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Musicoterapia CANTA che ti passa...in forma. Tra loro era quasi scom-parsa la depressione e di...

Date post: 27-May-2020
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O gni scienza ha i suoi aneddoti.I neu- rologi tramandano le vicende di Paul Broca, formidabile medico francese, che nella seconda metà dell’Ottocento si appassionò al caso di Mon- sieur Leborgne, meglio noto come il “paziente Tan”,per il fatto che riusciva a pronunciare solo la parola “tan”, qualsiasi cosa volesse dire. Il cervello di Leborgne era parzialmente com- promesso, ma questo fu accertato solo con l’autopsia che portò alla luce una lesione di una parte del lobo frontale, nell’emisfero sini- stro,che venne successivamente associata alla funzione del linguaggio parlato e prese il nome di Area di Broca. Un aspetto meno noto della storia è che, mentre non riusciva a tradurre in parole i concetti formulati dalla sua mente,Tan intonava tutte le melodie che voleva.I medici SETTEMBRE 2006 25 NEUROSCIENZE CANTA che ti passa Musicoterapia Molte discipline del sapere si uniscono per esplorare la relazione benefica tra mente e musica Gaetano Prisciantelli
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Ogni scienza ha i suoi aneddoti.I neu-rologi tramandano le vicende diPaul Broca, formidabile medicofrancese, che nella seconda metà

dell’Ottocento si appassionò al caso di Mon-sieur Leborgne,meglio noto come il “pazienteTan”,per il fatto che riusciva a pronunciare solola parola “tan”, qualsiasi cosa volesse dire. Ilcervello di Leborgne era parzialmente com-promesso, ma questo fu accertato solo conl’autopsia che portò alla luce una lesione diuna parte del lobo frontale, nell’emisfero sini-stro,che venne successivamente associata allafunzione del linguaggio parlato e prese il nomedi Area di Broca. Un aspetto meno noto dellastoria è che, mentre non riusciva a tradurre inparole i concetti formulati dalla sua mente,Tanintonava tutte le melodie che voleva. I medici

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NEUROSCIENZE

CANTA cheti passa

Musicoterapia

Molte discipline del sapere siuniscono per esplorare la relazione

benefica tra mente e musicaGaetano Prisciantelli �

definiscono questa particolarecondizione con la formula “afasiasenza amusia”. Non è difficile, apartire da qui, intuire l’esistenzadi una condizione qualificata come“amusia senza afasia”. Ovvero dipazienti che, viceversa, riesconotranquillamente a parlare, masembrano aver rimosso tutto ciòche riguarda la musica. È peresempio il caso della pazientedescritta nel 2000 in un saggio diMassimo Piccirilli, Tiziana Sciar-ma e Simona Luzzi dell’Universi-tà di Perugia.

Relazioni sorprendenti

Le cose sarebbero estremamen-te semplici se la scienza dovesselimitarsi alla comprensione di que-sti due casi. Il cervello umano,invece, governa un’infinità di fun-zioni e per ogni specifica area dan-neggiata è possibile ipotizzare unacombinazione di effetti pressochéunica. Per esempio, il caso di unapaziente descritta nel libro Theman who lost his language di Shei-la Hale, che riesce a fare grandi di-scorsi su quello che ascolta, manon a scriverli; viceversa, riesce adescrivere per iscritto quello cheha letto, ma non a parlarne. Seancora non è facile dare rispostesui disturbi più insidiosi, risultaquasi ozioso domandare spiega-zioni sui vantaggi complessivi diattività che intuitivamente giudi-chiamo benefiche: ridere, passeg-giare o cantare.

La musica, tuttavia, ha comin-ciato a farsi strada nelle clinichedove si curano i disturbi che coin-volgono il cervello. Ancora non c’èuno studio scientifico che docu-menti i risultati raggiunti dall’or-ganizzazione britannica Singingfor the Brain, ma l’Alzheimer’ssociety inglese ne ha descritto leattività in termini totalmente posi-tivi. Presi a gruppi, i pazienti diven-

tano un coro. Scelgono insieme ibrani da interpretare, si dispongo-no in cerchio e tirano fuori la voce,con l’aggiunta di una buona dosedi battimani a ritmo. Per i mediciè un modo come un altro per“tenersi occupati”, che è la racco-mandazione generica per tutti ipazienti affetti da disturbi dege-nerativi. Alcuni entrano timida-mente nello specifico e spieganoche per quanto riguarda il morbodi Parkinson, per esempio, è statodimostrato che ascoltare un ritmocostante, come quello prodotto daun metronomo, porta benefici.

Cantanti over 60

Il giudizio dei pazienti e delleloro famiglie è unanime, ma gene-rico. Tutti confermano che canta-re “fa star meglio”, ma c’è da chie-

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NEUROSCIENZE

IL PIÙ IMPORTAN-TE laboratorio diricerca su cervel-lo, musica e suo-

ni si chiama BRAMS(Brain, Musicand Sound research). L’impe-gno costante e decennale deldipartimento di psicologia del-l’università di Montreal ha crea-to negli anni un clima favore-vole all’interazione delle diver-se discipline che studiano l’ar-gomento, dalla psicoanalisi allaneurologia, dall’informatica allapsicologica clinica, compreseovviamente le scienze che stu-diano propriamente la musica.Il laboratorio è dotato di una

camera insonorizzata e di unpianoforte a coda Bösendorfer,che consente di rintracciare nel-le registrazioni non solo i suo-ni, ma i più impercettibili movi-menti del pianistaDa qui, gli scienziati tenteran-no di capire i percorsi che colle-gano la mente e i gesti del musi-cista. Inoltre, potrebbe nascereda qui un nuovo capitolo dellamusica elettronica, non più fat-ta di suoni “congelati”, ma arric-chita con varianti più umaneche, una volta analizzate e bendefinite, potrebbero confluirein un software che realizza ese-cuzioni più realistiche.

BRAMS per la ricercasul cervelloMontreal, capitale degli studi su mente e musica,le diverse discipline si armonizzano

dersi se non abbiano un ruoloancora maggiore le altre compo-nenti psicologiche dell’esperien-za: il fatto di svolgere un’attività ingruppo e allacciare nuovi rappor-ti sociali, per esempio. Del resto,non è un caso se anche dall’altraparte dell’oceano la musica siadiventata una proposta terapeuti-ca per pazienti che soffrono di di-sturbi analoghi. Nel 2001 la Geor-getown University finanziò unostudio su un gruppo di pazienti“cantanti”, di età superiore ai 65anni, messi a confronto con ungruppo di controllo che non svol-geva alcuna attività di supporto. Ipazienti coinvolti nel coro e in altreattività musicali risultavano piùin forma. Tra loro era quasi scom-parsa la depressione e di conse-guenza si manifestava l’entusia-smo per altre attività proposte dal-la clinica.

Secondo Eric Roter, medico emusicista allo stesso tempo, can-tare è come fare ginnastica. Pertirare fuori la voce come si deve,occorre respirare a fondo e staredritti. «Quando si fa musica, larisposta del corpo è la stessa dimolte altre attività fisiche».

Roter ha messo in piedi il sitoERmusic.org, attraverso il qualeintende esplorare le possibili con-nessioni tra musica e medicina,ma al momento c’è poco da rac-contare. «Io credo profondamen-te che ci siano metodi oggettivi perquantificare i benefici prodotti dal-la musica, ma se nessuno finanziale ricerche siamo costretti a fidar-ci del nostro istinto. E certe volteil nostro istinto dice più di centi-naia di studi!».

Musica, stress e pressione

Uno studio complessivo su men-te umana e musica, in effetti, nonè una passeggiata. Il metodo scien-tifico ha mostrato che la musica,

sia ascoltata che prodotta, abbas-sa la pressione sanguigna, scioglielo stress e migliora la concentra-zione. Andare più a fondo è parti-colarmente complicato perché levariabili sono numerose e si incro-ciano caoticamente. Dieci anni faIsabelle Peretz dell’Università diMontreal e Catherine Liégeois-Chauvel del Centre HospitalierLatimone di Marsiglia ipotizzaro-no una sorta di mappa musicaledel cervello, dimostrando che cia-scuna delle diverse componenti diun brano musicale (quali possonoessere il ritmo, gli intervalli, il tim-bro, l’intensità e la frequenza) atti-va una specifica area. Le reazioniall’ascolto, inoltre, sono diverse daindividuo a individuo: il cervellodi una persona che ascolta unamusica che conosce bene reagiscediversamente rispetto a chi l’ascol-ta per la prima volta. Ancora piùcomplicato se si considera che lamusica che conosciamo è associa-ta spesso ai ricordi. E, a proposi-to di memoria, durante l’ascoltoun musicista tenderà ad attivare

quelle aree del cervello che sonodedicate all’esecuzione, presumi-bilmente ancora di più nel momen-to in cui riconoscerà il suono del-lo strumento che destreggia. Per-cezione, memoria, emozione,coordinamento psicomotorio. Unpuzzle di variabili vastissimo, delquale si comincia a capire qualco-sa man mano che si assegna unacollocazione alle diverse acquisi-zioni accumulate negli anni.

Musicoterapia

Isabelle Peretz ha dedicato granparte della sua carriera a studiareil rapporto tra mente e musica e ilsuccesso più recente dei suoi sfor-zi è la creazione a Montreal delBRAMS, il più importante labora-torio per lo studio delle interazio-ni tra cervello, suoni e musica (vedibox). Come spiega Luisa Lopez,neurofisiologa presso la cattedradi neuropsichiatria infantile pres-so l’Università di Roma Tor Verga-ta, se è vero che manca ancora unvero e proprio metodo di indagi-ne, il dibattito scientifico è avvia-

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Percezione,memoria,emozione,coordinamentopsicomotorio.Un puzzle di variabilivastissimo del quale si comincia a capirequalcosa

to e vivace. Inoltre, anche in assen-za di una letteratura complessivae organica, la musicoterapia è unaprofessione per decine di operato-ri ed è sempre più citata nelle pub-blicazioni scientifiche di caratte-re medico. Tra i curatori di un con-vegno celebrato a Lipsia l’annoscorso su musica e neuroscienze,Luisa Lopez ha illustrato la capa-cità del cervello umano di ricono-scere gli errori immessi in sequen-ze musicali in base a conoscenzeacquisite.

Capacità non ancora indagatein profondità, ma sfruttate empi-ricamente nella riabilitazione enella rieducazione, soprattutto con

i bambini. «Non so se sono risul-tati specifici della musicoterapia– avverte Lopez – ma sono risulta-ti reali, osservati». Sul sito dellaFederazione italiana musicotera-peuti (www.musicoterapia.it) sonoraccolti numerosi esempi positividi interazione tra musicoterapia emedicina tradizionale. «La voce –dice la presidente della Federazio-ne Giulia Cremaschi Trovasi – faparte della gestualità, perché pri-ma di tutto la voce è un gesto. Enella voce c’è l’espressione delleemozioni, a partire dal grido delneonato». Attraverso la “scoper-ta” della voce e del canto, quindi,la terapia aiuta anche i bambinisordi a conquistare il controllo del-le vibrazioni sonore prodotte e autilizzare la melodia e le intensitàdella voce per esprimersi e per“sentirsi”.

Canto emozionale

I laboratori, quindi, sono agliinizi di un percorso alla scopertadelle “vibrazioni positive” del can-to nel corpo umano mentre, nelloro ambito, hanno fatto strada lemedicine non convenzionali e,naturalmente, i musicisti. Anto-nio Faieta è un insegnante di can-to di formazione classica. Ha stu-diato e lavorato da cantante lirico,ma insieme ai suoi allievi ha esplo-rato la possibilità di vivere il can-to come una vera e propria fontedi benessere e ha fondato unascuola di “canto emozionale”. «L’i-dea – racconta Faieta – è venutadagli allievi, da quello che riferi-vano». Le lezioni, attraverso l’eser-cizio e il progressivo miglioramen-to del controllo della voce, forni-scono ciò che un’allieva, Tania,chiama “effetti collaterali”:«aumento della capacità di con-centrazione, più “energia” nel farele cose di tutti i giorni, per non par-lare della soddisfazione di riusci-

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LA RICERCA SU MUSICAe neuroscien-ze è uno degli obiettivi della Fonda-zione Mariani, che si occupa in primoluogo di neurologia infantile. Gli atti

del convegno The Neurosciences and Music, che si èsvolto in due edizioni (Venezia 2002 e Lipsia 2005),sono stati pubblicati dalla New York Academy ofSciences. In cantiere, la prossima edizione del con-vegno, a Montreal nel 2008, e un portale dedicatoalle attività scientifiche legate a musica e cervello.Per maggiori informazioni: [email protected].

L’impegno italianonella ricercaLa Fondazione Mariani, le neuroscienzee la musicasu

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re a fare per la prima volta qualco-sa che non mi era mai riuscito».

«A prescindere dal miglioramen-to vocale – spiega Faieta – duran-te le lezioni si lavora per superare,soprattutto negli adulti, i “blocchiemotivi” che si riflettono nel voca-lizzo». L’insegnante si occupa dicorreggere la postura, insegna arespirare e a sfruttare al massimoil corpo nella produzione del suo-no. Ma prima o poi l’allievo devefare i conti con la percezione delproprio benessere complessivo. «Ilcanto – dice Valerio, un altro allie-vo – è liberatorio e fa stare meglio.Per questo per imparare a canta-re ci vuole una persona che inse-gni prima di tutto a stare meglio».Un benessere complessivo, perchéla voce è prodotta da tutto il corpoe, se il corpo è teso, sarà difficilecontrollare adeguatamente il suo-no. Per questo, continua Valerio,«cantando ci si rende conto dicome si sta».

La sensazione di essere nudi

Ci sono le conoscenze acquisi-te, ma nel quadro del rapporto tramusica e cervello bisogna annove-rare anche i tratti sfumati ed enig-matici dell’universo musicale. Perquesto, vale la pena di riferireanche le esperienze più curiose traquelle raccontate dai cantanti. Chipadroneggia lo strumento vocalea volte si diverte a produrre vere eproprie alterazioni delle percezio-ni sensoriali, come la sensazionedi essere nudi, o di essere sospesinel vuoto. E questo può aiutare acapire come mai la meditazione siaiuti spesso con esercizi vocali,come la recitazione dei mantra,che devono essere ripetuti facen-do vibrare il corpo a partire dallavoce. Ne parla Rosie Wiederkehr,voce degli Agricantus, un gruppomusicale che deve molto del suosuccesso alle atmosfere evocative

e luminose prodotte attorno allavoce della cantante: «Il canto èdiventato il mio modo di esprime-re i sentimenti. Di farli fluire attra-verso il corpo».

È vero che la scienza ufficialeha poco da dire a proposito, mafino a un certo punto. La musica,e in particolare il canto, emergo-no sempre più come un ponte trail linguaggio acquisito e le strut-ture linguistiche proprie dellanostra specie. Sandra Trehub, delDipartimento di Psicologia del-l’Università di Toronto, ha con-dotto studi sul ruolo del canto nel-

le prime fasi dell’apprendimentoe suggerisce che il canto ascolta-to nei primi mesi di vita è decisi-vo nello sviluppo delle abilitàmusicali e linguistiche. GlennSchellenberg, della stessa Univer-sità, ha presentato a una recente

conferenza organizzata dalla Fon-dazione Pierfranco e Luisa Maria-ni una ricerca sull’arricchimentoche le lezioni di musica offronoagli allievi nei primi anni di etàscolastica. Un campione di 144bambini è stato diviso in quattrogruppi, dei quali due hanno rice-vuto lezioni collettive di musica(metà di pianoforte e metà di can-to), il terzo ha seguito un corso didrammaturgia e il quarto non hafrequentato alcun corso. Tutti ibambini “musicisti” avevano otte-nuto un maggiore incremento nelquoziente intellettivo, anche se ibambini che avevano seguito ilcorso di teatro avevano sviluppa-to maggiori abilità sociali. Anco-ra, secondo le osservazioni diCaroline Palmer della Ohio StateUniversity, gli allievi di canto sonopiù ricettivi nell’apprendimentodi regole musicali richieste perl’impiego di altri strumenti e, inquesto senso, la voce ribadisce ilsuo status di “strumento musica-le primario”. �

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NEUROSCIENZE

IN RETEConfederazione Italiana Associazioni di Musicoterapia: www.confiam.itCentro Musicoterapia Benenzon: www.centrobenenzon.itFederazione italiana musicoterapeuti: www.musicoterapia.itGerman Center for Music Therapy Heidelberg: www.dzm.fh-heidelberg.de/v2International Conference on Music Perception and Cognition. Bologna, 22-26agosto 2006: www.icmpc2006.orgLa scuola di canto emozionale di Antonio Faieta: www.cantoemozionale.it


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