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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA · Guerra di tv in Kenya di Enzo Nucci AMERICA LATINA...

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DOSSIER L’Africa che cammina da sola ATTUALITÀ Anno Santo Porte aperte alla misericordia PRIMO PIANO Da Tunisi il “no” del mondo al terrore Nutrire il pianeta Nutrire il pianeta In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 5 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXIX MAGGIO 2015
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DOSSIERL’Africa che cammina da sola

ATTUALITÀAnno SantoPorte aperte alla misericordia

PRIMO PIANODa Tunisi il “no” del mondo al terrore

Nutrire il pianetaNutrire

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

5M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXIX

MAGGIO2015

MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.

Editore: Fondazione di religione MISSIO

Direttore responsabile: GIULIO ALBANESE

Redazione: Miela Fagiolo D’Attilia, Chiara Pellicci, Ilaria De Bonis.

Segreteria: Emanuela Picchierini,[email protected]; tel. 06 6650261 - 06 66502678; fax 06 66410314.

Redazione e Amministrazione: Via Aurelia, 796 - 00165 Roma.

Abbonamenti: [email protected]; tel. 06 66502632; fax 06 66410314. Hanno collaborato a questo numero: Giuseppe Andreozzi, MarioBandera, Roberto Bàrbera, Marco Benedettelli, Eleonora Borgia, AziaCiairano, Franz Coriasco, Anna Maria Federico, Tommaso Galizia, SilviaKoch, Francesca Lancini, Martina Luise, Luciana Maci, Davide Maggiore,Paolo Manzo, Floriana Moschitta, Enzo Nucci, Saverio Paolillo.

Progetto grafico e impaginazione: Alberto Sottile.

Foto di copertina: Huber & Starke / Image SourceFoto: Afp Photo / Gabriel Bouys, Afp Photo / Eric Feferberg, Afp Photo /Jack Guez, Issiam Rimawi / Anadolu Agency, Afp Photo, Afp Photo OmarTorres, Afp Photo / Fethi Belaid, Afp Photo / Carl De Souza, FrédéricSoreau / Photononstop, Recep Canik / Anadolu Agency , Archivio Missio,Damien Boilley, Luca Brentari, Francesco Maria Carloni, Antonio G.Colombo, G. Dall’Orto, Sandro Gallazzi, Silvia Koch, Eyepress News,Chiara Pellicci.

Abbonamento annuale: Individuale € 25,00; Collettivo € 20,00;Sostenitore € 50,00; Estero € 40,00.

Modalità di abbonamento:- Versamento sul C.C.P. 63062327 intestato a Missio o bonifico

postale (IBAN IT 41 C 07601 03200 000063062327)- Bonifico bancario su C/C intestato a Missio presso Banca Etica

(IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511)

Stampa:Graffietti stampati - S.S. Umbro Casentinese km 4,5 -Montefiascone (VT)Manoscritti e fotografie anche se non pubblicati non si restituiscono.

Mensile associato alla FeSMI e all’USPI, Unione StampaPeriodica Italiana.Chiuso in tipografia il Supplementi elettronici di Popoli e Missione:MissioNews (www.missioitalia.it)La Strada (www.giovani.missioitalia.it)

Fondazione MissioDirezione nazionale delle Pontificie Opere Missionarie

Via Aurelia, 796 - 00165 RomaTel. 06 6650261 - Fax 06 66410314E-mail: [email protected]

Presidente: S.E. Mons. Ambrogio Spreafico

Direttore:Don Michele Autuoro

Vice direttore: Dr. Tommaso Galizia

Tesoriere: Dr. Giuseppe Calcagno

Responsabile riviste e Ufficio stampa: P. Giulio Albanese, M.C.C.I

Segretario Pontificia Opera Propagazione della Fede (Missio adulti e famiglie): Don Valerio Bersano

Segretario Pontificia Opera di San Pietro Apostolo e della Pontificia Unione Missionaria (Missio consacrati): Don Alfonso Raimo

Segretario Missio Giovani: Alessandro Zappalà

CON I MISSIONARI A SERVIZIO DEI PIÙ POVERI:

- Offerte per l’assistenza all’infanzia e alla maternità, formazione dei seminaristi, sacerdoti e catechisti, costruzione di strutture perle attività pastorali, acquisto di mezzi di trasporto.

- Offerte per la celebrazione di Sante Messe, anche Gregoriane.Conto corrente postale n. 63062855

Conto corrente bancario presso Banca Etica (IBAN IT 55 I 05018 03200 000000115511)

- Eredità, Lasciti e Legati La Fondazione MISSIO, costituita il 31 gennaio 2005 dalla Conferenza Episcopale Italiana, ente ecclesiastico civilmente riconosciuto(Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2006), è abilitata a ricevere Eredità e Legati anche a nome e per conto delle Pontificie OpereMissionarie.Informazioni: amministrazione (tel. 06 66502629; fax 06 66410314; E-mail: [email protected]).

1P O P O L I E M I S S I O N E - M A G G I O 2 0 1 5

L’ orribile spirale di terrorismoche insanguina tante periferiedel mondo – dal Medio

Oriente all’Africa subsahariana – esigeun serio discernimento da parte dellelibere coscienze. La terribile mattanzadi cristiani in Siria, Iraq, Nigeria e Kenya,unitamente alle vessazioni perpetratecontro tanta società civile del cosid-detto islam moderato, non possono es-sere, infatti, accettate quasi fossero unasorta di fatalità imposta dal destino. Ascanso di equivoci, è bene ricordare cheil gran mufti dell’Arabia Saudita, SheikhAbdul Aziz bin Abdullah, ha dichiarato,lo scorso 15 marzo, che «è necessariodistruggere tutte le chiese presenti nellaregione del Golfo», commentando ladecisione del governo kuwaitiano diproibire l’edificazione di luoghi di cultocristiani sul proprio territorio. Scusate,ma come mai la stampa europea, in-clusa quella nostrana, ha fatto orecchieda mercante? Perché finora le cancel-lerie occidentali non hanno protestatocon le autorità di Ryad per l’istigazioneall’odio da parte del leader religiososaudita? Di fronte a questo delirio, chetrova la sua collocazione giuridica nellasharìa (la legge islamica), il consessodelle nazioni è silente. Eppure tuttisanno che questo indirizzo è in fla-grante violazione della Dichiarazioneuniversale dei Diritti dell’Uomo, appro-vata il 10 dicembre 1948, dall’Assem-blea generale delle Nazioni Unite. D’al-tronde, non è un caso se allora furonopochissimi i Paesi musulmani che par-

teciparono all’elaborazione e alla firmadi tale dichiarazione. Molti entrarononell’Onu successivamente ed accetta-rono un’adesione di principio alla Di-chiarazione stessa, ma senza ratificaree firmare l’insieme degli accordi e deiprotocolli. Nell’ultimo trentennio, alcuniorganismi islamici hanno formulatospecifiche dichiarazioni che si rifannoalla visione occidentale, pur mante-nendo nella loro essenza un approccioteocratico. Il problema di fondo è chenel mondo islamico la concezione deidiritti umani è fortemente condizionatadalla propria specifica identità culturalee religiosa. Basterebbe leggere la Di-chiarazione universale dei Diritti del-l’Uomo nell’islam adottata nel 1981 dalConsiglio islamico d’Europa, come an-che la Dichiarazione del Cairo del 1990,elaborata dall’Oci (Organizzazione dellaConferenza islamica), per rendersi contodel forte influsso della componenteteologica islamica e del costante ri-chiamo al dettato sciaraitico. Solo nellaCarta araba dei Diritti dell’Uomo del1994 è possibile individuare una va-lenza giuridica in qualche modo piùlaica, attribuibile alla necessità di alli-nearsi, sul piano formale, nella misuradel possibile, agli standard internazio-nali sui diritti umani.Prendendo in esame queste Carte isla-miche sorge, però, qualche dubbio sulfatto che esse possano essere conside-rate, dal punto di vista giuridico, do-cumenti islamici di codificazione deidiritti umani. Nella maggior parte

EDITORIALE

Le nostre lacrime di coccodrillodi coccodrillo

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

»

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Indice

EDITORIALE

1 _ Le nostre lacrime di coccodrillo di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ Da Tunisi Il “no” del mondo al terrore di Silvia Koch

ATTUALITÀ

8 _ Nutrire il pianeta. Energia per la vita L’Expo delle meraviglie? di Miela Fagiolo D’Attilia

12 _ Anno Santo straordinario

Porte aperte alla misericordia di Miela Fagiolo D’Attilia

FOCUS

14 _ Nel centenario della nascita di Thomas Merton

Pellegrino dell’Assoluto di Mario Bandera

L’INCHIESTA

18 _ Enti inutili? C’era una volta l’Isiao di Davide Maggiore

SCATTI DAL MONDO

22 _ Terrorismo in Kenya Il sangue di Garissa A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulio Albanese

PANORAMA

26 _ Santuari mariani nel mondo Nel nome di Maria di Miela Fagiolo D’Attilia

DOSSIER

29 _ Prospettive e speranze L’Africa che cammina da sola A cura di Davide Maggiore e Ilaria De Bonis

37 _ Filo diretto con l’economia Business etico con i poveri di Ilaria De Bonis

4

P O P O L I E M I S S I O N E - M A G G I O 2 0 1 52

dei casi, si tratta di Carte conuna forte connotazione decla-matoria che non prevedono, adesempio, l’istituzione di mec-canismi di controllo effettivosull’operato dei singoli Stati. Èpossibile allora ricondurre allaragionevolezza l’islam integra-lista? Se da una parte è veroche il mondo islamico deve su-perare i condizionamenti impostidalla teocrazia, per cui la reli-gione si manifesta come l’altrafaccia della politica, ricusandola sfida imposta dalla Storia,dall’altra anche l’Occidente deveassumersi le proprie responsa-bilità. In questi anni, le grandidemocrazie occidentali hannofatto poco o niente per aiutarela società civile araba ad usciredal letargo e sostenere politi-camente e finanziariamentel’intelligentia islamica moderata.Una sfida che, alla luce delmassacro di Garissa in Kenya,non può essere disattesa. Al-trimenti le nostre rischiano d’es-sere lacrime di coccodrillo.

(Segue da pag )

29

1.

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

38 _ Dalle favelas del Brasile a Timor Est La lotta di padre Chico contro l’ingiustizia di Francesca Lancini

41 _ In ricordo di Giuseppe Pasini, uno dei padri della Caritas d i poveri di Tommaso Galizia

42 _ Anna Maria Rizzante, missionaria laica in Brasile Partire per essere, non per fare di Chiara Pellicci44 _ Mutamenti I rischi della tecnologia Memoria collettiva, ricordi virtuali di Luciana Maci

46 _ L’altra edicola Prospettive post-elettorali in Israele L’autogol di Netanyahu di Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionari Lettera al centurione romano

a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE

52 _ Ciak dal mondo BEKAS Superman

e il sogno della felicità di Miela Fagiolo D’Attilia54 _ Libri Senza terra, senza diritti di Marco Benedettelli

54 _ Il ritratto nero della Bosnia di Martina Luise

55 _ Musica Che fine ha fatto Johnny Clegg? di Franz Coriasco

3P O P O L I E M I S S I O N E - M A G G I O 2 0 1 5

OSSERVATORI

DONNE IN FRONTIERA PAG. 6

Farkhunda e le donne di Kabuldi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 7

Il pesce che viene dagli schiavidi Francesca Lancini

AFRICA PAG. 9

Guerra di tv in Kenyadi Enzo Nucci

AMERICA LATINA PAG. 10

Brasile, missione antidroga di Paolo Manzo

BANCA ETICA PAG. 16

Microcredito per creare lavoro

BALCANI PAG. 20

Guerra in Kosovo e traffico di organidi Roberto Bàrbera

GOOD NEWS PAG. 21

Dalla scienza acqua per tuttidi Chiara Pellicci

8

18

VITA DI MISSIO

56 _ In ricordo di monsignor Alunni Gradini Un inimitabile missionario di Anna Maria Federico58 _ Incaricati diocesani di Missio Ragazzi A convegno per capire la povertà di Eleonora Borgia

59 _ Missio Giovani Perché la LectiOnline

di Floriana Moschitta

60 _ Solidarietà delle Pontificie Opere Missionarie Benin Gli orfani di N’Dali di Miela Fagiolo D’Attilia

MISSIONARIAMENTE

61 _ Intenzione missionaria Il coraggio della Madre di Mario Bandera

62 _ Campagna “Cibo per tutti” Coalizione mondiale contro il water grabbing

di Ilaria De Bonis

63 _ Inserto PUM Missione casa per casa di Giuseppe Andreozzi

Evangelizzati a

4 P O P O L I E M I S S I O N E - M A G G I O 2 0 1 5

PRIMO PIANO Da Tunisi

S palla a spalla, la marcia dei 70milache fa arretrare il terrorismo. Ri-nasce dalla Tunisia la speranza di

pace per il mondo intero. Proprio nelPaese colpito al cuore della sua identitàstorica, culturale e politica, con l’attaccoal Museo nazionale del Bardo. Hannoreagito i governanti tunisini, ha reagitoil popolo e il mondo intero. Con unaprima manifestazione di protesta im-provvisata dai cittadini subito dopo l’at-tentato, il 18 marzo scorso. Ai loro corisi sono uniti, sei giorni dopo, centinaiadi cooperanti, giunti a Tunisi in occasionedel Forum Sociale Mondiale. «Fuori ilterrorismo dalla Tunisia; Siamo tutti tu-

nisini; Solidarietà con i popoli del mondointero»: per tre ore il corteo colorato hacantato sotto una pioggia battente, diquelle che – per detto popolare tunisino– sono di buon auspicio. Frutti saporiti,o forse fiori di gelsomino, nasceranno abreve. Ancora, lo hanno ribadito le isti-tuzioni la domenica successiva, il 29marzo scorso, quando al fianco dei verticitunisini hanno sfilato alcuni capi di Statoe di governo, tra cui Matteo Renzi e ilpresidente François Hollande.Il fermo rifiuto della violenza estremistaè venuto da tutte le forze politichetunisine (partito islamista Ennahdha com-preso) che, dinanzi all’esigenza di difenderele libertà germogliate dalla “rivoluzionedei gelsomini”, hanno ritrovato unitànazionale.

di SILVIA [email protected]

Il “no” del mondo al terrore

Il “no” del mondo al terrore

Unico Stato di diritto nato (finora) dallePrimavere arabe, la Tunisia è stata definitala democrazia più progressista del mondoarabo, prova stessa che in una democrazial’islam moderato può trovare espressione:è evidente come la sua stabilità internasia vitale per tutto il Nord Africa e pertutti i continenti.La popolazione, ancora scioccata perl’attentato, chiede di andare oltre lapaura. I tunisini hanno bisogno di turismo,di scambi economici e di buoni rapportidi vicinato, specialmente con noi cuginidell’altra sponda del Mediterraneo; inmolti ci siamo stabiliti nelle loro terrecome migranti, in epoche passate. Aipropri dirigenti chiedono invece assun-zione di responsabilità e trasparenza, ac-compagnate da un rilancio dell’economia

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che sia basato su protezione delle fascedeboli ed opportunità per i giovani.

FUORI GLI ESTREMISTI DALLE SFERE DI INFLUENZA«Ils le savaient et ils ont rien fait»: daltassista al poliziotto, dal giornalista allostudente universitario, sono in molti apuntare il dito sulla classe politica. Si at-tribuisce in particolare al partito Ennahdhadi Rached Ghannouchi, che nel post-ri-

giovani tunisini nelle braccia dell’alter-nativa rappresentata dai gruppi fonda-mentalisti.Come reazione alla strage del Bardo, ac-canto alla caccia ai terroristi, è scattatauna vera e propria espulsione di estremistida ministeri, moschee ed amministrazioni.La presenza militare è rafforzata, unalegge antiterrorismo è all’esame in Par-lamento e la gente sembra sollevata.Resta certo il problema dell’instabilità

fuori dalle frontiere, con una Libia inpreda alla guerra civile, il traffico diarmi e combattenti dall’Algeria, ilrichiamo alla militanza fondamen-talista dalla Siria e dall’Iraq. Suquesto, la Tunisia da sola può farepoco. La speranza è che non si ri-solva tutto con alleanze militari(comode soprattutto alle industrie

delle armi), come suggerisce il pro-babile – stando alla stampa locale -

accordo tra Tunisia, Francia e ArabiaSaudita, per l’acquisto da parte di Tunisidi armi ed equipaggiamenti francesi confinanziamenti sauditi.

FAR GIRARE L’ECONOMIASebbene l’apparato statale legato al pre-sidente Zine el-Abidine Ben Ali - basatosostanzialmente su clientelismo, corruzionee limitazione delle libertà individuali -non sia certo rimpianto, alcuni riconosconoche proprio quella macchina burocraticacosì “ingombrante” riusciva a garantireun certo equilibrio nell’economia. Obbli-gando le imprese ad assumere, ga-

Un'altra Tunisia èpossibile. Lo chiede lasocietà civile scesa inpiazza per manifestarecontro il terrorismo dopola strage al museo delBardo. Gli eventi delSocial Forum di finemarzo scorso e l’impegnodel governo per ladefinizione della Cartainternazionale contro ilterrorismo dimostranoche la “primavera deigelsomini” non è finita.

voluzione ottenne la maggioranza in As-semblea costituente, un atteggiamentoconsapevole ma passivo (anche a causadi profonde divisioni interne) dinanzi alrafforzamento dell’ala più estremista.Questo, associato ad una graduale perditadi fiducia della popolazione nelle istitu-zioni, al deterioramento dell’economia,al debole controllo alle frontiere e alcaos politico del Nord Africa circostante,avrebbe spinto negli anni passati molti »

Sopra:

Manifestanti contro il terrorismo per le strade di Tunisi dopo l’attacco al Museo nazionale del Bardo.A destra:

Il logo del Forum Sociale Mondiale tenutosia Tunisi dal 24 al 28 marzo scorsi.

PRIMO PIANO

6

fare luce soprattutto sulla complessitàdi questo mondo arabo così tormentatoe turbolento (dalla Siria all’Iraq, all’Egitto,allo Yemen), indagando le cause profondedel caos politico, riflettendo su possibilivie d’uscita nel pieno rispetto dei dirittiumani. Nato a Porto Alegre come alter-nativa al vertice economico di Davos,contro ogni forma di neo imperialismo e

neo capitalismo ai dannidelle comunità di base,il Forum si può definireun processo itinerante,che di anno in annosceglie il Paese ospitante,seguendo le emergenzein tema di diritti umanisulla scena mondiale.Protagonisti sono singoliindividui e coordina-menti di grandi e piccoleassociazioni, da Oxfama La Via Campesina, dalle

Unioni sindacali ai movimenti di donne,da Libera contro le mafie a Reporterssans frontières. Presenti quest’anno ancheComboni Network for Justice, Peace andReconciliation (con attività su donne,dialogo e pace), Caritas Francia (che ha

rantendo un contenimento deiprezzi dei beni primari, ope-rando uno stretto controllosu scambi illegali. Ltaief Salem,portavoce di sezione del primosindacato nazionale l’UnioneGenerale Tunisina del Lavoro(Ugtt), conferma che dal 2011la disoccupazione è aumentata,frequenti scioperi di categorieanimano le piazze e i prezzidei beni alimentari sono volatialle stelle, senza un corrispon-dente adattamento degli sti-pendi (che si abbassano finoa 300 dinari tunisini, circa 600euro al mese). Ltaief parla dicontrabbando con i Paesi li-mitrofi, soprattutto Libia, «inaumento vertiginoso, con untasso passato dal 20% all’epocadi Ben Ali a oltre il 50% oggi».Il sindacato fa pressione per una riduzionedell’export a vantaggio di un rafforza-mento del mercato locale.

IL FORUM DELLA COMPLESSITÀDi economia e lavoro, lotta al terrorismoe pace, libertà di informazione, immi-grazione e ambiente si è parlato a Tunisi,nella cornice colorata delForum mondiale, ospitatonel Campus universitarioEl Manar dal 24 al 28marzo scorsi. Con oltremille eventi tra dibattiti,tavole rotonde, rappre-sentazioni teatrali e vi-deo-conferenze, hannotrovato largo spazio anchediscussioni su prospettivegiovanili, rafforzamentodelle donne nelle crisi so-ciali e politiche (di cuisono spesso le prime vittime), popoli an-cora in attesa di una patria (dal SaharaOccidentale alla Palestina), e il pericoloche le loro sofferenze decennali, ignorate,degenerino in vere e proprie guerre. Hacercato, il Forum della società civile, di

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Si chiamava Farkhunda, aveva 27 anni. Èstata linciata dalla folla a Kabul il 19

marzo scorso, con l’accusa di aver bruciatoil Corano nella moschea Shah-e-Du Sham-shera. Le immagini del suo viso sanguinante,del corpo bruciato e poi gettato nel fiume,filmate dai cellulari, hanno fatto il giro delmondo attraverso i social network e le tele-visioni. Il giorno dopo è esploso il doloredelle donne militanti dei diritti civili, chehanno voluto portare a spalla la bara dellaragazza fino alla tomba. Fatto inusuale perun funerale in Afghanistan che 13 donne ab-biano compiuto un gesto riservato agli uomini.Gridavano: «Portiamo noi la bara di Farkhunda.Era una figlia dell’Afghanistan. Oggi è toccatoa lei, domani toccherà a noi», mentre centinaiadi manifestanti scendevano nelle strade diKabul per chiedere giustizia.In effetti Farkhunda era innocente. La famigliaha dichiarato che da 16 anni soffriva didisturbi psichici e non sono state trovateprove del gesto sacrilego che ha determinatoil suo barbaro assassinio, come ha ammessoil generale Mohamad Zahir, capo della poliziainvestigativa criminale. E mentre 13 poliziottivenivano sospesi per aver assistito allatragedia senza intervenire, il ministro dell’In-terno, Noorul Haq Ulumi, rispondendo aduna interrogazione parlamentare, ha dichiaratoche «le accuse contro Farkhunda erano false,era una donna religiosa. È molto dolorosovedere che non siamo riusciti a proteggerla.Speriamo che un simile fatto non si ripetamai più». Anche il presidente Ashraf Ghaniha condannato il linciaggio, un atto «in apertacontraddizione con la sharia e il sistema digiustizia islamico». La ragazza dai grandiocchi bruni, che ci guarda per sempre dalweb, ha scosso l’opinione pubblica afghanae di tutto il mondo. Il suo nome non sarà di-menticato, affinché «i diritti delle donne af-ghane non siano solo conchiglie vuote»come ha detto una manifestante durante ilfunerale. La morte di Farkhunda è un monitoper il rispetto dei diritti umani delle donnema anche degli uomini del suo Paese. E nonsolo.

di Miela Fagiolo D’Attilia

FARKHUNDA E LEDONNE DI KABUL

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA

Come reazione allastrage del Bardo,accanto alla caccia aiterroristi, è scattata unavera e propriaespulsione di estremistida ministeri, moscheeed amministrazioni.

7

Da Tunisi

Venti o più ore di turni senza sosta. Picchiatie gettati in mare, se morti per la fatica e gli

stenti. Pagati poco o niente. Rinchiusi in ba-racche. Si tratta di lavoratori in gran parte bir-mani portati nell’isola indonesiana di Benjinae costretti a pescare e trasportare merce itticain Thailandia, da dove successivamente partein quantità copiose per America, Europa ealtri Paesi asiatici.È questa la drammatica scoperta fatta da ungruppo di giornalisti dell’Associated Press (AP)in un anno d’inchiesta: il nostro cibo e quelloche diamo ai nostri animali domestici potrebbevenire dagli schiavi.Il pescato degli operai di Benjina è destinatoal mercato asiatico, ma anche alla grande di-stribuzione americana ed europea, che riforniscesupermercati, ristoranti e negozi di articoli peranimali. I reporter di AP hanno tracciato ilviaggio delle varie merci ittiche, individuandoi destinatari statunitensi: i grossisti Kroger, Al-bertsons e Safeway; il più importante rivenditoreal dettaglio, Wal-Mart; il più grande distributorealimentare, Sysco; le aziende di cibo in scatolaper animali Fancy Feast, Meow Mix e Iams.Non sono, invece, riusciti a definire con preci-sione le mete europee ed asiatiche.L’AP, inoltre, ha raccolto le testimonianze di40 pescatori. Tra queste: «Voglio andare acasa. Tutti lo vogliono»; «I nostri genitori nonci sentono da molto tempo. Sono sicuro chepensano che siamo morti». Gavin Gibbons,portavoce del National Fisheries Institute, cherappresenta 300 fabbriche statunitensi di ali-menti ittici, cioè il 75% dell’intera industria na-zionale, ha detto che i suoi membri sono scon-volti da quanto scoperto. Tuttavia, dalla PusakaBenjina Resources, l’azienda con sede nel-l’omonima isola indonesiana in cui sono “in-carcerati” i lavoratori, nessuno vuole rilasciaredichiarazioni. E la thailandese Silver Sea ReeferCo., proprietaria delle navi cargo, manda adire che non c’entra nulla con i pescatori. Aquesti ultimi non resta che piangere davantialle 60 tombe dei morti che non sono statigettati in mare. «Ma laggiù c’è un’isola diossa», dice uno di loro.

di Francesca Lancini

IL PESCE CHEVIENE DAGLISCHIAVI

OSSERVATORIO

ASIA

riportato esperienze di democrazia inAfrica) e numerosissimi attori tunisini:piccole associazioni di settore, sindacati,semplici cittadini curiosi.Dal confronto diretto tra esperti di diversiPaesi e continenti, dalla condivisione diesperienze e “buone pratiche”, nasconoreti transnazionali di solidarietà e vengonocollettivamente elaborate soluzioni so-stenibili, per ciascuna area tematica,che costituiranno il motore dellefuture campagne di sensibilizza-zione presso l’opinione pubblicamondiale, le organizzazioni poli-tiche ed economiche.

CARTA CONTRO IL TERRORISMOA Tunisi ho visto nascere l’idea diuna Carta internazionale controil terrorismo; la proposta di unasessione del Tribunale Permanentedei Popoli (http://www.interna-zionaleleliobasso.it/?page_id=207)per i morti e i dispersi a causadelle migrazioni verso l’Europa,per dare loro un volto, e giustiziaalle loro famiglie; un Comitatointernazionale di solidarietà con

la Grecia, allo scopo di monitorare lemisure di austerità cui il Paese verrà neiprossimi mesi sottoposto; la condivisionedella piattaforma on linewatergrabbing.net, uno strumento checonsentirà la denuncia e il collegamentoin rete di tutti i casi di “saccheggio del-l’acqua” (non si tratta di una calamitànaturale, ma di scelta politica). E cosìvia, ogni coordinamento tematico, hastilato al termine le sue conclusioni epropositi per il futuro.Il Forum ha rappresentato un’iniezionedi speranza, per chi si batte ogni giornoper la realizzazione di una maggioregiustizia internazionale. Ma i cortei, perquanto colorati, non bastano a cambiareil mondo. L’ansia di pace non può restaresolo una passione, si dovrebbero trovareinvece gli strumenti per emergere alivello politico, nella Tunisia nata dallaPrimavera araba come nel resto del mon-do. È questa forse la sfida più difficileper il Forum della società civile: individuaree poi solcare quel sentiero fatto di espe-rienze singole di affermazione ed acqui-sizione dei diritti umani, passo dopopasso, nella direzione di un mondo dovele istanze dei popoli possano trovarepiena espressione, proprio a partire dalsistema politico ed economico.

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ATTUALITÀ Nutrire il pianeta. Energia per la vita

Nell’anno in cui scocca il bilanciodegli Obiettivi di Sviluppo delMillennio, oltre 900 milioni dipersone soffrono la fame nei Paesidel Sud del mondo, mentre gli obesisono un miliardo e 800mila e sale ilnumero dei decessi causati daproblemi legati all’alimentazione.L’esposizione mondiale di Milanoriuscirà a definire nuove strategieper una migliore distribuzione delcibo tra Paesi del Sud e del Nord delpianeta?

L’Expo delle meravL’Expo delle meravcanto al cosiddetto “Cluster del riso”,uno dei padiglioni tematici dedicati acacao, spezie, “zone aride”, ecc.). Squamedi drago avvolgono la spirale del padi-glione cinese che troneggia nella primaparte del decumano, spina dorsale del-l’Expo delle meraviglie. Ma riuscirà que-sta, che per alcuni è una grande fiera,a farci riflettere sull’urgenza di cambiarele politiche alimentari globali? Qualcunotra i 20 milioni di visitatori attesidurante l’apertura dell’esposizione uni-versale, dall’1 maggio al 31 ottobre,crederà di essere piombato nel set di

P alazzo Italia è stato costruitocon cemento biodinamico checattura l’inquinamento dell’aria

e malta di materiali riciclati. Per l’Azer-baijan, tre enormi globi tra sinuosepareti di legno, ricordano biosfere por-tate dal vento. Il piccolo edificio delVietnam è una piramide di piante dibambù, ma da lontano sembra unarisaia verticale (non a caso si trova ac-

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

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un film di fantascienza, molti si ferme-ranno a gustare la cucina dei 145 Paesi(che insieme rappresentano il 94% dellapopolazione mondiale). Tutti, però, la-sceranno questa nuova città alla periferiaovest di Milano con la consapevolezzache i quattro temi al centro dell’Expo“Nutrire il pianeta. Energia per la vita”- il cibo, il gusto, l’alimentazione, lasostenibilità - sono alla base del rie-quilibrio delle sorti dell’umanità.

OBIETTIVO MANCATOOltre 900 milioni di persone soffrono

(Segue a pag. 11)

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la fame nei Paesi del Sud del mondo,mentre gli obesi sono un miliardo e800mila e sale il numero dei decessicausati da problemi legati all’alimen-tazione. Uno tra i tanti dati che rac-contano lo squilibrio tra la produzionee il consumo di cibo, tra le leggi eco-nomiche dell’industria e le tradizionidelle culture legate alla terra, al mare,a madre natura, oggi colpita dalla vio-lenza dell’uomo. Basti pensare che sele materie prime alimentari fossero uti-lizzate e distribuite equamente, ci sa-rebbe da mangiare a sufficienza per il

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doppio degli attuali abitanti del piane-ta.Che sia scattata l’ora della resa deiconti è chiaro a tutti. Eccesso di indu-strializzazione della produzione del cibo,rarefazione delle risorse naturali, cam-biamenti climatici e biodiversità mi-nacciata sono problemi globali, da ri-solvere in fretta, per il bene del futurodi tutta l’umanità. Il 2015 è l’anno incui tirare le somme degli Obiettivi diSviluppo del Millennio, otto punti fissatidall’Assemblea 15 anni fa, che vedonoal primo posto l’urgenza di «sradi-

aviglie?aviglie?

D al 14 febbraio scorso le televisioni delKenya trasmettono solo in digitale. È

diventata operativa la decisione dell’Autoritàdelle comunicazioni che ha bloccato le tra-smissioni in analogico. Una scelta che stainfiammando la polemica politica perchésono visibili in digitale solo due canali: Kbc(Kenya Broadcasting Corporation, ovvero ilcanale pubblico) e K24 (canale privato diproprietà della famiglia del presidente UhuruKenyatta), gli unici che hanno rispettato ladata. Per gli altri è la catastrofe. Sono statisequestrati gli impianti di Ktn (Kenya Tele-vision Newtwork, di proprietà del gruppoeditoriale Standard che pubblica anchel’omonimo quotidiano), Citizen Tv e Ntv (latelevisione legata al quotidiano più diffusodel Paese, il Daily Nation, proprietà dell’AgaKhan). Almeno 200 tra giornalisti e tecnicisono senza lavoro. Per gli utenti è un durocolpo, perché queste televisioni erano leuniche che producevano informazione eprogrammi critici verso l’establishment. Oral’informazione televisiva è nelle mani delgoverno. L’Autorità delle comunicazioni nonha accettato di rimandare di tre mesi l’emi-grazione sul digitale chiesta dagli editori,che hanno sostenuto ritardi nelle consegnedelle apparecchiature ordinate all’estero. Ilricorso presentato ai giudici è stato respinto.Ma c’è anche un problema economico. Ildecoder costa 4.500 scellini (circa 47 euro),una cifra proibitiva per la maggioranza cheguadagna meno di un euro al giorno, a cuiaggiungere l’abbonamento ad una piatta-forma tv, che può arrivare fino a 78 euro almese. Ci sono due piattaforme che potreb-bero ospitare i canali che ne fanno richiesta:una di proprietà del governo (che sta cer-cando di privatizzarla ma resterebbe co-munque sotto il controllo dell’esecutivo) edun’altra di proprietà cinese. Gli editori dellereti oscurate hanno proposto la creazionedi una comune piattaforma con accessogratuito, sfruttando le loro infrastrutture tec-nologiche. Ma per ora non ci sono risposte.La campagna elettorale si avvicina.

di Enzo Nucci

GUERRA DI TV IN KENYA

OSSERVATORIO

AFRICA

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A ll’Expo si parlerà molto di un nodo tuttoda sciogliere: il legame tra cibo e finanza.

Sull’argomento le posizioni divergono, e nonsolo per sfumatura e intensità. All’apparenzatutti perseguono lo stesso obiettivo ma a benvedere così non è.Si va da una presa di posizione netta ed ine-quivocabile di una parte della società civile(come quella che fa capo a Comune.info e alforum degli economisti di Sbilanciamoci), aldocumento del Forum del Terzo settore, pas-sando per la Campagna “Una sola famiglia

umana, cibo per tutti è compito nostro”. Finoalla posizione ufficiale dell’Expo 2015 contenutanel Protocollo di Milano, firmato dalla FondazioneBarilla, che darà vita alla Carta.Sembrerebbe esserci una generale convergenzaverso l’idea che la speculazione finanziaria famale all’economia, tanto più se si abbina allecommodities legate al cibo. Il Protocollo Barillaperò sembra accettare la speculazione, salvo

chiedere che non sia “eccessiva”. Che significa?Si impegna ad «istituire un quadro normativoper la speculazione finanziaria sulle materieprime, tale da rimediare alle fluttuazioni deiprezzi nei mercati alimentari». Per farlo chiededi «introdurre dei massimali quanto al numeroe alle dimensioni delle offerte che gli speculatoripossono emettere, per porre un freno ad unaspeculazione eccessiva e migliorare la tra-sparenza, assicurando in tal modo che icontratti future prevedano scambi regolamentatie trasparenti». Andrea Baranes, esperto di fi-nanza nell’ambito del gruppo di economisti diSbilanciamoci, ci spiega che queste espressioninon sono sufficienti: «Tutti sono d’accordonell’introdurre dei massimali: ma se questisono troppo ampi non si interviene in nessunmodo sul problema. Ovviamente le lobby spin-gono per limiti molto ampi e definizioni elasti-che». Più o meno quel che fa anche questoProtocollo, non entrando nei dettagli.

CIBO E FINANZA: CHE FARE?

ATTUALITÀ

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F a poco o nulla il Brasile per combatterela piaga più grave che, negli ultimi anni,

ha letteralmente decimato un’intera gene-razione di giovani, quella del crack, la mici-diale pedra, un concentrato di sostanze chi-miche derivate dalla pasta di cocaina cherende subito dipendente chi la prova. Sonooltre due milioni i giovani brasiliani che, se-condo gli ultimi studi della Usp, la principaleUniversità pubblica di San Paolo, hanno fu-mato almeno una volta il crack. Il drammaè che quasi tutti, a causa degli effetti im-mediati di assuefazione, dopo un illusoriopiacere iniziale susseguente la prima ina-lata, hanno le vite distrutte. Indisturbati, inarcotrafficanti offrono gratuitamente laprima dose, ben consapevoli della fideliz-zazione dei nuovi clienti, la maggior partedei quali è ignara del rischio enorme checorre. Si assiste così a vere e proprie pro-cessioni di giovani nei locali di spaccio dellefavelas, le cosiddette “bocche di fumo”, iltutto nel disinteresse delle autorità che aldi là degli slogan non fanno nulla per que-sta marea di giovani trasformati in zombie.A San Paolo, l’unico che si fa carico di que-sti “figli del crack” è un prete veneto,Giampietro Carraro. Dal 1994 è in Brasile econ la sua “Missione Betlemme” ha già sal-vato 40mila tossicodipendenti, molti mino-renni. «Offriamo loro una restaurazionespirituale e fisica, ma facciamo poco, trop-po poco» ci racconta mentre entriamo conlui a “cracolandia”, la città del crack di SanPaolo, dove una vita non vale nulla e dove,per una scheggia di pedra da fumare, gio-vani donne e uomini si prostituiscono per30 centesimi di euro. Padre Giampietro tirafuori dall’inferno in media 30 tossici ognigiorno e non fa poco, come si schermiscelui: questo aiuto rappresenta tutto per lagenerazione perduta del Brasile, quella delcrack, che sta morendo nel completo disin-teresse dello Stato.

di Paolo Manzo

BRASILE, MISSIONE ANTIDROGA

OSSERVATORIO

AMERICALATINA

care la povertàestrema e la fame».Tempi troppo breviper sconfiggere lapiù tenace piagadella storia del-l’umanità? Forse.Soprattutto seguardiamo alle pro-iezioni statisticheche delineano sce-nari allarmanti: daqui al 2050 la po-polazione mondialepotrebbe arrivare anove miliardi di per-sone, con un corri-spondente aumentodella produzionealimentare del 70%.Il tema dell’Expo èl’invito ad entrarein un laboratorioglobale per offrireai Paesi, alle orga-nizzazioni interna-zionali (NazioniUnite, Unione eu-ropea, Cern di Gi-nevra) alla societàcivile (13 organismirappresentativi, tracui Caritas italiana)

e aziende produttrici, le linee conduttricicondivise per le strategie da intrapren-dere.

IL CIBO NON È MERCEInsomma l’Expo di Milano è una occa-sione da non sprecare. Per il motivoche ha ricordato papa Francesco nelvideo messaggio inviato all’incontrodel 7 febbraio scorso, in preparazionedell’evento: «C’è cibo per tutti, ma nontutti possono mangiare, mentre lospreco, lo scarto, il consumo eccessivoe l’uso di alimenti per altri fini sonodavanti ai nostri occhi. Questo è il pa-radosso». Superare le sperequazioni delmercato alimentare (dieci multinazionali

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Il documento del Terzo Settore, invece,firmato tra gli altri dalla Focsiv, chiede chela finanza sia maggiormente «regolata pereliminare le spinte speculative contrarie aldiritto alla vita e che provocano le guerredel pane». Chiede quindi l’imposizione diuna tassa sulle transazioni finanziare, so-prattutto sui derivati e sugli strumenti spe-culativi affini. La Tobin Tax, quindi, come ri-medio.Infine, una delle posizioni più drastiche: Co-mune.info scrive: «Siamo convinti che nonsia possibile nutrire il pianeta senza cambiareradicalmente modello di produzione e di di-stribuzione. Abbiamo scelto di promuoveree sostenere qualcosa di diverso, capace didare spazio ai territori, ai produttori che lianimano, alle tante esperienze di economiadiversa nate a partire da una critica radicaleall’attuale processo di sviluppo».

Ilaria De Bonis

Nutrire il pianeta. Energia per la vita

fanno girare il 70% del cibo della Terra)e dello sfruttamento della terra (colti-vazioni forzate, deforestazione, landgrabbin, in primis) richiede di assumersiresponsabilità chiare. Papa Bergoglione sottolinea tre: non limitarsi ad af-frontare le situazioni di emergenza (ca-restie, calamità naturali, ecc.) che ge-nerano povertà, ma cancellarne le cause,come l’iniquità e le speculazioni finan-ziarie; testimoniare la carità, impe-gnandosi per la dignità della persona eper il bene comune; ricordare che l’uomoè custode e non padrone della terra,che va rispettata e tutelata. Perché ilcibo non è una merce ma un dirittofondamentale, come recita anche l’ar-ticolo 25 della Dichiarazione dei dirittidell’uomo.

POLITICHE PER LO SVILUPPOTra i filoni di approfondimento dell’Expo,quello dedicato alla “Feeding knowledge”si presta a dare spazio al dibattitoaperto dal mondo missionario e dal-l’appello lanciato dal regista ErmannoOlmi, don Luigi Ciotti (organizzazioneLibera) e Carlo Petrini (fondatore diSlow Food) «affinché Expo non si riducaa un’esposizione senz’anima». «Non pre-tendiamo che le cose cambino se con-tinuiamo sempre a fare le stesse cose»,ammonisce Olmi che si chiede qualeposto è riservato alle culture contadine,microcosmi “residuali” nella borsa delmercato alimentare mondiale. «Se nonsaranno protagonisti di Expo, costruiamosulla sabbia», ricorda Petrini, perché iprimi artefici del cibo sono quelli chelo producono. La stesura del protocollosulla sicurezza alimentare mondiale,ora abbozzato nella Carta di Milano, ela sensibilizzazione di Campagne comequella della Caritas “Una sola famigliaumana, cibo per tutti è compito nostro”,saranno le prime grandi eredità dell’Expo.Molte le aspettative: giustizia, rispettodel Creato e leggi di mercato riuscirannoad essere ingredienti della ricetta delfuturo dell’umanità?

per concludersi il 20 novembre 2016.L’annuncio, che ha sorpreso tutti, è ar-rivato nel giorno del secondo anniver-sario del Conclave che lo ha eletto pon-tefice (13 marzo 2013) per ricordare che«nessuno può essere escluso dalla mise-

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ATTUALITÀ

«H o pensato spesso a come laChiesa possa rendere piùevidente la sua missione di

essere testimone della misericordia. È uncammino che inizia con una conversionespirituale. Per questo ho deciso di indireun Giubileo straordinario che abbia alsuo centro la misericordia di Dio». Conqueste parole, papa Francesco ha an-nunciato al mondo l’Anno Santo stra-ordinario che inizierà l’8 dicembre pros-simo, festa dell’Immacolata Concezione

ricordia di Dio. Tutti conoscono la stradaper accedervi e la Chiesa è la casa chetutti accoglie e nessuno rifiuta. Le sueporte permangono spalancate, perchéquanti sono toccati dalla grazia possanotrovare la certezza del perdono. Più è

Porte aperte Porte aperte

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

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In questa intervista il cardinale Walter Kasper,teologo e presidente emerito del Pontificio Consiglioper la Promozione dell'Unità dei Cristiani, raccontacome sarà il nuovo Anno Santo. Straordinariamentededicato alla parola più amata del pontificato di papaFrancesco: la misericordia.

alla misericordiaalla misericordia

grande il peccato e maggioredev'essere l'amore che laChiesa esprime verso coloroche si convertono». A 50 annidalla fine del Concilio Vati-cano II e a 15 dall’ultimo Giu-bileo del 2000, questo nuovoAnno Santo si annuncia dav-vero straordinario perché de-dicato ad un tema particolare:quello della misericordia delPadre, con cui papa Bergoglioricorda alla Chiesa che «siamochiamati a dare consolazionea ogni uomo e ogni donna delnostro tempo». Il tema di que-st’Anno Santo è molto caro aBergoglio che da vescovoaveva scelto per il suo stemmaepiscopale il motto ”Mise-rando atque eligendo” e chenel suo primo Angelus disse:«La misericordia cambia ilmondo». E oggi vuole mo-strarci come. Se lo chiedonoin molti tra i fedeli che sistanno già organizzando pervenire a Roma, centro dellacristianità.Per capire le ragioni della de-cisione del papa, abbiamo in-tervistato il cardinale WalterKasper, presidente emerito delPontificio Consiglio per la Pro-mozione dell'Unità dei Cristiani,che spiega: «L’idea del papa è

geniale, profetica, risponde ai segni delnostro tempo. È la risposta a chi si chiedecome testimoniare oggi la fede cristiana,interpretando la misericordia come ricercadel volto di Dio, in un mondo che non loconosce. È molto importante la testimo-nianza e il nostro comportamento comecristiani nelle mille situazioni di povertàe sofferenza che opprimono il mondocontemporaneo».Come teologo il cardinale Kasper conoscebene tutti i valori racchiusi nel terminemisericordia. «Nel Nuovo Testamento èfondamentale. La misericordia di Dio ènel messaggio di Gesù, dalla parabola

del Samaritano al discorso di Gesù sulgiudizio universale, quando conterannosolo le opere di misericordia. La miseri-cordia è la fedeltà di Dio, la sua infinitapazienza con gli uomini. Nella sua mi-sericordia, Dio non abbandona nessuno:dà risposta a ciascuno per guardare adun nuovo inizio, ad un cambiamento».L’apertura di un Giubileo tematico èdunque un modo per richiamare l’at-tenzione dei cristiani sul fatto che lanostra è una religione che mette la mi-sericordia in primo piano, rispetto adaltre realtà che si dicono religiose (manon lo sono), che invece si basano sullaviolenza? La risposta del cardinale èpacata ma ferma: «Sì, la misericordia èal centro del Vangelo, è il nome delnostro Dio. Questa è la nostra religione,che come nessun’altra mette l’accentosulla misericordia di Dio». Mentre ab-biamo ancora negli occhi le im-magini di san Giovanni Paolo II,già malato, in ginocchio ai piedidella Porta santa del Giubileo del2000, ci chiediamo se anche inquesta occasione milioni di pel-legrini si recheranno a Roma,riempiendo strade e piazze pereventi e preghiere comuni. Nellacapitale c’è già chi “fa conto”sulle masse di persone di tutte lenazionalità che saranno incanalatenei circuiti turistico-religiosi enon solo. Il cardinale invece parladi un «tempo silenzioso, senzatroppi eventi. Sarà un Anno Santo“decentralizzato” che sarà cele-brato in tutte le Chiese locali,nei santuari, nelle parrocchie. Ve-nire a Roma? Anche se certamentetanti pellegrini non mancherannoall’appuntamento, non penso siaindispensabile fare lunghi viaggi,perché la misericordia è univer-sale».Una forte sottolineatura dellavalenza spirituale di questo Giu-bileo, dunque. «Sì, sarà un annodi riflessione, di preghiera, di con-versione soprattutto per i cristiani

che devono entrare nella profondità delmistero del Padre. Sarà un modo perrievangelizzarci. L’evangelizzazione nonè proselitismo ma converte attraversoil messaggio vissuto».Questo Anno Santo “globalizzato” se-gnerà, come ci auguriamo, passi avantinel dialogo con le altre religioni, in unmomento di forti tensioni internazionalicausate anche dalla forza d’urto delterrorismo? Può la misericordia esserechiave di dialogo? Il cardinale sorride:«Certamente. Ci sono semi di misericordiaanche nelle altre religioni. Ad ogni uomodobbiamo offrire questo messaggio esu questo intessere parole di dialogo,superando fraintendimenti e derive diviolenza. Dobbiamo dire no: la vera re-ligione e soprattutto la religione cristianaè contro ogni violenza. È per la libertà,il perdono, la misericordia».

Anno Santo straordinario

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Il cardinaleWalter Kasper.

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FOCUS Nel centenario della nascita di Thomas Merton

Pellegrinodell’Assoluto

È dagli anni giovanili che portodentro di me un debito di rico-noscenza nei confronti di Thomas

Merton, una delle figure di spicco delcattolicesimo nordamericano, nonchévoce profetica della Chiesa universaledel XX secolo. Per le sue prese di posizionee per i suoi scritti è stato (e continua adessere) un riferimento imprescindibile

per milioni di cristiani. Nell’anno in cuicade il centenario della sua nascita moltine onorano il ricordo cui mi uniscoanch’io con questa riflessione.Per spiegare il mio interesse e la miasimpatia nei confronti di questo monacotrappista, devo ritornare alla fine deglianni Sessanta. In quel periodo lavoravocome tornitore in una grossa industriametalmeccanica di Legnano. Un giornomi chiesero di fermarmi per fare qualcheora di straordinario perché c’era un

lavoro urgente da finire. Lasciai la fabbricaqualche ora più tardi ritrovandomi nelbel mezzo di un temporale, senza om-brello e senza riparo. In attesa dell’au-tobus, mi intrufolai in una libreria esfogliai diverse pubblicazioni in mostra;alla fine comprai un libro che stava inun grosso cesto di vimini insieme alleofferte speciali del mese, che aveva untitolo curioso: “La montagna dalle settebalze”. Appena salii sull’autobus, inco-minciai a leggere le prime pagine esubito mi sentii coinvolto dal linguaggioe dalla storia dell’autore: Thomas Merton.Dopo aver divorato il libro in pochissimigiorni, mi fu chiara la strada da intra-

di MARIO [email protected]

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L’autore del best seller “La montagna dallesette balze” resta un maestro delNovecento e del nostro tempo. Per l’appassionata ricerca di tutta una vitaspesa testimoniando l’impegno per la pace,il dialogo con le grandi religionidell’Oriente, il rinnovamento liturgico e spirituale della Chiesa.

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FORMAZIONE COSMOPOLITAThomas Merton nascenel 1915 in Francia dalneozelandese Owen edalla statunitense RuthJenkins, entrambi ar-tisti, discreti pittori cheavevano adottato unostile di vita bohèmien.A causa dello scoppiodella Prima guerramondiale, nel 1916 sitrasferisce con la fa-miglia nella casa dei nonni materni aDouglaston, vicino a New York. Dopola perdita della madre, morta di cancronel 1921, va a vivere con il padre primaalle isole Bermude e poi nel 1925 di

nuovo in Francia. Nel 1926inizia gli studi liceali checompleta nel 1932 ad Oa-kham, in Inghilterra. Nelfrattempo perde anche ilpadre, morto di tumore alcervello nel 1931, ma graziead una borsa di studio rie-sce comunque ad iscriversial Clare College di Cam-bridge, dove studia linguee letterature straniere. Nel

A destra:

La tomba di Thomas Mertonpresso l’Abbazia trappista diNostra Signora del Getsemaninel Kentucky (Stati Uniti).

1933 intraprende un viaggio a Roma,dove viene colpito particolarmente dallebasiliche paleocristiane e nel santuariodelle Tre Fontane inizia a maturarel’idea di convertirsi dall’anglicanesimoal cattolicesimo. Nel 1934 abbandona »

prendere per il futuro: se Thomas Mertonaveva optato, dopo un’esistenza abba-stanza convulsa, per una vita contem-plativa facendosi monaco trappista, sentiimolto chiaramente che la mia scelta divita era nel sacerdozio a servizio di unacomunità diocesana. Posso affermaretranquillamente che Thomas Merton siaall’origine della mia vocazione. Diversilibri raccontano la sua esperienza umanae spirituale, mettono in risalto l’opera eil segno da lui lasciato nella Chiesa cat-tolica universale e in modo particolarenella Chiesa statunitense. La sua vita, lasua storia, il suo singolare percorsoumano e spirituale fanno di lui unadelle figure più interessanti e significativedei nostri tempi.Ripercorriamo sinteticamente la sua esi-stenza.

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FOCUSFOCUS

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V entimila posti di lavoro creati in Italia dal2011 al 2013. Merito del microcredito, se-

condo quanto ha rilevato il quinto Rapportodell’Ente nazionale per il microcredito, chedal 2011 ha avviato un’attività di monitoraggiodella microfinanza in Italia. In tre anni sonostati concessi in tutto 22.600 microcrediti, dicui 8.320 a fini produttivi (per aprire un’attivitàmicroimprenditoriale) e 14.280 sociali (perpersone in condizioni di particolare vulnera-bilità economica o sociale). Un totale di 223,3milioni di euro erogati in tre anni.Anche per Banca Etica il microcredito è unostrumento fondamentale, perché (come silegge nel bilancio sociale on line http://bilan-ciosociale.bancaetica.it/bilancio-sociale-2013/clienti) «garantendo un’opportunità diaccesso al credito anche alle persone consi-derate “non bancabili”, è un efficace stru-mento di sviluppo sociale e di lotta alla po-vertà». Tra il 2011 e il 2013 la banca ha erogatooltre quattro milioni di euro di microprestiti:il 78% in ambito microimprenditoriale e il22% in quello socioassistenziale, raggiun-gendo quasi 600 beneficiari.Ma al momento la domanda di microcreditosupera di gran lunga l’offerta. Secondo il Rap-porto dell’Ente nazionale per il microcredito,i microprestiti imprenditoriali hanno soddi-sfatto solo il 30% della domanda. «L’offertaavrebbe potuto essere incrementata dall’in-tervento del legislatore. Ma così non è stato»,denuncia Mario Baccini, presidente dell’Ente.Lo scorso dicembre, infatti, dopo quattro annidi attesa è stato approvato il regolamento at-tuativo, che permette di applicare la primalegge italiana sul microcredito. «Accogliamopositivamente il regolamento attuativo del-l’articolo 111 che definisce il percorso da in-traprendere per diventare operatori di micro-credito», ha dichiarato Ugo Biggeri, presidentedi Banca Popolare Etica, secondo cui però«alcuni limiti oggettivi nel quadro normativoostacolano il riconoscimento come operatoridi microcredito di esperienze storiche». «Dicerto la normativa attuale non è sufficienteper sviluppare il settore», ha dichiarato Giam-pietro Pizzo di Ritmi, la Rete italiana di micro-finanza.

MICROCREDITO PERCREARE LAVORO

OSSERVATORIOCambridge, dove la sua condotta di-sordinata e dissoluta aveva irrimedia-bilmente compromesso la prosecuzionedegli studi e completa la sua carrierauniversitaria alla Columbia Universitydi New York. Grazie soprattutto a pro-fessori come il cattolico Dan Walsh,che gli fa scoprire l’aspetto sociale delVangelo, porta a termine un percorsodi conversione che, il 16 novembre1938, sfocia nell’accoglienza nella Chiesacattolica. Dopo la laurea, ottiene unposto come docente all’Università diSan Bonaventura di Allegany negli Usa,gestita dai francescani. In seguito a unritiro spirituale presso l’abbazia trappistadi Nostra Signora del Getsemani, neipressi di Bardstown, nel Kentucky,rimane profondamente colpito dalla

vita di solitudine e preghiera dei monacie matura la decisione di entrarvi.

IMPEGNO CONTRO LA GUERRAIl 10 dicembre 1941 viene qui accoltocome postulante e il 19 marzo 1944emette la sua prima professione religiosa,assumendo il nome di Louis. Il 19 marzo1947 pronuncia i voti solenni, diven-tando monaco; nel frattempo si dedicaagli studi teologici e il 26 maggio 1949viene ordinato sacerdote. In quegli anniperde anche suo fratello John Paul, ca-duto in combattimento e disperso nelMare del Nord durante la Secondaguerra mondiale. Un evento che con-tribuisce molto a far maturare in luiuna profonda avversione nei confrontidi tutte le guerre che lo porterà a di-

A fianco:

Thomas Merton e il Dalai Lama,nel 1968 a Dharamsala, India.

Nel centenario della nascita di Thomas Merton

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la sua capacità di scandagliare l’animoumano.

UNA SPIRITUALITÀ AUTENTICALa grande capacità di leggere e inter-pretare i segni dei tempi lo porterà acorrispondere con persone di tutto ilmondo. Diverse le lettere di Thomas Mer-

ton che indirizzò aipontefici, ma la cor-rispondenza più in-tensa e feconda fuquella che intrattennecon Raissa e JaquesMaritain, che scaturiràin una stupenda ami-cizia e porterà i co-niugi francesi a far vi-sita al loro grandeamico nel monastero

del Getsemani. Thomas Merton, dal puntodi vista delle pubblicazioni, fu un’autenticafucina “industriale”: sono oltre 60 i libriche ha scritto, migliaia gli articoli e lelettere che ha inviato a persone di mezzomondo.Inossidabilmente fedele alla regola delsuo Ordine, ebbe nel 1966 un conflittoche investì la sua sfera più intima: fu

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ventare, attraverso i suoi scritti, unodei principali punti di riferimento delmovimento pacifista nordamericanodegli anni Sessanta. In poco tempo di-venta simbolo di impegno per la pacee, insieme a Martin Luther King, dilotta antirazziale. Critica vigorosamentela corsa al riarmo e ogni ambizioneautoritaria, anche inambito ecclesiale, ediventa amico dellacantante Joan Baezche un giorno gli dirà:«Tu mi hai insegnatoa pregare».Il superiore del con-vento del Getsemani,rendendosi conto dellestraordinarie doti let-terarie del giovaneMerton, lo invita a scrivere la sua bio-grafia. Da quell’invito nasce “La mon-tagna dalle sette balze”, un libro dovesi rifà al viaggio di Dante per narrare ilsuo itinerario spirituale alla ricerca diDio. “La montagna dalle sette balze”diventa un best seller mondiale, tantoche qualcuno lo paragona alle “Con-fessioni” di Sant’Agostino proprio per

Merton criticavigorosamente la corsa alriarmo e ogni ambizioneautoritaria e diventa amicodella cantante Joan Baezche un giorno gli dirà: «Tumi hai insegnato a pregare».

quando si innamorò, ricambiato, di un’in-fermiera. Fu una passione commovente- «siamo due persone a metà/che vaganoin due mondi perduti», le scrisse in unapoesia - che trovò un limite invalicabilesolo nel voto di castità, ma positivamentegli causò anche una maturazione emotiva,fonte di nuove aperture alla realtà delmondo che negli ultimi tre anni di vitalo portarono lontano, fino in Asia, doveil monaco Merton assorbì facilmente laspiritualità orientale. Incontrò il DalaiLama e altri maestri, senza temere di ri-schiare la propria identità di cristiano,convinto che «la ricerca mistica, il viaggiodentro il cuore sono condivisi da tutte letradizioni autentiche». Merton, pellegrinodell’assoluto, fu fermato improvvisamentea Bangkok il 18 dicembre 1968 quando,nel maldestro tentativo di riparare unapresa difettosa del ventilatore che avevain camera, fu fulminato da una violentascarica elettrica.I suoi temi più cari come la pace, ildialogo con le grandi religioni dell’Oriente,il rinnovamento liturgico e spiritualedella Chiesa, come piccoli semi piantaticon fede salda nel monastero del Getse-mani in Kentucky, fecero nascere ecrescere una spiritualità universale checontinua a produrre frutti in cuori ardentie appassionati sotto ogni latitudine.

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L’INCHIESTA Enti inutili?

C’era una volta

Nato dalla fusione di due storicheistituzioni culturali, l’Istituto italianoper l’Africa e l’Oriente è stato chiuso nel2011, schiacciato dai debiti e vittimadella lotta agli “enti inutili”. Farlorinascere e salvarne il patrimonioculturale è, per ora, solo un desiderio.

l’il futuro era una buona intenzione, cheperò cozzava contro un ostacolo enorme:un debito che, con l’andare del tempo,si è rivelato sempre più alto. Prima tre,poi quattro, infine cinque milioni dieuro: una cifra che, ha ammesso direcente lo stesso Armellini, non saràpossibile rifondere interamente.

IL PATRIMONIO DELL’ISIAOChiudere le sedi distaccate, vendere quelliche la logica giuridica considera “benialienabili”, in effetti, si può, ma il grandepatrimonio dell’Isiao è una serie di attività,iniziative e pubblicazioni che non hanno

“I t works!”, cioè “funziona” in in-glese. È l’espressione che oggisi legge su quello che era il sito

dell’Isiao, l’Istituto italiano per l’Africa el’Oriente. Un’esclamazione involontaria-mente ironica, visto che l’Isiao ha difatto smesso di esistere e di funzionarea fine 2011, quando un decreto datato11 novembre lo ha - così recita la formulaburocratica - «assoggettato alla liquida-zione coatta amministrativa». Parole che,scrisse in quei mesi Sergio Romano, edi-

torialista del Corriere della Sera, «equi-valevano a una condanna a morte» e difatto si tradussero nella nomina di uncommissario liquidatore, l’ambasciatoreAntonio Armellini.L’allora segretario generale del Ministerodegli Esteri, Giampiero Massolo, avevasostenuto che la nomina di Armellini ela procedura scelta fossero l’unico mododi “gestire l’ente” e “salvaguardare il pa-trimonio” che portava con sé. Ma già leparole usate per spiegare la decisione -«vogliamo che l’Isiao rinasca più forte diprima» - rappresentavano un’ammissionedi sconfitta. Sull’istituto calava il sipario,

di DAVIDE [email protected]

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’Isiao

un valore di mercato, senzacontare biblioteche e archivifotografici, dichiarati in-tangibili per legge. Scaviarcheologici, pubblicazionispecialistiche, studi filo-sofici e religiosi, ricerchestoriche non sono beniche possono far regi-strare offerte in un’astafallimentare. Né i risul-tati di oltre 100 anni di storia si prestanoad essere misurati in euro. Anche se lasua “carta d’identità” indica il 1995 comedata di nascita, l’Isiao è infatti il risultatodi una fusione tra due enti più longevi:il primo a nascere fu l’Istituto italo-afri-cano (Iia), nel 1906, seguito nel 1933dall’Ismeo, l’Istituto italiano per il Medioe l’Estremo Oriente. Quest’ultimo pro-mosse, tra l’altro, scavi archeologici e ri-cerche in Tibet, Cina, India, Iran, Afgha-nistan, Pakistan, Yemen e addiritturaUngheria (per studiare le culture euro-asiatiche), ma il suo ruolo andava oltre.

ESIGENZE DEL TEMPO DELLA GLOBALIZZAZIONE«L’Italia era già povera di think tank ri-spetto ad altri Paesi e la chiusura dell’Isiao,in questo senso, ha rappresentato unaperdita ulteriore, proprio nel momentoin cui le esigenze che derivano dallaglobalizzazione sono quelle di conosceresempre più il mondo e di dotarsi degli

strumenti che permettano di farlo», con-sidera Mario Raffaelli, presidente diAmref Italia ed esperto di questioni afri-cane. E prosegue: «L’Oriente è, per cosìdire, “futuro in corso”, mentre l’Africa èun “futuro prevedibile”. Tutto ciò rendeancora più assurda la situazione che si èvenuta a creare». Quelli della chiusuradell’Isiao erano però i mesi della battagliacontro i dipendenti statali “fannulloni”e gli “enti inutili” - nella cui lista l’Istitutoera stato sbrigativamente inserito - innome della disciplina di bilancio e dellacrescita economica. E negli anni successivi- quelli della grande crisi finanziaria - lanecessità di “fare cassa” sarebbe diventataancora più stringente. Così erano semprepiù ristrette le risorse che il Ministerodegli Esteri, al quale spettava, secondole norme, di “vigilare” su questo “entepubblico non economico”, metteva a di-sposizione per coprire spese ammini-strative, pagare gli stipendi dei dipendentie organizzare iniziative. Dai quasi tremilioni e 100mila euro del 2001 eranostate sforbiciate, legge finanziaria dopolegge finanziaria, fette sempre più ampie.Occasionalmente gli stanziamenti eranotornati a salire, sia pur di poco: dai duemilioni e 170mila euro del 2005 si erapassati, l’anno successivo, a due milionie 480mila, ma l’investimento non eradurato. Nel 2007 e nel 2008 era di nuovosceso, restando in entrambi i casi attornoai due milioni e 400mila euro. Poi, ilcrollo: un milione e 700mila nel 2009,un milione e 300mila nel 2010, appena800mila euro in quello che si sarebbe »

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L’INCHIESTA

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A nne Brasseur, presidente del Consiglio d’Europa,ha sostenuto di non voler «rinunciare alla

ricerca della verità» a proposito delle denunce ditraffico di organi umani in Kosovo negli anni Novanta.Secondo un rapporto prodotto dal senatore svizzeroDick Marty nel 2010, i guerriglieri kosovari dell’Ucksi sarebbero resi responsabili di questo orrore.Massimiliano Menichetti, di Radio Vaticana, hachiesto a Lorenzo Capussela, già direttore dell’In-ternational Civilian Office (Ico) in Kosovo, cosa siaaccaduto dopo che alcune investigazioni dell’UnioneEuropea hanno confermato la denuncia di Martyed accertato la responsabilità dell’Uck nell’uccisonedi prigionieri di guerra per il commercio di organi.Le indagini hanno per altro verificato come quegliepisodi siano stati un brutale attacco contro la mi-noranza serba, qualificabili come “crimine control’umanità”. Capussela ha risposto che «la comunitàinternazionale, le diplomazie occidentali, avendosostenuto di fatto i guerriglieri dell’Uck e avendopoi appoggiato l’indipendenza del Kosovo, che neifatti è figlia di quel conflitto, forse non avevanomolto interesse ad andare a scavare in questa que-stione che avrebbe gettato una luce un poco piùfosca sugli eventi del 1998-99». L’ex responsabiledell’Ico ha spiegato poi che l’Uck «aveva diversi pri-gionieri, serbi ma anche albanesi traditori. Alla finedel conflitto, consapevoli che queste persone, questiloro prigionieri erano stati maltrattati, torturati espesso detenuti in Albania, erano di fronte all’alter-nativa sul cosa fare: liberarli – con il rischio che liaccusassero di maltrattamenti o rivelassero cheerano detenuti in Albania, coinvolgendo quindi l’Al-bania stessa nel conflitto con la Serbia – oppure uc-ciderli».Esistendo un mercato illegale di organi, secondoCapussela «si è aperto un canale che è stato usatoper lungo tempo. Un processo ha accertato che aPristina c’era una clinica nella quale persone prove-nienti da Paesi poverissimi come Moldavia o Turchiavendevano un proprio rene, se lo facevano togliere,ricevevano un po’ di soldi e poi questo rene venivamandato a quelle persone che volevano “saltare lacoda” per il trapianto. Anche questo seguito rafforzala plausibilità delle accuse di ciò che è avvenuto nel1998-99».

di Roberto Bàrbera

GUERRA IN KOSOVO ETRAFFICO DI ORGANI

OSSERVATORIO

BALCANI

a Roma, nell’elegante quar-tiere Pinciano, malgrado latarga con ancora il logo e ilnome dell’Istituto, sono ri-masti solo l’ufficio di Ar-mellini e quelli di due se-

gretarie che lo assistono. Neanche unappello di 7mila studiosi di tutto il mondoall’allora presidente della Repubblica,Giorgio Napolitano, servì a impedire latrasformazione del presunto ente inutilein un guscio vuoto. A farne le spese sonostati innanzitutto i dipendenti: gli 800milaeuro stanziati (solo formalmente) nel2011 da quello che era il loro datore di

lavoro, l’amministrazione sta-tale, non bastavano neanchea coprire i costi - pari a unmilione e 200mila euro -dei loro contratti. E così permesi, 18 operatori dell’Isiao- assunti dopo aver vintoun concorso pubblico - eranostati i protagonisti di unaltro dei paradossi di questavicenda, diventando lavo-ratori senza un lavoro (esenza stipendio). La loro si-

tuazione si è faticosamente risolta fa-cendoli riassorbire tra il personale dellaFarnesina, mentre dove finiranno i (molti)“beni inalienabili” dell’Istituto - come i180mila volumi della biblioteca di viaAldrovandi - non è ancora chiaro.

TESORI SPARPAGLIATIAlcuni reperti di valore storico - come idiari degli esploratori italiani dei secoli

rivelato l’ultimo anno, il 2011. Trascorso,peraltro, senza che il contributo fossestato effettivamente erogato.

CONTI IN ROSSOA meno fondi corrispondevano, quasiinvariabilmente, sempre più debiti: il2001 era stato l’anno dell’ultimo attivo,per appena 2.800 euro, poi il disavanzoera cresciuto fino alle cifreche il commissario liqui-datore Armellini ha solopotuto registrare. Numerisimili, sosteneva il Ministeroattraverso Giampiero Mas-solo, «riconducono, inequi-vocabilmente, l’insolvenzaalla qualità della gestione,piuttosto che al disimpegnodella Farnesina». A riprova,il funzionario citava i ri-sultati di un’ispezione del2010, ordinata da un altro dicastero,quello dell’Economia: «Ben 27 rilievi con-tabili, di cui 14 segnalati alla Procura re-gionale della Corte dei conti». Un caso dicattiva gestione come un altro, dunque,era la tesi, di fronte al quale l’unicorimedio a breve termine era fermare leattività e chiudere, in attesa di tempimigliori. Da quel momento in poi, oltrela porta della sede di via Ulisse Aldrovandi

Il grande patrimoniodell’Isiao è unaserie di attività,iniziative epubblicazioni chenon hanno unvalore di mercato.

Enti inutili?

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dell’Isiao nei suoi ultimi anni di esistenza,riconosce in effetti Alfredo Mantica, giàsottosegretario agli Esteri, era che «mentreil Ministero cercava di riportarlo sull’at-tualità pratica e sulle questioni politiche,l’Istituto è rimasto ancorato a studi dicarattere universitario, di altissimo livello

ma non sufficientiper quello che eral’unico finanziatore».I fondi per la possi-bile nuova iniziativadovrebbero arrivareda privati, selezio-nati attraverso unbando pubblico.Forse, in quest’otti-ca, si rischiano diperdere alcune pe-culiarità dell’Isiao“storico”, di cui èun esempio la pro-mozione e la stampadel primo dizionariocompleto italiano-cinese, che com-prendeva 120mila

parole. Tuttavia, specifica Mantica, «quellaauspicata da Armellini è l’unica soluzione:aprire ai privati non solo per quanto ri-guarda i capitali ma facendone anchedei committenti» di studi e analisi. Sitratta, dunque, di “reinventare l’Istituto”per permettergli di rivivere. Ed è ne-cessario farlo in fretta perché, comeconclude Mario Raffaelli, più tempo silascia trascorrere, «più le speranze siaffievoliscono».

scorsi - sono addirittura negli scantinatidi un prestigioso museo romano, il “LuigiPigorini”, dove si trovano anche moltidei pezzi della collezione del vecchiomuseo africano. Altri sono stati rintracciatialla Galleria di arte moderna e persinonel museo geologico e in quello… dellafanteria. «La perditapiù forte è proprioquella legata al pa-trimonio di docu-menti e alla memo-ria storica che l’Isiaorappresentava», giu-dica ancora Raffa-elli. Alcuni fondi,come l’archivio fo-tografico dell’Isti-tuto per l’Africa, ineffetti, non eranostati neanche com-pletamente catalo-gati. Eppure, sosten-gono alcuni, unabase da cui ripartire,potenzialmente, cisarebbe.È stato lo stesso commissario liquidatoreArmellini a proporre la creazione di unCentro di studi italiano per l’Africa el’Oriente (Csiao), che valorizzi i repertidel passato e prosegua le attività di in-segnamento delle lingue. La portata dellesue attività, però, andrebbe oltre, fino afarlo assomigliare al prestigioso thinktank londinese Chatham House, puntodi riferimento anche per molte iniziativediplomatiche non ufficiali. Uno dei limiti

S i dice che la scienza non sia né buona, nécattiva: dipende dall’uso che se ne fa. Niente

di più vero. E il progetto Natiomem (il cui nomeper esteso è Nano-structured TiON photo-catalyticmembranes for water treatment) lo dimostra.Ideata da un gruppo internazionale di scienziati,tra cui italiani (dell’Università de L’Aquila), suda-fricani, israeliani e giordani, e finanziato dall’Unioneeuropea, questa nuova tecnologia è capace direndere potabili le acque di superficie e quelle discarico, impiegando la sola energia solare, senzaalcun prodotto chimico.La notizia non può che essere buona, anche se ilportentoso marchingegno deve ancora essere ot-timizzato per un’eventuale commercializzazione.Ma a livello sperimentale è già stato utilizzato siain Sudafrica, garantendo la produzione di acquapotabile nelle aree rurali, dove vive circa il 38%della popolazione e dove le fonti idriche a dispo-sizione sono principalmente pioggia, acque sot-terranee e di superficie, sia in Giordania, dovesono state trattate le “acque grigie” (cioè quelleche provengono da docce, vasche da bagno, la-vandini) e recuperate per uso domestico, dimi-nuendo così il consumo totale di acqua potabile.Il progetto scientifico consiste nel realizzare nuovemembrane utilizzate nella tecnologia di trattamentodelle acque: esse sono costituite da un substratoporoso rivestite da uno speciale strato di azotodrogato con nitrossido di Titanio (TiON) cheinduce fotocatalisi per irraggiamento nella gammavisibile dello spettro solare, cioè quando vienecolpito dalla luce del sole; questo rivestimentoparticolare uccide i microrganismi presenti nel-l’acqua che attraversa la membrana, decomponee mineralizza le sostanze organiche inquinanti eossida i metalli dissolti nel liquido. Il tutto a costimolto ridotti rispetto a quelli della depurazionestandard dell’acqua, spesso davvero proibitivi.A fronte di un finanziamento dell’Unione europeadi quasi tre milioni di euro, il risultato ottenuto èun sistema semplice e poco costoso che potrà ga-rantire il diritto all’acqua a quella parte di umanitàche finora non ha goduto di questo bene, indi-spensabile per una vita dignitosa.

di Chiara Pellicci

DALLA SCIENZAACQUA PER TUTTI

OSSERVATORIO

GOODNEWS

Giuseppe Tucci,fondatore, assiemea Giovanni Gentile,dell’Istituto Italianoper il Medio edEstremo Oriente.

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S C A T T I D A L M O N D O

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIO [email protected]

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TERRORISMO IN KENYA

IL SANGUE DI GARISSATutti sgomenti, nelle nostre comunità, durante ilTriduo pasquale, quando abbiamo appreso lanotizia del massacro di Garissa, nel Nord-estdel Kenya. L’orribile mattanza, perpetrata il 2aprile scorso dai famigerati miliziani somali alShabaab, nel campus universitario della cittadi-na keniana, ha causato la morte di 148 cristia-ni. Se da una parte è vero che quanto accadutoè purtroppo l’ultima di una lunga serie di atten-tati compiuti dal gruppo jihadista, come rappre-saglia per l’intervento militare keniano inSomalia, iniziato nel 2011; dall’altra, l’efferatez-za del crimine, perpetrato esclusivamente con-tro i cristiani, sembra preludere ad uno scontroregionale. Almeno, questa è l’intenzione dichia-rata degli aggressori, sempre più suggestionatida quanto sta avvenendo in Medio Oriente. Ineffetti, gli al Shabaab già nel passato avevanocolpito obiettivi “cristiani”, anche se, in altrecircostanze il loro terrorismo si era anchemanifestato, nella sua brutalità, contro obiettivicivili, come nel caso di quello occorso alloshopping centre di West Gate a Nairobi, il 21settembre 2013. Cosa c’è dietro questa assur-da, a dir poco irrazionale e riprovevole spirale diviolenza? Purtroppo la Somalia versa in unapenosa condizione dal lontano 1991, quando sidissolsero le istituzioni statuali con il rovescia-mento del regime di Siad Barre. Un Paesesenza Stato, ancora oggi con un governo inter-nazionalmente riconosciuto, ma che si regge inpiedi grazie alla presenza di un contingentemilitare panafricano. Una lunga serie di erroricommessi dalla diplomazia internazionale -unitamente alla cronica riottosità di una socie-tà, quella somala, lacerata da divisioni interne,acuite a dismisura da interferenze straniere piùo meno occulte - ha creato le condizioni perchéil jihadismo si manifestasse con i peggiori trattifisiognomici. Lo scorso 27 marzo, ad esempio,gli stessi autori della strage di Garissa avevanoattaccato l’hotel Maka al Mukarama, nel qualeerano presenti diversi parlamentari somali.Nell’attentato hanno perso la vita oltre 20 per-sone.Detto questo, è ormai chiaro che le uccisionidei cristiani, a livello planetario, non vannoaffatto sottovalutate, ma comunque conte- »

stualizzate nei rispettivi scenari: nella fattispecie quello delCorno d’Africa. Proprio in Kenya, ad esempio, servono adamplificare la reazione degli al Shabaab contro il governo diNairobi, ritenuto filo occidentale. Questa strategia sortisce uneffetto mediatico non indifferente anche se rivela l’ignoranza deimiliziani somali. Essi, infatti, dimenticano (o fanno finta) nonsolo che l’esecutivo keniano, sotto la guida del nuovo presiden-te Uhuru Muigai Kenyatta, è dichiaratamente filocinese, ma tra-scurano il dato storico che il cristianesimo è nato in MedioOriente e non in Europa. Finora, le cancellerie occidentali sisono limitate a condannare l’estremismo islamico in Kenya eSomalia, come in altre parti del mondo, senza però effettiva-mente svelare i retroscena di questo fenomeno che ha unaforte valenza ideologica ed economica. Dietro le quinte si cela-no gli interessi del salafismo più intransigente che sta utilizzan-do la Somalia per affermare interessi egemonici nel resto

dell’Africa sub-sahariana. Non dimentichiamo, infatti, che laSomalia è ricca di petrolio, gas e uranio, tutte ricchezze cheparadossalmente rappresentano una sciagura, scatenando l’in-gordigia sia delle petro-monarchie del Golfo, sia di altre poten-ze. L’esperienza maturata in campo dai nostri missionari cisuggerisce, comunque, di non fare di tutte le erbe un fascio.Pensare che il mondo islamico sia tutto violento, significhereb-be cadere nella trappola tesa dagli estremisti che hanno unavisione esclusiva, impositiva e strumentale della religione. Uncredo, il loro, contro Dio e contro l’uomo. Ciò non toglie cheall’interno del processo di globalizzazione, con tutte le sue con-traddizioni, anche l’islam nel suo complesso debba cominciaredavvero a confrontarsi con le istanze comuni a tutte le religioni:rivisitare il suo messaggio originario, confrontarsi con lamodernità, entrare in dialogo con le altre religioni e soprattuttoimpegnarsi per la giustizia nel mondo.

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TERRORISMO IN KENYA

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Nel nome di MariaNel nome di MariaA Vailakanni in India la chiamano Arokia Matha, Madre della salute. A

Kibeho in Rwanda, migliaia di pellegrini si recano alla casa della Nyi-

ma wa Jambo, la Madre del Verbo. A Guadalupe in Messico, la Virgen Mo-

rena continua ad accogliere le folle con la domanda che nel 1531 fece al-l’indio Juan Diego: «Non sono forse tua Madre, io che sto qui?». Mille nomiper chiamare Maria, per raccontare una devozione popolare che abbrac-cia tutto il mondo e tutte le genti. Ogni luogo, ogni meta di pellegrinaggi ètestimonianza di un miracolo, di una apparizione, della ricerca dell’abbrac-cio divino e materno che consola il dolore, la sofferenza, la solitudine. DaLourdes a Notre Dame des Apotres sulla collina di Yaoundé, da “NostraSignora della Pace” a Manila, da Fatima alla “Sultana d’Africa” di Lodon-da in Uganda, la geografia della devozione a Maria è ricca di storie, paro-le, profezie, conversioni. «I santuari mariani sono poli di evangelizzazio-ne. Restano centri di attrazione e proprio per questo diventano grandi op-portunità per vivere la dimensione missionaria della Chiesa. Ci proiettano

Milioni di pellegrini si recano ognianno nei luoghi del mondo

dedicati alla Madre di Cristo. Intutti i continenti, dove avvenimenti

lontani nei secoli o vicini neglianni sembrano rinnovarsi nel

cuore di ogni pellegrino, gli uominipregano e incontrano gli uomini,

fratelli nel destino terreno.

Nostra Signora di Aparecida, “una di famiglia”

C he tutta la cittadina di Aparecida do Norte (Stato di San Paolo, Brasile) viva in sim-biosi con il santuario mariano più grande del mondo, lo si percepisce da subito met-

tendo piede nella località brasiliana: l’immensa chiesa si trova incastonata nella città e tutto– dalle case agli alberghi, dai parcheggi ai parchi verdi, dai viadotti sopraelevati ai negozi– le ruota intorno.In effetti il Santuario nazionale della Basilica di Nostra Signora della Concezione di Apare-cida (questo il suo nome ufficiale) è il più importante luogo di culto cattolico del Brasile,e la Nostra Signora di Aparecida è la patrona del Paese verde-oro. Dalle dimensioni del-l’edificio, appena inferiori a quelle della Basilica di San Pietro in Vaticano, nessuno si aspet-terebbe che l’immagine venerata misuri solo qualche decina di centimetri. Eppure il con-tinuo via vai di pellegrini davanti alla piccola statua di legno nero, racchiusa in una tecadorata e incastonata alla base di una colonna che si alza verso il cielo per 40 metri, non dà adito a dubbi: i fedeli arrivano a migliaia al giornoper lei, sostano davanti alla sua piccola immagine, si inginocchiano, la pregano, la adorano, ci parlano, la fotografano, in una spontaneità che,più che con la devozione popolare, si spiega con la naturalezza di chi la considera “una di famiglia”.Effettivamente Nostra Signora di Aparecida sin dal 1717, anno del ritrovamento della statuetta, fu considerata “una di famiglia” dai pesca-tori che la recuperarono dal fiume Paraíba, poco distante dall’odierna basilica. Avevano ricevuto l’incarico di procurare il pesce per un ban-chetto che si sarebbe tenuto il giorno successivo in onore del governatore della Provincia di San Paolo, di passaggio nella zona, ma non eranoriusciti a prendere niente: solo una piccola statua lignea della Madonna, ricoperta di fango, ma senza testa; gettata nuovamente la rete, pe-scarono il pezzo mancante; al terzo lancio, la quantità di pesci catturati fu miracolosa. Per 15 anni la statuetta rimase nella casa di uno deipescatori, dove i vicini si riunivano a pregare il rosario. Poi alcuni rivelarono di aver ricevuto delle grazie e presto il suo culto si diffuse ovun-que. Quando non fu più possibile tenerla in casa come “una di famiglia”, fu costruita per lei una cappella. Ma il numero dei pellegrini conti-nuava ad aumentare e così fu edificata una chiesa nel 1852 e poi un’altra più grande nel 1888. Nel 1946 ebbe inizio la costruzione dell’at-tuale basilica, con una capienza di 45mila persone, consacrata nel 1980 da Giovanni Paolo II. Anche lui, come tutti i pellegrini di Aparecida,ha sempre considerato la Vergine Maria “una di famiglia”…

Chiara Pellicci

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nel mistero della vita e della missione di Ma-ria che ha accolto il Figlio per portarlo almondo», spiega don Alfonso Raimo, se-gretario di Missio Consacrati. «Si potreb-bero trovare motivazioni sociologiche e cul-turali alla necessità di “andare” in questi luo-ghi di preghiera – continua don Raimo -.Ma la ragione più profonda resta la figu-ra di Maria. Proprio perché abbiamo da-vanti agli occhi la sua immagine ai piedidella croce, sappiamo che può com-prendere e accogliere tutto, condividereogni dolore».

SANTUARI D’AFRICANella basilica di “Nostra Signora d’Africa”che si innalza sulla baia di Algeri, cristia-ni e musulmani si ritrovano vicini a prega-re la Vergine (che l’islam conosce comeMaryam, madre del profeta Gesù) coper-ta con un ricco abito ricamato in sti- »

A fianco:

La Basilica di Nostra Signora dellaConcezione di Aparecida, Brasile.

Sopra:

Un pellegrino in ginocchio nel Santuario di Nostra Signora di Guadalupea Città del Messico.

Sotto:

L’interno del Santuario di Aparecida.

le Tlemcen. Alcuni luoghi ricordano appa-rizioni della Madonna, come quelle in Su-dafrica, nel villaggio di Ngome nel KwaZu-lu Natal, a suor Reinolda May nel 1955 epoi negli anni successivi (proprio in quel-la provincia sudafricana venivano uccisemigliaia di persone nella lotta control’apartheid) fino alla grande visione collet-tiva dell’8 dicembre 1990. La Vergine è ap-parsa anche a tre studentesse di un col-legio di Kibeho in Rwanda nel 1982, doveoggi c’è uno dei santuari mariani piùamati d’Africa. Dodici anni prima del ge-nocidio, le veggenti raccontarono alle20mila persone presenti la visione di cor-pi massacrati, di abissi e fiamme, fiumi disangue e cadaveri mutilati. Oggi la “citta-della mariana” è un centro internazionale

di folle di fedeli che si riuniscono in preghie-ra per la pace.

IN ASIAMaggio è il mese della Madonna anche inCina, dove si ripete una devozione soffer-ta e contrastata ma mai estinta. A Qin-gyang, nella diocesi di Nanchino, il vecchiosantuario è stato bombardato durante la Se-conda guerra mondiale dai giapponesi e poitrasformato in fabbrica durante la Rivolu-zione culturale di Mao. La gente però nonha dimenticato le tradizioni, e i pellegrinag-gi continuano per tutto l’anno. Il nuovo san-tuario di “Nostra Signora della gioia” co-struito sulle rovine del vecchio edificio di-strutto, svetta sulle montagne di Guiyang,mentre la fama del santuario di Sheshan,ad Est di Shangai, ha varcato gli oceani edè diventata simbolo delle speranze dei cat-tolici cinesi deposte ai piedi della Vergine.Nel 1924 i vescovi consacrarono il Paesealla Madonna con un pellegrinaggio aSheshan e nel 2007 Benedetto XVI l’ha pro-clamata “patrona d’Asia”. Anche nelle Fi-lippine, in India, in Giappone e Corea del

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Sud i luoghi consacrati al culto marianosono così numerosi che ricordarli signifi-ca sfogliare pagine di storia di quei popo-li che la riconoscono come Madre.

LA VIRGEN DI GUADALUPEÈ in America Latina che il culto mariano hale sue manifestazioni più calde e colora-te. File chilometriche si allungano intornoal Santuario di Nostra Signora di Guada-lupe in Messico, considerata regina di tut-ti i popoli di lingua spagnola e del continen-te americano. Venti milioni di pellegrini l’an-no vanno ad inginocchiarsi davanti all’im-magine miracolosa (non è una pittura, néun disegno e la sua lettura ai raggi X ha ri-velato particolari sorprendenti) della gio-vane Signora dal volto bruno e con i fioc-chi sulla vita (tradizionalmente usati dalledonne in attesa di un figlio), che si mani-festò sul monte Tepeyac a Juan Diego. Lastoria di questa apparizione affascina da se-coli quanti guardano alla Virgen con fidu-cia e amore. Sentendosi figli di un’unicaMadre. «Maria continua a ripetere il versodel Magnificat in cui pronuncia la sua umil-tà – conclude don Raimo -. Spesso la po-vertà dei luoghi in cui accadono i miraco-li è la profezia avverata del Magnificat. Lafede in Lei, considerata popolare nel sen-so migliore del termine, non ha tempo edè oggi più che mai viva».

Sopra:

Il Santuario di Kibeho in Rwanda.

A sinistra:

L’immagine della Madonna di Sheshan,Shangai, Cina. Dal 2007 “patrona di Asia”.

Sotto:

La basilica di “Nostra Signora d’Africa”,ad Algeri.

Con l’iniziativa del Pellegrinaggio ad gentes, Missio propone la preghiera quotidiana per unPaese del mondo e la sua Chiesa, grazie ad uno schedario composto da un apposito ca-lendario e schede illustrative. Per il mese di maggio si prega in comunione con diversi San-tuari mariani nel mondo, dei quali lo schedario presenta brevemente la storia. Chi deside-ra ricevere questo strumento di animazione e preghiera (disponibile con un’offerta per le mis-sioni), può contattarci all’indirizzo e-mail: [email protected] e visitare il sito: www.fa-miglie.missioitalia.it sezione Proposte.

MISSIO PER IL MESE DI MAGGIO

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PROSPETTIVE E SPERANZE

a cura di Davide Maggiore e Ilaria De Bonis [email protected] [email protected] P O P O L I E M I S S I O N E - M A G G I O 2 0 1 5

LA SOLUZIONE, PER LA RIPRESA DEFINITIVA DEL GRANDECONTINENTE AFRO, DEVE ARRIVARE DAL SUO INTERNO. I TEMPIFORSE SONO MATURI, NELLE AFRICHE, PER RIALZAREDEFINITIVAMENTE LA TESTA. ASCOLTIAMO LA VOCE DI ALCUNIPROTAGONISTI, A VARIO TITOLO, DEL MONDO AFRICANO.MISSIONE, POLITICA, RELIGIONE E SOCIETÀ: TUTTO CONVERGEVERSO UN’UNICA DIREZIONE.

L’Africa checammina da solaL’Africa checammina da sola

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quello di oggi, il Piano contiene intuizioni profeticheper l’evangelizzazione delle terre africane, e per potertrasformare il loro legame con il resto del globo in unarelazione proficua per entrambe le parti.«Salvare l’africa con l’Africa» era il motto di Comboni.Un’intenzione che già il Piano chiarisce attraverso duegrandi proposte del futuro santo veronese. La prima èquella di mobilitare direttamente uomini e donne delcontinente per l’evangelizzazione e “l’incivilimento”delle terre che allora sembravano più irraggiungibili. Uncompito lasciato non soltanto a sacerdoti e catechisti,ma anche ad artigiani e a quelli che oggi si chiamerebberoprofessionisti, come medici e farmacisti. E, infine, agliinsegnanti. Comboni, infatti, comprese l’importanzadella cultura e della formazione nella costruzione di unfuturo al punto da ipotizzare - ed è la seconda proposta- la creazione di «quattro grandi università africane teo-

L’ Africa va avanti, a luci spente. Fotografato dallospazio durante la notte grazie ai satelliti dell’agenzia

spaziale Usa (Nasa), il continente, se paragonato allealtre grandi aree del mondo, sembra buio: solo lacosta nordafricana e le città più grandi (Lagos, inNigeria, Johannesburg e Cape Town in Sudafrica,Nairobi in Kenya) spiccano contro il blu uniforme diterritori che gli stereotipi più diffusi non immaginanodifferenti da come apparvero agli esploratori dell’Otto-cento.L’oscurità, però, è solo apparente. Il continente è ancheil luogo di realizzazioni in corso e grandi potenzialità.Queste ultime erano state ben individuate da sanDaniele Comboni, quando nel 1864 presentò allacongregazione di Propaganda Fide un documento chechiamò “Piano per la rigenerazione dell’Africa”. Purscritto in un clima ideale e culturale molto diverso da

Il cammino della profezia

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logico-scientifiche nei quattro punti piùimportanti» della costa continentale.I 150 anni del Piano di Comboni sonostati ricordati dalle congregazioni natedalla sua intuizione, i missionari combonianie le missionarie comboniane, in tre giornid’incontri intitolati “Africa - Un continentein cammino”, dal 13 al 15 marzo scorsi.La ‘Nigrizia’, come il futuro santo ladefiniva, è stata protagonista in tutti isuoi aspetti. Quello politico, innanzitutto,a partire dalla richiesta di rinnovamentoche sempre più comincia a salire dallesocietà locali. A questa la classe dominantedel continente risponde in maniera alterna,tra presidenti al potere da decenni etransizioni ordinate, fortunatamente molto

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«Salvare l’Africa con l’Africa» era il mottodi Comboni, contenuto nelPiano per la rigenerazionedell’Africa.

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più frequenti anche rispetto al passato. Parlare dipolitica africana significa anche esaminare i suoi rapporticol resto del mondo: questi sono spesso condizionatinon solo dalla presenza di enormi risorse nel sottosuolocontinentale, ma anche dalla contrapposizione, economica,commerciale e anche ideale, tra i vecchi poteri coloniali- o, se si aggiungono gli Usa, occidentali in genere - ele nazioni emergenti, anche fuori dal cartello dei Brics(Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). E le linee difrattura sono rese più gravi dai flussi d’armi che quihanno ancora uno dei loro snodi principali.L’Africa in cammino è però anche quella sospinta dauna crescita che, per quanto estremamente diseguale,nel 2014 ha superato il 5% medio e sfiorerà il 6%quest’anno (secondo stime del Fondo monetario in-ternazionale). Alla ricchezza economica, ancora aleatoriaperché concentrata in poche mani, ne fa da contraltareun’altra, il cui potenziale è ancora maggiore: quellaumana, rappresentata sia dalle forze della società civile- comprese le Chiese locali - sia dalla diaspora africanache ormai va ben oltre la vecchia Europa. Sono anchequesti uomini, donne e giovani che - superati i rischidella migrazione e le barriere all’accoglienza nei nuoviPaesi - fanno camminare silenziosamente in avantil’Africa.

D. M.

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“A fro-ottimisti” o “afro-pessimisti”? Secondo padreRenato Kizito Sesana, missionario comboniano,

per anni in Zambia, Sudan e Kenya, la risposta dipendeda “quale Africa” si prende come riferimento. «Già inpassato si parlava di “Afriche” al plurale, diverse perstoria e cultura, e questo oggi è ancora più vero, nelmomento in cui all’interno dei singoli Paesi la questionesociale diventa sempre più importante». «Prendiamoad esempio uno Stato come il Kenya - proseguepadre Kizito - dove la minoranzabenestante della popolazioneha un modello di vita che imitaquello degli Stati Uniti e piùdella metà della popolazionedi Nairobi vive nelle baraccopoli,gli slum, in condizioni al limitedell’umano. In un solo Stato ècome se ci fossero due Paesi».

LA RINASCITA AFRICANA NON ARRIVERÀDALL’ALTO MA DAL BASSO: LA SPERANZA ÈCONTENUTA NELLA FORZA DEI POVERI.INTERVISTA A PADRE RENATO KIZITO SESANA.

Nell’Africa che si trasforma,il missionario vede la forzadel cambiamento proprionei più poveri.

Un continenteal bivio

Eppure, nell’Africa che si trasforma, il missionario vedela forza del cambiamento proprio nei più poveri: «Leclassi più alte vivono completamente orientate all’esterno,nel migliore dei casi possono trasformare l’Africa inuna copia dell’Europa, ma questo riguarderà sempreuna minoranza. Negli slum invece c’è un potenziale dienergia straordinario, che non è stato mai canalizzato».Nelle baraccopoli c’è la possibilità «di una trasformazionesociale, perché sono abitate da persone che hannovoglia di crescere, idee, desiderio di imparare; c’è unasocietà civile che diventa sempre più articolata e sadarsi sempre più chiaramente degli obiettivi».Il motto comboniano “Salvare l’Africa con l’Africa” èdunque ancora attuale. «Per me - spiega padre Kizito- oggi significa che la parte più viva, quella di chi cercadei mezzi per migliorare la propria esistenza, sarà

quella che salva o per-de il continente». Econtinua: «O riusci-ranno a mantenerela parte più sana del-le loro tradizioni, laloro cultura, svilup-pandola ad inglobarein questa quei trattinuovi, positivi e im-portanti che sono ar-rivati dal contatto conla modernità occiden-

tale, oppure finiranno solo per sognare di imitare queiricchi che hanno ormai il cuore e i pensieri altrove:una società alienata. Questo è il bivio che l’Africa sitrova davanti…». Di fronte a questa situazione «ilcompito del missionario è essere vicino alla gentesemplice, ai poveri, a quelli che lottano per dare unsenso alla loro vita, che non sia solo economico, maglobale, complessivo:dobbiamo stare al lorofianco e crescere in-sieme a loro», concludeil religioso.

D. M.

Padre RenatoKizito Sesana.

Korogogho, baraccopoli di Nairobi, Kenya.

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E ssere in grado di “controllare” la propria economia.Valorizzare le enormi ricchezze del territorio africano

avvantaggiando il popolo, non le multinazionali. Puntaresulla spesa pubblica e sugli investimenti statali. SamiaNkrumah, parlamentare ghanese e figlia del grandepresidente Nkrumah, ha le idee molto chiare su come“curare” il gigante africano. Ammesso che di cura sidebba parlare.Il Ghana tra l’altro è uno dei 54 Stati del continenteche cresce di più in termini macroeconomici. Maquesto non basta, dice la carismatica donna politica,leader del Convention People Party. Cinquantacinqueanni, oltre 40 dei quali trascorsi all’estero, tra Egitto eInghilterra (dopo il colpo di Stato in Ghana espatriòcon la mamma al Cairo, e poi partì di nuovo perstudiare a Londra), è tornata in patria nel 2008. Percondividere una visione: «Non bastano i numeri dellacrescita: noi dobbiamo poter avere la gestione e ilcontrollo di ciò che produciamo».La incontriamo a Roma, lei si presta molto volentierialle interviste e alle foto ricordo. Ma soprattutto non sistanca mai di ripetere con enfasi sincera e una deter-minazione gentile che «l’Africa può farcela da sola. Nonha bisogno di visioni neocoloniali».Informale quanto basta, elegante e fotogenica comeun’attrice - abbigliamento etnico ma fashion – e moltomolto lucida nell’analisi, la Nkrumah spiega che «larisposta è economica ma è anche politica. Dobbiamousare meglio le nostre risorse».«Da oltre 100 anni siamo dipendenti dalle esportazionidi materie prime e dobbiamo comprare i prodotti finitidagli altri - spiega – Ma questa non è affatto una leggeineluttabile». E ancora: «Le multinazionali vengono,fanno profitti, ma non restituiscono niente all’economiaafricana. Inoltre, per via dei prestiti, e dunque delservizio sul debito, i nostri soldi escono e basta».Una forte critica la indirizza verso Fondo monetario in-ternazionale e Banca mondiale che agiscono ancoraoggi, come 20 anni fa, sulla linea dell’austerity,

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PIÙ STATO, MENO INGERENZA ESTERNA. PIÙ ECONOMIA LOCALE, MENODEBITI. L’AFRICA SI CURA DA SÉ, USANDO LE ENORMI RICCHEZZE CHEPOSSIEDE. LE RICETTE DI SAMIA NKHRUMAH, FIGLIA DEL GRANDEKWAME NKRUMAH, PER TRAGHETTARE IL GHANA VERSO LA RINASCITA.

imponendo tagli di spesa per accordare prestiti. «Dob-biamo rinegoziare le condizioni di restituzione deidebiti», dice.Dopo una prima intervista più formale, la incrocio percaso in uno stanzino dell’edificio dove partecipa al se-minario dei Comboniani sull’Africa, e mentre si riposae aggiusta il trucco, mi viene vicino e sussurra: «Scriveteloche l’economia è la chiave in Africa, ma che perarrivare ad una buona economia bisogna passare at-traverso una buona politica». Esattamente ciò cheSamia va promuovendo da anni, ormai. «Per noi africanilo Stato può ancora giocare un grosso ruolo ma deveessere uno Stato responsabile, che dà potere alle co-munità locali».Non serve costruire edifici, palazzi, e dare man forte alReal estate (al settore immobiliare) ci tiene a precisarela Nkrumah: «Sono i servizi di base che devono essereforniti: acqua, educazione e sanità, e questi nonpossono arrivare dai privati ma deve garantirli lo Stato.Per fare in modo che siano efficaci, però, bisogna chelo Stato non sia corrotto». Su questo punto l’Occidentepuò essere d’aiuto: rifiutando di fare affari con i corrotti,ad esempio… Sapremo, noi europei, stare finalmentedalla parte giusta della politica africana in futuro?

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Più politica e più Stato

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È quasi impossibile non pensare a quei maledetti100 giorni di morte e persecuzione contro i Tutsi,

quando si parla di Rwanda. In Europa la sempliceevocazione del nome rimanda ad immagini di violenzada macello, fotografie indelebili impresse nella mente.Ma uno sforzo ulteriore è ormai necessario. Sonopassati 20 anni da quello spietato genocidio, delibe-ratamente messo in atto per eliminare 500mila per-sone di etnia Tutsi dalla faccia della terra. Ma nel 2015il Rwanda è finalmente un altro mondo.Le ferite si ricompongono, le cicatrici restano. Ma ilPaese è andato avanti. E molto. Ce ne parla una co-raggiosa e delicata donna rwandese, che vive ormaiin Italia da quando fu costretta a lasciare la sua patrianegli anni Novanta. Françoise Kankindi, presidentedella onlus Bene Rwanda, è di etnia Tutsi, vive e lavoraa Roma, ha la cittadinanza italiana, è sposata e ha unfiglio. Torna nel suo Paese d’origine almeno una voltal’anno.«Il Rwanda oggi conta almeno tre primati in Africa, eforse anche su molti Paesi europei: il rispetto perl’ambiente, per l’essere umano e per la vita», ci assicura

Françoise. Quanta sofferenza deve essere passatasotto gli occhi di questa donna minuta? Mi chiedo,quando la ascolto parlare, nella sua delicata voce tal-volta interrotta dalla commozione. Françoise però hasviluppato una forza incredibile e un orgoglio rwan-dese.Nata nel 1970 in Rwanda; presto è costretta a rifugiarsiin Burundi con la sua famiglia perché di etnia Tutsi.Lascia l’Africa nel 1992 per studiare Economia aMilano e in seguito alla persecuzione nel 1994 perdequasi tutta la sua famiglia, vittima della violenza Hutu.«Il Rwanda è un bel Paese dove vivere oggi: si è fattomolto per la riconciliazione – dice - Noi oggi ci sen-tiamo rwandesi, non Hutu né Tutsi. Non ragioniamopiù con categorie etniche, quelle categorie apparten-gono ancora all’Occidente». «Il Paese è riuscito a co-struire qualcosa sulle sue macerie: a proposito di tra-sparenza e corruzione è uno dei Paesi che hannofatto più progressi», spiega.Transparency International nel 2013 la poneva tra icinque meno corrotti d’Africa, assieme a Botswana,

Capo Verde, Seychelles e isole Mauritius.La critica che la Kankindi fa all’Europa èquella di voler continuare a vedere l’Africasempre e soltanto in termini conflittuali odi post conflitto. L’emergenza. Ma la nor-malità che posto occupa nella nostraagenda?«I progressi non valgono tanto quanto iconflitti – nota con amarezza – Quellache io respiro fin dal primo momento incui metto piede in Rwanda, arrivata in ae-roporto, è un’aria di pace e di ordine».C’è partecipazione sociale, c’è voglia diandare avanti. «Noi rwandesi non vo-gliamo più quelle etichette appiccicate ad-dosso: la nostra appartenenza etnica èstata manipolata in passato e oggi nonvogliamo più ragionare in termini di divi-sione».

I.D.B.

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AL RWANDA RIMANE APPICCICATO ADDOSSO ILRICORDO DEL GENOCIDIO CHE NEL 1994PROCURÒ UNA MATTANZA INAUDITA. MA ILPAESE AFRICANO È OGGI PIÙ PROGREDITO DIMOLTI ALTRI E VUOLE LIBERARSI DEGLI SCHEMIETNICI. CE NE PARLA FRANÇOISE KANKINDI,PRESIDENTE DI BENE RWANDA ONLUS.

Françoise Kankindi, a destra nella foto.

Rwanda fuoridagli schemi

A Nord l’instabilità della Libia, che ha fatto sentirealcune conseguenze anche su nazioni confinanti

come Egitto e Tunisia. Nel cuore del continente le duecrisi della Repubblica Centrafricana e della RepubblicaDemocratica del Congo. A Est il conflitto civile in SudSudan e la Somalia dove si combatte da quasi unquarto di secolo. Ad Ovest la minaccia della settanigeriana Boko Haram, ormai capace di colpire fino inNiger, Ciad e Camerun. Anche nell’Africa dove la de-mocrazia prende piede - sia nel senso di elezioni giu-dicate, quasi ovunque, sempre più regolari e pacifiche,sia nel senso di una crescita dell’attivismo della societàcivile - il conflitto resta, in alcune regioni, una realtà. Adalimentarlo è anche la circolazione delle armi, come

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NONOSTANTE GLI SFORZI DI PACE E LE“GRANDI VISIONI”, UNA MINACCIA VIENEANCHE DALL’INTERNO DELL’AFRICA.ALIMENTATA PERÒ DAI COMMERCIINTERNAZIONALI E DAL NOSTRO BISOGNODI VENDERE ARMI.

mostra l’ultimo rapporto dello Stockholm internationalpeace research institute (Sipri), secondo cui il continenteha pesato per il 9% sul commercio di armi tra 2010 e2014, con le quantità effettive che sono cresciute del45% rispetto ai cinque anni precedenti.«Sono stati i Paesi del Nord Africa i maggiori acquirentidi grandi sistemi d’arma in questo periodo, anche perovviare a carenze storiche nel controllo del mare»,spiega Maurizio Simoncelli, vicepresidente dell’Istitutodi ricerche internazionali Archivio Disarmo. «Ancorapiù preoccupante - continua - è l’intensificarsi ancheda parte di aziende medio-piccole basate direttamentein Africa, della produzione e del commercio di armileggere, che possono facilmente finire in canali illegali».Le stime parlano addirittura di 100 milioni di pezzi incircolazione nel continente. Quanto alle impreseafricane del settore «sono ormai almeno una ventina,da quelle del Sudafrica, che è in grado di produrreanche armi pesanti, a quelle della Nigeria o del Sudan,che si limitano alle armi leggere o all’assemblaggio dicomponenti importati», nota Simoncelli.In questo quadro, un possibile segno di speranza èquello proveniente dalla comunità economica degliStati dell’Africa occidentale (Cedeao - Ecowas), chegià nel 2009, ricorda l’esperto di Archivio Disarmo«avevano stipulato un trattato internazionale per ilcontrollo delle armi leggere». Un buon auspicio ancheper il trattato internazionale sul commercio di armientrato in vigore a fine 2014, che tuttavia, concludeSimoncelli, «sarà efficace solo includendovi i maggioriesportatori: Stati Uniti, Russia, India e Cina, che non lohanno ratificato o firmato».

D. M.

Geopolitica earmi, nodoinestricabile

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L’ evangelizzazione in Africa ha senso se concepita«come dialogo rispettoso dell’identità culturale e

religiosa tradizionale». In Africa sarà difficile, se nonimpossibile, sostituire un Dio con un altro, ci spiega ilteologo e filosofo camerunense Martin Nkafu, docentealla Pontificia Università Lateranense.«Il cristiano africano è anzitutto membro a vita dellareligione tradizionale che l’ha allevato», precisa. «Lasua idea di Dio non gli deriva dal cristianesimo equando abbraccia la fede cristiana non è per annien-tare quella che aveva, ma per integrarla», spiega. Ilpunto di partenza è che Dio si è fatto conoscere indiversi modi da tutti i popoli; pertanto l’evangelizza-zione non può essere, secondo il teologo Nkafu, sin-tesi del cristianesimo e della religione tradizionaleafricana, ma è qualcosa che porta a compimento ciòche Dio ha iniziato in maniera esperienziale.

Allora cerchiamo di capire meglio cos’è la Vitalogia perl’uomo africano e per il teologo Martin Nkafu che inqualche modo l’ha coniata in termini filosofici per lacultura occidentale: «È un procedimento esperienzialecollettivo, non individuale. È un’idea di Dio che staovunque, che permea l’intera esistenza», che non èoggettivizzante. Un concetto veramente affascinanteche fa parte di una forma mentis differente dallanostra.E l’uomo Martin Nkafu come è approdato all’idea diDio? Gli chiediamo. «La mia esperienza religiosa nasce nella mia culturaafricana. Io cresco in una famiglia dove si fanno sacri-fici, culti e preghiere – racconta - Non sono cresciutocome un animista o un ateo. Dio è uno: e io già lo per-cepivo prima di essere cristiano. L’idea di Dio c’è intutti gli uomini», spiega. «Il cristianesimo si innesta sem-pre su una tradizione teologica e culturale tradiziona-le». E allora perché è così importante che ci sia, dopotutto, una evangelizzazione? Perché a quel punto il cri-stianesimo sarà diverso da ogni altro, sarà per l’appun-to “africano”. E dunque conterrà in sé l’esperienza tra-dizionale di Dio e la conoscenza di Cristo.«La teologia occidentale è discorso su Dio - diceancora il teologo - quella africana è discorso di Dio:io del mio Dio non ho bisogno di spiegare nulla per-ché ho già fatto esperienza». Infine un importantepassaggio è quello che conduce alla irreversibilità deldivino per ognuno di noi: «Nel mio libro “Il divinonella religione tradizionale africana” scrivo che chiun-que perviene all’idea di Dio non può più essere ateo.L’incontro con Dio è irreversibile. L’uomo non è piùlibero di tornare indietro: l’incontro con Dio è defini-tivo». Il contatto con la salvezza salva. E per l’uomoafricano l’incontro con Cristo è l’approdo finale.

I.D.B.

L’evangelizzazione in Africa ha sensose concepita «come dialogorispettoso dell’identità culturale ereligiosa tradizionale».

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COS’È LA RELIGIONE TRADIZIONALEAFRICANA? CHE SPAZIO C’È PERACCOGLIERE LA VISIONE DI UN DIOCRISTIANO IN UN MONDOONTOLOGICAMENTE FORGIATODALL’ESPERIENZA DEL DIVINO, PIÙ CHEDALLA SUA CONOSCENZA? LA VITALOGIA ÈUNA RISPOSTA. CE NE PARLA IL TEOLOGOCHE HA CONIATO QUESTO TERMINE, ILCAMERUNENSE MARTIN NKAFU.

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Vitalogiaafricana e idea di Dio

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Filo direttoCON L’ECONOMIA

Il business inclusivo è unmodo etico di fare impresa.Come? Pensando progetti

nati dal profit per far decollarecrescita e sviluppo anche neiPaesi poveri. Può l’impresaprivata in futuro diventare unvolano reale di lotta alla po-vertà nei Paesi in via di svi-luppo? C’è chi è pronto ascommettere di sì, soprattuttoin Europa. DE-LAB è la primaimpresa di consulenza ita-liana, nata dall’idea di una30enne (con un team interna-zionale di professioniste), chefa progetti di ricerca applicatae consulenza nei settori dell’in-clusive business e dell’inno-vazione sociale. Ce ne parlala sua fondatrice.

Cos’è il business inclusivo?È un modello d’innovazioneche viene applicato alleimprese profit. Si rivolge adelle aziende che lavoranonei mercati poveri. Il dato difondo è che il personale loca-le di un’impresa occidentaleche lavora, ad esempio in

Africa, può diventare un partner. Può lavorare assie-me al management dell’impresa per fare innovazionedi prodotto o sviluppare nuove reti di distribuzione.Con una forma mentis legata alla cultura di quei Paesi.In Italia non si è mai fatto, noi di DE-LAB siamo leprime ad avere importato questo modello, che peral-tro in Europa è molto ben avviato.

Chi siete?Siamo tre ragazze italiane (Irene Tomasoni, LauraMichelini ed io) e tre straniere da Germania, India eVietnam. Ho studiato cooperazione alla Cattolica diMilano per cinque anni, ma ero interessata al coinvol-gimento del settore privato nella cooperazione.Durante dei tirocini in Germania sono entrata in con-tatto con una rete di territori. Mancava il focal pointitaliano nella rete: ora c’è.

Il business inclusivo quindi è una forma di coopera-zione allo sviluppo?Sì, fa riferimento ad un coinvolgimento del privato neitemi della cooperazione. Ma non tramite la semplicedonazione o la carità, piuttosto cercando di far sì che ilprodotto, che a vario titolo coinvolge le comunità piùpovere (perché magari viene realizzato proprio da loro inun remoto villaggio africano, ndr) le veda protagonistedel mercato.

Anche le aziende italiane che delocalizzano all’este-ro possono fare business inclusivo?L’idea è proprio quella di proporlo a loro e noi di DE-LABlo stiamo già facendo. Certo perché funzioni davverodevono essere imprenditori illuminati che vogliano farecooperazione e non ripulire la loro immagine.

Un esempio di lavoro che avete realizzato con azien-de italiane?Abbiamo avuto una consulenza con un’azienda diBrescia che voleva vendere pannelli solari in Senegal. Cihanno chiamato e ci hanno detto: «Vogliamo capirecome coinvolgere il villaggio africano, facendo sì cheanche loro ci dicano come migliorare il prodotto o comeintegrarlo meglio in modo che resista in quel contesto».DE-LAB ha fatto da tramite tra l’imprenditore brescianoe il villaggio del Senegal per far sì che venisse gestito inmodo responsabile dal villaggio stesso. La consulenza èfinita: tra gli attori locali hanno giocato un ruolo forte gliinsegnanti delle scuole. Ora sappiamo come la gente diquel villaggio vorrebbe che l’elettricità venisse usata:hanno una necessità enorme di televisori per poterseguire quello che succede nella capitale.

Vi occupate anche di innovazione sociale. Come?Ad esempio realizziamo dei format di comunicazioneweb di tipo sociale. VOILÀ è brevettato da noi, ed hacome obiettivo la collaborazione tra persone udenti e per-sone sorde per la realizzazione di progetti sociali tramitel’utilizzo dei social media. Per il lancio dell’iniziativa abbia-mo avuto un testimonial d’eccezione: Clio Zammateo,ossia ClioMakeUp. Ed è nato il primo video tutorial pen-sato e realizzato assieme alla comunità sorda, che vedeClio alle prese con la spiegazione di un make-up realizza-to su una modella sorda, che traduce contemporanea-mente in Lis le indicazioni della make-up artist.

Ilaria De [email protected]

L’INTERVISTA: LUCIA DAL NEGRO

Lucia Dal Negro

UNA 30ENNE ITALIANASTUDIA IN GERMANIA E SI

SPECIALIZZA A LONDRA PERPORTARE IN ITALIA IL

BUSINESS INCLUSIVO. NASCECOSÌ DE-LAB, IMPRESA ETICAIDEATA DA LUCIA DAL NEGRO

E GESTITA DA SEI DONNE.CONSULENZE, RICERCHE ESTUDI DI FATTIBILITÀ PER

DIRE CHE IL MONDO DELPROFIT PUÒ ANDARE

D’ACCORDO COL NO-PROFIT.

BUSINESS ETICO CON I POVERI

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di FRANCESCA [email protected]

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀDalle favelas del

Brasile a Timor Est

Padre Francesco Moser,chiamato Chico, 78 anni,missionario da 47, è unmaestro di quella“pedagogia degli oppressi”incarnata nella vita deipoveri di molti Paesi delSud del mondo. Dallefavelas di Fortaleza alpiccolo Paese asiatico,tutta la vita del missionarioè un percorso di servizioagli oppressi, agli sfruttati eai costruttori di pace.

Nei suoi occhi vispi sembra di ri-vedere in diretta la storia di 47anni di missione. La storia di

un uomo, Francesco Moser, detto “padreChico”, e la storia di un Sud del mondoche è passato dal colonialismo all’in-dipendenza, dalla dittatura alla demo-crazia, da paradiso naturale a vittima

La lotta di padre ChiLa lotta di padre ChicChico non conosce reticenza. «Perchénel 2004 mi trasferii da Fortaleza aTimor Est?». Era in Brasile dal 1968, maa un certo punto i drammatici eventidi Timor Est entrarono nella sua vita.Racconta il missionario: «Dopo 25 annidi occupazione indonesiana, nel 1999i timoresi votarono per l’indipendenza.Giacarta non accettò quell’esito edesplosero le violenze. Il Jesuit Refugee

del capitalismo più oltranzista.Tutto questo ci racconta il missionariooriginario di Mezzocorona. Tornato perun breve periodo a Trento, dalla sorella,non trascura nulla del cammino chel’ha portato dal Trentino al Brasile, eda quest’ultimo al Paese più giovanedel Sud-est asiatico, Timor Leste (initaliano Est).A 78 anni appena compiuti, padre

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Padre Francesco Moser,detto padre Chico.

Service brasiliano si interessò ai 300milatimoresi dell’Est costretti a trasferirsia Ovest, nella parte indonesiana del-l’isola. Un prete arrivò da noi con undossier, chiedendoci aiuto. Partironouna volontaria filippina e una suoracanadese, che dopo due anni tornòcon altri 30 timoresi. Volevano ap-prendere il metodo educativo che ap-plicavamo nelle favelas: la “pedagogiadegli oppressi” di Paulo Freire. E cichiesero per più di una volta di andarecon loro».

RICCHI E POVERI A TIMOR ESTCon lo stesso spirito diocesano che locondusse in Brasile, padre Chico si pre-parò per un nuovo con-testo di povertà e ingiu-stizia. Con il Paese suda-mericano, Timor Est avevain comune secoli di do-minazione portoghese ela lingua ufficiale. Era,inoltre, abitato soprat-tutto da cattolici, cheoggi costituiscono quasiil 97% della popolazione.«Con il suo milione diabitanti, mi si presentòcome una miniatura della sofferenzache avevo conosciuto in Brasile - con-

tinua il prete - La sofferenza urbanadei bambini di strada e delle discarichea cielo aperto. La sofferenza delle zonerurali sempre più distanti dall’aristo-crazia al potere. La rappresentanteOnu, Magdalena Sepulveda, tre annifa disse che l’élite possedeva una ric-chezza 180 volte superiore a ciò chehanno i timoresi più poveri».Il piccolo Paese asiatico, geografica-

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cocontro l’ingiustizia

non ha portato giustizia», ha dichiara-to.

PROGRESSO E DEMOCRAZIACome in Brasile, vari problemi di TimorEst sono tuttora dovuti a una competi-zione per le risorse: in primis, terra efonti energetiche. Ricorda il missionario:«Arrivai a San Paolo, mia prima tappain Brasile, su una nave carica di migranti».In quel periodo la dittatura era stri-sciante, ma presto arrivò un giro divite. Aggiunge Moser: «Il processo diindustrializzazione brasiliano sostenutodagli Stati Uniti, andò di pari passo conla messa al bando della democrazia, ilconseguente inizio della lotta studen-tesca e della guerriglia. Sotto la dittaturapiù feroce, nacque una società nuova.Da una parte si disboscava per costruirestrade per l’esportazione di caffè e zuc-chero, ponti e dighe; dall’altra i senzaterra, le donne e gli operai si ribellavanoallo sfruttamento. L’ex presidente

mente stretto fra Indonesia e Australia,è diventato indipendente nel 2002, mada allora ha vissuto diversi momentidi crisi. «Quasi ogni due anni», sottolineapadre Chico. Defenestrazioni, tumulti,golpe, operazioni di spionaggio sareb-bero stati organizzati da servizi segretiindonesiani, australiani e personalitàlocali contro i nuovi dirigenti che pro-

venivano dalla guerrigliaseparatista. L’allora pre-sidente e Nobel per laPace, Josè Ramos Horta,nel 2008 è stato grave-mente ferito in un tenta-tivo di colpo di Stato. Illeader della lotta indipen-dentista, Xanana Gusmao,uscito illeso da quello stes-so attentato e già presi-dente dal 2002 al 2007,si è dimesso lo scorso feb-

braio dalla carica di primo ministro.«La nostra generazione di guerriglieri

Padre Chico era in Brasile dal 1968,ma a un certopunto i drammaticieventi di Timor Estentrarono nella sua vita.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀDalle favelas del

Brasile a Timor Est

salute materna, neonatale e mentale. Irapporti internazionali parlano di unPaese «ad alta mortalità infantile e adaltissima mortalità materna». Il pretedenuncia: «La metà della popolazionesoffre di disagi psichici. Da cosa pensatederivino le frequenti violenze domesti-che? Dai traumi di guerra, oltre chedalla mentalità patriarcale. I timoresi

sono un popolo di guerrieri,ma adesso “devono cam-biare paradigma”. Lo disseil vescovo Carlos Filipe Xi-menes Belo (Nobel per laPace nel 1996 insieme conHorta, ndr). In realtà, delleconquiste sono state fattenel campo dell’istruzione.Per combattere l’analfabe-tismo, alcuni educatori cu-bani hanno introdotto ilgià citato metodo Freire. Ea Cuba 300 operatori sa-nitari hanno potuto for-marsi gratis». Questo esem-

pio di collaborazione fra Paesi del Suddel mondo avrebbe già prodotto uncambiamento: «Chi è tornato da lì nonha chiesto, come chi è rientrato dauniversità portoghesi o indonesiane,6mila euro al mese di compenso».

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Lula, uno dei migranti interni “norde-stini”, riusciva a radunare fino a duemilioni di lavoratori».Il resto è storia: «Al momento si assistea una povertà di ritorno. È calata l’ombradella recessione ed è in corso un processodi stabilizzazione fra i produttori dipetrolio brasiliani, venezuelani e russi,che vogliono “la testa” della presiden-tessa - ex guerrigliera- Dilma Roussef».L’oro nero riporta il di-scorso del religioso aDili. L’indipendenza èservita a moderare losfruttamento incon-trollato da parte au-straliana del Mare diTimor, ricco di petrolioe gas naturale, isti-tuendo nel 2005 unfondo petrolifero na-zionale, che oggi am-monta a 16 miliardi didollari di ricavi. Anchese Dili non può dipendere solamenteda questa riserva, se ben investita con-sentirà la ricostruzione. I timoresi so-pravvivono per mezzo di un’agricolturae una pesca di sussistenza. Le maggiorifragilità di questo Stato riguardano la

LA SPERANZA STA NEI GIOVANIInsiste il missionario: «Uno dei drammidella giovane Repubblica è proprioquello degli studenti che dalle campagnesi trasferiscono a Dili per studiare al-l’università. Essendo molto poveri, sifanno ospitare dai parenti che nonhanno il necessario per sfamarli. Man-giano così poco da soffrire di varidisturbi gastrointestinali. Loro malgrado,forse perché abituati alla fame, sonoincredibilmente resistenti». A questi gio-vani padre Chico guarda con speranza:«Stanchi di questa situazione, 500 diloro hanno occupato un hotel abban-donato, ma le autorità li hanno fattisgomberare. Si intravede un germe diorganizzazione. Hanno protestato controi parlamentari che utilizzano auto da60mila euro ciascuna».La sfida è avviare uno sviluppo sostenibileche mitighi i contrasti. I timoresi sonoper lo più tribali riuniti in clan spesso inconflitto per un fazzoletto di terra,senza sistemi di irrigazione e mezzi ade-guati per coltivare e pescare. Dopo l’in-dipendenza si è formata un’élite di fun-zionari che ha fatto sparire “in un buconero” ben cinque miliardi di dollari didonazioni. Malattie come la dengue re-stano endemiche e si può morire peruna banale infezione intestinale. L’accessoalle cure è impossibile nelle zone forestalie montagnose raggiungibili solo a piedi.Per raggiungere l’isolotto di Atauro, difronte a Dili, dove vive padre Chico, c’èun solo battello alla settimana, costrettoa sfidare acque agitate. «Ma c’è del po-tenziale nei giovani e in alcuni leader,come l’attuale premier Rui Maria deAraújo», conclude il prete.Da quando è arrivato ad Atauro, il mis-sionario ha mobilitato una serie di vo-lontari trentini sui fronti nevralgici diapprovvigionamento dell’acqua, agri-coltura, pesca, salute. Sono loro ad at-tenderci al termine di questa intervista:il Gruppo San Prospero, il Gruppo Vo-lontariato Trentino, l’Onlus ASsMA, con-quistati, da oltre dieci anni, dall’energiadel loro conterraneo.

I timoresi sono perlo più tribali riuniti inclan spesso inconflitto per unfazzoletto di terra,senza sistemi diirrigazione e mezziadeguati percoltivare e pescare.

Un’abitazionedistrutta dalle miliziefilo-indonesiane nel1999 a Dili.

fino al 1971. Laureatosi in Scienze politichepresso l’Università “La Sapienza”, nel1972 inizia il suo impegno presso laneonata Caritas Italiana come responsabiledel settore Studi, formazione e docu-mentazione. Docente di Pastorale dellacarità presso la Pontificia Università La-teranense, nel 1986 la Cei lo nomina di-rettore nazionale della Caritas al postodi monsignor Giovanni Nervo, incaricoche don Giuseppe vedrà rinnovarsi perun secondo mandato fino al 1996. Nel

di TOMMASO [email protected]

Il 21 marzo scorso, all’età di 82 anni,si è spento a Padova monsignor Giu-seppe Benvegnù-Pasini, tra i fondatori,

insieme a monsignor Giovanni Nervo,della Caritas Italiana.Nato a Piove di Sacco (PD) nel 1932, or-dinato sacerdote l’8 luglio 1956, nel1967 viene chiamato a Roma come viceassistente nazionale delle Acli dove rimane

In ricordo di Giuseppe Pasini, uno dei padri della Caritas

1997 diventa presidente della FondazioneEmanuela Zancan Onlus di Padova, au-torevole Centro di studi e ricerca nelsettore delle politiche sociali. Il 3 marzoscorso, quando ormai il peso della malattiasi fa sentire sempre di più, don Giuseppericeve la telefonata affettuosa di papaFrancesco che lo ringrazia per la vita in-teramente spesa «dalla parte dei poveri».Ho conosciuto monsignor Pasini nel 1980,frequentando presso la Caritas il corsodi formazione al servizio civile comeobiettore di coscienza. Rimasi subito col-pito da questo prete con un forte sensodi appartenenza ecclesiale, senza pelisulla lingua, trasparente nel parlare ecoerente nell’agire, esigente con se stessoprima ancora che con gli altri. Le nostrestrade s’incrociarono ancora appena qual-che anno dopo quando fui chiamato arappresentare la direzione italiana dellePontificie Opere Missionarie nell’ambitodel Comitato ecclesiale per la lotta controla fame nel mondo, che comprendevaanche la Caritas Italiana. Lavorare afianco di don Giuseppe fu per me unavera e propria scuola di vita. Imparai so-

prattutto che la via maestra per esercitarel’autentica carità è quella di mettersipermanentemente alla scuola della Paroladi Dio; che la più efficace lotta all’emar-ginazione si fa cercando non tanto dieliminare gli effetti dei mali che affliggonola società, quanto piuttosto rimuovendonele cause; che la credibilità dell’annuncioverbale del messaggio cristiano è diret-tamente proporzionale alla testimonianzadi vita di coloro che se ne fanno portavoce;che l’educazione alla pace passa ancheattraverso l’educazione alla solidarietà eal servizio; che i poveri hanno «molto dainsegnarci» e che «è necessario che tuttici lasciamo evangelizzare da loro», comesapientemente ci avrebbe poi ricordatopapa Francesco.

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dai poveriEvangelizzati

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fondisti. «Mio figlio aveva appena seimesi – ricorda Anna Maria, con gli occhilucidi - ma fu lei a cercarmi chiedendomidi raggiungerla nello Stato del Parà pertenere un corso biblico in una localitàspersa in mezzo alla foresta. Partii con ilmio bambino e scoprii l’accoglienza delle

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

di CHIARA [email protected]

L a difesa della terra e del Creato,insieme alla condivisione e allasolidarietà con le persone che vi

abitano, è stato un elemento che ha ca-ratterizzato, sin da subito, l’opera mis-sionaria di Anna Maria Rizzante, laicadella diocesi di Treviso, partita nel 1978,a 23 anni, per il Brasile e non più rientratain Italia. L’impegno per il rispetto deidiritti dei caboclos (abitanti dell’Amaz-zonia, in lingua locale), il lavoro nellaCommissione pastorale della Terra (legataalla Conferenza nazionale dei vescovidel Brasile), la solidarietà come scelta divita, la fatica delle lotte, le sofferenze ele speranze degli uomini e delle donnedelle zone rurali, lo studio della Bibbiaperché diventasse faro per le propriescelte di vita, sono state passioni condivisecon il marito, Sandro Gallazzi, anch’egli

missionario, conosciuto in Brasile, maanche con suor Dorothy Stang, religiosastatunitense della congregazione dellesuore di Nostra Signora di Namur, assas-sinata nel 2005 ad Anapu, nello Statobrasiliano del Parà, per la sua costantedenuncia contro le ingiustizie dei lati-

Partire per essere, non per fareIn Brasile da quasi 40 anni, Anna Maria Rizzante - oggisposa, madre e nonna nella città di Macapà – raccontala sua missione da laica. Partita dalla diocesi di Trevisoall’età di 23 anni, ha vissuto anni di straordinarioimpegno nella pastorale della terra, accanto a suomarito Sandro, anch’egli missionario, e ai tanti caboclos

(abitanti dell’Amazzonia, in lingua locale), ormai parteviva della sua famiglia. In una chiacchierata spiegaperché le piace parlare della missione più come “mododi essere” che come “occasione per fare”.

Sopra:

Anna Maria Rizzante con le amiche dellaPastorale della Terra.Sotto:

Anna Maria Rizzante da 15 anni si impegnanella pastorale carceraria con visite aidetenuti. Descrive questo servizio come un«cammino di condivisione, solidarietà emisericordia».In alto a destra:

Anna Maria e suo marito Sandro con i leaders

del sindacato dei contadini della regione dellafoce del Rio delle Amazzoni.

donne partecipanti al corso: Yashá avevatrovato tante nuove mamme, che a turnose ne prendevano cura perché le nuvoledi insetti non lo attaccassero».Parlando con Anna Maria a propositodei suoi 37 anni di missione in Brasile,si passa velocemente da un periodo al-l’altro della sua vita e da un luogo adun altro di azione: dall’inizio nelBuritizal (quartiere di Macapá, capitaledello Stato di Amapá), ai primi annivissuti con le comunità locali, poi laCommissione pastorale della Terra, ilmatrimonio con Sandro, la nascitadel figlio e l’adozione della figlia, leminacce ricevute per la difesa deidiritti dei più deboli, fino ai nostri giornicon l’impegno nelle carceri brasiliane. «Èvero, ho ricevuto il centuplo promessoda Gesù nel Vangelo, unito alla persecu-zione che, con l’aiuto di Dio, ci confermanelle scelte fatte» ammette Anna Maria,con il sorriso di chi guarda riconoscenteai tanti anni dedicati all’azione missionaria.Per la verità, volendo restare fedeli alsuo modo di intendere e vivere la missione,dovremmo sostituire la parola “azione”con il termine “essere”. Sì, perché per leifu chiaro sin da subito che il suo andarein Brasile non sarebbe stata l’occasionedi “fare qualcosa per”, ma quella di “starecon”, “essere accanto a” qualcuno. A chile chiedeva cosa andasse a fare, rispon-deva: «Non lo so, dovrò deciderlo con lepersone che incontrerò». E questa risposta

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Anna Maria Rizzante, missionaria laica in Brasile

suscitava molta perplessità. «Ma se valenella Bibbia, per esempio per Abramo –chiede la missionaria – perché non potevavalere anche per me?».Solidarietà e condivisione, offerte e ri-cevute, sono state il suo impegno divita: all’inizio Anna Maria fu ospite diuna famiglia in un villaggio della Forestaamazzonica a 150 chilometri dalla cittàdi Macapà. Poi, per vari anni, percorsenumerosi fiumi per incontrare le famigliee le comunità sulla foce del Rio delleAmazzoni. «Capii subito – confessa - chequalunque cosa avessi fatto di lì a poco,sarebbe stato per rendere protagonisti icaboclos: non avrei mai voluto fare qual-cosa che poteva creare “dipendenza dame”. Le popolazioni locali vivono unsenso di inferiorità nei confronti di chiviene da fuori, è straniero, bianco, e laprima cosa da evitare era proprio quelladi realizzare qualcosa che avrebbe raf-forzato quest’atavica sensazione di sot-tomissione, dovuta evidentemente asecoli di colonizzazione». Così si è sempre“limitata” ad accompagnare le donnedelle isole nella foce del Rio delle Amazzonialla presa di coscienza dei bisogni delterritorio: una volta scoperto che l’urgenzaera l’istruzione per i loro figli, AnnaMaria le sostiene perché siano loro stessead organizzare 13 “scuolette” nelle co-munità. «Avrei potuto trovare un finan-

ziamento per costruire una scuola inmuratura e fargliela trovare pronta –spiega - ma se fossi andata via io, lascuola sarebbe stata chiusa, perchésarebbe dipesa da me». Invece i missionarisono solo strumenti che il Signore mettenelle mani della gente in mezzo allaquale vanno ad abitare, commenta. Fuun piccolo progetto, che portò unagrande rivoluzione sulla foce del Riodelle Amazzoni: le donne cominciaronoa vedersi in maniera diversa; non eranopiù solo quelle che mettevano al mondoi figli, ma erano persone che si facevanocarico dei bisogni della comunità e siimpegnavano per risolverli.«Oggi – racconta Anna Maria - sonoloro che rivendicano scuole di migliorequalità per i figli. Sono loro che hannocapito cosa vogliono e sanno come pos-sono impegnarsi per ottenerlo, nel campodell’educazione, della salute, della difesadella terra e dell’ambiente, in famiglia enella società, costruendo relazioni diuguaglianza e condivisione. Non hannopiù bisogno di me: da una parte fa male,perché è come quando un figlio cresce ediventa autonomo, ma dall’altra è ilregalo più bello! Ed è la Parola di Gesùche si avvera di nuovo: “Siete servi inutili”.Niente di più vero».

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MUTAMENTI

di LUCIANA [email protected]

L’ anno scorso Gaston DonnatBappa, camerunense, ha pre-sentato a una conferenza sul-

l’e-learning a Kampala un ambiziosoprogetto chiamato Traditions OnlineEncyclopedia (Atoe) per raccogliere suinternet, con la formula di Wikipedia, lelingue, le tradizioni, la memoria orale,l’arte e le forme di artigianato a rischiodi estinzione. Cinquantasei anni, inge-gnere informatico, Donnat Bappa è an-

Memoria collettiva,ricordi virtuali

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I rischi della tecnologia

contesti. Avviene soprattutto in Africadove la letteratura orale è stata e rima-ne il punto di forza di tutta la vita let-teraria del mondo africano. Per suo tra-mite, migliaia di generazioni hannopotuto accedere alle storie delle propriecomunità, del proprio Paese e della na-zione. La letteratura orale permette diricollegarsi in ogni momento alle pro-prie origini e alle tradizioni sociali, spi-rituali e di costume.D’altra parte, nel Nord del mondo, sonodecenni che depositaria per eccellenzadella nostra memoria è diventata la Rete.

La tradizione orale è pra-ticamente morta, i docu-menti cartacei si stannolentamente estinguendoe tutto viene affidato alweb. Con i rischi chequesto comporta. Di re-cente Vinton Cerf, unodei padri di internet evice presidente di Google,ha lanciato l’allarme: tut-to quello che produciamoe pubblichiamo sul webpotrebbe finire in unbuco nero. Milioni di do-cumenti – blog, tweet,

immagini e video – potrebbero scompa-rire. La causa? I formati attuali dei do-cumenti diventeranno obsoleti e, primao poi, saranno illeggibili. Secondo Cerfi primi passi dell’umanità nel mondo di-gitale potrebbero essere persi per sem-pre e il nostro potrebbe diventare un se-colo perduto. La soluzione, argomentaCerf, è creare una sorta di pergamena di-gitale, cioè un software in grado di apri-re un determinato file anche a distan-za di anni e su computer moderni.Noi occidentali potremmo dunque fini-re per dimenticarci della nostra storia.In Africa, invece, resterà impressa nel-la memoria collettiva. E magari nelprogetto ideato dall’ingegner DonnatBappa.

Nelle memorie di ognuno si nasconde lastoria di tutti: è questa la memoria col-lettiva, patrimonio condiviso di ricordisul quale una comunità o un gruppofondano la propria storia e quindi la pro-pria identità.Il sociologo che per primo ha coniatoquesto termine e ne ha studiato la na-tura è Maurice Halbwachs (1877-1945),che ha sostenuto come la memoriacollettiva sia collegata agli effetti socia-li degli avvenimenti. Fino quando que-sti perdurano, difficilmente un grupposociale dimentica un determinato avve-nimento. Per esempio,una guerra può segnaresia la memoria collettivadi generazioni successive,anche dopo che si è spen-ta, sia per ragioni anagra-fiche, la memoria indivi-duale della perdita nelconflitto di un propriocaro.Innumerevoli gli esempidegli strumenti atti adalimentare la memoriacollettiva: racconti orali,documenti, cronache, me-morie biografiche ed au-tobiografiche, eventi, celebrazioni. Lastessa Bibbia, evidenzia Stefano Bitta-si nel suo saggio intitolato proprio“Memoria Collettiva”, ne è un esempio,perché «ha proprio come suo statuto lacreazione e la continua vivificazione del-la memoria collettiva, del popolo diIsraele dapprima e della comunità cri-stiana poi. La narrazione degli eventifondativi è richiamo per il presente, ca-none e criterio per l’identità e la prassidell’oggi di chi ascolta. Nel testo bibli-co ci sono pagine che esplicitano que-sta basilare necessità di alimentare lamemoria di quegli eventi che definisco-no tale identità collettiva».La memoria si tramanda anche oralmen-te, soprattutto in certi Paesi e in certi

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che il capo tradizionale di Ndjock-Nkong, un villaggio a una sessantina dichilometri dalla capitale Yaoundé. Inquanto custode delle tradizioni, si èreso conto della graduale perdita dellamemoria orale nel suo villaggio e haconstatato lo stesso fenomeno in altreparti dell’Africa. Il progetto intende tra-sformare la caratteristica tradizioneorale africana rendendola scritta e di-gitale. Funzionerà? Certo è che, nel-l’era di internet, si pone più che mai laquestione della memoria e della suaconservazione.

Nelle memorie diognuno si nasconde la storia di tutti: èquesta la memoriacollettiva, patrimoniocondiviso di ricordi sulquale una comunità oun gruppo fondano lapropria storia e quindila propria identità.

L’altra edicola

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LA NOTIZIA

LE ELEZIONI PRESIDENZIALI DELLOSCORSO 17 MARZO IN ISRAELEHANNO VISTO VINCERE DI MOLTO ILPREMIER USCENTE BENJAMINNETANYAHU, IN COMPETIZIONE CONL’ESPONENTE DELL’UNIONE SIONISTA,ISAAC HERZOG. IL RADICALISMO DINETANYAHU HA IRRITATOPARECCHIO GLI STATI UNITI E L’UE. EHA DELUSO I PACIFISTI. MA POTREBBEANCHE CONTENERE IL RILANCIO DIUNA NUOVA SOLUZIONE NEGOZIALE:UN SOLO STATO PER DUE POPOLI.

L’AUTOGOL DIL’AUTOGOL DIdi ILARIA DE BONIS

[email protected]

D opo i primi attimi di shock e delusione per il voto cheha visto stravincere di nuovo il premier del Likud, Ben-jamin Netanyahu, ammiccante più che mai alla de-

stra estrema, gli esperti e i giornalisti di Medio Oriente han-no rivisto le loro analisi. Quello di Netanyahu, che dichiaradi non volere affatto la nascita di uno Stato palestinese, è unautogol, dicono. Cancella l’ipotesi della “soluzione negozia-le dei due Stati per due popoli”, ma così facendo smuove fi-nalmente le acque.

Benjamin Netanyahucon la moglie Sara.

stato un vero status quo, per altri50 anni? Altri 50 anni di occupa-zione brutale, illegale e crudelesenza avere alcun sostenitore innessun posto al mondo che possariconoscere la sua legittimità?Altri 50 anni di insediamentiebraici e di diseredamento pale-stinese?».I giorni, le settimane e i mesi cheverranno ci sapranno dire se ilnuovo governo sarà una catastro-fe o, suo malgrado, darà avvio adun’altra partenza.Dello stesso avviso è anche HarryHagopian che in un editoriale sulsito di Al Jazeera titola: “Cattivenotizie per Israele o per laPalestina?”.«Considerato il fatto che gli StatiUniti da soli non possono dare un

gran contributo - dice Hagopian - e che Israele continueràsemplicemente ad espandere le proprie colonie mentre tergi-versa sulla soluzione dei due Stati, i palestinesi dovrebberosostenere i propri diritti. Questo richiede passi coraggiosi piùche condanne – anche se ciò significa abbandonare i loro“privilegi” –. L’Unione Europea deve prepararsi alla battagliae agire in modo risoluto». E conclude, sempre sul sito della tvpanaraba Al Jazeera, tra i più attenti alla causa palestinese:«Mordete il freno e andate avanti, dico io, o le condizionicontinueranno ad inasprirsi, il radicalismo crescerà e la soffe-renza condurrà ad un’altra conflagrazione».Ben Haspit, per il portale arabo Al Monitor, descrive la

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DI NETANYAHUDI NETANYAHU

»

Prospettive post-elettorali in Israele

E forse disinnescherà lo stallo del processo di pace. Cancellatal’ipocrisia di 50 anni di promesse e finte partenze, scriveGideon Levy su Middle East Eye, questa volta Israele non hapiù alibi. Levy è tra i pochi intellettuali ebrei israeliani chechiamano l’occupazione militare col proprio nome. Scrive che«la two State solution è clinicamente morta». Questa ipotesinegoziale (mille volte sbandierata ma mai davvero persegui-ta) non funziona più, fa notare. «È ora di pensare ad un’alter-nativa», scrive Levy. «Qualcuno ha un’idea diversa da quellache non sia la soluzione di un solo Stato (per due popoli e trereligioni, ndr)? Qualcuno veramente crede che Israele sarà ingrado di andare avanti con questo status quo, che non è mai

riconciliazione, anche parziali con la Casa Bianca», ma non ciriesce.Nello stesso momento la lobby ebraica americana lo sostiene:il Jerusalem Report scrive che «figure di spicco della comu-nità pro israeliana a Washington stanno facendo ripetuti

appelli ad Obama affinché la sua amministra-zione abbassi i toni».Il disappunto del presidente americano e ditutto il suo staff è stato veramente molto evi-dente nei giorni successivi alla rielezione diNetanyahu. Il timore è che tutti gli sforzi e ipassi compiuti in passato per avvicinare israe-liani e palestinesi, e cercare delle soluzionicondivise, vadano in fumo.Infine l’intellettuale Ilan Pappe, che scrive suElectronic Intifada, dice che «il desiderio deipalestinesi è solo quello di vivere vite norma-

li, qualcosa che il sionismo ha sempre negato ai palestinesi. Evite normali significa fine delle politiche di apartheid discri-minatorie contro i palestinesi in Israele, e fine dell’occupazio-ne militare e dell’assedio della Cisgiordania e di Gaza.Riconoscimento del diritto dei rifugiati palestinesi al ritorno».La comunità internazionale può giocare un ruolo positivo -

argomenta Ilan Pappe,che è ebreo israeliano –se fa suoi tre principi:«Anzitutto che il sioni-smo è ancora coloniali-smo e schierarsi contro ilsionismo non significaaffatto essere antisemitima soltanto anticolonia-listi».Ancora su Al Jazeera,stavolta America, TonyKaron rimarca che il capodello staff della CasaBianca ha detto a chiarelettere che «un’occupa-zione durata 50 annideve finire». Mai si eranosentite parole tantochiare, nette e senza pos-sibilità di equivoco. Lacomunità internazionalepare avere iniziato final-mente a sdoganare laterminologia.

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L’altra edicolatrappola in cui è andato a cacciarsi il rieletto premier, che purdi accaparrarsi i voti della destra intransigente, ha rilasciatodichiarazioni pesanti che ora è impossibile rimangiarsi. Averdichiarato di non volere uno Stato palestinese, ha fatto inal-berare di molto il presidente Usa, Barack Obama. «Netanyahusa che è arrivato il momento di restituire ildebito. E lui, che odia pagare, semplicementenon sa dove prendere i soldi», scrive Haspit.Moltissimi analisti, anche dalle colonne deiprincipali quotidiani americani, dal New YorkTimes al Washington Post, fanno notare chela linea di credito internazionale diNetanyahu è bloccata. Se molte volte in pas-sato, il premier, nonostante la violazione dellerisoluzioni delle Nazioni Unite, ha potutousare altre carte (la sicurezza dello Statoebraico e la violenza di Hamas), consentendoad Israele di ritirarsi dal negoziato per la pace, oggi non puòpiù permetterselo. Non dopo aver spudoratamente negato lalegittimità dell’esistenza di uno Stato palestinese.«Anche al livello personale è insolvente – scrive Al Monitor –Dovrebbe completamente reinventare se stesso. E non è sicu-ro che sia in grado di farlo. Sta esaminando delle soluzioni di

Prospettive post-elettorali in Israele

«Figure di spicco dellacomunità pro israelianaa Washington stannofacendo ripetuti appelliad Obama affinché lasua amministrazioneabbassi i toni».

Manifestantipalestinesi aRamallah, inCisgiordania.

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ Posta dei missionari

mozione dei diritti umani attraverso ilCentro di Difesa Dom Oscar Romero,per un’economia solidale con la Coope-rativa di riciclaggio e nella Pastoraledei Minori con la fondazione del ProgettoLegal.

Carissimo centurione romano,ci hai proprio messo nei “guai”. Potevistartene zitto e compiere il tuo doverecome tutti i tuoi commilitoni. Un “buonsoldato” obbedisce agli ordini senza met-terli in discussione. Avevi soltanto l’in-combenza di garantire l’esecuzione dellapena, senza lasciarti coinvolgere nellevicende dell’imputato. Su esempio deituoi compagni avevi il compito di renderela scena più crudele con attacchi di

Lettera al centurione romano

Lettera al centurione romano

ferocia per scoraggiare comportamentianaloghi a quelli del condannato. Il re-gime che tu servivi non ammetteva so-billatori. La parola d’ordine era repressionesenza compassione.Ma non hai resistito. Hai dato spazio aituoi sentimenti. L’espressione del propriopunto di vista - soprattutto per appog-giare chi, come Gesù, mette in discussioneil sistema politico, economico e religiosoa servizio della cultura della morte - èconsiderato un grave delitto nei regimitotalitari. Posizioni come la tua nonsono ammesse da parte dei militari. Hairischiato la corte marziale e il “plotonedi esecuzione”. Eppure hai rotto il silenziodell’obbedienza cieca e hai voluto direla tua. Peggio ancora: ti sei messo a »

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

Padre Saverio Paolillo, missionariocomboniano originario di Barletta,in Brasile da oltre 20 anni, opera

oggi a Santa Rita nello Stato della Pa-raiba. Ci scrive una lettera singolare,che volentieri pubblichiamo per i suoispunti di riflessione, la forza espressiva,l’originalità. In questo tempo liturgicodi Pasqua, infatti, risuonano ancora leparole del centurione romano pronun-ciate ai piedi della Croce, al momentodella morte di Gesù: «Veramente que-st’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Èproprio immaginando di parlare con ilsoldato romano che padre Paolillo scrivequesta singolare missiva, per compren-dere cosa significa essere cristiani oggi,davanti ai tanti crocifissi della Terra:poveri che incontra ogni giorno nelquartiere della città brasiliana doveabita, impegnandosi nella difesa e pro-

identità di Gesù e la sua maniera tuttaoriginale di fare il Messia.Stanco di coloro che lo imprigionanonei loro concetti e parlano di Lui conaria da professore, Dio ha scelto un“laico” come te per farsi conoscere. Stufodi quei ministri di culto che lo rendonoinaccessibile con l’imposizione di unalunga sfilza di regole e rituali da adem-piere rigorosamente, Dio ha voluto chefossi proprio tu, un pagano, “uno difuori”, a testimoniare la verità su di Luie il suo amore misericordioso. Avvezzoad ogni forma di potere, servo sofferente,allergico alle armi e accanito difensoredella pace, Dio ha scelto un militare,che di potere, armi e difesa dell’orgoglionazionale se ne intende, per presentarloal mondo come il Dio fragile, disarmato,servo e solidale con gli ultimi. Scaccomatto anche ai suoi amici: a Giuda chelo tradisce, a Pietro che lo rinnega e agli

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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accettato la sfida di credere in Dio?Quella tua sentenza, buttata lì, tra insultie improperi, costituisce il capolinea dellanostra ricerca. Non so se te ne sei resoconto fino in fondo, ma hai dettatol’ultimo capitolo dei nostri trattati diteologia. A partire dalle tue parole, ognitentativo di dare un volto a Dio puòavere solo questo epilogo.Dio è lì, appeso ad una Croce. Chi vuoleconoscerlo non ha scampo: deve inerpi-carsi sui sentieri del monte Calvario, fer-marsi sotto l’ombra della Croce e fissarelo sguardo sul Crocifisso. Il vero volto diDio e, di conseguenza, il vero volto del-l’uomo, creato a sua immagine e somi-glianza, è proprio quello dell’Uomo deidolori inchiodato sulla Croce.È toccato proprio a te svelare il “segretomessianico” di cui tanto ci ha parlatoMarco nel suo Vangelo. A te è statodato il privilegio di rivelare la vera

fare il teologo, proprio tu, un uomorude, un pagano che di Dio non ne in-tendeva proprio niente.Abituato come eri ai fastosi culti all’im-peratore e all’adorazione di divinità po-tenti, da dove hai tirato fuori che quel-l’uomo finito, condannato a morte peraver bestemmiato, è addirittura il Figliodi Dio? Come hai fatto a scorgere inquella scena di assoluto fallimento larivelazione dell’Assoluto? Che cosa haivisto per arrivare a credere che quell’in-dividuo che fa la fine di un malfattoredella peggiore specie, appeso nudo alpiù vergognoso strumento di tortura, èDio in persona?Sai cosa hai combinato a noi che abbiamo

Sopra:

Rappresentanti del Progetto LegalSanta Rita, sostenuto da padre

Paolillo, a Piazza San Pietro

Posta dei missionari

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sofferenza, nel patimento dei più poveri,nei volti sfigurati delle vittime di tutti itempi.Alla luce del Golgota e di ciò che haivisto, oggi sappiamo che essere discepolidi Gesù è lasciarsi rigenerare dall’amoreche sgorga dalle sue piaghe, farsi caricodella croce dei poveri e lottare per estir-parla perché il Figlio di Dio è venuto inmezzo a noi ed è morto sulla croceperché tutti abbiano la vita in abbon-danza. Essere cristiani vuol dire starecon Dio, amare come Lui ama e schierarsidalla parte degli oppressi.Grazie per la tua testimonianza. Intercediper noi, perché fissando gli occhi sulCrocifisso e sui crocifissi sparsi per ilmondo possiamo riconoscerci nella suamaniera di essere, di amare e di servire.

Padre Saverio Paolillo

Santa Rita, Stato della Paraiba (Brasile)

insomma, ti ha sorpreso e disarmatocon il suo sguardo misericordioso e tu tisei arreso a Lui.Grazie alla tua testimonianza, ora sap-piamo che Dio ama veramente, che ècapace di tutto per salvarci, che non losi trova solo nella bellezza, nella meravigliedella creazione, nella sontuosità deinostri templi, nella ricchezza delle nostreliturgie. Lo si trova soprattutto nella

altri che lo abbandonano dandosi allafuga. Deludendo le loro attese, la loromania di grandezza, la ricerca ossessivadel potere e la voglia matta di fare car-riera, Dio sceglie proprio te, un “nemico”,per mostrare che non è venuto per spa-droneggiare, ma per servire e dare lavita.Di crocifissioni devi averne viste tante.Chissà quante volte sei stato chiamatoper scortare fino al patibolo malfattoricondannati alla pena capitale. Eppurequesta crocifissione ti è sembrata diversa.Uno così non lo hai mai visto. Una spada,molto più affilata di quella che ha squar-ciato il fianco di Gesù, ha trafitto la tuacorazza e ha toccato il tuo cuore.Invece della solita raccapricciante scenadi un’esecuzione capitale, stavolta haivisto un innocente morire invocando ilperdono di Dio su tutti coloro che glifacevano del male. Con i tuoi stessiocchi hai visto nel Crocifisso un amorecosì “folle” da essere umanamente im-possibile. Restare sulla croce fino infondo e morire per amore non sono at-teggiamenti a misura umana. Solo Dio è

capace di “rischiare la sua pelle” per sal-vare la nostra. Solo Dio e soltanto coloroche si ispirano a Lui sono capaci di “met-tersi in gioco” e di “correre rischi” peramare così, fino alle ultime conseguenze.È questo amore rivolto anche a te, cheti ha fatto letteralmente girare la testae ti ha fatto capire con il cuore quelloche gli occhi non riuscivano a vedere.Sulla Croce hai visto un Dio impotente,“scartato”, maltrattato cometutti coloro che ancora oggisono “scartati” dal sistema so-cio-economico-religioso. Haivisto un Dio che dice ai crocifissidi ogni tempo che conosce leloro sofferenze per averle sentitesulla sua stessa pelle, condividefino all’estremo il loro destinoe resta accanto a loro fino algiorno in cui riusciranno a con-quistare la pienezza della vita.Nel Crocifisso hai avuto unainequivocabile prova della so-lidarietà di Dio. La croce ti èapparsa come la certificazionedi qualità del suo amore. Dio, Padre Saverio Paolillo

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ad incontrare l’eroe volante. Partono, senzapassaporto, con loro asino chiamato Mi-chael Jackson per un viaggio accidentato(secondo loro lungo solo «un paio di giornidi cammino»), divertente e pieno di ironia.Presentato al Giffoni Film Festival del 2013e premiato lo scorso anno al Festival in-ternazionale del film per ragazzi di Montreal,“Bekas, in viaggio per la felicità”, opera

prima del regista curdo–svedeseKarzan Kader, è un piccolo capo-lavoro cinematografico (realizzatograzie ad una coproduzione checoinvolge Svezia, Finlandia e Iraq)riservato purtroppo ad un pubblicodi nicchia. Poco importa se per ve-dere questa pellicola bisogneràscrutare la mappa di piccoli cine-forum. Per chi è stufo degli effettidella videografica, degli eroi supe-rumani, del linguaggio volgare, dellaviolenza e di tutto quello che – pur-troppo - “fa cassetta”, il film di Ka-der è una boccata di riflessione edi tenerezza che fa bene non soloai bambini a cui l’opera è destinata,ma agli adulti che - si presume - liaccompagnano al cinema. Il “sognoamericano” di Dana e Zana, rispet-tivamente dieci e sette anni, rifletteil vissuto del regista Kader, oggipoco più che trentenne, fuggito dalKurdistan iracheno a otto anni conla famiglia a Stoccolma, in Svezia,dove ha studiato all’Accademia di

arte drammatica. Canottiere consunte ecalzoni corti, i due protagonisti del filmsono costretti a lavorare duro per guada-gnarsi una crosta di pane, cercando di af-ferrare qualche briciola di luce che il destinoconcede loro. A cominciare dalle avventuredi Superman intraviste dal tetto del cinemalocale che infiammano la loro fantasia. Idue fratellini non hanno più niente da per-dere e decidono di partire per l’America echiedere direttamente al super eroe di re-golare i conti con Saddam Hussein. I fo-togrammi ci regalano immagini cariche ditenerezza e di luce del viaggio verso la li-bertà e il riscatto. Li guida la fantasia del-l’infanzia, capace di sopravvivere ai traumipiù duri come una forza che corre verso

N el Kurdistan iracheno, Dana e Zanasono due fratelli, due bekas, orfani

cioè dei genitori, vittime della guerra delGolfo e del regime di Saddam Hussein.Corre l’anno 1990, la vita è dura ma le ri-sorse dell’infanzia sono infinite. Così ungiorno i ragazzini scoprono Superman inun cinema della loro città e decidono dilasciare l’Iraq per andare negli Stati Uniti

BEKAS

Superman e il sogno della felicità

Superman e il sogno della felicità

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zione che si produce nel preciso istantein cui il pericolo e la paura scompaiono.È un momento di libertà. Amare questimomenti di libertà, e credere in essi, èciò che mi ha fatto diventare la personache sono oggi». Forse il fratello minorenel film, Zana, è proprio una sua proiezione:«Sì, ero ingenuo come lui. Zana vede Su-perman e crede che sia una persona reale.Anch’io vidi Rambo e pensai che fossereale. È successo durante la guerra e laprima cosa che pensai fu: “Quest’uomocombatte da solo contro un esercito. Neabbiamo bisogno qui, abbiamo bisognoche ci aiuti. Perché non viene Rambo arovesciare Saddam?”. Volevo mostrargli

la sofferenza del mio popolo perchévenisse ad aiutarci». Anche se il Kur-distan è così lontano da Stoccolmadove vive Kader, il popolo curdo nonpuò dimenticare le sofferenze di unconflitto che ha segnato tante gene-razioni. È il giovane regista a sottoli-nearlo: «Il Kurdistan è in guerra datalmente tanto tempo, che la guerraè diventata la normalità. Voglio cheattraverso questa storia, il popolo cur-do parli al resto del mondo». Anchegrazie alla commovente avventura diDana e Zana alla ricerca dell’eroe deicieli, di quel Peter Pan cresciuto chebeve Coca Cola e ascolta la musicarock.

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

un futuro migliore, forse felice come quellodi una favola.Kader scava nella sua memoria e ritrovail fanciullino pascoliano che si incanta difronte ad ogni novità. Ritrova i suoi ottoanni e la ferita dell’abbandono della suaterra diventa una favola, una commediadivertente e piena di tenerezza. Dichiarainfatti: «Credo di aver avuto sempre duevoci. Una è forte, drammatica e profonda,l’altra cerca di superare le avversità conl’umorismo. Cerco sempre di trovare ilpunto di equilibrio tra i due. Quando eropiccolo, anche il tragitto da casa a scuolapoteva essere pericoloso. Eravamo spa-ventati dai soldati. Eppure, amo la sensa-

Festival delCinema del Sud del mondo

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Il regista mauritano AbderrahmaneSissako, autore del pluripremiatoTimbuctu, presiede la giuria della25esima edizione del Festival delCinema Africano, d’Asia e AmericaLatina - l’unico festival in Italiainteramente dedicato alla cono-scenza delle cinematografie e del-le culture dell’Africa, dell’Asia edell’America Latina – che si tienea Milano dal 4 al 10 maggio2015. Il Festival del Cinema Afri-cano, d’Asia e America Latina,organizzato dal Centro Orienta-mento Educativo (Coe), prevedela proiezione di circa 60 titoli, se-lezionati tra più di 800 film visio-nati. I film in competizione con-corrono all’assegnazione di unmontepremi di circa 20mila euro.Alcuni premi paralleli sono desti-nati all’acquisizione dei diritti perla distribuzione di cortometraggiin Italia.

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H a compiuto 30 anni la lotta del Movi-mento dei lavoratori rurali senza terra

(Mst), nato ufficialmente nel 1984 ma giàincubato, in Brasile, da quando si sonoformati i grandi latifondi che hanno spo-gliato della terra i contadini. Il libro “Lalunga marcia dei senza terra” è un’impor-tante opera di ricostruzione storica, scrittaa tre mani da Claudia Fanti, Serena Ro-magnoli e Marinella Correggia, giornaliste,traduttrici e media attiviste che hanno ri-costruito tutte le fasi storiche della nascitadel Movimento, la sue prime lotte e affer-mazioni, il suo sviluppo, il suo consolidarsiin struttura e il suo rapporto con la politicainterna ed estera.Nel libro le tematiche ecologiche e agrariesi intrecciano alle innovative elaborazionisociali del Movimento, ma la storia che visi narra è anche una via utilissima per im-mergersi nelle contraddizioni del Brasilecontemporaneo, soprattutto nel rapporto,

LIB

RI Senza terra, senza diritti

portatore di delusioni, del Mst col governoLula, prima, e poi con quello Rousseff.L’attesa riforma agraria arriva in formetroppo attutite e a trionfare sono sopratuttole politiche dell’agrobusiness, con le loromonoculture e lo sfruttamento incondizio-nato della terra. Con ricchezza di docu-menti si ripercorre l’epopea della occu-pazione di alcune proprietà, il rapporto fralavoratori della città e delle campagne, ladrammatica repressione attuata dai militario dai killer ingaggiati per fermare il movi-mento contadino.Tra il 1985 e il 2004sono stati assassinati 1.379 lavoratori elavoratrici, ma i sicari portati a processosono stati solo 75. Il movimento, però,

frase che Leone fa dire ad uno dei suo personaggi è la chiavedel suo romanzo: «Io e te siamo musulmani per convenienza,corrotti per scelta, scaltri per divertimento, potenti per voca-zione, Nihad… perché tu non sei migliore di me, ma rassegnati,sei il servo perfetto per il perfetto padrone». I “bastardi” di cuiparla Leone non sono solamente coloro che prevaricano glialtri, ma anche coloro che non hanno avuto il coraggio di pren-dere una decisione e reagire.Il testo di Luca Leone ha la prefazione di Riccardo Noury chesottolinea come «non è un giallo quello di Leone. Il colore do-minante è il nero: non solo come genere letterario noir, quantocome colore dell’umore del presente e prospettiva del futuro.La Sarajevo che Leone descrive è una Sarajevo ancora sottoassedio». E nell’introduzione di Silvio Ziliotto si evince un bar-lume di speranza: «Al termine della lettura di questo libro, restaancora uno spiraglio di luce per la disgraziata umanità bosniacache, comunque, continua a resistere».

Martina Luise

Botta e risposta secchi e duri, che evi-denziano la desolazione di un Paese,

la Bosnia Erzegovina, che, seppure uscitodalla guerra, non se ne è affatto liberato.Così si presenta “I bastardi di Sarajevo”di Luca Leone (Edizioni Infinito). Un librocorposo sia per la scrittura che lo con-traddistingue, che per gli argomenti trattati.Già dal titolo si intuisce la crudezza deltema e il sottotitolo ferma l’attenzione sullanera realtà di quella società: «Una città in

balia della corruzione, un Paese senza speranza di futuro, il fan-tasma del passato che torna dall’Italia».Il racconto mette in luce la crudeltà dei carnefici e il silenziodolente delle vittime, per lo più donne violate e annientate; igiovani infuocati dal fuoco rivoluzionario; un terribile turismosanguinario e biecamente atroce e anche la ricerca di unaqualche “redenzione” degli spettatori passivi della guerra. Una

Luca Leone

I BASTARDI DI SARAJEVOEdizioni Infinito - € 13,00

non si ferma: 80mila famiglie riescono atornare alla terra e si accampano nei lati-fondi non utilizzati. L’Mst riceve anchel’essenziale appoggio di par te dellaChiesa, di parroci e vescovi che vedononelle sue rivendicazioni un progetto di ci-viltà per il Brasile e il Sud America.

Marco Benedettelli

Claudia Fanti, Serena Romagnoli,Marinella CorreggiaLA LUNGA MARCIA DEI SENZATERRA. DAL BRASILE AL MONDO.Edizioni Emi - € 17,00

Il ritratto nero della Bosnia

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Nel music business lo definivano lo“zulu bianco”. Erano i tardi anni Ottanta

e il suo nome era ormai accostato a quellodelle nuove stelle della world music: unodei fiori all’occhiello di un rinascimentosonoro che dalle periferie del mondo an-dava conquistando l’Occidente, speziandod’aromi multietnici le esuberanze del pop

rock.Johnny era all’apogeo di una carriera ma-turata senza fretta, alla guida di dueband – i Julukaprima e i Savu-ka poi – com-poste da musi-cisti neri: unamezza rivoluzio-ne in un Sudafri-ca dove Mandelaera ancora in car-cere e l’apartheid

pienamente in vi-gore (al punto cheanche questo tipodi commistioni ar-tistiche erano espli-citamente vietate). Ma Johnny non si feceintimorire, anzi, continuò ad usare le suecanzoni per esportare nel mondo l’im-magine di un Sudafrica ormai proiettatoverso un futuro diverso. Brani poetici, matracimanti di riferimenti politici e pacifisti,quasi l’adattamento post-moderno di quelle

essere una rockstar.Ed infatti da lì a qual-che anno, pur con-tinuando a fare di-schi e tournée ingiro per il mondo(sovente impegnatoin prima persona inmolte iniziative uma-nitarie) la sua popo-larità tornò se non nelle nicchie, in ambitidecisamente più circoscritti. Poco a pocoClegg sparì dalle playlist radiofoniche, isuoi dischi divennero sempre meno re-peribili e il suo nome sempre più snobbatodallo show business. Ovviamente Cleggnon si scompose e continuò la sua carrieracon l’onestà, il rigore e l’entusiasmo disempre. Il suo ultimo album ufficiale, Hu-

man, risale al 2010, ma il suo sito ufficialeriporta come ultima tournée, quella rea-lizzata in Francia l’estate scorsa. Johnnynon molla insomma, e le sue canzonicontinuano a risplendere irradiando il lorocarico d’umanità e di speranza. E se èvero che questa è l’ultima a morire, alloranon è difficile immaginare che anche lasua avventura discografica saprà offrircipresto nuovi capitoli. Lo auguriamo a tuttinoi, non meno che a lui.

Franz Coriasco

[email protected]

Che fine ha fatto

JOHNNY CLEGG?Che fine ha fatto

JOHNNY CLEGG?

che, qualche decennio prima, avevanotrasformato Miriam Makeba nella più au-torevole ambasciatrice di quei tempi nuoviche il suo popolo aspettava da secoli.All’arrivo degli anni Novanta, Mandelavenne liberato, vinse il Nobel (insieme albianco De Clerk) e con le prime elezionia suffragio universale divenne il nuovoleader del Paese. Nel frattempo ancheJohnny aveva fatto parecchia strada; in

particolare il suo albumCrazy Cruel Beautifull

World lo aveva trasfor-mato in una popstar

planetaria: ritmi solarie coloratissimi, testicapaci di scavaresenza retorica tra idolori e le ansie dirinnovamento dellasua gente; suonicaldi, atmosferegioiose e contagio-se, l’irresistibile fa-scino della madre

Africa a fare da collante. Ricordo che peril Giubileo del 2000 andai a casa sua, aJohannesburg: c’era da organizzare perRai Uno una sua performance davantialla chiesetta di Soweeto (lo storico ghet-to-baraccopoli dal quale prese il via la ri-volta decisiva). Lo ricordo troppo allamano ed affabile, troppo “normale” per

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È un lungo cammino fatto di reci-proco ascolto, rispetto e amici-zia quello che ho condiviso, in

tutti questi anni, con il carissimo donAntero. Ho conosciuto monsignor An-tero Alunni Gradini a partire dallescuole medie, poiché frequentavo l’Isti-tuto Carducci dove lui era insegnantedi religione. Mi ha subito coinvolto, pri-ma in un pellegrinaggio a Lourdes, a cuiho partecipato anche con i miei geni-tori, e poi invitandomi all’Ufficio mis-

sionario e ai Convegni proposti dallePontificie Opere Missionarie (POM).Così mi si è aperto di fronte un mon-do: per ogni giovane la realtà missio-naria è una splendida opportunità dicrescita personale e spirituale e il Mo-vimento Giovanile Missionario (oggiMissio Giovani, ndr), a cui ho subito par-tecipato con altri amici ed amiche pe-rugini e non, ci ha donato tanti stimo-li e ci ha fatto crescere più profonda-mente nell’esperienza di fede e nel ser-vizio alla missione universale.Don Antero era sempre pronto a farcipartecipare alle iniziative proposte dal-le POM e ci guidava con pazienza ed

impegno anche nelle attività di anima-zione, a partire dall’Ottobre missiona-rio fino alle varie iniziative sia di pre-ghiera che di formazione, dal lavoro coni ragazzi fino alla raccolta di offerte alcimitero monumentale di Perugia, es-sendo il rettore della chiesa in Monte-roni.Dal Movimento Giovanile Missionariosono sorti tanti frutti: due vocazioni allavita consacrata e varie a quella matri-moniale, e sempre in comunione tra noie con don Antero abbiamo cercato -ognuno secondo le proprie possibilità- di continuare a svolgere il servizio dianimazione parrocchiale.Don Antero - in qualità di delegato re-gionale delle POM - mi ha sostenuto ecoinvolto dandomi la responsabilitàcome delegata, prima diocesana e poi

In ricordo di monsignor Alunni Gradini

VITA DI MISSIO

Un inimitabileUn inimitabilemissionario

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di ANNA MARIAFEDERICO

[email protected]

Vademecum del Centro missionario diocesano

regionale, delle Pontificie Opere Missio-narie. In tutti questi anni ci siamo sem-pre confrontati e impegnati nella va-rie iniziative da portare avanti con il re-ciproco desiderio di trasmettere l’ansiamissionaria che avevamo ricevuto indono.Un’altra iniziativa che don Antero hasempre sentito come un importantis-simo servizio per la Chiesa del mondoè l’Opera apostolica: questa attività hacoinvolto varie animatrici delle parroc-chie nella preparazione di paramenti sa-cri e nell’acquisto di oggetti liturgici dainviare in missione. Insieme a lui per varianni ho visitato ogni terza domenica diottobre, in occasione della GiornataMissionaria Mondiale, le esposizioni del“Corredo del missionario” che veniva-no fatte in molte parrocchie della cit-

tà e dei vari paesi limitrofi.Anche la splendida chiesetta del Collan-done in Corso Vannucci a Perugia è sta-to un punto di riferimento per l’attivi-tà missionaria di questi anni: sempre cu-rata amorevolmente da don Antero,questa cappella non solo vedeva la ce-lebrazione delle messe missionarie, maanche le esposizioni del “Corredo delmissionario” (donato dalle diverse par-rocchie della diocesi) e di vari merca-tini missionari di beneficenza.Proprio in questa chiesetta, come an-che nella sua parrocchia di Casaglia, noiamici del Centro missionario abbiamofesteggiato i suoi 90 anni.Insomma, nel lungo cammino di que-sti quasi 40 anni di amicizia, la figuraunica ed irripetibile del nostro carissi-mo don Antero ci ha insegnato a far sì

che la missione continui ad essere vivanella nostra realtà locale. E lui, anchese negli ultimi tre anni aveva lasciatol’incarico di delegato regionale di Mis-sio, aveva sempre nel cuore e nella men-te quell’ansia missionaria che porta a vi-vere l’animazione come una esigenza divita.Il fuoco della missione che i sacerdoti,i consacrati e noi laici abbiamo ricevu-to in dono dal Signore e che don An-tero ci ha sempre invitato ad alimen-tare, non può né deve estinguersi, madeve rafforzarsi anche in ricordo di uninimitabile missionario come il nostrocaro direttore.

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Una vita per le POM

Dopo un periodo di malattia, loscorso 28 febbraio, all’età di

91 anni, si è spento monsignor An-tero Alunni Gradini, sacerdotediocesano di Perugia-Città dellaPieve, membro “esperto” del Con-siglio missionario nazionale, pertanti anni direttore diocesanodelle Pontificie Opere Missionariee segretario della Commissionemissionaria regionale dell’Umbria.Animato da una inestinguibileansia missionaria, ha speso lasua vita in un’appassionata einfaticabile opera pastorale dianimazione a sostegno dellamissione della Chiesa cattolicain tutto il mondo.Nato il 20 dicembre 1923,ricevette l’ordinazione sacerdo-tale il 29 giugno 1948 nella cat-tedrale di San Lorenzo. La stes-sa chiesa dove il 3 marzo scorsoil cardinale Gualtiero Bassetti,arcivescovo di Perugia-Città dellaPieve, ha presieduto le esequie.

La cattedrale diSan Lorenzo aPerugia dove sisono svolte leesequie dimonsignor AnteroAlunni Gradini.

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di ELEONORA [email protected]

VITA DI MISSIO

S i è svolto dal 27 febbraio all’1marzo scorsi, presso il Cum diVerona, l’ormai tradizionale ap-

puntamento degli incaricati diocesa-ni di Missio Ragazzi. Il tema dell’incon-tro - “Povero è chi non ha diritto adavere diritti” - è stato ispirato dalle ri-

A convegno per capire la povertà

Incaricati diocesani di Missio Ragazzi

to, di cui l’esempio calzante nella sto-ria della Chiesa, dopo Gesù, è France-sco d’Assisi.La seconda giornata dell’incontro èstata più esperienziale. Il mattino è sta-to caratterizzato dalla testimonianzaviva di ragazzi veramente missionari:Giulia, della diocesi di Treviso, nata inSierra Leone e cresciuta in Camerun coni suoi genitori missionari; Deddy, delladiocesi di Bujumbura, arrivato in Italiaper motivi di salute; Emma, Adele, Ma-rio e Alessandra, missionari insieme ailoro genitori in Brasile. Si è trattato diun momento di vera testimonianza delfatto che l’esperienza missionaria hacreato in questi ragazzi uno spiritoaperto al mondo, condiviso ogni gior-no nelle relazioni con gli amici, a scuo-la, in parrocchia, nello sport… insommaveri e propri ragazzi missionari!Attraverso la realizzazione di laborato-ri pratici, poi, abbiamo approfondito trediritti fondamentali: alimentazione,istruzione, salute. Un modo per mette-re in evidenza le disparità sociali tra ilNord e il Sud del mondo.Al termine dei lavori il direttore di Mis-sio, don Michele Autuoro, ha invitato iconvegnisti a continuare a lavorare in-sieme, nelle diocesi, nelle parrocchie ein rete a livello nazionale, mettendosempre i ragazzi al centro, rendendoliprotagonisti della missione.

flessioni del Convegno missionarionazionale di Sacrofano e dalla scelta,per il prossimo anno pastorale, di trat-tare proprio la tematica della povertà.Ci siamo allora chiesti quale fosse lastrada migliore per spiegare a bambi-ni e ragazzi cosa voglia dire essere po-veri nelle diverse accezioni del termi-ne e ci siamo resi conto che il canaleprincipale da seguire è proprio quello

dei diritti umani.La relazione ini-ziale - affidata aMatteo Mennini,giovane romano,storico, ricercato-re, impegnato nelcampo della coo-perazione attra-verso onlus che sioccupano dei di-ritti dell’infanzia- è stata un viag-gio nella storia deidiritti umani, dal-la prevaricazionedel potere umanosulla vita natura-le, fino a giunge-re alla riflessioneche se è poverochi non ha il dirit-to di avere diritti,per scelta diventapovero chi nonvuole avere il di-ritto di avere dirit-

Nel momento della sua Ascensione, Gesù disse ai di-scepoli: «Andate in tutto il mondo e annunciate ilVangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Questo è il cuo-

re della missione e con Missio Giovani si è scelto di rea-lizzare la LectiOnline proprio per rimettere al centro, qua-lora ce ne fosse bisogno, la Sua Parola. Papa Francesco haaffermato: «L’evangelizzazione richiede la familiarità conla Parola di Dio… uno studio serio e perseverante dellaBibbia… la lettura orante personale e comunitaria» (Evan-gelii Gaudium). Abbiamo pensato che per annunciare Cri-sto, occorre avere con Lui un rapporto intimo in prima per-sona; avere un dialogo, ascoltarlo e di conseguenza per-mettere alla Sua Parola di entrare nella nostra vita, nella no-stra quotidianità. È venuto immediato pensare alla LectioDivina come strumento di crescita personale in rapportoalla Scrittura: la Lectio è un modo di leggere la Parola cherisale ai primi tempi del cristianesimo. Ai nostri giorni sonomolti gli individui e i gruppi che la stanno riscoprendo. LaParola di Dio è viva e operante, e trasformerà ciascuno dinoi se ci apriremo a ricevereciò che Dio vuole darci.Lectionline si struttura in diver-si passaggi che portano ad unascolto molto intimo di quan-to Dio ci vuole dire: non sitratta di leggere al volo unbrano della Bibbia, bensì diapprofondirlo, meditarlo efarlo proprio a tal punto da

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PERCHÉ LALECTIONLINEPERCHÉ LALECTIONLINE

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metterlo in atto. Lectio, Scrutatio, Meditatio e Actio sulVangelo della domenica sono, appunto, gli step sui qua-li vogliamo soffermarci nella Newsletter fornendo ogni set-timana degli spunti per un momento di spiritualità da vi-vere da soli o in gruppo.Lectio: la lettura del Vangelo. Scrutatio: la rilettura più pro-fonda del Vangelo andando a confrontare i versetti congli altri riferimenti della Bibbia che approfondiscono quan-

to si legge, fornen-do una visione an-cora più ampia edettagliata del brano(fonte: Bibbia di Ge-rusalemme). Medi-tatio: la condivisio-ne di come a noi haparlato il Vangelo.Per questo passaggioci avvaliamo dellepreziose omelie di

don Alberto Brignoli, sempre acuto nel dare spunti di ri-flessione e nel testimoniarci quanto attuale sia la Sua Pa-rola. Actio: gli spunti concreti su come mettere in prati-ca nella propria e con la propria vita il Vangelo scrutato.Ci auguriamo che questo invio settimanale possa essereuno strumento per aiutare a prepararsi alla liturgia dome-nicale vivendola così in modo più pieno.

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PER AIUTARE I MISSIONARI E LE CHIESEDEL SUD DEL MONDO ATTRAVERSO LE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE:- Bonifico bancario sul c/c n. 115511

intestato alla Fondazione Missio pressoBanca Etica (IBAN: IT 55 I 05018 03200 000000115511)

- Conto Corrente Postale n. 63062855intestato a Missio - Pontificie OpereMissionarie, via Aurelia 796 – 00165 Roma

(informazioni: [email protected] –06/66502620)

Sono l’organismo ufficiale della Chiesa cattolica per aiutare le missioni e le Chiese del Sud delmondo nell’annuncio del Vangelo e nella testimonianza di carità. Approvate e fatte proprie dallaSanta Sede nel 1922, sono presenti in 132 Paesi. In Italia operano nell’ambito della FondazioneMissio, organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana.Attraverso un fondo di solidarietà costituito dalle offerte dei fedeli di tutto il mondo provvedono a:• finanziare gli studi e la formazione di seminaristi, novizi, novizie e catechisti;• costruire e mantenere luoghi di culto, seminari, monasteri e strutture parrocchiali per le attività

pastorali;• promuovere l’assistenza sanitaria, l’educazione scolastica e la formazione cristiana di bambini e

ragazzi;• sostenere i mass-media cattolici locali (tv, radio, stampa, ecc.);• fornire mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche).

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

GRAZIE AMICIGRAZIE AMICISolidarietà delle Pontificie Opere Missionarie

VITA DI MISSIO

CHI FA UN’OFFERTA PER LA MISSIONE UNIVERSALE ATTRAVERSO LE

PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE ITALIANE CONTRIBUISCE ALLA

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE CHE ARRIVA FINO AGLI ESTREMI CONFINI

DELLA TERRA. GRAZIE ALLA GENEROSITÀ DI CHI DONA, OGNI ANNO

VENGONO REALIZZATI PROGETTI DI DISPENSARI, ASILI, SCUOLE, SEMINARI,

CHIESE IN TUTTI I PAESI DEL SUD DEL MONDO. BASTA APRIRE L’ATLANTE

DELLA MISSIONE PER SCOPRIRE DOVE UOMINI, DONNE E BAMBINI DI TUTTE

LE RAZZE E LE CULTURE RICEVONO L’AIUTO CHE PARTE DALL’ITALIA.

colosa si prendonocura dei bambini ri-masti soli, dal cibo alvestiario, con parti-colare attenzionealla formazione ealla scuola, secon-do il carisma delloro Istituto che le vede missionarienelle comunità beninesi di Porto Novo,Affamè, Oulinda, Malanhoui e appuntoN’Dali. Qui le suore hanno aperto ancheun dispensario, si occupano della cura do-miciliare di disabili poveri o abbandona-ti, fanno scuola e curano la catechesi perla parrocchia. Scrive suor Benôite Adda,responsabile dell’orfanotrofio: «L’obiet-tivo che cerchiamo di raggiungere è quel-lo di vedere i nostri bambini sbocciare,in modo che possano avere le stesse pos-sibilità di riuscita nella vita di altri loro

BENINGli orfani di N’Dali

L’orfanotrofio Sainte Elisabette Se-ton è stato aperto nel 2008 dal-le suore di Maria della Medaglia

Miracolosa nella diocesi di N’Dali nel Norddel Benin, per rispondere ai bisogni delterritorio. Ospita infatti oltre 40 bambi-ni dai quattro ai 14 anni rimasti soli perla perdita della mamma: nel Paese cheoccupa il 163esimo posto su 177 nell’in-dice di sviluppo umano delle Nazioni uni-te, la mortalità femminile post partumè tra le più alte al mondo, sia per il dif-ficile accesso alle poche strutture sani-tarie, sia per il permanere di mentalità ar-caiche che vogliono che la futura mam-ma non venga visitata durante la gravi-danza. Ai neonati pensano le nonne,quando è possibile, poiché i padri si ri-sposano e spesso abbandonano il picco-lo al suo destino.Le suore di Maria della Medaglia Mira-

coetanei più fortunati. Se non possiamotenere con noi un numero maggiore dibambini, è per la mancanza di mezzi ne-cessari al loro sostentamento». Grazie alsussidio di circa 10mila euro, ricevuto dal-la Pontificia Opera della Santa Infanziainternazionale, si può guardare con piùserenità al futuro. E suor Benôite, dal Be-nin, ringrazia tutti gli amici che permet-tono ai bambini di sperare in un avveni-re migliore.

Miela Fagiolo D’Attilia

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di MARIO [email protected]

zione e nel suo essere defilata rispet-to al protagonismo di Gesù e degliapostoli, riesce sempre a fare in modoche questi assumano le loro respon-sabilità.Come non ricordare il ruolo della Ma-dre durante le nozze di Cana, quan-do al banchetto nuziale dei giovanisposi, il vino comincia a scarseggiare?Maria con ferma dolcezza spingesuo Figlio a compiere il miracolo ditrasformare l’acqua in vino. Le rimo-stranze di Gesù - «lasciami in pace…non è giunta ancora la mia ora» - nonsono sufficienti a far cambiare idea a

sua Madre che, di frontealla figuraccia che avreb-bero potuto fare i duesposi, riesce a convinceresuo Figlio a rimettere lecose a posto. E’ il primomiracolo della sua vitapubblica.In molte Chiese dei cosid-detti Paesi del Sud delmondo, Maria è cono-sciuta come la “Madre deidolori”. In molte raffigu-razioni si vede un pu-gnale che le trafigge ilcuore, simbolo delle sof-ferenze preconizzate da

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S empre più i cristiani che vivo-no nei Paesi occidentali sento-no la secolarizzazione incom-

bere sulla vita politica e sociale. Lorostessi si sentono il più delle volte in-globati in questo modo di vivere che,mettendo positivamente l’accentosugli aspetti materiali della vita, por-ta in sé la tentazione di dimenticarela bellezza del rapporto con la trascen-denza, con il Cielo, in una parola, conDio. In questo caso Maria può aiu-tare proprio perché, nella sua discre-

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Il coraggio dellaMadre “ “PERCHÉ

L’INTERCESSIONE DIMARIA AIUTI ICRISTIANI CHEVIVONO IN CONTESTISECOLARIZZATI ARENDERSIDISPONIBILI PERANNUNCIARE GESÙ.

Simeone e che ha patito sul Calvarioai piedi della Croce. Nei Paesi seco-larizzati, sembra che i Santuari maria-ni siano soltanto meta di folle di pel-legrini assetati di devozionalismo;eppure, proprio in questi luoghi,possiamo constatare come coloroche decidono di testimoniare i valo-ri del Vangelo, hanno bisogno del sup-porto e dell’aiuto di Colei che non siè mai tirata indietro di fronte alle pro-ve della vita e che elargisce a pienemani il suo aiuto a coloro che ricor-rono a Lei. Nel nostro mondo più at-tento ai valori materiali che a quellispirituali, Maria è davvero la perso-na che può aiutare ciascuno di noi aessere un testimone credibile, propriolà dove ognuno si trova a vivere. Comei discepoli che nel Cenacolo, stringen-dosi attorno a Maria, liberatisi dallapaura, uscirono per le strade e le piaz-ze ad annunciare che Cristo era risor-to. Come allora, anche noi oggi dob-biamo avere il coraggio della testimo-nianza.

Intenzioni missionarie

A l World Social Forum di Tu-nisi - che è servito a porta-re alta la bandiera della

pace e a ribadire che la Tunisia è fuo-ri dai giochi destabilizzanti del ter-rorismo - i temi trattati sono statitanti. E tutti trasversali. Ma uno nel-lo specifico attende di essere rilan-ciato con grande enfasi: quello delwater grabbing. Dopo la lotta con-tro tutte le forme di accaparramen-to della terra in corso nel mondo,quella contro la manipolazione del-l’acqua vale la pena di essere ricor-data e rilanciata anche a distanza ditempo. A Tunisi è nata una vera epropria coalizione mondiale: i mag-giori movimenti contro i “grab-bing”, ossia i gruppi che si battonoaffinché la terra non sia svenduta esottratta alle comunità locali, chie-dono che anche l’acqua non sia sot-tratta al territorio e soprattutto chenon venga usata come motivo perfare la guerra.Il 25 marzo scorso si è tenuta a Tu-nisi la prima “Global Convergence”,ossia una convergenza globale, orga-nizzata dal Cospe con La Via Cam-pesina, Fian International, il Comi-

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C A M P A G N A “ C I B O P E R T U T T I ”

di ILARIA DE [email protected]

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tabile, la dimensione del watergrabbing è globale». E va dunque af-frontata in modo globale. Ancorauna volta l’input è venuto nel cor-so di un vertice dei movimenti so-ciali che ha avuto come protagoni-sta la città di Tunisi e anche questonon è un caso: le primavere socia-li vanno a braccetto.

tato italiano per un Con-tratto mondiale per l’Ac-qua, Grain e molti altri,per dire no a questa for-ma di sfruttamento. IlSocial Forum di Tunisi èstato il primo tentativo dicreare un network chenon sia solo virtuale: nonsi è mai visto uno sforzocollettivo così grande perriconoscere bisogni edesperienze comuni ed ini-ziare a farli contare sulpiano sociale e anche di-plomatico. Attorno al-l’acqua si muovono infat-ti troppi interessi. «Il wa-ter grabbing è implicato inuna serie di attività chetoccano l’energia, il cibo,i minerali e il clima – si legge in unbel report chiamato “The Global Wa-ter Grab” e pubblicato dall’Istitu-to transnazionale Giù le mani dal-l’Alleanza per la Terra – Dall’agri-coltura su larga scala ai progetti peril biofuel, alle industrie estrattive aiprogetti di hydropower, alla priva-tizzazione dei servizi per l’acqua po-

Coalizione mondiale contro il water grabbing

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tante porte ma, varcate quelle, siincontrano situazioni le più diversesotto il profilo della fede, della pra-tica religiosa, delle condizioni indi-viduali e familiari, delle aspettativee dei bisogni spirituali. Può capitaredi trovare accoglienza gioiosa, maanche timore d’invadenza o malce-lata insofferenza. Sì, perché oggi,finanche nei piccoli paesi, si puòtrovare tutto e il contrario di tuttodal punto di vista religioso, etico,etnico, culturale e sociale.La nota pastorale richiamata ag-giunge che per vivere lo spirito mis-sionario «occorre anche avere il co-raggio della novità che lo Spiritochiede oggi alle Chiese» (n.5). È loSpirito che può trasformare un ge-sto formale in qualcosa di assoluta-mente nuovo. Visitare le famiglieinfatti – fosse solo per un caffè –porta a conoscere come si vive nellecase, abitudini, solitudini, chiusure,povertà, benessere. La porta »

(Segue a pag. 65)

Missione casaper casa

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sempre volentieri queste richieste.Ma spesso più che alla spiritualità,mi sembrano rivolte al prete mu-nito di stola e acquasanta a mo’ diuna canzone che diceva: «Proviamoanche con Dio, non si sa mai».La nota pastorale della Cei su “Ilvolto missionario della parrocchia

in un mondo checambia” al n.5 rac-comanda di «valu-tare, valorizzare esviluppare le poten-zialità missionariegià presenti, anche sespesso in forma la-tente, nella pastoraleordinaria». E questoperché la svolta mis-

sionaria non considera la pastoraleordinaria come statica gestione del-l’esistente.Cerco così di fare dell’incontrodelle famiglie, casa per casa, l’occa-sione per vivere anche in mezzo auna religiosità tradizionale la di-mensione di “Chiesa in uscita” caraa papa Francesco. Suonare un cam-panello e rispondere: «Sono il par-roco» è una chiave che apre ancora

di GIUSEPPE [email protected]

La parola missione – in tuttele sue variabili – negli ultimi15 anni è divenuta ricorrente

nel linguaggio ecclesiale, parola-chiave di sfide e responsabilitànuove della Chiesa. Se è vero che«cristiani non si nasce, si diventa»(Tertulliano, Apologetico 18, 49) oc-corre infatti nondare per scontatoche si sappia chi èGesù Cristo, che siconosca il Vangelo,che si viva una va-lida esperienza difede. La concretavita parrocchiale di-mostra fin troppoabbondantementeche non esistono persone o situa-zioni indenni da questo rischio.Scrivo queste righe al ritorno da ungiorno dedicato alla “benedizionedelle case”, come tutti dalle mieparti ancora chiamano l’incontroannuale del sacerdote con e nelle fa-miglie. Per la verità, sono molte leoccasioni dove mi si chiede di “be-nedire” (persone, animali, oggetti,manifestazioni, ecc.). Accolgo quasi

È LO SPIRITO CHE PUÒ

TRASFORMARE UN GESTO

FORMALE INQUALCOSA DI

ASSOLUTAMENTENUOVO.

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teP O N T I F I C I A U N I O N E M I S S I O N A R I A

«L’ Anno della Vita Consacrata nonriguarda soltanto le persone con-

sacrate ma l’intera comunità cristiana, eil nostro desiderio è che costituisca unapropizia occasione di rinnovamento e diverifica per i singoli Istituti così come perle diverse realtà ecclesiali. Il segno cheavremo saputo cogliere la Grazia in essocontenuta sarà la crescita della comu-nione e della corresponsabilità nella mis-sione fino agli estremi confini dell’esi-stenza e della terra». Così leggiamo nelMessaggio che i nostri vescovi hannopubblicato in occasione della 19esimaGiornata mondiale della Vita Consacrata,il 2 febbraio scorso. Ma chi l’ha visto, chil’ha letto e preso sul serio?Se guardiamo al mondo ma anche allanostra Italia e ai programmi delle dioce-si, certamente troviamo iniziative edeventi previsti per questo anno “straor-

dinario”. Ma una tavola rotonda contestimonianze speciali o una celebrazio-ne in piazza riuscirà a incidere sull’ordi-narietà della vita pastorale delle nostrecomunità ecclesiali? Perché in questoAnno siamo chiamati a immaginare eavviare “cose che resistano nel tempo”,a promuovere e favorire cammini for-mativi e pastorali più condivisi tra sacer-doti, laici e comunità religiose per rifon-dare davvero la corresponsabilità nellamissione a 360 gradi, percorsi nuovi opiù solidi di accompagnamento voca-zionale dei giovani, scelte coraggioseche dicano con i fatti che la vita consa-crata e la Chiesa tutta sono in “uscitamissionaria”.Sin dall’annuncio dell’Anno della VitaConsacrata (29 novembre 2013), e inmodo inequivocabile nella LetteraApostolica a tutti i consacrati (21

novembre 2014), papa Francesco haespresso una precisa attesa: «Mi atten-do che “svegliate il mondo”, perché lanota che caratterizza la vita consacrataè la profezia». Ma quando e come la vitaconsacrata è profetica? Se è capace dirispondere con la buona notizia delVangelo alle domande inespresse e pro-fonde dell’uomo di oggi; se è capace diraggiungere le periferie esistenziali con illinguaggio della carità, diventandoautentica manifestazione della tenerezzae misericordia di Dio.«È la vostra vita che deve parlare – sot-tolinea il papa - una vita dalla quale tra-spare la gioia e la bellezza di vivere ilVangelo e di seguire Cristo».Il papa colpisce nel segno. Se la vitanon parla o parla in un linguaggioincomprensibile, non saranno certo idocumenti, le tavole rotonde, le intervi-

ANNO DELLA VITA CONSACRATA

TESTIMONIANZA PROFETICA

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presenta bene quella che papa Fran-cesco ha insegnato a chiamare “pe-riferia esistenziale”, dove sempreperò emerge il desiderio di Dio, delsuo perdono, di riconciliazione conse stessi e coi fratelli, di sentirsiuniti in un medesimo cammino,diretti ad una meta condivisa. IlGiubileo della Misericordia vissutodalle famiglie nelle loro case, anti-cipa ogni giorno quello straordina-rio proclamato da un papa venutoda lontano per ricordarci quantoDio ci è vicino.

blindata, qualche volta, è imma-gine del cuore. Le molte case disa-bitate sono denuncia di carenti po-litiche abitative. Entrare in casamostra dove e come crescono ibambini, il tempo dedicato loro daigenitori, il potere delle baby sitterselettroniche. Ci sono famiglie chesoffrono per il lavoro che non c’è eper quello sottopagato. Molti gio-vani che attendono di cominciare alavorare e vivono della pensione deinonni.Ognuna di queste circostanze rap-

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ste sui giornali, i siti o i blog a dire chisono i consacrati e che cosa esprimonoi diversi carismi.Per vivere questo tempo in modo profe-tico, è essenziale un costante eserciziodi discernimento comunitario, arricchitodal confronto con il popolo di Dio. «Miaspetto – scrive il papa - che ogni formadi vita consacrata si interroghi su quelloche Dio e l’umanità di oggi domandano.Nessuno in questo Anno dovrebbe sot-trarsi ad una seria verifica sulla sua pre-senza nella vita della Chiesa e sul suomodo di rispondere alle continue enuove domande che si levano attorno anoi, al grido dei poveri».Un cammino di speranza, indicato dapapa Francesco, è la comunione e l’in-contro fra differenti carismi e vocazioni,«perché nessuno costruisce il futuroisolandosi, né solo con le proprie forze,

ma riconoscendosi nella verità di unacomunione che sempre si apre all’in-contro, al dialogo, all’ascolto, all’aiutoreciproco e ci preserva dalla malattiadell’autoreferenzialità». Una provocazio-ne che ancora una volta invita ad “usci-

re da sé”, dai confini del proprio Istituto,per pensare e operare “insieme”: passaanche di qui la testimonianza profeticadella vita consacrata.

Suor Azia CiairanoResponsabile animazione missionaria USMI


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