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MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO · una sanzione pecuniaria di entità compresa tra...

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_________________________________ Sede legale in Roma, Via del Serafico 107 MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO AI SENSI DELL’ART. 6, COMMA 1, LETT. A) DEL D. LGS. N. 231 DELL’8 GIUGNO 2001 ALLEGATO NR. 2.1): RIFERIMENTI GIURIDICI - Modifiche normative al D.Lgs. 231/2001 - Interazione tra D.Lgs n. 231/2001 e D.Lgs n. 81/2008 Revisione 2014 Approvato dall’Organo Amministrativo in data 30.1.2014
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_________________________________ Sede legale in Roma, Via del Serafico 107

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO

AI SENSI DELL’ART. 6, COMMA 1, LETT. A) DEL D. LGS. N. 231 DELL’8 GIUGNO 2001

ALLEGATO NR. 2.1):

RIFERIMENTI GIURIDICI

- Modifiche normative al D.Lgs. 231/2001

- Interazione tra D.Lgs n. 231/2001 e D.Lgs n. 81/2008

Revisione 2014

Approvato dall’Organo Amministrativo in data 30.1.2014

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 I

SOMMARIO

PREMESSA .................................................................................................................. 1

CAPITOLO 1

MODIFICHE NORMATIVE AL D.Lgs. n. 231/2001 ........................................................ 1

1.1 Piano della prevenzione della corruzione ................................................................... 1

1.2 D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di

pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche

amministrazioni” ................................................................................................... 4

1.3 D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 "Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di

incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico,

a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190”.............. 5

1.4 Brevi cenni al D.Lgs. n. 109/2012 ............................................................................ 7

1.5 La Legge 15 ottobre 2013, n. 119: dai reati 231 spariscono quelli contro la privacy ....... 8

CAPITOLO 2

INTERAZIONE TRA D.Lgs. n. 231/2001 e D.Lgs. n. 81/2008 .................................... 10

2.1 Brevi riflessioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro. ........................................... 10

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 1

PREMESSA

Il presente documento si pone l’obiettivo di contenere un approfondimento giuridico più

dettagliato rispetto all’allegato n. 2 “Riferimenti Giuridici”, costituendone un sotto-allegato.

Qualsiasi intervento da parte del Legislatore inerente il D.Lgs. n. 231/2001, sarà

costantemente e periodicamente inserito all’interno di questo testo, in modo tale da non

perdere mai di vista le modifiche legislative rilevanti ai fini della corretta applicazione del

decreto citato.

CAPITOLO 1

MODIFICHE NORMATIVE AL D.Lgs. n. 231/2001

1.1 Piano della prevenzione della corruzione

Con l’art. 1, comma 77 della legge 06/11/2012, n. 190, “Disposizioni per la prevenzione e la

repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione”, pubblicata in

Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13.11.2012, è stato diversamente rubricato l’art. 25; in

particolare è stata introdotta, in luogo della parola “corruzione” la locuzione “induzione indebita

a dare o promettere utilità e corruzione” e sono stati inseriti due nuovi reati-presupposto nel

novero di quelli previsti e puniti dal D.Lgs. n. 231/2001. Con questi due recentissimi interventi

si è cercato di recepire e di dare attuazione anche in Italia ad alcune delle prescrizioni

contenute nella Convenzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite contro la corruzione del 31

ottobre 2003 (c.d. convenzione di Merida, ratificata con legge n. 116/2009), nonché nella

Convenzione penale sulla corruzione approvata dal Consiglio d'Europa il 27 gennaio 1999 (c.d.

convenzione di Strasburgo, ratificata con legge n. 110/2012).

Enti, società e associazioni, pertanto, potranno da oggi rispondere in prima persona anche dei

reati di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319-quater c.p.) e di corruzione tra

privati (art. 2635 c.c.). Le nuove disposizioni sono entrate in vigore il 28 novembre 2012 e

hanno reso necessario per le imprese l’adeguamento dei modelli organizzativi predisposti ai

sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

Specificatamente, il reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui al nuovo art.

319-quater c.p., introdotto nell’alveo dei reati-presupposto del D.Lgs. n. 231/2001 all'art. 25,

comma 3 (accanto a corruzione e concussione), sanziona, salvo che il fatto costituisca più

grave reato, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che,

abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce qualcuno a dare o a promettere

indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, nonché la condotta di chi dà o

promette denaro o altra utilità (al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio).

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 2

Tale fattispecie, dunque, richiama il reato, ora eliminato dalla c.d. legge anticorruzione, di

“concussione per induzione”, ponendosi, tuttavia, sia per la sua collocazione nell'ambito del

codice che per alcuni dei suoi elementi caratteristici, in una posizione intermedia tra la

concussione e la corruzione (posizione, comunque, più prossima alla corruzione). Ed invero, il

reato in commento si differenzia dalla concussione sia per quanto attiene il soggetto attivo

(che può essere, oltre al pubblico ufficiale, anche l'incaricato di pubblico servizio), sia per

quanto attiene alle modalità per ottenere o farsi promettere il denaro o altra utilità (che

nell'ipotesi criminosa in questione, consiste nella solo induzione), che per la prevista punibilità

anche del soggetto che dà o promette denaro o altra utilità, così come avviene per il reato di

corruzione.

Si evidenzia, a tal proposito, che proprio il possibile coinvolgimento – e la conseguente

punibilità – di un soggetto terzo rispetto alla pubblica amministrazione comporta i maggiori

rischi per enti, società e associazioni, dato che, come è noto, le disposizioni del D.Lgs. n.

231/2001 non si applicano allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non

economici (nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale), circostanza che

rende certamente meno agevole, ma non l’esclude, l’incriminazione dell’ente per fatto del

pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

L'introduzione di tale nuova fattispecie nell'alveo dei reati-presupposto ex D.Lgs. n. 231/2001,

tra l’altro, non è di poco conto per gli enti se si considera che oltre al rischio che sia comminata

una sanzione pecuniaria di entità compresa tra trecento a ottocento quote (equivalente ad una

condanna pecuniaria che può arrivare fino a un milione duecentomila euro), vi è anche quello

che venga applicata, quale misura interdittiva e per una durata non inferiore ad un anno, la

sospensione dell'attività, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione o il

commissariamento (ai sensi dell’art. 14, comma 3, del citato decreto, anche congiuntamente).

Il reato di corruzione tra privati, di converso, viene collocato nell'ambito dei reati societari

disciplinati dal codice civile e va a sostituire il precedente art. 2635 c.c., rubricato “Infedeltà a

seguito di dazione o promessa di utilità”, con contestuale sua introduzione, limitatamente al

comma 3, nel novero dei c.d. reati-presupposto all’art. 25-ter, comma 1, lett. s-bis) , D.Lgs. n.

231/2001.

L’art. 2635 c.c. sanziona, infatti, salvo che il fatto costituisca più grave reato, “gli

amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili

societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o

altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti

al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società” (comma 1), con

pena più lieve se il fatto è commesso “da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno

dei soggetti indicati al primo comma” (comma 2). È imputabile, insieme al corrotto anche il

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 3

corruttore ovvero “chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel

secondo comma” (comma 3).

Ebbene, l'art. 25-ter D.Lgs. n. 231/2001 prevede quale reato-presupposto il delitto di

corruzione tra privati, nei soli “casi previsti dal terzo comma dell'articolo 2635 del codice civile”

ai quali applica una sanzione pecuniaria dalle duecento alle quattrocento quote (sanzione

equivalente ad una condanna pecuniaria che può arrivare fino a seicentomila euro). Pertanto,

con riferimento a tale fattispecie una eventuale responsabilità può sorgere soltanto in capo

all’ente al quale appartiene il soggetto corruttore, ossia colui che “dà o promette denaro o altra

utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma” dell’art. 2635 c.c. (amministratori,

direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, sindaci,

liquidatori e persone sottoposte alla direzione o vigilanza di uno dei citati soggetti). I due nuovi

reati-presupposto, dunque, unitamente alle numerose altre modifiche apportate dalla c.d.

legge anticorruzione a diversi illeciti penali contro la P.A. che già rientravano nell'alveo dei

reati-presupposto ex D.Lgs. n. 231/2001, impongono ad enti, società e associazioni di

procedere ad una tempestiva e significativa revisione dei modelli già esistenti per uniformarli

alle nuove prescrizioni o di adottare un modello 231 ex novo, al fine di scongiurare eventuali

responsabilità e pesanti condanne.

Oltre ai nuovi reati inseriti nel nuovo catalogo dei delitti da cui può scaturire eventualmente

delle società, va segnalato che la nuova legge ha modificato numerosi illeciti (che già

rientravano nel D.Lgs. n. 231/01) come la “concussione” (art. 317 c.p.), la “corruzione per

l’esercizio della funzione” (art. 318 c.p.), la “corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio”

(art. 319 c.p.), la “corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio” (art. 320 c.p.), la

“istigazione alla corruzione” (art. 322 c.p.), la “corruzione in atti giudiziari” (art. 319 c.p.), il

“peculato”, la “concussione”, la “corruzione”, “l’istigazione alla corruzione di membri degli

organi dell’UE e di funzionari delle Comunità Europee e di stati esteri” (art. 322-bis c.p.); in

alcuni casi si tratta di un inasprimento delle pene, in altri cambiano i potenziali soggetti attivi

del reato (per esempio incaricati di pubblico servizio, membri degli organi o funzionari

dell’Unione o degli Stati esteri).

Per quanto concerne, invece, l’art. 346-bis c.p., introdotto anch’esso dal D.Lgs. n. 190/2012

rubricato “Traffico di influenze illecite”, si fa presente che detta norma non è stato inserita nel

contesto del D.Lgs. n. 231/2001. Il nuovo reato, infatti, non viene inserito tra i reati-

presupposto della responsabilità degli enti collettivi ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001. La

corporate liability per il reato di trading in influence è invece richiesta sia dalla Convenzione di

Merida (art 26, in relazione al reato di cui all’art 18) che da quella del Consiglio d’Europa (art

18, in relazione al reato di cui all’art 12). Durante i lavori parlamentari l’estensione del D.Lgs.

n. 231/2001 al reato di traffico di influenze era previsto da numerosi disegni di legge (AC

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 4

3850, AC 4501, AC 4516; AS 2164, AS 2168, AS 2174, AS 2340, per cui l’ente, secondo questi

disegni di legge, poteva essere punito con sanzione pecuniaria fino ad 800 quote e con le

sanzioni interdittive di cui all’art 9 comma 2 del D.Lgs. n. 231/2001), i quali inserivano la

fattispecie nell’art 25, del quale, anzi, si modificava la stessa rubrica (“Corruzione e traffico di

influenze illecite”). Nulla di tutto ciò nel testo definitivo della Legge. Dal momento che si sono

voluti punire atti di persone fisiche, preparatori rispetto alla corruzione vera e propria, lo

stesso bisognava fare in relazione alle persone giuridiche. Il mediatore illecito può ben essere

un soggetto privato e, pertanto, agire nell’interesse della società in cui è incardinato; così pure

il suo finanziatore. Ad oggi, pertanto, a meno che la condotta di mediazione non sfoci nella

corruzione, almeno tentata, gli enti nel cui interesse è stata realizzata la condotta di traffico di

influenze non rispondono ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001.

Tutta la legge 190/2012, imperniata sulla lotta alla corruzione, è strettamente correlata agli

obblighi di pubblicità e trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche

amministrazioni, recentemente introdotti dal D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33. Tali obblighi, infatti,

sono uno dei principali strumenti per combattere la corruzione, proprio perché “è più difficile

cadere in tentazione” quando si è sotto l'occhio di tutti.

1.2 D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 "Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di

pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche

amministrazioni”

In merito agli strumenti previsti, in primo luogo, si punta sulla pianificazione delle attività, da

un lato, attraverso il Programma triennale per la trasparenza e l'integrità (art. 10 del D.Lgs n.

33/2013), dall'altro, attraverso i piani di prevenzione alla corruzione emanati da ciascuna

amministrazione sulla base di un Piano nazionale predisposto dal Dipartimento della funzione

pubblica; in secondo luogo, in ciascuna amministrazione deve essere nominato, in un caso, un

responsabile per la trasparenza (art. 43 del D.Lgs. n. 33/2013), nell'altro caso, un responsabile

per la prevenzione della corruzione e anzi, di norma, le due figure coincidono. I responsabili

per la trasparenza sono sottoposti – art. 45, comma 2 -al controllo della ex CIVIT,

Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle pubbliche amministrazioni,

divenuta dal 31 ottobre 2013 Autorità Nazionale AntiCorruzione e per la valutazione e la

trasparenza delle pubbliche amministrazioni (A.N.A.C.) ai sensi dell’art. 5 della legge 30

ottobre 2013, n. 125 con cui è stato convertito in legge con modificazioni il D.L. n. 101/2013,

recante “Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione delle

pubbliche amministrazioni”.

La disciplina è molto analitica e prevede obblighi di pubblicità sia ai fini di un controllo

democratico dal basso, sia a fini di agevolare i contatti tra cittadini e pubblica amministrazione.

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 5

L'effettiva osservanza degli obblighi di trasparenza è garantita da una serie di norme

sanzionatorie. Per esempio, in caso di mancata o incompleta pubblicazione dei dati relativi agli

enti pubblici e privati, nonché alle società pubbliche in qualche modo riferibili a una pubblica

amministrazione, scatta un divieto di erogazione a loro favore di qualsivoglia finanziamento

(art. 22); la pubblicazione degli atti di concessione di sussidi, contributi e altre forme di

erogazione a soggetti privati è condizione perché gli atti adottati acquistino efficacia (art. 26).

Questo tipo di disposizioni dovrebbero superare una delle principali lacune della legge n.

241/1990 che hanno favorito la sua inattuazione.

Un'altra novità di rilievo è costituita dalla standardizzazione dei siti istituzionali nei quali

dovranno essere pubblicate le informazioni. Fino a oggi, infatti, ogni amministrazione era libera

di configurare il proprio sito. In molti casi, talvolta volutamente, l'accesso ai dati rilevanti

passava attraverso percorsi complicati, tanto da confondere o dissuadere l'utente. Il D.Lgs n.

33/2013 prevede che i siti contengano una sezione denominata “Amministrazione trasparente”

e che a essa si possa accedere senza filtri tali da impedire l'impiego di motori di ricerca web

per agevolare l'accesso ai dati (articolo 9). Inoltre, un allegato al decreto, indica con precisione

le sottosezioni di primo e di secondo livello così da rendere più semplici i confronti.

1.3 D.Lgs. 8 aprile 2013, n. 39 "Disposizioni in materia di inconferibilità e

incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti

privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge

6 novembre 2012, n. 190”

In attuazione dell'art. 1, commi 49 e 50, della legge anticorruzione, è stato pubblicato sulla

Gazzetta Ufficiale del 19 aprile 2013 il D.Lgs. "Disposizioni in materia di inconferibilità e

incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in

controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.

190".

Il Decreto, attuativo di una disposizione contenuta nella Legge anticorruzione, si applica a tutta

la Pubblica Amministrazione e alle società partecipate.

Il nuovo decreto stabilisce una serie articolata e minuziosa di cause di inconferibilità e

incompatibilità (con obbligo in questo secondo caso di scegliere, a pena di decadenza, entro il

termine perentorio di 15 giorni, tra l'uno e l'altro incarico) con riferimento alle seguenti

tipologie di incarichi:

incarichi amministrativi di vertice (ad esempio, segretario dell'ente locale o direttore);

incarichi dirigenziali o di responsabilità, interni e esterni, nelle pubbliche amministrazioni e

negli enti di diritto privato in controllo pubblico;

incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico.

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 6

Le fattispecie previste sono:

Art. 3. Inconferibilità di incarichi in caso di condanna per reati contro la pubblica

amministrazione, anche con sentenza non passata in giudicato;

Art. 4. Inconferibilità di incarichi a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o

finanziati;

Art. 7. Inconferibilità di incarichi a componenti di organo politico di livello regionale e locale;

Art. 9. Incompatibilità tra incarichi e cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati nonché

tra gli stessi incarichi e le attività professionali;

Art. 11. Incompatibilità tra incarichi amministrativi di vertice e cariche di componenti degli

organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali;

Art. 12. Incompatibilità tra incarichi dirigenziali interni e esterni e cariche di componenti degli

organi di indirizzo nelle amministrazioni statali, regionali e locali;

Art. 13. Incompatibilità tra incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo

pubblico e cariche di componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali,

regionali e locali;

Art. 14. Incompatibilità tra incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali e cariche di

componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali.

Il responsabile del piano anticorruzione di ciascuna amministrazione pubblica verifica che siano

rispettate le disposizioni del decreto in esame, segnalando i casi di possibile violazione

all'Autorità nazionale anticorruzione, all'Autorità garante della concorrenza e del mercato ai fini

dell'esercizio delle funzioni di cui alla legge n. 215/2004, nonché alla Corte dei conti, per

l'accertamento di eventuali responsabilità amministrative. Un eventuale provvedimento di

revoca dell'incarico amministrativo di vertice o dirigenziale conferito al soggetto responsabile

del piano anticorruzione, comunque motivato, è comunicato all'Autorità nazionale

anticorruzione che, entro 30 giorni, può formulare una richiesta di riesame qualora rilevi che la

revoca sia correlata alle attività svolte in materia di prevenzione della corruzione; decorso tale

termine, la revoca diventa efficace.

Nell'art. 1, rubricato "Definizioni", viene declinata la distinzione tra le due principali fattispecie

regolamentate dalla norma, ovvero l'inconferibilità e l'incompatibilità.

Per inconferibilità (lett. g) s'intende: "la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli

incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i

reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano

svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche

amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati

componenti di organi di indirizzo politico".

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 7

L'incompatibilità (lett. h) viene invece definita come "l'obbligo per il soggetto cui viene

conferito l'incarico di scegliere, a pena di decadenza, entro il termine perentorio di quindici

giorni, tra la permanenza nell'incarico e l'assunzione e lo svolgimento di incarichi e cariche in

enti di diritto privato regolati o finanziati dalla pubblica amministrazione che conferisce

l'incarico, lo svolgimento di attività professionali ovvero l'assunzione della carica di

componente di organi di indirizzo politico".

Giova evidenziare sin da subito il tenore letterale della norma che parla di obbligo di scelta tra

la permanenza nell'incarico dirigenziale e "l'assunzione" della carica di componente di organi di

indirizzo politico.

Dalla lettura del combinato disposto degli artt. 1, lett. g) e h), e 12 del decreto risulta evidente

che il legislatore ha dettato una disciplina differente per le diverse ipotesi di incompatibilità:

mentre per le ipotesi di cui all'art. 12, comma 1 (componente dell'organo di indirizzo nella

stessa amministrazione o nello stesso ente pubblico che ha conferito l'incarico, carica di

presidente e amministratore delegato nello stesso ente di diritto privato in controllo pubblico

che ha conferito l'incarico) l'incarico dirigenziale è incompatibile con l'assunzione e il

mantenimento della carica; per quelle di cui all'art. 12, commi 2, 3 e 4 (incarichi pubblici

elettivi) il legislatore parla di incompatibilità in via generale e pertanto ai sensi dell'art. 1, lett.

h), l'incarico è incompatibile con l'assunzione della carica politica e non con il mantenimento di

quella già assunta.

All'interno del Capo VIII ("Norme finali e transitorie"), l'art. 20 stabilisce la seguente disciplina:

- all'atto del conferimento dell'incarico l'interessato presenta una dichiarazione

sull'insussistenza di una delle cause di inconferibilità (comma 1);

- nel corso dell'incarico l'interessato presenta annualmente una dichiarazione

sull'insussistenza di una delle cause di incompatibilità (comma 2).

Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 2 sono pubblicate nel sito della pubblica amministrazione,

ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico che ha conferito l'incarico. La

dichiarazione di cui al comma 1 è condizione per l'acquisizione dell'efficacia dell'incarico.

Tale norma, applicabile a regime, chiarisce che le cause di inconferibilità vanno verificate una

tantum alla data di conferimento dell'incarico, mentre l'incompatibilità è un vizio che può

insorgere anche successivamente.

1.4 Brevi cenni al D.Lgs. n. 109/2012

Una ulteriore modifica al decreto legislativo in argomento, è stata apportata dal D.L.gs. 16

luglio 2012, n. 109 “Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime

relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di

Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, con decorrenza dal 9 agosto 2012, il cui art. 2 ha

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 8

introdotto l’art. 25-duodecies così rubricato: “Impiego di cittadini dei paesi terzi il cui soggiorno

è irregolare”, che sanziona, sotto l’aspetto pecuniario (da 100 a 200 quote, entro il limite di

150.000 euro) l’ente che ha impiegato lavoratori dei paesi terzi sprovvisti di permesso di

soggiorno nelle ipotesi di cui all’art. 22, comma 12-bis D.Lg. n. 286/1998: a) se i lavoratori

occupati sono in numero superiore a tre; b) se i lavoratori occupati sono minori in età non

lavorativa; c) se i lavoratori occupati sono sottoposti alle altre condizioni lavorative di

particolare sfruttamento.

1.5 La Legge 15 ottobre 2013, n. 119: dai reati 231 spariscono quelli contro la

privacy

La Legge 15 ottobre 2013, n. 119, pubblicata sulla G.U. n. 242 del 15 ottobre 2013, con la

quale è stato convertito con modificazioni il Decreto Legge 14 agosto 2013, n. 93, recante

disposizioni urgenti in materia di sicurezza e contrasto alla violenza, ha soppresso la

disposizione che prevedeva l’estensione del catalogo dei reati che possono dar luogo a

responsabilità amministrativa dell’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001. Dal 17 agosto scorso,

infatti, il predetto D.L. 93/2013 all’art. 9, comma 2, aveva ampliato il contenuto dell’art. 24-bis

del D.Lgs 231/2001, introducendo alcuni importanti delitti in materia di privacy, che si sono

aggiunti ai reati-presupposto idonei a far scattare la responsabilità dell’ente, in sede penale, ai

sensi del citato D.Lgs. 231/2001.

Si ricorda che il D.Lgs. 231/2001 estende agli enti collettivi (persone giuridiche, società e

associazioni) la responsabilità per alcuni reati commessi nell’interesse o a vantaggio degli

stessi, da persone fisiche in posizione apicale o subordinata. Tale responsabilità, accertata in

tribunale da un giudice penale, prevede sanzioni formalmente amministrative (pecuniarie o

interdittive) ma particolarmente afflittive e di natura sostanzialmente penale. In aggiunta alla

responsabilità della persona fisica che realizza l’eventuale fatto illecito in materia di privacy è

dunque stata prevista anche la responsabilità dell’ente; alle sanzioni per le persone fisiche già

previste dal D.Lgs. 196/2003 sono state aggiunte quindi le sanzioni per l’Ente previste dal

D.Lgs. 231/2001.

Per effetto delle modifiche recate dalla Legge di conversione n. 119/2013, con la soppressione

del comma 2 dell’art. 9 del decreto-legge 93/2013, l’ente non potrà più essere chiamato a

rispondere per le fattispecie di trattamento illecito dei dati (art. 167 Codice della privacy),

falsità nelle dichiarazioni al Garante (art. 168 Codice della privacy), inosservanza dei

provvedimenti del Garante (art. 170 Codice della privacy), frode informatica commessa con

sostituzione dell’identità digitale (art. 640ter, co. 3, c.p.), indebito utilizzo, falsificazione,

alterazione e ricettazione di carte di credito o di pagamento (art. 55, co. 9, D.Lgs. 21

novembre 2007, n. 231).

RIFERIMENTI GIURIDICI

MODELLO DI ORGANIZZAZIONE, GESTIONE E CONTROLLO – ALLEGATO 2.1 9

In particolare, si riporta l’Articolo 9 - Frode informatica commessa con sostituzione d'identità

digitale - prima e dopo la conversione in legge (in neretto sottolineato le modifiche).

1. All’articolo 640-ter del codice penale, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il secondo comma, è inserito il seguente:

“La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 600 a euro 3.000 se il

fatto è commesso con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più

soggetti.”;

b) al terzo comma, dopo le parole “di cui al secondo” sono inserite le seguenti: “e terzo”.

(2. All’articolo 24 -bis , comma 1, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, le

parole “e 635- quinquies ” sono sostituite dalle seguenti: “, 635 -quinquies e 640 -

ter, terzo comma,” e dopo le parole: “codice penale” sono aggiunte le seguenti:

“nonché dei delitti di cui agli articoli 55, comma 9, del decreto legislativo 21

novembre 2007, n. 231, e di cui alla Parte III, Titolo III, Capo II del decreto

legislativo 30 giugno 2003, n. 196.”.) (comma soppresso).

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CAPITOLO 2

INTERAZIONE TRA D.Lgs. n. 231/2001 e D.Lgs. n. 81/2008

2.1 Brevi riflessioni in tema di salute e sicurezza sul lavoro.

La legislazione italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro, disciplinata dal D.Lgs n.

81/2008, deve oggi confrontarsi anche con le disposizioni previste dal D.Lgs n. 231/2001. La

particolarità di tale disposizione legislativa, spesso denominata “responsabilità amministrativa

degli enti”, è che i destinatari non sono le persone fisiche ma quelle giuridiche (enti, società,

ecc.), con esclusione espressa dello Stato, degli enti pubblici territoriali, nonché degli enti che

svolgono funzioni di rilievo costituzionale, prevedendo la responsabilità amministrativa delle

società per fatti-reato commessi dai suoi vertici aziendali.

In realtà il D.Lgs n. 231/2001 ha tutte le caratteristiche di una norma penale, ma poiché il

nostro ordinamento prevede come destinatari della giustizia penale solo le persone fisiche, il

Legislatore ha adottato la dizione “responsabilità amministrativa degli enti” per non entrare in

conflitto eclatante con detto principio di diritto.

Il D.Lgs n. 231/2001 nasce per punire una serie di reati come la corruzione, la concussione, il

falso in bilancio ed ha suscitato, negli anni successivi alla sua emanazione, un interesse

limitato tra le aziende e gli enti in genere. Con l’emanazione della legge n. 123/2007 e con il

D.Lgs n. 81/2008, il campo di applicazione del D.Lgs n. 231/2001 è stato esteso anche

“all’omicidio colposo e alle lesioni colpose gravi o gravissime, commessi in violazione delle

norme antinfortunistiche sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro”. L’estensione, quindi,

delle “responsabilità amministrative” alla salute e sicurezza sul lavoro, ha ampliato

enormemente il numero delle imprese interessate, suscitando grande preoccupazione nel

mondo aziendale e societario a causa delle pesanti ripercussioni economiche e soprattutto

interdittive che possono derivare dall’inosservanza di tale normativa.

Il D.Lgs n. 231/2001 prevede che i reati vengano commessi nell’interesse o a vantaggio

dell’ente da:

- Persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione e di direzione dell’ente

o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da

persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso (c.d. “soggetti

apicali”);

- Persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui sopra (c.d.

“soggetti sottoposti”).

Pertanto, scatta il concetto di responsabilità dell’ente se determinati reati vengono commessi

da parte di soggetti che si trovano in un rapporto funzionale con l’ente a condizione che il reato

sia stato commesso nell’interesse dell’ente o a suo vantaggio. Nel caso del reato trattato in

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questa sede, il vantaggio o l’interesse per l’azienda si realizza soprattutto nel risparmio

generato dalla mancata attuazione delle misure di prevenzione e protezione. L’unico percorso

previsto dalla legge per non incorrere nelle pesantissime sanzioni previste, è l’adozione di un

modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo a prevenire il reato della specie di quello

verificatosi.

E’ da premettere che il D.Lgs n. 231/2001 è particolarmente “avaro” nel fornire indicazioni su

quali debbano essere gli elementi costituivi di tale modello di organizzazione, gestione e

controllo (c.d. “MOG”), mentre la normativa statale è puntuale nel disciplinare i modelli idonei

(c.d. “sistemi di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro”, detti anche “SGSL”) a

prevenire i reati legati alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Da subito, comunque, è opportuno

fare una netta distinzione tra i “SGSL” ed i “MOG”: i primi, infatti, nascono per prevenire

infortuni e malattie professionali nei luoghi di lavoro; i secondi per prevenire la commissione di

un reato. Pertanto, la prima azione di prevenzione che un MOG deve attuare riguarda il

comportamento del management aziendale, che non deve essere tentato dal trarre profitto

risparmiando sull’osservanza delle norme antinfortunistiche; ipotesi questa non infrequente, in

quanto permane ancora un’errata, ma diffusa, concezione secondo la quale la sicurezza è un

costo e non un investimento, per cui si può tranquillamente “tagliare”, soprattutto in un

periodo storico come quello attuale, dominato da una profonda crisi economica.

Come sopra accennato, l’inserimento dei dati relativi alla salute e sicurezza sul lavoro tra quelli

soggetti alla responsabilità amministrativa delle imprese, avviene inizialmente con la Legge n.

123/2007; ma è con il D.Lgs n. 81/2008 che tale elemento entra a far parte a pieno titolo nella

legislazione italiana in materia di salute e sicurezza sul lavoro. E’ opportuno quindi soffermarsi

sugli articoli del c.d. “testo unico” che disciplinano tali aspetti e, in particolare, gli articoli 300 e

30 del citato D.Lgs n. 81/08.

L’art. 300 prevede il reato e disciplina le sanzioni che sono differenziate in funzione della

gravità del reato stesso, distinguendo tra omicidio colposo commesso in assenza di valutazione

del rischio, da fattispecie meno gravi. Quello che preme sottolineare è che trattasi di sanzioni

non solo pecuniarie (che, comunque, non sono trascurabili, in quanto possono arrivare alla

somma di un milione e mezzo di Euro) ma anche interdittive, tant’è che il Giudice può

ordinare, nel caso più grave, ad un’azienda la non partecipazione a gare pubbliche o la

sospensione di autorizzazioni o altro anche per un limite temporale di un anno.

Un altro passaggio non banale riguarda la definizione di modello organizzativo e gestionale

previsto dall’art. 2 lett. dd) che testualmente recita: “«modello di organizzazione e di

gestione»: modello organizzativo e gestionale per la definizione e l'attuazione di una politica

aziendale per la salute e sicurezza, ai sensi dell'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto

legislativo 8 giugno 2001, n. 231, idoneo a prevenire i reati di cui agli articoli 589 e 590, terzo

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comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla

tutela della salute sul lavoro”. E’ interessante rilevare che questa definizione, ovviamente,

riguarda i “MOG” (modelli di organizzazione, gestione e controllo) attivati per prevenire i reati

relativi alla salute e alla sicurezza e, nel richiamare l’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs n.

231/2001 (“soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente”) dissipa ogni

dubbio possibile sulla necessità che tali MOG devono rispondere ai requisiti previsti dal D.Lgs n.

231/2001 medesimo.

Infine, l’art. 30 del D.Lgs n. 81/2008, nei suoi primi 4 commi, indica, anche dal punto di vista

tecnico, i requisiti che un MOG deve avere per garantire l’efficacia esimente della responsabilità

amministrativa. E’ con il comma 5, poi, che le linee guida UNI-INAIL del 28 settembre 2001 e

le British Standard OHSAS 18001:2007 vengono espressamente citate come conformi per “le

parti corrispondenti” al MOG descritto nei commi 1, 2, 3 e 4. Questo passaggio fondamentale

riconosce finalmente agli SGSL (sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro)

l’importanza che meritano nel gestire gli aspetti di salute e sicurezza e, quindi, nel prevenire

infortuni sul lavoro e malattie professionali. Sempre il comma 5 ed il 5-bis, demandano alla

commissione consultiva permanente:

- la possibilità di indicare ulteriori modelli di MOG;

- il compito di elaborare procedure semplificate per l’adozione e l’efficace attuazione dei MOG

nelle piccole e medie imprese.

L’obiettivo della riduzione di infortuni e malattie professionali è di per sé motivo sufficiente per

sposare un’attenta politica di prevenzione ed adottare un SGSL (sistema di gestione della

salute e sicurezza sul lavoro). A riprova ulteriore dell’opportunità di adottare tale metodologia

gestionale, è opportuno porre l’attenzione su come il verificarsi di un evento lesivo al

lavoratore sia causa di costi che vengono molto spesso sottostimati dall’azienda; si pensi ai

danni ai macchinari, al fermo di produzione, alla sostituzione dell’infortunato o ancora al danno

di immagine. Comprendere il valore dell’attività di prevenzione degli infortuni sul lavoro,

significa capire come la prevenzione sia “un investimento” e non un costo.

Per questi motivi l’INAIL offre più di un servizio per sostenere gli investimenti di prevenzione, il

primo di questi strumenti attivo dal 2000, è la riduzione del premio assicurativo INAIL di cui

all’art. 24 D.M. 12/12/2000, laddove viene riconosciuto un vero e proprio sconto sul premio

assicurativo a quelle aziende (pubbliche o private) che, essendo in regola con la normativa

cogente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e con gli obblighi contributivi nei confronti di

INAIL e INPS, dimostrano un’attenzione alla prevenzione nei luoghi di lavoro che va oltre il

mero rispetto della normativa.

Ma lo strumento più recente che l’INAIL attua dal dicembre 2010 è il finanziamento, per larga

parte a fondo perduto (nella misura del 50%), per progetti volti al miglioramento delle

RIFERIMENTI GIURIDICI

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condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro, che essa eroga alle imprese, ex art. 11, comma 5,

del D.Lgs n. 81/2008.

Ancora una volta l’adozione e la certificazione di un SGSL sotto accreditamento Accredia ha un

percorso privilegiato, ma anche l’adozione di un modello MOG ex D.Lgs n. 231/2001 trova una

sua specifica collocazione e quindi finanziabilità. E’ opportuno ricordare che tutte le misure qui

ricordate sono additive, per cui un’azienda può ottenere un finanziamento per l’adozione di un

SGSL o di un MOG e poi, ogni anno, ottenere lo sconto sul premio assicurativo.

In conclusione, pertanto, è possibile affermare come l’approccio organizzativo alla prevenzione

sui luoghi di lavoro sia ormai un dato giuridico incontrovertibile e irrinunciabile. La soluzione

più razionale consiste sicuramente nell’implementare un SGSL nell’ottica del D.Lgs n. 81/2008

e dotarsi, quindi, di un sistema disciplinare e di un organismo di vigilanza che possa realmente

far diminuire le probabilità che si verifichi un infortunio sul lavoro; e se tale ipotesi dovesse

accadere, l’azienda avrà, comunque, un formidabile strumento di difesa di fronte al magistrato,

salvaguardando, così, l’operatività aziendale e la sicurezza dei posti di lavoro.


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