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MOMIO CARTELLA STAMPA - momiofirenze.itmomiofirenze.it/wp-content/uploads/2018/08/CS-Momio.pdf ·...

Date post: 18-Feb-2019
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MOMIO CARTELLA STAMPA Il contesto Definito nel 2017 dalla guida Lonely Planet come il quartiere più cool del mondo, San Frediano è uno dei luoghi fiorentini che valgono bene una visita. Situato nell’Oltrarno, al di là del circuito turistico più classico che va dal Duomo agli Uffizi a Santa Croce, San Frediano ha mantenuto nel tempo un’integrità e un’identità storica che lo rendono unico, con le strette vie e i piccoli marciapiedi, quell’aria un po’ scanzonata, ma soprattutto con le botteghe artigiane e i tanti locali che attraggono i giovani e non solo, l’aura da hipster, come è stata definita dalla Lonely Planet gli deriva da questo fermento culturale contemporaneo, in perfetto contrappunto con l’atmosfera d’antan dei palazzi storici e dei mestieri, con i gesti dimenticati eppure vivi dei suoi abitanti. È in questo mood che a giugno 2017 la giovane coppia – nel lavoro come nella vita – Marco Lagrimino e Nadia Moller ha dato vita a Momio, un locale dal concept multiforme dislocato sui due piani di un palazzo cinquecentesco che pare sia stata una rimessa per carrozze, e il cui nome curioso deriva dal nomignolo 'Mo Mio che i due ragazzi si davano da piccoli, abbreviazione di Amore Mio. Il locale Dopo un attento intervento di restauro e allestimento curato da un team di professionisti, oggi Momio è un locale arredato con gusto retrò, in un mix di stili che lo colloca al di fuori di ogni coordinata da classificazione, ma che rende l’ambiente piacevolmente accogliente in ogni momento della giornata. Perché Momio è prima di tutto un luogo di incontro e convivialità e la disposizione su due piani scandisce il tempo secondo il ritmo giorno- notte. Il piano terra, con il grande bancone da bar, i tavoli e la boiserie, è un living room che echeggia certi interni british, con dettagli di colore a contrasto coi toni caldi del legno e dei mattoncini dell’antico soffitto a volta. L’atmosfera è sempre quella giusta in ogni momento del giorno e il bancone ne asseconda il ritmo.
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MOMIO

CARTELLA STAMPA

Il contesto

Definito nel 2017 dalla guida Lonely Planet come il quartiere più cool del mondo, San Frediano è uno dei

luoghi fiorentini che valgono bene una visita.

Situato nell’Oltrarno, al di là del circuito turistico più classico che va dal Duomo agli Uffizi a Santa Croce, San

Frediano ha mantenuto nel tempo un’integrità e un’identità storica che lo rendono unico, con le strette vie

e i piccoli marciapiedi, quell’aria un po’ scanzonata, ma soprattutto con le botteghe artigiane e i tanti locali

che attraggono i giovani e non solo, l’aura da hipster, come è stata definita dalla Lonely Planet gli deriva da

questo fermento culturale contemporaneo, in perfetto contrappunto con l’atmosfera d’antan dei palazzi

storici e dei mestieri, con i gesti dimenticati eppure vivi dei suoi abitanti.

È in questo mood che a giugno 2017 la giovane coppia – nel lavoro come nella vita – Marco Lagrimino e

Nadia Moller ha dato vita a Momio, un locale dal concept multiforme dislocato sui due piani di un palazzo

cinquecentesco che pare sia stata una rimessa per carrozze, e il cui nome curioso deriva dal nomignolo 'Mo

Mio che i due ragazzi si davano da piccoli, abbreviazione di Amore Mio.

Il locale

Dopo un attento intervento di restauro e

allestimento curato da un team di professionisti,

oggi Momio è un locale arredato con gusto retrò,

in un mix di stili che lo colloca al di fuori di ogni

coordinata da classificazione, ma che rende

l’ambiente piacevolmente accogliente in ogni

momento della giornata.

Perché Momio è prima di tutto un luogo di

incontro e convivialità e la disposizione su due

piani scandisce il tempo secondo il ritmo giorno-

notte.

Il piano terra, con il grande bancone da bar, i

tavoli e la boiserie, è un living room che echeggia

certi interni british, con dettagli di colore a

contrasto coi toni caldi del legno e dei mattoncini

dell’antico soffitto a volta. L’atmosfera è sempre

quella giusta in ogni momento del giorno e il

bancone ne asseconda il ritmo.

Al mattino cookies, plum cake e dolcetti – preparato dallo chef Marco Lagrimino e dalla pastry chef Sarah Frasson – fanno bella mostra sulle alzatine per accompagnare la colazione insieme a un’accurata scelta di caffè de La Tosteria –una torrefazione di Lastra a Signa (FI) che seleziona piantagioni per poi tostare singolarmente il caffè e altri miscelati, presso la propria azienda, tra cui Nadia propone i due monorigine Cuba e Messico (quest’ultimo biologico e fairtrade), l’uno più intenso con note di cacao amaro, l’altro più morbido e fruttato. Ma il concetto di colazione si fa più ampio fino ad assumere un respiro più internazionale, e dalle 9 alle 16 la carta del breakfast si fa brunch, con un apposito menu che ha il suo fulcro in una serie di piatti in cui l’uovo viene declinato da Marco secondo i canoni più classici della tradizione anglosassone, dell’Eggs Royale, Eggs Florentine, Eggs Benedict e omelette. Un bruch che dalle 12 alle 16 viene integrato con altri piatti e sandwich quali il Báhn Mi vietnamita o la Pizza fritta con la mortadella.

La giornata scorre gradevole al piano terra di Momio, e segue un percorso filologicamente netto e

rispettoso con il momento del tè, che in Inghilterra è ancora rigorosamente celebrato nella celeberrima sala

Palm Court all’interno dell’Hotel Ritz, come ama raccontare Nadia. “Anna, settima duchessa di Bedford, era

stanca della sensazione di debolezza che la prendeva ogni pomeriggio intorno alle 4, nel lungo intervallo tra

i due pasti. Nel 1840 prese il coraggio a due mani e chiese che le fosse portato in camera un vassoio con tè,

pane imburrato e torta. Una volta presa l’abitudine scoprì di non poterne più fare a meno, perciò invece di

rinunciarvi fece in modo di diffonderla anche tra i suoi amici. Con il passare del tempo il tè pomeridiano

diventò un rito sempre più elaborato. […] Nel periodo edoardiano l’ora giusta per prendere il tè erano le

cinque o più tardi, e quella che era cominciata come una piccola pausa per rifocillarsi era diventata in tutto

e per tutto un’occasione sociale, con piatti caldi, camerieri che porgevano le tazze agli ospiti e anche musica

dal vivo”.1 È così che Nadia ripropone in chiave nostrana il rituale londinese, con una carta di tè classici

forniti da La Tosteria per quanto riguarda i classici Earl Grey, English Breakfast, Lapsang Souchong, Special

Jasmine, e dall’azienda fiorentina Tealicious per gli infusi aromatizzati, tra cui spiccano La Primavera (tè

verde giapponese, menta piperita, lemongrass, liquirizia, camomilla), Mi Tierra (tè nero, fave di cacao

macinate, fiori di lavanda, pistilli e semi di rosa) e Turn off (melissa, fiori di lavanda, camomilla, rosa e

lemongrass).

Al momento dell’imbrunire l’atmosfera di Momio cambia, le luci si fanno soffuse e lo scenario muta

sornione. Il piano inferiore lentamente si anima nel bel salotto con le poltroncine di velluto e i tavolini

minimalisti, mentre di sopra sul bancone del bar le alzatine lasciano il posto agli shaker e agli aromi con cui

Naia ama arricchire le sue bevande, e da signora del tè si trasforma in barlady. La carta del brunch come per

incanto si trasforma in drink list ed ecco che inizia la celebrazione dell’aperitivo. Il linguaggio è in perfetto

1 H. Simpson, Un tè al Ritz. L’arte e il piacere del tè, Milano, Guido Tommasi editore, 2007

stile Momio, in un mix cosmopolita e multicolor, con cocktail che spaziano dai grandi classici (Bitter Spritz,

Negroni, Manhattan) fino a twist contemporanei e mai banali, come il Gin Geisha, a base di un’infusione a

freddo di tè e gin miscelato con succo di yuzu, olio essenziale di bergamotto, sciroppo di rosa e tè La

Primavera.

E il passaggio dal predinner alla cena si fa naturale nella grande sala adiacente il salotto: un altro nuovo

scenario in cui il colore ottanio, che ha illuminato il giorno, si smorza sui toni pastello del rosa e del crema

per accogliere il momento della cena. La camaleontica carta cambia ancora linguaggio in un menu più

prezioso, con piatti frutto della sensibilità e perizia dello chef Marco Lagrimino.

Lo chef e la cucina

Classe 1985, Marco Lagrimino ha trascorso la

prima parte della sua vita nella placida

Castiglione Teverina, tra le verdi colline dell’alto

Lazio. Durante l’adolescenza il mondo della

ristorazione lo attrae al punto da fargli lasciare gli

studi agrari per iscriversi all’istituto alberghiero di

Viterbo e a 17 anni è già alle sue prime

esperienze formative nelle brigate di hotel e

resort della zona, imparando fin da subito la dura

disciplina e i ritmi forsennati di certe cucine.

Dopo una prima esperienza in Germania in un

ristorante italiano, rientra a Orvieto dove ha

l’opportunità di lavorare nel ristorante Inncasa

dell’omonimo boutique hotel, dove lavora con

passione in tutti i settori, dalle colazioni alla cena.

La svolta arriva con la decisione della compagna Nadia di andare a lavorare in Inghilterra, ed è a Londra che

Marco inizia un nuovo decisivo capitolo della sua vita professionale. Pur non conoscendo bene l’inglese,

entra subito a lavorare da Nobu a Berkeley Street, dove impara la filosofia della cucina fusion tra oriente e

occidente, lavorando nelle partite della tempura e delle insalate. Il fermento londinese lo porta poi a

lavorare a Sketch, uno dei locali di Pierre Gagnaire, dove lavora per quasi un anno nella partita del pesce.

Questo passaggio gli sarà congeniale per aprirsi le porte della corte di Heston Blumenthal, nel suo

ristorante tradizionale inglese Dinner, dove apprende le grandi tecniche che segneranno in modo definitivo

il suo percorso futuro, e dove resta come capopartita fino al 2012, anno del ritorno in Italia. Londra però lo

chiama di nuovo con la proposta allettante della cucina del Modern Pantry, un locale eclettico molto in

voga, dove Marco per un anno e mezzo lavora come souschef al fianco di Anna Hansen. Dopo la decisione

di lasciare Londra, prima di tornare definitivamente in Italia, fa alcune tappe a Cipro e nel Sud est asiatico,

finché con la moglie Nadia fissa la sua nuova dimora a Firenze, e poco prima di aprire il suo Momio, ha

l’opportunità di lavorare con colleghi quali Vito Mollica ed Entiana Osmenzeza.

Con un bagaglio del genere alle spalle, le radici della buona tavola italiana e le tecniche apprese nelle realtà

londinese, la sua mente ha respirato a pieni polmoni un vento internazionale che mescolandosi al resto gli

ha permesso di crearsi un percorso personale. Avendo vissuto in una delle città più cosmopolite del mondo,

ha capito che in ogni momento del giorno è possibile che il buon cibo possa regalare emozioni e confortare,

anche accostando ingredienti apparentemente esotici. Ecco com’è nato Momio, come luogo in cui potersi

ritagliare benessere ogni qualvolta se ne senta il desiderio, a partire dal mattino, in cui l’eco inglese del

brunch si incarna fedelmente in un menu di poche ma sostanziose portate.

L’Eggs royale consiste in una base di English

muffin (con impasto a base di lievito di birra,

riposo di due ore e cottura in padella che li rende

più soffici), salmone marinato in sale, zucchero e

olio di sesamo e poi affumicato dallo chef, e

servito con uovo poché e salsa olandese allo

yuzu, a dare spinta acida.

L’English breakfast è un piatto unico, la colazione

dei campioni tout court, composta da pomodori

confit, funghi al burro, fagioli cannellini con

ketchup (una salsa aromatica a base di paprika,

aceto rosso, anice stellato e zucchero, niente a

che vedere con il ketchup cui siamo

comunemente abituati), pane di Montespertoli

con grani antichi, bacon (anche nella variante di

salmone affumicato o mozzarella in versione

vegetariana), uova (strapazzate o all’occhio di

bue). Piatti in cui Marco segue fedelmente i

canoni tradizionali anglosassoni, con tecniche

francesi nette, e sapori decisi per una colazione o

un pranzo veloce ma di alta qualità.

Il momento della cena cambia stazione ma poggia

sulla stessa ricerca e qualità e un afflato

cosmopolita degli altri capitoli del giorno. Tra gli

antipasti, Cavolfiore e mandorla è una crema di

cavolfiore e parmigiano stagionato 24 mesi,

crumble di mandorle, panna cotta alla mandorla,

e cavolfiore in varie consistenze, fritto, essiccato

e crudo. Un piatto che echeggia l’insalata di

rinforzo, completamente vegetariano, delicato in

cui si esplora tutto il potenziale del cavolfiore che

viene abbinato a un biancomangiare dall’allure

rinascimentale a segnare qui l’inizio del pasto.

Il baccalà mantecato parte da una materia prima islandese mantecata in olio extravergine, accompagnato

da ceci sia in crema che pop, tacos croccanti e gruè di cacao, per un piatto che parte dal nord Europa per

trovare il suo ultimo approdo fiorentino.

Più nostre le Animelle e zucca, per un piatto che celebra i colori e i sapori del cortile autunnale, pur con eleganza. Le animelle di razza calvana sono scottate e servite con jus aromatizzato al caffè, e accompagnate da una crema di zucca montata all’olio. Completano il piatto la mela granny smith a cubetti fresca e a chips disidratata, che va a dare la giusta componente fresca e ad amplificare il morso dell’animella, il lavosh (un pane di origini turco-armene) ai semi di zucca che dà la croccantezza, mentre la salsa aromatizzata al caffè con la sua lunga nota amaricante è il contrappunto perfetto che sgrassa e prepara al boccone successivo.

Il Riso al rafano è già uno dei signature di chef Lagrimino, in cui il riso viene tostato e quindi cotto prima in

brodo e quindi finito in centrifuga di sedano. La mantecatura in rafano grattugiato, burro affumicato e

parmigiano e polvere di levistico lo rendono un piatto ricco ma dalla freschezza unica, senza timore che il

rafano dia una piccantezza soverchiante. L’equilibrio del piatto fa sì che tutti gli ingredienti siano

perfettamente abbinati e riconoscibili.

In bilico tra oriente e tradizione di casa è il Tortello ripieno di coniglio, per cui la carne viene marinata in

vernaccia, cotta sottovuoto, frullata e setacciata. Il condimento a base di kefir di latte di cocco e jus di

coniglio lo spostano verso il sudest asiatico, pur risentendo molto della lezione di tecnica e precisione

millimetrica di Gagnaire e Blumenthal.

Tra i secondi, l’inverno dà il meglio di sé in

versione vegetale con la Porcini e shitake, vera e

propria celebrazione del bosco scandagliato in

tutti i suoi profumi. Composto da una base di

funghi cardoncelli, crema di porcini, terra di

shitake, porcini e mirtilli disidratati, lamelle di

tartufo nero, noci e olio di noci, una spugna di

aneto ed essenza di pino, è un piatto complesso

che fornisce una vera mappatura geografica della

macchia vegetale al palato, e che a ogni boccone

può essere scomposto e ricomposto in maniera

diversa rivelando note di gusto sempre nuove.

Tra i dolci Bietola e carota sono due ortaggi

lavorati in chiave pasticcera e di cui si esaltano al

massimo le componenti zuccherine. Un dessert

nato con la pastry Sarah Frasson – che viene da

importanti ruoli al Four Seasons con Di Clemente

e al Bulgari di Milano – e che si compone di una

spugna morbida di bietola, carota in gel e

disidrata ad accopagnare un cremoso di Assam

tea (tè nero) e cioccolato bianco, e per finire

caviale di lampone e polvere di dragoncello.

Non manca certo l’omaggio alla Toscana tra le

battute finali del pasto con Chianti e spezie, un

dessert a base di pere e mele caramellate, lavosh

(un pane di origine armena, qui in versione dolce)

che fa da separatore tra la frutta calda condita da

una salsa al Chianti e la panna montata con

cannella, chiodi di garofano e anice stellato. Un

dessert in tutto assimilabile al vin brûlé per le

gradevoli note speziate e che strizza l’occhio a

certa tradizione sabauda.

La sala (o salotto)

A tenere le fila del locale facendo sì che Momio sia perfetto per ogni momento della giornata, è Nadia

Moller, anfitriona e donna di sala. Classe 1988, di madre napoletana e padre tedesco, Nadia ha compiuto

studi in ambito artistico e pubblicitario, ma l’incontro fulminante con Marco in età adolescenziale, le ha

aperto le porte del mondo dell’ospitalità, e ha iniziato a lavorare stagionalmente in strutture alberghiere

curando anche eventi di banchettistica, pur continuando a studiare all’università di Perugia come grafica

pubblicitaria.

Nel 2010 la decisione di andare a Londra con

Marco le è stata congeniale per continuare a

sviluppare le sue passioni, così, parallelamente

alla frequenza al Saint Martin College, ha lavorato

per sette mesi nel ristorante stellato Zafferano,

come coffee maker e barback. Un’esperienza

molto positiva che le ha permesso di fare molta

formazione con corsi specifici, com’è tipico della

ristorazione anglosassone.

Ha quindi deciso di seguire Marco che in quel momento lavorava da Nobu, ed è entrata come commis di

sala raggiungendo in poco tempo la posizione di runner e prendendo coscienza di come si organizza la

gestione di un ristorante che può contare su un team di 150 persone. I ritmi di lavoro altissimi e la passione

crescente le fanno capire che il mondo della ristorazione è ciò che veramente le piace fare, quindi

accantona la strada della grafica pubblicitaria, continuando a fare formazione e specializzandosi in tè e

caffè, finché le viene offerta la possibilità di andare a lavorare con Anna Hansen al The Modern Pantry,

dove poco dopo la raggiungerà Marco. L’ambiente cosmopolita le apre la mente e le permette di fare una

buona carriera, da capo sala a ruoli manageriali di responsabilità. Sono due anni importanti che incideranno

molto sul modo di concepire l’accoglienza e di accompagnare i clienti nei vari momenti della giornata, dalla

colazione, al brunch, alla merenda fino alla cena, e persino nella gestione di uno shop, in cui avrà la

possibilità di conoscere un nuovo modo di fare cucina, con ingredienti di qualità, molte spezie, grandi caffè,

conserve. Dopo il matrimonio nel 2012 la decisione di lasciare Londra la porta a fare un’esperienza in un

hotel a Cipro e quindi un lungo viaggio nel sud est asiatico, fino al rientro in Italia dove ha fissato con Marco

un nuovo inizio. Dopo aver lavorato al Four Seasons di Firenze, ha deciso di dare vita a Momio, mettendo

finalmente a frutto tutte le esperienze apprese negli anni, dedicandosi fervidamente alla ricerca dei migliori

prodotti da offrire ai clienti e facendo in modo che il suo locale sia un punto di riferimento versatile e

sempre adatto a soddisfare un momento di piacere.

Contatti

Via Pisana 9c, 50143, Firenze Telefono: 055 22 56 52 Email: [email protected] Sito web: momiofirenze.it

Orari di apertura Lunedì: chiuso § Martedì-Venerdì: 09:00-23:00 § Sabato: 10:00-23:00 § Domenica: 10:00-18:00 (solo brunch)

Credits

Testi di Sara Favilla

Fotografie di Lido Vannucchi


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