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MENTRE ESCE IN ITALIA IL LORO ULTIMO FILM, ... · PDF filequanto a Colazione da Ti!any di...

Date post: 12-Feb-2018
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31 GENNAIO 2014 18 PAOLO PELLEGRIN / MAGNUM / CONTRASTO 31 GENNAIO 2014 19 copertina INCONTRI RAVVICINATI er il grande talento, funziona come con i gioielli di famiglia prima di partire per le vacanze. Li nascondi con così tanta cura in casa che, per ritrovarli, devi iniziare un lungo, paziente lavoro di ricerca. Dunque, procedi per tentativi. I registi di Inside Llewyn Davis (A pro- sito di Davis), i più talentuosi della loro generazione, sono così. Hanno nascosto per bene il loro segreto e parlano del loro lavoro in termini di fatica, di memoria, di esperimenti. Solo così, alla fine, provano a scovare il nascondiglio della loro virtù che, come tutte le cose molto preziose, puoi solo contemplare a bocca aperta. Il talento, come il diamante perfetto, è inspiegabile. Perché è un mistero. Sono andato in un’assolata mattina di maggio a incontrarli in una bella stanza d’albergo con l’insensata speranza di P Qui accanto, da sinistra, Ethan (59 anni) e Joel Coen (56 anni), i fratelli registi americani premiati con l’Oscar per Fargo e Non è un paese per vecchi. Sotto, Paolo Sorrentino premiato ai Golden Globe di Paolo Sorrentino MENTRE ESCE IN ITALIA IL LORO ULTIMO FILM, L’AUTORE DELLA GRANDE BELLEZZA RACCONTA DI ESSERE ANDATO A TROVARE I fratelli Coen. PER SCIOGLIERE UN MISTERO: COME SI FA A CREARE IN TANDEM UN MONDO SURREALE, CAUSTICO E POETICO? LA SOLUZIONE NON È SCONTATA Il segreto del regista a due teste CORBIS
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copertinaINCONTRI RAVVICINATI

er il grande talento, funziona come con i gioielli di famiglia prima di partire per le vacanze. Li nascondi con così tanta cura

in casa che, per ritrovarli, devi iniziare un lungo, paziente lavoro di ricerca. Dunque, procedi per tentativi.

I registi di Inside Llewyn Davis (A pro-sito di Davis), i più talentuosi della loro generazione, sono così. Hanno nascosto per bene il loro segreto e parlano del loro lavoro in termini di fatica, di memoria, di esperimenti. Solo così, alla fine, provano a scovare il nascondiglio della loro virtù che, come tutte le cose molto preziose, puoi solo contemplare a bocca aperta.

Il talento, come il diamante perfetto, è inspiegabile. Perché è un mistero.

Sono andato in un’assolata mattina di maggio a incontrarli in una bella stanza d’albergo con l’insensata speranza di

PQui accanto, da sinistra,

Ethan (59 anni) e Joel Coen (56 anni),

i fratelli registi americani premiati con l’Oscar per Fargo e Non è un paese

per vecchi. Sotto, Paolo Sorrentino premiato

ai Golden Globe

di Paolo Sorrentino

MENTRE ESCE IN ITALIA IL LORO ULTIMO FILM, L’AUTORE DELLA GRANDE BELLEZZA RACCONTA DI ESSERE ANDATO A TROVARE I fratelli Coen. PER SCIOGLIERE UN MISTERO: COME SI FA A CREARE IN TANDEM UN MONDO SURREALE, CAUSTICO E POETICO? LA SOLUZIONE NON È SCONTATA

Il segreto del registaa due teste

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rubare i meccanismi del loro lavoro. Ma era una pura illusione. Perché il talento non si nutre di ragionamenti, ma di sen-sazioni che si rivelano giuste per se stessi. E le sensazioni appartengono solo a chi le vive. Non sono condivisibili. Questo è il piccolo dramma di chi, come me, vorrebbe imparare qualcosa da questi due mostri dell’arte cinematografica.

«Quando scrivemmo Fargo eravamo consapevoli che il personaggio principale compariva dopo quaranta pagine. Una scelta narrativa insolita. Ne abbiamo par-lato, ci siamo basati su una vaga sensazio-ne, e siamo arrivati alla conclusione che il pubblico sarebbe stato al gioco», dice Joel. Ma è successo di più, il pubblico non si è limitato solo a stare al gioco, e Fargo è di-

il talento o, come si suol dire, l’Autore. Ec-co la sensazione di essere immersi nel bello, andando contro le consuete regole dell’estetica cinematografica. Per sposta-re la barriera dell’arte un pochino più in là e unire, al bello, l’inedito. L’unica arma che sconfigge la maniera.

Come quando girarono Il grande Le-bowski. Un trionfo di personaggi meravi-gliosi e un uso smodato e leggendario della divagazione nelle scene. Fino all’ap-parizione di questo film, la divagazione era considerata il grande nemico dello spettatore ammalato di logica.

I Coen hanno convinto gli spettatori della forza della divagazione. Hanno sdoga-nato la gratuità, elevandola a forma d’arte, regalando a tutti i cineasti successivi una

carpe bucate, giacca di velluto e chitarra in spalla, Llewyn Davis è un cantautore folk che, nella New York del 1961, tenta di sbarcare il

lunario cercando ingaggi nei locali. Ha appe-na pubblicato un disco, Inside Llewyn Davis, a cui nessuno è interessato, e ha un talento

tanto grande quanto incompreso. Il nuovo film dei fratelli Coen, A proposito di Davis, al cinema dal 6 febbraio, è costruito interamen-te sulla figura di un affascinante perdente folk (interpretato da Oscar Isaac), che vive sui divani degli amici e cerca di sopravvivere alla collezione di delusioni cui sembra destinato. Attorno a lui ruo-ta l’universo del Greenwich Village dei primi anni Sessanta, un luogo in cui personaggi come Bob Dylan e Joan Baez stanno per spiccare l’ultimo, decisivo, salto verso la fama e il successo.

Scritto partendo dalle pagine di Manhattan Folk Story, l’autobio-grafia di un vero, grande, cantautore americano come Dave Van Ronk, A proposito di Davis mescola elementi di finzione con situazio-ni reali, rimanda a personaggi esistiti come Tom Paxton e Ramblin’ Jack Elliott, e a dischi realmente pubblicati, come Inside Dave Van Ronk, del 1964, che nel film diventa, appunto, Inside Llewyn Davis.

Cast notevole, da Carey Mulligan a John Goodman passando per Justin Timberlake, riferimenti sparsi tanto all’Ulisse di Joyce quanto a Colazione da Tiffany di Truman Capote, e colonna so-nora (nemmeno a dirlo) imperdibile, firmata da quel genio di T-Bone Burnett, con pezzi tradizionali rivisti da Mumford & Sons, Punch Brothers e dallo stesso Isaac, un’autentica rivelazione.

Grand Prix Speciale a Cannes e due nomination all’Oscar (fo-tografia e sonoro), il film è destinato a diventare un oggetto di culto negli anni a venire, con Llewyn Davis già al sicuro nella va-riopinta e geniale galleria dei personaggi inventati dai Coen, a metà via tra il Drugo de Il grande Lebowski e l’Ed Crane dell’Uomo che non c’era. (andrea morandi)

E PER MAGIAUN ALTROPERDENTEDIVENTA EROE

SLA STORIA DI UN CANTAUTORE NELLA NEW YORK ANNI 60

copertinaINCONTRI RAVVICINATI

ventato un cult movie indimenticabile. Quando hanno realizzato No Country

For Old Men (Non è un paese per vecchi) non hanno inserito neanche una nota di musi-ca, il che non ha impedito agli spettatori di rimanere folgorati dalla partitura sono-ra. Ora hanno fatto l’opposto. Hanno rea-lizzato Inside Llewyn Davis, e quando il protagonista, un cantautore folk prima dell’avvento di Bob Dylan, lascia partire una canzone, la snocciola dinanzi alla macchina da presa dalla prima all’ultima nota, contraddicendo la regola elementa-re secondo la quale, al cinema, una canzo-ne, per non annoiare lo spettatore, deve sfociare in un’altra scena.

E, ancora una volta, lo spettatore non si annoia. Anzi, funziona! Insomma, ecco

Manhattan Folk Story di Dave Van Ronk

(Rizzoli, pp. 422, euro 18, trad. G.M. Brescia) è il libro da cui è tratto

A proposito di Davis. Sotto e nella foto

grande, Oscar Isaac, protagonista del film

dei fratelli Coen, in sala dal 6 febbraio

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nuova, impensata forma di libertà, anche se poi, a ben vedere, si tratta di una libertà illusoria, perché come riesce a loro l’arte del divagare non riesce a nessun altro.

E, a proposito de Il grande Lebowski, mi raccontano che, a intervalli regolari di tempo, John Turturro propone loro di fare uno spin off di quel film. Un nuovo lavoro incentrato sull’indimenticabile figura di Jesus, il campione di bowling sospettato di pedofilia.

Non lo faranno. Invece, han-no in mente un seguito di Bar-ton Fink, dove Turturro sarà un vecchio professore di scrittura e drammaturgia a Berkeley.

Mi spingo a chiedere, tra tutti questi film strepitosi che

hanno realizzato, qual è il loro preferito. Ma, come risposta, ottengo un prolungato silenzio.

Mugugnano qualcosa, ma non trovano la risposta.

Nella stanza d’albergo assolata siamo in tre, ma ci sono solo due sedie. Una per me, un’altra per Joel che se ne sta seduto,

pacato e ciondolante come un pendolo rallentato, con le pal-pebre calate quasi per intero sugli occhi e un mezzo sorriso.

Non è prevista una sedia per il fratello Ethan che per-corre avanti e indietro la stan-za, senza sosta e senza nervo-sismo, dedicandosi sporadica-mente a dei chicchi d’uva.

Hanno atteggiamenti opposti; il primo biascica lentamente, il secondo fa schizza-re le parole come palline da ping pong, ma, sempre, uno completa le frasi dell’altro, come se a parlare fosse una sola persona.

Sono i fratelli Coen, anche detti Il regi-sta a due teste.

Scrivono insieme tutte le scene, fin nei minimi dettagli. Le rileggono solo dopo averle stampate su carta. E mentre scri-vono, si domandano costantemente: «Funziona?», «Coinvolge lo spettatore?».

Le riscrivono, mentre continuano a stampare tonnellate di carta.

Naturalmente, in questa fase, sono loro gli spettatori. Un narratore di valore è tale solo se è anche uno spettatore di valore.

Non è prevista una sediaper Ethan, che passeggia per la stanza senza sostané nervosismo

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1 John Turturro in Barton Fink. È successo a Hollywood, Palma d’oro a Cannes nel 1991. 2 Frances McDormand in Fargo (1996): miglior regia a Cannes, Oscar per sceneggiatura e attrice protagonista alla McDormand 3 Javier Bardem in Non è un paese per vecchi (2007): Oscar per miglior film,regia, sceneggiatura e miglior attore non protagonista a Bardem 4 Da sinistra, Jeff Bridges, John Goodman e Steve Buscemi in Il grande Lebowski (1998), film culto dei fratello Coen che ispira raduni annuali in molte città degli Stati Uniti

Poi, quando girano, giocano. E per giocare bene, bisogna fare sul

serio. «Le regole sono precise. Hai un certo

numero di giorni a disposizione e una cer-ta cifra e devi lanciarti. Come se un colpo di pistola ti desse il via», afferma Joel.

«Cercare di fare un film perfetto signi-fica…», afferma Ethan, e Joel, mentre mangia uno yogurt, completa: «…barare. Sì, non fare mai un film perfetto».

Li tranquillizzo, è un rischio che non corro nemmeno fortuitamente.

«Bisogna attenersi alle regole. Non quelle di Von Trier, che prima ha stabilito i principi di Dogma e poi li ha violati», ri-dacchiano all’unisono e concordi, ma sen-za cattiveria, i due fratelli.

Pur essendo dei registi eccezionali, con una capacità di messa in scena fuori del comune e una precisione invidiabile, ri-tengono che il momento del montaggio sia, semplicemente, la fase di risoluzione dei problemi.

Quali problemi? Mi chiedo scandalizzato nell’intimo. Io non ne vedo. Io ero convinto che, con quel livello di precisio-ne registica, il montaggio fosse per i Coen pura routine e loro invece affermano: «È la fase della disperazione. Il momento in cui dobbiamo decidere se infilarci una pistola in bocca e premere il grilletto o infilarci nella vasca da bagno e tagliarci le vene. Il montaggio serve a ri-solvere i problemi».

Ridono, perché i registi, in realtà, si divertono solo quando risolvono i proble-mi. Quando non ci sono difficoltà, i film risultano piatti e prevedibili.

E, dal momento che i problemi non è umanamente possibile risolverli tutti, ec-co che non ci sono film perfetti.

Perché la perfezione è un luogo astrat-to che alberga, in modo altrettanto astrat-to, solo nella testa dello spettatore inge-

nuo e pedante. Si criticano costantemente i film, ogni tan-to si dovrebbero criticare gli spettatori. La maggior parte delle persone tende a leggere il film innanzitutto come una concatenazione ferrea di fatti razionali, mentre i grandi au-tori procedono in maniera cla-

morosamente opposta. I Coen lo dicono molto chiaramente:

«Abbiamo consapevolezza di cosa funzio-na in un dato momento» e questo è il ri-sultato dell’acquisizione di un mestiere, «ma a posteriori, guardando quello che abbiamo fatto, ci rendiamo conto che quello che ci ha guidati è una sensibilità inconscia e non ne siamo consapevoli».

Anche Fellini, ripensando ai suoi film, diceva che un altro io, una persona che non era lui e che non riconosceva, aveva comandato e disposto il film.

«Io sono agli ordini di questo personag-

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Non siamomaturi,siamo vecchi.E questo non è bello.È moltotriste

QUATTROCAPOLAVORIDEDICATI A SPETTATORI(IM)PERFETTI

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con non sense annesso che non sfigurereb-be in uno dei loro film.

«Vorrei tanto conoscerlo, questo segre-to» chiede senza crederci Joel. Ethan, ri-dendo e tenendoci sulle spine, dice: «Qual-che giorno mi ricordo qual è il segreto. Qualche altro giorno me lo dimentico. Oggi non lo ricordo».

Poi, però, Ethan Coen si ferma di colpo al centro della stanza e dice: «Però mi ri-cordo la risposta alla tua domanda su qual è il film preferito che abbiamo realizzato».

«Quale?», chiedo fremente. «Il primo film che abbiamo girato.

Quando abbiamo avuto la sensazione, per un istante, che non stavamo facendo un lavoro. È una sensazione che non abbiamo provato più».

Alla fine, non ho carpito nessun segre-to, ma è venuta giù una bella malinconia, calda, rassicurante e piacevole, come in un capolavoro dei fratelli Coen.

gio interiore, che conosco molto male, che mi detta le opere», diceva Cocteau.

Tutte queste affermazioni, profonda-mente vere, mi allontanano ancor più dalla remota chance di carpire qualche segreto. Insisto sul film preferito che han-no realizzato e ottengo un altro silenzio. Allora, per non fallire nel mio intento di imparare qualcosa, sposto la mia atten-zione nei loro confronti sul concetto di esperienza.

I fratelli Coen hanno fatto sedici film, molti memorabili. La loro è una filmogra-fia lunga e importante. Azzardo: «Se uno dicesse che questo vostro ultimo film è il vostro lavoro più maturo, cosa direste?». Riflettono.

Joel abbassa le palpebre del tut-to. Ethan accelera il passo.

Joel solleva le palpebre, sorride e dice: «Non siamo maturi, siamo vecchi».

«E questo non è bello. È molto triste», dice Ethan senza crederci veramente e

aggiunge: «E comunque c’è un che di al-larmante nella definizione di maturità, perché implica anche la serietà…» «… e noi non vogliamo perdere la leggerezza della gioventù», completa Joel.

Lo so che non carpirò il segreto del lo-ro talento, poiché quello è il loro talento e non il mio.

Allora provo a carpirne un altro: «E avete un segreto per riuscire a mantenere inalterato l’entusiasmo degli inizi?» Ethan non ha dubbi: «Sì».

E Joel: «Davvero? Vorrei sapere qual è?». «È un segreto», risponde Ethan.

Joel dice: «Ah! È un segreto e quindi non puoi rivelarcelo?».

Ethan non risponde. Io lo imploro: «Perché non ci dici questo segreto?».

Joel scuote la testa: «Lui, Ethan, ha un segreto per mantenere l’entusiasmo, ma non vuole dircelo».

Ethan sorride e non parla. Mi rendo conto di essere parte attiva di un dialogo Paolo Sorrentino

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