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N. R.G. 42826/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL … · intervento di chirurgia alla tiroide). La...

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pagina 1 di 19 N. R.G. 42826/2016 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO PRIMA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 42826/2016 promossa da: omissis... (C.F. ..omissis...), con il patrocinio dell’avv. ...omissis... (...omissis..) ...omissis..., ..........omissis... .., elettivamente domiciliato in presso il difensore; ATTORE contro ...omissis...., con il patrocinio dell’avv. ...omissis....., elettivamente domiciliato in VIA ....omissis... ,omissis.............. , presso il difensore ; ....omissis....., con il patrocinio dell’avv. .....omissis......, elettivamente domiciliato in VIA .....omissis...., omissis, presso il difensore .....omissis.... CONVENUTI .....omissis....(C.F. ....omissis.....), con il patrocinio dell’avv. ....omissis...., elettivamente domiciliato in VIA ...omississ..., ..omissis... , presso il difensore; TERZO CHIAMATO CONCLUSIONI Firmato Da: BELPERIO ANGELA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: 12908a - Firmato Da: FLAMINI MARTINA Emesso Da: POSTECOM CA3 Serial#: eccb8 RG n. 42826/2016
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N. R.G. 42826/2016

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO

PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Martina Flamini

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 42826/2016 promossa da:

omissis... (C.F. ..omissis...), con il patrocinio dell’avv. ...omissis...

(...omissis..) ...omissis..., ..........omissis... .., elettivamente domiciliato in presso il

difensore;

ATTORE

contro

...omissis...., con il patrocinio dell’avv. ...omissis.....,

elettivamente domiciliato in VIA ....omissis... ,omissis.............. , presso il difensore ; ....omissis....., con il patrocinio dell’avv. .....omissis......, elettivamente domiciliato in

VIA .....omissis...., omissis, presso il difensore .....omissis....

CONVENUTI

.....omissis....(C.F. ....omissis.....), con il patrocinio

dell’avv. ....omissis...., elettivamente domiciliato in VIA ...omississ..., ..omissis... , presso il difensore;

TERZO CHIAMATO

CONCLUSIONI

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Le parti hanno concluso come da fogli allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

OGGETTO Responsabilità medica.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Svolgimento del processo

Con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., ..omississ.. ha convenuto in giudizio l’Istituto ....omissis

s.p.a. e il dottor ...omissis... chiedendo il risarcimento del danno non

patrimoniale subito in conseguenza dell’intervento chirurgico eseguito in data 28.6.2011 presso tale

istituto dal dottor ..omissis... A tale scopo, il ricorrente aveva già promosso un procedimento ex art. 696

bis c.p.c. (R.G. 87971/2013), il cui fascicolo, comprensivo della relazione del CTU, è stato acquisito

nel presente giudizio.

Il ricorrente, in particolare, ha esposto la seguente vicenda sanitaria.

In data 28.6.2011 ....omissis.... è stato sottoposto presso l’..omissis... ad un intervento di tiroidectomia

totale con diagnosi clinica di “recidiva di struma multinodulare”. Come si evince dal ricorso, nonché

dalla relazione depositata nel procedimento cautelare (doc. 1), in tale data, il paziente risultava già

portatore di cardiopatia post-ischemica e di fibrillazione atriale parossistica, portatore di pace maker dal

2008 ed affetto da ipertensione arteriosa e dislipidemia, pregressa appendicectomia ed asportazione

della milza a seguito di trauma, portatore di sindrome depressiva; risultava inoltre essere stato

sottoposto nel 1973 ad un intervento al collo di natura e per patologia non definite a causa della

mancanza di documentazione (secondo la relazione dei CTU, è verosimile si sia trattato di pregresso

intervento di chirurgia alla tiroide).

La manifestazione di gravi difficoltà respiratorie subito dopo l’intervento ha richiesto la reintubazione

del paziente e il trasferimento in terapia intensiva con successiva tracheostomia per persistenza della

dispnea all’estubazione. ...omissis...è stato poi sottoposto a ripetuti controlli, tra cui quello eseguito in data

5.7.2011, che ha evidenziato una paralisi cordale bilaterale in posizione paramediana. Dimesso il

26.7.11, nel corso del 2011 e del 2012 il paziente si è sottoposto a una serie di visite specialistiche

presso altri istituti di Milano (Fondazione San Raffaele, Ospedale Niguarda e Istituto Europeo di

Oncologia), le quali tutte hanno evidenziato una lesione bilaterale dei nervi ricorrenti, con paralisi

cordale bilaterale.

Il paziente si è sottoposto ad altri interventi presso l’Istituto ..omissis... di ..omissis..

(cordotomia posteriore sn in data 2.10.2012, chiusura della tracheostomia in data 5.11.2012,

tracheotomia d’urgenza per dispnea severa in data 22.11.2012, sostituzione della cannula in data

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22.11.2012 e nuova sostituzione di cannula con Shiley 6 e plastica di chiusura tracheostoma in data

15.1.2013); in esito agli stessi, tuttavia, la sua condizione clinica non ha avuto giovamento.

Pertanto il ricorrente ha richiesto che l’..omissis... e il medico chirurgo ...omissis.. siano condannati a

risarcire il danno non patrimoniale subito quale conseguenza diretta dell’intervento di tiroidectomia

totale del 28.6.2011, consistente nella lesione permanente dei nervi ricorrenti, nelle invalidità

temporanee nonché nella riduzione delle proprie capacità relazionali.

Il ricorrente ha addebitato tale danno alla scorretta esecuzione dell’intervento innanzi citato,

lamentando in particolare che il chirurgo avesse omesso di riconoscere e isolare i nervi ricorrenti, così

provocandone la lesione, evidenziando come tale manovra cautelativa non risultasse descritta nel

verbale operatorio.

L’..omississ.. costituendosi in giudizio, ha chiesto il rigetto della domanda attorea allegando l’insussistenza

di qualsivoglia responsabilità della struttura medica, atteso che il danno risulta essere la conseguenza

del solo operato del medico chirurgo, mentre la struttura ha correttamente eseguito le prestazioni

accessorie del contratto di spedalità concluso con il paziente. In subordine, per il caso in cui fosse

condannata per la condotta del medico, ha chiesto di essere rimborsata dal ..omissis.., sia in base agli artt.

1299 e 2055 c.c. sia in virtù di una clausola di manleva contrattuale.

Si è costituito in giudizio altresì ..omissis.., che in via preliminare ha chiesto e ottenuto

l’autorizzazione alla chiamata in causa della ..omississ....

, per essere tenuto indenne dalle conseguenze di un’eventuale condanna.

Si è inoltre difeso nel merito deducendo che l’intervento di tiroidectomia totale presentasse particolari

difficoltà alla luce delle compromesse condizioni di salute del paziente, che lo stesso fosse

indispensabile per allungarne la vita, che il paziente fosse stato compiutamente informato dei rischi

connessi all’intervento e che vi avesse consapevolmente acconsentito e che risultasse indimostrato che

la lesione dei nervi laringei fosse la conseguenza di una negligenza del medico. In particolare, ha

evidenziato come la lesione in esame costituisca una complicazione post operatoria che può verificarsi

anche in interventi correttamente eseguiti e che la sua ricorrenza sia ancora più probabile in un paziente

affetto da struma tiroideo multinodulare; la lesione avrebbe potuto addebitarsi al naturale slungamento

dei nervi laringei a causa della loro adesione all’enorme massa dello struma tiroideo multinodulare, la

cui rimozione avrebbe determinato un inevitabile stiramento degli stessi. Ha infine dedotto che la

mancata indicazione nel verbale operatorio dell’avvenuto riconoscimento e isolamento dei nervi

laringei non implica che tale cautela non sia stata adottata, precisando che il verbale è stato redatto

velocemente poiché vi era urgenza di assistere il paziente per le complicazioni post operatorie.

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La terza chiamata ..omissis.. si è costituita eccependo preliminarmente l’inoperatività della

garanzia assicurativa, ai sensi dell’art. 1892 c.c. (o in subordine dell’art. 1893 c.c.) allegando che, alla

data di stipula della polizza, ..omissis.. fosse edotto della richiesta risarcitoria già avanzata da ..omissis.. e

avesse consapevolmente omesso tale circostanza all’assicuratore. Nel merito, si è associata alle difese

del convenuto.

Ritenuto che l’istruzione della controversia non potesse ritenersi sommaria, è stato disposto il

mutamento del rito in ordinario. La causa è stata quindi istruita, mediante l’escussione di due testimoni

per parte attrice, due testimoni per ..omissis.., mediante l’interrogatorio formale di ..omissis... e del direttore

generale di ..omissis..., ..omissis... Le restanti richieste di prove orali sono state rigettate, in quanto

vertenti su circostante in parte irrilevanti, in parte non controverse o comunque provate in via

documentale.

È stata inoltre ordinata ex art. 210 c.p.c. la produzione dei documenti relativi alla domanda di

risarcimento presentata da ..omississ, in quanto necessari al fine di decidere la domanda svolta nei

confronti della società assicuratrice.

Non sono stati disposti né il rinnovo della CTU né l’integrazione della consulenza depositata nel

procedimento ex art. 696 bis c.p.c., atteso che quest’ultima contiene tutti gli elementi utili ai fini della

decisione, rispetto ai quali sono stati sentiti oralmente per chiarimenti i CTU nonché i CTP di ..omississ.. e

di ..omississ...

Terminata l’istruttoria, la causa è stata trattenuta in decisione con attribuzione dei termini per il

deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

2. La responsabilità della struttura medica

Prima di valutare la fondatezza delle domande formulate da parte attrice, è necessario affrontare la

questione dell’oggetto e della natura della responsabilità della struttura sanitaria convenuta.

L’accettazione del paziente nella struttura deputata a fornire assistenza sanitaria e ospedaliera comporta

la conclusione di un contratto atipico “di spedalità”. L’obbligazione scaturente dal contratto,

genericamente detta di assistenza sanitaria, ha un contenuto complesso, perché comprende sia la

prestazione medica o chirurgica principale sia una serie di obblighi cd. accessori, consistenti nella

messa a disposizione del personale medico, ausiliario e infermieristico, dei medicinali e delle

attrezzature tecniche necessarie e nelle prestazioni latu sensu alberghiere comprendenti il ricovero e la

fornitura di alloggio, vitto e assistenza al paziente fino alla sua dimissione (da ultimo Cass.

19541/2015). La struttura medica risponde quindi a titolo contrattuale per la mancata o scorretta

esecuzione di ciascuna delle prestazioni ricomprese nell’obbligazione assunta, ivi inclusa la prestazione

medica principale.

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Sotto tale profilo sono quindi prive di pregio le difese dell’..omissis...secondo cui la struttura non debba

rispondere dei danni procurati all’attore perché derivanti dal solo operato del medico chirurgo. Nessuna

esenzione di responsabilità può derivare dal fatto che la prestazione principale è eseguita dai medici,

atteso che questi altro non sono che ausiliari della struttura, che si avvale della loro opera pur sempre

per adempiere un’obbligazione gravante su di sé. Trova perciò applicazione l’art. 1228 c.c., che pone a

carico dell’obbligato le conseguenze dell’inadempimento derivante dal fatto doloso o colposo degli

ausiliari e che tra l’altro si fonda - per l’appunto - sull’esigenza di scongiurare il rischio che un soggetto

possa, avvalendosi di collaboratori, disfarsi delle proprie responsabilità nei confronti del creditore.

Nel merito, la domanda di parte attrice è fondata per i motivi che seguono.

Ove, come nel caso in esame, sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per

l’inesatto adempimento della prestazione medica, è onere del danneggiato provare il nesso di causalità

fra l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove patologie per effetto

dell'intervento e la condotta dei sanitari, mentre è onere della struttura debitrice provare che non vi è

stato inadempimento o che lo stesso non è stato eziologicamente rilevante (per tutte, Cass. S.U.

577/2008). Recentemente la Cassazione ha chiarito l’esatta ripartizione dell’onere probatorio con

riferimento al nesso causale, evidenziando che la causa incognita resta a carico del danneggiato

relativamente all’evento dannoso, mentre è a carico del danneggiante relativamente alla possibilità di

adempiere. Tale ripartizione costituisce il precipitato applicativo dell’art. 2697 c.c., in quanto la

causalità relativa all’evento e al danno è fatto costitutivo del diritto, mentre la causalità relativa

all’impossibilità di adempiere o alla diligenza nell’adempimento è fatto estintivo del diritto. Se dunque,

al termine dell'istruttoria, il danneggiato ha dimostrato che la patologia è riconducibile a un dato

intervento chirurgico, grava sulla struttura sanitaria l’onere di provare che l'intervento ha determinato la

patologia per una causa, imprevedibile ed inevitabile, la quale ha reso impossibile l’esecuzione esperta

dell’intervento chirurgico medesimo, dovendo altrimenti rispondere dei danni (Cass. 18392/2017).

Nel caso in esame, l’attore ha pienamente soddisfatto l’onere probatorio a suo carico, avendo egli

allegato l’inadempimento del medico, consistente nel mancato riconoscimento e isolamento dei nervi

laringei, e avendo compiutamente dedotto e provato l’evento dannoso e il nesso causale tra lo stesso e

l’intervento chirurgico.

La ricorrenza dell’evento dannoso è dimostrata dalle produzioni documentali di parte ricorrente nonché

dalla CTU espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. e acquisita al processo. Esso consiste nella

lesione bilaterale dei nervi ricorrenti, con correlata paralisi cordale, così determinata con

videolaringoscopia eseguita nel corso della CTU: “si percorre la fossa nasale, rinofaringe libero. Base

lingua e ipofaringe normomobili e normoconformati; paralisi cordale bilaterale con corde vocali

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ferme in posizione paramediana. Esiti di cordectomia posteriore sinistra con buono spazio

respiratorio. Seni piriformi liberi. Ristagno di secrezioni mucose sulla faccia volare delle corde vocali,

senza riflesso tussivo” (pag. 11 relazione CTU).

La causalità materiale tra l’intervento e tale lesione è stata del pari confermata dalla CTU, le cui

conclusioni sono pienamente condivise da questo giudice in quanto basate su un completo esame

anamnestico, su un obiettivo studio della documentazione medica prodotta nonché su un esame

endoscopico del paziente. La stessa ha permesso di accertare i seguenti dati:

- la situazione clinica del paziente all’atto di ricovero presso l’..omissis... portatore di “struma tiroideo

multinodulare ad espansione retrosternale con significativa compressione tracheale” costituisce

una corretta indicazione all’intervento di tiroidectomia e il rischio operatorio connesso anche alle

patologie concomitanti correttamente valutato;

- al contempo, la problematica situazione clinica del paziente implicava senza dubbio un rischio

operatorio più elevato rispetto al medesimo intervento in soggetto sano; in particolar modo, il

rischio di lesione del nervo ricorrente aumenta nei re-interventi al collo; per tali ragioni,

l’intervento creava problemi tecnici di maggior difficoltà;

- l’intervento è stato eseguito presso una struttura sanitaria adeguata e da specialisti idonei; non

emergono inoltre responsabilità dei sanitari per le prestazioni rese nel periodo post-operatorio;

- il chirurgo che esegue una tiroidectomia deve avere adeguate conoscenze sul corretto trattamento

della patologia chirurgica della tiroide, sull’anatomia del collo e sulla fisiopatologia delle

paratiroidi affinché l’incidenza delle complicanze possa rimanere entro limiti ragionevoli;

nonostante ciò, ad un intervento di tiroidectomia totale effettuato “a regola d’arte” può seguire,

imprevedibilmente, un’alterazione della motilità cordale;

- tale alterazione insorta a seguito di una tiroidectomia è attribuibile a surgical malpractice, anche

quando è transitoria e perfino quando si manifesta a distanza di tempo dall’intervento;

- la descrizione dell’intervento nel verbale operatorio risulta estremamente sintetica e non viene fatta

menzione dell’evidenziazione e isolamento dei nervi ricorrenti.

La lesione bilaterale del nervo non può che essere perciò diretta conseguenza dell’intervento

chirurgico. Essa infatti – che secondo le osservazioni dei CTU viene ricondotta a surgical malpractice

anche se si rivela a distanza di tempo – era assente prima dell’intervento e si è manifestata

immediatamente dopo lo stesso. Né si rintracciano altri fattori antecedenti, concomitanti o successivi

che l’abbiano potuta provocare.

È pur vero – come esposto nella CTU - che anche interventi di tiroidectomia effettuati a regola d’arte

possono condurre all’alterazione della motilità cordale del paziente. Tuttavia tale causalità attiene alla

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diligenza nell’adempimento dell’obbligazione e sarebbe stato dunque onere della struttura sanitaria

dimostrare che il medico chirurgo abbia correttamente eseguito la propria prestazione mediante

riconoscimento e isolamento dei nervi o che la lesione sia stata frutto di altra causa imprevedibile ed

inevitabile che abbia reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione. Tale prova liberatoria non è

stata però fornita dall’Istituto Clinico, di modo che le conseguenze sfavorevoli dell’incognita causale

connessa alla diligenza nell’adempimento rimangono a carico della struttura debitrice.

L’I..omissis... deve perciò essere condannata al risarcimento del danno allegato da parte attrice.

3. La responsabilità del medico chirurgo

Atteso che nel caso in esame il ricorrente ha agito altresì nei confronti del dott. ..omississ.. quale medico

operante nella struttura sanitaria, senza aver allegato di aver concluso con questi un ulteriore contratto

d’opera professionale, appare opportuno compiere alcune brevi osservazioni preliminari sulla natura

della responsabilità professionale ascrivibile al medico.

Questo giudice è consapevole che a partire dal 1999 (Cass. 589/1999) la giurisprudenza pressoché

unanime ha ritenuto che anch’essa vada inquadrata nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. in

base alla nota teoria del “contatto sociale”, rapporto fattuale qualificato dal quale scaturirebbero

“obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono

emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso” (Cass. S.U. 577/2008).

Tale ricostruzione è oggi superata dalla riforma della responsabilità medica operata con la l. 24/2017

(cd. “legge Gelli-Bianco”), che all’art. 7, comma 3, espressamente sancisce: “l'esercente la professione

sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice

civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.

Invero, la teoria del “contatto sociale” già vacillava per effetto della l. 189/ 2012 (cd. “legge

Balduzzi”), che all’art. 3, comma 1, disponeva: “l'esercente la professione sanitaria che nello

svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità

scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l'obbligo di cui

all'articolo 2043 del codice civile”. Tale ultima norma, secondo la condivisibile interpretazione di

questo Tribunale (cfr. sentenza n. 9693/2014), fondata sulla lettera della legge nonché sul chiaro

intento normativo di restringere la responsabilità dei sanitari, riconduce la responsabilità risarcitoria del

medico nell’alveo della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c..

Ciò posto, ritiene questo giudice che anche per i fatti avvenuti anteriormente all’entrata in vigore della

l. 189/2012, come quello in esame, la responsabilità del medico che non abbia assunto un’autonoma

obbligazione contrattuale nei confronti del paziente vada ascritta nell’alveo della responsabilità

extracontrattuale, per l’impossibilità di ricondurre il “contatto” nell’ambito delle fonti

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dell’obbligazione ex art. 1173 c.c.. Tale norma, sebbene contenga una formula aperta costituita dal

richiamo ad “ogni altro atto o fatto” produttivo dell’obbligazione, pretende pur sempre che l’atto o il

fatto sia riconducibile a una previsione ordinamentale che lo renda un “fatto giuridico”, cioè idoneo a

generare l’obbligazione medesima. In assenza di una previsione normativa in tal senso, esso rimane un

“mero fatto”, perciò improduttivo di effetti giuridici.

Ebbene, non esistendo alcuna disposizione o principio giuridico che correli il contatto sociale tra

medico e paziente della struttura a specifiche obbligazioni, va da sé che tale contatto debba considerarsi

un mero fatto, irrilevante ai fini dell’art. 1173 c.c.. Da questo inquadramento discende logicamente che

il medico può essere chiamato a rispondere unicamente ai sensi dell’art. 2043 c.c., con il conseguente

onere in capo al danneggiato di provare tutti gli elementi costitutivi di tale fattispecie, ivi incluso il dolo

o la colpa del sanitario nell’esecuzione dell’intervento medico.

Gli elementi oggettivi della fattispecie risultano acclarati alla luce delle osservazioni già svolte.

Sotto il profilo soggettivo, il ricorrente ha specificamente addebitato al medico convenuto di aver agito

con negligenza per aver mancato di riconoscere ed isolare i nervi ricorrenti nell’esecuzione della

tiroidectomia.

Non si profilano violazioni di norme cautelari specifiche, atteso che non è dato riscontrare nelle linee

guida la previsione di una determinata modalità operativa da seguire onde assicurare il risparmio dei

nervi ricorrenti. Nella CTU si evidenzia, infatti: “per quanto riguarda l’utilizzo di particolari strumenti

quali il bisturi ad ultrasuoni ed il “nerve monitoring” per l’esecuzione di una tiroidectomia non ci

sono specifiche indicazioni nelle varie linee guida. Dalla letteratura emerge che il loro utilizzo non

diminuisce significativamente l’incidenza della lesione del nervo ricorrente, grave complicanza della

chirurgia tiroidea sia dal punto di vista del deficit della fonazione, ma soprattutto per i disturbi della

ventilazione e per la possibilità che si verifichino fenomeni di ingestione nelle vie aeree, secondari alla

mancata occlusione del piano glottico” (pag. 10 relazione CTU).

È però regola generale di diligenza che il chirurgo operante un intervento di tiroidectomia debba

assumere le cautele necessarie per evitare la recisione o comunque la lesione dei nervi laringei e, come

affermato dai CTU sentiti a chiarimenti all’udienza del 7.6.2017, “l’unico modo per preservare il nervo

durante l’operazione è riconoscerlo, isolarlo, preservarlo”. Va dato atto delle dichiarazioni rese dal

CTP del dott. ..omississ, sentito a chiarimenti all’udienza del 7.6.2017. Egli ha affermato: “la ricerca del

nervo ricorrente non è mandatoria. Tale ricerca implica infatti un rischio specifico per il nervo. Il

chirurgo che conosce questa chirurgia opera togliendo la tiroide, senza ricercare il nervo, ma

individuandolo”. Tale affermazione ribadisce l’assenza di una norma cautelare specifica che imponga

di ricercare e isolare il nervo laringeo negli interventi di tiroidectomia. Tuttavia, come già osservato

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innanzi, il ricorrente non ha mosso al medico un addebito a titolo di colpa specifica, bensì di colpa

generica, consistente nell’aver eseguito l’intervento senza la precisione, lo scrupolo e l’accortezza

esigibili da un operatore medico di media capacità e professionalità e necessari per il risparmio del

nervo. Ne consegue che la ricerca e l’isolamento del nervo, quand’anche non imposti dalle leges artis,

devono considerarsi – secondo il generale parametro della diligenza – necessari per assicurare il buon

esito dell’intervento senza procurare lesioni ai nervi ricorrenti e certamente esigibili da un chirurgo

esperto, quale il dott. ..omississ.....

Occorre quindi verificare se questi abbia omesso di porre in essere tale manovra cautelativa. Sul punto

si deve osservare che la relativa prova non può essere che presuntiva, attesa la mancanza di indicazioni

nel verbale operatorio; inoltre, esigenze di logica e di giustizia impongono di non aggravare

eccessivamente l’onere probatorio del danneggiato, alla luce della natura negativa della prova del fatto

omissivo.

Ciò posto, i CTU, pur precisando che la mancanza di documentazione non consente di accertare le

modalità di esecuzione della tiroidectomia, sentiti a chiarimenti hanno dichiarato: “durante

l’intervento, evidentemente il nervo non è stato isolato”. Inoltre, nella relazione peritale concludono

ascrivendo la oggettiva responsabilità del danno al chirurgo operatore principale.

Inoltre, lo stesso ..omissis..., rendendo l’interrogatorio formale, ha dichiarato: “durante l’intervento, ho

seguito tute le regole della chirurgia. Piano piano ho liberato la tiroide da tutti i veli e alla fine sono

arrivato sul nervo ricorrente che ho riconosciuto. Per me era conservato. Alla fine sono dovuto andare

a vedere il paziente ed ho verificato che aveva avuto dei problemi. Può essere che nell’estrarre la

tiroide io la abbia tirato troppo, ma non sicuramente non lo ho reciso. Tutto lo staff operatorio

coopera con me”. Benché in tale dichiarazione non possa rintracciarsi alcuna confessione, è pur vero

che dalla supposizione di aver “forse tirato troppo il nervo” possa inferirsi logicamente che lo stesso

non sia stato isolato, poiché l’isolamento del nervo avrebbe scongiurato il rischio di toccarlo e quindi di

tirarlo.

Non può infine sottacersi l’estrema genericità del verbale operatorio. Si deve precisare che,

contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente, l’omessa verbalizzazione della manovra non

equivale a dimostrare che essa non sia stata eseguita, poiché il verbale fa prova dei fatti che il

verbalizzante attesta essere avvenuti in sua presenza ma certamente non della mancata verificazione dei

fatti non attestati. Ciò non di meno, l’omissione della specifica indicazione delle modalità esecutive

dell’intervento – che era onere del medico precisare - corrobora il quadro indiziario, aggravando quindi

la presunzione che il medico abbia omesso di isolare i nervi.

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Alla luce di quanto esposto, ricorrono presunzioni sufficientemente gravi precise e concordanti che

inducono a ritenere provato il mancato isolamento dei nervi laringei da parte di ..omissis....

Di conseguenza il medico convenuto deve essere condannato, in solido con la struttura sanitaria, a

risarcire al ricorrente il danno come di seguito quantificato.

4. Il danno risarcibile

Parte ricorrente, sulla scorta delle valutazioni contenute nella CTU ex art. 696 bis c.p.c. e alla luce delle

testimonianze rese all’udienza del 7.6.2017, ha lamentato di aver subito un danno non patrimoniale così

composto:

- invalidità permanente del 40%, salvo allegare in comparsa conclusionale la richiesta di

riconoscimento dell’inferiore percentuale del 37,5%;

- invalidità temporanea totale di 90 giorni;

- invalidità temporanea parziale al 50% per 488 giorni;

- pregiudizio relazionale conseguente al ridotto uso della parola e delle facoltà di deglutizione, a

fronte del quale chiede il riconoscimento di una percentuale di personalizzazione del danno non

patrimoniale pari al 25%, corrispondente alla personalizzazione massima riconosciuta dalle

tabelle del Tribunale di Milano dell’anno 2014 per la suddetta invalidità permanente.

Ha allegato inoltre che, successivamente al deposito della CTU, ha subito un ulteriore aggravamento

delle proprie condizioni fisiche, tenuto conto che è stato sottoposto ad altri interventi in conseguenza

della lesione provocata dalla tiroidectomia, tra cui una tracheotomia eseguita il 28.1.2016 per

“peggioramento ingravescente della dispnea” (p. 11 ricorso). Ha precisato che i CTU avevano previsto

il peggioramento della dispnea quale possibile conseguenza della lesione. A fronte di tale

peggioramento, il ricorrente ha chiesto il riconoscimento di una invalidità permanente pari al 50%,

come stimata dal Dott. ..omississ... nella relazione peritale di parte (doc. 5 fasc. attore).

Entrambi i convenuti hanno contestato la quantificazione del danno compiuta da parte attrice,

osservando:

- che il grado di invalidità riconosciuto nella CTU è errato poiché non tiene conto delle patologie

pregresse del paziente né dell’invalidità che gli sarebbe comunque residuata anche in seguito a

un intervento perfettamente riuscito;

- che la richiesta di personalizzazione del danno è eccessiva, poiché non ricorrono nella

fattispecie circostanze eccezionali che giustifichino un incremento così elevato del quantum;

- che l’ammontare dell’invalidità attuale e l’asserzione che l’aggravamento sia conseguenza

dell’errore chirurgico di ..omissis... sono sfornite di prova.

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Prima di procedere alla liquidazione del danno, occorre premettere che, qualora la produzione di un

evento dannoso possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla concomitanza della

condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato dalla pregressa situazione patologica del

danneggiato (la quale non sia legata all'anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il

giudice deve accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come relazione tra la

condotta e l'evento di danno, alla stregua di quanto disposto dall'art. 1227, comma 1, c.c.), l’efficienza

eziologica della condotta rispetto all'evento in applicazione della regola di cui all'art. 41 c.p. (a mente

della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti

dall'azione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra l'azione e l'omissione e l'evento), così

da ascrivere l'evento di danno interamente all'autore della condotta illecita, per poi procedere,

eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause

sul piano della causalità giuridica (rettamente intesa come relazione tra l'evento di danno e le singole

conseguenze dannose risarcibili all'esito prodottesi) onde ascrivere all'autore della condotta,

responsabile tout court sul piano della causalità materiale, un obbligo risarcitorio che non comprenda

anche le conseguenze dannose non riconducibili eziologicamente all'evento di danno, bensì determinate

dal fortuito, come tale da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua volta,

non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia del sanitario (Cass.

15991/2011; Cass. 20996/2012).

Riconosciuto quindi il nesso di causalità materiale tra l’intervento di tiroidectomia del 28.6.2011 e

l’evento dannoso consistente nella lesione iatrogena allegata, sul piano della causalità giuridica e quindi

ai fini di una corretta quantificazione del danno, occorre selezionare solamente i pregiudizi

eziologicamente correlati a tale lesione, con esclusione delle invalidità preesistenti (cd. danno

differenziale) e degli eventuali pregiudizi ulteriori che possono essere legati ad autonomi fattori causali

successivi.

Ciò posto, rispetto alla quantificazione del danno la relazione dei CTU osserva: “Si indica la durata

della inabilità temporanea assoluta dal 28.06.2011al 26.07.2011 (data di dimissione da I..omissis.., ed un

ulteriore periodo di inabilità temporanea assoluta in coincidenza degli ulteriori ricoveri, per

complessivi giorni 90. Per tutto il periodo intercorrente dal 26.07.2011 fino al 30.01.2013 ove un

controllo ambulatoriale eseguito presso IEO certifica: “in fibroscopia esiti ben stabilizzati di

cordotomia posteriore a sinistra… Per il problema della frequente sonnolenza diurna, utile visita

neurologica con eventuale esame polisonnografico…” si valuta una inabilità temporanea relativa pari

al 50% , detratti 61 giorni attribuibili ai già citati intervalli di ricovero. A partire da tale data i

postumi possono essere considerati consolidati a carattere permanente, così come precedentemente

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indicato, e possono essere quantificati nel 40% della complessiva integrità psico-fisica del soggetto in

relazione al grave danno alla funzione fonatoria, agli esiti di tracheostomia ed alla disfagia parziale

ed all’ipoparatiroidismo post chirurgico. Altre condizioni patologiche non risultano direttamente

ascrivibili alla complicanza dell’intervento” (pag. 12 relazione CTU).

Tutto ciò premesso, nel caso in esame si evidenzia innanzitutto la corretta allegazione attorea delle voci

di danno connesse alle invalidità temporanee: esse sono fondate sulle valutazioni espresse dai CTU,

adeguatamente motivate e non contestate dai convenuti.

Relativamente all’invalidità permanente, dalla relazione dei CTU e dai chiarimenti resi all’udienza del

7.6.2017 emerge che l’invalidità del paziente sia stata computata tenendo conto delle sue precedenti

condizioni cliniche. Nella relazione in particolare si legge: “sulla scorta di quanto si è esplicitato a

giudizio dei CC.TT.UU. la valutazione complessiva, tenuto conto delle condizioni cliniche del soggetto

e della pluralità ed entità dei postumi, può essere posta al 40% e comunque non inferiore al 35%”. Né

le controparti hanno fornito elementi per smentire l’attendibilità della valutazione compiuta dagli

ausiliari del giudice. Pertanto, in applicazione dei principi innanzi espressi, l’entità del danno iatrogeno

riferibile all’erronea attività del sanitario è quantificabile nella misura del 37,5%.

La domanda di parte attrice non è attendibile nella parte in cui chiede il riconoscimento di una

maggiore invalidità in relazione al successivo aggravamento delle condizioni di salute, posto che nel

periodo posteriore al procedimento cautelare il paziente ha subito altri quattro interventi alle corde

vocali che possono aver determinato essi stessi una ingravescenza delle lesioni, come anche osservato

dai CTU in sede di chiarimenti. Non può inoltre escludersi che tali interventi, sebbene anche necessari

per fronteggiare le patologie scaturenti dall’errore medico qui contestato, possano giustificarsi alla luce

di un peggioramento delle patologie che si sarebbe ugualmente verificato pur in assenza della lesione

accertata, tenuto conto che il ricorrente è anziano e aveva già sofferto di problematiche nella regione

del collo. Né può sottacersi che, indipendentemente dagli interventi suddetti, l’età del paziente possa

aver avuto un ruolo nell’ingravescenza delle lesioni. Per tali ragioni, non è possibile ritenere sussistente

un nesso di causalità giuridica tra la lesione iatrogena e l’ulteriore grado di invalidità manifestatosi

successivamente al deposito della relazione dei CTU.

Si ritiene di adottare quale parametro di riferimento per la liquidazione del danno il contenuto delle

tabelle elaborate da questo Tribunale e comunemente adottate per la liquidazione equitativa ex art.

1226 c.c. del danno non patrimoniale derivante da lesione dell’integrità psico/fisica (criterio di

liquidazione condiviso dalla Suprema Corte – cfr. Cass. 12408/2011). Tenuto conto dell’età del

danneggiato al momento dell’intervento (74 anni) e della percentuale di invalidità permanente attribuita

all’errore medico (37,5%), si perviene ad una prima liquidazione di euro 176.905,00, in moneta attuale.

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Inoltre, attraverso una lettura dell’art. 2059 c.c. conforme alle disposizioni contenute nella

Costituzione, la Suprema Corte (Cass. S.U. 26972/2008) è da tempo pervenuta ad esprimere il principio

di diritto secondo cui il risarcimento del danno alla persona deve essere integrale, essendo compito del

giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nomen iuris

attribuitogli. Pertanto, in tema di liquidazione del danno per la lesione del diritto alla salute, nei diversi

aspetti o voci di cui tale unitaria categoria si compendia, l'applicazione dei criteri di valutazione

equitativa, rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, deve consentirne la maggiore

approssimazione possibile all’integrale risarcimento, anche attraverso la cd. personalizzazione del

danno, in considerazione della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della parte

lesa, di tutti i riflessi sull’integrità psico-biologica, del condizionamento e del pregiudizio delle attività

aredittuali, e di ogni ulteriore aspetto che concorra a descrivere il danno non patrimoniale (sulla base

delle risultanze e delle allegazioni offerte dalla parte).

Per poter risarcire integralmente il danno non patrimoniale sofferto dall’attore, secondo quanto allegato

dallo stesso e alla luce delle dichiarazioni testimoniali rese all’udienza del 7.6.2017, si ritiene di dover

quindi considerare che in conseguenza dell’errata tiroidectomia il danneggiato ha grande difficoltà a

parlare e a farsi comprendere dagli ascoltatori, essendo la sua voce ridotta all’emissione di fiati. Tale

circostanza ha evidentemente inciso sulle capacità relazionali del soggetto, che, secondo quanto

affermato dal figlio ..omississ.... in sede di testimonianza, ha enormemente ridotto le uscite sociali. Le

dichiarazioni testimoniali sul punto, sebbene rese da soggetti vicini al ricorrente, si considerano

attendibili, in quanto riportano eventi del tutto verosimili in un quadro di grave patologia alle corde

vocali. Modeste risultano invece le conseguenze sulle facoltà di deglutizione, non evidenti per i boli

semisolidi e comunque leggere per i liquidi (pag. 12 relazione CTU). Deve tenersi comunque conto che

alla riduzione delle capacità relazionali del soggetto concorre necessariamente il dato fisiologico

dell’età e che le circostanze innanzi riportate, sebbene certamente rilevanti, non hanno un grado di

intensità tale da giustificare il riconoscimento di una percentuale di personalizzazione massima. Alla

luce delle predette considerazioni, pertanto, si reputa opportuno procedere ad una adeguata

personalizzazione del danno non patrimoniale aumentandolo di euro 17.690,50, pari al 10%

dell’ammontare riconosciuto per la lesione permanente subita.

All’attore spetta poi il risarcimento del danno da invalidità temporanea, liquidato concordemente alle

tabelle del Tribunale di Milano nella misura di euro 40.247,00.

Il credito risarcitorio del danneggiato ammonta a complessivi euro 234.842,50.

5. Rivalutazione e maggior danno

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Il danno non patrimoniale è stato liquidato equitativamente in valori attuali della moneta e non deve

quindi farsi luogo alla sua rivalutazione.

In considerazione del lasso di tempo trascorso dall’illecito (6 anni) e delle caratteristiche del

danneggiato, si ritiene doveroso il riconoscimento di un’ulteriore somma a titolo di lucro cessante

provocato dal mancato tempestivo risarcimento del danno da parte dei responsabili e conseguentemente

dalla mancata disponibilità dell’equivalente pecuniario spettante al danneggiato, potendo

ragionevolmente presumersi che il creditore, ove avesse avuto la tempestiva disponibilità della somma,

l’avrebbe impiegata in modo fruttifero.

Come già da tempo affermato da questo Tribunale, ai fini della liquidazione necessariamente equitativa

di tale ulteriore voce di danno patrimoniale, non si ritiene di far ricorso al criterio – sovente applicato

dalla giurisprudenza e nella fattispecie richiesto dall’attore - degli interessi legali al saggio variabile in

ragione di anno (determinato ex art. 1284 c.c.) da calcolarsi sull’importo già riconosciuto, dapprima

“devalutato” fino all’illecito e poi “rivalutato” annualmente con l’aggiunta degli interessi, ovvero sul

capitale “medio” rivalutato.

Si ritiene preferibile, perché più rispondente alla finalità perseguita e scevro da possibili equivoci che

possono derivare dall’applicazione ai debiti di valore di istituti previsti dall’ordinamento per i debiti di

valuta – tra i quali, tra l’altro, il disposto dell’art. 1284, comma 4 c.c. - adottare per la liquidazione

equitativa del lucro cessante in questione un aumento percentuale nella misura risultante dalla

moltiplicazione di un valore base medio del 2% - corrispondente all’incirca al rendimento medio dei

Titoli di Stato negli anni compresi nel periodo che viene in rilievo – con il numero di anni in cui si è

protratto il ritardo nel risarcimento per equivalente. Tale criterio equitativo sembra meglio evitare, da

un lato, di far ricadere sul creditore/danneggiato le conseguenze negative del tempo occorrente per

addivenire ad una liquidazione giudiziale del danno, e, dall’altro, appare più idoneo a prevenire il

rischio che il debitore/danneggiante (la cui obbligazione di risarcire per equivalente il danno diventa

attuale dal momento in cui esso si verifica), anziché procedere ad una tempestiva riparazione della sfera

giuridica altrui lesa, sia tentato di avvantaggiarsi ingiustamente della non liquidità del debito

risarcitorio e della potenziale redditività della somma di denaro dovuta (che resta nella sua disponibilità

fino alla liquidazione giudiziale del danno).

Nel caso di specie, considerato il tempo trascorso da quando il danno subito da parte attrice si è

verificato, l’importo in questione viene dunque equitativamente liquidato attraverso una maggiorazione

del 12% dell’intero danno suddetto (già rivalutato).

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In particolare, applicando il predetto criterio, all’attore spetta un risarcimento pari ad euro 263.024,00

(di cui euro 234.842,50 a titolo di capitale ed euro 28.181,00 a titolo di interessi), oltre interessi legali

dalla data della presente pronuncia sino al soddisfo.

Gli interessi legali da oggi decorrenti devono calcolarsi secondo il tasso di cui all’art. 1284, comma 1

c.c., trattandosi di interessi corrispettivi ex novo maturandi sulla somma liquidata con la presente

pronuncia.

6. La domanda regresso di ...omississ..nei confronti di ..omississ...

L’..omississ... ha svolto nei confronti del medico chirurgo due domande alternative di regresso fondate, l’una,

sulla clausola convenzionale di manleva, contenuta all’art. 6.6 del contratto di incarico libero

professionale tra medico e struttura sanitaria (doc. 4 fasc. ..omississ..) e, l’altra, sugli artt. 1299 e 2055 c.c..

La prima domanda non può trovare accoglimento per le ragioni che seguono.

Il patto di manleva azionato ha il seguente tenore letterale: “Il professionista si obbliga a tenere

l’Istituto sollevato da ogni e qualsiasi responsabilità civile e/o penale per eventuali danni prodotti da

lui provocati a se stesso e/o a terzi nell’esecuzione del presente contratto addebitabili a colpa, colpa

grave o dolo. Il medico è personalmente ed esclusivamente responsabile degli eventuali danni causati

agli assistiti in conseguenza delle prestazioni professionali dallo stesso personalmente svolte, con

esclusione di ogni responsabilità in capo alla struttura”.

Sebbene inserito in un più complesso accordo di collaborazione, esso costituisce un autonomo contratto

atipico rispetto del quale occorre esaminare gli elementi costitutivi ai fini di un’eventuale accertamento

pregiudiziale di nullità. La questione di nullità ben può essere rilevata d’ufficio pur in assenza di

apposita domanda in tal senso; il contraddittorio sul punto risulta esser stato tra l’altro garantito poiché

tale questione stata affrontata dallo stesso Istituto Clinico nelle proprie argomentazioni difensive.

Ciò posto, il contratto deve ritenersi nullo in primo luogo per indeterminatezza dell’oggetto.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’...omississ.., infatti, un contratto, come quello in esame, che obbliga il

professionista a tenere indenne la struttura sanitaria da qualunque tipo di responsabilità per tutte “le

prestazioni professionali personalmente svolte” è inidoneo a individuare il contenuto dell’obbligo,

tenuto conto che le prestazioni implicate nel rapporto di collaborazione medico-struttura sono le più

varie, per durata, contenuto e modalità: esse sono svolte nel corso di anni e possono ricomprendere, in

ipotesi, le visite, gli accertamenti diagnostici, gli interventi medici e chirurgici, questi ultimi da soli o in

equipe. Un obbligo così vasto e indefinito rende impossibile individuare a priori le conseguenze

patrimoniali da esso scaturenti e non soddisfa il requisito di determinabilità sancito dall’art. 1346 c.c..

Né a tali carenze può sopperire il massimale previsto per il contratto di assicurazione che il medico è

obbligato a stipulare (cl. 6.6 bis): ammesso e non concesso che tale massimale individui per relationem

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l’oggetto della manleva, è evidente che esso non sia idoneo delimitare la misura massima del danno

risarcibile, trattandosi di un importo non inferiore (che quindi potrebbe essere anche ben superiore) e

commisurato al singolo sinistro e quindi non omnicomprensivo.

Va inoltre rilevata la nullità di tale contratto per carenza di causa: esso si caratterizza per un evidente

squilibrio in favore della struttura e per l’assenza di un apprezzabile interesse per il sanitario, che

assume in via preventiva un obbligo indefinito senza alcuna diretta contropartita; per converso risulta

unicamente finalizzato a traslare sulla parte debole del rapporto le conseguenze patrimoniali della

responsabilità della parte forte. Esso quindi non supera il vaglio di meritevolezza ex art. 1322 c.c., che

viceversa richiede che il contratto miri a soddisfare gli interessi (meritevoli) di entrambe le parti.

La domanda di regresso legale è parzialmente fondata.

Il concorso della responsabilità contrattuale della struttura ed extracontrattuale del medico rende

applicabili i principi di cui all’art. 2055, secondo e terzo comma c.c., sicché colui che ha risarcito il

danno ha regresso contro l’altro nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e

dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate; nel dubbio le singole colpe si presumono uguali.

L’onere di provare le circostanze idonee a superare la presunzione del pari concorso di responsabilità

interna grava su colui che pretenda il rimborso di una somma superiore alla metà (v. Cass. 3626/2017).

Ebbene la struttura ha mancato di provare tali specifiche circostanze. A tal fine non è affatto sufficiente

l’allegazione e la dimostrazione che l’evento dannoso sia dipeso unicamente dalla condotta del medico

chirurgo a fronte di un esatto adempimento, da parte della struttura, di tutte le prestazioni accessorie del

contratto di spedalità. Come già evidenziato, infatti, la struttura medica è obbligata in proprio all’esatta

esecuzione della prestazione medica principale ancorché per la sua esecuzione si avvalga di ausiliari; le

condotte colpevoli di questi fondano l’insorgenza di un debito per inadempimento gravante

direttamente sull’ente, di cui esso deve in primis farsi carico. È d’altra parte la struttura che ha un

precipuo interesse economico nell’operato dei sanitari, traendone guadagno. Ne consegue

l’impossibilità per questa di sottrarsi alle conseguenze negative derivanti da malpractice sanitarie sia

nei confronti dei terzi sia nei rapporti interni con il medico. Ai fini del superamento della presunzione

legale di cui all’art. 2055 c.c. è quindi necessaria la dimostrazione di un quid pluris rispetto alla mera

condotta colposa del medico, quali errori grossolani o comportamenti apertamente contrastanti con le

linee guida ospedaliere. Nulla di tutto ciò è accaduto nella fattispecie, essendosi piuttosto verificato un

errore chirurgico, che peraltro può dirsi caratterizzato, sotto il profilo soggettivo, da una colpa lieve del

medico.

Per tali ragioni, il medico convenuto deve essere condannato a rifondere la metà di quanto sarà

eventualmente pagato dall’Istituto a parte attrice a titolo risarcitorio.

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7. La copertura assicurativa

Merita accoglimento la domanda di manleva svolta da ..omississ.. nei confronti della terza chiamata

Assicurazioni, avendo il medico legittimamente azionato il diritto all’indennizzo previsto nella polizza

assicurativa prodotta in atti (doc. 2 fasc. ..omissis...).

La società assicuratrice ha eccepito l’inoperatività della polizza ai sensi degli artt. 1892 o 1893 c.c.

affermando che alla data della stipula della suddetta polizza, il 23.5.2013, il dott. ..omissis.. avesse già

contezza del sinistro e della richiesta risarcitoria avanzata da parte attrice nei suoi confronti e avesse

omesso di comunicare ciò all’assicuratore. L’eccezione è priva di fondamento per i motivi che

seguono.

Va innanzitutto rilevato che la richiesta di risarcimento presentata da ..omississ... tramite la mandataria ..omississ...

s.r.l. con la raccomandata del 21.5.2013 (doc. 6 fasc. ..omississ..), indirizzata al dott. ..omississ..

all’indirizzo di via ..omississ.. n. , ..omississ.. non risulta pervenuta al destinatario, che durante

l’istruttoria ha dimostrato come tale indirizzo, non coincidente né con la propria residenza né con il

proprio domicilio, gli sia del tutto estraneo (c.f.r. docs 6-11 fasc. ..omississ..). La società di assicurazioni

ha rilevato tuttavia che il medico avesse comunque avuto conoscenza informale dell’attivazione della

pratica risarcitoria dal momento che, su richiesta dell’..omississ... aveva redatto una relazione clinica

dell’intervento chirurgico (doc. 5 del fascicolo acquisito agli atti in esecuzione dell’ordine di esibizione

disposto dal giudice ex art. 210 c.p.c.). Tale circostanza non è tuttavia sufficiente a riscontrare una

reticenza dolosa o colposa del medico incidente sul rischio assicurato.

Come noto, le tutele previste dagli artt. 1892 e 1893 c.c. esigono il simultaneo concorso di tre elementi

costitutivi, il cui onere probatorio non può che ricadere sull’assicuratore che di tali tutele si avvale: a)

una dichiarazione inesatta o una reticenza dell'assicurato; b) l’influenza di tale dichiarazione o reticenza

ai fini della reale rappresentazione del rischio; c) che la reticenza o la dichiarazione inesatta siano frutto

del dolo o della colpa dell’assicurato. Inoltre, non qualunque falsità o reticenza di circostanze

conosciute dall’assicurato è rilevante ai fini degli artt. 1892 e 1893 c.c., bensì solo la dichiarazione

falsa o reticente che sia di tale natura che l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso o non

l’avrebbe dato alle medesime condizioni se avesse conosciuto l'esatta o completa verità (Cass.

23742/2009).

È prassi corrente che le strutture sanitarie, ogni qualvolta ricevano dai propri pazienti lamentele su

pregressi trattamenti sanitari e indipendentemente da una valutazione di fondatezza delle medesime,

avviino un’istruttoria e richiedano ai medici operanti una relazione illustrativa. Ciò è confermato anche

dalle dichiarazioni rese dal direttore dell’..omississ... all’interrogatorio formale del 7.6.2017 (v. infra). In tale

contesto, considerando anche la frequenza delle pratiche istruttorie aperte dagli istituti, non è quindi

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Sentenza n. 266/2018 pubbl. il 12/01/2018RG n. 42826/2016

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possibile pretendere che il sanitario, sotto pena di inoperatività della polizza, comunichi

all’assicurazione ogni evento per il quale gli sia stata richiesta la redazione di apposita relazione,

poiché da tale richiesta non è inferibile che egli conoscesse o avrebbe dovuto conoscere l’esistenza di

un rischio incidente sulle condizioni del contratto di assicurazione.

Né alcuna prova di una reticenza colposa emerge dalle testimonianze rese all’udienza del 7.6.2017. Sul

punto, si riporta quanto affermato dal teste ..omississ: “Io lavoro come responsabile dell’Ufficio

legale interno dell’..omississ..da ottobre del 2011. Noi abbiamo informato il dott. omissis.., per la prima

volta, con una comunicazione scritta della fine di marzo 2014 della pendenza dell’ATP promosso dal

..omississ. Io ero il difensore nella fase di ATP. Il ..omississ.. era rimasto contumace ed io lo avevo

informato dell’esito dell’udienza. Non so se il ..omississ... fosse venuto a conoscenza di tali fatti in epoca

precedente.” ..omississ., teste di ..omississ..., ha riferito che quest’ultimo gli avesse

manifestato delle preoccupazioni “perché sapeva che era in giro una denuncia di sinistro, indirizzata

ad un indirizzo diverso dal suo” ma non ricordava il periodo di tali confidenze. Inoltre, il direttore

dell’..omississ..., ..omississ... in sede di interrogatorio formale ha dichiarato: “quando abbiamo

ricevuto la richiesta risarcitoria da parte di ..omississ..., del tutto generica ed intestata all’istituto,

non abbiamo informato il dott. ..omississ.... Io ho chiesto la relazione al direttore sanitario, che poi ha

chiesto una relazione al primario, dott. ..omississ.... Questo è il nostro iter normale”.

Infine, la società assicuratrice ha mancato di dimostrare e financo di allegare come tale asserita

reticenza abbia potuto incidere sul proprio consenso alla stipula del contratto o sulle relative condizioni

negoziali.

Pertanto, la società assicuratrice deve essere condannata a manlevare ..omississ... di quanto questi pagherà

in conseguenza della presente sentenza e a rifonderlo delle spese processuali a suo carico.

8. Le spese

In applicazione del criterio della soccombenza, i convenuti sono condannati a rifondere parte attrice

delle spese processuali, liquidate come in dispositivo sulla base dei parametri di cui al d.m. 55/2014 e

della nota spese presentata dai CTP dell’attore (doc. 5).

Stante l’accoglimento della domanda di manleva svolta nei confronti della Assicurazioni,

quest’ultima è condannata a rifondere ..omississ le spese processuali sostenute.

Le spese della CTU espletata nel procedimento ex art. 696 bis c.p.c. ed acquisita al presente processo,

già liquidate con separato provvedimento, sono poste definitivamente a carico solidale dei convenuti .

.omississ.. e ..omississ, in ragione della loro soccombenza nella presente causa risarcitoria.

L’infondatezza delle difese dei convenuti non è comunque tale da giustificare una condanna ai sensi

dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

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Per questi motivi

il Tribunale di Milano

in composizione monocratica

I sezione civile

definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, così provvede:

1. accoglie la domanda di parte attrice e, per l’effetto, condanna l’.....omississ..... e

..omississ..., in solido tra loro, al pagamento, in favore di ..omississ... a titolo di risarcimento

dei danni, della somma di complessivi euro 263.024,00 oltre gli interessi legali dalla data della

presente pronuncia sino al soddisfo;

2. condanna i convenuti, in solido, al pagamento, in favore dell’attore, delle spese di lite che liquida in

euro 13.430,00 per compensi della difesa, oltre euro 7.000,00 per compensi dei CTP oltre euro

634,00 per contributo unificato e bollo, euro 13,90 per spese di intimazione dei testimoni, nonché

15% per spese generali, CPA ed IVA sugli importi imponibili;

3. pone definitivamente a carico dei convenuti, in solido, le spese di CTU espletata nel procedimento

ex art. 696 bis c.p.c. già liquidate con separato provvedimento;

4. condanna ..omississ.. a rifondere l’..omississ. della metà dell’importo che

andrà a pagare a titolo di risarcimento dei danni;

5. condanna la terza chiamata ...omississ.... a tenere indenne e manlevare

l’assicurato ...omississ di quanto andrà a pagare in dipendenza della presente sentenza;

6. condanna la ...omississ..... in favore del convenuto ...omississ... al

pagamento delle spese di lite che liquida in euro 13.430,00 per compensi della difesa, oltre euro

1.286,29 per spese ed anticipazioni, nonché 15% per spese generali, CPA ed IVA sugli importi

imponibili.

Milano, 11 gennaio 2018

Il Giudice dott. Martina Flamini

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