se la domanda inoltrata dal mio tecnico al Comune e cioè la comunicazione preventiva per interventi di edilizia libera (articolo 6, comma 2, del Dpr 380 del 2001, lettera b e seguenti) indicando nel campo di descrizione la «manutenzione interna del fabbricato esistente con sostituzione di infissi e pavimenti» è corretto ai fini di ottenere le detrazioni fiscali del 50 per cento. Preciso che il cambio di pavimentazione è legato alla demolizione di pareti. ----- R. La Cil (Comunicazione di inizio lavori) deve essere inoltrata per la realizzazione degli interventi di edilizia libera, disciplinati dall’articolo 6, comma 2, lettere a) – b) – c) - d) – e) del Dpr 380/2001. Si tratta, tra l’altro, degli interventi di manutenzione straordinaria, ivi compresa l’apertura di porte interne o lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio, non comportino aumento del numero delle unità immobiliari e non implichino incremento dei parametri urbanistici. Alla comunicazione, devono essere allegate le autorizzazioni eventualmente obbligatorie previste dalle normative di settore, unitamente alla copia dell'atto di proprietà o di altro documento che dimostri la legittimazione a comunicare l'esecuzione delle opere, o autocertificazione resa nelle forme di legge. Nella comunicazione deve essere indicato il nominativo dell’impresa esecutrice delle opere e vi deve essere allegata una relazione tecnica provvista di data certa e corredata degli opportuni elaborati progettuali, a firma di un tecnico abilitato, il quale dichiari preliminarmente di non avere rapporti di dipendenza con l’impresa né con il committente e asseveri, sotto la propria responsabilità, che i lavori sono conformi agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti e che per essi la normativa statale e regionale non prevede il rilascio di un titolo abilitativo. La presentazione della Cil dà titolo per il contestuale inizio dei lavori. Sia la sostituzione degli infissi che quella della pavimentazione (conseguente alla demolizione di pareti quindi manutenzione straordinaria) dà diritto all’applicazione della detrazione del 50% sempre se i pagamenti della fatture siano eseguiti con bonifico bancario o postale. Per la sola sostituzione degli infissi, se al termine dei lavori si conseguono i prescritti requisiti di trasmittanza termica previsti nel Dm 11 marzo 2008, si rende applicabile, in alternativa al 50%, anche la detrazione del 65% (articolo 16bis del Tuir 917/1986 e articolo e 1, comma 47 legge 190/2014, guida al 50% e al 65% su www.agenziaentrate.it). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

SPETTA L'AGEVOLAZIONE PER IL TERMOCONVETTORE D. Devo eseguire degli interventi sul riscaldamento di una seconda casa (attualmente l'unica fonte di riscaldamento è un condizionatore). In particolare, procederò all'installazione di un termoconvettore a gas (Gpl) con combustione forzata e camera stagna. Posso fruire delle detrazioni del 50% previste per le ristrutturazione edilizie sull'acquisto del termoconvettore e sui lavori necessari per l'installazione?

 

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----- R. La detrazione del 50% per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2015, nei limiti di 96.000 euro (articolo 16 bis del Tuir 917/86, articolo 1, comma 47, legge 190/2014), si rende applicabile anche per tutti gli interventi idonei a conseguire risparmio energetico a prescindere dalla presenza nell’immobile di un impianto di riscaldamento preesistente o di un semplice condizionatore. Pertanto, anche le spese per l’installazione di un nuovo termoconvettore a gas e per l’esecuzione dei relativi lavori accessori fruiscono della detrazione del 50% tenuto conto della maggiore efficienza energetica ottenuta con il nuovo impianto. In sostanza, mentre la detrazione del 65% sugli interventi di risparmio energetico non può trovare applicazione nel caso di specie, in quanto l'edificio non è fornito originariamente di un preesistente impianto di riscaldamento, la detrazione del 50% si applica in ogni caso, in quanto il requisito della preesistenza di un impianto di riscaldamento non è richiesto per fruire dei benefici fiscali. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

APE: COSTO PER IL RILASCIO DETRAIBILE SE INERENTE

D. Dovendo predisporre l'attestato prestazione energetica (Ape) della mia abitazione unifamiliare, costruita nel 1992, chiedo se il relativo costo rientra tra gli oneri detraibili e qual è il professionista autorizzato alla sua redazione. ----- R. L'attestato di certificazione/prestazione energetica è un documento realizzato da un professionista specializzato, il "certificatore energetico", o da un organismo preposto a questo scopo, sulla base di criteri generali e di apposite metodologie di calcolo. Pertanto, occorre rivolgersi solo a questi professionisti abilitati. La certificazione energetica ha la funzione di attestare le prestazioni e le caratteristiche energetiche di un edificio o immobile, al fine di consentire al cittadino una valutazione di confronto di tali caratteristiche rispetto ai valori di riferimento previsti dalla legge, congiuntamente ad eventuali suggerimenti per il miglioramento della resa energetica dell'edificio. Le spese per il rilascio della certificazione sono detraibili solo se la certificazione è inerente a lavori che fruiscono della detrazione del 50% o 65% per interventi di risparmio energetico (articolo 16 bis Tuir 917/1986 e articolo 1, comma 139, legge 147/2013; articolo 1, comma 47, legge 190/2014-legge di Stabilità 2015). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

I LAVORI «RILEVANTI» NEL CAMBIO VASCA-DOCCIA

D. Vorrei sostituire la vasca esistente con un piatto doccia, un box doccia e una colonnina nuova. Si andrebbe a modificare un tratto dell'impianto idraulico per eliminare la rubinetteria della vasca e per installare la nuova colonna doccia. Vi chiedo se il lavoro rientra tra le opere di manutenzione agevolabili, considerato che per i regolamenti comunali trattasi di opere di edilizia libera (ordinaria) per cui non necessita né il titolo abilitativo né alcuna comunicazione. Dovrei altresì sostituire una finestra di vecchio allumino con una in Pvc, di colore diverso dal preesistente. Si tratta di manutenzione straordinaria (50%) e quindi ho diritto all'agevolazione fiscale sebbene il regolamento comunale ricomprenda l'intervento tra le manutenzioni ordinarie? ----- R. La detrazione si applica solo se avviene anche la sostituzione delle tubazioni e quindi parzialmente si interviene sull’impianto sino al massetto. Il rifacimento del bagno (comprese le tubature e il massetto) è definibile come intervento di manutenzione straordinaria (articolo 3,

 

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comma 1, lettera b, Dpr 380/2001) e come tale fruisce della detrazione del 50% (articolo 16 bis del Tuir 917/1986 e articolo 1, comma 139, legge 147/2013, articolo 1, comma 47, legge 190/2014, guida al 36%-50% su www.agenziaentrate.it). La semplice sostituzione dei sanitari (come la vasca con la doccia) e delle piastrelle, invece, è intervento di manutenzione ordinaria non agevolato ai fini della medesima detrazione (la manutenzione ordinaria è agevolata solo se effettuata sulle parti comuni). Nel caso di specie, la sostituzione della vasca con la doccia sembra comportare non il rifacimento parziale dell’impianto idraulico, ma la semplice sostituzione di un tratto dell’impianto idraulico per sostituire il rubinetto con la colonna doccia. Come tale l’intervento non è agevolato ai fini della detrazione del 50%. In caso di dubbio, la qualifica urbanistica dell’intervento è dato dal regolamento edilizio comunale che se lo definisce, come nel caso di specie, come di manutenzione ordinaria, non è agevolato. Quanto alla sostituzione dell’infisso, in genere questa è intervento di manutenzione straordinaria, specie se si cambia il materiale. Ma anche qui prevale la definizione del regolamento edilizio che, nel caso di specie, come manutenzione ordinaria impedisce l’applicazione dei benefici. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

L'ACCORPAMENTO CONSENTE DI ESTENDERE I BENEFICI

D. Alcuni anni or sono ho acquistato con mia moglie, in regime di comunione dei beni, un'abitazione posta al terzo piano di un edificio. Ora che abbiamo quattro figli, l'appartamento è oggettivamente stretto per le esigenze familiari. Ultimamente si è presentata la possibilità di acquistare un piccolo appartamento nello stesso edificio, ma posto al primo piano, che rappresenterebbe una soluzione ottima alla nostra esigenza di avere maggiore spazio. Si tenga conto che non esistono altre proprietà all'in fuori di un'altra abitazione dove abita mia madre al secondo piano. È possibile, in questa circostanza, beneficiare delle agevolazioni fiscali per la cosiddetta "prima casa" ferme restando tutte le altre condizioni previste dalla circolare dell'agenzia delle Entrate? ----- R. Non trattandosi di acquisto di abitazione limitrofa o per successivo accorpamento (la casa da acquistare è al primo piano, mentre quella posseduta è al terzo e al secondo c’è un’altra abitazione abitata dalla madre), le agevolazioni per l’acquisto della prima casa non si rendono applicabili. L'agevolazione "prima casa" (n.21, Tabella A, parte II, Dpr 633/72, o articolo 1 Tariffa, Dpr 131/1986, cioè Iva al 4% e registro, ipotecarie e catastali in misura fissa pari a 200 euro cadauna, ovvero, se acquisto non da impresa, imposta di registro al 2% e ipotecarie e catastali in misura fissa pari a 50 euro cadauna), spetta anche per l'acquisto di un ulteriore appartamento contiguo, destinato a costituire un'unica unità abitativa con quello già posseduto, purché l'abitazione conservi, anche dopo la riunione degli immobili, le caratteristiche non di lusso (categorie da A/2-A/7 o di cui al Dm 2 agosto 1969, circolare 138/E del 2005). In tal senso, si è pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza 22 gennaio 1998, n. 563) che, con riferimento all'applicazione dell'agevolazione "prima casa" prevista dalla legge 22 aprile 1982, n. 168, ha ritenuto applicabile il regime di favore anche all'acquisto di alloggi «... risultanti dalla riunione di più unità immobiliari che siano destinati dagli acquirenti, nel loro insieme, a costituire un'unica unità abitativa; sicché il contemporaneo o anche successivo acquisto di due appartamenti non è di per sé ostativo alla fruizione di tali benefici, purché l'alloggio così complessivamente realizzato rientri, per la superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche (...) nella tipologia degli alloggi "non di lusso". Per gli stessi motivi e alle stesse condizioni, il regime di favore si estende all'acquisto di un immobile contiguo ad altra casa di abitazione già posseduta, acquistata dallo stesso soggetto fruendo dei benefici "prima casa" e destinata ad essere accorpata». Resta fermo che, in entrambe le suddette ipotesi, l'agevolazione in esame spetta se ricorrono tutte le altre condizioni previste dalla norma agevolativa, ossia l'ubicazione dell'immobile, l'assenza di altri diritti reali vantati su immobili ubicati nello stesso Comune. I benefici fiscali si applicano infatti a condizione che nell'atto di compravendita l'acquirente dichiari: di non essere titolare, esclusivo o in comunione con il coniuge, di diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune dove si trova l'immobile oggetto dell'acquisto agevolato; di non essere

 

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titolare, neppure per quote o in comunione legale, su tutto il territorio nazionale, di diritti di proprietà, uso usufrutto abitazione o nuda proprietà, su altra casa di abitazione, acquistata, anche dal coniuge, usufruendo delle agevolazioni per l'acquisto della prima casa. In particolare, l'immobile deve essere ubicato: nel Comune di residenza dell'acquirente, ovvero nel Comune in cui, entro 18 mesi, l'acquirente stabilirà la propria residenza. Nel caso di specie, non essendo nemmeno le abitazioni contigue, le agevolazioni prima casa non si applicano proprio perché si possiede altra abitazione nello stesso Comune. (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

PER CASA E BOX LIMITE UNICO AL 50% DI 96MILA EURO

D. Sono in procinto di acquistare un'abitazione oggetto di ristrutturazione/risanamento, con detrazione di spesa ex comma 3 dell'articolo 16-bis del Tuir, da assumere in misura pari al 25% del prezzo di acquisto (nel mio caso, il 25% di 358.000 euro, pari a 89.500 euro). Inoltre, acquisterò un box pertinenziale, con costo di costruzione pari a 44.000 euro. Desidero sapere se l'intervento è cumulabile, ovvero se potrò detrarre la metà di 89.500 euro e l'intero importo di 44.000 euro. ----- R. La risposta è negativa. Nell’ipotesi di contestuale acquisto di abitazione ristrutturata e box pertinenziale di nuova costruzione, in virtù del medesimo provvedimento urbanistico, il limite di 96.000 euro va riferito unitariamente alle due unità immobiliari. Infatti, con la risoluzione 181/E del 29 aprile 2008, l’agenzia delle Entrate ha precisato le modalità di calcolo delle spese sostenute ai fini del 36-50 per cento, in caso di interventi di recupero riguardanti sia l’abitazione sia le pertinenze, compresa la nuova realizzazione del box, come nel caso di specie. In particolare, confermando quanto già espresso con le risoluzioni 124/E e 167/E del 2007, l’amministrazione finanziaria ha affermato che, per gli interventi di recupero eseguiti contemporaneamente sull’abitazione e sulle pertinenze, anche se accatastate separatamente, si applica il limite unitario di 48.000/96.000 euro, senza poter computare un autonomo limite per gli interventi relativi alle pertinenze. In particolare, con la citata risoluzione 124/E/2007, l'Agenzia ha chiarito che, in virtù di quanto stabilito dall’articolo 35, comma 35-quater, della legge 248/2006, a partire dal 1° ottobre 2006 il limite di spesa per interventi effettuati contestualmente su abitazioni e pertinenze opera per «unità abitativa e sue pertinenze unitariamente considerate». In sostanza, il limite massimo cui commisurare la detrazione è pari al 50% di un importo massimo di 96.000 euro. Il riparto tra abitazione e box potrà poi essere indifferentemente "spalmato" dall’acquirente, fermo restando che l’importo complessivo detraibile è pari a 48.000 euro (50% di 96.000). (Marco Zandonà, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015).

Condominio

RISCALDAMENTO, IL RIPARTO NEI LAVORI DI MANUTENZIONE D. Nei condomini con riscaldamento centralizzato, in cui il sistema di distribuzione ai radiatori degli appartamenti avviene tramite colonne montanti, dove termina la competenza condominiale rispetto a quella del condomino nel caso di interventi manutentivi? La tubazione che parte dalla colonna montante e alimenta il radiatore è del condominio fino alla valvola di intercetto esclusa, oppure il confine risiede a monte. ----

 

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R. A integrazione di quanto già precedentemente esposto, la competenza condominiale rispetto a quella del condomino, nel caso di interventi manutentivi, termina nel punto in cui inizia la diramazione che porta il servizio di riscaldamento all’interno dell’unità abitativa. Sicché, le tubazioni che precedono il «punto di diramazione ai locali di proprietà individuale» sono da considerarsi comuni. Da ciò consegue che l’intervento manutentivo sulla valvola di intercetto dovrà essere eseguito a spese del relativo condomino. Il novellato articolo 1117 del Codice civile, al n. 3 fa riferimento a «le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche». Al riguardo, la regola generale ormai pacificamente applicata prevede che siano da considerare condominiali le tubazioni dell'impianto principale, mentre siano da ritenere di proprietà esclusiva le diramazioni che portano il servizio all'interno delle singole unità abitative. In sostanza, il condomino deve essere considerato proprietario e responsabile del tratto dell’impianto che serve da collegamento con quello di proprietà comune (quindi, nel caso prospettato, nel punto in cui inizia il collegamento delle diramazioni che portano il servizio di riscaldamento all’interno dell’unità abitativa). (Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 2 marzo 2015)

LA DELIBERA ANNULLABILE SI IMPUGNA IN 30 GIORNI D. Abito in un condominio di quattro piani. A dicembre si è tenuta l'assemblea in cui sono stati approvati il bilancio consuntivo e preventivo. Sono trascorsi i termini di impugnabilità e mi sono accorta che la spesa relativa alla pulizia delle scale è stata ripartita in base alla tabella millesimale generale, senza tener conto del piano dei vari appartamenti. Essendo i bilanci approvati, non è più possibile ricalcolare le spese in base ai giusti criteri? Credo inoltre che questo succeda da anni. Cosa è possibile fare? ---- R. La legge n. 220/12, di riforma del condominio, ha novellato anche l’articolo 1124 del Codice civile, rubricato, «manutenzione e sostituzione delle scale e degli ascensori», equiparando così gli ascensori alle scale medesime e ribadendo, altresì, il concetto secondo cui entrambi i beni «sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono». Le spese relative per le scale e gli elementi ad esse connessi (scalini, pianerottoli, corrimani) vanno ripartite, secondo i criteri dettati dall'articolo 1124, ossia per metà in ragione del valore millesimale delle singole unità immobiliari cui la struttura serve, e per l'altra metà «esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo». I criteri stabiliti dall’articolo 1124 ineriscono a tutte le spese relative alla conservazione della cosa comune, per mantenere l'uso e il godimento a vantaggio dei condomini facendo fronte alla naturale deteriorabilità delle strutture. Tuttavia, in materia di ripartizione delle spese per la pulizia delle scale, in deroga al principio posto dall'articolo 1123, 2° comma, deve farsi riferimento in via analogica alla regola posta dall'articolo 1124, 1° comma, esclusivamente nella sua seconda parte, che prevede un criterio di ripartizione in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo, la cui ratio va individuata nel fatto che «a parità di uso, i proprietari dei piani alti logorano di più le scale rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui contribuiscono in misura maggiore alla spese di ricostruzione e manutenzione. Ugualmente, a parità di uso, i proprietari di piani più alti sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia» (Cassazione n. 432/2007). Va quindi ricordata la fondamentale differenza tra delibere nulle e annullabili. Le prime sono prive degli elementi essenziali (per esempio: manca l’indicazione dei nominativi dei presenti in assemblea e dei rispettivi millesimi o dei votanti); hanno oggetto impossibile o

 

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illecito cioè contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume (per esempio: dispongono opere di abuso edilizio o vietano l’acquisto di appartamenti a determinati soggetti per ragioni di discriminazione razziale); hanno oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea; incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini (per esempio: disciplinano l’utilizzo di un bene che in realtà è di proprietà esclusiva di un solo condomino). Le seconde sono tali quando: la costituzione dell’assemblea è irregolare (per esempio: non si raggiunge il numero minimo di partecipanti); sono prese con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale; sono affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti anche al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea; sono affette da vizi di irregolarità nel procedimento di convocazione dei condomini; violano norme richiedenti maggioranze qualificate in relazione all’oggetto. Ora, in considerazione del fatto che la delibera citata sulla ripartizione delle “spese relative alla pulizia delle scale” non è lesiva dei diritti e degli obblighi spettanti a ciascun condominio, ma è soltanto viziata per una falsa causa, si può pacificamente affermare che la stessa è affetta da annullabilità e quindi, ai sensi dell’articolo 1137 del Codice civile «ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di 30 giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti». Pertanto, qualora per gli assenti non sia stato ancora comunicato/inviato il verbale di assemblea, è possibile impugnare la relativa delibera nel predetto termine di 30 giorni. In caso contrario, occorre aspettare la prossima assemblea ordinaria per l’approvazione o meno del riparto consuntivo/preventivo, per poi sollevare la problematica in sede di discussione per l’approvazione del bilancio consuntivo e/o preventivo e, se del caso, impugnare la relativa delibera. (Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)

IL PROPRIETARIO CONTESTA I VIZI DELL'APPARTAMENTO D. In un condominio, i proprietari suppongono che la società costruttrice non abbia eseguito i lavori secondo norma: infatti, alcuni appartamenti hanno problemi di umidità in casa e, inoltre, alcune tubazioni idriche comuni hanno provocato degli allagamenti in altri appartamenti. Per quanto riguarda le tubazioni comuni, se ne deve occupare l'amministratore in quanto parte comune condominiale, ma per quanto riguarda gli appartamenti, chi se ne deve occupare? Se ne occupasse l'amministratore insieme al problema delle tubazioni, sarebbe legittimato ad agire in giudizio per conto del condominio? ---- R. I vizi e difetti riguardanti le proprietà esclusive devono essere fatti valere dai singoli proprietari e non dall’amministratore del condominio, che è invece tenuto ad agire per rimediare agli allagamenti ricollegabili ai vizi delle tubazioni idriche comuni. Se gli allagamenti sono imputabili a vizi gravi delle tubazioni idriche comuni, l’amministratore può agire in giudizio per conto del condominio, anche senza delega dei condomini. In questo senso, si veda Cassazione 30 gennaio 1995, n. 1081, per la quale «all’azione di responsabilità per gravi difetti della costruzione, di cui all’articolo 1669 del Codice civile, relativa a parti comuni di un edificio condominiale (nella specie, impianto di riscaldamento) è abilitato, oltre ai condomini, l’amministratore del condominio, a norma degli articoli 1140, n. 4 e 1131, comma 1, del Codice civile, non essendo, pertanto, necessaria una delibera dell’assemblea dei condomini, mentre soggetto passivo della responsabilità prevista dalle norme innanzi citate può essere non soltanto chi abbia eseguito la costruzione in dipendenza di un contratto d’appalto, bensì qualunque costruttore che abbia realizzato l’immobile con gestione diretta». (Silvio Rezzonico, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)

CERTIFICAZIONE FISCALE SOLO PER CHI HA VERSATO D. Nel nostro condominio, nel quale mia moglie, casalinga e a mio carico, ha un appartamento,

 

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abbiamo effettuato dei lavori straordinari al terrazzo. A lavori ultimati, purtroppo, abbiamo constatato che non tutti i proprietari hanno versato la propria quota per il pagamento dei lavori. L'amministratore ha dei dubbi circa la certificazione da rilasciare la detrazione fiscale a causa di morosità parziali e totali. Può l'amministratore omettere il rilascio di questa certificazione? ---- R. In caso di lavori di ristrutturazione effettuati sulle parti comuni degli edifici condominiali, i condomini possono fruire di una detrazione fiscale dall’Irpef sulle spese sostenute. L’agevolazione fiscale spetta al singolo condomino nel limite della quota a lui imputata da parte dell’amministratore in base alla tabella millesimale. È necessario, però, che detta quota sia stata realmente versata al condominio entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi nella quale si richiede la detrazione. Sicché, da quanto appena esposto emerge che l’amministratore sarà tenuto a rilasciare, in favore dei condomini che hanno eseguito i pagamenti «dei lavori straordinari al terrazzo», la relativa certificazione, consentendo loro di fruire delle agevolazioni fiscali così come previsto dalla legge. (Paola Pontanari, Il Sole 24 ORE – L’Esperto Risponde, 23 febbraio 2015)


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