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NAPOLETANANDO

Date post: 08-Apr-2016
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Giornalino realizzato dalla classe I della Scuola Superiore di I grado "M. Ausiliatrice" di Napoli per il PROGETTO MEDI@PLAY
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sua squadra. Perché a Napoli, la domenica è il giorno del calcio, del ragù e dei dolci com- prati freschi in pastic- ceria. Il giorno dove a tavola non si è in me- no di dieci e dove tutti si riuniscono per parla- re, ridere e ritrovarsi. Ed è per questo che i suoi cittadini soffrono quando la loro Napoli è offesa e maltrattata perché identificata co- me sporca, cara e co- me una terra di ladri. Napoli non è affatto questo: avrà di certo i suoi problemi e difficol- tà. Ma questo non au- torizza nessuno a di- struggerla e a limitarla nelle sue potenzialità che sono davvero tan- te. Vedi Napoli e poi muori!”. Recita così un vecchio proverbio sulla città che sorge maestosa ai piedi del Vesuvio. Lei che prende il nome dalla bella sirena di nome Partenope e che è conosciuta in tutto il mondo per il mare, il sole e, soprattutto, la bontà della pizza. Stiamo parlando di Napoli, capoluogo del gusto, della bellezza e dell‟arte presepiale che qui vede operare maestri artigiani che si trasmettono il me- stiere da generazioni. Ma la città di Pulcinel- la non è solo questo: Napoli, infatti, è anche cultura, musica, arte e tradizioni. Le melodie della canzone napole- tana hanno fatto il giro del mondo e riempio- no i teatri di ogni città grazie alle interpreta- zioni di straordinari artisti. Testi che gra- zie alla semplicità del- le parole e alla pro- fondità degli accordi, portano gli ascoltatori lontano dalla realtà in un mondo dove pre- sente e passato si fondono con una ma- gia che solo qui è possibile ritrovare. Per non parlare, poi, della bontà d‟animo dei napoletani: popolo di cuore e di estrema generosità che la do- menica si riunisce da- vanti alla tv con la fa- miglia per seguire la LA CITTA’ DI PULCINELLA Sommario: Napoli cantando 2 Napoli giocando 3 Napoli mangiando 4 Napoli leggende e miti 6 Napoli tifando 7 Napoli concludendo 8 NAPOLETANANDO A CURA DELLA CLASSE PRIMA SECONDARIA PRIMO GRADO ISTITUTO MARIA AUSILIATRICE VOMERO-NAPOLI
Transcript

sua squadra. Perché a

Napoli, la domenica è

il giorno del calcio, del

ragù e dei dolci com-

prati freschi in pastic-

ceria. Il giorno dove a

tavola non si è in me-

no di dieci e dove tutti

si riuniscono per parla-

re, ridere e ritrovarsi.

Ed è per questo che i

suoi cittadini soffrono

quando la loro Napoli è

offesa e maltrattata

perché identificata co-

me sporca, cara e co-

me una terra di ladri.

Napoli non è affatto

questo: avrà di certo i

suoi problemi e difficol-

tà. Ma questo non au-

torizza nessuno a di-

struggerla e a limitarla

nelle sue potenzialità

che sono davvero tan-

te.

“Vedi Napoli e poi

muori!”. Recita così

un vecchio proverbio

sulla città che sorge

maestosa ai piedi del

Vesuvio. Lei che

prende il nome dalla

bella sirena di nome

Partenope e che è

conosciuta in tutto il

mondo per il mare, il

sole e, soprattutto, la

bontà della pizza.

Stiamo parlando di

Napoli, capoluogo del

gusto, della bellezza e

dell‟arte presepiale

che qui vede operare

maestri artigiani che

si trasmettono il me-

stiere da generazioni.

Ma la città di Pulcinel-

la non è solo questo:

Napoli, infatti, è anche

cultura, musica, arte e

tradizioni. Le melodie

della canzone napole-

tana hanno fatto il giro

del mondo e riempio-

no i teatri di ogni città

grazie alle interpreta-

zioni di straordinari

artisti. Testi che gra-

zie alla semplicità del-

le parole e alla pro-

fondità degli accordi,

portano gli ascoltatori

lontano dalla realtà in

un mondo dove pre-

sente e passato si

fondono con una ma-

gia che solo qui è

possibile ritrovare.

Per non parlare, poi,

della bontà d‟animo

dei napoletani: popolo

di cuore e di estrema

generosità che la do-

menica si riunisce da-

vanti alla tv con la fa-

miglia per seguire la

LA CITTA’ DI PULCINELLA

Sommario:

Napoli cantando 2

Napoli giocando 3

Napoli mangiando 4

Napoli leggende e miti

6

Napoli tifando 7

Napoli concludendo 8

NAPOLETANANDO A CURA

DELLA CLASSE PRIMA SECONDARIA PRIMO GRADO

ISTITUTO MARIA AUSILIATRICE VOMERO-NAPOLI

Napoli, col suo bagaglio di cultura e tradizione popola-re, è musica, melodia e ar-monia di suoni Dall‟ epoca romana sino ai giorni nostri, la musica è, ed è sempre stata, voce del popolo, espressione dei caldi colori, degli inconfondi-bili odori e della vitalità della città del sole, della sua gen-te, delle sue storie, dei suoi stretti vicoli affollati di voci e vestiti lasciati ad asciugare, dei suoi cortili antichi e delle sue storiche chiese, della sua aria di festa e della sua profonda umanità. Le origini della canzone

napoletana sono oscure, ma si può dire che questa oscu-rità è legata all‟ origine luminosamente leggendaria del canto di Napoli.Se è vero che Ulisse si fece lega-re all'albero della sua nave per non essere incantato dalla voce delle Sirene, è già da allora dunque che la Canzone aleggiava nel Gol-fo tra Procida e Capri, I primi canti napoletani risal-gono, quindi, all‟antica Gre-cia Ma la vera canzone napole-tana cominciò nel ‟500 con la VILLANELLA (canto po-polare a tre voci ). Nello

stesso periodo giunse a Napoli, dalla nativa Sicilia, quella canzone triste, ma bellissima che è Fenesta ca lucive. Nel '600 videro la luce Michelemmà, Cicere-nella; nel primo '700, lo Guarracino Nell‟800 nacquero le prime case editrici, le quali raccol-sero le musiche del popolo e le accompagnarono con i testi di poeti (Libero Bovio, Salvatore di Giacomo per ricordarne alcuni). La storia della canzone prosegue nel „900 con il Festival di Napo-li, che riuscirà a imporre la sua canzone in tutta Italia.

Napoli cantando tra suoni e musica

dimostrazione la produ-zione e l‟uso di strumenti musicali di origine tipica-mente iberica o medio-rientale. Esempio sono le CASTAGNELLE, due piccole e cave semisfere di legno intagliato e lavo-rato legate a coppia con una fettuccia inforcata dal dito medio, ovvero la rivisitazione campana e popolaresca delle più nobili nacchere spagnole, che vengono schiacciate ritmicamente contro il palmo della mano produ-cendo così un suono secco e schioppettante. Queste fanno da accom-pagnamento a TAMMU-RIATE e TARANTELLE, balli caratteristici legati a riti mariani del napoleta-no in cui sono utilizzate appunto le “TAMMORRE” grossi tamburi, "Ballo e canto n'copp o Tammurro" si dice, e i TAMBURELLI napoletani, molto piu pic-coli delle tammorre. Altri strumenti tipici della tradi-zione partenopea sono lo “SCETAVAJASSE”, il

“TRICCABBALLACCHE”, la “CIARAMELLA” e il “PUTIPÙ”. Di più ampio utilizzo geografico è inve-ce il TRICCABBALLAC-CHE, tipico in tutta l‟Italia Meridionale. La CIARAMELLA, inve-ce, è un piccolo strumen-to a fiato con una campa-na svasata. Il suo nome deriva infatti dal latino calamus, cioè canna. Riguardo al PUTIPÙ era conosciuto col nome di “caccavella” in quanto in origine era formato da una pentola di coccio ampia su cui era tesa una pelle di ovino con un piccolo foro centrale. Qui è posizionata un‟asticella che, viene sfregata dall‟alto in basso e viceversa con una pez-zuola o una spugnetta bagnate, dando vita ad un suono somigliante a quello di un contrabbas-so. Oggi giorno sia la produ-zione, che la creazione di questi strumenti tipici, vengono lasciate alla abili mani di esperti arti-giani che continuano questo mestiere come un‟arte, svolgendolo con cura e sapienza nonché

Tramontato il Festival, la canzone napoletana si adegua alle esigenze del tempo e sarà sosti-tuita dalla musica neo-melodica (letteralmente “nuova melodia”) che ancora oggi in tutto il Sud Italia e tra gli emi-granti italiani all‟estero ha un discreto succes-so. Nel testo in napoletano delle canzoni neomelo-diche si alternano spes-so espressioni in italia-no, cosa che non suc-cedeva con le canzoni napoletane classiche. Ma la storia musicale partenopea continua perché, oltre le canzoni, Napoli è stata anche culla di strumenti musi-cali straordinariamente semplici e creativi. Città di canti e di artisti, di maschere e di popolo, Napoli ha assorbito le usanze e il folklore dei suoi numerosi coloniz-zatori, passando per secoli di dominazione francese e spagnole, facendole proprie. Ne è

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NAPOLETANANDO

Molti sono i giochi della tradizione napoletana che risalgono a tantissimi anni fa. Alcuni sono stati dimenticati, altri, nel cor-so degli anni, sono stati tramandati con delle mo-difiche. La memoria storica dei giochi sono, ovviamen-te , i nonni che per giocare avevano a disposizione spazi all‟aperto come i vicoli, i cortili, ecc. Avevano giochi poveri, ma ci han-no insegnato che per

divertirsi bastava davvero molto poco: uno spazio, un sorriso e tanta, tanta fantasia. Ne ricordiamo alcuni: - MAZZA E PIVEZ’ E‟ un gioco antico e pre-valentemente maschile, perché per gli strumenti necessari al gioco, pote-va essere pericoloso. Per giocare, infatti era necessario che ciascun giocatore disponesse di un bastone detto ”mazza” col quale colpire un le-gnetto il ”pivez” che ave-

va le due estremità ap-puntite in modo che col-pendolo si alzava dal suolo e il giocatore di turno lo colpiva in volo con la ”mazza” cercando di farlo andare il più lon-tano possibile. A turno, ogni giocatore colpiva il ”pivez” per mandarlo lontano. Dopo una serie di colpi, vinceva chi mandava il ”pivez” più lontano. Oggi questo gioco (vedi foto) non viene praticato quasi più.

gioco che, nel corso del tempo, ha visto nascere diverse varianti.Il nome tres- sette, sostie- ne il Chi-

tarrella, deriva dal fatto che avere tre sette in mano dava diritto (come ora per gli assi, i due e i tre) a tre punti. Nato come gioco per quattro persone, numero-se sono state nel tempo le varianti che sono state

Il TRESSETTE è uno dei giochi con le carte napoletane più diffuso nel nostro paese. Le sue regole furono scritte in latino maccheronico da Marcello Chitarrella, sa-cerdote napoletano, forse monaco domenicano, nel 1750.Un'ottima traduzio-ne fu scritta da autore ignoto in un libricino edito nel 1840 da una tipografi-a di Napoli.Chiare perciò le origini napoletane e non spagnole di questo

create dalla fantasia dei giocatori. Anche nel caso della SCOPA, navigando sul web, molti vedono una di-scendenza da un gioco spagnolo denominato Escoba.In realtà, lo scopone, può a ragione ritenersi un gioco nato in Italia, per il riferi-mento, in alcuni testi scritti, di pescatori na-poletani che si diletta-vano in questo gioco sin dal quattrocento.

NAPOLI GIOCANDO . . .

GIOCHI CON LE CARTE

ta per il movimento rotato-rio dello strummolo che a sua volta aveva punta incli-nata tale da conferire un movimento per cui la trotto-lina si moveva ballonzo-lando e producendo un suono del tipo TIRITI‟-TIRITE‟ da cui il termine “a tiriteppola”. La sua forma ricorda quella di una pigna con una pun-ta metallica; per far girare la trottolina si arrotolava strettamente la funicella e

si dava un deciso strappo lanciandola verso terra.

‘O STRUMMOLO

„O strummolo a tiriteppo-la e „a funicella corta: dicevano così gli scu-gnizzi quando la trottolina di legno con lo spago-motore non girava come doveva sui basoli della strada. Anzi, per meglio specificare, si soleva dire così, quando una cordicella troppo corta („a funicella) non riusciva a imprimere la giusta spin-

La tombola La tombola napoletana nacque nel 1734 grazie al re Carlo III di Borbone, che era deciso ad ufficializzare il gioco del lotto nel Regno, perchè se fosse rimasto clandestino avrebbe sottratto soldi alle casse dello Stato. La Chiesa era però contraria perchè riteneva il gioco del lotto un ingannevole diletto per i suoi fedeli. Alla fine riuscì a spuntarla il re, ma a patto che nella settimana delle festività natalizie il gioco venisse sospeso perchè il popolo non doveva distrarsi dalle preghiere. Il popolo che non voleva rinunciare a giocare si organizzò in un altro modo: i novanta numeri del lotto furono racchiusi in un" panariello" di vimini e furono disegnati i numeri su delle cartelle, così la fantasia popolana trasformò un gioco pubblico in un gioco a carattere familiare. Il nome tombola deriva dalla forma cilindrica del pezzo di legno dove è impresso il numero e dal rumore che questo fa nel cadere sul tavolo dal panariello, che una volta aveva la forma del tombolo. Ai novanta numeri del gioco furono dati significati diversi, che variano da regione a regione; quelli della tombola napoletana sono quasi tutti allusivi e talvolta scurrili.

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LE TRADIZIONI GASTRONOMICHE PARTENOPEE

Antichissime sono le radici storiche della cucina napoletana che si fanno risalire al periodo greco-romano

arricchite nei secoli con l'influsso delle varie dominazioni della città e del territorio circostante. Naturalmente grande è stato l'apporto della creatività dei napoletani nella varietà di piatti e ricette oggi presenti nella cultu-ra culinaria partenopea. in quanto capitale del regno, la cucina di Napoli ha acquisito anche gran parte delle tradizioni culinarie dell'intera Campania, raggiungendo un giusto equilibrio tra piatti di terra (pasta, verdure, latticini) e piatti di mare (pesce, crostacei, molluschi).A seguito delle dominazioni francese e di quella spa-gnola, aumentò la separazione tra una cucina aristocratica ed una popolare. La prima, caratterizzata da piat-ti elaborati e di ispirazione internazionale, sostanziosi e preparati con ingredienti ricchi, come i timballi o il sartù di riso, mentre la seconda legata ad ingredienti della terra: cereali, legumi, verdure, come la popola-rissima pasta e fagioli.Andiamo ora alla ricerca di qualche traccia dell'influenza greco-romana nella cucina-napoletana. In diversi piatti di fattura greca compaiono pesci e molluschi, segno del consumo di piatti di ma-re in quell'epoca. In diversi affreschi pompeiani sono, infatti, rappresentati sopratutto pesci, ma anche cesti di frutta (fichi, melograni ) . Si fa risalire agli antichi romani l'uso di condire diversi piatti salati con l'uva pas-sa, come nella pizza di scarole, o le braciole al ragù. Dal latino potrebbe provenire il termine scapece, un modo tipico di preparare le zucchine con aceto e menta. Anche l'impiego del grano nella PASTIERA, dolce tipico di Pasqua, potrebbe avere un valore simbolico legato ai culti di Cerere ed ai riti pagani di fertilità cele-brati nel periodo dell'equinozio di primavera. Dal vocabolo greco στρόγγσλος, stróngylos, che significa "di for-ma tondeggiante" prendono il nome gli STRUFFOLI natalizi. Ed il nome della PIZZA, infine, deriva probabilmente da pinsa, participio passato del verbo latino pinsere, che vuol dire schiacciare. Lucullo aveva una splendida villa a Napoli, tra il monte Echia, oggi Pizzofalcone, e l'isolotto di Megaride, do-ve oggi si trova il castel dell'Ovo. La villa era circondata dal mare, e nelle sue adiacenze Lucullo vi aveva fatto costruire vasche per l'alleva-mento di pesci, in particolare murene, che erano ingredienti per i sontuosi banchetti organizzati dal padrone di casa che resero la villa celebre. Proprio da questi banchetti ebbe origine l'aggettivo luculliano, per indicare una cena deliziosa e ricca.

NAPOLI MANGIANDO

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NAPOLETANANDO

Nel '600 la fame affligge la plebe e L'ALBERO DELLA CUCCAGNA, con premi in pane, formaggio, salumi e

carne, diventa l'evento più importante delle feste che la nobiltà concede al popolo più povero: festa farina e for-ca erano gli elementi principali su cui si fondava il governo dell'epoca. Tra il Cinquecento ed il Seicento i gusti culinari cambiano con il diffondersi dei prodotti importati dall'America: pomodoro, patate, peperoni, cacao, il tacchi-no e si va via via perdendo il gusto per i piatti agrodolci. L'espansione demografica della città rende più pratico l'approvvigiona-mento di ingredienti che pos- sono essere conservarti a lungo, come la pasta, rispetto al tradizionale consumo di verdure in foglia. In questo peri-odo i napoletani, precedente- mente detti appuntomangiafoglie, divengo-no mangiamaccheroni. La pasta viene lavorata in di- verse trafilature che danno origine ai formati più popolari, come i vermicelli, iperciatelli,i pàccari, gli ziti. Nel '700 diviene sempre più importante l'influsso della cultura francese in tutt'Europa, anche nelle tendenze culi-narie. Alla corte dei Borbone arrivano i monzù(napoletanizzazione di monsieurs). Prendono nomi francesi molti piatti napoletani tipici, quali il ragù (da ragout), il gattò (da gateau), i crocchè (da croquettes).

UN PO’ DI STORIA DELLA NOSTRA CUCINA

Giacomo ne hanno immortalato piatti e invenzioni, protagonisti e carattere. Così, parlare della cu-cina napoletana (che riassume quella dell'in-tera regione) senza citare questi nomi illu-stri è quasi impossibile; cosa dire del «ragù» dopo che Marotta gli ha dedicato uno dei capitoli più memorabili dell'Oro di Napoli? Preparazione tradizio-nale, domenicale o comunque festiva, questa salsa che, in-sieme alla pizza, è all'apice della gastro-nomia partenopea, esige innanzitutto inter-minabile cottura. «Fin dalle primissime ore del mattino un te-nero vapore si conge-da dai tegami di terra-cotta in cui diventa bionda la cipolla ed esala le sue nobili es-senze il rametto di ba-silico appena colto sul davanzale». Così inizia il poemetto

in prosa che GIUSEPPE MA-ROTTA, celebre scrittore na-poletano, dedica all'impareg-giabile salsa che condirà quel-lo che è a Napoli il vero cuore di qualunque pasto: la pastasciutta. Perché il risultato sia quello che deve essere e non della comune carne col pomodoro, il ragù non deve mai essere abbandonato a se stesso in alcuna fase della cottura, per-ché «un ragù negletto cessa di essere un ragù e anzi per-de ogni possibilità di diventar-lo». Scelto con cura il pezzo di carne - né magro né grasso - che sta alla base della ricetta, lo si mette nel tegame sorve-gliando dapprima la rosolatura e poi spalmando il primo stra-to di conserva. Ne seguono altri «a scientifici intervalli», entrano quindi in gioco il fuoco e il cucchiaio: lentissimo il primo, esperto il secondo, sensibile a capire il momento in cui intervenire. E finalmente ecco la zuppiera fumante pronta, sulla tavola e il ragù. Un rito da condividere con gli altri specialmente di domenica.

LA REGINA DELLE TAVOLE ITALIANE : LA PASTA

Il primo pastificio indu-

striale viene inaugurato da Ferdinando II di Borbone nel 1833, e la produzione della pasta diventa importante a Portici, Torre del Gre-co, Torre Annunziata e Gragnano, zone dove il clima favorisce l'essic-cazione naturale della pasta. Nella Cucina compare la ricetta del tradiziona-le ragù napoletano. Matilde Serao ci forni-sce le prime informa-zioni sulle ricette della classe napoletana più povera.Nel suo “Ventre di Napoli “descrive al-cune ricette popolari, tra le quali la zuppa di maruzze e la zuppa di freselle con il brodo di polpo. Infatti, la cucina napoletana, così sola-re, fantasiosa, spetta-colare,è entrata anche lei nella letteratura: scrittori come Matilde Serao (appena citata), Giuseppe Marotta, E-duardo De Filippo, po-eti come Salvatore Di

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Napoli con il suo fascino ammaliante, intreccia il racconto delle sue origini con la storia omerica di Ulisse e le Sirene. Gli scogli delle Sirene, dei quali parla l‟Odissea, sarebbero infatti le isolet-te di fronte a Positano, Li Galli La maga Circe, cono-scendo la grande curiosi-tà di Ulisse, aveva messo in guardia l‟eroe che, passando davanti li Galli si era otturato le orecchie con la cera per non rima-

nere ammaliato dal canto delle Sirene. Costoro, per non essere riuscite ad incantare nes-suno, si uccisero, precipi-tandosi dall‟alto delle roc-ce. Una di queste fu trasci-nata tra gli scogli di Me-garide dove fu trovata dagli abitanti del villaggio che, dopo averla sepolta, la venerarono come una dea. Era PARTENOPE. Da lei prende nome una delle città più belle del mondo: Napoli.

NAPOLI: LEGGENDE E MITI

O MUNACIELLO era il folletto domestico dispetto-so e generoso, amato e temuto, allegro e vendica-tivo che abitava come un intruso, le vecchie case di Napoli. Alto poco più di mezzo metro, tondo, pan-ciuto, ma agilissimo, vesti-to da frate o da prete, in testa una scazzetta, cioè uno zucchetto il cui colore variava a seconda delle intenzioni dello spiritello verso chi lo vedeva: se era rosso annunciava fortuna e ricchezza, ma se era nero erano guai!

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NAPOLETANANDO Castelldell’Ovo Ancora un’altra leggenda lega Napoli ad uno dei protagonisti dell’antichità. E’il grande poeta romano Virgilio che per molto tem-po aveva soggiornato nel-la città, attratto dal suo clima mite. Qualche seco-lo dopo, nel Medioevo, molti legarono la figura del grande poeta romano ad un mago che, tornando a Napoli e vedendo in co-struzione un grande ca-stello sull’isoletta di Mega-ride, decise di proteggerlo con un incantesimo: prese il primo uovo deposto da una gallina, lo mise in una caraffa di vetro dentro una gabbia di ferro e la sospe-se ad una trave in una stanzetta segreta. Il ca-stello da allora fu detto DELL’OVO e sarebbe du-rato finchè l’uovo fosse rimasto intatto.

LA BELLA ‘MBRIANA era il genio, l‟anima della casa anzi la personificazione della casa, la fata del focolare. Viene im-maginata come una giovane donna dal viso dolce, sereno e solare, come del resto dice il suo nome che significa meridia-na, bella come l‟ora più lumino-sa del giorno. E‟ una presenza benevola, ma temuta a cui è collegato il geco, l‟animaletto simile alla lucertola, che i napo-letani si guardano bene dal cacciare via, perché è lui la bel-la „mbriana! Nei momenti di difficoltà basta dire “Bella „mbriana, scetate!” e lei porterà fortuna alla casa!

Munaciello con scazzetta rossa: fortuna e ricchezza!

Corri, tira… gol !!!! Un‟unica voce, un unico palpito che batte nel cuore dei napoleta-ni. Ogni domenica sono queste le parole che si rincorrono tra le migliaia di tifosi che accompagna-no la loro squadra, il Napoli. Proprio così, perché questa è il cuore pulsante della città, del suo popolo. Basta affacciarsi nel mitico stadio San Paolo durante gli incontri domenicali per poter capire il particolare rapporto che lega la città e la sua squadra, un rapporto fatto di passione e an-che di sofferenza…

E già, perché questa squadra ha spesso ondeggiato tra la polvere e gli allori,tra le sconfitte e le vittorie. Due gli scudetti conquistati, qual-che Coppa Italia e una Coppa Ue-fa nel suo Palmares, ma sicura-mente l‟unica squadra che ha visto giocare tra le sue fila il più grande calciatore di tutti i tempi, il numero 10 per antonomasia: Maradona. Molti sono gli aneddoti legati a lui e alla sua permanenza a Napoli, al-cuni edificanti, altri meno, ma ciò non diminuisce il valore di questo grandissimo asso del pallone che ha impresso a lettere cubitali il suo

nome in quello della storia calcistica di Napoli, storia che ha le sue origini nel lontano 1926 quando fu fondato il club. Entrare nei dettagli divente-rebbe un po‟ noioso per voi piccoli lettori, per cui percor-reremo un po‟ di storia calci-stica citando solo qualche allenatore del club e il rappor-to straordinario che lega la squadra al suo pubblico. Po-chi elementi, solo il necessa-rio per ricordare il cuore blu della città che ama la pizza.

suo Pubblico. Il tifoso napoletano se-gue la sua squadra con il suo colore e calore. Come dimenticare i suoi striscioni, mai volgari e sempre umoristici, talvol-ta ai limiti del sarcastico, come quella scritta com-parsa all‟indomani del primo scudetto sui muri del cimitero di Poggiorea-le a firma di un tifoso par-tenopeo “Che vi siete persi!!”. Di lì a qualche giorno la

Anime della squadra so-no state i mister, veri tra-scinatori, figure carisma-tiche. Da Pesaola a Vinicio, da Bianchi a Bigon fino al nostro Mazzarri sportivi che hanno segnato il per-corso calcistico della no-stra squadra che, quando gioca, è l‟unica ad avere in campo non 11, bensì 12 giocatori!! Undici rappresentano il corpo, il dodicesimo è l‟anima della squadra: il

pronta risposta, sempre anonima, “ E chi ve l‟ha detto?”. Episodi emblematici di una passione e di un tra-sporto caloroso tipici di un popolo con un‟unica fede calcistica nel cuore. Non ci resta che aggiunge-re: FORZA NAPOLI. Non semplice tifo, ma una vera e propria passione che non conosce distinzioni di sesso o di età, perché a Napoli l‟importante è l‟essere di sangue blu.

NAPOLI TRA TIFO E SPORT

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Napule è

Napule è mille culure

Napule è mille paure Napule

è a voce de' criature

che saglie chianu chianu e

tu sai ca nun si sulo.

Napule è nu sole amaro

Napule è addore 'e mare

Napule è 'na carta sporca

e nisciuno se ne importa e

ognuno aspetta a' ciorta.

Napule è 'na cammenata

inte viche miezo all'ato

Napule è tutto 'nu suonno

e 'a sape tutti o' munno ma

nun sanno a verità.

Napule è mille culure

(Napule è mille paure)

Napule è 'nu sole amaro

(Napule è addore e' mare)

Napule è 'na carta sporca

(e nisciuno se ne importa)

Napule è 'na camminata

(inte viche miezo all'ato)

Napule è tutto nu suonno

(e a' sape tutti o' munno)

Napoli …..concludendo

Napoli è questo e tanto altro anco-ra, le sue chiese, i suoi palazzi, i suoi monumenti, la sua cultura, l‟ arte dei suoi arti-giani, gli odori dei suoi vicoli, i colori delle sue bellez-ze naturali, le at-mosfere delle su-e strade, il calore del suo popolo, i suoni della sua lingua e tanto al-tro ancora ed è anche ciò che meglio dice il ce-lebre testo di una canzone, le cui parole descrivo-no una fotografia in musica della città