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MESSINA XI-XII SECC.: PRIMI DATI DI STORIA URBANA … · dalla prima delle due fasi della...

Date post: 18-Feb-2019
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504 MESSINA XI-XII SECC.: PRIMI DATI DI STORIA URBANA DALLO SCAVO DEL MUNICIPIO di GIACOMO SCIBONA Lo scavo del cortile centrale del Municipio di Messina (Palazzo Zanca) fu avviato nel 1976 dalla Soprintendenza alle Antichità della Sicilia Orientale di Siracusa in seguito alla scoperta di cospicue strutture edilizie romano-imperia- li portate in luce dallo sbancamento effettuato per la costru- zione di un palazzetto per uffici (VOZA 1976). L’esplorazione venne poi ripresa nel 1988 dalla Soprin- tendenza ai BB.CC.AA. di Messina – istituita l’anno prece- dente –, con una prima perizia di spesa preparata nel 1985 da quella di Siracusa, e proseguita poi con propri finanzia- menti (SCIBONA 1992). La consistenza delle strutture messe fortunosamente in luce nello angolo sud-est evidenziava un tipo di edilizia mo- numentale, pubblica, testimoniata dalla presenza di un crip- toportico a doppia navata, con copertura sicuramente a bot- te su massicci pilastri rettangolari, molto probabilmente nello schema di ambulationes che formavano peristili in aree pub- bliche (SCIBONA 2001). Era d’altra parte ben evidente, nelle sezioni est ed sud rimaste a vista fin dal 1976, la successione di diversi livelli di terreno accompagnati, sul lato sud, subito sotto la pavi- mentazione del cortile, da una vera e propria sequenza strati- grafica edilizia costituita (SCIBONA 1986), dall’alto verso il basso, da strutture murarie medievali in pietrame (orientate est-ovest), accompagnate da materiali ceramici di XI-XII sec., direttamente impiantate (area B VII-VIII) su quelle laterizie del criptoportico romano (est-nord-est/ovest-sud-ovest). La costruzione di quest’ultimo aveva a sua volta tranciato una precedente struttura edilizia (nord-sud) di cui rimane, alla base della sezione E, all’altezza del portico, un basso muro a doppio paramento di blocchetti di calcare. Alla luce di questa scoperta anche i pochissimi dati, scul- torei ed epigrafici (ORSI 1920), raccolti e presentati al So- printendente Paolo Orsi in modo, per dir così, iperbolica- mente selettivo nel 1916, durante lo scavo degli ampi cavi di fondazione di Palazzo Zanca, vengono a trovare una loro specifica coerenza nel carattere pubblico di questa zona della città in età imperiale. La ricchezza archeologica di questo insieme consiglia- va così di allargare preliminarmente lo scavo a tutta l’area, anche in considerazione della circostanza che, trovandosi il portico in asse all’unico ingresso rotabile del cortile, una esplorazione iniziale di queste strutture avrebbe comporta- to la chiusura del transito, anche pedonale, per gli stessi futuri cantieri di scavo. Questo è il motivo per cui ancora oggi (2003) i resti del portico, alti talora fino a poco meno di due metri, non sono stati ancora scavati. L’esplorazione sistematica del cortile ha rivelato una realtà archeologica non meno sorprendente e complessa di quella presente nell’angolo sud-est in quanto, subito sotto la pavimentazione (Fig. 1), lo scavo ha delineato quello che appariva essere un frammento della città crollata con il ter- remoto del 1908. Nei giorni in cui su “Storia della Città” si pubblicava (ARICÒ 1988) la pianta di Arena (1783) raffrontata a quella della Messina pre-1908 e a quella della città attuale (Piano Borzì), veniva ben presto riconosciuto nelle strutture mes- se in luce nell’area centrale del cortile, quel tratto del Vico della Neve (Fig. 2) (orientato all’incirca nord-sud) compre- so tra l’incrocio con la Via della Neve (a nord) e la Via del Forno Scoperto (a sud) (SCIBONA 2001). Ma quelli che, in prima evidenza (Fig. 3), sembravano gli stessi dati urbani cancellati dal terremoto e sostituiti dal dise- gno della città di Borzì, si svelavano “inseriti” in un terreno che con l’avanzare dell’indagine rivelava essere un deposito archeologico la cui lettura appariva a prima vista complicata, ricco com’era di materiali di XII-XV sec. e, nell’area del Vico della Neve, di battuti stratificati, riconducibili al XII secolo. D’altronde anche gli spiccati edilizi dei due isolati che si affacciano sul Vico – ove si escludano due pozzi qua- drangolari in muratura che hanno restituito pochi frammenti di terraglie inglesi di XIX sec. – non mostravano caratteri- stiche in qualche modo attribuibili ad una fase edilizia con- clusa con il 1908. Tutt’altro! Il piano d’impianto degli ambienti, colmati da butti di vario tipo, con materiali di XII-XIII (alfa), di XIII-XV (eta) (SCIBONA, FIORILLA, MANGANO 2001), di XIV (zeta), della metà del XVIII (gamma: interruzione d’uso con forte in- cendio), ecc., veniva a trovarsi tra m 1,50-1 di profondità rispetto ai livelli stradali di XII sec. incontrati per primi sul Vico della Neve. Questo piano peraltro è rappresentato da un poderoso nucleo cementizio d’età imperiale, non sap- piamo quanto esteso verso ovest, da considerare obliterato, forse anche nel suo punto più alto (zeta), sino alla ripresa di frequentazione dell’area, tra fine XI e XII secolo. In realtà i due isolati che prospettano da est e da ovest sul Vico risultano formati dalla aggregazione, determinata dalla maglia viaria, di ambienti di vario tipo: alcuni, abba- stanza ampi in cui potrebbero riconoscersi dei cortili; due ipogeici, già voltati a botte, uno dei quali (eta) prof. oltre m 3,50, destinati alla conservazione di derrate particolari (la neve?); case monocellulari, che potremmo conoscere me- glio, sicuramente solarate, rasate ma anche smantellate ad est, oltre il livello stradale di fine XII sec., dai cantieri di Palazzo Zanca del 1916 e 1976. È un tipo di edilizia parcellizzata, finora conosciuta dalle fonti (PENET 1998, p. 22) che, come mostra lo scavo, cresceva su se stessa, sovrapponendo, affiancando, trasformando resti di spiccati in fondazioni di realtà edilizie che andavano rovi- nando per crolli, incendi, eventi sismici compresi tra il 1169 e il 1783, azzerando i volumi. Eventi di questo tipo costringeva- no a scendere per far ricominciare daccapo. Si ponevano nuo- ve fondazioni, a volte non si cancellavano del tutto le tracce delle precedenti, rispettando sempre la sede stradale, facendo cantiere dallo interno degli isolati (ambb. gamma-delta-eta), lavorando in proprietà privata senza ostacolare l’uso dello spa- zio viario, pubblico ma anche angusto, fortunatamente alla fine così non disturbando i più antichi livelli e battuti stratificati a noi pervenuti nel Vico. Alla loro base sono ancora affiorate altre strutture romano-imperiali, come le precedenti, orientate est-nord-est. Immerse in terra argillosa, venne a depositarsi su di esse un livello alluvionale di sabbie e ghiaiette giallastre sciolte, coperto da una prima crosta dura, un battuto! È la fase, molto lunga, che segue la distruzione ed obliterazione delle strutture edilizie imperiali, con materiali ceramici della stessa epoca ma sporadici, fluitati, illeggibili, trascinati lì da altri con- testi, da innumerevoli episodi alluvionali: è il piano irregolare di una “strada” larga poco meno di 3 m, la prima fase del supe- riore Vico della Neve. È percorsa lateralmente ad est da un canale naturale, configuratosi sotto un rialzo occupato dai re- sti di una povera struttura in pietrame, forse una stalla visto che ad essa è connessa una canaletta in framm. di cotto, larga e piatta, propria per liquami, in pendenza verso il canale strada- le. Questa canaletta è poi tranciata, a m 0,90 del suo sviluppo, dalla prima delle due fasi della fondazione dell’amb. lambda il cui impianto venne ad ampliare così di circa 1 m la larghezza di quello che sarà il Vico della Neve, da allora fino al 1908. Sullo stesso margine in cui insiste la “stalla”, più a sud, le impronte di una serie di buchi per paletti di legno (diam. cm 12-15; prof. conservata fino a cm 20 circa) evi- denziano la presenza di una recinzione-staccionata mentre tra questa e la “stalla” il margine è sottolineato e chiuso da pietroni fluviali infissi a coltello lungo la stessa linea (che è quella della prima strada) anche se discontinuamente.
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MESSINA XI-XII SECC.:PRIMI DATI DI STORIA URBANADALLO SCAVO DEL MUNICIPIO

diGIACOMO SCIBONA

Lo scavo del cortile centrale del Municipio di Messina(Palazzo Zanca) fu avviato nel 1976 dalla Soprintendenzaalle Antichità della Sicilia Orientale di Siracusa in seguitoalla scoperta di cospicue strutture edilizie romano-imperia-li portate in luce dallo sbancamento effettuato per la costru-zione di un palazzetto per uffici (VOZA 1976).

L’esplorazione venne poi ripresa nel 1988 dalla Soprin-tendenza ai BB.CC.AA. di Messina – istituita l’anno prece-dente –, con una prima perizia di spesa preparata nel 1985da quella di Siracusa, e proseguita poi con propri finanzia-menti (SCIBONA 1992).

La consistenza delle strutture messe fortunosamente inluce nello angolo sud-est evidenziava un tipo di edilizia mo-numentale, pubblica, testimoniata dalla presenza di un crip-toportico a doppia navata, con copertura sicuramente a bot-te su massicci pilastri rettangolari, molto probabilmente nelloschema di ambulationes che formavano peristili in aree pub-bliche (SCIBONA 2001).

Era d’altra parte ben evidente, nelle sezioni est ed sudrimaste a vista fin dal 1976, la successione di diversi livellidi terreno accompagnati, sul lato sud, subito sotto la pavi-mentazione del cortile, da una vera e propria sequenza strati-grafica edilizia costituita (SCIBONA 1986), dall’alto verso ilbasso, da strutture murarie medievali in pietrame (orientateest-ovest), accompagnate da materiali ceramici di XI-XII sec.,direttamente impiantate (area B VII-VIII) su quelle lateriziedel criptoportico romano (est-nord-est/ovest-sud-ovest). Lacostruzione di quest’ultimo aveva a sua volta tranciato unaprecedente struttura edilizia (nord-sud) di cui rimane, allabase della sezione E, all’altezza del portico, un basso muro adoppio paramento di blocchetti di calcare.

Alla luce di questa scoperta anche i pochissimi dati, scul-torei ed epigrafici (ORSI 1920), raccolti e presentati al So-printendente Paolo Orsi in modo, per dir così, iperbolica-mente selettivo nel 1916, durante lo scavo degli ampi cavidi fondazione di Palazzo Zanca, vengono a trovare una lorospecifica coerenza nel carattere pubblico di questa zona dellacittà in età imperiale.

La ricchezza archeologica di questo insieme consiglia-va così di allargare preliminarmente lo scavo a tutta l’area,anche in considerazione della circostanza che, trovandosi ilportico in asse all’unico ingresso rotabile del cortile, unaesplorazione iniziale di queste strutture avrebbe comporta-to la chiusura del transito, anche pedonale, per gli stessifuturi cantieri di scavo.

Questo è il motivo per cui ancora oggi (2003) i resti delportico, alti talora fino a poco meno di due metri, non sonostati ancora scavati.

L’esplorazione sistematica del cortile ha rivelato unarealtà archeologica non meno sorprendente e complessa diquella presente nell’angolo sud-est in quanto, subito sottola pavimentazione (Fig. 1), lo scavo ha delineato quello cheappariva essere un frammento della città crollata con il ter-remoto del 1908.

Nei giorni in cui su “Storia della Città” si pubblicava(ARICÒ 1988) la pianta di Arena (1783) raffrontata a quelladella Messina pre-1908 e a quella della città attuale (PianoBorzì), veniva ben presto riconosciuto nelle strutture mes-se in luce nell’area centrale del cortile, quel tratto del Vicodella Neve (Fig. 2) (orientato all’incirca nord-sud) compre-so tra l’incrocio con la Via della Neve (a nord) e la Via delForno Scoperto (a sud) (SCIBONA 2001).

Ma quelli che, in prima evidenza (Fig. 3), sembravano gli

stessi dati urbani cancellati dal terremoto e sostituiti dal dise-gno della città di Borzì, si svelavano “inseriti” in un terrenoche con l’avanzare dell’indagine rivelava essere un depositoarcheologico la cui lettura appariva a prima vista complicata,ricco com’era di materiali di XII-XV sec. e, nell’area del Vicodella Neve, di battuti stratificati, riconducibili al XII secolo.

D’altronde anche gli spiccati edilizi dei due isolati chesi affacciano sul Vico – ove si escludano due pozzi qua-drangolari in muratura che hanno restituito pochi frammentidi terraglie inglesi di XIX sec. – non mostravano caratteri-stiche in qualche modo attribuibili ad una fase edilizia con-clusa con il 1908. Tutt’altro!

Il piano d’impianto degli ambienti, colmati da butti divario tipo, con materiali di XII-XIII (alfa), di XIII-XV (eta)(SCIBONA, FIORILLA, MANGANO 2001), di XIV (zeta), dellametà del XVIII (gamma: interruzione d’uso con forte in-cendio), ecc., veniva a trovarsi tra m 1,50-1 di profonditàrispetto ai livelli stradali di XII sec. incontrati per primi sulVico della Neve. Questo piano peraltro è rappresentato daun poderoso nucleo cementizio d’età imperiale, non sap-piamo quanto esteso verso ovest, da considerare obliterato,forse anche nel suo punto più alto (zeta), sino alla ripresa difrequentazione dell’area, tra fine XI e XII secolo.

In realtà i due isolati che prospettano da est e da ovestsul Vico risultano formati dalla aggregazione, determinatadalla maglia viaria, di ambienti di vario tipo: alcuni, abba-stanza ampi in cui potrebbero riconoscersi dei cortili; dueipogeici, già voltati a botte, uno dei quali (eta) prof. oltrem 3,50, destinati alla conservazione di derrate particolari(la neve?); case monocellulari, che potremmo conoscere me-glio, sicuramente solarate, rasate ma anche smantellate adest, oltre il livello stradale di fine XII sec., dai cantieri diPalazzo Zanca del 1916 e 1976.

È un tipo di edilizia parcellizzata, finora conosciuta dallefonti (PENET 1998, p. 22) che, come mostra lo scavo, crescevasu se stessa, sovrapponendo, affiancando, trasformando restidi spiccati in fondazioni di realtà edilizie che andavano rovi-nando per crolli, incendi, eventi sismici compresi tra il 1169 eil 1783, azzerando i volumi. Eventi di questo tipo costringeva-no a scendere per far ricominciare daccapo. Si ponevano nuo-ve fondazioni, a volte non si cancellavano del tutto le traccedelle precedenti, rispettando sempre la sede stradale, facendocantiere dallo interno degli isolati (ambb. gamma-delta-eta),lavorando in proprietà privata senza ostacolare l’uso dello spa-zio viario, pubblico ma anche angusto, fortunatamente alla finecosì non disturbando i più antichi livelli e battuti stratificati anoi pervenuti nel Vico. Alla loro base sono ancora affioratealtre strutture romano-imperiali, come le precedenti, orientateest-nord-est. Immerse in terra argillosa, venne a depositarsi sudi esse un livello alluvionale di sabbie e ghiaiette giallastresciolte, coperto da una prima crosta dura, un battuto! È la fase,molto lunga, che segue la distruzione ed obliterazione dellestrutture edilizie imperiali, con materiali ceramici della stessaepoca ma sporadici, fluitati, illeggibili, trascinati lì da altri con-testi, da innumerevoli episodi alluvionali: è il piano irregolaredi una “strada” larga poco meno di 3 m, la prima fase del supe-riore Vico della Neve. È percorsa lateralmente ad est da uncanale naturale, configuratosi sotto un rialzo occupato dai re-sti di una povera struttura in pietrame, forse una stalla vistoche ad essa è connessa una canaletta in framm. di cotto, larga epiatta, propria per liquami, in pendenza verso il canale strada-le. Questa canaletta è poi tranciata, a m 0,90 del suo sviluppo,dalla prima delle due fasi della fondazione dell’amb. lambda ilcui impianto venne ad ampliare così di circa 1 m la larghezzadi quello che sarà il Vico della Neve, da allora fino al 1908.

Sullo stesso margine in cui insiste la “stalla”, più a sud,le impronte di una serie di buchi per paletti di legno(diam. cm 12-15; prof. conservata fino a cm 20 circa) evi-denziano la presenza di una recinzione-staccionata mentretra questa e la “stalla” il margine è sottolineato e chiuso dapietroni fluviali infissi a coltello lungo la stessa linea (che èquella della prima strada) anche se discontinuamente.

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Ancora più a sud, ma stavolta sul lato ovest, due gradi-ni in muratura, il superiore coperto in parte da una largafondazione, sicuramente post-medievale, di calcestruzzo,che scende dal nostro livello zero, sono quel che rimane diuna casa, rialzata appunto di due gradini sul piano di questaprima fase del Vico.

Questi ed altri elementi, tra cui a me sembra molto si-gnificativa la morfologia articolata a dossi, irregolari, di unlivello di terreno sabbioso, ricoperto da uno straterello dicalce, raggiunto nello scavo dell’ambiente theta (scavo so-speso), sembrerebbero connotare un ambiente periferico,di tipo rurale, forse già “razionalizzato” dal tracciato dellastrada inferiore e quindi inglobato nel disegno della reteviaria dell’impianto stradale definitivo.

Prima di considerare il senso topografico e le implicanzeche questo insieme di dati racchiudono per la storia urbana diMessina, è necessario presentare, sia pur fugacemente, alcunielementi relativi alla formazione e ai contenuti del depositoche copre il tracciato del Vico. Esso è costituito (Fig. 4) da unainfinita serie di butti, di immondezze domestiche (decine dimigliaia di resti ossei di animali, di frammenti ceramici, di

tegolame e sterri) variamente stratificati in un terreno alluvio-nale di sabbie e ghiaiette che ha innalzato il livello della stra-da, con una progressione altimetricamente segnata da croste,irregolari nello spessore e nello sviluppo ma costantementeorizzontali, in cui balza subito evidente la moltiplicazione deimateriali dal basso verso l’alto, a riprova di una sempre piùintensa antropizzazione dell’area.

Anche a non voler attribuire la valenza di battuti d’uso, illoro intrinseco significato stratigrafico di sequenze sigillan-ti, e quindi di elementi decisivi per una cronologia relativadei materiali racchiusi, è indubbiamente pregnante.

Per quanto riguarda questi ultimi basterà intanto presen-tare le grandi linee di cinque contesti, tre di primi battuti (li-vello superiore) e due rispettivamente di terzo e quinto battu-to (livello medio-inferiore), scelti a documentare punti di-versamente dislocati nel deposito del Vico della Neve, sianel suo sviluppo lineare che in profondità (SCIBONA 2003 c.s.).

LIVELLO SUPERIORE

Punto a. λ−µ: livello zero (Tavv. I-II)

Elementi caratterizzanti sembrano essere il fr. di anfora (n.1) tipo Zisa (ARDIZZONE 1999, p. 24 tipo C1/D2) del XII sec.confrontabile con tipi di Brucato di XI-XII (MACCARI-POISSON1984 Pl. 15, a e pp. 271 e 378: tipi 4C e 4E); così pure lascodella bizantina greca (n. 10) riferibile al Medallion Styledella Painted Incised Sgraffito Ware della metà del XII sec.(MORGAN 1942, p. 159 e 148-149). Non molto dopo quest’ulti-mo periodo, dovrebbe collocarsi l’olletta invetriata in verde(n. 5) in pasta chiara, di area siculo-maghrebina sicuramentevicina all’esemplare del Museo Sacro Vaticano (GABRIELI,SCERRATO 1979, fig. 497), mentre gli ampi bacini carenati (nn.6-7) – forse altrove fuori uso – rappresenterebbero una produ-zione locale in via di esaurimento verso la metà del XII, quan-

Fig. 1

Fig. 2

Fig. 3

Fig. 4

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tipo maghrebino, per lo più decorata da bande verdi margi-nate in bruno (n. 8) (MOLINARI 1995, p. 121).

a. θ sud: 1° battuto (Tavv. IV-V-VI)

Anche in questo punto la presenza (n. 15) della produ-zione corinzia bizantina del Medallion Style-Incised Sgraffito,della metà del XII, fornisce un elemento di riferimento aimateriali associati. Si tratta di bacini e scodelle a calotta, atesa breve e piana anche in presenza di labbro ingrossato (nn.19, 22). Un solco piano è generalmente presente sotto l’orloche presenta modanatura semplice (nn. 17, 18, 19, 21, 22).

Come nel precedente contesto (n. 9) anche qui abbiamouna scodella invetriata a larga tesa (n. 25) forse su ingob-bio, una olletta da fuoco (n. 27) e un’anfora a scanalature(n. 26). È presente un grande catino tronco-conico ad am-pie solcature decorate (n. 29), una lucerna a vasca aperta,invetriata, con presa a linguetta orizzontale sull’orlo (n. 28),due teglie da focaccia o pane àzzimo (nn. 23-24) che nullahanno in comune con i testi da pane (RICCI 1990, p. 217),trovando invece riscontro a Brucato, sia pure in contesto diXIII (MACCARI-POISSON 1984, pp. 296-98).

a. ξ ΙΕ: 1° battuto (Tavv. VIII-IX-X)Più che la scodella bizantina (n. 50), la cui produzione è

da determinare, o i due framm. di anfore dipinte in rosso (nn. 35-36), gli elementi caratterizzanti questo punto della strada sonodati dai framm. di vasellame domestico, bacini e scodelle in-vetriate a calotta (nn. 41-49), numerosi e ripetitivi, riferibili adun periodo compreso forse entro il terzo quarto del XII sec.

Fig. 5

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

do comincia a diffondersi la scodella a larga tesa, invetriata edecorata a segmenti e punti verdi su ingobbio (n. 9). La suaproduzione, e non soltanto essa, potrebbe essere direttamentedipendente dalla presenza in Messina degli artigiani greci de-portati da Corinto, Tebe, ecc., dopo i saccheggi effettuati daRuggero II nel 1147-48 in territorio greco (CHALANDON 1907,II, pp. 136-137 e 737-738; fonti in KISLINGER 2001, p. 131).

La scodella a punti verdi, che tanta fortuna (FIORIL-LA 2001) ebbe a Messina tra XII e XIII sec., aveva a suavolta soppiantato quella a calotta, con orlo ingrossato, di

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Tav. 1 Tav. 2

Tav. 3 Tav. 4

Tav. 5 Tav. 6

Tav. 7

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Tav. 8

Tav. 9

Tav. 10

LIVELLO MEDIO-INFERIORE

a. θ sud: 3° battuto, ter (Tavv. VII)

Se la stratigrafia del deposito segnata dalle croste dei bat-tuti ha un qualche significato di successione cronologica, que-sto 3° battuto ter, interessante per le novità restituite, potreb-be essere datato proprio verso la metà del XII secolo, rispettoal 1° battuto θ sud (sopra presentato) proiettato con la spora-dica presenza della scodella a larga tesa (n. 25) forse ingob-biata, verso la seconda metà del secolo. In questo 3° battutoritroviamo l’anfora a scanalature (n. 32); una pentola cilin-drica (n. 33) in ceramica da fuoco, quasi un albarello, condoppio listello poggia-coperchio, interno ed esterno; unatapadera, coperchio da fuoco tronco-conico rovesciato conpresa interna (n. 34), forma nota a Cartagine e poi nella Spa-gna musulmana di XI-XII sec. (BAZZANA 1984, pp. 214-216),a Costantinopoli (HAYES 1992, pp. 14, 27, 163, 170), a Roma(RICCI 1990, p. 233), dove è ben presente anche una produ-zione in ceramica comune come coperchio d’anfora fino aiprimi del XV sec. (ROMEI 1990, pp. 273, 286).

a. µ−ν. 5° battuto (Tav. III)Due scodelle a tesa breve e piana (nn. 11-12) di XI-

primi XII sec., assieme ad un piatto corinzio bizantino configura di tonno, del Free Style Incised Sgraffito (MORGAN1942, pp. 156-157) (fine point sgraffito Group: VONWARTBURG 2001, passim) databile dall’XI (PAPANIKOLA-BAKIRTZI 1992, p. 23) lungo i primi decenni del XII sec.,assieme alla profondità di giacitura, resa certa dalla integri-tà stratigrafica dei battuti superiori e corrispondente alla pri-ma fase della strada, forniscono i parametri cronologici del-l’originario impianto edilizio del Vico che in questo trattoalmeno, nasce direttamente sul livello di distruzione-abban-dono delle strutture romano-imperiali.

***È evidente che un’analisi sistematica estesa all’insieme

dei contesti qui fugacemente esemplificati arricchirà i datiobiettivi, darà modo di precisare quanto acquisito, e di indi-viduare nuovi problemi e, fors’anche, nuove ipotesi per vec-chi problemi.

Pur non potendo escludere eventuali sporadiche presenzeancora da documentare, penso che difficilmente l’impianto diquesto tratto urbano potrà essere retrodatato. L’interpretazionedei dati, poi, non riesce a problematicizzare quelli che si pre-sentano, a mio giudizio, come degli assoluti punti fermi:1 – la coincidenza, anzitutto, del disegno delle strade e deiblocchi edilizi messi in luce dallo scavo (Fig. 7) con quellidella città crollata nel 1908 (Figg. 5-6). Una coincidenza che,confermata dalla minuta parcellizzazione catastale, sembranaturalmente rimandare al tipo di edilizia monocellulare,solarata, documentata dallo scavo. Se le variazioni riscon-trate nella larghezza delle strade medievali (a livello superio-re il Vico della Neve è di un metro più largo a nord) nontrovano confronti precisi nel catastale 1:500, ciò si deve alcarattere riduttivo, semplificativo di questo tipo di cartogra-fia. La coincidenza planimetrica viene però ribadita dalla pre-senza di due pozzi (p3 e p4), allineati all’interno dei muriperimetrali di facciata dell’isolato ovest. Ricordo che nel fon-do di essi sono stati raccolti pochissimi frammenti di terra-glie di XIX sec., epoca alla quale dovrebbero risalire per iltipo di muratura esibita. Ambedue sembrano comunque po-steriori alla ricostruzione seguita al terremoto del 1783 e nonè da escludere che quelle stesse terraglie possano essere per-tinenti agli sterri del 1908 di cui erano esclusivamente colmi.2 – lo iato, quindi, presentatosi come livello alluvionalesciolto e sterile, esistente tra le strutture edilizie romane,

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sicuramente già fuori uso nel VI-VII sec., e la quota d’im-pianto del vero e proprio palinsesto edilizio e stradale il cuidisegno (Figg. 5, 6) permane fino al 1908.3 – la datazione dell’inizio della formazione del depositoarcheologico del Vico della Neve (materiali e strutture) trala fine dell’XI-inizi XII sec.

La combinazione di questi tre punti ci costringe a vede-re nei blocchi edilizi indicati (Figg. 7-5) e in quelli analo-ghi (Fig. 6) che, con sviluppi variamente trapezoidali, co-prono razionalmente la fascia urbana occidentale compre-sa, da N a S, tra i torrenti Boccetta e Portalegni, quell’abita-to difeso da (mura con) torri, iniziato dal Gran Conte nel1082 …sumptibus pluribus apparatis, undecumqueterrarum artificiosis caementariis conductis…e portatoavanti…brevi tempore… assieme ad una…turrim etpropugnaculum immense altitudinis mirifico opere… (MA-LATERRA III, XXXII), molto probabilmente un sistema forti-ficatorio che inglobando per tutta la sua altezza (circa 100m s.l.m.) l’altura di Matagrifone, naturalmente incombenteda ovest sulla piana, doveva moltiplicare in verticale l’al-tezza di una torre-dongione che controllava da nord tutta lacittà. Essa raccoglieva la linea delle mura settentrionali chechiudevano la valle del Boccetta, e li dirigeva lungo ilmammellone che, piegando ad ovest e sud-ovest, inglobavale alture di Torre Vittoria e della Caperrina.

Nella toponomastica messinese, documentata negli stru-menti giuridici greci e latini di XII-XIII sec., questo abitatoviene rispettivamente indicato come neokastron e nova urbs,topograficamente distinta dalla vetus (GUILLOU 1963,pp. 108-112; MÉNAGER 1963, pp. 114-117, 132-136; PENET1998, pp. 88, 95, 102, 106, 123, 305, 506, 517).

Le grandi linee di una sua “interpretazione” urbanisti-ca possiamo cogliere in una incisione di XVI sec., comepure in una delle lastre di bronzo del monumento a donGiovanni d’Austria (1572), come suggerito nel 1953 daRoberto Calandra (CALANDRA 1953, p. 10 fig. 2). La tessi-tura regolare dello sviluppo urbano (nova urbs) si sovrap-pone su tutta la fascia ovest al tratto più interno della zonaportuale, resa ad andamento irregolare, semicircolare (urbsvetus) (Fig. 8).

L’evidenza archeologica conferma che le opere avviateda Ruggero negli anni ’80 dell’XI sec. (MALATERRA cit.) han-no comportato al di là degli aspetti militari, la realizzazionedi un disegno urbano reso possibile principalmente dalladisponibilità della piana compresa tra l’ansa del torrente diS. Filippo il Piccolo, presso cui fu edificata alla fine delXII sec. la grande fabbrica del Duomo, e il torrente Boccet-ta a nord. Essa non era stata più occupata o urbanizzata dopol’età imperiale. Le occasioni di verifica archeologica su tuttal’area ovest della città sono ormai rare ed improbabili. Bi-sognerà partire da una opportuna analisi del catastale dellacittà distrutta, quanto più possibile confortata dai dati ar-cheologici già acquisiti, qualora disponibili.

L’archeologia urbana di Messina rivendica con questoai Normanni, costruttori di castelli ma anche, di lì a poco,creatori del Regnum, quella che sembra essere la primaampia pianificazione urbana da loro realizzata in una visio-ne globale dell’esercizio del potere, lasciata in eredità agliSvevi e allo Stato moderno.

RINGRAZIAMENTIRingrazio Rocco Burgio per la realizzazione delle Tavv. 1-10.

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