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Mindfulness e lo Stato dell’Io Adulto

Date post: 07-Mar-2016
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Juliet Verney Traduzione a cura di Patrizia Gavoni
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In Transactional Analysis Journal Vol. 39, No. 3, July 2009 Mindfulness e lo Stato dell’Io Adulto Abstract In questo articolo ci si domanda se sia possibile trovare una qualche forma di stabilità nel processo di costante cambiamento dello stato dell’Io Adulto. L’autrice cita alcune definizioni di “Adulto”, suggerisce che l’individuazione non sia l’obiettivo finale della maturazione e prende in considerazione l’idea che al di là dell’autonomia personale possa trovarsi un’interconnessione universale. Questo articolo mette in luce le differenze tra le psicologie orientali e quelle occidentali, suggerendo la pratica della meditazione Mindfulness come strumento per l’acquisizione di equilibrio interiore e stabilità nell’Adulto. Luglio 2009 Juliet Verney M.Sc. (TA psicoterapia) Psicoterapeuta di Analisi Transazionale Flat 14, Wharf Mill, Winchester, Hampshire S023 9NJ, United Kingdom. [email protected] Traduzione a cura di Patrizia Gavoni Counselor A.T. [email protected]
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In Transactional Analysis Journal Vol. 39, No. 3, July 2009

Mindfulness e lo Stato dell’Io Adulto Abstract In questo articolo ci si domanda se sia possibile trovare una qualche forma di stabilità nel processo di costante cambiamento dello stato dell’Io Adulto. L’autrice cita alcune definizioni di “Adulto”, suggerisce che l’individuazione non sia l’obiettivo finale della maturazione e prende in considerazione l’idea che al di là dell’autonomia personale possa trovarsi un’interconnessione universale. Questo articolo mette in luce le differenze tra le psicologie orientali e quelle occidentali, suggerendo la pratica della meditazione Mindfulness come strumento per l’acquisizione di equilibrio interiore e stabilità nell’Adulto. Luglio 2009

Juliet Verney M.Sc. (TA psicoterapia)

Psicoterapeuta di Analisi Transazionale Flat 14, Wharf Mill, Winchester,

Hampshire S023 9NJ, United Kingdom. [email protected]

Traduzione a cura di

Patrizia Gavoni Counselor A.T.

[email protected]

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Al punto fermo del rutilante mondo, né carne né scarnificato;

Né da né verso; al punto fermo dove è la danza, Ma né arresto né movimento. E non chiamatelo fissità,

Il luogo dove passato e futuro sono uniti. Non movimento da né verso, Non ascesa, né declino. Fuorché per il punto, il punto fermo,

Non ci sarebbe danza e c'è solo danza. (T. S. Eliot, 1935, p. 173)

Nel mio viaggio verso la salute, non ho cercato solamente di “annullare la mia patologia” ma anche di trovare vie per “fare benessere”. L’Analisi Transazionale offre un’abbondanza di modelli chiari e funzionali per descrivere la patologia o il disequilibrio mentale, ma ne offre meno quando ci si chiede “che cos’è la salute mentale e come la si vive?”. Due dei concetti più positivi in Berne, “Aspirazione” e il termine greco “Physis” non sono stati elaborati ulteriormente nei suoi scritti e raramente sono stati oggetto della letteratura di analisi transazionale (con l’eccezione di Clarkson, 1992a, 1992). Per gli obiettivi del presente lavoro, mi concentrerò su un aspetto dei criteri di analisi transazionale per la salute mentale – uno stato dell’Io Adulto “decontaminato” (Clarkson, 1992b, p. 53) – ed utilizzando la definizione di Tudor (2003, p. 201) dell’Adulto Integrante mi porrò il quesito circa che cosa possa significare percorrere questo processo nell’Adulto. Io interpreto “decontaminato” nel senso di personalità sufficientemente sviluppata “attraverso esperienze di vita correttive o attraverso una psicoterapia efficace e curativa” (Erskine, 2003, p.88) con gli stati dell’Io Genitore e Bambino pienamente integrati in quello Adulto, dove possono essere risorsa, funzionando da preziosa biblioteca, piuttosto che come stati dell’Io separati che prendono il controllo, influenzano e producono conflitto intrapsichico” (p. 88). Nella mia esplorazione della “salute” mentale in quest’articolo, porrò l’analisi transazionale ed il mio punto di vista a confronto e discuterò brevemente le psicologie occidentali ed orientali. Suggerirò che la meditazione Mindfulness possa essere un mezzo di connessione con la propria dimensione corporale e con una più vasta essenza universale, così come possa offrire un senso di stabilità nel processo di costante cambiamento dello stato dell’Io Adulto. Esplorerò come la Mindfulness, come concetto intrinsecamente relazionale, possa risultare utile sia al cliente che al professionista nella relazione terapeutica. In chiusura, mi concentrerò sul planetario bisogno di vivere con consapevolezza centrata nel presente e in interconnessione. Lungo tutta la trattazione del presente articolo farò riferimento alla mia esperienza personale, con la convinzione che le cose in comune tra noi esseri umani sono sicuramente maggiori di quelle che ci separano attraverso la nostra identità individuale. In altre parole, il personale è anche universale. Che cos’è l’Adulto? Statisticamente, nella letteratura di analisi transazionale, l’Adulto ha ricevuto molta meno attenzione di quanta ne abbiano ricevuta Genitore e Bambino, nel corso degli anni. Tudor suggerisce che ciò possa essere visto come se “la sintomatologia di analisi transazionale stessa escludesse l’Adulto da una sua completa analisi, delineazione e presa in considerazione” (p.201). (È un pensiero stimolante il

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fatto che se l’analisi transazionale esclude l’Adulto dalle proprie elaborazioni teoriche, forse questo può essere il riflesso di una società che a sua volta “passa da Genitore a Bambino con pensieri e comportamenti in qualche modo non connessi ad una realtà oggettiva” [Woolams & Brown, 1978, p. 38+. Lo stato dell’Io Adulto sembra esser stato dipinto come “ciò che resta” quando Genitore e Bambino sono stati identificati; una delle descrizioni di Berne (1961) dell’Adulto è “lo stato residuale dopo la segregazione di tutti gli elementi identificabili come legati al Genitore e al Bambino (p. 76). In generale, la letteratura di analisi transazionale sembra aver visto negativamente l’Adulto, come uno statico e passivo processore di informazioni. Per esempio, Woolams & Brown (1978) offrono questa visione: “l’Adulto funziona come un calcolatore ad estimazione di probabilità”. Non sembra essere uno stato dell’Io completamente funzionante, ma piuttosto che operi soprattutto su richiesta degli altri stati dell’Io. Erskine (2003) trasforma questa oscura immagine dell’Adulto, enfatizzando la “completa capacità neopsichica dell’Io Adulto nell’integrare valori, processare informazioni, rispondere ad emozioni e sensazioni, e nell’essere creativo e relazionale.” (p. 87). Tudor, più recentemente, soffia nuova vita nell’Adulto introducendo l’Adulto Neopsichico Integrante, “una personalità pulsante, che processa ed integra sentimenti, atteggiamenti, pensieri e comportamenti appropriati al qui-ed-ora… ad ogni età, dal concepimento alla morte” (p. 201). Egli rimarca che il processo evolutivo è costantemente in cambiamento, centrato nel presente e mai statico: “giacché l’Adulto Neopsichico è un processo costantemente in divenire e non viene mai definitivamente saldato, né clinicamente né concettualmente” (p. 222). A questo punto sorgono delle domande: è il mio adulto a non arrivare mai ad essere “fisso” o sono io a non raggiungere mai una stabilità? Sono “io” separato dal mio Adulto? L’Adulto è uno stato dell’Io vero e proprio? Se io non sono il mio Adulto, una scissione interiore viene perpetuata come, ad esempio, nella differenza fenomenologica tra dire “il mio Adulto sente che “ e “io sento che”? Per gli obiettivi di questo lavoro, mi avvicinerò maggiormente alla visione di Massey (Novey, Porter-Steele, Gobes, & Massey, 1993): “pensate all’Io come allo stato dell’Io Adulto. L’Adulto è il contenuto ed il processo correntemente in atto nel qui-ed-ora” (p. 133). Questo mette “Adulto” ed “Io” sullo stesso piano, come un ente unico. Con questo in mente, io sono meno una rigida entità separata e maggiormente un essere permeabile e responsivo. Sono un continuo flusso di divenire, emozioni, sensazioni, conoscenza e oblio. Si prenda l’immagine dell’onda e dell’oceano: l’onda come espressione creativa dell’oceano. Proviene dall’oceano e rimane oceano nella propria essenza, anche mentre vive la propria esperienza individuale sottoforma di onda. Sia l’oceano che l’onda sono fluidi. Questo si ritrova anche in Jon Kabat-Zinn (1990), fondatore della Clinica per la Riduzione dello Stress del Massachusetts, che scrive “la vita è costantemente in flusso… tutto ciò che noi riteniamo permanente è in realtà solo temporaneo e costantemente in cambiamento. Questo comprende le nostre idee, opinioni, relazioni, lavori, i nostri possedimenti, le nostre creazioni, i nostri corpi, ogni cosa” (p. 6). La vita è transitoria; c’è solo l’adesso e non ci sono punti di riferimento costanti. Anche se possiedo una miriade di modi per evitare questa verità , compreso il combatterla e cercare di dimenticarla, ritengo che abitare l’Adulto significhi raggiungere completa consapevolezza di questa realtà.

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Il processo di maturazione impone ch’io scenda a patti con la transitorietà. Porter-Steele (Novey et al., 1993) la pongono nei termini seguenti: “se vediamo il senso di sé come un qualcosa di definito, fisso e solido, questo diventa un ostacolo per uno sviluppo ulteriore (p. 129). La psicoterapia di analisi transazionale mi è stata intimamente utile nel comprendere il mio percorso personale, e terapeuti capaci, formatori e supervisori mi hanno donato nuove esperienze nel relazionarsi. Ma vivere liberi dal copione lascia un vuoto. Ho confidenza con la mia mente quando suona i vecchi nastri familiari di autodistruzione e ossessività, l’infinito flusso di vaniloquio e retorica negatività. La mente che ha spazio per pensieri “appropriati del qui-ed-ora” è territorio inesplorato. Vado a cercare le coordinate nella neopsiche. Come fa la mente a tollerare il vuoto lasciato dalla libertà-dal-copione senza aggrapparsi a ciò che conosce, specialmente quando incontra quei fattori scatenanti che minacciano di farla ripiombare in pensieri, emozioni e comportamenti afferenti agli stati dell’Io Genitore o Bambino regresso? Cosa accade in quegli inevitabili momenti di stress – i momenti scatenanti o triggers – in cui il corpo s’irrigidisce, il respiro si blocca e le vecchie difese spaventano? Quelle strutture adattive che sto cercando di abbandonare mi hanno garantito una qualche sicurezza, anche se limitante. Cosa potrà prendere il loro posto? Ho bisogno di un modo per rimanere nel presente, che sia bello o brutto, che sia interno come in uno schema di pensieri distruttivi o esterno come davanti ad eventi inattesi; un modo per vivere lo spazio tra le sicurezze arcaiche ed il nuovo, salubre vivere fluido. Come si fa a vivere nell’Adulto, nel presente decontaminato e deconfuso, e trovare stabilità in questo processo costantemente mutevole? Contesto Nel rispondere a questa domanda ho trovato utile focalizzare meno sui dettagli per poter vedere invece l’immagine intera ponendo il mio pensiero, e l’analisi transazionale, in un contesto culturale. In particolare, il diverso focus delle culture orientale e occidentale verso la salute mentale e la psicoterapia ha messo in luce questi dilemmi. Welwood (1983) descrive la differenza come segue: "Le teorie occidentali sulla salute mentale e della personalità si sono concentrate principalmente sulle cause e sintomi di nevrosi e psicosi, mentre hanno raramente descritto come sia costituito il sano funzionamento umano. Le tradizioni orientali, d’altro canto, hanno sottolineato gli stati di salute ottimale e dell’essere ampliato, piuttosto che concentrarsi sulla malattia o psicopatologia"(pag. 57). Sembra che la messa a fuoco in analisi transazionale sulla patologia anziché sul benessere, su ciò che è sbagliato, piuttosto che su quello che potrebbe essere giusto, è in linea con le teorie psicologiche occidentali in generale. Kornfield (Kornfield, Ram Das & Miyuki, 1983) parla dell’enfasi che le psicologie occidentali pongono sull'analisi, sulle indagini e "l'aggiustamento della personalità," spesso trascurando il nostro legame più ampio con l'universo. "È come se si salga la montagna solo poco, e si abbia una vista molto ridotta dei campi e degli alberi, ma non si abbia il potere di vedere l'intero paesaggio, vale a dire, chi siamo è in relazione a tutto il resto" (pag. 35). Questo "in relazione a tutto il resto" mi rassicura. Infatti, nutre un bisogno in me: il desiderio di connettermi a qualcosa di superiore al sé individuale e conoscere me stessa nel contesto.

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Questo è un concetto ovvio in molte altre scuole di psicologia, paragonabile all’inconscio collettivo junghiano, il campo della gestalt e l'interdipendenza reciproca della pratica buddista. Per me ha senso che l’aggiustamento della personalità individuale — l'Adulto decontaminato — non può essere il fine, se stiamo parlando di un processo di maturazione. Sills (2007) la mette in questo modo: "La risoluzione della sofferenza comporta di più che un'espressione delle emozioni, una liberazione degli impatti dei traumi e delle mal regolazioni neurali, o di un riconoscimento e lasciar andare i processi difensivi o adattivi. Ad un livello più profondo si tratta di un riallineamento e riconnessione a qualcosa spesso oscurato dalla nostra esperienza soggettiva della vita, la nostra natura spirituale innata"(pag. 6). In questo contesto, è più facile vedere che cosa potrebbe stare ad indicare il vuoto che provo. L'accento culturale sull'integrazione individuale, essenziale com’è, deve essere bilanciata da, o forse portare alla consapevolezza del nostro essere connessi all'immagine più grande. La mancanza di questa connessione si manifesta nel modo in cui viviamo. Ancora una volta, prendo ad esempio me stessa: la mia mente si ferma raramente; analizza come un computer senza interruttore per spegnerla; discute costantemente con sé stessa, immagina attacchi dietro ogni angolo, è difensiva, vigile ed ansiosa. Questo crea un comportamento impulsivo, sempre in attesa di gratificazione e reattivo. Raramente mi rilasso e mi fermo, a meno che non sia addormentata, ed anche allora sono allerta. E’ facile intuire che non sono sola in questo. Io faccio parte di una cultura, che soffre di ADHD, Atten-tion Deficit Hyperactivity Disorder. Possiamo chiamare questo stato mentale “Adulto” o anche, mentalmente sano? Come faccio a stare centrata nel presente in un mondo che incoraggia la distrazione costante? Le vite impregnate che conduciamo “nella cultura guidata dalla tecnologia che consuma la nostra attenzione spesso produce una frenetica attività di multitasking che ci induce costantemente a fare, senza nessuno spazio per respirare e semplicemente essere” (Siegel, 2007, pag. 4). L’incapacità di ‘essere, semplicemente’ é il risultato inevitabile del problema più profondo toccato da Kornfield. Come può una mente individuale rilassarsi e smettere di pensare in una cultura che dà tale importanza alla mente razionale/irrazionale di ciascun individuo e che manca di qualsiasi tradizione, eccetto che attraverso il culto religioso, di capire ed esperire il modo in cui come l'individuo si inserisce nel quadro più ampio? Una mentalità che ritiene che la propria identità sia l'obiettivo finale sarà continuamente in lotta per sostenere se stessa in questa convinzione. Per ritornare alla metafora dell'oceano e delle onde, in Occidente, siamo incoraggiati a realizzare il nostro essere "onde" e per quelli di noi che hanno ferite psicologiche ed emotive, la psicoterapia è un dono inestimabile nell'aiutarci verso questa integrazione personale e guarigione. Ma se noi accettiamo che l’essere Adulto sia un processo in divenire, piuttosto che uno stato fisso, allora l’Adulto può non solo essere rafforzato, in termini di analisi transazionale, ma anche sviluppato. In altre parole, diventare Adulto implica non solo consolidamento, ma anche movimento in avanti. L’individuazione diventa un passo sulla via della maturazione, non la destinazione. Non c'è nessuna onda senza oceano, e di avere l'autonomia personale come obiettivo finale è come essere separati dalla nostra origine. Poiché è spaventoso essere divisi e disconnessi, facciamo di più di ciò che

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abbiamo imparato a fare, vale a dire lavoriamo di più, pensiamo più velocemente, ci stordiamo, guadagniamo di più, troviamo più cose da fare. Qualsiasi cosa che colmi il divario. Da questa prospettiva, il mio frenetico settaggio mentale è la manifestazione di una percezione culturale fondamentale: vedendo il sé solo come un individuo con un'identità fissa, non connesso a niente che sia più grande di se stessa. Riconosco nella mia propria esperienza, la tirannia della decaduta e grandiosa mente dualistica, sia spaventata che eccitata dal controllo che pensa di avere di diritto entro una cultura influenzata da Cartesio, vale a dire una cultura incorporata nella dottrina che la mente ed il corpo siano entità separate (Reyner in collaborazione con Laurence & Upton, 2001, pag. 46). Quella é una mente con una visione distorta di sé stessa, lontano dalla sua profondità e in bisogno di assistenza. Welwood (2000) descrive questa situazione come se la mente si comportasse da ‘erede al trono’ e dice che ‘per incoronare l’ego *la mente individuale+ come una struttura necessaria e durevole struttura della psiche, così come fa la psicologia occidentale, solidifica semplicemente la sua posizione centrale nelle nostre vite ed impedisce la nostra capacità di andare oltre a questa’ (pag. 39). Un’analogia potrebbe essere questa: così come in analisi transazionale vediamo spesso l’ego Bambino nel tentativo disperato di relazionarsi al mondo in assenza di un Adulto integrato, così potremmo dire che la mente individuale ha controllo, non perché sia indispensabile, ma per mancanza di qualsiasi altra autorità che diriga. Senza altre opzioni, la mia mente individuale può solo persistere nella sua illusione che sia l’unica cosa che esiste, incessantemente attenta nei suoi sforzi per difendersi. Si tratta di una mente separata dal corpo e dalla sua stessa natura essenziale, convinto della propria importanza, sostenuta dalla cultura e con nessun principio organizzante alternativo. Come può rilassarsi e sentirsi al sicuro? È una testa individuale che è tagliata fuori dalla sua sorgente di saggezza e allo stesso tempo le é dovuto di sapere tutto. Alla ricerca di un modo alternativo di vedere, il concetto di Welwood (1983) di "mente più grande" mi è stato utile. La mente a cui le tradizioni orientali sono più interessate non è la capacità di pensiero, ma piuttosto quello che il Zen master Suzuki Roshi chiamava "grande mente," un’apertura fondamentale e una chiarezza che risuona direttamente con il mondo intorno a noi. Questa grande mente non è stata creata o posseduta dall’ego di qualcuno; si tratta piuttosto di uno stato di veglia universale da cui ogni essere umano può attingere. L'apparato di pensiero razionale che conosciamo così bene in Occidente è, in questa prospettiva, una "piccola mente." (p. viii) Si suppone che Albert Einstein abbia suggerito che i problemi che abbiamo non possano essere risolti allo stesso livello del pensiero che li ha creati. Questo implicherebbe che una cultura che rispetta così tanto la mente razionale e non é in contatto con il corpo/mente intuitivo abbia bisogno di bilanciarsi con un altro modo di percepire il mondo se vogliamo sviluppare la nostra capacità di vera salute mentale. Per insediarsi nel processo di Adulto in modo più certo, quindi, può richiedere di cercarne fuori dalla norma culturale i mezzi, il know-how, per ritagliare spazio e tempo per ‘essere’, per essere nel corpo e per sviluppare una coscienza che capisca e che incorpori la nostra connessione con l'origine. Così, dove andiamo a cercare questa diversa consapevolezza del corpo/mente?

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Analisi Transazionale: Letteratura e Spiritualità Per una visione generale dell’analisi transazionale e della trascendenza personale, vi consiglio l’articolo di Trautmann (2003) “Psychotherapy and Spirituality”, in cui affronta il problema della spiritualità che nasce tra terapista e cliente; cita anche altri contributi nel campo dell’analisi transazionale. Lei scrive, "Transcendere il sé attraverso la risoluzione delle procedure automatiche, essendo in pieno contatto con noi stessi e con tutta la creazione, vivendo autenticamente e con integrità e abbracciando il mistero, al di là del sé‘ è ciò che la terapia può essere, qualsiasi parole si voglia utilizzare per descriverla o in qualunque modo vorremo avvicinarla."(pag. 36). Mellor (2008) parla del valore dei modelli o sistemi psicologici, compresa l'analisi transazionale, nell'aiutarci a liberare noi stessi da strutture, processi e comportamenti vecchi. Tuttavia, egli scrive, "C'è molto di più per noi dell’analisi transazionale o qualsiasi altro modello è in grado di descrivere, ed è da quel 'di più per noi' che la nostra libertà viene, a condizione che lo cerchiamo" (pag. 196). Clarkson (1992), affrontando la psicologia del sé in analisi transazionale, descrisse un sé “'distinto dagli elementi della personalità,' che non solo ci distingue uno dall’altro, ma 'anche distingue noi dai contenuti mutevoli della nostra coscienza'" (pag. 200). Questo implica, per me, uno stato di consapevolezza che possa testimoniare la nostra propria mente. Law (2006) ha scritto in profondità sull'osservatore/testimone nella sua rivalutazione del sé, che estende "la base teorica di analisi transazionale al di là dell’interazione tra persone verso le regioni dell’esperienza transpersonale" (pag. 334). Egli fa ampiamente riferimenti ad altri autori sul tema dell’analisi transazionale. L’analisi transazionale utilizza il concetto di "physis," naturalmente, che originariamente significava "cambiamento o crescita che viene dallo spirito dentro la persona" (Tilney, 1998, pag. 91). L’interpretazione di Clarkson (1992b) della physis come "la naturale aspirazione del sé alla crescita e sviluppo verso la salute, trascendente gli stati dell’ego" (p. 197) suggerisce un'apertura verso qualcosa oltre il senso del sé. Ha scritto che, avvicinandosi alla nostra vera natura attraverso il processo della psicoterapia, troviamo physis che lavora dentro di noi, e "allo stesso tempo, è accompagnata da una crescente consapevolezza e apprezzamento dei significati universali, una tensione verso la connessione con i valori spirituali, religiosi o trascendentali (pag. 197). La descrizione della Welwood dello stato di veglia universale insito nelle tradizioni orientali si collega direttamente al ‘qui ed ora’, mobile ed Adulto descritto da Tudor. Tudor (2003) rende questa connessione quando scrive, "L'attuale natura centrata sul presente dell'Adulto è compatibile, per esempio, con l’insegnamento buddista sulla filosofia, psicologia e pratica nella vita quotidiana" (pag. 220). Il sé trascendente, quindi, è stato trattato nell’analisi transazionale, ma forse esiste del potenziale ulteriore. Lo psicologo transpersonale Ken Wilber (1979) raccomanda l’analisi transazionale quando scrive che "riconosce la possibilità di livelli più profondi del proprio essere e quindi non sabota apertamente le intuizioni più profonde" (pag. 93).

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Passo ora alla meditazione di mindfulness (consapevolezza) e la pratica semplice, potente e difficile di stare seduti fermi e di usare il respiro per mettersi profondamente in contatto con noi stessi e con la ‘grande mente’ universale. Mindfulness Domanda: Tutti gli insegnanti consigliano di meditare. Qual è lo scopo della meditazione? Sri Nisargadatta Maharaj: Conosciamo il mondo esteriore fatto di sensazioni e azioni, ma del nostro mondo interiore fatto di pensieri e sentimenti ne sappiamo ben poco. L’obiettivo principale della meditazione é di diventare consci e familiarizzare con la nostra vita interiore. Lo scopo ultimo è raggiungere la fonte della vita e della consapevolezza. (Nisargadatta Maharaj, 1973, pag. 12) La pratica di Mindfulness comporta sia, o solo, una meditazione seduta formale sia, o anche solo, l'applicazione meno formale dell’attenzione nella vita quotidiana. La "mente" in mindfulness deve essere intesa come "grande mente": intuitiva, consapevolezza aperta, non razionale, mente individuale, mente che è connessa al corpo. Questo è il corpo/mente che "può sintonizzarsi con le sensazioni ed intuizioni sottili, con il flusso di energia e avere un senso di interrelazione con tutta la creazione" (Welwood, 2000, pag. 6). Mindfulness è stata descritta come consapevolezza non giudicante momento-per-momento; amicizia incondizionata verso se stessi; esperienza attraverso i sensi di una profonda connessione al corpo e al mondo esterno, a una realtà non dualistica; e un'inversione del "solitario impotente ‘cogito ergo sum’ di Descartes, penso dunque sono" (O'Donohue, 1997, pag. 97). Per conoscere mindfulness in profondità, vi rimando a Jon Kabat-Zinn (1990, 2005) e Daniel Siegel (2007). Siegel la descrive come una forma di sintonizzazione intrapersonale, una relazione con il sé e mostra nel lungo periodo i cambiamenti fisiologici e gli effetti positivi della mindfulness o consapevolezza sul funzionamento del cervello. Pat Ogden (Ogden, Minton & Pain, 2006), autore di Sensorimotor Psychotherapy, dice sinteticamente: "Mindfulness comporta l’orientare e l’assistere al flusso e riflusso dell'esperienza attuale " (pag. 193). Per me, queste pratiche, formali ed informali, sono uniche come mezzo per calmare la mente e adatte a ciò-che-è-proprio-ora, cioè, che impregnano l’essere centrato nel presente dell’Adulto. La meditazione non può essere afferrata intellettualmente; deve essere vissuta. Per questo motivo è più facile da descrivere in termini di ciò che non è invece che di quello che è. Non è dissociazione, concentrazione, fantasia o introspezione. È più un processo di ‘lasciar andare’, un rilasciare le occupazioni mentali indesiderate. Libera dal disordine, "la naturale attività della mente di stare allerta e attenta diventa manifesta" (Varela, Thompson & Rosch, 1991, pag. 31). Per semplificare ulteriormente, consiste nel tenere la mente ferma su un singolo oggetto, spesso sul respiro che sale e scende nel corpo, consentendo a qualunque cosa sorga nella mente o nelle emozioni di semplicemente essere lì e di riportare continuamente l’attenzione al corpo e alla propria esperienza. Questa pratica porta gradualmente la mente e il corpo in equilibrio e con questa arriva la sorprendente consapevolezza di quanto la mente e il corpo siano scoordinati di solito. Perché questo è importante? La separazione ci disconnette dalla nostra propria esperienza; il ricollegarsi ha ampie implicazioni. Nelle parole di Holifield (1998), "Forse più evidente è il contributo che questo rende alla

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guarigione dal dualismo della cultura, spostando l'enfasi predominante sulla mente per consentire una più ampia esperienza di sé" (pag. 61). Mindfulness mi porta nel vuoto, nello spazio tra i pensieri, e mi mostra che i miei pensieri non sono chi io sono. Nel vuoto, posso sentire il dramma interno, il rumore e le discussioni che si svolgono nella mia mente, tutte le cose io uso per evitare di essere presente con me stessa ora. Anche il discutere con me stessa sul modo giusto di essere presenti! "Noi immaginiamo che in qualche modo questo presente non sia giusto, che non lo sia abbastanza, e quindi non riposeremo in pace a livello globale in questo presente, ma invece iniziamo ad allontanarci da questo presente verso ciò che immaginiamo sarà un presente nuovo e migliore." (Wilber, 1979, pag. 137). Ma con la pratica, smetto di identificarmi con i pensieri, smetto di rispondere alla mia mente inquieta, individuale. Vedo più chiaramente la roboante cascata di elaborate paure, desideri, sentenze, emozioni e immagini accattivanti che vengono attivate da qualsiasi singolo pensiero. Stare seduta nella "grande mente" mi permette — attraverso l’esperienza piuttosto che la cognizione — una nuova prospettiva sulla "piccola mente" e il mio sé individuale. Comincio a vedere la distorsione e intravedo una realtà più grande. Nel tranquillo spazio seduto, la mia identità personale riprende proporzioni realistiche. Sebbene sia essenziale per il mio compimento come individuo, il mio "essere onda" è, alla fine, meno importante, ha minore controllo di quello che supponevo. E questa diminuzione dell'importanza dell'identità individuale non è, scopro, un problema, se non per la "piccola mente", naturalmente. È un sollievo, una liberazione! Libera energia. Mantenere le difese intorno al mio essere separata è un duro lavoro. Anche la meditazione è duro lavoro. Ma la differenza è questa: l'energia che era utilizzata per il pattugliamento dei perimetri della mia identità o per controllare "la mia patologia" ora viene utilizzata nella pratica della salute positiva, che è, mantenere il sé individuale in equilibrio e connesso con il tutto. La tranquillità del vuoto diventa la casa, il luogo da cui tutto il resto si verifica, piuttosto che un nulla timoroso da evitare a tutti i costi. La mia energia sta andando verso la salute, non la sopravvivenza. In che cosa si distingue mindfulness da una tecnica di terapia cognitivo comportamentale (cognitive-behavioral therapy CBT)? La differenza secondo me é che la pratica della meditazione mi dà un'esperienza corporea che supera la capacità dell'intelletto di afferrarla: quello della connessione. Diventiamo consapevoli in mindfulness, scrive Sills (2007), "non solo di un processo interno che sorge, sia una sensazione, un tono di sentimento, un pensiero o uno stato di coscienza, ma anche del suo rapporto con il mondo esterno e dell’interscambio relazionale e, ancora più importante, per sentire il flusso interconnesso dell’esperienza nel suo complesso" (pag. 170). Quindi, che risposte ho trovato al mio quesito originale, che era, come posso vivere nella neopsiche integrante? Per possedere in modo più sicuro il processo di Adulto, devo dimorare in me stessa più pienamente; ricordare che Adulto comporta la riconnessione della testa con il corpo; per valutare la mia esperienza fenomenologica, guarendo in tal modo la scissione dal mio proprio sapere; per riconoscere che il corpo/mente unificato è una fonte di informazione e saggezza, che storicamente la psicologia occidentale ha ignorato o sottovalutato; e per consentire alla mia mente, attraverso la meditazione, il sollievo della connessione ad una realtà più grande. Ho bisogno di andare a casa al mio sé essenziale.

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Lascio l'ultima parola a Kabat-Zinn (1990): impara a fermare tutte le tue occupazioni e a metterti in modalità "essere", impara a creare del tempo per te stesso, come rallentare e coltivare calma e auto-accettazione in te stesso, impara a osservare che cosa sta facendo la tua mente momento per momento, come guardare i tuoi pensieri e come lasciarli andare senza venire così coinvolto e guidato da loro, come fare spazio per nuovi modi di vedere vecchi problemi e per percepire l'interconnessione delle cose, queste sono alcune delle lezioni di mindfulness. (pag. 20) Implicazioni per la Relazione Terapeutica Il modo in cui noi vediamo noi stessi è, in certa misura, deciso culturalmente. Nel mondo occidentale, abbiamo posto un limite intorno al sé individuale più fermamente che in altre culture che potrebbero vedere la zona di confine tra il sé e il resto più in termini di famiglia o di identità tribale. "Quindi noi, come professionisti della salute mentale e membri partecipanti della cultura, ereditiamo una visione culturalmente unica sul sé come autonomo" (Fulton, 2008, pag. 58). Da una prospettiva buddista, molti dei nostri disturbi occidentali del sé si verificano in seguito di questo punto di vista: la percezione erronea che siamo separati e autonomi quando, in realtà, siamo innatamente interdipendenti e connessi. La pratica di mindfulness può aiutare i terapisti a abbracciare entrambe queste realtà contemporaneamente: l’immediata lotta individuale del cliente e il riconoscimento che lei o lui è anche parte di un "sottofondo più grande in cui tutto è una parte inestricabile di tutto il resto" (Fulton, 2008, pag. 64). Questa consapevolezza estesa può portare al lavoro un atteggiamento flessibile, calmo, aperto, un perdersi della necessità di difendere me stessa o di identificare me stessa come questa o quel tipo di terapeuta. Il focus diventa un'indagine reciproca nell’esperienza, un viaggio relazionale, piuttosto che la ricerca di soluzioni. Lo spazio interno mi permette di vedere più chiaramente e mi permette di porre la mia esperienza in un contesto culturale così come personale. Divento più consapevole di ciò che mi ‘spinge’, sia come individuo che come terapeuta: l'influenza, ad esempio, del colore della mia pelle, della razza, classe e sesso. La psicoterapia individuale copre un lungo percorso verso lo sviluppo di una base sicura, un senso stabile del sé. Tuttavia, anche la terapia uno-ad-uno rispecchia e perpetua l’orientamento individualistico della cultura. Il lavoro di gruppo, d’altro canto, ci permette di mettere in pratica quella stabilità, per provare la connessione, il feedback e validazione all'interno di una comunità più ampia, per vedere il panorama da un po' più alto sulla montagna. Il gruppo può fornire un contenimento sicuro per esplorare la differenza e per vedere se stessi in relazione agli altri. Questo processo aiuta a guarire più velocemente la nostra ferita culturale più antica, che in termini buddisti è la separazione da tutto il resto. Frank (2001) lo riassume in questo modo: "Il lavoro di terapia è di aiutare i clienti ad organizzare la loro consapevolezza in modo che essi stessi si sentano partecipi, piuttosto che alienati dal loro ambiente" (pag. 70) — e inoltre, forse, per vedere come il loro ambiente/cultura si inserisce nel quadro più ampio. Una parola sull’offrire mindfulness/meditazione ai clienti: a mio avviso, questo dipende dagli obiettivi terapeutici voluti. Condizionale alla capacità del cliente di concentrarsi sull’Adulto, questa pratica può essere utile come mezzo per calmare l’ansia, diventando radicato e sviluppando il sé osservatore. Non

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offrirei la meditazione, se il bisogno del cliente è di rilasciare una profonda emozione, di rafforzare i confini dell’ego, o di lavorare su dinamiche relazionali complesse. La capacità di possedere comunque la mia mente mi consente di fare pieno uso dell’immenso significato di ‘ora’. Stern (2004) ha scritto esaustivamente delle ricche opportunità che sono disponibili per il terapista e il cliente nel momento attuale, suggerendo che in esso risiede il microcosmo della realtà del cliente e, pertanto, il seme del cambiamento, la possibilità di una nuova esperienza. La nostra ansia, Stern suggerisce, può essere un ostacolo a rimanere aperti alla preziosa qualità ‘sconosciuta’ del momento presente. "Siamo generalmente meno inclini a tollerare la tensione maggiore dello stare nel qui ed ora. Diventa il percorso non preso, con tutte le opportunità perse che implica"(pag. 170). Quando posso rimanere aperta alla mia vulnerabilità, é probabile che sia meno preoccupata quando il mio cliente si avvicina al terrore del suo vuoto sconosciuto. La pratica di mindfulness è un modo non solo di tollerare, ma di sentirsi a casa in tale tensione. Se posso mantenere la mia mente comodamente nello spazio intersoggettivo, posso offrire al mio cliente l’incoraggiamento necessario a placare il suo proprio pensiero. Quando due menti sono ferme, poi c'è la possibilità di una delicata diffusione della vita del cliente davanti ai nostri occhi, in tutte la sua delicatezza, dolore e bellezza. Tutto questo diventa disponibile nella fragile imprevedibilità del momento attuale. Il Bisogno più Ampio Una volta che siamo consapevoli del fatto che essere qui oggi è l'unica possibilità che abbiamo per vivere pienamente la vita, il momento presente e l'attenzione portiamo ad esso diventa seriamente importante per noi stessi ed anche per il mondo. L'universale riflette l'individuale. Le turbolenze esterne riflettono il fermento interiore. Una mente individuale, che è disconnessa dal corpo, dal respiro, dal tutto, contribuisce ad un mondo frammentato, impulsivo, senza fiato. La capacità di sostenere la presenza nel neopsichico, mutevole Adulto è cruciale per il nostro futuro, perché è nella capacità di testimoniare il funzionamento della nostra mente che vediamo la scelta che noi facciamo in ogni momento: di vivere con moderazione e consapevolezza in intima connessione con noi stessi e il nostro ambiente o soccombere all'urgenza costante, alla paura e avidità endemica nella cultura. Non possiamo evitare di fare una scelta: "quello che emerge per noi come individui e come società nei momenti futuri sarà plasmato in larga misura dal se e come facciamo uso della nostra innata e incomparabile capacità di consapevolezza in questo momento" (Kabat-Zinn, 2005, pag. 1). Conclusione In questo articolo, suggerisco che l’Adulto non é solo un processo ma una pratica. Ho descritto come l’analisi transazionale, essendo una psicologia occidentale, verta sull'integrazione della personalità, e nella mia esperienza, questo da solo non può offrire l'ancoraggio necessario per vivere nel costante flusso dell’Adulto. In ultima analisi, deve essere bilanciata da una percezione alternativa (orientale) della mente al fine di fornire la stabilità in cui l’Adulto/ Io possa rimanere sia stabile e che evolversi. Suggerisco che la psicoterapia mi porta in un viaggio essenziale verso l'individuazione e che mindfulness offra il quadro in cui il viaggio può continuare verso la maturazione. Mostro i benefici che una mente ferma può portare alla relazione terapeutica e guardo brevemente implicazioni planetarie del prestare attenzione al momento attuale.

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