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NA Dossier OSSERVATORIO SULLA I CAMORRA …...Corriere del Mezzogiorno Venerdì 8 Giugno 2012 19 NA...

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19 Corriere del Mezzogiorno Venerdì 8 Giugno 2012 NA «S ul momento non avevo ca- pito nulla. Mi erano sem- brati scoppi di petardi...». Comincia così, con un equivoco, il racconto di una straordina- ria storia di camorra in cui, una volta tanto, a vincere sono i buoni, i cittadini che si ribellano, e a soccombere i catti- vi, gli affiliati ai clan. Non erano petar- di, naturalmente. Sul marciapide di fronte all’ingresso del Comune giaceva un ragazzo con la testa fracassata dai proiettili. Quel ragazzo, ora, è su una se- dia a rotelle, si è salvato perché gli han- no conservato una parte del cranio cuci- ta all’interno del corpo. «La camorra e l’antiracket» (Felici Editore, 211 pagine) racconta la stessa storia da due punti vista. La prima è quella dell’ex sindaco di Ercolano, Nino Daniele: è lui, intellettuale e politico, a confondere i colpi di pistola con i botti; la seconda è quella dell’ex comandante della locale tenenza dei carabinieri, An- tonio Di Florio. Non due semplici testi- moni, dunque, ma i principali attori di questa riscossa civica che tra gli addetti ai lavori è già diventata un «caso» nazio- nale. Ma attenzione: tra gli addetti ai la- vori; giacché ancora oggi, nonostante «Gomorra» di Saviano, nonostante il film di Garrone e nonostante le marce e le navi antimafia, chi «libera» un lungo- mare dalle auto è mille volte più noto e più acclamato di chi libera una città dal- l’assedio dei clan. Questo libro, ben scritto, non retorico, documentato e plurale, perché racconta di una moltitu- dine di cittadini eroi, colma dunque un vuoto e merita quanta più diffusione è possibile. Quando Nino Daniele e Antonio Di Florio iniziano il loro lavoro a Ercolano (è questa la città liberata), il comune de- gli scavi e delle ville vesuviane è dilania- to dallo scontro tra i due principali clan locali, Ascione e Birra: droga e soprattut- to estorsioni, con commercianti vessati dall’una o dall’altra cosca a seconda del- la loro collocazione geografica. E chi è nel mezzo paga due volte. Nell’appendi- ce alla parte scritta da Di Florio la lista degli omicidi occupa sei pagine. Tra il 2003 e il 2009 ci sono stati sessanta omi- cidi, un massacro. Nino Daniele si insedia nell’aprile 2005. È un sindaco «forestiero», così lo definiscono gli avversari in campagna elettorale, che però viene eletto con il 76% delle preferenze. Della città, dice «conosco poco o niente», ma questo non lo scoraggia. Quando sparano al ra- gazzo sotto le finestre del Comune, pri- ma si abbandona sulla sua sedia di sin- daco come un «sacco floscio», poi capi- sce che era venuto il momento di tra- sformare in azione concreta tutto quel- lo che aveva letto sui libri a proposito del Sud e della camorra, dagli scritti di Pasquale Villari a quelli di Francesco Barbagallo. Si tuffa nel lavoro e comin- cia con non spegnere più le luci del suo ufficio. Il giovane tenente salernitano Di Flo- rio, classe 1973, arriva invece in città nel 2004. E si perde cercando la sua ca- serma. Difficile credere, per lui, che fos- se davvero nello stabile che gli indicava- no: un palazzetto fatiscente di quattro piani all’interno di un parco residenzia- le, dove i ragazzini giocavano a calcio e ogni tanto gli gridavamo: «Brigadie’, ce lo prende il pallone?». CONTINUA A PAGINA 22 di MARCO DEMARCO Dossier L a grande capacità di adat- tamento delle mafie costi- tuisce uno dei principali fattori che ne spiega la lo- ro riproduzione nel tempo e nel- lo spazio. Non siamo di fronte a un fenomeno statico e immobi- le. Da sempre i gruppi mafiosi si spostano in nuovi territori per cercare opportunità di affari op- pure per sottrarsi a conflitti con altri gruppi criminali, o ancora per sfuggire alle pressioni di for- ze dell’ordine e magistratura. Si spostano quindi per scelta o per necessità. La diffusione delle mafie in «aree non tradizionali», ovvero diverse da quelle di genesi stori- ca, è un fenomeno di lunga data. Sin dalle origini, infatti, le mafie rivelano forti vincoli di insedia- mento territoriale, ma insieme capacità di espansione in nuove aree. Storicamente i processi di diffusione riguardano innanzi- tutto aree contigue a quelle di in- sediamento tradizionale, localiz- zate quindi nel Mezzogiorno. Ba- sti pensare al caso della Puglia, dove per reazione a processi di colonizzazione da parte della ’n- drangheta e della Nuova camor- ra organizzata di Cutolo nasce al- l’inizio degli anni Ottanta del se- colo scorso una nuova mafia, la Sacra Corona Unita, basata sul- l’imitazione di simboli, modelli organizzativi e modalità di azio- ne delle formazioni mafiose tra- dizionali. Queste ultime, d’altra parte, sono da sempre coinvolte anche in traffici di lunga distan- za, seguendo percorsi che si svi- luppano all’incrocio di circuiti le- gali e illegali. Nel corso del tem- po gli insediamenti mafiosi si so- no diffusi su tutto il territorio na- zionale, e sempre più anche al- l’estero. Suscita quindi non poche per- plessità la reazione di stupore che si registra a livello di dibatti- to pubblico rispetto alle numero- se inchieste giudiziarie che han- no di recente rivelato una pre- senza estesa e pervasiva di orga- nizzazioni criminali di tipo ma- fioso nelle regioni del Cen- tro-Nord. Per spiegare la situa- zione si fa spesso ricorso alla me- tafora del cancro e delle metasta- si tumorali. L’idea sottostante è quella di un tessuto sano aggre- dito da cellule maligne. La mafia è quindi rappresentata in termi- ni di radicale alterità rispetto al contesto di ricezione: una socie- tà sana e il male che la aggredi- sce. Un altro registro discorsivo fa riferimento alla «meridionaliz- zazione» della società settentrio- nale, diventata ormai identica a quella del Sud proprio perché conquistata dalle mafie. Ancora una volta si stenta a prendere coscienza del fatto che la «questione mafiosa» riguarda da tempo tutto il nostro Paese e che le ragioni della diffusione delle mafie sono da ricondurre soprattutto a fattori interni alle società del Centro-Nord. Il feno- meno si presenta tuttavia molto differenziato a livello territoria- le, per cui è necessario mettere a fuoco i diversi processi di espan- sione e i meccanismi che posso- no favorirli. È opportuno distin- guere tra la presenza di gruppi mafiosi in un determinato conte- sto, attivi ad esempio nel campo dei traffici illeciti, e l'insediamen- to stabile che può dare vita a for- me più o meno pervasive di con- trollo del territorio. In altri termi- ni, non è detto che dalla diffusio- ne si passi al radicamento, e an- che quando ciò accade non c'è un unico modello di insediamen- to territoriale. Rispetto al passato oggi pare ridimensionata la presenza nel campo dei grandi traffici illeciti, divenuti più rischiosi a causa di una maggiore concorrenza di al- tri gruppi criminali, ma anche di una maggiore efficacia dell'azio- ne repressiva. Risulta invece in crescita l’inserimento in attività economiche legali o formalmen- te legali. CONTINUA A PAGINA 21 Chi è Mai state immobili E RCOLANO E SEMPIO N AZIONALE O SSERVATORIO SULLA C AMORRA E SULL’ I LLEGALITÀ Quando le mafie vanno in trasferta Rocco Sciarrone insegna Sociologia all’Università di Torino Fa parte del comitato di redazione di «Stato e mercato» e dell’esecutivo di «Meridiana» È autore di diversi studi sul fenomeno mafioso Da sempre le cosche si spostano in nuovi territori per cercare opportunità e sottrarsi a conflitti mafiosi Disegno realizzato da Daniela Pergreffi di ROCCO SCIARRONE Per info: Tel/Fax 081.7602221/081.5802779 [email protected] Il libro
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19Corriere del Mezzogiorno Venerdì 8 Giugno 2012

NA

«S ul momento non avevo ca-pito nulla. Mi erano sem-brati scoppi di petardi...».Comincia così, con un

equivoco, il racconto di una straordina-ria storia di camorra in cui, una voltatanto, a vincere sono i buoni, i cittadiniche si ribellano, e a soccombere i catti-vi, gli affiliati ai clan. Non erano petar-di, naturalmente. Sul marciapide difronte all’ingresso del Comune giacevaun ragazzo con la testa fracassata daiproiettili. Quel ragazzo, ora, è su una se-dia a rotelle, si è salvato perché gli han-no conservato una parte del cranio cuci-ta all’interno del corpo.

«La camorra e l’antiracket» (FeliciEditore, 211 pagine) racconta la stessastoria da due punti vista. La prima èquella dell’ex sindaco di Ercolano, NinoDaniele: è lui, intellettuale e politico, aconfondere i colpi di pistola con i botti;la seconda è quella dell’ex comandantedella locale tenenza dei carabinieri, An-tonio Di Florio. Non due semplici testi-moni, dunque, ma i principali attori diquesta riscossa civica che tra gli addettiai lavori è già diventata un «caso» nazio-nale. Ma attenzione: tra gli addetti ai la-vori; giacché ancora oggi, nonostante«Gomorra» di Saviano, nonostante ilfilm di Garrone e nonostante le marce ele navi antimafia, chi «libera» un lungo-mare dalle auto è mille volte più noto epiù acclamato di chi libera una città dal-l’assedio dei clan. Questo libro, benscritto, non retorico, documentato eplurale, perché racconta di una moltitu-dine di cittadini eroi, colma dunque unvuoto e merita quanta più diffusione èpossibile.

Quando Nino Daniele e Antonio DiFlorio iniziano il loro lavoro a Ercolano(è questa la città liberata), il comune de-gli scavi e delle ville vesuviane è dilania-to dallo scontro tra i due principali clanlocali, Ascione e Birra: droga e soprattut-to estorsioni, con commercianti vessatidall’una o dall’altra cosca a seconda del-la loro collocazione geografica. E chi ènel mezzo paga due volte. Nell’appendi-ce alla parte scritta da Di Florio la listadegli omicidi occupa sei pagine. Tra il2003 e il 2009 ci sono stati sessanta omi-cidi, un massacro.

Nino Daniele si insedia nell’aprile2005. È un sindaco «forestiero», così lodefiniscono gli avversari in campagnaelettorale, che però viene eletto con il76% delle preferenze. Della città, dice«conosco poco o niente», ma questonon lo scoraggia. Quando sparano al ra-gazzo sotto le finestre del Comune, pri-ma si abbandona sulla sua sedia di sin-daco come un «sacco floscio», poi capi-sce che era venuto il momento di tra-sformare in azione concreta tutto quel-lo che aveva letto sui libri a propositodel Sud e della camorra, dagli scritti diPasquale Villari a quelli di FrancescoBarbagallo. Si tuffa nel lavoro e comin-cia con non spegnere più le luci del suoufficio.

Il giovane tenente salernitano Di Flo-rio, classe 1973, arriva invece in cittànel 2004. E si perde cercando la sua ca-serma. Difficile credere, per lui, che fos-se davvero nello stabile che gli indicava-no: un palazzetto fatiscente di quattropiani all’interno di un parco residenzia-le, dove i ragazzini giocavano a calcio eogni tanto gli gridavamo: «Brigadie’, celo prende il pallone?».

CONTINUA A PAGINA 22

di MARCO DEMARCO

Dossier

L a grande capacità di adat-tamento delle mafie costi-tuisce uno dei principalifattori che ne spiega la lo-

ro riproduzione nel tempo e nel-lo spazio. Non siamo di fronte aun fenomeno statico e immobi-le. Da sempre i gruppi mafiosi sispostano in nuovi territori percercare opportunità di affari op-pure per sottrarsi a conflitti conaltri gruppi criminali, o ancoraper sfuggire alle pressioni di for-ze dell’ordine e magistratura. Sispostano quindi per scelta o pernecessità.

La diffusione delle mafie in«aree non tradizionali», ovverodiverse da quelle di genesi stori-ca, è un fenomeno di lunga data.Sin dalle origini, infatti, le mafierivelano forti vincoli di insedia-mento territoriale, ma insiemecapacità di espansione in nuovearee. Storicamente i processi didiffusione riguardano innanzi-tutto aree contigue a quelle di in-sediamento tradizionale, localiz-zate quindi nel Mezzogiorno. Ba-

sti pensare al caso della Puglia,dove per reazione a processi dicolonizzazione da parte della ’n-drangheta e della Nuova camor-ra organizzata di Cutolo nasce al-l’inizio degli anni Ottanta del se-colo scorso una nuova mafia, laSacra Corona Unita, basata sul-l’imitazione di simboli, modelliorganizzativi e modalità di azio-ne delle formazioni mafiose tra-dizionali. Queste ultime, d’altraparte, sono da sempre coinvolteanche in traffici di lunga distan-za, seguendo percorsi che si svi-luppano all’incrocio di circuiti le-gali e illegali. Nel corso del tem-po gli insediamenti mafiosi si so-no diffusi su tutto il territorio na-zionale, e sempre più anche al-l’estero.

Suscita quindi non poche per-

plessità la reazione di stuporeche si registra a livello di dibatti-to pubblico rispetto alle numero-se inchieste giudiziarie che han-no di recente rivelato una pre-senza estesa e pervasiva di orga-nizzazioni criminali di tipo ma-fioso nelle regioni del Cen-tro-Nord. Per spiegare la situa-zione si fa spesso ricorso alla me-tafora del cancro e delle metasta-si tumorali. L’idea sottostante èquella di un tessuto sano aggre-dito da cellule maligne. La mafiaè quindi rappresentata in termi-ni di radicale alterità rispetto alcontesto di ricezione: una socie-tà sana e il male che la aggredi-sce. Un altro registro discorsivofa riferimento alla «meridionaliz-zazione» della società settentrio-nale, diventata ormai identica aquella del Sud proprio perchéconquistata dalle mafie.

Ancora una volta si stenta aprendere coscienza del fatto chela «questione mafiosa» riguardada tempo tutto il nostro Paese eche le ragioni della diffusionedelle mafie sono da ricondurresoprattutto a fattori interni alle

società del Centro-Nord. Il feno-meno si presenta tuttavia moltodifferenziato a livello territoria-le, per cui è necessario mettere afuoco i diversi processi di espan-sione e i meccanismi che posso-no favorirli. È opportuno distin-guere tra la presenza di gruppimafiosi in un determinato conte-sto, attivi ad esempio nel campodei traffici illeciti, e l'insediamen-to stabile che può dare vita a for-me più o meno pervasive di con-trollo del territorio. In altri termi-ni, non è detto che dalla diffusio-ne si passi al radicamento, e an-che quando ciò accade non c'èun unico modello di insediamen-to territoriale.

Rispetto al passato oggi pareridimensionata la presenza nelcampo dei grandi traffici illeciti,divenuti più rischiosi a causa diuna maggiore concorrenza di al-tri gruppi criminali, ma anche diuna maggiore efficacia dell'azio-ne repressiva. Risulta invece increscita l’inserimento in attivitàeconomiche legali o formalmen-te legali.

CONTINUA A PAGINA 21

Chi è

Mai state immobili

ERCOLANOESEMPIONAZIONALE

OSSERVATORIO SULLA CAMORRAE SULL’ILLEGALITÀ

Quando le mafievanno in trasferta

Rocco SciarroneinsegnaSociologiaall’Universitàdi TorinoFa partedel comitatodi redazionedi «Stato emercato»e dell’esecutivodi «Meridiana»È autoredi diversi studisul fenomenomafioso

Da sempre le coschesi spostano in nuovi territoriper cercare opportunitàe sottrarsi a conflitti mafiosi

Disegno realizzatoda Daniela Pergreffi

di ROCCO SCIARRONE

Per info: Tel/Fax 081.7602221/[email protected]

Il libro

20 Dossier Venerdì 8 Giugno 2012 Corriere del MezzogiornoSA

C he il fenomeno mafioso sia diffu-so da diversi anni nelle regionisettentrionali è un dato ormai am-piamente acquisito. Che questa

penetrazione sia omogenea nelle diversearee coinvolte e caratterizzata dalle mede-sime dinamiche espansive è invece tuttoda dimostrare.

Un caso di grande interesse, a questoproposito, è quello della Liguria. I primiindizi di insediamenti mafiosi in questaregione risalgono già all’inizio degli anniSessanta del secolo scorso. Fattori di tipoattrattivo, quali la ricchezza del territo-rio, le opportunità per i traffici illeciti e ilriciclaggio di denaro sporco, la vicinanzacon la Francia, ma anche l’esistenza di unCasinò e una configurazione orograficafavorevole alla protezione dei latitanti,hanno concentrato gli interessi delle or-ganizzazioni mafiose verso questa stri-scia di terra. I movimenti migratori, ilsoggiorno obbligato, i processi di allonta-namento dalle zone di origine causati dafaide o dall’attività di repressione delleforze dell’ordine, una certa sottovaluta-zione del fenomeno e impreparazione daparte degli organi di contrasto e delle isti-tuzioni, hanno contribuito alla gradualepenetrazione delle mafie tradizionali inampie parti della regione.

Nella situazione attuale è possibile di-stinguere tre differenti zone di espansio-ne: il ponente ligure, caratterizzato dallapresenza di numerose cosche calabresi,

attive in particolarenella provincia di Im-peria, tra Sanremo,Bordighera e Venti-miglia (questi ultimidue comuni peraltrorecentemente scioltiper mafia), e nel-l’area del savonese; illevante ligure, quil’iniziativa della cri-minalità organizza-ta, in particolar mo-do calabrese, sembre-rebbe meno intensae comunque circo-scritta ai territori diLavagna, La Spezia eSarzana; l’area geno-vese, con infiltrazio-

ni diffuse in alcuni piccoli centri e nel ca-poluogo.

Il caso della città di Genova è forse unotra i più interessanti. Nella città della Lan-terna risultano insediati gruppi ricondu-cibili alle tre principali organizzazioni ma-fiose.

Tra di essi, i clan napoletani sono pro-babilmente quelli maggiormente in diffi-coltà. Le storiche famiglie degli Angiollie-ri e dei Fucci-Marechiero fanno ormaiparte della mitologia criminale genovese,e non risultano attivi nuovi sodalizi cam-pani.

Un discorso differente va fatto inveceper i siciliani. Qui, fin dall’inizio degli an-ni Ottanta, si erano costituite alcune gros-se decine di Cosa nostra. I gruppi egemo-ni ruotavano attorno ai Fiandaca, legatial boss di Caltanissetta Piddu Madonia, eagli Emmanuello, originari di Gela, ederano impegnati in particolare nella ge-stione dei traffici illeciti: stupefacenti,gioco d’azzardo, prostituzione. A partiredalla fine degli anni Novanta, le decinemafiose hanno subito pesanti colpi daparte delle forze dell’ordine. Oggi, le atti-vità illecite dei siciliani risultano forte-mente ridimensionate. Il coinvolgimentodi esponenti di Cosa nostra, in ogni caso,è ancora ben visibile nell’azione di gra-duale penetrazione del tessuto economi-co cittadino. Molti mafiosi risultano pro-prietari di immobili e hanno investitogrossi capitali nel settore edile, commer-ciale e nella ristorazione.

Una maggiore preoccupazione desta, almomento, la criminalità calabrese. Sem-brerebbe infatti che i gruppi di ’ndranghe-ta siano stati in grado di pervenire a uno

stadio più avanzato nella infiltrazione delterritorio. Le più recenti indagini hannoaccertato la capacità di diversi sodali cala-bresi di stringere rapporti con candidatipolitici locali e rappresentanti delle istitu-zioni. Inoltre, in alcuni settori economici,quali, ad esempio, la movimentazione ter-ra e lo smaltimento di rifiuti, si sono deli-neate delle situazioni di monopolio, ricon-ducibili a soggetti, legati o vicini ad espo-nenti della ’ndrangheta.

Non mancano segnali confortanti sulfronte delle indagini. L’impressione, tut-tavia, è che le attività di contrasto non sia-no ancora riuscite ad arrivare al cuore deipatrimoni mafiosi. Un segnale, da questopunto di vista, potrebbe arrivare in futu-ro dalle confische, ferme al momento apoche decine a fronte delle centinaia ope-rate in Lombardia e Piemonte.

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Q uella che a Napoli vienechiamata «munnezza», inVeneto sono le «scoasse».Comunque vengano chia-

mate la loro gestione produce sol-di e legami di potere. Legami e sol-di che hanno unito, in una comu-nanza di sordidi interessi, la Cam-pania e il Veneto in questi ultimianni. È noto come le «scoasse» de-gli industriali veneti abbiano inon-dato — grazie ad una fitta rete dicomplicità — l’agro casertano fi-no ad una decina di anni orsono.Ora che le dinamiche e le rotte deitraffici dei rifiuti sono mutate,qual’è il ruolo delle camorre ogginella gestione illegale dei rifiuti?Sarebbe passato dallo smaltimen-to al reinvestimento del denarosporco anche nello stesso settoredei rifiuti. È l'ipotesi avanzata dalmagistrato veneziano Roberto Ter-zo: «i gruppi camorristici hannoguadagnato somme imponentidallo smaltimento dei rifiuti delleaziende venete — secondo testi-monianze di collaboratori di giu-stizia fino a un milione di euro allasettimana —, ora quelle sommevengono reinvestite, anche nel Ve-neto».

Ipotesi che troverebbe confer-ma nell'inchiesta denominata«Ferrari come back» dell’aprile2011. Gli inquirenti sequestraronoun capannone dell’azienda, specia-lizzata nel settore tritarifiuti, diFranco Caccaro, affermato impren-ditore della provincia di Padova, il

quale avrebbe beneficiato di ingen-ti somme di denaro, almeno tremilioni di euro, che secondo la ri-costruzione dei magistrati, esplici-tata nel decreto di sequestro, pro-verrebbe dall’avvocato CiprianoChianese, raggiunto già nel 1993 enel 2007 da provvedimenti di cu-stodia cautelare nell’ambito di in-dagini sugli intrecci tra operatoridel settore rifiuti e clan dei Casale-si. L’imprenditore padovano era al-la guida di una azienda di succes-so con solide alleanze e conoscen-ze sul territorio, anche nel mondopolitico.

L’evoluzione dei traffici dei rifiu-ti — con il reinvestimento nel set-tore legale della gestione dei rifiu-ti dei soldi affluiti grazie alla lorogestione illegale — rispecchiaquella delle reti criminali: non sia-mo più di fronte alla cogestione— in occasionale accordo con traf-ficanti, faccendieri ed imprendito-ri veneti - delle rotta nord-sud del-le «scoasse» — accompagnate dacodici fortunosamente contraffat-ti e certificati manomessi, ma adun ruolo più opaco e inafferrabile.Soltanto attraverso minuziose in-dagini a ritroso all’interno di trustfinanziari e di complicate scatolecinesi societarie è possibile indivi-duare collegamenti con la crimina-lità. E nemmeno il modus operan-di li distingue più di tanto: le rego-le del mercato sono sufficienti pergarantire il successo di impresesenza particolari problemi di liqui-dità e con grandi capacità di tessi-tura di reti. In Veneto allarmi e sus-

surri si rincorrono sulla trasparen-za di quella o quell’altra ditta in vi-sta delle prossime gare per l’affida-mento della gestione del ciclo deirifiuto solidi urbani. Non solo sus-surri: a volte si tratta di interpel-lanze parlamentari come quella de-positata dei deputati veneti Ales-sandro Naccarato e MargheritaMiotto nei confronti della dittaavellinese De Vizia che opera perconto di numerosi comuni venetinella gestione dei rifiuti solidi ur-bani, ma le cui «credenziali — se-condo i parlamentari padovani —andrebbero verificate». La De Vi-zia risulta ad oggi oggetto di un’in-chiesta condotta dalla Guardia Fo-restale per problematiche attinen-ti la gestione dei rifiuti. Ma i lega-mi nord-sud continuano: è natoin un paese del veneziano, Stefano

Gavioli, imprenditore attivo nel ra-mo dei rifiuti, operante a Napoli fi-no al 2010 quando una «interditti-va antimafia atipica» spiccata del-la prefettura di Venezia — doveaveva sede legale la sua ditta, Ene-rambiente —, ha troncato i suoi af-fari nel capoluogo partenopeo.

Che si tratti di «scoasse» o di«munnezza», l’ecomafia si confi-gura — ha osservato Antonio Per-golizzi nel suo libro Toxicitaly —come «l’affollamento ben orche-strato di personaggi legati alle ma-fie in combutta con quel sottobo-sco di cosiddette "persone per be-ne" dove non è più possibile di-stinguere gli uni dagli altri, i ma-fiosi dagli imprenditori, gli ammi-nistratori dai professionisti o daibanchieri».

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OSSERVATORIO SULLA CAMORRA E SULL’ILLEGALITÀ

Sono loro i nuovi «padroni»dei traffici illeciti nel territorioregionale, con una suddivisioneprecisa dei traffici illeciti

di ATTILIO SCAGLIONE

I clan napoletani presentisul territorio genovese sonoprobabilmente quellimaggiormente in difficoltà

di GIANNI BELLONI

Nel secolo scorso prime tracce d’infiltrazione

Federico II, focus su «Mafie, territori e società locali»

Chi è

Chi è

Il caso / 2

I siciliani e i calabresi

Napoletani in ombra

Il business milionario della «munnezza»sull’asse che collega il Veneto e la Campania

Il convegno

Forze dell’ordine Polizia, carabinieri, Guardia di finanza e Forestale sono impegnate nel contrasto a queste organizzazioni

Il sociologoAttilio Scaglioneè ricercatoreall’Universitàdegli Studi diPalermo. Hascritto anche«Reti mafiose.Cosa Nostra eCamorra:organizzazionicriminali aconfronto» perFranco Angeli

Gianni Belloni,giornalista,ex redattoredi «Carta»,è il coordinatoredell’OsservatorioAmbientee legalitàdi Legambientee del Comunedi Venezia

Liguria terreno fertileper l’arrivo delle cosche

«Mafie,territori e società locali» è il titolo della duegiorni organizzata dall’Università degli Studi diNapoli Federico II, dal Polo delle Scienze Umane eSociali e dal Dipartimento di Sociologia, inprogramma mercoledì 13 e giovedì 14 giugno, tra lafacoltà di Sociologia (Vico Monte della Pietà 1) e labiblioteca BRAU dell’ateneo, (Piazza Bellini 59-60).Quattro le sezioni: «Ricerche in corso sul crimineorganizzato in Campania: mercati, territorio,genere», «Le mafie in trasferta: geografia, territori edespansione», «I varchi: professioni, imprese,appalti», «Come si combattono le mafie: i dispositivi

di contrasto». Intervengono, tra gli altri, i sociologiEnrica Amaturo, Gianfranco Pecchinenda, LucianoBrancaccio, Amato Lamberti, Rocco Sciarrone, AttilioScaglione e Gianni Belloni, i magistrati GiuseppePignatone, Michele Prestipino. Giovedì alle 16.30, aconclusione della due giorni, presso la Brau, saràpresentato il volume «Alleanze nell’ombra. Mafie edeconomie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno», a curadi Rocco Sciarrone, con la storica Gabriella Gribaudi,i magistrati Filippo Beatrice e RaffaeleCantone, Tano Grasso della Federazione Antiracketitaliana e Isaia Sales.

Il caso / 1 Tre le zone di espansione: il Ponente, il Levante e il Genovese

21DossierCorriere del Mezzogiorno Venerdì 8 Giugno 2012

NA

N el lontano 2000 destò stupo-re (considerando anche ilruolo) e non poche polemi-che l’affermazione del prefet-

to di Milano Gian Valerio Lombardisecondo il quale «la mafia a Milanonon esiste». Sebbene, successivamen-te, addolcita e chiarita nella sua essen-za, l’affermazione delineava un’ideadi fondo secondo la quale Milano (ela Lombardia) sono estranee alla per-vasiva presenza delle mafie e l’econo-mia locale non è affatto condizionatada tale presenza che resta limitata asingole cosche o piccole famiglie ma-fiose maggiormente interessate a da-re il meglio attraverso l’agire impren-ditoriale, piuttosto che per mezzo delcrudele e sanguinario volto delle ucci-sioni, delle estorsioni, delle gambizza-zioni o delle faide. Questa rappresen-tazione stride, invece, con l’allarmeche il procuratore nazionale Grassoha lanciato più recentemente nel se-condo rapporto della Direzione nazio-nale antimafia per il quale la Lombar-dia si conferma come la regione delNord Italia che registra «il maggioreindice di penetrazione nel sistemaeconomico legale dei sodalizi crimi-nali della ’ndran-gheta, secondo ilmodello della "co-lonizzazione"».Nel senso che, seb-bene vi siano pre-senti tutte le sigledelle organizzazio-ni criminali nostra-ne, la ’ndranghetasi è diffusa, rispet-to alle altre, conu n a m o d a l i t àespansiva tale suinuovi territori, or-ganizzandone ilcontrollo e gesten-done i traffici ille-citi, sì da giungerealla formazione di uno stabile insedia-mento mafioso.

Ora, che le associazioni di stampomafioso fossero presenti in Lombar-dia a partire dagli anni ’50 costituisceun fatto noto sia alla procura di Mila-no che a tutti gli addetti ai lavori(giornalisti, studiosi, esponenti delleforze dell’Ordine). E che tale presen-za fosse stata facilitata dalla compia-cenza e dal sostegno di imprenditorilombardi è un fatto acclarato. Cheinoltre le forme di tale presenza fosse-ro maggiormente mimetizzate e con-nesse all’esercizio di attività economi-che, commerciali, produttive è un da-to altrettanto acquisito. Tant’è chechi studia i fenomeni criminali e ilmodus operandi delle organizzazionicriminali sa che esse pur essendo ra-dicate in particolari territori, talunesi muovono su scale più ampie (regio-nali, nazionali, estere, internazionali)proprio per operare investimenti e ge-nerare nuovi profitti. E se c’è un luo-go ideale che permette tutto ciò essoè costituito proprio da quelle realtàterritoriali a forte dinamicità econo-mica. Che, quindi, il Nord sia anch’es-so interessato dalla presenza di un cri-mine mafioso non è legato solo aglieffetti dei soggiorni obbligati o all’im-migrazione dal Sud, ma è connatura-to alle caratteristiche della strutturasocioeconomica stessa dell’area (spe-cie Milano e la Lombardia) le cui per-formance di sviluppo sono tali da at-

trarre gli stessi investimenti illegali.Se la confisca dei beni accumulati daigruppi criminali è un indicatore delloro radicamento ed una proxi dell’at-tività di riciclaggio, allora non è uncaso che la Lombardia è al 5˚ postocon 665 beni confiscati e al 3˚ con164 aziende nel ranking nazionale.Questi risultati sono tuttavia forte-mente condizionati da un’attività in-vestigativa che in queste realtà non èancora supportata dalle vittime, tan-t’è che le denunce per estorsioni, perusura, per danneggiamenti, per in-cendi a cantieri e altro restano ancoradi insignificante quantità.

È quindi inscritto nelle leggi del-l’economia di mercato il destino dellearee economicamente forti: divenireterritori di attrazione sia per le attivi-tà legali che per quelle illegali. La glo-balizzazione, poi, ha favorito questavincente penetrazione in nuovi terri-tori e ha reso la rete delle organizza-zioni mafiose al tempo stesso più am-pia (attraverso nuove alleanze e nuo-vi accordi) e più autonoma in diversipunti e nodi. Ecco perché tra Milanoe Pavia, passando per Bollate, Rho,Cormano, Bresso, Pioltello, Corsico,Legnano, Limbiate, Solaro, Desio,Canzo, Seregno, Mariano Comense,

Erba, gli investiga-tori tra l’estate del2010 e i primi me-si del 2012 hannointercettato in di-verse retate unesercito di circa500 uomini affilia-ti alla ’ndranghetadel Nord, ciascu-no afferente a unpreciso locale, ov-vero una autono-ma struttura orga-nizzata a capo del-la quale il bossmantiene rapportistretti con la coscacalabrese di riferi-

mento, ma organizza sul proprio terri-torio l’attività criminale in forma indi-pendente. Queste cellule mafiose pe-netrano in forme silenti il territorio,ne insidiano il potere politico, istitu-zionale ed economico e sono deditealle attività illegali, prima fra tutte iltraffico di stupefacenti, in un modotra loro coordinato al punto che, conl’arresto di Domenico Oppedisano,detto "Don Mico", e di Pasquale Zap-pia gli investigatori hanno ritenutodi aver messo le mani sul capo supre-mo della cupola calabrese e sul capodella cupola in Lombardia.

Nell’inchiesta investigativa «Infini-to», un ramo dell’operazione «Crimi-ne» che ha portato all’arresto delboss di Rosarno, condotta dal nucleoinvestigativo dei carabinieri di Mon-za e l’ausilio di altri servizi di poliziagiudiziaria, è emerso che nella regio-ne lombarda operano 16 «locali» cheformano una struttura organizzativaintermedia denominata dagli inqui-renti «Lombardia» che ha funzioniautonome nell’affidamento di cari-che, doti, incarichi. Le più recenti in-vestigazioni hanno rivelato insommauno scenario del crimine organizzatoche conferma non solo la diffusa pre-senza al Nord di organizzazioni ma-fiose, specie della ’ndrangheta, ma nesta disvelando anche la sua proiezio-ne internazionale (Svizzera, Germa-nia, Olanda, Canada, Australia).

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I l lavoro di Federico Varese, «Ma-fie in movimento», (Einaudi,2011) propone una teoria orga-nica dei processi di espansione

delle mafie. Lo fa attraverso unacomparazione tra casi di successo edi insuccesso: la ’ndrangheta a Bar-donecchia e Verona, la mafia russa aRoma e Budapest, Cosa Nostra aNew York e Rosario, e infine le tria-di straniere in Cina. Il pregio del li-bro sta nel mettere il lettore in con-dizione di comprendere in modochiaro, attraverso argomentazioni li-neari e una certa fluidità di scrittu-ra, la tesi di fondo che spiegherebbei meccanismi di diffusione delle ma-fie. Ma questa strategia comunicati-va è ottenuta al prezzo di semplifica-re eccessivamente la spiegazione, as-sumendo una definizione assai re-strittiva di «mafia» e procedendo auna comparazione tra pochi casi for-temente stilizzati. È un difetto tipicodi alcune analisi comparative, lequali tendono a sacrificare sull’alta-re dell’individuazione di nessi strin-genti di causa-effetto la complessitàdei casi di studio.

Innanzitutto occorre mettere inevidenza la concezione di criminali-tà organizzata da cui l’autore muovela sua analisi. Varese ritiene che tut-te le fattispecie di criminalità orga-nizzata siano accomunate da alcunecaratteristiche essenziali, tipiche del-lo Stato moderno: organizzazione,gerarchia, monopolio della violen-za, regole fisse, rituali, controllo delterritorio, funzioni di protezione de-

gli affari. Si tratta dell’impostazionenota tra gli addetti ai lavori come«teoria gambettiana» (da DiegoGambetta). Non a caso nella sua de-finizione di «mafia» (p. 9 dell’intro-duzione) non rientra la camorra,che sappiamo avere in molte sue va-rianti una più forte connotazioneimprenditoriale e una minore defini-zione sul piano organizzativo-ritua-le. I circuiti di criminalità organizza-ta secondo Varese sarebbero ricon-ducibili a strategie di gruppi compe-titori dello Stato, tese a creare ambi-ti territoriali di regolazione extrale-gale. Una sorta di «contropotere»,che agisce anche infiltrandosi nelleistituzioni e corrompendone i titola-ri legali, ma che fondamentalmentesi presenta nella sua dimensione an-tistatuale.

Lungo queste linee interpretative,Varese illustra i principali fattoriche determinano il successo o menodei fenomeni di «trapianto» deigruppi mafiosi dalle aree originariein nuovi territori. Innanzitutto fatto-ri relativi all’offerta, vale a dire quel-li che spingono i gruppi criminali atentare l’insediamento altrove: emi-grazione, soggiorno obbligato, re-pressione nelle aree tradizionali,strategie di espansione razionalmen-te perseguite. Poi i fattori che favori-scono l’attecchimento nei nuovi ter-ritori, che per logica conseguenzadegli assunti di partenza si identifi-cano nella domanda di «protezionemafiosa», laddove le funzioni delloStato mostrano lacune e collusioni:mercati illegali, boom edilizio, eco-nomie con forti vincoli localizzativi,

incapacità degli apparati legali di re-pressione.

Si tratta di fattori già noti in lette-ratura che qui compaiono non comeprocessi concorrenti alla definizio-ne di una situazione, ma come veree proprie "variabili esplicative". Indefinitiva riconducibili alla spiega-zione ultima, che sempre accompa-gna la prospettiva gambettiana: losviluppo delle mafie come carenzadelle funzioni statali.

È una base argomentativa che direcente ha trovato terreno fertile inun’opinione pubblica «bombarda-ta» dal mito dell’«impero del male».La mafia come nemico altro, dotatodi confini, titolare di eserciti, riccodi risorse economiche e relazioni;fattori che insieme costituisconouna minaccia esterna all'ordine co-stituito. C’è ragione di ritenere inve-ce che i circuiti mafiosi si innestinonegli stessi processi di state-buil-ding e di nation-building, ne in-fluenzino gli assetti legali e le formedi cooperazione sociale, contribuen-do alla costruzione delle architettu-re istituzionali che regolano la vitaaggregata. Non un nemico esternodunque ma una forma contempora-nea dei circuiti economico-crimina-li, che trova forza in cointeressenzecol mondo «legale».

In definitiva siamo in presenza diun buon lavoro di ordine e sistema-tizzazione, pregevole per approfon-dire la prospettiva gambettiana, mache poco aggiunge alle conoscenzegià acquisite sui processi di espan-sione e radicamento delle mafie.

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Il libro

Destò stupore e polemichel’affermazione del prefettoLombardi che disse: «Lamafia a Milano non esiste»

Procuratore antimafia Grasso:«Qui il crimine calabrese haattecchito secondo il modellodella "colonizzazione"»

I «locali» tra droga e impresedi GIACOMO DI GENNARO

di LUCIANO BRANCACCIO

La recensione Il volume di Varese propone un’analisi comparativa tra diversi casi

Nel 2000

Nel 2012

Crimine in movimento, una lettura«gambettiana» del fenomeno

«Mafie inmovimento.Come il crimineorganizzatoconquista nuoviterritori»(Einaudi 2011),è di FedericoVarese,professoredi criminologianelDipartimentodi Sociologiadell’Universitàdi Oxford

Lombardia,qui comandala ’ndrangheta

I settori privilegiati sono quelli in cui i mafio-si hanno tradizionalmente più competenze:edilizia e appalti, smaltimento rifiuti, sanità,esercizi commerciali, compravendita di immo-bili, trasporti e logistica, cooperative di servizi,agenzie di sicurezza, sale gioco e scommesse.

Emerge tuttavia una maggiore apertura e di-sponibilità degli ambienti economici legali, in-sieme a una maggiore permeabilità della sfera

politica e amministrativa. In definitiva, la novi-tà più importante riguarda il fatto che anche inalcune aree del Centro-Nord si ravvisa la costi-tuzione di un'area grigia di collusioni e compli-cità. Da questo punto di vista, è significativol'atteggiamento di numerosi imprenditori checercano di trasformare i vincoli imposti dallapresenza mafiosa in opportunità, se non in ve-ri e propri vantaggi competitivi.

Le agenzie di contrasto sono naturalmentepiù focalizzate sulle caratteristiche dei gruppi

criminali e molto meno sui fattori di contestoche possono favorire o meno la loro espansio-ne. Nella fase attuale sono disponibili strumen-ti più adeguati per colpire i boss e le attivitàillecite, ma si è molto meno preparati e attrezza-ti per colpire le aree grigie. Questo problema,già evidente nei contesti originari, si ripresen-ta con urgenza anche in quelli di nuovo insedia-mento.

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L’intervento

Il Dossier dell’Osservatorio sulla camorra e sull’illegalitàè a cura di Chiara Marasca e Antonio Scolamiero( @cronista73, [email protected])

Attacco ai capitaliIn questi ultimi anni,numerose sono state leoperazioni delle Forzedell’ordine per scalfirei capitali mafiosi. Triplicatii sequestri di ingenticapitali, frutto delle attivitàillecite, riciclati in attivitàlecite e pulite, comeil movimento terra e laristorazione

SEGUE DA PAGINA 19

Il caso / 3 Milano è la centrale degli affari

«I clan in trasferta? Nessuno stupore: accade da sempre»

22 Dossier Venerdì 8 Giugno 2012 Corriere del MezzogiornoNA

«S ul trattore c’è il papà di don Pep-pe». Gennaro Diana ara la terra chelo Stato ha confiscato ad Antonio Di-

ana, boss della fazione Bidognetti. L’immaginesintetizza perfettamente l’«utopia concreta»che ha animato in questi anni, il giornalista Pie-tro Nardiello, ideatore e promotore del Festi-val dell’Impegno Civile. Affrancare i luoghiconfiscati dalla macchia della criminalità orga-nizzata e riportarli a nuova vita. Minare attra-verso l’arte, la musica, il teatro e la riflessionecollettiva ciò che nelle nostre terre è simboloinviolabile del potere camorristico. E se l’inizia-tiva, nata nel 2008, raggiunge la sua quinta edi-zione, vuol dire che da quella prima seminaqualcosa è nato.

Il Festival a casa del boss, Phoebus edizioni,ripercorre le tappe che hanno portato alla rea-lizzazione della rassegna in luoghi dormitorio,dove anche il disordine urbanistico e l’abusivi-

smo sono specchio dello strapotere del crimi-ne organizzato. I diritti d’autore saranno devo-luti in beneficenza all’associazione «(R)esisten-za Anticamorra», coordinata da Ciro Corona,per la realizzazione a Scampia di un ristorantepizzeria sociale dove lavoreranno giovani delterritorio, minori in attesa di giudizio e con-dannati a scontare pene alternative al carcere.Nardiello, dunque, ci racconta la genesi del Fe-stival. Dall’idea, ai primi passi, all’incontro conValerio Taglione e Mauro Baldascino. Con loroconcretizzerà il progetto, primo in Italia, di fa-re spettacolo e informazione proprio a «casadel boss». Non pochi gli ostacoli burocratici edeconomici da superare. Primi fra tutti, però,l’indifferenza delle istituzioni e la diffidenzadei cittadini. Il volume è arricchito dalle inter-viste ad alcuni dei protagonisti delle diverseedizioni del Festival. Si parte con il giudice Raf-

faello Magi per passare poi a Peppe Barra e alprocuratore Federico Cafiero de Raho, alla pro-fessoressa Antonietta Rozera. E ancora Isaia Sa-les, che nell’intervista di Vito Faenza, elaboraun’interessante riflessione sul rapporto ambi-guo tra mafie e religione cattolica. «Il successodelle mafie», dice Sales, «ha rappresentato erappresenta anche un insuccesso della ChiesaCattolica. Dico questo perché sono convintoche, senza una Chiesa realmente e cristiana-mente anti mafiosa, in tutti i suoi rappresen-tanti e credenti, la lotta per la sconfitta definiti-va delle mafie sarà ancora lunga». Poche pagi-ne dopo, fanno da contraltare a Sales, le paroledi Don Aniello Manganiello, (intervistato daArmida Parisi), che ripercorre la sua esperien-za di parroco a Scampia e direttore del Centro«Don Guanella» nello stesso quartiere. Con lamalavita, lui, non è mai sceso a patti, ha anzi

cercato e cerca di combatterla quotidianamen-te a suon di "pane e Vangelo". «Mi sono accor-to arrivando a Scampia», dice, «degli immensibisogni materiali della gente. Era necessario in-nanzitutto risolvere i problemi di queste perso-ne. Io questo ho provato a fare, cercare di aiu-tarli a riempire la pancia e poi sono passato aparlare di Gesù».

Il libro-racconto dell’odissea pre-festivalnon poteva che concludersi poi, con un’intervi-sta, seppure immaginaria, alla persona cui que-sta rassegna è dedicata. Don Peppe Diana. As-sassinato dalla camorra per il suo impegno an-timafia, a Casal di Principe, il 19 marzo 1994. Acasa del boss, si riflette di tutto questo, e so-prattutto «si fa», si agisce per una nuova realtàpossibile. Certo, la speranza è che a raccontarequest’impegno, siano d’ora in poi non solo iprotagonisti, ma anche chi riceve la pratica del-la legalità e decide di farne il faro del propriocammino.

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A colpirlo più di ogni altra cosa è la pros-simità della camorra: tanto vicina da appa-rire quotidiana, abituale. «Non riuscivo acapire come fosse possibile che la morte diun uomo potesse diventare spettacolo»,scrive il militare raccontando di padri che,di fronte all’ennesimo morto ammazzatoin terra, prendono in braccio i figli per per-mettere loro di vedere meglio la scena. Glialleati del sindaco e del carabi-niere saranno i commercianti.Ma non sarà impresa facile con-vincerli a diventare parte atti-va di questo processo di cam-biamento, denunciando i loroaguzzini. I primi risultati arrive-ranno dopo mesi di passeggia-te antiracket, sindaco e tenenteper i vicoli dei clan, per dimo-strare che lo Stato non arretra:non una sfida ai clan, ma unmessaggio a cittadini per benee vittime della camorra, un mo-do per dire «fidatevi, noi ci sia-mo». A loro si unirà dopo pocoTano Grasso (che firma il cor-poso e istruttivo glossario anti-racket allegato al volume), cheporterà all’iniziativa l’esperien-za e il contributo della Federa-zione antiracket italiana. Gra-zie a lui Ercolano arriva alla ri-balta nazionale, in prima sera-ta Rai. Per la prima volta ilgrande pubblico conosce la sto-ria di Raffaella Ottaviano, lapioniera dell’antiracket. Unodopo l’altro si fanno avanti de-cine e decine di commercianti.

Nel 2010 al Tribunale di Na-poli inizia un processo sulla camorra a Er-colano che vede 41 imputati e 42 parti le-se, testimoni, spiega Daniele, «che hannocollaborato denunciando gli uomini delracket, emissari e mandanti». Non sonomancati i momenti difficili: scritte sui mu-ri e minacce contro il sindaco, un piano,sventato dall’arresto di colui che avrebbe

dovuto eseguirlo, per uccidere Di Florio.Mentre Daniele ricorda: «Ho vissuto mo-menti di amara solitudine. Abbandonato eindebolito dal mio stesso partito. Propriomentre sentivo che avrei avuto bisogno disostegno e di autorevolezza mi si toglievaforza e peso politico». Il suo partito era edè il Pd. Il movimento antiracket ha comun-que retto a tutto.

Quella di Ercolano è stata una rivoluzio-ne lenta, senza santi né eroi mediatici, sen-

za proclami. Un impegno anti-mafia partito sia dal basso siadall’alto; sia dai cittadini siadallo Stato. E forse è proprioqui la cifra distintiva di questastoria. La coglie in pieno TanoGrasso nel suo glossario antiracket che chiude il libro. Eccoquel che scrive alla voce Ercola-no: «Per molti aspetti mi ricor-da l’esperienza di Capo d’Orlan-do. Se oggi, giustamente, si par-la di un "modello Ercolano" èperché, come accaduto agli ini-zi degli anni Novanta in Sicilia,una serie di straordinarie coin-cidenze ha reso possibile unaconcreta iniziativa di liberazio-ne del territorio». La prima diqueste coincidenze: «La costitu-zione di un’associazione anti-racket sotto l’appassionata dire-zione di Raffaella Ottaviano».La seconda: «Il ruolo decisivodi un sindaco, raro nel panora-ma dei amministratori campa-ni, che ha saputo farsi carico inprima persona del sostegno edell’attiva partecipazione». Laterza: «L’attività delle forze del-l’ordine che hanno espresso

una notevole professionalità nelle strade enel contatto con gli operatori economici.Nonché la direzione dell’autorià giudizia-ria che, con rigore e con tempismo, è inter-venuta nell’attività di repressione e nell’av-vio dell’azione penale».

Marco Demarco© RIPRODUZIONE RISERVATA

C onviene rileggere il 1992,per capire il 2012. D’altron-de venti anni sono passatidavvero troppo in fretta, so-

prattutto per chi in quell’anno fatidi-co era appena adolescente. A questagenerazione appartengono gran par-te degli autori di «Novantadue. L’an-no che cambiò l’Italia», edito di re-cente da Castelvecchi (190 pagine,14.90 euro).

È (in parte) lo stesso collettivo, co-ordinato da Marcello Ravveduto, chedue anni fa lanciò la provocazione di«Strozzateci tutti», antologia di sto-rie di mafia e soprattutto di antima-fia. Ricorderete come si innescò quelprimo racconto corale: fu l’allora pre-mier Silvio Berlusconi a dichiarare,parola più parola meno, che chi scri-ve storie di mafia fa fare brutta figu-ra all’Italia, e perciò, metaforicamen-te, «andrebbe strozzato». Oggi chenon è più Berlusconi al centro dellascena, sono in tanti a sottolineare leinquietanti analogie tra quel terribile1992 e il nostro angoscioso 2012.

Gli autori di questa raccolta sonoben sedici, tra studiosi, scrittori egiornalisti, e insieme riescono a in-durre nei lettori una precisa sensazio-ne: in venti anni, a quanto pare, ab-biamo compiuto un lungo giro pertornare, in realtà, al punto di parten-za. È lo stesso Ravveduto che lasciaintravedere questa chiave di lettura,intitolando l’introduzione al princi-pe di Salina: cioè al personaggio sim-bolo dell’Italia immutabile. È facile ri-cordare come anche in quel ’92, or-mai piuttosto lontano, i nostri contipubblici fossero sull’«orlo del bara-tro» (parole dell’allora premier Giu-liano Amato, rievocate nel libro). An-che all’epoca, la Lega agitava lo spet-tro della secessione del Nord: in que-sto volume, però, Monica Zornettaracconta anche le frequentazioni ca-pitoline di Umberto Bossi e dei suoicompagni, un’assiduità con i salottiromani che affonda le radici proprioin quell’epoca. E ovviamente il ’92 èanche l’anno delle bufere giudizia-rie: in questa opera corale, spetta aCarmen Pellegrino cimentarsi nellalettura di Tangentopoli e dei suoi de-rivati.

Venti anni fa come oggi, l’intero si-stema politico era, o sembrava, sullasoglia del disfacimento, e d’altra par-te la serie di analogie tra i due mo-menti storici potrebbe continuare,includendo anche i timori attuali diun eventuale ritorno dello stragismo

mafioso. Tuttavia è nel costume enelle abitudini culturali degli italianiche le cose sono davvero cambiate.Tocca ad Alessandro Chetta, redatto-re web del Corriere del Mezzogiorno,il compito di «narrare la narrazio-ne», ripercorrendo l’evoluzione delpanorama dei media. Così, venti an-ni fa, all’indomani dell’omicidio diSalvo Lima, e di fronte all’ostinazio-ne di alcuni esponenti della Dc sici-liana nel negare l’esistenza della ma-fia, il settimanale Cuore titolava «Li-ma come John Lennon, ucciso da unfan impazzito». Quante di questespietate freddure appaiono ogni gior-no su spinoza.it, oggi? E tuttaviaquante riescono a sopravvivere nellamemoria? L’abilità degli autori diquesto volume consiste anche nelmettere a fuoco i dettagli, in un affre-sco molto complesso da comporre:le dirette dal Palazzo di Giustizia diMilano, con il timido cronista PaoloBrosio teleguidato dal dispotico Emi-lio Fede. Oppure il tormentone pop«Hanno ucciso l’Uomo ragno», dedi-cato a Giovanni Falcone secondouna leggenda metropolitana.

Sicuramente preziosa, del resto, èla ricostruzione dell’affaire Enimont,affidata alla penna "televisiva" diGiorgio Mottola: inevitabile leggerein filigrana, nella tragica parabola diRaul Gardini, l’incontro-scontro tracapitalismo e politica, un nodo anco-ra irrisolto in Italia. In ultimo, manon certo per ordine di importanza,ci sono le vittime della criminalità or-ganizzata. Non si può metterle tuttesullo stesso piano, e d’altronde que-sto volume non vuole elaborare giu-dizi definitivi. Manuela Iatì raccontale storie di Lodovico Ligato e NinoScopelliti, Serena Giunta ripercorrela vicenda di Rita Atria, Amalia De Si-mone ricorda l’omicidio di Sebastia-no Corrado (tutte vittime, in qualchemodo, di quel Novantadue).

Ci sono ovviamente le stragi di Ca-paci e di via D’Amelio, raccontate daFrancesco Piccinini con il significati-vo titolo «Non è dato sapere». Conuna dettagliata cronologia e una nu-trita bibliografia, oltre che con undenso indice analitico, il volume sipropone, a conti fatti, come una pic-cola ma utile «enciclopedia del ’92»:un valore che va oltre dunque, in-somma, la semplice narrazione, enon a caso Ravveduto, giovane stori-co con radici a Pagani, la presenta co-me un’operazione di "public hi-story", condotta al di fuori delle mu-ra accademiche.

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Volume collettivo curato dallo storico Ravveduto

OSSERVATORIO SULLA CAMORRA E SULL’ILLEGALITÀ

La copertina

La copertina

La copertina

Il libro / 3 Il giornalista Pietro Nardiello, in un volume arricchito da molte testimonianze, racconta la manifestazione giunta alla quinta edizione

Così è nato il festival «a casa del boss»

di LUIGI MOSCA

di VALERIA CATALANO

I fatti

Nel volumedi PietroNardiello(PhoebusEdizioni)c’è ancheun’intervistaimmaginariaa don PeppeDiana

Tre firme nelvolume di«Felici editore»:quella delpolitico NinoDaniele, delcapitano deicarabinieriAntonio DiFlorio e delpresidenteonorario dellaFai Tano Grasso

Nel volumea cura dellostorico MarcelloRavvedutosaggi diGiovanniAbbagnato,Anna Bisogno,AlessandroChetta, AmaliaDe Simone,Corrado DeRosa, LauraGalesi, SerenaGiunta,Manuela Iatì,Andrea Meccia,Giorgio Mottola,CarmenPellegrino, CiroPellegrino,FrancescoPiccinini,FrancescaViscone, MonicaZornetta

Il libro / 2

Le stragi e Tangentopoli,il ’92 che cambiò l’Italia

Vernice bianca Nino Daniele cancella scritta «w la camorra» sul muro dello stadioTangentopoliIl 17 febbraio 1992 fu arre-stato per corruzione MarioChiesa (foto), presidentedel Pio Albergo Trivulzio emembro del Psi milanese

Ercolano liberata,esempio nazionale

Le stragiIl 1992 è anche l’anno de-gli attentati mafiosi controi giudici antimafia Giovan-ni Falcone e Paolo Borselli-no (in foto via D’Amelio)

La crisi economicaNel 1992 il premier Giulia-no Amato (foto) lanciò l’al-larme e disse che i nostriconti pubblici erano sul-l’«orlo del baratro»

SEGUE DA PAGINA 19

Il libro/1 La seconda volta di quelli di «Strozzateci tutti»


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