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G G e e n n t t e e s s L L m m s s - - s s p p e e d d i i z z . . a a b b b b . . p p o o s s t t . . a a r r t t . . 2 2 c c o o m m m m a a 2 2 0 0 / / c c l l e e g g g g e e 6 6 6 6 2 2 / / 9 9 6 6 F F i i l l i i a a l l e e d d i i R R o o m m a a - - V V i i a a M M . . M M a a s s s s i i m m o o , , 7 7 - - 0 0 0 0 1 1 4 4 4 4 R R o o m m a a - - A A u u t t . . T T r r i i b b . . d d i i R R o o m m a a n n . . 9 9 7 7 9 9 - - D D i i r r . . R R e e s s p p . . M M a a s s s s i i m m o o N N e e v v o o l l a a s s j j mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S. N. 5 Maggio 2006 ISRAELE, PALESTINA ISRAELE, PALESTINA
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N. 5Maggio2006

ISRAELE, PALESTINAISRAELE, PALESTINA

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SOMMARIO129 EDITORIALE– Medio Oriente senza pace

di Michele Camaioni

132 STUDIO– ISRAELE-PALESTINA: due popoli, una terra

di Michele Camaioni e Maurizio Debanne

IN COPERTINA: posto di blocco israeliano nei pressi diGerusalemme. Questa e le foto dello “Studio” sonostate scattate nell’agosto 2005 da Michele Camaioni.

mensile della lega missionaria studenti e del M.A.G.I.S.

N. 5 Maggio 2006

Direzione e Redazione: 00144 Roma –Via M. Massimo, 7 – Tel. 06.591.08.03– 54.396.228 – Fax 06.591.08.03 –Spedizione in Abbonamento postaleart. 2 comma 20/c legge 662/96 – Filialedi Roma – Registrazione del Tribunaledi Roma n. 647/88 del 19 dicembre1988 – Conto Corrente Postale34150003 intestato: LMS Roma.e-mail: [email protected]

* * *

COMITATO DI REDAZIONE

Massimo Nevola S.I. (direttore),Michele Camaioni (redattore capo),Dario Amodeo, Laura Coltrinari,Francesca Romana Lenzi, GiulioCesare Massa S.I., Francesco Salonia,Francesco Salustri, Luigi Salvio,Pasquale Salvio.

Per abbonamenti versareun’offerta libera sulcc postale 34150003

intestato: LMS Romacausale: abbonamento Gentes

Associato alla Federazione StampaMissionaria Italiana

Fotocomposizione e Stampa:

Finito di stampare Maggio 2006

Associato all’USPI

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L e prime righe di questo editoriale vengono scritte a poche ore dall’attentatodi Nassiriya che, il 27 aprile, ha colpito una pattuglia dei carabinieri provo-cando la morte di tre militari italiani e di uno rumeno. A due anni e mezzo

dall’attacco kamikaze alla base Maestrale in cui persero la vita diciassette soldati edue civili, che tanta commozione aveva causato nell’intero Paese, l’opinione pubblicaitaliana torna a conoscere le lacrime e il dolore per la morte dei propri militari inuna guerra che, per quanto negata e considerata ormai conclusa dai governi che fe-cero letteralmente carte false per scatenarla, prosegue di giorno in giorno a esigereun inestimabile tributo di sangue. Al di là delle amare considerazioni, che sponta-neamente si propongono alla mente nell’osservare come solo una tragedia “italiana”possa riportare al centro del dibattito un conflitto iracheno altrimenti privo di attrat-tiva per un’opinione pubblica ormai assuefatta al giornaliero bollettino dei caduti interra mesopotamica, rimane l’impatto violento provocato dalla scomparsa di perso-ne che gli stessi media, con retorica ingordigia, hanno già contribuito a rendere fa-miliari a tutti noi raccontandone con dovizia di particolari vita pubblica e privata.In quanto cittadini italiani, questi sono più di altri i nostri morti, la cui memoria vaonorata a prescindere dal giudizio politico e morale circa la scelta strategica allabase della presenza loro e di altri militari italiani in Iraq.In quanto cristiani e figli di un Dio unico, tuttavia, sono “nostri” morti anche gli af-ghani e gli iracheni che ogni giorno perdono la vita per l’azione dei nostri eserciti o acausa delle bombe dei loro stessi connazionali; sono “nostri” i morti invisibili della fa-me, dell’Aids e dell’ingiustizia planetaria che la sempre maggiore interazione e inter-connessione di mercati e comunicazioni (la cosiddetta globalizzazione) sembra averaccresciuto e non, come era auspicabile, gradualmente contribuito a ridurre. Povertà,sofferenza e morte sono parole che l’edonismo e l’individualismo esasperato oggi do-minanti la cultura occidentale cercano artatamente di ignorare, ma che nemmeno ilustrini e gli accattivanti falsi miti, che affascinano soprattutto le generazioni più gio-vani, possono eliminare dal vocabolario quotidiano di chi si dice cristiano.La vicinanza al prossimo e la condivisione del suo dolore emerge come chiaro mes-saggio di missione anche nella meditazione scritta da Mons. Angelo Comastri per la

EDITORIALE

Medio Oriente senza pace

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nona stazione della Via Crucis presieduta il 14 aprile da Papa Benedetto XVI, in cuisi legge: “La divisione del mondo in zone di benessere e in zone di miseria… è l’ago-nia di Cristo oggi. Il mondo infatti è composto di due stanze: in una stanza si spre-ca e nell’altra si crepa; in una si muore d’abbondanza e nell’altra si muore d’indi-genza; in una si teme l’obesità e nell’altra si invoca la carità”. Il grido di chi soffrenon deve essere tuttavia solo il detonatore dei sensi di colpa che derivano dal rico-noscersi pedine inconsapevoli e privilegiate di un complicato e perverso gioco privodi regole e di giustizia, ma può invece rappresentare l’invito, pressante, ad accettarela condizione di cittadini del mondo “ricco” e comprendere che, se la nostra presen-za in questi luoghi e in questo tempo è legata a un pur imperscrutabile piano divi-no, l’unico modo per rispondere alla chiamata dell’Amore e dei fratelli in difficoltàè investire tutte le risorse, materiali e intellettuali, nella causa dei più deboli e dellevittime di una storia umana e, per questo, terribilmente imperfetta.La missione, quindi, come obiettivo costante e stella polare del lungo e talvolta tortuo-so cammino di fede di tutti noi. Scelta radicale per alcuni, la missione non è un’opzio-ne di vita percorribile solo troncando il legami con il proprio passato e partendo poiper un paese lontano. Accettare la logica missionaria del Vangelo, infatti, significa in-nanzitutto operare una rinuncia interiore alla mentalità dell’ “io per me stesso” e apri-re il cuore alle infinite possibilità di essere “me stesso, per gli altri”. Ognuno secondo leproprie inclinazioni e capacità, tutti possiamo infatti essere missionari e testimoni diuna cultura dell’Amore che non agisce solo in momenti di particolare coinvolgimentocome possono essere i campi estivi di volontariato organizzati dalla Lega MissionariaStudenti, ma permea e indirizza anche la meno esaltante vita quotidiana.È da questa continua, stimolante tensione al servizio che trae legittimazione e ragiond’essere anche l’attività di studio, approfondimento e denuncia che rende “missionaria”una modesta rivista come Gentes. Di fronte alla complessità di un reale che sfugge auna univoca spiegazione metafisica e fatica a essere adeguatamente inquadrato da unostoricismo sempre più relativizzante e meno assoluto in senso crociano, l’unico “meto-do” che può contribuire a renderci attori consapevoli del nostro tempo è infatti proprioquello del lavoro sistematico di indagine, ricerca e continuo confronto delle fonti. Unapproccio libero da condizionamenti ideologici e strumentali prevenzioni, imparzialenei giudizi ma non per questo indifferente a quei valori, espressi nel Vangelo e oggi par-te integrante del pensiero giuridico, sociale e culturale “democratico”, che richiedonouna ferma presa di posizione dinanzi all’ingiustizia e alla violazione dell’umana dignità.Drammatico paradigma dell’odio irriducibile cui conduce un dogmatico rifiuto deldiverso, il conflitto arabo-israeliano-palestinese ci interpella proprio per il suo tra-gico e devastante impatto sulla società civile di una terra tre volte santa. Insieme auna sommaria, ma il più possibile esauriente e oggettiva ricostruzione delle vicendestoriche che hanno scandito le tappe di una delle questioni più dibattute e di arduainterpretazione del mondo contemporaneo, la monografia cui è dedicato il presentenumero di Gentes rappresenta quindi un tentativo, modesto nella sua articolazionema piuttosto attendibile sotto il profilo documentario, di leggere il dramma diisraeliani e palestinesi non tanto sulla base delle effettive ragioni storiche e politi-che dei due popoli, quanto ponendo l’accento sugli effetti sociali e sulle molteplici

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forme di sofferenza che esso ha causato e, ancor oggi nonostante la chiara denun-cia dell’Onu e delle maggiori Ong internazionali, continua quotidianamente a pro-durre. Si tratta di una chiave di lettura che evidentemente può risultare inadeguataa fornire un valido contributo nell’individuazione dei meccanismi e delle strategiegeopolitiche in atto sullo scacchiere mediorientale, ma che, proponendo una nettainversione di priorità, ci aiuta a inquadrare la questione israelo-palestinese perquello che è: non solo un tremendo braccio di ferro socio-politico tra due gruppi di-visi dalla religione, dalla cultura e da anni di scontri, ma anche e soprattutto un’or-mai endemico focolaio di dolore e negazione dei diritti e della dignità dell’essereumano. I recenti mutamenti degli scenari politici, per quanto ampi e potenzialmen-te forieri di nuovi, rilevanti sviluppi, non potranno probabilmente influire su questotragico aspetto del conflitto. La riduzione della sofferenza dei civili e il rispetto dei diritti unversalmente ricono-sciuti non occupano, infatti, una posizione di evidenza nell’agenda politica né degliisraeliani, né dei palestinesi. Invischiati in lotte e conteste fratricide che ne minanol’effettiva capacità di incidere su un terreno già di per sé ostico, le forze politiche dimaggioranza all’interno della Knesset e dell’Anp ricercano infatti innanzitutto ilconsolidamento del proprio potere, peraltro finalizzato in questa fase all’adozionedi soluzioni unilaterali a un conflitto che, invece, appare illusorio cercare di com-porre e avviare a un’attualmente chimerica risoluzione abbandonando il pur incer-to percorso di pace tracciato a fatica nel corso degli anni ’90.In un contesto di quotidiano contatto con la morte, il rischio è quello di rassegnarsia considerare veramente dei meri “effetti collaterali” del conflitto gli innumerevoli,continui e ingiustificati episodi di inumana prevaricazione e ingiustizia che si verifi-cano, soprattutto nei Territori, in barba a ogni convenzione e norma giuridica inter-nazionale. Dinanzi alla sofferenza e alle draconiche restrizioni alla libertà personaledi cui è oggetto in particolar modo la popolazione palestinese, è inaccettabile l’indul-genza ormai diffusa nei confronti di una visione politica che pospone i diritti umaniall’ottenimento dei risultati politici sperati, spesso strumentalizzando il dramma delproprio stesso popolo nella ricerca di immediati vantaggi e benefici.Senza illuderci circa un repentino cambiamento di mentalità e convinzioni radicatenel profondo dei cuori e pervicacemente difese dinanzi all’intrasigenza reciprocadelle due controparti, crediamo in ultima analisi che sia l’emergenza umanitariadei popoli di Palestina la vera priorità e, forse, anche il possibile punto di incontroe rilancio della cooperazione tra israeliani e palestinesi. In questo senso, il ruolodell’Europa e dei Paesi occidentali può risultare prezioso, ma solo se percepito co-me scevro da condizionamenti esterni e slegato rispetto ai pur innegabili interessigeopolitici ed economici che investono proprio il settore mediorientale. Più efficacedell’azione diplomatica dei governi, quindi, si rivelerà probabilmente ancora unavolta l’iniziativa della società civile e delle Ong, unici veri soggetti in grado di condi-videre fino in fondo il dramma di israeliani e palestinesi e adoperarsi, al loro fian-co, per un futuro di pacifica convivenza in questa splendida, martoriata Terrasanta.

Michele Camaioni

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STUDIO

ISRAELE - PALESTINA: due popoli, una terra

Ordinamento: Repubblica.Superficie: 20.700 kmq.Popolazione: 5.643.500 ab. (fonte:censimento), 6.749.200 ab. (ultimastima).Densità: 326 ab/kmq.Capitale: Gerusalemme (692.300ab.) non riconosciuta dall’ONU. TelAviv (364.300 ab.).Lingue: ebraico (ufficiale) e arabo.Religioni: ebrei 78.1%, musulmani15.1%, cristiani 2.1%, drusi 1.6 %,altri 3.1 %.Moneta: shekel (sciclo).PNL: 100.889 $ USA.Speranza di vita: M 77, F 81 anni.

Fonte: Enciclopedia geograficaDe Agostini/RCS, 2005.

ISRAELEYisra’el

Ordinamento: Territorio sotto occu-pazione israeliana e amministratodall’Anp.Superficie: 6.257 kmq.Popolazione: 3.635.000 ab. (stima).Densità: 245 ab/kmq.Capitale: Gerusalemme Est (248.370ab.), proclamata dall’Anp nel 1988ma non riconosciuta dall’ONU. Lingue: arabo.Religioni: musulmana con minoranzecristiane e druse.PNL: n.d.Moneta: shekel israeliano, dinarogiordano, dollaro USA.Speranza di vita: n.d.

Fonte: Enciclopedia geograficaDe Agostini/RCS, 2005.

PALESTINATerritori Anp

Le recenti elezioni politiche tenutesi in Israele e nei Territori palestinesi amministrati dall’Anphanno segnato per molti osservatori l’apertura di un nuovo, potenzialmente cruciale capitolodell’apparentemente infinito conflitto arabo-israeliano-palestinese. Traendo lo spunto da si-mili avvenimenti, il presente “Studio” si propone di inquadrare in maniera concisa ma esau-riente i punti nodali alla base di una delle questioni geopolitiche più complesse del periodocontemporaneo. Dopo aver ripercorso in un breve excursus le vicende storiche di maggiorerilevanza, ci soffermeremo quindi sugli accadimenti degli anni più recenti, cercando di indi-viduarne le linee di continuità e i punti di cesura rispetto al passato. La seconda parte delpresente lavoro è invece dedicata all’analisi delle problematiche socio-politiche che, già oggima soprattutto nel prossimo futuro, acquisiranno un peso sempre maggiore nella bilancia diun conflitto il cui esito appare ancora incerto e indecifrabile. Indagheremo quindi il profilodemografico e la questione idrica relativi allo stato di Israele e ai Territori palestinesi, soffer-mandoci infine sul drammatico problema della negazione dei diritti umani che, purtroppo, siè da tempo affermato quale corollario di uno scontro insieme etnico, religioso e culturale.

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1917 - Dichiarazione di BalfourIl ministro degli Esteri inglese, LordBalfour, dichiara che Gran Bretagna ve-de con favore la creazione di un “focola-re nazionale ebraico in Palestina”. A se-guito del collasso dell’impero ottomano,in dicembre le truppe britanniche occu-pano Gerusalemme.

1920 - Il mandato britannico in PalestinaLe spartizioni tra Francia e Gran Breta-gna dei territori occupati dalle potenzeeuropee dopo la dissoluzione dell’impe-ro ottomano portarono all’assegnazionedella Palestina (dove a cavallo del XIX edel XX secolo il movimento sionista ave-va favorito la creazione dei primi inse-diamenti ebraici) agli inglesi. La GranBretagna ottenne, sotto forma di man-dato della Società delle Nazioni, ancheil controllo dell’Iraq. Alla Francia, comeprevisto nell’accordo Sykes-Picot del1946, spettarono invece Libano e Siria.

1929/39 - Colonizzazione ebraica e rivolta ara-ba. Il Libro BiancoIl mandato britannico in Palestina si ri-velò di ardua conduzione sin dai primianni ’20, durante i quali ripetuti scontritra ebrei e musulmani, ma anche tra ledue componenti etnico-religiose e lostesso governo inglese, resero la situazio-ne molto difficile da gestire. Nel 1929gravi violenze scossero Gerusalemme eHebron, dove 67 ebrei vennero uccisi da-gli arabi. Gli ebrei palestinesi (che grazieanche all’opera dell’Agenzia ebraica perla Palestina crebbero costantemente di

numero durante tutti gli anni 20’ e ’30raggiungendo le 370.483 unità su1.336.517 abitanti) risposero nel 1931con la fondazione dell’Irgun, formazioneparamilitare cui venne attribuito il com-pito di organizzare la resistenza agli ara-bi e all’Alto Commissariato britannico.Sul fronte arabo-musulmano, intanto,nel 1935 perse la vita l’eroe e patriota pa-lestinese Ezz al-Din al-Qassam, uccisodurante scontri con le truppe inglesi.Guidati dal Gran Muftì di GerusalemmeAmin al-Husseini, tra il 1936 e il 1939 ipalestinesi conducono, senza fortuna acausa anche delle divisioni interne, ladeludente “Grande rivolta araba”. Il1939 è invece l’anno dello scoppio dellaseconda guerra mondiale, ma anche delLibro Bianco redatto dal britannico Mal-com Mac Donald, il quale in base ancheai suggerimenti della Commissione Peel(favorevole alla costituzione di due statiseparati per ebrei e palestinesi), stabilivauna riduzione dell’immigrazione ebraicain Palestina (massimo 75.000 unità neisuccessivi cinque anni) e, soprattutto,prometteva la creazione di uno stato pa-lestinese indipendente entro dieci anni.Gli ebrei reagirono con dure proteste,ma il pericolo nazista li indusse a unirsialle forze alleate per tutta la durata deltragico conflitto mondiale.

1942/45 - L’Olocausto Lo sterminio di sei milioni di ebrei è cru-ciale per comprendere le complesse vi-cende mediorientali, perché portò a undesiderio cosmico da parte dei sopravis-

Cronologia essenziale del conflittoarabo-israeliano-palestinese

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suti di assicurarsi una vita certa in unostato ebraico. La tragedia ebraica, laShoah, aveva avuto un bilancio terrifi-cante: oltre sei milioni di ebrei massa-crati; tre milioni di ebrei polacchi, unmilione e mezzo di ebrei russi, cinque-centomila ebrei rumeni, più di duecento-mila ebrei cecoslovacchi, duecentomilaebrei tedeschi, ottantamila ebrei francesie, infine, circa duecentomila ebrei olan-desi, austriaci, belgi, greci, italiani e ju-goslavi. Come ha detto Lev Talmon, unodei più illustri storici di Israele, nonchécoscienza critica della nazione: «È pro-prio dall’olocausto che bisogna partire,da questa realtà incancellabile della no-stra storia. Giacché ci permette allo stes-so tempo di capire la nascita dello Statoisraeliano e le origini remote della ne-vrosi ossessiva di cui soffre tuttora il no-stro popolo. Dopo l’olocausto, nientepoté essere come prima; nemmeno laquestione ebraica e la base stessa - stori-ca, umana - del sionismo». (L.Talmon,La Repubblica, 11 maggio 1978).

1948 - La nascita dello stato di IsraeleConclusasi la seconda guerra mondiale,gli ebrei ripresero con ancor maggior vi-gore la lotta contro il governo britannicoin Palestina. Nel 1946 l’Irgun si rendeprotagonista di un sanguinoso attentato,facendo saltare in aria una parte dell’ho-tel King David di Gerusalemme, sede del-l’Alto Commissariato britannico. Pressatida problematiche economiche interne eincapaci di comporre il conflitto in attosul territorio, nel 1947 gli inglesi deciserodi deferire la risoluzione della questionepalestinese alla neonata Organizzazionedelle Nazioni Unite (Onu), la cui Assem-blea generale prima istituisce un Comita-to Speciale (UNSCOP) formato da paesi“neutrali” e incaricato di studiare una

possibile sistemazione politica della Pale-stina, poi vota il 29 novembre la risolu-zione n. 181, in cui si approvava la divi-sione del territorio palestinese in due sta-ti, uno ebraico e uno arabo. L’Alto Comi-tato arabo, che già aveva boicottato il la-voro dell’UNSCOP, reagì in maniera vio-lenta alla decisione del consesso interna-zionale, ma le milizie arabe erano decisa-mente meno coese e organizzate dell’Ha-ganah, nucleo militare dell’Agenzia ebrai-ca composto di sei brigate e diretto da Yi-gael Yadin. Per raccontare l’orrore e leatrocità di questa guerra civile basta cita-re due episodi: il massacro del villaggioarabo di Deir Yassin, dove due gruppiebraici estremisti (Stern e Irgun) uccise-ro senza motivo 250 arabi palestinesi, el’attacco a un convoglio medico di ebrei,che causò la morte di 70 persone. Il 15maggio 1948 il leader sionista David BenGurion annunciò l’indipendenza delloStato di Israele, che fu prontamente rico-nosciuto da americani e sovietici. A po-che ore di distanza, tuttavia, gli esercitiarabi di Siria, Transgiordania, Iraq, Egit-to e Libano decisero di attaccare Israele.In realtà solo l’esercito egiziano era ingrado di poter combattere veramente.Inoltre Israele si accordò segretamentecon la Transgiordania, che in cambio diuna belligeranza tenera avrebbe ottenutoi territori a ovest de fiume Giordano. Il18 luglio entrò in vigore una seconda tre-gua durante la quale Bernadotte, media-tore del conflitto delle Nazioni Unite, la-vorò a una soluzione diplomatica. Il 16settembre presentò le sue conclusioni:Israele avrebbe mantenuto la Galilea, maabbandonato gran parte del Negev e re-stituito le città di Ramle e Lydda, mentreGerusalemme doveva costituire un cor-pum separatum amministrato dalle Na-zioni Unite. Ai rifugiati palestinesi dove-

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va essere garantito il diritto di tornarenelle loro terre. Poco dopo la consegnadel piano, Bernadotte venne però uccisoda ebrei estremisti. La guerra proseguì.Israele voleva risolvere sul campo la que-stione del Negev, ma a un passo dalla to-tale conquista del deserto un errore costòl’arresto di una avanzata che sembravainarrestabile: cinque caccia israeliani ab-batterono per errore cinque velivoli bri-tannici che stavano portando aiuti agliegiziani nel Sinai. Nella prospettiva diuna guerra globale, gli americani inter-vennero e posero fine alle ostilità. Gliisraeliani avevano allargato notevolmen-te i loro confini assicurandosi Gerusa-lemme ovest (la parte orientale restò inmano ai giordani) e il Negev, tranne unapiccola area che fu chiamata Striscia diGaza. L’11 dicembre 1948 le Nazioni Uni-te approvarono la risoluzione numero194. Nel testo si legge che ai circa700.000 profughi palestinesi “deve essereconsentito di tornare a casa”, ma fu pre-sto evidente che Israele non aveva alcunaintenzione di accoglierli. Nacque cosìl’UNRWA (United Nations Relief andWorks Agency for Palestine Refugees),con il compito di provvedere alla siste-mazione dei rifugiati.

1950 - La legge del ritorno e la nascita dellaGiordaniaLa Knesset (Parlamento israeliano) ap-provò a legge del ritorno: ogni ebreo ave-va il diritto di stabilirsi in Israele. Tra il1948 e il 1951 furono 304.000 gli ebreiche vi si trasferirono. Intanto il Parlamento di Amman annettéla Giudea e la Samaria (detta Cisgiorda-nia o West Bank) e il regno di Transgior-nania di Abdullah Hussein (poi uccisonel luglio 1951) assunse quindi il nomedi Giordania. La Lega araba non prote-

stò, anche se la Giordania sottrasse ilterritorio a quella che sarebbe stata lanazione palestinese.

1956 - La guerra di Suez Con la complicità di Francia e Gran Bre-tagna, con le quali i dirigenti ebrei si in-contrarono ripetutamente e in gran segre-to nel 1954-55, e approfittando del diversi-vo offerto dall’invasione sovietica dell’Un-gheria, truppe israeliane guidate da Mo-she Dayan occupano la penisola del Sinaidopo esser penetrate in territorio egizia-no. La tensione espansionistica dello statoebraico trovò in questa circostanza l’ac-quiescenza di Londra e Parigi, il cui inte-resse prioritario nell’area era ridurre l’in-fluenza e la potenza dell’Egitto di Nasser,il quale per finanziare la costruzione delladiga di Assuan aveva deciso di nazionaliz-zare il canale di Suez, indennizzando lacompagnia francese che ne deteneva ilcontratto di affitto fino al 1968. La previ-sta reazione egiziana sembrava offrire afrancesi e inglesi un pretesto per l’inter-vento militare diretto nell’area, ma quan-do i paracadutisti britannici e transalpinisi lanciarono su porto Said, Israele edEgitto avevano già accettato la proposta dicessate il fuoco avanzata dalle NazioniUnite. La Francia e la Gran Bretagna si ri-tirarono all’arrivo dei contingenti UNEF,mentre per lo sgombero israeliano fu ne-cessario un durissimo braccio di ferrocondotto in prima persona dal presidenteamericano Eisenhower.

1959 - Al FatahAlcuni giovani palestinesi, tra i qualispiccava la figura di Yasser Arafat, fon-darono l’organizzazione Al Fatah.

1964 - La nascita dell’OLPNasce l’Organizzazione per la liberazionedella Palestina (OLP) con lo scopo di isti-

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tuire un’organizzazione palestinese in gra-do di contrapporsi allo stato di Israele.L’Olp era però pilotata da Nasser e daglialtri paesi arabi. La sua componente mag-gioritaria, Al Fatah, vede invece consoli-darsi giorno dopo giorno la leadership diArafat.

1967 - La guerra dei sei giorni Il 13 maggio 1967 l’Unione Sovieticainformò Nasser che gli israeliani eranosul punto di sferrare un attacco alla Si-ria e per questo avevano schierato 12brigate al confine settentrionale. Inrealtà nessun ammassamento di truppeera in corso e il primo ministro israelia-no Eshokol lo ribadì con fermezza, mail giorno successivo, spronato anche dal-la Siria, Nasser inviò due divisioni egi-ziane nella zona cuscinetto predispostasul Sinai dall’UNEF in seguito alla crisidi Suez del ’56, chiudendo poi successi-vamente gli Stretti di Tiran, che pure dal’57 si era impegnato a considerare come

acque internazionali. Nel frattem-po il segretario generale dell’OnuHu Tant diede l’ordine ai 1.400soldati dell’UNEF di ritirarsi. Sen-tendosi accerchiato (il 30 maggioEgitto e Giordania avevano firma-to un trattato di reciproca difesa),Israele decise allora di sferrare unmassiccio attacco preventivo: nel-la sola giornata del 5 giugno l’a-viazione israeliana distrusse 304aerei egiziani su 419, 53 aerei si-riani su 112 e 28 aerei giordani su28. Il 7 giugno la parte est di Ge-rusalemme è in mano agli ebrei.Due giorni dopo toccava alla Ci-sgiordania. La guerra dei sei gior-ni consentì a Israele di porre sot-to la propria autorità Gerusalem-me Est, le Alture del Golan, la Ci-sgiordania e il deserto del Sinai. Il

22 novembre 1967 il Consiglio di sicu-rezza delle Nazioni Unite approvò la ladiscussa risoluzione n. 242, che preve-deva nella versione inglese il ritiro israe-liano “da” zone occupate, mentre inquella francese “dalle” zone occupate(cioè tutte). La risoluzione prevedevaanche il rispetto della sovranità, inte-grità e indipendenza di ogni stato dellaregione e una soluzione equa al proble-ma dei profughi palestinesi.

1968 - La Carta dell’OLPAl Cairo l’Olp approva la sua “Carta”, incui si prefigura la costituzione di unostato palestinese entro i confini del man-dato britannico e, quindi, si contemplala distruzione di fatto dello stato diIsraele.

1970 - Settembre Nero I guerriglieri palestinesi si rendono prota-gonisti di una serie di dirottamenti aerei,scontri con gli israeliani e attentati alla vi-

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ta del re Hussein che indussero il sovranogiordano a scatenare una violenta offensi-va contro le roccaforti dei gruppi terrori-stici palestinesi. Il 27 settembre Nasserconvocò una conferenza al Cairo per cer-care di ottenere un cessate il fuoco. L’ac-cordo riuscì, ma il giorno seguente il pre-sidente egiziano fu colto da un arrestocardiaco. Gli succedette Sadat. In seguitol’Olp si trasferì in Libano.

1972 - Terrorismo palestinese fuori dallo Statodi Israele Le operazioni militari dell’Olp al di fuoridei confini dello Stato di Israele crebberoin modo spaventoso all’inizio degli an-ni’70. Nel mese di maggio tre elementidell’Armata rossa giapponese, reclutatidall’FPLP (Fronte Popolare per la Libera-zione della Palestina), compirono unastrage al terminal dell’aeroporto di Lod(Tel Aviv), uccidendo più di venti persone.Nel mese di settembre, invece, guerriglie-ri palestinesi uccisero dodici atleti israe-liani alle Olimpiadi di Monaco.

1973 - La guerra dello Yom Kippur L’ubriacante vittoria del 1967 aveva in-dotto Israele a sottovalutare il nemicoarabo, che invece negli anni si era anda-to rafforzando. L’esercito e l’intera nazio-ne ebraica, così, furono colti di sorpresadall’estemporaneo attacco sferrato con-giuntamente il 6 ottobre (giorno della fe-sta ebraica dello Yom Kippur) dalle trup-pe egiziane e siriane. Nei primi due gior-ni di battaglia, proprio grazie all’effettosorpresa, furono le nazioni arabe ad ave-re la meglio. Addirittura l’Unione Sovie-tica consigliò a Nasser di fermarsi, inmodo da poter dimostrare di aver in-franto la tanto celebrata inviolabilità diIsraele. Nasser tuttavia proseguì e, quan-do giunsero i rifornimenti chiesti dal pri-

mo ministro israeliano Golda Meir aglistatunitensi, le sorti della guerra mutaro-no. Dinanzi all’imponente ponte aereooccidentale, i paesi arabi produttori dipetrolio decisero di diminuire la produ-zione e di proclamare un embargo neiconfronti di Stati Uniti e Paesi Bassi. Ilsegretario di Stato americano Kissingerlavorò al fianco dell’Unione Sovietica perriportare le parti sul tavolo del negozia-to, favorendo la risoluzione Onu n. 338,in cui si intimava agli stati belligeranti diporre fine alle ostilità. L’11 novembre1973 fu firmato al km 101 della stradatra Suez e il Cairo il cessate il fuoco traEgitto e Israele. In seguito, nel gennaiodel 1974, le truppe israeliane si ritiraro-no dalla sponda occidentale del canale diSuez e si stabilirono a est dei valichi diGidi e Milta. Infine, con gli accordi sigla-ti nel settembre 1975, Israele si ritirò aovest dei valichi e restituì i giacimentipetroliferi di Abu Rudeis all’Egitto. Il 31maggio 1974, intanto, era stato firmatoanche l’accordo tra Israele e la Siria, inbase a cui le truppe israeliane si sarebbe-ro ritirate leggermente più indietro ri-spetto ai confini acquisiti dopo la guerradei giorni.

1973/74 - Il riconoscimento dell’OLP e il verticedi RabatNel 1973 Olp ottiene il riconoscimento di-plomatico da parte di 114 Stati, mentrel’anno successivo al vertice di Rabat, inMarocco, gli stati arabi sanciscono il di-ritto del popolo palestinese di stabilireun’autorità nazionale indipendente sottola leadership dell’Olp, unico rappresen-tante legittimo del popolo palestinese.

1977 - La visita di Sadat a GerusalemmeNel tentativo di abbattere la “barrierapsicologica del sospetto”, il 20 novembre

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1977 il presidente egiziano Sadat si recain visita a Gerusalemme, dove incontra ilprimo ministro israeliano MonachemBegin e inaugura con esso un produttivonegoziato di pace.

1979 - Gli accordi di Camp DavidIl presidente egiziano Anwar Sadat e ilpremier israeliano Menachem Begin,con la mediazione del presidente statu-nitense Jimmy Carter, firmarono a CampDavid un accordo che mise fine al tren-tennale stato di belligeranza tra i duepaesi. In cambio del riconoscimento egi-ziano del diritto all’esistenza di Israele,gli ebrei restituirono la penisola del Si-nai. I due Paesi stabilirono formali rela-zioni diplomatiche. La Lega araba espul-se l’Egitto per aver firmato la pace conIsraele.

1980/81 - L’annessione del GolanDopo aver proclamato Gerusalemme ca-pitale “eterna e indivisibile” di Israele, il14 dicembre 1981 la Knesset votò l’an-nessione de facto del Golan.

1982 - La guerra in Libano Dopo un primo tentativo del 1978 nonportato a compimento a causa dell’oppo-sizione statunitense, il 6 giugno 1982 Be-gin lancia l’operazione “Pace in Galilea”,invadendo il Libano e assediando Beirutcon l’obbiettivo di snidare ed eliminare ilnocciolo duro dell’Olp e i fedayin palesti-nesi. Israele finì così per impelagarsi nel-la dilaniante ed endemica guerra civilelibanese, schierandosi al fianco delle fa-langi cristiano maronite di Gemayel econtro i drusi di Jumblatt, che invece so-stenevano l’Olp. Ancora una volta gliStati Uniti intervennero per imporre ilcessate il fuoco e porre fine a un massa-cro ingiustificato. Sotto la protezione ditruppe americane, francesi e italiane,

venne data la possibilità a circa 13.000palestinesi (Arafat partì per ultimo) diespatriare. Quando però la forza multi-nazionale lasciò il Libano, l’inattesa uc-cisione del leader maronita Gemayel(che sarebbe dovuto diventare presiden-te del Libano) scatenò una nuova, san-guinosa repressione. L’infelice decisionedell’esercito israeliano di affidare alleforze falangiste libanesi la cattura deiterroristi portò infatti al tristemente no-to massacro nei campi profughi di Sabrae Chatila, in cui morirono circa 3.000persone. Nella tragica vicenda apparveevidente la negligenza del ministro dellaDifesa israeliano Ariel Sharon, che difatto lasciò senza protezione i campiprofughi palestinesi. In Israele i partitidi opposizione alla destra e il movimen-to pacifista Shalom Akshav organizzaro-no una manifestazione alla quale prese-ro parte oltre 400.000 persone (il 10%della popolazione) e che favorì l’istitu-zione di una commissione, presiedutadal presidente della Corte SupremaKahan, che nel 1983 ribadì la responsa-bilità di Sharon, del ministro degli esteriShamir, del capo di stato maggiore Ey-tan e di quello dei servizi di informazio-ne Saguy. La gravità degli accadimentiportò intanto a una frettolosa ricomposi-zione della forza multinazionale, mentreIsraele si ritirava mantenendo una unazona di sicurezza nel sud del paese. Il 23ottobre gli sciiti libanesi, agguerrita mi-noranza rispetto ai sunniti, sferraronoun attacco contro le truppe occidentalicausando la morte di 78 soldati francesie 241 marines. Il presidente Reagan, inpieno periodo elettorale, annunciò il riti-ro delle sue truppe. L’opinione pubblicasempre più contraria portò Israele a ef-fettuare un ulteriore ritiro, anche se fumantenuta una zona di sicurezza.

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1987 - La prima Intifada Il 9 dicembre a Jabalya, nella striscia diGaza, scoppiò una rivolta spontanea daparte della popolazione palestinese. Ilmoto di protesta, poi noto sotto il nomedi intifada (dal verbo nfada, “scrollare,levarsi di dosso”), si estese presto anchealla Cisgiordania, esprimendo l’insoffe-renza di un popolo le cui generazioni piùgiovani, alla fine degli anni ’80, eranonate e cresciute sotto l’occupazioneisraeliana. La rivolta, caratterizzata dallancio di pietre verso militari e obiettiviisraeliani, era indirizzata soprattuttocontro i coloni ebrei che, a quel tempo,

erano ormai circa70.000 in Cisgiorda-nia e 2.000 nella WestBank.

1988 - Lo stato palestineseIl Consiglio nazionalepalestinese riunito adAlgeri proclama lacreazione simbolicadi uno Stato palesti-nese in Cisgiordania ea Gaza, con Gerusa-lemme capitale. Ara-fat dichiara, a Gine-vra, di accettare le di-verse risoluzioni Onu(nn. 242 e 338) e di ri-conoscere Israele, purnon cancellando dallaCarta palestinese ilproposito di annien-tarlo.

1989 - La colonizzazioneebraica dei TerritoriDopo il 1989 l’allegge-rimento delle restri-zioni all’espatrio vi-genti in Unione Sovie-

tica portò a un’ondata improvvisa di cir-ca 370.000 immigrati in Israele. Nel1992 in Cisgiordania la popolazioneebraica era arrivata a 97.000 unità, nellaStriscia di Gaza a 3.600, nelle Alture delGolan a 14.000 e a Gerusalemme Est a129.000.

1991 - La Conferenza di Madrid Sotto la presidenza congiunta dell’ameri-cano George Bush e del russo Gorbaciov,in ottobre si svolse a Madrid una confe-renza di pace alla quale parteciparonoEgitto, Israele, Libano, Siria e una dele-gazione palestinese-giordana. In prece-

QUATTRO ORE A CHATILAVerso le due del pomeriggio di domenica, tre soldati dell’esercito libanese, fu-cile puntato, mi hanno condotto a una jeep dove sonnecchiava un ufficiale.Gli ho chiesto:– Parla francese?– English.La voce era secca, forse perché l’avevo svegliato di soprassalto. Ha guardatoil mio passaporto. Poi, in francese:– Viene di là? (con il dito indicava Chatila).– Sì.– Ha visto?– Sì.– Lo scriverà?– Sì.Mi ha restituito il passaporto. Mi ha fatto segno di andare. I tre fucili si sonoabbassati. Avevo passato quattro ore a Chatila. Impressi nella memoria avevocirca quaranta cadaveri. Tutti – e dico: tutti – erano stati seviziati, probabil-mente da ubriachi che cantavano, ridevano, tra l’odore della polvere e dellacarogna. Indubbiamente ero solo, voglio dire il solo europeo (con poche vec-chie palestinesi, ancora aggrappate a uno straccio bianco lacerato; con po-chi fedayn disarmati) ma se cinque o sei esseri umani non fossero stati là, seavessi scoperto io quella città abbattuta, i palestinesi atterrati, neri e gonfi, iosarei impazzito. Dove ero stato? Quella città in briciole e a terra che ho vistoo creduto di vedere, percorsa, sollevata, trasportata dall’odore possente dellamorte, era accaduto davvero tutto questo?Non avevo esplorato, e male, che la ventesima parte di Chatila e Sabra, nien-te di Bir Hassan, niente di Burj el Barajnè.

Da Genet, Jean, Quattro ore a Chatila, in “Revue d’études palestiniennes”, n.6/1983.

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denza, lo scoppio della guerra del Golfoaveva offerto all’Iraq il pretesto per lan-ciare missili Scud in territorio israeliano.

1993 - Le trattative segrete di Oslo Trattative segrete in Norvegia fra Olp eIsraele portano a un trattato di reciprocoriconoscimento, che comprende una limi-tata autonomia palestinese a Gaza e Geri-co in prospettiva di un accordo destinatoa definire lo status di Gaza e Cisgiordania.Il patto è sigillato dalla famosa stretta dimano Arafat-Rabin alla Casa Bianca (13settembre 1993). Il 30 dicembre 1993 loStato di Israele e la Santa Sede sottoscri-vono un accordo che sancisce il reciprocoriconoscimento.

1994 - Il ritorno di Arafat e la nascita dell’Anp In febbraio un colono ebreo, BaruchGoldstein, uccide 39 palestinesi mentrepregano a Hebron presso la Tomba deiPatriarchi. Altri attentati, condotti daHamas e dalla Jihad Islamica, fanno sa-lire la tensione fino al mese di maggio,in cui Israele accetta di ritirarsi da Geri-co e da Gaza concedendo all’Olp il gover-no autonomo di tali territori. Arafat puòcosì rientrare in Palestina dopo 27 annidi esilio e, accolto trionfalmente a Gaza,nomina il primo governo dell’Anp (Auto-rità Nazionale Palestinese).

1995 - L’uccisione di Rabin Il controllo dell’Autorità nazionale palesti-nese si estende ai sei città della Cisgiorda-nia (la cosiddetta zona A). Il 4 novembreun estremista della destra israeliana ucci-de a Tel Aviv il premier Yitzhak Rabin. Ilprocesso di pace faticosamente avviato su-bisce una brusca frenata.

1996 - Arafat eletto primo presidente palestinese.La strage al Monte del Tempio Si svolgono le prime elezioni palestinesi,

secondo gli accordi di Taba. Arafat èeletto presidente dell’Anp con l’88% deivoti e Al Fatah si aggiudica 65 degli 88seggi del Consiglio di Autonomia. Ha-mas, Fdpl e Fplp boicottano le elezioni.In Israele Benjamin Netanyahu, nuovoleader della destra tornata al governo, sirende promotore del progetto di costru-zione di un tunnel archeologico che sa-rebbe dovuto passare sotto alla Spianatadelle Moschee (Monte del Tempio). Gliscontri causati dalla violenta reazionepalestinese conducono alla morte quin-dici soldati israeliani e settanta palesti-nesi.

1998 - Gli accordi di Wye PlantationCon la mediazione di Clinton e del mala-to re giordano Hussein e dopo lunghetrattative, Netanyahu e Arafat raggiun-gono un accordo in più punti: ritiro intre fasi di Israele dal 13% dei Territoridella Cisgiordania e passaggio di conse-gne del 14% dei Territori controllati aipalestinesi. L’Anp si impegna a metterein prigione trenta persone che Israele so-spetta di terrorismo e a cancellare dallaCarta dell’Olp le clausole sulla distruzio-ne dello Stato di Israele. Lo stato ebraicoa sua volta promette di liberare 750 dete-nuti palestinesi.

1999 - Barak e la vittoria dei laburisti in Israe-le Gli elettori israeliani rispondono positiva-mente alla campagna del nuovo leader la-burista Ehud Barak, il militare più decora-to della storia d’Israele, che sconfigge alleelezioni con largo margine Benjamin Ne-tanyahu. Le prospettive di una vera pacesembrano sempre più reali. In settembreBarak e Arafat firmano un accordo per at-tuare le intese raggiunte l’anno prima aWye Plantation.

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2000 - Il fallimento dei negoziati di Camp David e loscoppio della seconda intifadaIn marzo Israele compie un ulteriore ri-tiro dalle zone A e B in Cisgiordania, maallo stesso tempo mantiene il controllosul 40% della West Bank. L’11 luglio aCamp David, in Maryland, Clinton riuni-sce Arafat e Barak nel tentativo di avvia-re negoziati che favoriscano un accordo-quadro tra Israele e Anp. Arafat respingela proposta statunitense di una sovranitàisraelo-palestinese sulla parte orientaledi Gerusalemme, accettata da Barak.Israele aveva infatti proposto la restitu-zione dell’88% dei Territori, l’autonomialimitata su alcuni luoghi santi, la costru-zione della città Al Quds da collegare asobborghi arabi di Gerusalemme Est, unpassaggio riservato alla Spianata delleMoschee e il rimpatrio di 10.000 rifugia-ti palestinesi. Falliti i negoziati, il 28 settembre la pro-vocatoria visita del leader del Likud ArielSharon alla Spianata delle Moschee di-venta il detonatore di una nuova rivoltaspontanea da parte dei palestinesi. Il pri-mo ottobre la seconda intifada è ormaidilagata anche nelle zone arabe di Israele,

causando dodici morti, tra iquali un soldato israelianoe due bambini. È l’inizio diun’escalation militare chein quindici mesi, fino algennaio 2002, provoca1.132 vittime, di cui 872 pa-lestinesi e 238 israeliani.

2001 - I negoziati di Taba, ilrapporto Mitchell e l’assedio diRamallahDal 21 al 27 gennaio sisvolgono a Taba tra israe-liani e palestinesi dei nego-ziati destinati, però, ad are-

narsi sullo scoglio rappresentato dal pro-blema dei profughi palestinesi e dellostatus di Gerusalemme. In febbraio Sha-ron vince le elezioni con il 62,5% dei voti,infliggendo una dura batosta a Barak ealla sinistra laburista. In un clima resosempre più teso dai continui attentati edalle puntuali rappresaglie israeliane, il28 aprile Arafat scioglie Al Fatah, il movi-mento politico da lui fondato e diventatoormai troppo radicale. Intanto, dopo cheWashington ha opposto il suo veto all’in-vio di una forza multinazionale di inter-posizione, Israele rioccupa parzialmentela zona A. Il 6 maggio viene consegnato il rapportoMitchell, il documento redatto dalla com-missione internazionale per la pace inMedio Oriente presieduta dall’ex senatorestatunitense George Mitchell. Queste leprincipali indicazioni: Israele deve “con-gelare ogni attività negli insediamenti”,inclusa la “naturale crescita” degli inse-diamenti già esistenti. L’Anp deve “rende-re chiaro con azioni concrete ai palestine-si e agli israeliani che il terrorismo vacondannato ed è inaccettabile, e che l’Au-torità palestinese si impegnerà al cento

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per cento per prevenire il terrorismo e pu-nire i responsabili di azioni terroristiche”.In giugno un attentato suicida in una di-scoteca a Tel Aviv causa la morte di 21persone, mentre il 17 ottobre viene uccisoa Gerusalemme da membri del Flpl il mi-nistro del turismo israeliano RehavamZevi. Nuovi attentati in dicembre induco-no Israele a colpire con razzi tre elicotteriusati dal presidente palestinese per glispostamenti a Gaza. Per volontà del pre-mier israeliano Sharon, Arafat viene con-finato nella Moqata, il suo quartiere gene-rale a Ramallah. Il 12 dicembre in Cisgiordania attentatosu un autobus: muoiono dieci israeliani.Dopo poche ore la reazione israeliana:missili su Gaza, Nablus e Ramallah erottura dei rapporti con l’Anp. Il 15 di-cembre gli Stati Uniti mettono il veto suuna risoluzione dell’Onu per la creazionedi un sistema di monitoraggio in MedioOriente. Secondo Washington la risolu-zione, appoggiata dai paesi arabi e daipalestinesi, ignorerebbe i recenti attenta-ti anti-israeliani e punterebbe a isolareIsraele.

2002 - L’ondata di attentati e la storica ri-soluzione n. 1379Il 27 gennaio una donna si fa esploderenella centralissima Jaffa Road di Gerusa-lemme. È il primo esempio di terroristadonna nella nuova Intifada. Il 16 feb-braio un kamikaze del Fplp si fa saltarein aria in una pizzeria a Karnei Shom-ron, provocando quattro morti. Semprein febbraio viene colpito dagli israelianiil quartier generale di Arafat, il quale ècostretto a restare confinato a Ramallah.Il 15 febbraio una ragazza kamikaze pa-lestinese di 15 anni si lancia, armata diun coltello, contro un posto di bloccoisraeliano nei pressi di Tulkarem, in Ci-

sgiordania, finendo uccisa dai soldati.Solo due giorni dopo i un’altra donnakamikaze palestinese si fa saltare in ariaa un posto di blocco. Marzo: attentato suicida nel quartiere ul-traortodosso di Beit Yisrael, a Gerusa-lemme. Muoiono dieci israeliani. Il 6 eli-cotteri da combattimento israeliani lan-ciano due razzi contro un edificio deiservizi d’informazione palestinesi, a Ra-mallah, adiacente agli uffici di Arafat.Inizia una serie di rappresaglie nellequali gli israeliani uccideranno più di 50palestinesi. L’11 marzo Israele abolisce lemisure di confino di Arafat a Ramallah egli ridà libertà di movimento, ma solo inCisgiordania e nella striscia di Gaza. 12marzo: su proposta degli Usa, il Consi-glio di sicurezza dell’Onu approva la sto-rica risoluzione n. 1379, che tra l’altroprefigura “una regione nella quale dueStati, Israele e la Palestina, vivano fiancoa fianco, all’interno di frontiere ricono-sciute e sicure”. Intanto però i carri ar-mati israeliani prendono posizione attor-no all’ufficio di Arafat, a Ramallah. Leforze israeliane occupano gran parte del-la città. Nuovi scontri provocano almeno40 morti, 33 palestinesi e 7 israeliani.Grazie anche agli uffici del diplomaticostatunitense Anthony Zinni, l’esercitoisraeliano inizia il ritiro dalle città pale-stinesi di Ramallah, Qalqilyia, Tulkareme Betlemme, in Cisgiordania, e dal cam-po profughi di Al Boureji, nella strisciadi Gaza. Il 27 marzo, giorno della Pa-squa ebraica, un attentato kamikaze inun hotel di Netanya provoca 20 morti eoltre 130 feriti, mentre un altro kamika-ze si fa esplodere in un ristorante a TelAviv e il giorno dopo un terzo attentatosuicida ad Haifa fa diciassette morti. ABeirut, la Lega Araba approva una pro-posta per la pace in Medio Oriente (il

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piano saudita), ma il 29 marzo Israelelancia l’operazione “Scudo di Difesa” inCisgiordania, rioccupando le principalicittà palestinesi. Segue il 31 marzo l’uc-cisione di 16 israeliani ad Haifa da partedi un kamikaze, mentre il 2 aprile i carriarmati e la fanteria israeliana entrano aBetlemme, costringendo i terroristi pale-stinesi a cercare rifugio nella Chiesa del-la Natività. Il 9 aprile una cruenta batta-glia nel campo profughi di Jenin lasciamorti sul campo 13 soldati israeliani e109 palestinesi.

2003 - Abu Mazen e la Road MapIl Consiglio nazionale palestinese nomi-na per la prima volta un primo ministro,carica per la quale su indicazione di Ara-fat viene scelto Mohammed Abbas, dettoAbu Mazen. Nel frattempo viene avviatoun nuovo piano di pace, denominatoRoad Map ed elaborato congiuntamenteda Onu, Russia, Stati Uniti e Unione Eu-ropea (il cosiddetto “Quartetto”). Israe-liani e palestinesi promettono rispettiva-mente il rilascio di prigionieri e la finedegli attacchi terroristici, ma il mancatorispetto di tali accordi e una serie di dis-sidi interni all’Olp conducono Abu Ma-zen a rassegnare le dimissioni. Al suoposto viene nominato Abu Ala (AhmedQasr).

2004 - L’uccisione di Yassin e Rantisi, la condannadel Muro israeliano e la morte di ArafatNella prima metà del 2004 il conflittoisraelo-palestinese si inasprisce a causadelle autoritarie operazioni militari mes-se in atto da Tsahal (l’esercito israeliano)nei Territori. Attacchi chirurgici colpi-scono a morte prima lo sceicco AhmedYassin, leader spirituale e simbolo di Ha-mas, e poi il suo successore Abdel AzizRantisi. In luglio l’Assemblea generale

dell’Onu approva una mozione di con-danna del muro di separazione cheIsraele sta costruendo lungo e oltre ilconfine con i Territori palestinesi. Similecondanna giunge anche dal Tribunalepenale internazionale dell’Aja. Dopogiorni di agonia, l’11 novembre si spegneYasser Arafat, la cui scomparsa inaugurauna nuova fase della tormentata vicendaisraelo-palestinese.

2005 - Il ritiro israeliano da GazaIl 9 gennaio il candidato di Al Fatah AbuMazen esce vittorioso dalle elezioni presi-denziali palestinesi, battendo con il62,32% delle preferenze il rivale MustafaBarghouti. Hamas e la Jihad Islamicahanno boicottato le consultazioni eletto-rali, ma si sono dette disponibili a colla-borare con il nuovo presidente dell’Anp.Già il 13 gennaio, comunque, un attenta-to suicida operato da Hamas al valico diKarni, al confine tra Israele e Gaza, inde-bolisce la posizione negoziale di Abu Ma-zen determinando inoltre la consueta,sanguinosa rappresaglia israeliana. Comesuccessore di Arafat la popolazione pale-stinese sceglie dunque un convinto soste-nitore del dialogo con Israele e del pro-cesso di pace. L’8 febbraio Abu Mazen siincontra per la prima volta con Ariel Sha-ron: i due concordano una tregua che,tuttavia, viene respinta dai movimenti ra-dicali palestinesi (il 26 febbraio un ka-mikaze palestinese si farà esplodere sullungomare di Tel Aviv). Proprio la fram-mentarietà dell’universo politico palesti-nese e l’irriducibilità delle posizioni degliestremisti, così, inducono Sharon a met-tere a punto una strategia autonoma ri-spetto all’Anp. Privo di fiducia nella con-troparte palestinese, ritenuta inaffidabilee incapace di tenere a bada i terroristi e igruppi più estremisti, il premier israelia-

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no decide infatti di dare avvio a una fasedi azione unilaterale da parte dello statoebraico. Mutando le convinzioni di unavita, che l’avevano portato in prima filanella promozione della colonizzazioneebraica nei Territori, Sharon predisponeinfatti un rivoluzionario piano di disim-pegno israeliano dalla Striscia di Gaza:entro il 2005, rende noto il premier, Israe-le provvederà a evacuare circa 8.000 colo-ni da 21 insediamenti della West Bank e 4della Cisgiordania. Il piano viene appro-vato il 20 febbraio dal governo nonostan-te il voto contrario di cinque ministricompreso Netanyahu (titolare del dicaste-ro delle Finanze), insieme alla modificadel percorso del muro di separazione, ilcui nuovo tracciato ingloba il 7% della Ci-sgiordania palestinese a fronte del 16%precedentemente previsto. La propostadel leader del Likud, che rende Sharoninviso al suo stesso partito, scatena laveemente reazione dei coloni e degli ebreiortodossi (già il 30 gennaio più di 130.000israeliani manifestano a Gerusalemmecontro il piano Sharon), pervicacemenelegati al sogno del “Grande Israele”. Lastorica decisione di demolire le colonie aGaza non impedisce tuttavia al premierisraeliano di approvare insieme al mini-stro della Difesa Shaul Mofaz la costru-zione di circa 3.500 nuove abitazioni aMaale Adumin, colonia da 28.000 abitantisituata a est di Gerusalemme in Cisgior-dania. Obiettivo implicito dell’intera ope-razione è l’unificazione di Maale Aduminai quartieri ebraici di Gerusalemme Est(occupata da Israele dal 1967), prologonei piani di Sharon dell’annessione dellacolonia al territorio israeliano. Stessa sor-te toccherebbe a Gush Etzion e ad Ariel,situate rispettivamente a sud di Gerusa-lemme e nel nord della Cisgiordania. Lamossa israeliana viene indirettamente

condannata dal presidente americanoG.W. Bush, il quale durante la visita diSharon in Texas chiede al premier di ri-spettare le disposizioni della Road Map.Il governo israeliano rende noto tuttavianei giorni seguenti che non intende rilan-ciare il piano di pace sostenuto dal Quar-tetto: lo stato ebraico, ormai, ha deciso difar da sé. Intanto, il 16 marzo l’esercitoisraeliano procede al ritiro da Gerico, inCisgiordania, trasferendone il controlloall’Anp. Tsahal mantiene comunque deiposti di blocco all’ingresso della città. Se-gue nei giorni successivi un parziale di-simpegno anche da Tulkarem. Il 27 aprilemigliaia di israeliani partecipano allagiornata di protesta organizzata dal Con-siglio delle colonie ebraiche a Neve Deka-lim, insediamento della zona di GuishKatif, nella Striscia di Gaza. L’arancionedelle magliette, dei nastri e dei pallonciniagitati dai manifestanti diventa il colorecaratteristico degli oppositori al piano diabbandono della Striscia di Gaza pro-mosso da Sharon. Il 5 maggio si tengonole elezioni amministrative nei Territoripalestinesi: 400.000 persone si recano alleurne indirizzando il 55% delle preferenzead Al Fatah, ma come accaduto già neldicembre 2004 il vero vincitore della tor-nata elettorale è Hamas, che ottiene il33% dei voti e il controllo di 24 città, tracui Qalqiliya in Cisgiordania e Beit Lahyanella Striscia di Gaza (Hamas aveva vintoanche a Gaza, ma il voto viene invalidatoper irregolarità). Proseguono nel frattem-po senza soluzione di continuità gli scon-tri tra estremisti palestinesi, coloni e sol-dati israeliani. Temendo una larga affer-mazione di Hamas, che per la prima voltaha dichiarato di voler partecipare alle ele-zioni per il Consiglio Nazionale dell’Anp,il presidente palestinese Abu Mazen an-nuncia il 5 giugno il rinvio a data da de-

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stinarsi delle suddette consultazioni elet-torali. Dopo una breve visita nei Territoridel segretario di stato americano Conde-leeza Rice, il 21 giugno Ariel Sharon rice-ve a Gerusalemme Abu Mazen, ma l’in-contro non apporta alcuna novità al qua-dro di azione unilaterale e di sostanzialenon collaborazione con l’Anp definito daIsraele in vista del ritiro da Gaza previstoper i mesi di luglio e agosto. Proprio l’av-vicinarsi dell’inizio delle operazioni disgombero induce i coloni a intesificare laprotesta: il 27 giugno alcuni di essi rico-struiscono in parte alcuni edifici appenaabbattuti dai soldati nell’insediamento di

Shirat Ha’yam (Gush Katif, Gaza), prolo-go a una serie di scontri che causano di-versi feriti e l’arresto di alcuni ebrei ultra-nazionalisti. In segno di protesta, il 7 lu-glio, Netanyahu si dimette dall’incarico diministro delle Finanze, affermando che ilritiro da Gaza è contrario ai principi ispi-ratori del Likud, partito spaccato in duedal cambio di rotta del suo contestato lea-der Sharon. Nonostante i violenti scontrie le resistenze causate dai coloni più ol-tranzisti, comunque, il ritiro viene porta-to a termine attraverso passaggi gradualinel corso dei mesi di agosto e settembre.La partenza israeliana dalla West Bankproduce anche l’effetto di scatenare uncruento regolamento dei conti tra i clan ei gruppi militari palestinesi per l’assun-zione del controllo del territorio: il 7 set-tembre, così, a Gaza viene ucciso da uncommando armato il generale MoussaArafat, nipote di Yasser, consigliere mili-tare di Abu Mazen ed ex capo della sicu-rezza dell’Anp. Nella notte tra l’11 e il 12settembre, concluse ormai le operazionidi ritiro israeliane, gruppi di palestinesiincendiano le sinagoghe delle ex coloniedi Morag e Netzarim, compiendo un attoche il presidente israeliano Moshe Katzavdefinisce “barbarico, disumano e incivi-le”. Dieci giorni dopo il governo israelia-no dichiara “frontiera internazionale” ilconfine tra Israele e Gaza: si tratta di unulteriore impedimento per i palestinesiche lavorano in territorio israeliano (eche utilizzano quotidianamente permessispeciali), ma anche di un passo significa-tivo verso il riconoscimento di uno statopalestinese indipendente. Non si arrestaintanto la spirale di violenza che vedeprotagonisti Hamas e la Jihad Islamicada una parte e i militari israeliani dall’al-tra. Scontri armati, attentati, rapimenti edure rappresaglie rimangono una costan-

Gerusalemme, quartiere ebraico: vendita di na-stri e braccialetti arancioni nel periodo dellaprotesta contro il disimpegno dalla Striscia diGaza.

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te anche in questo difficile pe-riodo di transizione per ilmondo politico sia israelianoche palestinese. In ottobre AbuMazen e Al Fatah incassano lavittoria alla terza tornata delleamministrative, tenutesi sta-volta in Cisgiordania. Il 4 otto-bre, tuttavia, il Consiglio na-zionale palestinese aveva adot-tato una mozione di sfiducianei confronti del primo mini-stro Abu Ala, giudicato incapa-ce di garantire la sicurezzanella West Bank dopo il ritiroisraeliano. Israele chiede in-tanto all’Anp di vietare la partecipazionedi Hamas alle legislative fissate per il 25gennaio, asserendo che il movimento do-vrebbe prima rinunciare alla lotta armatae alla negazione del diritto all’esistenzadello stato ebraico, ma i palestinesi ri-spondono negativamente. Ciò non impe-disce, in novembre, il raggiungimentodell’accordo per l’apertura della frontieratra la Striscia di Gaza e l’Egitto presso ilterminale di Rafah: per circa 1.300.000palestinesi significa la fine dell’isolamen-to e di una dissimulata segregazione. L’U-nione Europea assicura l’invio di truppeche possano aiutare nel controllo dellafrontiera le forze di sicurezza palestinesi,chiamate a impedire il contrabbando diarmi ed esplosivi da e verso l’Egitto. Il 21novembre una nuova, estemporanea mos-sa di Sharon scuote il panorama politicoisraeliano: in vista delle legislative del2006, infatti, il vecchio Arik annuncia ilsuo abbandono della leadership del Likude la creazione di una nuova forza politica,Kadima (“Avanti”), cui rendono subitonoto di voler aderire 14 deputati delLikud stesso e, dopo la sconfitta alle pri-marie, anche l’ex laburista Shimon Peres.

Obiettivo dichiarato del neonato partitodi Sharon è il raggiungimento della pacecon i palestinesi, anche se attraverso unprocesso condotto unicamente dagliisraeliani. L’annucio della creazione diKadima era stato preceduto di poche oredall’uscita dalla coalizione di governo delpartito laburista di Amir Peretz e dallaconseguente decisione di Sharon di ri-mettere il proprio mandato governativonelle mani del presidente Katsav. Il mesedi dicembre si apre con un attentato nelcentro commerciale di Netanya rivendi-cato dalla Jihas Islamica e con nuovi at-tacchi verbali indirizzati dal presidenteiraniano Ahmadinejad a Israele. Mentreanche il ministro della Difesa Mofaz la-scia il Likud (alla cui guida sale Ne-tanyahu dopo le primarie) per entrare afar parte di Kadima, il leader politico diHamas Khaled Meshal dichiara da Dama-sco che il suo movimento non rinnoveràla tregua con Israele, in scadenza il 31 di-cembre. Proprio Hamas festeggia il 16 di-cembre la vittoria nella quarta tornatadelle amministrative in Cisgiordania,mentre Al Fatah si impone a Ramallah.

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Shimon Peres e Ariel Sharon

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2006 - L’uscita di scena di Sharon. La vittoriadi Hamas in Palestina e di Kadima in Israele. La sera del 4 gennaio il premier israelia-no Ariel Sharon viene colpito da una gra-ve emorragia cerebrale che, mettendonea rischio la stessa sopravvivenza, lo co-stringe di fatto ad abbandonare definiti-vamente la scena politica israeliana e lasua nuova creatura Kadima, alla cui gui-da in vista delle elezioni del 28 marzo glisuccede quindi il vice-premier Ehud Ol-mert. Il neo primo ministro ad interim giàil 17 gennaio deve ordinare l’interventodell’esercito per placare l’intifada israelia-na scatenata da alcuni coloni a Hebron,in Cisgiordania, con l’occupazione di caseappartenenti ai palestinesi. Otto giornidopo, come previsto, si svolgono le secon-de elezioni legislative nella storia del-l’Anp. L’esito delle consultazioni si rivelaun successo senza precedenti per Hamas,all’esordio come partito politico, che con-quista la maggioranza assoluta del Consi-glio nazionale con 76 seggi su 132. Il ca-polista di Hamas Ismail Haniyeh, porta-voce dell’ala moderata e futuro primo mi-nistro palestinese, mette subito in chiaroche il suo partito non rinuncia alla lottaarmata, al non riconoscimento di Israele,a Gerusalemme capitale e al rispetto deiconfini del 1967. Hamas, rende noto Ha-niyeh, è tuttavia disponibile a rinnovarela tregua con Israele, scaduta il 31 dicem-bre 2005. Il governo israeliano, dal cantosuo, dichiara di non voler trattare conHamas a queste condizioni e, anzi, reagi-sce sospendendo la restituzione dei dirittisui dazi doganali (circa 650 milioni didollari l’anno) riscossi dagli israeliani perconto dei palestinesi. Anche l’Unione Eu-ropea, che considera Hamas un’organiz-zazione terroristica, sceglie la linea duranei confronti del nuovo partito di mag-

gioranza palestinese, disponendo il bloc-co degli aiuti finanziari che l’Anp, in gra-ve crisi finanziaria (Meshal ammette unbuco di 1,45 miliardi di euro), avrebbedovuto utilizzare per fornire aiuti umani-tari alla popolazione e pagare gli stipendidei funzionari pubblici e le fornitureenergetiche. Stesse ritorsioni vengonominacciate dagli Stati Uniti. Pragmatica-mente proteso ad accattivarsi le simpatiedell’elettorato di destra, il 14 marzo il pre-mier israeliano Olmert (definito per que-sto una “colomba-falco” da Yossi KleinHalevi su The New Republic) approfittadella partenza degli agenti americani ebritannici che dal 2002 vi prestavano ser-vizio a fianco dei palestinesi per disporreun massiccio raid israeliano contro il car-cere palestinese di Gerico: obiettivo del-l’operazione, condotta da mezzi blindati,elicotteri, jeep e bulldozer, è la consegnadel leader del Fplp Ahmed Saadat, rin-chiuso nel penitenziario dal 2002 in se-guito alla condanna ricevuta per aver par-tecipato nel 2001 all’omicidio del mini-stro del Turismo israeliano Rehvam Zee-vi. Negli scontri a fuoco tra i militari diTsahal e le guardie palestinesi rimangonouccisi due uomini e ne vengono feriti 26tra secondini e detenuti. Alla fine Saadate altri cinque palestinesi vengono preleva-ti e trasferiti in un carcere di massima si-curezza in Israele, dove attenderanno ilnuovo processo cui il governo di Tel Avivintende sottoporli. La reazione a quelloche Abu Mazen definirà un “crimine im-perdonabile e un’umiliazione per il popo-lo palestinese” è immediata e porta, nelgiro di poche ore, al sequestro di alcunioccidentali (rilasciati poi a breve) e a vio-lente manifestazioni nella Striscia di Ga-za e in Cisgiordania. La costante minac-cia dell’ingerenza israeliana all’autono-

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mia palestinese nei Territori contribuisceulteriormente all’indebolimento della lea-dership di Abu Mazen e di Al Fatah, giun-ti ormai alla resa dei conti con Hamas. Aiprimi di marzo, dopo il conferimento aHaniyeh da parte Abu Mazen dell’incari-co di formare un nuovo governo, il Consi-glio nazionale dominato da Hamas deci-de infatti di abrogare una serie di prero-gative spettanti al presidente, Abu Mazen,cui il pacchetto di leggi in questione con-sentiva di sciogliere il parlamento e inter-ferire sull’iter normativo del Consiglio. Siconfigura così uno scontro aperto tra AlFatah e Hamas, che costringe Ismail Ha-niyeh a varare un governo egemonizzatoda Hamas e privo del sostegno delle altreformazioni politiche. Al dicastero degliEsteri viene nominato Mahmud Zahar,esponente di spicco dell’ala più radicale eintransigente del partito. Nel suo discorsodi insediamento, il 29 marzo, Haniyeh ri-badisce il diritto alla resistenza del popo-lo palestinese e la contraddittoria dispo-nibilità di Hamas a contribuire al proces-so di pace in Medio Oriente pur non rico-noscendo lo stato di Israele. Un giornoprima si erano svolte in Israele le atteseelezioni legislative anticipate, conclusesicon la vittoria di Ehud Olmert e di Kadi-ma. Ancora in coma a tre mesi dalla gra-ve emorragia cerebrale del 4 gennaio,Sharon non può quindi assistere al suc-cesso del partito da lui stesso fondato(che con 28 seggi non ha tuttavia i nume-ri per governare da solo) e alla disfattadel Likud, che, dalla tornata elettoralecaratterizzata dalla minor affluenza alleurne della storia di Israele (63,2%), escenotevolmente ridimensionato passandoda 40 a 12 seggi in Parlamento. Megliofanno i laburisti di Peretz (20 seggi),mentre la rivelazione Israel Beiteinu rag-

giunge un clamoroso risultato: il partitorussofono guidato dal conservatore Lie-bermann, infatti, ottiene 12 seggi, uno inmeno degli ortodossi dello Shas (l’altropartito ortodosso, Yahadut-Ha-Tora, siferma a 6) e quattro in più dell’Unionenazionale, l’altra formazione di estremadestra alleata al Partito Nazionale Reli-gioso dei coloni. Dopo aver raggiuntoun’intesa con i laburisti, lo Shas e il Par-tito dei pensionati (8 seggi), il 5 aprile Ol-mert riceve quindi dal presidente Katsavl’incarico di procedere alla formazione diun governo di coalizione, il cui obiettivoprioritario sarà il ritiro israeliano dagliinsediamenti nei Territori e la conse-guente separazione unilaterale della Ci-sgiordania. La linea intransigente del go-verno israeliano era stata indirettamenterafforzata, il giorno precedente, dall’en-nesimo attentato suicida, rivendicato sta-volta dalle Brigate Al Aqsa (gruppo ar-mato vicino ad Al Fatah) e messo in attonei pressi della colonia di Kedumim, inCisgiordania. In risposta a questo attac-co e al lancio di razzi Qassam in territo-rio israeliano, per tutti il mese di aprilel’esercito israeliano ha condotto ripetutiraid contro villaggi e città palestinesi,causando la morte di quasi 50 persone,compresi alcuni bambini. In risposta, il17 aprile la Jihad Islamica ha messo lafirma sul più sanguinoso attentato con-dotto in Israele dall’estate del 2004: tea-tro della tragedia un ristorante di TelAviv, dove un giovane palestinese di 21anni si è fatto esplodere uccidendo novepersone. Mentre esponenti di Hamashanno commentato l’avvenimento par-lando di “legittima difesa contro l’occu-pazione e i crimini israeliani”, stavolta lareazione approntata da Olmert è statacontenuta, avendo il premier israeliano

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ordinato ai militari di intensificare lapressione sui Territori, ma senza scate-nare una vasta rappresaglia. Nei giornisuccessivi all’attentato, inoltre, Olmert ètornato a parlare della strage di Tel Aviv,denunciando una cospirazione orditadall’Iran ai danni di Israele attraverso laSiria e massicci finanziamenti ai gruppiarmati e fondamentalisti attivi in Palesti-na. Mentre il presidente iraniano Ahma-dinejad replica esibendo l’ormai inflazio-nata minaccia all’esistenza dello statoebraico (“Israele non può sopravvivereperché è stato imposto”), il 23 aprile l’e-mittente televisiva Al Jazeera trasmettedal Qatar un nuovo messaggio audio di

Osama Bin Laden: oltre a dedicare uninedito accenno alla drammatica emer-genza del Darfur, lo sceicco saudita si ri-volge in maniera esplicita ad Hamas, ri-badisce allo stesso tempo la contrarietàalle leggi islamiche delle elezioni demo-cratiche (tesi già affermata il 4 marzo inun precedente video dal suo braccio de-stro Al Zawahiri) e il diritto a governareda parte di Haniyeh e, infine, si mostracome di consueto solidale con la causapalestinese, formulando un’analogia trala “lotta contro i nuovi crociati” condottada Al Qaeda e la “guerra sionista” com-battuta dal popolo palestinese. Ormaiformazione politica alla ricerca di legitti-mazione internazionale e di una leader-ship reale all’interno dell’Anp, tuttavia,questa volta la risposta di Hamas agli ab-boccamenti del leader di Al Qaeda è sec-ca e perentoria: “L’ideologia di Hamas ècompletamente diversa da quella dellosceicco Bin Laden” afferma senza mezzitermini il portavoce del movimento pale-stinese Sami Abu Zuhri, sostenuto da unanonimo deputato di Hamas: “La Palesti-na appartiene al popolo palestinese, conquale diritto (Bin Laden, n.d.r.) si per-mette di darci dei consigli?”. La rivendi-cazione di autonomia espressa da Ha-mas nei confronti del terrorismo islami-co dell’organizzazione guidata da BinLaden costituisce anche l’architrave dellaferma presa di posizione del suo leaderKhaled Meshaal, che dall’esilio sirianonon esita a biasimare l’attentato kamika-ze che, il 24 aprile, ha causato la mortedi una trentina di turisti a Dahab, loca-lità situata tra Taba e Sharm el Shiek sulMar Rosso: “Condanniamo con forzaquesto attentato: si tratta di un’orrendoatto criminale e di un’offesa alla nostrafede” dichiara infatti Meshaal, precisan-

ISRAELE n. seggi- Kadima (Olmert - Peres) 28

- Labor (Peretz) 20

- Shas (ortodossi) 13

- Israel Beitenu (ebrei russi) 12

- Likud (Netanyahu) 11

- Partiti arabi 10- Unione nazionale –

Partito Naz. Religioso (coloni) 9

- Partito dei pensionati 7

- Yahadut-Ha-Tora (ortodossi) 6

- Meretz (pacifisti) 4

Totale seggi 120

I risultati delle elezioni legislative tenutesi in Israelee nei Territori palestinesi nei primi mesi del 2006.

Autorità Nazionale Palestinese (ANP) n. seggi- Cambiamento e riforma (Hamas) 74

- Al Fatah (Abu Mazen) 45

- Indipendenti 4

- Martiri Abu Ali Mustafa 3

- La Terza Via 2

- L’Alternativa 2- Palestina indipendente 2

Totale seggi 132

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do poi che “tutto divide Hamas da AlQaeda: noi abbiamo scelto la via delle ur-ne, della legittimità. La nostra resistenzaè solo contro l’occupazione israeliana.Mi auguro che ci sia permessodi sceglie-re la legge”. Evidente, nel messaggio im-plicito lanciato da Meshaal, l’appello ri-volto da Hamas al mondo occidentale inun momento cruciale per il nuovo, ine-sperto ma tenace governo guidato dalmovimento islamico palestinese che mol-ti governi europei considerano terrorista:impegnata infatti in una lotta sempre piùviolenta e serrata con Al Fatah, l’organiz-zazione legata al presidente Abu Mazenche controlla ancora le forze di sicurezzapalestinesi e molti centri decisionali al-l’interno dell’Anp, Hamas ha infatti tre-mendamente bisogno del riconoscimen-to e soprattutto degli aiuti economici oc-cidentali, senza i quali da marzo è diven-tato impossibile garantire lo stipendio aicirca 152.000 impiegati dell’amministra-zione palestinese. Considerando il fattoche su questi stipendi si basa il sostenta-mento di circa un quarto della popola-zione palestinese nei Territori, si com-prende meglio lo stato esplosivo e diestrema indigenza in cui versa al mo-mento la società palestinese, costretta asubire sulla propria pelle da una parte ilblocco degli aiuti disposti da Israele e daipaesi occidentali, dall’altra il terribilebraccio destro tra Hamas e Al Fatah,quest’ultima restia a consentire lo sman-tellamento di quella rete di potere e cor-ruzione che, negli anni di leadership diArafat, ha permesso l’arricchimento ille-cito di molti dei dirigenti dell’Anp. Pro-prio a ridosso dell’attentato di Dahab, lalotta intestina ai vertici palestinesi ha ri-cevuto conferma dalla decisione del pre-sidente Abu Mazen di invalidare due de-

creti del premier Haniyeh, che avrebberoportato alla costituzione di un corpo dipolizia controllato direttamente da Ha-mas e composto da membri di gruppi(come le brigate Ezzedim al Qassam, lebrigate dei Martiri di Al Aqsa e i Comitatidi resistenza popolare) tradizionalmentevicini proprio ad Hamas. A ostacolare ilgoverno di Hamas e la sua possibile evo-luzione in partito politico a tutti gli effet-ti, ormai è chiaro, non sono solo Israele el’insensibile mondo occidentale.A cinque anni e mezzo dall’inizio dellaseconda intifada, la tremenda e appa-rentemente infinita spirale di violenzache attanaglia la Terrasanta ha prodotto5.030 vittime, di cui 3.918 palestinesi,1.037 israeliani e 75 di altra nazionalità(dati Afp aggiornati al 19 aprile 2006).

Michele Camaioni

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D ietro al disimpegno da Gaza vo-luto da Sharon in estate ci po-trebbe essere la questione demo-

grafica. Il sogno del Grande Israele costi-tuirebbe dunque la prima vittima dellacosiddetta “guerra delle culle”. Ne sonoconvinti, fra gli altri, Arnon Soffer, pro-fessore di Geostrategia all’Università diHaifa e Sergio Della Pergola, professoredi Demografia alla Hebrew University ofJerusalem. I flussi migratori verso Israelestanno diminuendo dopo l’esaurimentodell’ondata russa che ebbe luogo in se-guito al mutato quadro internazionalecon la caduta dell’impero sovietico. Se-condo un’analisi ufficiale del Ministerodell’Assorbimento israeliano, dal 1989 al2000 sono immigrati in Israele 886.292ebrei provenienti dai paesi ex sovietici.Per fare spazio ai nuovi arrivati, sola-mente nel 1991 l’allora ministro degli Al-loggi, Ariel Sharon, avviò la costruzionenei territori occupati di 13.000 nuoveunità residenziali contro le 20.000 dei 22anni precedenti. Questa consistentealiyah portò all’aumento della popolazio-ne ebraica della Cisgiordania (esclusa l’a-rea di Gerusalemme) e della Striscia diGaza di un quarto nel 1990 e di quasi al-trettanto nel 1991, rischiando di stabilireun mutamento permanente nell’equili-brio demografico della regione. Ma nel 2005 Israele non ha molti bacinidi riferimento sui quali contare. È dun-que davanti al rischio evidente di un su-peramento demografico arabo entro unadecina di anni. Secondo Soffer nel 2020la popolazione ebraica in Israele rag-giungerà i 6,5 milioni di persone mentre

il popolo palestinese, compresi coloroche si sono stabiliti in Giordania, si atte-sterà intorno ai 10-12 milioni. In base adelle stime elaborate da Della Pergola, gliebrei hanno una media di 2,6 figli, gliarabi di 4,5. In tale contesto Sharon si èconvinto che il problema dell’elevato tas-so di natalità palestinese possa essere ri-solto con una separazione attraverso ilritiro da Gaza e la costruzione del muro. Secondo Shlomo Avineri, docente diScienze Politiche all’Università ebraica diGerusalemme ed ex direttore generaledel ministero degli affari Esteri, Sharonnon è diventato una colomba, ma hasemplicemente compreso che la sicurez-za di Israele passa da un accordo strate-gico con gli Usa per evitare l’isolamentointernazionale. Questo accordo, sottoli-nea Avineri, ha avuto un costo per il lea-der del Likud: raggiungere un accordocon la sinistra e mettere da parte la de-stra oltranzista. Il progetto di espansione di Maale Adu-mim, da poco municipalità indipenden-te, rappresenta il futuro immediato diquesta strategia che sembra tendere al-l’inglobamento delle tre enclavi nel terri-torio palestinese (Ariel, Gush Etzion eappunto Maale Adumim) che contengo-no il 75% dei coloni israeliani in Cisgior-dania. Ai palestinesi verrebbero concessiinvece quei territori israeliani a maggio-ranza araba. La città-insediamento di Maale Adumim,nata sotto un governo laburista nel 1975e legalizzata nel 1977 dopo la vittoria delLikud, conta 32 mila abitanti su una su-perficie di 55 kmq, maggiore di quella di

LA GUERRA DELLE CULLE

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Tel Aviv. Qui Sharon ha avviato la costru-zione di 3.500 nuove unità abitative. La reazione degli Usa è stata di sorpresae sbigottimento. Infatti, Bush chiedeva aSharon di rispettare gli impegni assunticon la Road map di non sviluppo degliinsediamenti. Il problema delle colonierappresenta l’unico vero terreno di con-trasto tra Israele e gli Stati Uniti, non di-sposti più a finanziarne lo sviluppo per-ché considerate ostacolo al raggiungi-mento della pace. Sviluppo che ha costi enormi. Lo sa be-ne Shlomo Swirski, che per molti mesiha minuziosamente setacciato i bilancigovernativi israeliani per cercare di deli-neare una stima dei costi della politicadi occupazione. Anche se molte cifre so-no rimaste nascoste dietro a un muroimpenetrabile di riserbo, alla fine l’im-magine generale degli alti costi dell’oc-cupazione israeliana dei Territori, dal1967 a oggi, ha preso la forma di un li-bro intiolato Il prezzo dell’occupazione.

Dalla ricerca emerge un datoparziale, ma significativo:fra il 1967 al 2005 le aggiun-te annuali al bilancio delladifesa, giustificate generica-mente con “eventi nei Terri-tori”, sono ammontate a 29miliardi di shekel, ossia 6,5miliardi di dollari. Nel libroSwirski propone una stimasecondo cui negli anni 1967-2003 i finanziamenti gover-nativi negli insediamenti so-no stati di 45 miliardi dishekel, 10 miliardi di dollari.Il prezzo dell’occupazioneandrebbe però molto oltre.Include ad esempio le spesemilitari vere e proprie (non

quantificabili) e, adesso, anche le speserelative alla politica di disimpegno daipalestinesi elaborata dal premier ArielSharon. I costi del muro sarebbero stati più con-tenuti (800 milioni di dollari) se fossestata realizzato lungo le linea di demar-cazione con la Cisgiordania in vigore ne-gli anni 1949-67. Ma Sharon ha optatoper un tracciato più complesso, per in-cludere zone di insediamento ebraico.“Così i costi sono raddoppiati” scriveSwirski. Negli anni fiscali 2003-2005 ilgoverno ha già stanziato 3,5 miliardi dishekel. Nella sua ricerca Swirski prendein considerazione anche le perdite nelProdotto nazionale israeliano, come con-seguenza dell’intifada. Una delle stime ci-tate nel libro valuta in 12 miliardi di dol-lari (54 miliardi di shekel) le perditecomplessive negli anni di intifada 2000-2004.

Maurizio Debanne

Costruzione del muro di sicurezza a protezione di nuoveabitazioni ebraiche nei pressi di Gerusalemme.

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L’ area oggetto di analisi saran-no le risorse idriche presentinei territori israeliani e pale-

stinesi ma, quando necessario al finedella ricerca, verrà analizzato un terri-torio di estensione più vasto, che com-prende anche gli altri paesi arabi confi-nanti: la Siria, la Giordania e il Libano.Bisogna fare una precisazione sui datiche utilizzeremo. Una buona scelta del-le fonti è infatti, nel caso delle risorseidriche, fondamentale per evitare giudi-zi politici. Non è infatti nostra intenzio-ne identificare in questi o in quelli i re-sponsabili della crisi idrica mediorien-tale. Ciò che ci interessa è fornire unquadro sintetico ma completo sullaquestione delle risorse idriche all’inter-no del conflitto israelo-palestinese. Idati che compariranno provengono daB’Tselem, Centro israeliano per i dirittiumani nei Territori occupati, da unostudio di Michelangelo Nerini e dalle ri-cerche della rivista Limes.

Il sistema del Giordano Il fiume Giordano misura in tutto 320km di lunghezza e, includendo tutti isuoi affluenti, si estende su un’area di18.300 kmq per una portata complessi-va di 1.300 mcm annui. Il fiume si for-ma a partire da un gruppo di sorgenticarsiche, situate nei pressi del monteHermon. Il corso superiore del Giorda-no, chiave di tutto il sistema idrico, èformato da tre torrenti: l’Hasbani chenasce in Siria e le cui acque, almeno in

parte, defluiscono in Libano; il Dan e ilBanyas che sgorgano dalle alture delGolan, occupate da Israele nel 1967 edannesse nel 1981, per poi confluire nelGiordano a monte del lago di TiberiadeOltre che dal Giordano, il Lago Tiberia-de, il più grande serbatoio di acqua dol-ce di superficie del Bacino, è rifornitoda una serie di affluenti laterali, da fontisotterranee e dalle piogge stagionali. Lacapacità totale del lago è di circa 4.000mcm, ma l’acqua potabile a cui si puòattingere è, a causa delle concentrazionisaline, pari solo a 680 mcm. L’acquaesce dal lago Tiberiade attraverso il Na-tional Water Carrier, la principale arte-ria di distribuzione idrica israeliana,realizzata nel 1964, che convoglia l’ac-qua verso le aride regioni del Negev. Auna decina di chilometri a sud del lagoTiberiade il Giordano è raggiunto dalfiume Yarmuk, che ha un bacino di dre-naggio collocato per l’80% in Siria e peril 20% in Giordania. Questo fiume con-tribuisce in modo significativo al patri-monio idrico del Giordano con i suoi400 mcm all’anno, anche se le possibilivariabilità stagionali possono notevol-mente stravolgere l’intera sua portata.Oltre il punto di confluenza con lo Yar-muk, il fiume Giordano continua il suocorso, definito da questo momento Bas-so Giordano, in direzione del Mar Mor-to. In questo tratto il fiume, ormai privodi un significativo afflusso di acqua, siriduce a un piccolo canale altamente in-quinato.

LA PARTITA CRUCIALE PER LE RISORSE IDRICHE INMEDIO ORIENTE E NEL CONTESTO ISRAELO-PALESTINESE

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Le acque sotterranee Più del 50% del consumo totale di risor-se idriche a cui israeliani e palestinesiattingono per i loro bisogni proviene dalsottosuolo, dove l’acqua piovana, pene-trando nel terreno, si raccoglie e si con-serva all’interno delle falde acquifere. Ingenerale, per ogni falda esiste un puntodi ricarica e un punto di uscita, general-mente una fonte naturale facilmente ac-cessibile, ma anche pozzi di profonditàvariabile dai quali l’acqua viene pompa-ta artificialmente. Le principali falde delBacino sono il Coastal Acquifer, una se-rie di serbatoi naturali tra cui la falda diGaza che ricopre un’area di 2000 kmq eda 372 mcm annui, e il Mountain Acqui-fer, una grande falda centrale da oltre670 mcm divisa in tre sezioni distinte: ilWestern, il Northen e l’Eastern Acquifer.Il Coastal Acquifer è situato lungo la fa-scia costiera orientale del Mar Mediter-raneo. La qualità delle acque è abba-stanza buona ma in alcune zone le con-centrazioni cloridriche superano i 250ppm (parti per millimetro), soglia massi-ma di accettabilità. Le risorse della falda

sono largamente sfruttate acausa del forte sviluppo agri-colo e industriale e dall’au-mento demografico, causan-do l’infiltrazione di acqua sa-lata che ha generato un dete-rioramento complessivo del-la qualità della falda. DelCoastal Acquifer fa parte an-che il Gaza Acquifer, un si-stema di falde sottostante laStriscia di Gaza. Per l’inesi-stenza di veri e propri corsid’acqua, questa area è unadelle più aride dell’intera re-gione mediorientale e per-

tanto è completamente dipendente dallescarse piogge stagionali.

Condizioni idriche di israeliani e palestinesiIl patrimonio idrico di Israele ammontaa circa 1.500-1.600 mcm annui. Metàproviene dalle risorse idriche di super-ficie, l’altra parte dall’insieme delle ri-sorse sotterranee. La principale risorsaidrica di superficie è il sistema del fiu-me Giordano: Israele attinge il 30% del-l’intero approvvigionamento idrico na-zionale dal lago di Tiberiade mentre,per quel che concerne le risorse sotter-ranee, solamente il cosiddetto WesternAcquifer garantisce un altro 40%. Biso-gna però sottolineare come la maggiorparte delle risorse idriche sotterra-nee sfruttate da Israele sono situateal di fuori dei confini pre-1967. L’uni-ca falda entro questi confini è la Coa-stal Acquifer. Per quel che concerne laripartizione dell’acqua, lo stato ebraicoconsuma l’80% delle sue risorse idricheper l’agricoltura, che contribuisce alProdotto Interno Lordo del solo 2%. Ilrestante 20% è così suddiviso: il 15%

Banyas, sorgenti del fiume Giordano.

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per usi domestici e il 5% per il settoreindustriale. Infine, in media ogni citta-dino israeliano può disporre di circa100 metri cubi d’acqua all’anno, ovverotra i 260 e i 270 litri d’acqua al giorno. La popolazione della West Bank può con-tare, per il suo approvvigionamento d’ac-qua, tanto di risorse di superficie, come ilcorso del basso Giordano e la foce delloYarmuk, quanto di risorse sotterranee,cioè le tre sezioni del Mountain Acquifer.Tuttavia i palestinesi sono dal 1967 inuna condizione di subordinazione inconseguenza dell’occupazione militareisraeliana, che non permette loro di at-tingere liberamente alle risorse idrichesul loro territorio. Secondo B’Tselem ilpotenziale idrico complessivo della Ci-sgiordania ammonterebbe a circa 660mcm, ma il potenziale disponibile per ipalestinesi si attesterebbe sui 134 mcm. Aqueste fonti bisogna aggiungere l’acquapiovana raccolta dagli abitanti dei villaggicon delle cisterne poste sopra i tetti delleabitazioni e l’acqua che Israele vende, tra-mite la propria compagnia nazionale, aipalestinesi. Il 62% dell’intera domanda dirisorse idriche nella West Bank è costitui-ta dall’attività agricola, che contribuisceal Prodotto Interno Lordo del 15%. Tutta-via i palestinesi riescono a mettere a col-tura solamente 10.000 ettari contro i200.000 potenzialmente irrigabili. Questoa causa dell’utilizzo di tecniche di tipotradizionale ad alto consumo di acqua.Ma anche perché gli israeliani hanno po-sto alcune regole che penalizzano i pale-stinesi nell’accesso all’oro blu, come lafissazione di quote di prelievo oltre lequali subentrano gravi sanzioni economi-che, il divieto di irrigare dopo le ore 16 euna fatturazione dell’acqua senza distin-zione tra israeliani e palestinesi, nono-

stante il diverso tenore di vita. In terminidi quantità totale pro capite, ogni palesti-nese della Cisgiordania ha accesso in me-dia a 80 litri di acqua al giorno, ma a que-sta entità va però detratto un 25% che siperde nelle condutture obsolete. Il consu-mo di acqua nella West Bank varia di re-gione in regione: nei villaggi non connessia una rete idrica (oltre 150, in cui vive il12% della popolazione) è notevolmenteminore rispetto a quelli collegati. La si-tuazione idrologica della Striscia di Gazaè ancora più critica se si considera che ilterritorio in questione, essendo privo dicorsi d’acqua permanenti, può fare affi-damento solo alle scarse precipitazioniinvernali. Il dato sulla situazione idrologi-ca diventa ancora più allarmante se sivanno ad analizzare i consumi: la do-manda di acqua si attesta intorno ai 110mcm, più del doppio delle risorse idrichedisponibili. Il che significa che tali quan-tità sono ottenute attraverso la sovrae-strazione delle falde acquifere, che allalunga ha portato ad un aumento delle in-filtrazioni corrosive di acqua marina. Sicalcola che ogni anno la salinità aumentidi 15-20 mg/l e che il 70% delle acqueesotterranee superi la concentrazione sali-na di 500 mg/l. Dal 1994, anno dell’iniziodell’autogoverno palestinese di Gaza inattuazione degli Accordi di Oslo, i palesti-nesi hanno cominciato a scavare pozzisul territorio senza alcun criterio logico.La quantità d’acqua disponibile pro capi-te, tenendo conto le perdite dei condotti,è di soli 88 litri giornalieri.

Prospettive idriche del Medio Oriente Il Medio Oriente soffre sempre di più,con il passare degli anni, di uno squili-brio tra l’effettiva disponibilità di ac-qua e i consumi in continuo aumento.

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Se il trend di crescita demografico do-vesse rimanere costante o addiritturaaumentasse nei prossimi anni, il defi-cit idrico per l’anno 2010 di tutti i pae-si del Bacino del Giordano sarà pari adalmeno 1,5 miliardi di metri cubi. Perquanto riguarda Israele, si stima che ildeficit si attesterà intorno agli 80-100mcm, mentre quello dei palestinesisarà di circa 200 mcm. Questo calcolo,già di per sé drammatico, non tieneconto del possibile, irrimediabile dan-neggiamento delle risorse disponibiliche genererebbe a sua volta una dimi-nuzione dell’offerta. La sottoposizionedelle falde a dei ritmi di estrazione ec-cessivi, ad esempio, ha causato allalunga infiltrazioni di acqua marina chehanno notevolmente abbassato la qua-lità dell’acqua. Per evitare che tali pre-visioni catastrofiche diventino realtà,israeliani e palestinesi hanno siglatonel 1995 a Taba, nel quadro degli Ac-cordi di Oslo, un’intesa in materiaidrica, ponendo parallelamente le pre-

messe per il ritiroisraeliano da granparte della WestBank. All’articolo 40dell’accordo si leggeche “Israele riconoscei diritti dei palestinesisull’acqua”, ma questiultimi accettano di ri-mandare la definizio-ne dell’entità precisadi questi diritti al mo-mento in cui verràstabilito lo status defi-nitivo di tutti i terrenidi conflitto tra le dueparti. La questionedell’acqua venne dun-

que di fatto rimandata, ma lo statoebraico si impegnò comunque al tra-sferimento immediato di 28 mcm an-nui per tutto il periodo ad interim. Tut-tavia, secondo la Banca Mondiale, il90% delle risorse di quella regione èutilizzata da Tel Aviv, mentre i palesti-nesi possono solamente disporre del-l’altro 10%. Per arrivare ad un’equadistribuzione delle risorse idriche sidovrà forzatamente passare attra-verso un accordo più vasto che com-prenda oltre a Israele e il futuro Sta-to palestinese anche la Giordania, laSiria e il Libano. Infatti, solo coinvol-gendo tutti gli stati del bacino delGiordano, a cui si potrebbe aggiunge-re anche la Turchia, vero e proprio ser-batoio idrico per la Siria e l’Iraq, po-tranno essere avviati progetti di svilup-po integrato delle risorse idriche e con-gelati quelli di sviluppo unilaterale.

Maurizio Debanne

Betlemme, ingresso alla città attraverso il muro israeliano.

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Considerata colpevolmente da molti un“effetto collaterale” inevitabile e per questotollerabile, la costante e quotidiana viola-zione dei più elementari diritti della perso-na costituisce in realtà una delle conse-guenze maggiormente nefaste del perennestato di tensione e mobilitazione in cui so-no costretti a vivere israeliani e palestinesi.Nel prospettare spartizioni e future solu-zioni al conflitto israelo-palestinese, il ri-spetto dei diritti umani e della semplice le-galità appare purtroppo un aspetto di cuisi tiene sempre minor conto, come dimo-stra in via indiretta anche la vicenda delblocco degli aiuti economici destinati aipalestinesi, disposto dai Paesi occidentaliin seguito alla vittoria di Hamas alle ele-zioni legislative del 25 gennaio. La respon-sabilità di un simile, drammatico stato dicose non va peraltro ascritta unicamenteallo stato di Israele e alla comunità inter-nazionale, dal momento che la sofferenzae le ingiustizie patite dal proprio popolohanno per anni costituito un pretestuososcudo protettivo al proliferare di una cor-rotta classe dirigente palestinese. Tra lemotivazioni più plausibili offerte daglianalisi dinanzi all’annunciata affermazio-ne elettorale di Hamas, non a caso, figuraproprio il malcontento serpeggiante il lar-ga parte delle masse palestinesi a causadella gestione arbitraria e disonesta del po-tere amministrativo da parte dei funziona-ri legati in particolar modo ad Al Fatah.Oltre che come gruppo armato integralistae strenuamente impegnato nella lotta di li-berazione contro l’occupazione israeliana,Hamas si è invece affermato in questi anni

anche nella più attraente veste di ente ca-pace di allestire, grazie agli ingenti flussidi denaro provenienti da alcuni regimiarabi “amici”, una vera e propria strutturaassistenzialistica parallela a quella, carenteanche a causa della corruzione, controllatada Al Fatah attraverso l’Anp. Chiamata acimentarsi nella difficile prova del governoistituzionale dei Territori, Hamas prose-guirà plausibilmente a esercitare un ruolodi primo piano nell’ambito della politicasociale diretta alla popolazione palestine-se. In quest’ambito, un aspetto chiave perla risoluzione dell’emergenza umanitariache attanaglia i Territori è rappresentatotuttavia dalla cooperazione con il settoredel volontariato e del sostegno umanitariointernazionale: nonostante la vastità dellarete di aiuti gestita direttamente dai pale-stinesi, infatti, solo istituendo un rapportodi mutua fiducia e collaborazione con leagenzie delle Nazioni Unite e le Ong pre-senti sul territorio (già peraltro costrette afare i conti con le restrizioni imposte daIsraele), sarà possibile offrire alle masserinchiuse e “ghettizzate” nei Territoriun’assistenza morale e materiale dignito-sa. Basandoci sui dati forniti in due recen-ti documenti diffusi da Amnesty Interna-tional1 e dall’Onu2, nei successivi paragrafitenteremo di offrire un contributo alla ne-

DIRITTI NEGATI, IL LATO OSCURODELL’OCCUPAZIONE ISRAELIANA DEI TERRITORI

1 Amnesty International, Sopravvivere sotto asse-dio. Violazioni dei diritti umani dei palestinesi neiTerritori Occupati, EGA Editore, Torino, 2006.2 United Nations, Assessment of the future huma-nitarian risks in the occupied Palestinian territory,11 april 2006.

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cessaria operazione di denuncia delle mol-teplici forme di illegalità e violazione deidiritti umani che, soprattutto in seguito al-lo scoppio della seconda intifada nel set-tembre 2000 e all’escalation militare deci-sa dal governo israeliano grazie al cappelloprotettivo offerto dal pretesto della globale“guerra al terrorismo” del post 11/9, condi-zionano pesantemente e in alcuni casi ren-dono davvero insopportabile la vita neiTerritori palestinesi occupati.

Muro, blocchi e coprifuoco: una ragnatela dioppressione sul diritto al movimento, al lavoroe all’educazione dei palestinesiL’impatto provocato dalla militarizzazionedella vita quotidiana imposta negli ultimisei anni dai governi israeliani ha prodottoeffetti fortemente restrittivi sulla libertà dimovimento e sul diritto al lavoro, alla sa-lute e all’educazione di circa tre milioni emezzo di persone. Se, fin dalla guerra dei“sei giorni” del 1967 e dalla conseguenteoccupazione di Gaza e della Cisgiordania,i palestinesi erano stati costretti a subireuna notevole limitazione nei suddetti di-ritti, è stato a partire dal 2000 e dalla rea-zione alla seconda intifadache le misure adottate daIsraele hanno assunto uncarattere non più solo di-scriminatorio, ma spropor-zionato al punto di indurreAmnesty International aparlare di “punizioni collet-tive”. Già pregiudicata acausa dell’articolato sistemadi chiusure (posti di blocco,deviazioni obbligate, copri-fuoco) architettato da partedell’esercito israeliano, chedi fatto ha costretto i pale-stinesi sprovvisti di “per-messi speciali” a vivere in

una sorta di prigione a cielo aperto, la li-bertà di movimento della popolazione deiTerritori è stata ulteriormente limitata dal-la costruzione del muro o “barriera di si-curezza”, avviata nel 2002 e proseguita fi-no ad oggi in spregio non solo del parerecontrario di molti Paesi amici di Israele edi gran parte dell’opinione pubblica mon-diale, ma anche di un’Opinione consultivaespressa nel luglio 2004 dalla Corte Inter-nazionale di Giustizia. Ideato con l’obietti-vo dichiarato di ostacolare l’ingresso inIsraele dei kamikaze palestinesi, il muro èstato in realtà realizzato secondo un trac-ciato che, come nota Amnesty Internatio-nal “sottrarrà il 15% del territorio della Ci-sgiordania, intrappolando circa 270.000palestinesi nelle aree tra la Linea Verde e ilmuro o all’interno di enclavi da esso cir-condate. Più di 200.000 palestinesi resi-denti a Gerusalemme Est saranno scolle-gati dalla Cisgiordania”. La drammaticagravità degli effetti provocati dalla costru-zione del muro assume contorni ancor piùchiari, se si considera che più della metàdella popolazione della Cisgiordania giàvive al di sotto della soglia di povertà.

BIL’INLa costruzione del muro o barriera di sicurezza – denuncia Amnesty International– avrà effetti disastrosi nel villaggio di Bil’in. Lo isolerà dai due terzi dei terreniagricoli, la fonte principale di sostentamento per l’intera comunità. In questa zona,il percorso del muro pare disegnato appositamente per confiscare aree coltivabilied espandere gli insediamenti israeliani. Dal 2004 gli abitanti svolgono ogni setti-mana una manifestazione pacifica per protestare contro la costruzione che avanzae a loro si uniscono sistematicamente cittadini israeliani e stranieri. La manifesta-zione settimanale di Bil’in è diventata il simbolo nazionale della protesta non vio-lenta e della solidarietà tra israeliani e palestinesi, che nella stazione propizia lavo-rano insieme alla raccolta delle olive. L’esercito israeliano ha più volte reagito conuna forza del tutto immotivata. I soldati hanno lanciato gas lacrimogeni e granatestordenti, sparato proiettili rivestiti di gomma, picchiato e arrestato dimostranti.(…) Ultimamente anche a Bil’in è stato imposto il coprifuoco e la zona è stata di-chiarata “area militare chiusa”. Così, sono sempre meno gli osservatori che posso-no verificare gli abusi che gli abitanti del villaggio subiscono ogni giorno. (Amne-sty International, Sopravvivere sotto assedio. Violazioni dei diritti umani dei pale-stinesi nei Territori Occupati, EGA Editore, Torino, 2006, p. 12)

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Oltre a privare i palestinesi di ettari diterreno fertile o comunque utilizzabileper altre attività, la barriera di cemento ei fossati scavati a protezione della stessaha contribuito ad aggravare la già criticasituazione derivante dalle altre tradizio-nali restrizioni alla libertà di movimentoimposte ai palestinesi. In quanto membrodella comunità internazionale e firmata-rio degli accordi in materia, con questapolitica di bantustanizzazione della con-troparte palestinese Israele sta di fatto de-liberatamente agendo in violazione nonsolo della Quarta Convenzione di Gine-vra, che richiede allo Stato occupante dirispettare i diritti fondamentali della po-polazione di un territorio occupato, maanche del Patto internazionale sui dirittieconomici, sociali e culturali, in base alquale dovrebbe essere sempre garantito ildiritto al lavoro in condizioni eque. Acausa degli impedimenti di varia naturaprovocati dal labirintico sistema di sicu-rezza approntato da Tsahal, infatti, i pale-stinesi si ritrovano spesso privati dei mez-zi di sussistenza e della possibilità stessadi raggiungere un potenziale luogo di la-voro. Oltre alle confische arbitrarie delleterre coltivate che il muro ha separato dailegittimi proprietari, un grave danno èstato inoltre arrecato alla rete di distribu-zione commerciale sia interna che ester-na, ovviamente paralizzata in manieraquasi totale dal proliferare di check pointe barriere di altra natura. Fortementepregiudicato risulta infine anche l’accessoall’educazione, diventata ormai un privi-legio appannaggio solo dei palestinesi piùabbienti: “Chi fa il pendolare – si leggenel rapporto di Amnesty International –deve affrontare costi incrementati fino al500%, in quanto il viaggio può durare di-verse ore e prevede il trasbordo su piùmezzi di trasporto, oltre all’incertezza

sulla possibilità di far quotidianamenterientro a casa”. Delineato un simile qua-dro, non può stupire il dato che indica intragico aumento il tasso di disoccupazio-ne nei Territori: a essere colpita è soprat-tutto la forza lavoro maschile, alla cuifrustrazione sarebbero da collegare peral-tro l’incremento delle violenze sui bambi-ni e sulle donne, già costrette a subire untrattamento dichiaratamente discrimina-torio sulla base delle tradizioni patriarcalie delle consuetudini legislative che rego-lano la società palestinese.

Le demolizioni delle case e la sentenza dell’AltaCorte israeliana sugli “scudi umani”Secondo i dati forniti da Amnesty Inter-national, negli ultimi cinque anni l’eserci-to israeliano ha distrutto all’interno deiTerritori occupati oltre 4.000 abitazioni,centinaia tra edifici pubblici ed esercizicommerciali e numerose altre aree desti-nate alla coltivazione. Ancor maggiore sa-rebbe il numero di case seriamente o irre-parabilmente danneggiate. Senza ap-profondire la riflessione sulla contempo-ranea crescita della colonizzazione ebrai-ca nei Territori, proseguita in determinatezone strategiche della Cisgiordania paral-lelamente al ritiro da Gaza, ci soffermere-mo in questa sede sulle modalità delle de-molizioni operate dalle forze armateisraeliane, denunciandone il caratterebrutale e sovente del tutto estemporaneo(le distruzioni sono infatti spesso condot-te senza alcun preavviso o di notte, conce-dendo agli abitanti delle case da demoliresolo pochi minuti per evacuarle). Un si-mile, autoritario atteggiamento da partedell’esercito israeliano configura senzadubbio uno degli aspetti maggiormentedeleteri e condannabili della recente ge-stione del rapporto con i palestinesi daparte dei governi succedutisi in questi ul-

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timi anni alla Knesset. I ri-petuti e documentati gestidi ingiustificato accanimen-to di cui si sono resi prota-gonisti i militari israelianisui civili palestinesi (disu-mane le condizioni di de-tenzione di alcuni campi incui, secondo un’usanza cheriporta tragicamente allamente i metodi nazisti, iprigionieri vengono non so-lo denudati e umiliati, maaddirittura “marchiati” sulbraccio), rientrano in unagenerale logica di disuma-nizzazione dell’altro che, al-la luce di questi e altri fatti(basti citare la distruzionedei computer dei ministeridell’Anp durante uno degliassedi di Ramallah o i nonisolati danni provocati alleambulanze, agli ospedali e allo stesso per-sonale sanitario palestinese), sembra avvi-cinare sempre di più una certa parte dellasocietà israeliana alla mentalità degli inte-gralisti palestinesi che addestrano e in-dottrinano i futuri kamikaze. Conscia del-la necessità di arginare per quanto possi-bile questa deriva militarista, nell’ottobre2005 l’Alta Corte di Israele è intervenutasanzionando un altro dei metodi, inaccet-tabili dal punto di vista dei diritti umani,adottato in questi anni dall’esercito israe-liano: l’utilizzo di civili palestinesi (anchebambini) come “scudi umani” nel corsodelle operazioni militari nei Territori oc-cupati, pratica che viola l’art. 51 dellaQuarta Convenzione di Ginevra ed è datempo oggetto di una campagna di prote-sta da parte delle maggiori Ong israelianee palestinesi impegnate sul fronte dei di-ritti umani.

La legislazione israeliana sulla riunificazionedelle famiglie, la responsabilità civile dellostato e la detenzione amministrativaOltre alle violazioni dei diritti umaniascrivibili all’azione ostentatamente po-co rispettosa del “nemico” da parte del-l’esercito, Israele si è attirato negli ulti-mi anni le critiche di molti osservatoriper l’adozione di atti legislativi assai po-co attenti alle disposizioni del diritto in-ternazionale. In particolare, Amnesty In-ternational punta il dito contro la “di-scriminatoria” legislazione sulla riunifi-cazione delle famiglie adottata dallaKnesset il 27 luglio 2005, in base allaquale viene espressamente proibita “l’u-nione familiare degli uomini israelianisposati con donne palestinesi di età infe-riore a 26 anni e delle donne israelianesposate con uomini palestinesi di età in-feriore a 36 anni”.

JENINKamal Zghair, invalido, ucciso nella sua carrozzella. Dalla testimonianza di Durar Hussein: “Quella mattina è venuto a trovarmicome al solito. Ho lavato i suoi indumenti e li ho messi ad asciugare. Verso le16, ho spinto la sua carrozzella fino alla strada. Ha continuato da solo versola stazione di servizio. Avevo appeso una bandiera bianca alla sua carrozzel-la per essere sicuro che fosse possibile vederlo arrivare da lontano. Ho aspet-tato una decina di minuti, perché gli occorre un po’ di tempo per arrivare infondo al terreno. Ho sentito dei carri armati arrivare da ovest. Mi sonopreoccupato per lui che era per strada. È stato in quel momento che hannocominciato a sparare dai carri armati. Sapevo esattamente dove lui si trova-va, e gli spari venivano di là. Ho pensato dapprima che fossero spari di inti-mazione. I carri si avvicinavano e diventava troppo pericoloso restare fuoridi casa, per cui sono rientrato… La mattina dopo ci sono andato a piedi. Hovisto la carrozzella, ma non lui. Sono corso alla stazione di servizio dove luidormiva, sono entrato in camera sua, ma non c’era nessuno. Sono tornato nelluogo dove avevo trovato la carrozzella, e ho cercato dappertutto. Ho trovatoil suo corpo nell’erba. Era irriconoscibile: la faccia e le gambe erano com-pletamente schiacciate. Ho capito che era lui perché indossava i calzini chegli avevo lavato il giorno prima”.Jenin è una cittadina situata nel nord della Cisgiordania. Dal 2 al 19 aprile2002, il campo profughi palestinese nelle sue vicinanze è stato oggetto dellabrutale repressione dell’esercito israeliano, il cui intervento ha ridotto a uncumulo di macerie larga parte delle costruzioni del campo e causato la mortedi decine di civili palestinesi. Il brano riportato è tratto da un rapporto pubbli-cato da Human Rights Watch nel giugno 2002.

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GENTES 5/2006

La disposizione, altamente penalizzantesoprattutto per i palestinesi con cittadi-nanza israeliana (che rappresentano il20% della popolazione di Israele), assumecarattere ancor più arbitrario se si consi-dera che alle autorità israeliane viene per-messo di rifiutare qualsiasi unione fami-liare “mista” qualora giudichino uno deicongiunti un “pericolo per la sicurezza”interna. Dettata chiaramente da conside-razioni di natura demografica, tese a ri-durre o almeno a contenere la vertiginosacrescita della componente palestinese del-la popolazione di Israele, la legge sulla riu-nificazione delle famiglie non è purtroppol’unico esempio di intervento legislativodiscriminatorio disposto dal parlamentoisraeliano. Grave e ingiustificato appare

infatti anche il danno cheprocurerà ai palestinesi lanuova legge sulla responsa-bilità civile dello stato, atti-va con effetto retroattivo apartire dal settembre 2000ed emanata a nocumentodei 3,5 milioni di palestinesiresidenti nei Territori, i qua-li, dichiarati “residenti diuna zona di conflitto”, ven-gono privati del diritto di ri-sarcimento per decesso, fe-rita o danno alla proprietàcausati dalle forze israelia-ne. Nel giugno 2004 era sta-ta invece approvata l’appli-cazione (poi fortunatamen-te revocata dal procuratoregenerale) della “Legge sullaproprietà vacante”, risalenteagli anni ’50 (fu utilizzataper confiscare le terre di

molti palestinesi fuggiti nel corso dellaguerra del ’48) e ritenuta adatta a favorireil sequestro, senza risarcimento e possibi-lità di appello, dei beni di GerusalemmeEst appartenenti a palestinesi residenti inCisgiordania. È ormai purtroppo unaprassi consolidata, infine, il ricorso allasanzione della detenzione amministrativa,che dal 2000 ha interessato migliaia di pa-lestinesi e quattro israeliani e rappresentain realtà, secondo Amnesty International,“un aggiramento del diritto a un processoequo, poiché la privazione della libertàpersonale non viene sottoposta all’accerta-mento di un giudice e a un’adeguata etempestiva forma di ricorso”.

Michele Camaioni

I DIRITTI NEGATI DAI PALESTINESI.L’INTRAFADA E LA PENA DI MORTE NEI TERRITORI OCCUPATI

Il 12 giugno 2005 il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha interrotto unamoratoria di tre anni, autorizzando la ripresa delle esecuzioni: quel giorno,quattro prigionieri sono stati messi a morte mediante impiccagione e fucilazio-ne. Un quinto prigioniero è stato impiccato il 27 luglio. Si è trattato di un gravepasso indietro, motivato secondo le autorità palestinesi dalla necessità di ripri-stinare l’ordine pubblico, pesantemente compromesso da un crescente livello dianarchia e violenza, a tal punto che alcuni commentatori parlano di intrafada. Ilnumero dei palestinesi uccisi da altri palestinesi cresce di anno in anno. Quellodell’ordine pubblico è un problema sempre più avvertito nella società palestine-se. Dal settembre 2000 l’esercito israeliano ha distrutto molte installazioni di si-curezza e altre istituzioni. I raid aerei hanno colpito prigioni, stazioni di poliziae altre infrastrutture. Questa situazione ha concretamente pregiudicato una pie-na operatività delle forze di sicurezza palestinesi e ha fornito il pretesto all’Anpper giustificare la propria inazione… A gennaio 2006, nei bracci della morte pa-lestinesi si trovavano tra le 30 e le 50 persone, la maggior parte delle quali con-dannate tra il 1996 e il 2004 per omicidio e stupro, le altre per “collaborazioni-smo” con le forze israeliane. L’applicazione della pena di morte da parte del-l’Anp è caratterizzata da numerose iniquità: gli imputati sono processati da tri-bunali militari, difesi da avvocati d’ufficio e condannati al termine di udienzebrevissime, senza possibilità di appello se non alla grazia presidenziale. (Amne-sty International, Sopravvivere sotto assedio. Violazioni dei diritti umani dei pa-lestinesi nei Territori Occupati, EGA Editore, Torino, 2006, p. 26)

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Gerusalemme, Gerusalemme!Oh Gerusalemme, terra eletta da Allahe patria dei suoi servi, è dalle tue murache il mondo è diventato il mondo.Oh Gerusalemme, la rugiada che cade su di teguarisce ogni male perché essa discendedai giardini del Paradiso.

Hadith, raccolta di detti e parole del profeta Maometto.

Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profetie lapidi coloro che ti sono inviati,quante volte ho voluto adunare i tuoi figlicome una chioccia raccogliei suoi pulcini sotto le sue ali,e voi non avete voluto!

Matteo 23, 37. Gesù rivolgendosi a scribi e farisei poco primadella Passione.

Se io ti dimentico, Gerusalemme,che la mia mano destra si secchi!Che la lingua mi si attacchi al palatose io mi dimentico di te,se non metto Gerusalemmeal sommo della mia gioia!

Salmo 137, Canto dei fanciulli esiliati da Israele.


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