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SETTEMBRE 2009 Neurologia Senza Confini QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO
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Page 1: Neurologia Senza Confinidoc.mediaplanet.com/all_projects/3736.pdfcervello è costituito infatti da oltre 100 miliardi di cellule specializzate, i neuroni, ognuna delle quali si connette

SETTEMBRE 2009

NeurologiaSenza Confini

QUESTO SUPPLEMENTO È STATO REALIZZATO DA MEDIAPLANET. IL SOLE 24 ORE NON HA PARTECIPATO ALLA SUA REALIZZAZIONE E NON HA RESPONSABILITÁ PER IL SUO CONTENUTO

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NEUROLOGIA - UNA PUBBLICAZIONE DI MEDIAPLANETProject Manager: Giulia Navarra, Mediaplanet 02-36269429Production Manager: Gianluca Cò, Mediaplanet 02-36269443Produzione/Layout: Daniela Borraccino,Mediaplanet [email protected]: Henry BorziStampa: Il Sole 24 OreDistribuzione: Il Sole 24 OreFoto: istockphoto.com

Le nuove frontiere della NeurologiaLo studio delle malattie del sistema nervoso ha una storia antica. Basti ad esempio ricordare che sono giunte fi no a noi descrizioni dei traumi cranici risalenti agli antichi Egizi, circa 1600 anni prima della nascita di Cristo. Per secoli, tuttavia, il miglioramento delle conoscenze sulla organizzazione e sul funzionamento del cervello non si è tradotto in vantaggi apprezzabili per chi si ammalava di malattie neurologiche e, infatti, solo nel novecento sono comparse le prime cure davvero effi caci per due dei più frequenti disordini del sistema nervoso: l’epilessia e la malattia di Parkinson. Oggi, molte malattie neurologiche sono meglio comprese e curate, come rifl esso dei progressi compiuti negli ultimi 50 anni dalla ricerca clinica e di laboratorio. Tuttavia, gli strumenti terapeutici nelle mani dei neurologi possono apparire ancora limitati se si confrontano con quelli a disposizione per la cura ad esempio delle malattie cardiologiche ed ematologiche. Tale limite discende direttamente dalla enorme complessità strutturale e funzionale del sistema nervoso e, di conseguenza, dalla diffi coltà intrinseca a correggere un processo patologico inevitabilmente anch’esso complesso.La complessità del sistema nervoso non ha equivalenti in altri organi o apparati. Il nostro

cervello è costituito infatti da oltre 100 miliardi di cellule specializzate, i neuroni, ognuna delle quali si connette attraverso 100 mila contatti con le altre cellule nervose. L’attività coordinata dei neuroni è alla base di funzioni relativamente semplici, come il movimento e la sensibilità, ma anche di funzioni meno semplici, come il pensiero e le emozioni. Le connessioni tra i diversi neuroni prendono il nome di sinapsi, strutture articolate che per tutta la durata della vita di un individuo modifi cano il proprio funzionamento in base alle esperienze vissute ed eventualmente in seguito a processi patologici. Alcune forme di epilessia, ad esempio, sono causate da un abnorme aumento della effi cienza della trasmissione sinaptica in specifi che aree del cervello, mentre nella malattia di Alzheimer, ancor prima dei neuroni stessi, viene perduta la capacità delle sinapsi di connettere appropriatamente le cellule nervose di aree cerebrali importanti per l’apprendimento e la memoria. Oltre ai neuroni, il cervello si compone di un numero ancora maggiore di cellule cosiddette gliali, la cui importanza è evidente se si considera che il rapporto tra cellule gliali e cellule nervose aumenta progressivamente man mano che si risale la scala fi logenetica, dagli organismi invertebrati fi no all’uomo.

Siamo oggi alla vigilia di una autentica rivoluzione per la terapia delle malattie neurologiche. Non solo, infatti, aumentano di anno in anno le possibilità di cura per le persone colpite da sclerosi multipla, epilessia, ictus e malattia di Alzheimer, ma è sempre più vicino il momento in cui troveranno posto nella pratica clinica cure ancora sperimentali, quali quelle con cellule staminali o la terapia genica.A questo proposito, la recente identifi cazione dei geni responsabili di malattie degenerative del sistema nervoso centrale come la malattia di Huntington, le paraparesi familiari e le atassie, oltre che di malattie del sistema nervoso periferico e dei muscoli, come certe polineuropatie e le distrofi e muscolari, è stato un primo, fondamentale passo verso la messa a punto di trattamenti che si propongono di sostituire i geni patologici con quelli normali inseriti in specifi ci vettori.

Prof. Giorgio BernardiDirettore della Clinica Neurologica dell’Università Tor Vergata di Roma

e Presidente dellaSocietà Italiana di Neurologia

2 Neurologia Senza Confini

SOMMARIO- La Società Italiana di Neurologia celebrerà il XL Congresso a Padova dal 21 al 25 Novembre 2009............................................... 3- LA SCLEROSI MULTIPLA.................................................................. 3- Natalizumab........................................................................................ 3- Betaferon 1-B, la soluzione per il trattamento precoce della SM........ 4-LA MALATTIA DI ALZHEIMER: le prospettive future della ricerca........................................................ 5- Importanza della diagnosi precoce nella malattia di Alzheimer e del ruolo svolto dal medico di medicina generale..................................... 5- Fattori di Rischio................................................................................. 5- L’epilessia fa ancora paura?............................................................... 6- Il Franchise EISAI in epilessia............................................................ 6- Nuove tecnologie per la diagnosi del SNC......................................... 7- L’impegno di Siemens nel Neuroimaging........................................... 7- La depressione e le malattie neurologiche......................................... 8- Attualità e prospettive nella terapia dell’emicrania.............................. 8- L’ictus cerebrale.................................................................................. 9- Presente e futuro nel trattamento dei tumori del sistema nervoso..... 9- Un esame del cuore aiuta a diagnosticare la malattia del Parkinson. 9- LE MALATTIE NEUROLOGICHE RARE............................................ 10- Sclerosi Laterale Amiotrofi ca............................................................. 10- La Malattia di Fabry............................................................................ 10- L’idrocefalo normoteso....................................................................... 11- Le distrofi e muscolari.......................................................................... 11

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Al fine di perseguire tali scopi, definiti nello Statuto, la SIN promuove l’istituzione di Sezioni Regionali con riunioni fina-lizzate alla promozione delle attività di aggiornamento e for-mazione nonché di attività scientifiche, ha una propria Rivi-sta, organo ufficiale della Società, nonché un proprio sito SIN; in particolare, la SIN organizza ogni anno il Congresso nazio-nale che vede la partecipazione di circa 2500-3000 soci, cioè in pratica la larghissima maggioranza dei soci aderenti alla SIN. Il Congresso di Padova si articolerà, come solitamente viene fatto, in diversi momenti, cioè Letture Magistrali, Corsi di Aggiornamento, Riunioni dei Gruppi di studio e delle As-sociazioni autonome, Conferenze didattiche, Simposi e Joint Meetings organizzati autonomamente o in collaborazione con altre Società scientifiche e Industrie farmaceutiche.Da segnalare altresì l’incontro con le Associazioni laiche e in particolare nella prima giornata la riunione con la Federazio-ne Italiana Associazioni Neurologiche sul tema: “Ripensare la certificazione di invalidità, rivedere la riabilitazione in Neu-rologia” nonché la giornata infermieristica sul tema: “L’assi-stenza infermieristica e la cura di medio e lungo termine in Neurologia”. I Corsi di Aggiornamento saranno tre, il primo sul “Ruolo della glia nella patologia neurologica” organizzato dai Professori G. Bernardi (Roma) e dal sottoscritto, il secondo sul tema dei “Tremori” organizzato dai Professori A. Quattro-ne (Catanzaro) e G.U. Corsini (Pisa) e il terzo sulle “Urgenze

neurologiche non-vascolari” organizzato dai Professori F.A. De Falco (Napoli) e R. Sterzi (Milano). I Gruppi di studio e i Simposi affronteranno varie e attuali tematiche delle neu-roscienze cliniche che per ragioni di spazio non è possibile elencare. Come è ampiamente noto, le neuroscienze hanno compiuto progressi di grande rilievo negli ultimi 20 anni a livello della diagnostica soprattutto nelle tecniche delle im-magini funzionali, cioè a dire la visualizzazione dell’attività del cervello tanto nel funzionamento normale, quale ad esempio fare dei movimenti, pronunciare delle parole, ecc., quanto in condizioni di patologia; noi oggi “vediamo” le zone cerebrali coinvolte nei processi del vivere quotidiano o in condizioni di malattia attraverso tecnologie sofisticate come la Risonanza Magnetica Nucleare o la Tomografia ad emissione di Positroni. Accanto alla diagnostica sono stati compiuti passi avanti molto significativi anche nella terapia; quali esempi vanno citate le novità nel campo della malattia di Parkinson, l’approccio nuovo, anche se ancora in fase di ri-cerca, nel campo dei disturbi della memoria e della demenza, nella sclerosi multipla, nell’epilessia, nell’ictus ischemico, solo per citare alcune delle situazioni più rilevanti.Va altresì ricordato il grande impulso che è stato dato negli ultimi anni alla riabilitazione neurologica, tanto dei disturbi motori che di quelli cognitivi, campo che è in grande espan-sione e che vedrà un Simposio sul tema dell’approccio far-

macologico alla neuro-riabilitazione, con particolare riferi-mento al recupero dopo insulti cerebrovascolari.In conclusione, le neuroscienze cliniche sono in un momento di grande crescita nel nostro Paese, come risulta anche dalle classifiche internazionali della produzione scientifica, classifi-che che vedono l’Italia al terzo posto, dopo USA e Germania, e sono certo che il 40° Congresso darà un’ulteriore testimo-nianza di questa straordinaria vitalità.

La SIN, che ha ormai un secolo di vita, ha come fini istituzionali il miglioramento dell’attività professionale nell’assistenza ai pazienti affetti da malattie del Sistema Nervoso, le attività di aggiornamento professionale e di formazione permanente, la collaborazione con Università, Ospedali e Enti di Ricerca nella promozione e svolgimento di attività scientifiche, l’elaborazione di linee guida per il trattamento delle malattie del Sistema Nervoso, nonché la collaborazione interdisciplinare con altri Enti e Società e Organizzazione Scientifiche.

La Società Italiana di Neurologia celebrerà il XL Congresso a Padova dal 21 al 25 novembre 2009

Leontino Battistin Professore Ordinario Università

degli studi di Padova Facolta di Medicina e Chirurgia

Dip. di Neuroscienze

La Sclerosi Multipla è una malattia infiammatoria che colpisce prevalentemente la sostanza bianca del sistema nervoso centrale, che è costituita da assoni, cioè fibre nervose ricoperte da una guaina fatta di mielina (una sostanza isolante) che ha la funzione sia di proteggere le fibre stesse sia di accelerare notevolmente la velocità di conduzione degli impulsi nervosi. La malattia ha una base autoimmune, cioè è provocata da un attacco del sistema immunitario contro costituenti della guaina mielinica. Gli attacchi si susseguono ad intervalli assai variabili e provocano aree di perdita della mielina (demielinizzazione), perdita di assoni (degenerazione assona-le) e, tra un attacco e l’altro, nelle fasi iniziali della malattia, un successivo processo riparativo più o meno efficace, che comporta riformazione di mielina e sclerosi del tessuto colpito. Da qui il nome di Sclerosi a Placche o di Sclerosi Multipla.

La causa prima della malattia è ignota, ma sono coinvolti fattori genetici e ambien-tali che interagiscono fra loro in modo complesso.Tra i fattori ambientali è recentemente emerso il ruolo negativo del fumo e della carenza di vitamina D che associata a bassi livelli di esposizione solare, indispensa-bile per la sua trasformazione in forma attiva, è risultata un fattore di rischio per la malattia. Un altro tipo di fattore ambientale è connesso a infezioni che potrebbero innescare la reazione autoimmune. L’ultimo candidato è il virus di Epstein Barr, an-che detto il “virus del bacio”, che un paio d’anni fa un gruppo di ricercatori italiani avevano individuato nel cervello di alcuni Pazienti, dato però non confermato da studi successivi. La possibilità di leggere l’intero genoma umano ha consentito di individuare alcuni geni che comportano un aumentato rischio di malattia, geni che sono quasi esclusivamente regolatori di funzioni immunitarie e che però aprono la possibilità alla messa a punto di nuove terapie.

La Sclerosi Multipla conta circa 50.000 Pazienti nel nostro Paese, con una preva-lenza femminile. La frequenza della malattia risulta in crescita negli ultimi decenni, probabilmente perché le migliorate condizione di igiene comportano un maggior rischio di malattie autoimmuni.La malattia esordisce abitualmente nella terza decade di vita, ma il primo attacco può comparire anche prima dell’adolescenza e dopo i 50 anni. Nel 90% dei casi la malattia esordisce con un attacco che comporta uno o più dei seguenti disturbi: vertigini, alterazioni della vista e dell’equilibrio, addormentamenti di una parte del corpo, difficoltà di movimento.La malattia deve essere trattata sin dall’esordio con le molte terapie già disponibili (Interferone beta, Glatiramer Acetato, Mitoxantrone, Natalizumab) e con le nuove

terapie in arrivo (BG-12, Cladribina, Fingolimod, Teri-flunomide, Laquinimod). Con l’arrivo di Natalizumab, e in futuro con i nuovi farmaci in sviluppo si è aperta la possibilità di controllare l’evoluzione della malattia nella maggior parte dei Pazienti.

LA SCLEROSI MULTIPLA Natalizumabuna nuova prospettiva terapeuticaper la Sclerosi MultiplaNella Sclerosi Multipla la fase principale dell’aggressione autoimmune contro la guaina mielinica richiede che i linfociti attivati (cellule del Sistema Immunitario) entrino nel Sistema Nervoso Centrale. L’ingresso avviene a livello dell’apparato circolatorio dove le molecole di adesione espresse sulla superficie dei linfociti attivati interagiscono con i rispettivi ligandi, presenti nell’endotelio vascolare, per cui i linfociti si “incollano” alla parete dei vasi sanguigni e poi la oltrepassano. Natalizumab (Tysabri) è un anticorpo monoclonale di sintesi che si lega alle molecole di adesione, impedendo al linfocita attivato di aderire all’endotelio vascolare e facendolo scivolare via nel torrente ematico. La notevole protezione che il farmaco esercita sul tessuto nervoso è documentata dalla riduzione di circa il 90% del numero di nuove lesioni che si vanno formando nel cervello e del 68% del numero di attacchi, come evidenziato da sperimentazioni cliniche multicentriche alle quali hanno partecipato anche 5 centri italiani. Il farmaco offre anche il vantaggio di una somministrazione mensile per via endovenosa, che libera dalle iniezioni intramuscolari o sottocutanee con frequenza giornaliera o multisettimanale.Un recente studio compiuto da tre centri italiani (San Raffaele di Milano, Ospedale di Gallarate e Ospedale San Raffaele Giglio di Cefalù) ne ha confermato l’elevata efficacia, evidenziando una riduzione della frequenza di ricadute del 88% rispetto a quella rilevata nell’anno precedente e un 74% di Pazienti liberi da recidive a 18 mesi di terapia. Lo studio allo stesso tempo ha ancora una volta documentato una buona tollerabilità del farmaco con un 7% di reazioni allergiche, nella maggior parte dei casi al secondo o terzo trattamento e associate alla presenza di anticorpi anti Natalizumab. Il principale evento avverso è costituito dal rischio di leucoencefalite progressiva multifocale (PML), una complicanza osservata in Pazienti immunodepressi. I primi due casi occorsi nelle sperimentazioni cliniche avevano portato a una temporanea sospensione del trattamento, pochi mesi dopo la sua immissione in commercio. Dalla ripresa della commercializzazione del farmaco, circa 50 mila Pazienti sono in cura con Natalizumab a livello mondiale, circa 10.000 dei quali per più di due anni, mentre i nuovi casi di PML segnalati sono stati soltanto undici. Il trattamento viene riservato a Pazienti che non hanno risposte alle terapie immunomodulanti o a casi con decorsi particolarmente aggressivi. Natalizumab è considerato un farmaco molto potente, d’altra parte va considerato che per combattere una malattia potenzialmente grave come la Sclerosi Multipla, vanno costantemente considerati anche i rischi di un trattamento non adeguato. Un vasto e complesso programma di sorveglianza dei Pazienti in trattamento con Natalizumab consentirà a breve di avere un quadro più preciso del rapporto benefici/rischi del farmaco, ma è indubbio che esso costituisce un progresso rilevante nella terapia della malattia.

Giancarlo ComiDirettore Dipartimento Neurologico e INSPE, Università Vita Salute San Raffaele, Milano

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Gentile Prof.ssa Trojano, esistono dei vantaggi a lungo termine del trattamento precoce?Una serie di evidenze scientifiche, negli ultimi anni, hanno confermato l’importanza di un trattamento pre-coce con immunomodulanti nella Sclerosi Multipla. Esiste una correlazione tra precocità del trattamento ed il suo effetto sulle componenti infiammatoria e neu-rodegenerativa della malattia.Risultati di studi clinici di fase III, su pazienti al loro pri-mo episodio clinico di malattia, ossia quando ancora non esisteva una diagnosi di certezza clinica, come lo studio Benefit, in cui è stato utilizzato l’interferone beta 1b (Betaferon®), hanno dimostrato chiaramen-te che l’uso dell’interferone beta in questa prima fase della malattia porta a ridurre il rischio di una seconda ricaduta. In aggiunta lo studio Benefit, meglio disegna-to rispetto agli altri, poiché realizzato con l’intento di osservare l’effetto del farmaco interferone beta 1b nel lungo termine, è stato in grado di dimostrare l’azione di rallentamento del farmaco sulla progressione della disabilità. Questo risultato è di particolare importanza in malattie croniche come la SM di durata anche tren-tennale. Il Benefit ha così rivelato che effettivamente il rischio di progressione della disabilità è notevolmen-te ridotto in pazienti trattati precocemente rispetto ai non trattati o trattati tardivamente. In sostanza l’utiliz-zo del farmaco a base di interferone aiuta a rallentare e quindi allungare il tempo di raggiungimento di gravi disabilità motorie e cognitive. I risultati dello studio Be-nefit sono stati confermati in uno studio multicentrico italiano osservazionale condotto su un’ampia popola-zione di 2570 pazienti con SM e coordinato dal Centro SM di Bari (Trojano M et al.) pubblicato sulla prestigiosa rivista americana Annals of Neurology nel 2009.

Quali sono gli effetti del trattamento precoce sulle funzioni cognitive di pazienti SM in fase precoce di malattia?Il deterioramento delle funzioni cognitive, presente nel 60-70% dei pazienti e spesso già dall’esordio della ma-lattia, ha forti ricadute sulla qualità di vita dei pazienti nella vita sociale oltre che in ambito lavorativo. Nello studio Benefit si è andati a guardare anche l’effetto dell’interferone beta 1b (Betaferon®) su questo aspet-to. È emerso infatti che nei pazienti trattati, già dal loro primo episodio clinico di malattia, con interferone beta 1b, rispetto a pazienti non trattati, esiste un risultato positivo del farmaco nel rallentare e migliorare i distur-bi cognitivi soprattutto di memoria e attenzione.

Gentile Prof. Gallo, quali sono le nuove tendenze nel trattamento della Sclerosi Multipla?Le nuove tendenze sono focalizzate nell’adottare trattamenti immunomodulatori in fase precoce, ossia già dopo il primo episodio clinico durante il quale, attraverso la risonanza magnetica, si evidenzia la malattia che sta evolvendo.Grazie all’utilizzo degli interferoni sono stati fatti studi clinici importanti su pazienti con sclerosi multipla all’esordio clinico, in particolare lo studio Benefit esteso a 5 anni, è risultato il più incisivo poiché svolto su un ampio campione di pazienti con una valida impostazione, che ha chiaramente dimostrato la validità del trattamento precoce della SM utilizzando l’interferone beta 1-b (Betaferon®), in grado di ridurre siginificativamante, se confrontato con l’utilizzo di un placebo, l’evoluzione della malattia, le ricadute, e la progressione della disabilità già nell’arco di tre anni.Oggi esistono dati chiari, forniti dalla letteratura scientifica, atti a dimostrare ampiamente l’efficacia dell’adozione di una cura precoce, prendendo in considerazione anche parametri come la qualità della vita o i disturbi cognitivi, dimostrando, con evidenza, un impatto estremamente favorevole sull’evoluzione clinica della malattia.

Esiste una spiegazione razionale che giustifichi il trattamento precoce?Oggi sappiamo che la SM ha due componenti fondamentali, ossia quella infiammatoria e quella neurodegenerativa che sicuramente hanno un legame, anche se non assoluto.Esiste cioè una componente neurodegenerativa che probabilmente non è legata all’infiammazione ma evolve, in parte, autonomamente, ed esiste anche una componente di danno neuronale che deriva dall’infiammazione, dato che, anche con gli studi di istologia, si è verificato che laddove esista molta infiammazione c’è anche neurodegenerazione. In sostanza è possibile ridurre almeno una parte dei meccanismi neurodegenerativi controllando il fenomeno infiammatorio in modo farmacologico.Il repertorio farmacologico per la SM nelle fasi iniziali della malattia si avvale degli interferoni beta e glatiramer acetato, e in casi eccezionali, in cui non risponda nessun tipo di terapia farmacologica, è possibile adottare anche terapie immunosopressorie.

Quali sono le strategie più indicate per garantire l’aderenza al trattamento della SM?La SM richiede lunghi periodi di trattamento a base di farmaci di prima linea (sostanzialmente interfe-roni e glatiramer acetato), con importanti effetti collaterali, che interferiscono, con la qualità di vita del paziente, il quale, proprio per questa ragione, è portato frequentemente, all’abbandono della terapia. Per evitare ciò il Centro clinico in collabo-razione con partner esterni ha attivato da diversi anni programmi di Assistenza Infermieristica Do-miciliare, con lo scopo di spiegare al paziente e ai suoi familiari, nei dettagli, il tipo di trattamento, le caratteristiche del farmaco che andremo a sommi-nistrare, cosa succede all’interno del sistema nervo-so centrale; in particolare, è importante far capire al paziente che, anche qualora si assista a un migliora-mento delle sue condizioni, questi farmaci restano comunque importantissimi al fine di evitare even-tuali ricadute o, per lo meno, di diminuirne la gravi-tà: è necessario, infatti, che il paziente sia consape-vole che la SM è una malattia sempre attiva, anche in assenza di sintomi. Alle persone sottoposte a trattamento, indichiamo anche il numero verde del servizio BETAPLUS, grazie al quale poter contatta-re direttamente un infermiere che si reca gratuita-mente presso il domicilio del paziente e lo affianca fin dal primo mese di terapia per migliorare la loro qualità di vita. Successivamente, pur in presenza di un contenimento degli effetti collaterali, i pazienti vengono costantemente seguiti, monitorandone l’aderenza al trattamento, i risultati conseguiti e la soddisfazione nei confronti del farmaco utilizzato. Tuttavia, nonostante ciò, si verificano comunque dei casi di abbandono della terapia, dovuti soprat-tutto a un’intolleranza psicologica nei confronti del trattamento.

La Sardegna è una regione particolarmente col-pita dalla SM. Qual è la situazione al momento?La Sardegna rappresenta un caso a sé stante nel pa-norama italiano: in questa regione l’incidenza di SM è tra le più alte al mondo, in conseguenza, in parte, del particolare assetto genetico della popolazione sarda, prona a una serie di malattie autoimmuni tra cui SM e diabete. Il Centro Sclerosi Multipla di Cagliari è una clinica totalmente dedicata agli am-malati di SM, sia dal punto di vista della cura che da quello della ricerca e sperimentazione. La cli-nica è strutturata con una parte ambulatoriale, il day hospital, l’elettrofisiologia, la riabilitazione e i laboratori di neuroimmunologia e neuro genetica. Dal punto di vista farmacologico, utilizziamo tutti le soluzioni disponibili e, inoltre, partecipiamo a sperimentazioni internazionali; tutto ciò si traduce in un’attività completamente dedicata alla patolo-gia, con il risultato di garantire ai nostri pazienti, un relativo benessere e una vita normale. A oggi, co-munque, non disponendo di una terapia definitiva, l’unica strategia praticabile è quella del trattamen-to precoce: più è tempestivo l’intervento, maggiori sono le probabilità di evitare che si verifichino lesio-ni tali da determinare la disabilità del paziente.

Prof. Paolo GalloDirettore Centro Regionale per la SM dell’Università degli Studi di Padova

Prof.sa Maria TrojanoUniversità degli Studi di Bari

Dipartimento di Scienze Neu-rologiche e Psichiatriche

Prof.sa Maria Giovanna MarrosuAz. Ospedaliera Binaghi - Cagliari

Direttore Centro SM regionaleProf ordinario

Oggi le persone affette da Sclerosi Mutipla hanno a disposizione farmaci per ridurre significativamente l’evoluzione della malattia e strategie di supporto per migliorare la loro qualità di vita.In particolare con lo studio BENEFIT si è rilevata una notevole riduzione del rischio della progressione della disabilità se trattata precocemente con farmaci immunomodulanti quali il Betaferon®.Ne parliamo in un’intervista congiunta con tre luminari da anni dediti alla ricerca in rappresentanza delle realtà di eccellenza italiane.

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Nuove evidenze nella SM: agire subito con una terapia a 360°Neurologia Senza Confini

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LA MALATTIA DI ALZHEIMER le prospettive future della ricerca

Fattori di rischio

Importanza della diagnosi precoce nella malattia diAlzheimer e del ruolo svolto dalmedico di medicina generaleLa demenza colpisce circa il 10 % degli italia-ni con più di 65 anni e la metà sono affetti da malattia di Alzheimer. L’Italia è il paese più vecchio della Unione Europea , il 20 %, pari a 12 milioni di residenti ha più di 65 anni (dati ISTAT 2008) e anche i grandi vecchi (gli ultra ottuagenari) sono già oltre 3 milioni ed in costante aumento. Quasi il 30 % degli ultra ottantenni è affetto da demenza.Questi numeri, da epidemia, sono destinati ad un significativo aumento nei prossimi 10 anni: infatti si stanno affacciando all’età an-ziana i cosi detti baby boomers, ovverosia i nati negli anni 50 che porteranno la preva-lenza della demenza dal milione attuale ad oltre 2 milioni di affetti. Attualmente ogni anno sono previste circa 150.000 nuove dia-gnosi, che diverranno circa 250.000 fra 10 anni.

Chi può fare tutte queste diagnosi e chi può seguire tutti questi malati se non il medico di base?Anche le Linee Guida per la Diagnosi della Malattia di Alzheimer della Società Italiana di Neurologia e SINDEM indicano il medico

di base come la figura professionale preva-lentemente coinvolta nella fase di identifica-zione sia del paziente con demenza che delle principali cause che possono indurre un de-ficit cognitivo. Il medico di base è il sanitario che meglio di chiunque altro può cogliere la comparsa di quei cambiamenti che possono far sospettare l’esordio di un disturbo cogni-tivo. Gli specialisti visitano di solito i pazienti quando la sintomatologia è già più avanzata e tale da suggerire ad un familiare o talvolta al paziente stesso la necessità di un consulto. Il medico di base possiede le competenze per la valutazione clinica e cognitiva neces-saria per la definizione della diagnosi di de-menza e per la caratterizzazione del tipo di demenza. Non è ragionevole pensare che una patologia cosi comune da interessare il 10% degli ultra 65enni sia di pertinenza esclusivamente specialistica. Lo specialista è fondamentale per i casi complessi, multifat-toriali e per le forme rare.Al medico di base dovrebbe essere anche demandata la prescrizione e la gestione delle terapie già possibili per la malattia di Alzheimer: i farmaci registrati per questa for-ma sono in uso da oltre 10 anni, liberamente

prescrivibili dai medici di base in tutta Euro-pa e con modesti effetti collaterali.Questi farmaci e quelli attualmente in fase di sperimentazione devono essere prescritti precocemente: e questo è un ulteriore moti-vo per cui è necessario il tempestivo impor-tante ruolo del medico di base nell’indivi-duazione della demenza e nella diagnosi del tipo, quale la malattia di Alzheimer. Il medico di base seguendo regolarmente il paziente e conoscendone in genere anche i familiari può valutare l’effetto dei farmaci, la even-tuale comparsa di nuovi sintomi, quali le alterazioni comportamentali e psicologiche, e valutare tempestivamente la necessità di modifiche o integrazioni alla terapia.Gli specialisti hanno un ruolo fondamentale per la caratterizzazione di particolari alte-razioni neurocognitive o per indagini com-plesse, quali per esempio la rachicentesi o la PET, che siano necessarie alla diagnosi di casi complicati o con anomala evoluzione. Alcuni trattamenti, in fase avanzata di sperimenta-zione, quali le terapie biologiche potranno richiedere interventi in ambienti specialistici, ma dovrebbero comunque essere sempre concertati con il medico di base che segue

il malato.La malattia di Alzheimer e le demenze in ge-nere, per la loro alta frequenza nella popola-zione, per i livelli elevati e diversi di esigenze che i pazienti hanno nel corso della malattia, rappresentano un esempio della necessità di integrazione fra medico di base, specialisti e servizi, tutti necessari alla cura dei pazienti.

A oggi cos’è possibile fare per il paziente affetto da Al-zheimer?Le novità a oggi disponibili riguardano la diagnosi precoce e il trattamento precoce, con nuove modalità di somministrazio-ne, come l’utilizzo di cerotti, che permettono di raggiungere dosaggi elevati, perché oltre ad avere un effetto sintomatico probabilmente hanno anche un effetto neuroprotettivo. Per il futuro si punterà sicuramente sulla terapia immunitaria. È possibile inoltre attivare tutta una serie di trattamenti che non sono solo farmacologici ma di mera stimolazione cogni-tiva ossia degli esercizi di stimolazione che tendono ad avere un’efficacia non indifferente. È ampliamente dimostrato che avere un cervello in buono stato permette di avere maggiore resistenza, grazie all’aumento delle connessioni tra le varie cellule cerebrali, e prevenire gli attacchi di proteine tossiche.

Quali le prospettive future della ricerca?Due sono linee su cui si sta muovendo la ricerca e l’Italia non è certamente indietro, come qualità e quantità. Molti paesi europei, soprattutto la Francia ma anche la Germania, hanno messo a punto un programma di ricerca molto impegnativo e anche con grandi stanziamenti per le malattie legate all’in-vecchiamento, in particolare per la malattia dell’Alzheimer. In Italia tutto questo ancora non è ancora avvenuto anche se ci sono ovviamente molte pressioni da parte dei familiari, che rappresentano un grande numero di persone essendo pre-senti sul territorio nazionale quasi un milione di pazienti. Ci si attende certamente un forte impulso da parte del SSN. La ricerca, in Italia ciò nonostante è di buona qualità e si muove su due linee fondamentali. La prima è la diagnosi precoce. Dobbiamo tener presente che i dati più recenti parlano della diagnosi che tarda 24 mesi rispetto all’esordio della malattia prima che ci si attivi. Il che si traduce in una grande quantità di tempo perso per trattamenti che si potevano predispor-re prima. Il secondo punto è quello di mettere a punto dei

trattamenti patogenetici. Sinora le terapie riconosciute sono terapie che hanno un valore prevalentemente di tipo sinto-matico ossia curano i sintomi ma non curano la terapia in se. Si sta quindi facendo di tutto per dare delle indicazioni diver-se per curare le vere e proprie cause della malattia.

Quali sono i vantaggi di terapie innovative già in fase di sperimentazione?Prevalentemente sono di due tipi ossia i farmaci neuropro-tettori, in grado cioè di evitare che l’amiloide che si deposita nel tessuto nervoso possa produrre un effetto neurotossico come attualmente accade, e i farmaci che siano sostanzial-mente dei veri e propri vaccini o qualcosa di molto simile. Si è a conoscenza che l’amiloide può essere attaccato da degli anticorpi ed essere quindi sciolto. L’ipotesi più accreditata attualmente riguardo la patologia dell’Alzheimer è quella le-gata a questo deposito di proteina patologica che finisce con il produrre degli effetti significativi a livello di organismo cau-sando la morte di neuroni e intaccando il versante del cogni-tivo e comportamentale causando i danni tipici della malat-tia quali la perdita della memoria, disturbi comportamentali, inabilità a svolgere attività fisiche della vita quotidiana.La ricerca si sta quindi concentrando sulle terapie immu-nitarie già in fase di sperimentazione 3 e presumibilmente nell’arco di 4-5 anni si prevede daranno grandi risultati.Tale trattamento, consiste nella pulizia e depurazione di que-sta sostanza tossica presente nel cervello in maniera signifi-cativa, e naturalmente se fatto precocemente darà maggiori risultati sul paziente. Inoltre sono già disponibili e riconosciuti dal SSN, dei farmaci sintomatici che vengono applicati con un cerotto in grado di dispensare il farmaco nell’arco di un determinato periodo, permettendo di avere una dose che non produce effetti col-laterali e che sembra essere molto efficace e con un possibile effetto neuroprotettivo.

Cosa si offre in termini di benefici per i pazienti ed i fa-miliari?La legge vigente è quella sulla disabilita e accompagna-mento che riguarda tutto il territorio nazionale, mentre per quanto riguarda i trattamenti medici purtroppo esistono ancora molte disuguaglianze a seconda del sistema sanitario regionale. Dal punto di vista dell’assistenza esiste l’indennità di accompagnamento che permette di contribuire, seppur in minima parte, alle spese che le famiglie sostengono. L’entità del fenomeno ed i costi che generano non permettono an-cora oggi di dotarsi di un piano nazionale efficace contro l’Al-zheimer, in cui sarebbe davvero opportuno coniugare ricerca e servizi di assistenza sia per i pazienti che i loro famigliari.

Prof. Carlo CaltagironeProfessore di Neurologia e

Direttore Scientifico della Fondazione Santa Lucia(IRCCS) Roma, Italia

Sandro SorbiPresidente SINDEM

Associazione per lo Studiodelle Demenze

L’età rappresenta il più importante fattore di rischio per la MA. Questo suggerisce che i processi biologici età-correlati potrebbero essere implicati nella patogenesi della ma-lattia. Le donne presentano un rischio mag-giore di sviluppare la malattia rispetto agli uomini, ma con grande probabilità tale dato deve essere messo in relazione alla maggiore aspettativa di vita del sesso femminile.Insieme all’età, un altro fattore di rischio che risulta associato alla malattia è la presenza di una storia familiare di demenza, presente sia nelle forme ad esordio precoce che in quelle ad esordio tardivo. L’effetto della familiarità può essere spiegato sia da fattori geneti-

ci che da fattori ambientali. Attualmente il gene dell’apolipoproteina E (ApoE), presente sul cromosoma 19, è l’unico evidente ele-mento di suscettibilità genetica conosciuto per le forme di MA ad esordio precoce e tar-divo. L’apolipoproteina E è una lipoproteina fondamentale per il metabolismo lipoprotei-co e nel cervello è implicata nella riparazio-ne neuronale e nelle interazioni tra neuroni e cellule gliali. E’ codificata in tre isoforme: ApoE ε2, ApoE ε3 ed ApoE ε4. L’allele ε4 è significativamente più presente nei pazienti con MA rispetto alla popolazione generale e sembra determinare un’età di esordio della malattia relativamente più precoce. La pre-

senza dell’allele ε2, invece, sembrerebbe ri-durre il rischio di malattia. Negli ultimi decenni è emersa l’evidenza che fattori di rischio vascolare, quali l’ipertensio-ne arteriosa, il diabete mellito, l’aumento del colesterolo plasmatico, il fumo di sigaretta ed alcune patologie cardiache, sono asso-ciati ad un aumentato rischio di demenza, inclusa la MA.,. Sono inoltre noti altri fattori di rischio, quali un basso livello di scolarità, la depressione, traumi cranici, ecc. Accanto ai fattori in grado di determinare un aumentato rischio di malattia devono essere menzionati quelli che possono determina-re una riduzione di tale rischio. Tra questi,

oltre alla già citata presenza dell’allele ε2 dell’ApoE ci sono alcune abitudini di vita quali: praticare attività fisica in modo rego-lare, assumere una dieta ricca di vitamine e sostanze antiossidanti, avere un buon livel-lo culturale e interessi attivi, nonché tenere sotto controllo i fattori di rischio vascolare (ipertensione, ipercolesterolemia, diabete, ecc.). In particolare, i fattori psicosociali sem-brerebbero in grado di proteggere dalla MA attraverso meccanismi volti ad aumentare la riserva cognitiva, consentendo all’individuo di contrastare più a lungo le modificazioni degenerative del cervello e quindi di ritarda-re la comparsa della malattia.

5Neurologia Senza Confini

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L’epilessia fa ancora paura?

Il franchise EISAI in epilessia

Il termine epilessia dal greco ”epilam-banein” che significa “essere colti di so-prassalto,” per millenni è stato fonte di confusione semantica e di paura per la persona che ne era affetta. Nell’antica Grecia chi soffriva di epilessia era consi-derato posseduto dagli dei; nel medioe-vo invece le crisi epilettiche talvolta era-no ritenute espressione di possessione satanica. Ancora oggi le persone affette da epi-lessia continuano a essere talvolta vit-time di pregiudizi e di discriminazione. L’epilessia non lede le capacità intel-lettive nè altera la vita di relazione dei pazienti:esempi illustri sono, tra l’altro, Giulio Cesare, Giovanna D’Arco, Haendel, Flaubert, van Gogh, Dostoevskij. L’epiles-sia è una sindrome caratterizzata dal ri-petersi di crisi epilettiche. La crisi epilet-tica è l’espressione di una iperattività di una popolazione di cellule nervose cere-brali dovuta ad una abnorme eccitabili-tà. Tale iperattività se rimane confinata

in una ristretta area della corteccia cere-brale di un emisfero dà una crisi parziale, se rapidamente diffonde anche all’altro emisfero produce una crisi generalizza-ta. La manifestazione più importante e frequente è l’improvviso disturbo della coscienza che si manifesta come “distac-co” dall’ambiente circostante , o come perdita totale della coscienza tipica questa della crisi di “grande male” che è la manifestazione più importante ed im-pegnativa per i rischi di traumi ad essa legati. La caratteristica peculiare delle crisi epilettiche è l’imprevedibilità, la breve durata (secondi), l’inizio e la fine improvvisi.Cause d’epilessia sono o lesioni cerebra-li organiche (traumi, infezioni, tumori, lesioni vascolari) e in tal caso si parla di epilessia sintomatica, o una predisposi-zione costituzionale la cosiddetta epi-lessia idiopatica. La diagnosi clinica si basa su di un’accu-rata anamnesi, sulla descrizione quanto

più precisa delle crisi e sulla ricerca di segni clinici di lesione cerebrale. Quella strumentale invece si avvale dell’ Elet-troencefalogramma (EEG) eseguito in veglia e durante sonno (EEG delle 24 ore) in taluni casi associato ad una si-multanea videoregistrazione per cor-relarlo alle manifestazioni cliniche. La Risonanza magnetica è in grado di evi-denziare lesioni cerebrali anche piccole e clinicamente mute. SPECT, RMfunzio-nale sono tests “ancillari” utili, in talune situazioni, per meglio definire la “zona epilettogena”. Si può curare l’ epilessia ? Si può sem-pre curare ma solo nel 60-70% dei casi si riesce ad ottenere la sospensione o una riduzione soddisfacente delle crisi. Un 30-40% dei pazienti non risponde al trattamento farmacologico e sono defi-niti “farmacoresistenti”. Alcuni di tali pa-zienti, come quelli con epilessia tempo-rale, possono giovarsi di un trattamento chirurgico di asportazione della “zona

epilettogena” o della stimolazione vaga-le. La terapia farmacologia, per decenni limitata a cinque farmaci, dal 1989 si è arricchita di 13 nuove molecole alcu-ne delle quali utilizzate come farmaci di “prima scelta” altre come terapia aggiun-tiva. Per il neurologo curare l’epilessia non si-gnifica solo curare le crisi ma considerare anche il comportamento del paziente di fronte alla malattia caratterizzato spesso da paure, incertezze, così da stabilire un rapporto di “alleanza” basato sulla fiducia, su una informazione precisa e sulla condivisioni delle responsabilità nel costante rispetto dell’autonomia del paziente stesso.

Maria Grazia MarcianiProfessore Ordinario di

Neurofisiopatologiadell’Università di Roma

“Tor Vergata”

Qual è la filosofia EISAI e in quali ambiti è diretto il suo impegno?La filosofia EISAI ruota attorno al concetto di franchise, ossia la vo-cazione e volontà di essere pre-senti in una determinata area di mercato. Per noi non sono solo le dimensioni a fare la differenza ma la qualità del lavoro. EISAI è un’azienda farmaceutica a livel-lo mondiale di media grandezza presente in tutti i grandi mercati con un fatturato di 8 mld. di $. Sono due le caratteristiche inti-mamente connaturate a EISAI: il concetto che paziente e fami-liari sono al centro delle nostre attenzioni;i profitti che ne scaturiscono rappresentano la diretta conse-guenza del nostro lavoro svolto in maniera appropriata e in ac-cordo con la mission aziendale.In tal senso EISAI focalizza la sua attività verso nuovi prodotti per le malattie rare come, a esem-pio, il trattamento dei dolori cronici resistenti alla morfina, il trattamento di forme gravi e rare di epilessia, come, la Sindro-me Lennox Gastaut. La scelta del campo di azione riflette bene la nostra attitudine volta, quindi, a creare un valore aggiunto im-portante per il paziente e i pro-pri famigliari. Questo si traduce in due aspetti peculiari:l’avvicinamento del Dipendete EISAI alle problematiche gene-rate da patologie invalidanti;il supporto a programmi spe-cifici per il sostegno e coinvol-

gimento di famiglie che hanno pazienti colpiti da malattie rare e gravi. Un esempio è rappre-sentato dall’esperienza effettua-ta dai Collaboratori EISAI, presso il Dynamo Camp di Limestre (PT), campo estivo che ospita bambini affetti da tumore del sangue e che trovano in questa struttura una occasione di gioco e svago creata ad hoc, Human Health Care, è questo il concetto che ruota attorno all’importanza primaria del paziente.Un altro aspetto che ci caratte-rizza è dato dalla ricerca in ambi-ti dove esistono ancora bisogni e necessità non ancora coperte. Negli ultimi 80 anni, infatti con l’innalzamento dell’aspettativa di vita media, sono sorte nuove malattie prima conosciute mar-ginalmente e sotto diagnostica-te, soprattutto legate all’aspetto neurologico, come il morbo di Alzheimer, patologia per la qua-le EISAI ha messo a disposizione della classe medica e degli stessi pazienti già da diversi anni, il do-nepezil, farmaco che si è dimo-strato efficace nel trattamento della malattia.In particolare per quanto riguar-da l’epilessia, considerata per decenni una malattia giovanile, oggi si è a conoscenza che la sua incidenza tende a innalzarsi nuovamente nei soggetti over 60 configurandosi, quindi, an-che come malattia in grado di interessare una cospicua fascia di popolazione. L’epilessia, si ca-ratterizza per essere una malat-

tia assai complessa, che nel 30 – 40% dei casi non risponde al trattamento con un solo antie-pilettico. Proprio al fine di offrire a questa grossa fetta di pazienti un’ulteriore opportunità tera-peutica, EISAI ha sviluppato e reso disponibile anche in Italia, ZONEGRAN, farmaco antiepi-lettico indicato come terapia aggiuntiva (add-on) nel tratta-mento di pazienti adulti con crisi epilettiche parziali con o senza generalizzazione secondaria. Per quanto riguarda una forma molto rara e grave di epilessia che esordisce già nell’infanzia, la Sindrome di Lennox Gastaut, che si caratterizza in particolare per le crisi toniche e atoniche, che si traducono in disastrose cadute del paziente, EISAI ha sviluppato appositamente per questo tipo di malattia INOVELON, un farma-co che dà risultati importanti dal punto di vista clinico: secondo la letteratura i pazienti rispondono al trattamento nel 50% dei casi. Per riprendere il concetto di franchise, EISAI si appresta a lan-ciare a breve in EU, a seguire in Italia, ZEBINIX, esli-carbazepina acetato, molecola nata dall’idea di sviluppare un farmaco ra-pido ed efficace per l’utilizzo sia in terapia aggiuntiva che in mono-terapia che presentasse un eccellente compromesso tra efficacia e tollerabilità, quando raffrontato con la carbamazepi-na, uno dei “pilastri” della terapia antiepilettica.Al completamento dell’impegno aziendale in ambito neurologico concorre anche PERAMPANEL, un nuovo prodotto di ricerca originale, che sarà caratterizza-to da un meccanismo d’azione completamente diverso da tut-to quello già presente sul mer-cato, essendo un antagonista non competitivo selettivo dei recettori del glutammato di tipo AMPA.

Un altro campo di ricerca per noi molto importante, che non ha ancora trovato risposte adegua-te, è rappresentato indubbia-mente dalla Sclerosi Multipla.

Eisai cerca di avvicinare la ri-cerca alle esigenze dei Medici, rispondendo attraverso studi clinici anche a domande di in-teresse per la comunità scien-tifica?EISAI Italia si focalizza non solo sull’attività commerciale, ma an-che sullo sviluppo e sulla ricerca clinica.Essendo un’azienda multinazio-nale, prendiamo parte a pro-grammi internazionali di ricerca clinica, in cui fungiamo da coor-dinatori nazionali, per assicurare la corretta implementazione sul nostro territorio dei protocolli internazionali.Accanto alla ricerca clinica por-tata avanti in accordo con Casa Madre, EISAI Italia che, va ricor-dato, è presente con la propria struttura nel nostro Paese da soli 4 anni, è già in grado di suppor-tare autonomamente i propri trial clinici, in collaborazione con centri scientifici di alto livello. Esempio paradigmatico è costi-tuito dal progetto ADONE. Questo studio, realizzato in am-bito epilettologico, prevede il coinvolgimento di 20 centri d’eccellenza per la diagnosi e il

trattamento dell’epilessia e si prefigge l’obiettivo di risponde-re a un interrogativo cruciale: al fallimento di una terapia di com-binazione ha più senso sostitui-re il farmaco ritenuto inefficace o fare un’ ulteriore aggiunta? Con tale sperimentazione si intende, quindi, fornire nuove nozioni alle strategie comune-mente utilizzate nella terapia aggiuntiva delle crisi epilettiche, ottenendo risultati di alto valo-re scientifico, con una ricaduta pratica sulla qualità di vita del paziente potenzialmente enor-me: riduzione del carico farma-cologico a parità di efficacia.

Franco MercklingAmministratore

DelegatoEISAI Italia

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Negli ultimi anni le tecniche di risonanza magnetica (RM) han-no fatto notevolissimi progressi determinando rilevanti avanza-menti non solo in campo dia-gnostico, ma anche in tema di comprensione dell’organizzazio-ne funzionale del sistema nervo-so centrale (SNC) e dei meccani-smi di malattia. I progressi hanno riguardato sia la parte hardware (con lo sviluppo di macchine ad alto campo), sia la parte softwa-re (con lo sviluppo di sequenze dedicate per lo studio meta-bolico e funzionale del SNC). In particolare, questo ultimo e più interessante approccio, è stato possibile grazie allo sviluppo di tecniche avanzate quali: volu-metria, spettroscopia (1H-MRI), diffusione (DWI), perfusione (PWI) e RM funzionale (fMRI). La volumetria e la sua ulterio-re elaborazione, la voxel based morphometry (VBM) permetto-no di misurare con accuratezza l’atrofia di diverse strutture del SNC (nuclei e corteccia cere-brale), nonché delle sue diverse componenti (sostanza bianca

-SB, sostanza grigia-SG). Nelle demenze, è stato possibile iden-tificare l’atrofia selettiva dell’ip-pocampo nelle fasi iniziali della Malattia di Alzheimer (AD), fin dalla fase del deterioramento cognitivo lieve. Nella sclerosi multipla (SM), patologia fin qui considerata solo della SB, è stato documentato l’atrofia della SG già in fase precoce.La 1H-MRI misura i livelli di alcuni metaboliti che riflettono la fun-zionalità/integrità dei neuroni e delle cellule gliali. Nei tumori è utilizzata per la stadiazione e per l’identificazione delle recidive, mentre nella SM ha portato ad una revisione del concetto stes-so di malattia, ora considerata una patologia caratterizzata non solo dalle lesioni della SB, ma che interessa diffusamente il SNC al di là delle lesioni e in particolare che la SG può essere coinvolta precocemente e diffusamente. Inoltre in diverse malattie me-taboliche e degenerative iden-tifica il coinvolgimento precoce e/o selettivo di specifiche aree cerebrali.

La DWI e la sua ulteriore ela-borazione, la trattografia, per-mettono di identificare danni microstrutturali altrimenti non rivelabili a carico del parenchi-ma cerebrale e in particolare dei fasci di fibre nervose, consenten-do l’individuazione precoce di lesioni ischemiche e/o tumorali.La PWI identifica e misura le al-terazioni di perfusione, è di no-tevole utilità nello studio delle lesioni ischemiche, e insieme alla DWI può identificare in vivo la penombra ischemica, permet-tendo così una migliore defini-zione dei pazienti da sottoporre a terapia fibrinolitica.La fMRI permette di studiare la funzionalità di specifiche aree cerebrali.È stato così possibile studiare, da una parte il ruolo e il funziona-mento di diverse aree cerebrali nello svolgimento delle norma-li attività motorie, sensitive e cognitive, dall’altra il ruolo del loro coinvolgimento in diverse malattie. La fMRI ha già trova-to applicazione nel planning preoperatorio di pazienti affetti

da neoplasie e ha evidenziato come, in diverse malattie neu-rologiche, il deficit funzionale è profondamente influenzato da meccanismi di compenso attua-ti grazie a fenomeni di plasticità neuronale. Infine, una ulteriore elaborazione della fMRI, la fMRI a riposo (resting fMRI) ha per-messo di identificare delle reti neuronali che si modificano con lo svolgimento di specifici com-piti, aprendo così il campo allo studio delle cosiddette reti neu-ronali che avrebbero un ruolo fondamentale nello svolgimen-to di attività motorie, sensitive e cognitive.

Le tecniche di cui si è scritto co-stituiscono un armamentario che può funzionare solo se ne conoscono vantaggi e limiti e se contemporaneamente si co-nosce la malattia e/o lo specifi-co quesito cui si vuol dare una risposta.Soddisfatte tali premesse, l’in-negabile vantaggio di questo moderno approccio strumen-tale sta nelle sue caratteristiche di non invasività, ripetibilità e obiettività, caratteristiche che ne propongono l’uso anche per la valutazione della progressio-ne di malattia e dell’efficacia del-le terapie.

NUOVE TECNOLOGIE PER LA DIAGNOSI DEL SNCImaging avanzato

L’impegno di Siemens nel Neuroimaging

Gioacchino TedeschiDirettore del Dipartimento d Scienze Neurologiche

Seconda Università di Napoli

Affrontare le tendenze che caratterizzano l’evoluzione della sanità adottando una strategia globale di offerta integrata è ormai fondamentale. Quali risposte con-crete dovrebbe dare un servizio sanitario evoluto?Le principali sfide che caratterizzano l’evolu-zione della sanità riguardano principalmente l’invecchiamento della popolazione, la croni-cizzazione delle patologie, la domanda di maggior benessere e di conseguenza, forme di cura sempre più personalizzate. Per vince-re tali sfide è necessario adottare una strate-gia di offerta integrata focalizzata sull’intero percorso di cura, che parta dalla prevenzio-ne per passare poi all’ospedalizzazione fino all’home care. Sarà quindi compito del ser-vizio sanitario garantire una serie completa di servizi fondamentali per un sistema sem-pre più evoluto, che comprenda diversi ele-menti tra i quali i più significativi sono una maggior accessibilità al servizio stesso; l’au-mento della capacità diagnostica, la garanzia dell’appropriatezza del processo diagnosti-co-terapeutico (evitando esami inutili), l’of-ferta di una continuità di cura, per gestire il processo diagnostico-terapeutico in modo condiviso tra più operatori o strutture, la fo-calizzazione sull’innovazione per costruire o riqualificare le strutture sanitarie e la ricerca

dell’ equilibrio economico-finanziario, con la pianificazione e il controllo della spesa. Sie-mens grazie alla propria capacità innovativa è in grado di supportare il sistema sanitario a raggiungere la razionalizzazione dei costi e l’aumento della qualità dei servizi attraverso la standardizzazione dei protocolli clinici, o workflow, adottando soluzioni tecnologiche integrate supportate da sistemi informatici che permettono un controllo dei costi coe-rente.

Siemens leader nell’innovazione e nell’He-althcare; quali soluzioni propone per le strutture sanitarie in ambito neurologico per la diagnostica?Siemens in questi anni ha focalizzato la pro-pria attenzione sulle cosiddette ologies ossia cardiologia, oncologia, neurologia...

Sfruttando l’innovazione che è parte del nostro DNA abbia-mo creato dei protocolli clinici mirati all’identificazione e alla gestione delle patologie che rientrano negli ambiti appena indicati. In campo neurologico Siemens ha sviluppato una se-rie di processi particolarmente focalizzati sulla cura neurolo-gica, con l’utilizzo di una serie di attrezzature e software che vanno dalla diagnosi fino al trattamento interventistico. Facendo un breve excursus del range di opportunità di Siemens, si passa dalla TAC con sistemi di nuova generazione denominati SOMATOM Defi-nition AS+ 128 strati che, ol-

tre ad avere un bassissima quantità di dose erogata, offre eccellenti pacchetti software in campo neurologico e permette esami di perfusione in tutto l’encefalo. Per quanto riguarda la risonanza magnetica è stato svi-luppato un nuovo sistema, il MAGNETOM Verio a 3 tesla, particolarmente indicato sia per esami neurologici di routine sia per gli studi più avanzati. Questa macchina abbina il concetto di massima qualità dell’immagine con ingombro ridotto, accessibilità e comfort elevato per il paziente, incidendo in maniera positiva sui costi di gestione. Esistono inoltre macchine molto specialistiche da 7 tesla che consentono di visualizzare delle immagini simili ad un atlante anatomico, indicate per valutazioni pre-operatorie e patologie dege-nerative.Per quanto riguarda la PET/CT il Biograph Lso 64 true view HD è una macchina molto sofisticata, particolarmente indicata in ambi-to oncologico e nelle valutazioni funzionali del metabolismo. Inoltre per i sistemi angio-grafici, sempre in neurologia, il sistema AR-TIS Zee biplano permette una doppia pro-iezione, adatto per la focalizzazione di ictus e malformazioni arteriovenose.

Quali soluzioni per il trattamento?La visione evoluta abbracciata da Siemens prevede l’utilizzo, per il trattamento di alta specializzazione, delle cosiddette sale opera-torie ibride che si differenziano notevolmen-te dalla routine di trattamento e sono sostan-zialmente di due tipi; una legata all’utilizzo di sistemi angiografici e un’altra alla risonanza magnetica. Per l’angiografia, proponiamo un sistema denominato ARTIS Zeego che sfrut-ta integralmente la tecnologia dei robot, per-

mettendo proiezioni praticamente illimitate e una grande accessibilità al letto operatorio. Tale macchina, inserita all’interno di una sala operatoria dona il vantaggio di poter effet-tuare nella stessa sala tre operazioni; la dia-gnosi, l’operazione stessa e un controllo post – operatorio,

E per quanto riguarda le sale ibride attrez-zate con la risonanza magnetica? L’utilizzo di una sala ibrida con risonanza magnetica permette di individuare la pato-logia sfruttando una risoluzione di contrasto molto elevata in grado di individuare esatta-mente l’area patologica attraverso dei reperi collegati a un neuronavigatore. Con questo sistema è possibile, ad esempio, individuare l’evoluzione della massa tumorale nel corso dell’operazione. Le sale ibride possono esse-re attrezzate con sistemi a risonanza magne-tica fissa sia montata su rotaie posizionate al soffitto che permettono di posizionare la risonanza stessa accoppiata al tavolo opera-torio senza quindi necessità di muovere il pa-ziente. Un altro vantaggio di questo tipo di sale è la possibilità, nella fase pre-operatoria, di predisporre una simulazione computeriz-zata dell’operazione per poter pianificare la via di accesso migliore al fine di evitare di in-taccare le funzioni vitali del paziente. Questo tipo di sale sono particolarmente indicate per la chirurgia pediatrica, poiché, per via dei volumi estremamente ridotti, è necessario adottare una estrema precisione chirurgica.

Ing. Riccardo CastorinaResponsabile settore

Healthcare Siemens Italia

7Neurologia Senza Confini

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Attualità e prospettive nella terapia dell’emicrania

La depressione e le malattie neurologiche

Considerando la patologia emicranica il maggior progresso nella terapia dell’at-tacco acuto è stato lo sviluppo di una classe di farmaci (triptani) che dalla fine degli anni ’80 ha portato ad un netto cambiamento della qualità di vita dei pa-zienti emicranici. Infatti l’attacco emicra-nico può portare il paziente ad una totale impossibilità a svolgere sia le quotidiane attività di vita che di lavoro nei giorni in cui esso si presenta. L’avere a disposizione farmaci la cui effi-cacia è specifica per l’attacco stesso ha costituito una svolta epocale nella terapia dell’emicrania. Purtroppo molti pazien-ti commettono l’errore di ritardare l’as-sunzione del farmaco per l’attacco il che provoca l’instaurarsi di sintomi quali la nausea e il vomito con conseguente inef-ficacia dei farmaci per via orale. Così un attacco che potrebbe essere risolto con l’assunzione di un solo analgesico spe-cifico, finisce per non essere risolto ne-anche con una serie di assunzioni di vari analgesici nella giornata: ciò provoca un overuse di analgesici stessi e nel tempo la trasformazione di una emicrania episodi-ca in una emicrania cronica. Il consiglio da

dare quindi è di non attendere troppo a lungo pensando che il dolore possa pas-sare da solo.In un prossimo futuro avremo a disposi-zione farmaci specifici per l’attacco che bloccano il recettore del Calcitonin Gene Related Peptide (CGRP) inibendo così la trasmissione dei segnali dolorosi.Sono inoltre allo studio farmaci per l’at-tacco che utilizzano formulazioni diverse come il cerotto transdermico che libera triptano, gli inalatori di diidroergotamina per uso orale, gli spray nasali di triptano e infine farmaci che associano triptani e antiinfiammatori non steroidei.Per la profilassi della malattia emicra-nica, abbiamo a disposizione un ampio portafoglio terapeutico con varie classi di farmaci, nessun farmaco però eccezional-mente efficace. Non abbiamo perciò ad oggi nulla che sia in profilassi così efficace come i farmaci per l’attacco acuto.Il massimo che si può ottenere è una ri-duzione della frequenza degli attacchi in circa il 60% dei nostri pazienti. La terapia va assunta per mesi, sceglieremo quindi il farmaco di profilassi non solo perché par-ticolarmente efficace, ma anche perché

ha meno effetti collaterali dovendo esse-re assunto per lunghi periodi.In questi ultimi anni la Food and Drug Administration ha approvato 2 nuovi far-maci che sono risultati efficaci per la pro-filassi dell’emicrania: il valproato e il topi-ramato. Si può dire quindi che i farmaci di profilassi (betabloccanti, triciclici, calcio antagonisti e neuromodulatori) sono utili nel diminuire la frequenza dell’emicrania e migliorano la disabilità e la qualità di vita dei pazienti. Nonostante questi pro-gressi terapeutici rimane comunque una quota di pazienti che non hanno vantag-gio da alcun trattamento farmacologico di profilassi per i quali in questi ultimi anni all’Istituto Neurologico C. Besta si utilizzano tecniche di neurochirurgia fun-zionale con l’uso di microelettrodi di sti-molazione posti a livello del nervo gran-de occipitale o del nervo vago. La scelta del trattamento chirurgico va però riservata a pazienti selezionati con estrema cura e seguiti secondo uno spe-cifico percorso diagnostico terapeutico che è stato messo a punto dalla nostra equipe sulla scorta dell’esperienza ma-turata negli ultimi dieci anni nell’applica-

zione di metodiche di neurostimolazione profonda in pazienti affetti da cefalea a grappolo cronica.

La depressione nelle malattie neurologiche è un tema di rara complessità: per il clinico il cui compito è l’analisi integrata dei fenotipi osservati, e ancor più per il ricercatore che indaga nell’ambito della basic neurology sulla biologia della depressione, che nelle malattie neurologi-che può ritrovare modelli per una psicopatologia su basi bio-logiche. Poiché nelle malattie neurologiche la depressione è il disordine psicopatologico di più frequente osservazione, è ovvio che la valutazione della depres-sione sia un compito irrinuncia-bile del neurologo.Il quesito cui è necessario ten-tare di rispondere è il seguente: ammesso che, nel rispetto di regole rigorose, sia facile la dia-gnosi di depressione quali sono le difficoltà che si incontrano per la diagnosi di depressione nel contesto di malattie neurologi-che? Gli studi compiuti finora hanno riguardato soprattutto la ma-lattia cerebrovascolare (MCV), acuta e cronica, la malattia di Parkinson (MP), la sclerosi mul-tipla (SM), le demenze, e l’epi-lessia. Se si fa eccezione (una parziale eccezione) per l’epiles-sia, in tutte le altre condizioni, si ritrova una sovrapposizione sintomatologica tra depressione e malattia neurologica in esame: per limitarsi ad un esempio sem-plice, alcuni segni tipici della MP, quali l’amimia e la bradicinesia possono anche essere segni di una caduta depressiva del tono dell’umore. Poiché il Manuale Diagnostico e Statistico dei di-sturbi mentali (DSM-IV) viene considerato lo strumento ope-rativo per la diagnosi di depres-sione, alcuni ricercatori hanno suggerito di ricorrere al DSM-IV

con una strategia definita “inclu-siva” e cioè riconoscendo tutti i segni e sintomi osservati come depressivi a dispetto della loro possibile inclusione come non depressivi nella MP. E’ inutile dire che una tale strategia conduce inevitabilmente ad una sovrasti-ma della depressione nella MP.Questo problema della sovrap-posizione della sintomatologia non riguarda solo la MP; basti pensare all’astenia, alla fatica e ai sintomi vegetativi nella SM. Il tema della depressione nella SM come tema di ricerca è nato negli anni cinquanta, ma con un errore metodologico da cui è de-rivata una sovrastima della de-pressione pari al 40-50% come depressione maggiore: la ricerca non era community based, ma compiuta su pazienti afferenti a centri neurologici, che sono più spesso quelli con maggior gravi-tà di malattia.In realtà, il maggior problema metodologico è la definizione di depressione nel contesto delle singole malattie neurologiche. Torna qui di particolare interes-se la MP con gli studi recenti e in corso sull’anedonia, cioè l’assen-za o la riduzione della capacità di provare piacere, a sua volta articolata in anedonia globale, o solo sociale o solo fisica.Il termine di anedonia è antico (l’ha proposto Ribot nel 1896) ma gli studi sull’anedonia come condizione isolata, e non solo come componente della depres-sione, sono recenti. Nel 2003, Isella et al (J Neurol, Neurosurg. Psychiatry) hanno escluso una relazione rilevante tra anedonia fisica e variabili demografiche, neuroradiologiche e neuropsi-cologiche, il che porta a conside-rare l’anedonia una componente non reattiva del fenotipo parkin-

soniano; in tal senso depongo-no anche gli studi più recenti di Lemke et al (J Neuropsychiat. Clin. Neurosci., 2005)Un problema non minore con-cerne i fattori di rischio. L’epiles-sia è esemplificativa: l’occorrenza della depressione avviene indi-pendentemente dalla frequenza e gravità delle crisi. C’è oggi am-pio consenso nel sostenere che depressione ed epilessia sono associate da una relazione bidi-rezionale: i depressi avrebbero una maggiore probabilità di diventare epilettici e gli epilet-tici una maggiore probabilità di diventare depressi (Kanner, Epi-lepsy and Behavior, 2005) ma tale relazione bidirezionale l’aveva intravista Ippocrate quando scrisse ”i melanconici diventano epilettici e gli epilettici diventa-no melanconici: ciò che deter-mina la preferenza è la direzione che la malattia prende: se essa riguarda il corpo è epilessia, se riguarda l’intelligenza è la me-lanconia”.Un discorso a parte va riserva-to alla depressione post stroke, perché ha consentito tentativi di correlazione tra depressione e sede lesionale da eventi ische-mici o emorragici. Studi cross-sectional hanno dimostrato una prevalenza pari al 30-50% e un picco di prevalenza tra il 3° e il 6° mese dall’evento ictale. In sin-tesi, gli studi di follow-up hanno dimostrato che il rischio di svi-luppare una depressione post stroke è particolarmente elevato nei primi due anni, e che in mol-ti casi la depressione scompa-re spontaneamente nel primo anno, a meno che, anche in re-lazione al mancato recupero, la depressione non diventi cronica. Ma la depressione è a sua volta un fattore di rischio per un ridot-

to recupero delle funzioni cogni-tive e dell’autonomia.Il problema della relazione tra depressione e sede lesionale è stato oggetto di studi negli anni ’80 e ’90: le lesioni a livello della corteccia frontale sinistra sono più frequentemente associate a depressione rispetto a quelle più posteriori o emisferiche de-stre sia anteriori che posteriori, e v’è anche una correlazione tra distanza dal polo frontale e gravità della depressione. Una correlazione opposta si osserva nelle lesioni dell’emisfero cere-brale destro.Ma l’associazione tra sede lesio-nale e depressione non è statica: l’affermazione che la depres-sione è più severa nelle lesioni posteriori dell’emisfero destro è corretta solo nelle fasi precoci, perché a partire dal sesto mese dopo lo stroke, la correlazione tende ad invertirsi. Quanto è stato descritto sulla correlazione tra depressione e sede lesionale dimostra che la neuroanatomia clinica è un must applicabile an-che ai fenotipi psicopatologici. D’altra parte non va dimenticato che la relazione tra depressio-ne e maggior compromissione dell’emisfero dominante espres-so da decadimento delle abilità linguistiche e prassiche è stata dimostrata negli anni ’90 anche nei dementi con malattia di Al-zheimer.Il quadro di conoscenze che è stato rappresentato è disomo-geneo perché solo esemplificati-vo ma il denominatore comune del problema della depressione nelle malattie neurologiche è la necessità di disporre di stru-menti diagnostici validati per la diagnosi di disturbo depressivo nelle singole malattie. La ricerca di tali strumenti è in corso e pro-

mette risultati di grande utilità al clinico neurologo che vuole guardare ad ogni suo malato come un unicum, e cioè come persona.In clinica i problemi non finisco-no mai. Mi limiterò a ricordarne alcuni responsabili di ulteriori difficoltà : 1. l’eventuale effetto di terapie nell’indurre depres-sione; 2. la selezione dei farmaci antidepressivi in rapporto alla patologia lesionale della malat-tia in esame; 3. l’uso associato e le interferenze con farmaci di necessità primaria.La figura del neurologo che emer-ge dai dati anche solo esemplifi-cativi che precedono è quella di un clinico che sappia, oltre che di neurologia, di psichiatria e di cli-nica medica generale. L’esempio che segue e che riguarda la pos-sibilità di studio della depressio-ne con le neuroimmagini indica, infine, un’altra connotazione, la più attuale, del neurologo che non può mancare di essere, per conoscenze se non per ricerca scientifica praticata, anche un neurobiologo a tutto tondo: nella SM è stata dimostrata una correlazione tra depressione e alterazioni strutturali dell’ence-falo. Questa correlazione propo-ne la SM come modello per studi di functional imaging che, com-piuti su depressi senza malattia neurologica, hanno dato risultati contrastanti. Ne potrebbe venire un contributo alla fisiopatologia della depressione nella SM e in assenza di SM.

Prof. Gennaro BussoneDirettore Dipartimento di

Neuroscienze ClinicheDirettore di U.O. Neurologia III – Cefalee

Fondazione IRCCS IstitutoNeurologico C. Besta

Via Celoria 11 – 20133 Milano

Vincenzo BonavitaProfessore ordinario

di Neurologia Università di Napoli Federico II

8 Neurologia Senza Confini

Page 9: Neurologia Senza Confinidoc.mediaplanet.com/all_projects/3736.pdfcervello è costituito infatti da oltre 100 miliardi di cellule specializzate, i neuroni, ognuna delle quali si connette

Un esame del cuore aiuta a diagnosticarela malattia del Parkinson

L’ictus cerebraleuna malattia ancorafrequente e grave, che oggi si può curare

La malattia di Parkinson è una malattia progressiva dovu-ta alla degenerazione delle cellule (neuroni) della sostanza nera, una piccola area cerebrale in cui viene prodotta la do-pamina, un neurotrasmettitore essenziale per il controllo dei movimenti corporei. La malattia di Parkinson si riscontra più o meno nella stessa percentuale nei due sessi ed è presente in tutto il mondo. At-tualmente in Italia ci sono più di 200.000 malati di Parkinson con circa 8.000-12.000 nuovi casi all’anno. I sintomi possono comparire a qualsiasi età anche se un esordio prima dei 40 anni é insolito e prima dei 20 anni é estremamente raro. Nel-la maggioranza dei casi i primi sintomi si notano intorno ai 60 anni e consistono soprattutto in tremore a riposo, rigidità degli arti e lentezza nella esecuzione dei movimenti.Sebbene la malattia di Parkinson sia in genere diagnostica-bile con facilità da neurologi esperti, non raramente essa può essere confusa con altre malattie degenerative carat-terizzate da un quadro clinico molto simile ma diverse per prognosi e sensibilità ai farmaci (i cosiddetti Parkinsonismi).Fino a pochi anni addietro la diagnosi differenziale tra ma-lattia di Parkinson e Parkinsonismi era soprattutto neuropa-tologica (post mortem); negli ultimi anni, tuttavia, la messa a punto di una nuova metodica, la scintigrafia cardiaca con meta-iodobenzilguanidina (MIBG), ha migliorato sostanzial-

mente la nostra capacità diagnostica consentendo un’ac-curata diagnosi differenziale con i Parkinsonismi anche in vivo. La scintigrafia cardiaca con MIBG è una tecnica recente, ab-bastanza semplice e poco cruenta che consente di valuta-re l’integrità dei terminali nervosi simpatici post-gangliari che innervano il cuore. Se le fibre nervose sono integre, la scintigrafia con MIBG è normale e l’elevata concentrazione dell’isotopo a livello cardiaco disegna bene l’immagine del cuore; se, invece, questi terminali nervosi sono danneggia-ti, come accade nella malattia di Parkinson, la scintigrafia è alterata, la concentrazione della MIBG a livello cardiaco è ridotta e l’immagine del cuore non appare visibile all’esame scintigrafico.I Parkinsonismi più conosciuti, come la paralisi sopranucle-are progressiva, l’atrofia multisistemica e la degenerazione corticobasale hanno i terminali nervosi simpatici post-gan-gliari che innervano il cuore integri (dunque una scintigrafia cardiaca normale) mentre queste fibre nervose sono grave-mente danneggiate nella malattia di Parkinson che presen-ta una scintigrafia cardiaca marcatamente compromessa.Il grande vantaggio della scintigrafia cardiaca con MIBG, ri-spetto alla più conosciuta scintigrafia cerebrale con DAT, è che essa non solo aiuta a riconoscere la malattia di Parkin-

son (scintigrafia alterata) ma permette anche di distinguer-la dai Parkinsonismi (scintigrafia normale), una distinzione che invece la scintigrafia cerebrale con DAT non riesce a fare (quest’ultima è alterata sia nella malattia di Parkinson che nei Parkinsonismi).

Prof. Aldo QuattroneProfessore ordinario di Neurologia,

Università Magna Grecia di CatanzaroResponsabile Unità di Ricerca

“Neuroimmagini”, CNRCatanzaro

L’ictus consegue, per l’80% dei casi, alla chiusura di un’arteria cerebrale (ictus ischemico) che priva una zona del cervel-lo dell’apporto di sostanze nutritive, indi-spensabili per mantenere in vita le cellu-le cerebrali, o alla rottura di una arteria (ictus emorragico) con stravaso di sangue che distrugge il tessuto circostante. Un arteria cerebrale si chiude perché un co-agulo o un embolo ostruiscono il vaso. In Italia l’ictus è la seconda causa di morte e la prima di invalidità dell’adulto: 1 milione di persone hanno avuto un ictus. La metà dei sopravvissuti (si muore in circa il 20%) ha bisogno di aiuto nella vita quotidiana. Oggi esistono mezzi straordinari, non solo per prevenire, ma anche per limitare i danni o addirittura guarire dall’ictus .Il rapido riconoscimento dei sintomi di un ictus è di fondamentale importanza per poter usufruire delle moderne opportu-nità di trattamento dell’ictus ischemico acuto con farmaci capaci di dissolvere il coagulo o l’embolo (trombolisi endoveno-sa), prima che si determini la morte delle cellule. Ogni minuto che passa migliaia di neuroni vengono persi. Bisogna interveni-re il prima possibile, non più tardi di 3 ore. Ancora oggi meno del 40% delle persone colpite da ictus arriva in ospedale entro 3 ore. E’ necessario che queste informazioni siano trasmesse a tutta la popolazione, usando messaggi facilmente comprensi-bili come i cartoon riportati nella Fig. 1. All’arrivo in ospedale, devono essere ra-pidamente escluse le controindicazioni: vi è un rischio piuttosto elevato di sangui-namento. Spesso il paziente è in grado di rimuovere gli arti già durante l’infusione del trombolitico. Il 50% riprende una vita normale. Negli anni più recenti si va dif-fondendo un tipo di trattamento per via intra-arteriosa, che consiste nell’asportare il coagulo usando piccolissimi strumenti (device) posti in cima ad un micro catete-re. (Fig. 2). Molti ospedali non sono ancora

organizzati per offrire queste opportunità a qualsiasi persona venga colpita da ictus nel nostro Paese. Ospedali meno esperti ed organizzati potrebbero nel futuro es-sere guidati da centri più esperti attraver-so collegamenti telematici.E’ stato dimostrato senza equivoci che, dopo un ictus, se il paziente viene ricove-rato in un reparto “dedicato” (stroke unit) in cui operi personale esperto, la proba-bilità di sopravvivere senza una invalidità grave è di tre volte superiore rispetto ad un reparto indifferenziato.Purtroppo il numero di stroke unit nel nostro paese è ancora limitato. In Italia il problema ictus, e le nuove straordinarie potenzialità terapeutiche hanno bisogno di una forte promozione sul piano sia in-formativo che politico.Il Servizio Sanitario deve farsi carico di un piano strategico nazionale per sconfigge-re l’ictus cerebrale.

Prof. Domenico InzitariDirettore del Dipartimento di Scienze Neurologiche e

Psichiatriche e della Scuola di Neurologia - Università di Firenze

Direttore della Struttura Operativa “Stroke Unit

e Neurologia” - Azienda Ospedaliera Universitaria

”Careggi” - Firenze

9

Presente e futuro neltrattamento dei tumori delsistema nervoso

I tumori intracranici primitivi hanno un’in-cidenza tra 8 e 12 nuovi casi per 100000 per anno e i gliomi sono più della metà. La chirurgia rappresenta un momento terapeutico fondamentale, in quanto un’asportazione totale o quasi totale pro-lunga la sopravvivenza. Moderne tecni-che di risonanza magnetica e metodiche neurochirurgiche innovative, quali l’awake surgery (chirurgia a paziente sveglio), per-mettono l’aggressione di tumori situati in aree eloquenti, quali quelle del linguaggio e della motilità, con riduzione del rischio di deficit permanenti. Poco o nulla era cambiato fino agli anni duemila nel tratta-mento post-chirurgico dei glioblastomi (i gliomi maligni più frequenti): la maggior parte dei pazienti decedevano a 2 anni dalla diagnosi. L’avvento della temozolo-mide, un farmaco con buona penetrazio-ne nel cervello normale e scarsa tossicità sul midollo osseo, ha cambiato lo stan-dard: l’associazione della temozolomide alla radioterapia prolunga i sopravviventi a 2 anni (fino al 26%), e un certo vantaggio si mantiene fino a 5 anni. La sopravvivenza a 2 anni è ancora maggiore (46% contro 23%) se il tumore presenta una alterazione molecolare denominata metilazione del promoter MGMT. La ricerca si concentra sulla modulazione della chemioresistenza e sull’impiego delle terapie target, cioè di farmaci che bloccano una o più vie mole-colari della progressione, invasione e an-giogenesi tumorale. Tra gli inibitori dell’an-giogenesi, il bevacizumab, un anticorpo monoclonale, è attivo nei gliomi maligni in progressione dopo terapia standard, ed è stato appena registrato negli USA. In Italia la sperimentazione è iniziata a Torino nel 2007 e la registrazione è prevista a breve. Altri agenti molecolari (cilengitide, tem-sirolimus, erlotinib, dasatinib) e vaccini sono in sperimentazione. In un futuro non lontano tumori con profili molecolari spe-cifici verranno trattati con farmaci target altrettanto specifici (personalizzazione del trattamento). La chemioterapia locale può avere un ruolo aggiuntivo con l’impiego di polimeri a lento rilascio di chemioterapico

(wafers di Gliadel) dopo resezione chirur-gica. Nel caso dei gliomi maligni “non gliobla-stomi” la classificazione molecolare ha un valore prognostico più affidabile della tradizionale classificazione istologica e in-fluenza la scelta del trattamento. Nei glio-mi di basso grado in progressione dopo chirurgia è discusso il miglior trattamento iniziale (radioterapia o chemioterapia); co-munque la chemioterapia (temozolomide) è attiva in quanto riduce le crisi epilettiche. Nei linfomi primitivi, che sono in aumento, la resezione non ha un ruolo, mentre la ra-dioterapia panencefalica è efficace, con un rischio non trascurabile di danni cognitivi (compresa demenza) a carico dei lungo-sopravviventi, per cui modernamente la chemioterapia è il trattamento iniziale. Le metastasi sono 10 volte più frequenti dei tumori primitivi e più spesso a progno-si rapidamente infausta. La sopravvivenza è però più lunga se la neoplasia sistemica è sotto controllo e le metastasi cerebrali sono sottoposte a resezione o radiochi-rurgia, mentre la tradizionale irradiazione profilattica di tutto l’encefalo sano non mi-gliora la sopravvivenza.

Prof. Riccardo SoffiettiDirettore Unità Operativa

di Neuro-Oncologia,Azienda Ospedaliero-Universitaria

S. Giovanni Battista, TorinoPast President Associazione Italiana di

Neuro-Oncologia

Neurologia Senza Confini

Page 10: Neurologia Senza Confinidoc.mediaplanet.com/all_projects/3736.pdfcervello è costituito infatti da oltre 100 miliardi di cellule specializzate, i neuroni, ognuna delle quali si connette

Le malattie neurologiche rare sono disordini che si presenta-no con una frequenza bassa nella popolazione generale (in Europa, meno di 5/10000). Recentemente sono state definite anche orfane, per i limitati supporti assistenziali, i pochi ri-cercatori dedicati allo studio della loro patogenesi, le poche industrie per la creazione di farmaci specifici (che non hanno un mercato sufficiente per ripagare gli ingenti investimenti necessari).Alcune di queste malattie sono ereditarie, altre no; alcune sono presenti fin dalla nascita, altre appaiono solo in età adulta, alcune sono trasmissibili, alcune di esse sono oggi curabili, alcune sono rare in alcuni paesi ed endemiche nei paesi in via di sviluppo.I dati più recenti indicano in almeno cinquemila le malattie rare. In Italia sono state riconosciute a livello assistenziale ol-tre 350 malattie, per le quali è possibile avere una esenzione del pagamento dei ticket assistenziali. Di queste la grande maggioranza sono causate da una anomalia genetica e colpi-scono per la maggior parte il sistema nervoso insieme ad un interessamento di altri organi; una quota superiore del 50%, infatti, presenta una sintomatologia che richiede l’interven-to di uno specialista in neurologia, per l’interessamento del sistema nervoso centrale, periferico, del muscolo, indicando in tale specialità una di quelle maggiormente coinvolte nei problemi derivanti dalla corretta e tempestiva diagnosi e dal corretto approccio alla gestione di tali pazienti (ricordiamo la Sclerosi laterale amiotrofica, la corea di Huntington, le atas-sie, le miopatie, le neuropatie, etc)I neurologi italiani si sono impegnati attivamente nelle li-

nee programmatiche scaturite dal piano sanitario nazionale 1998-2000 rappresentate da:

identificazione dei centri nazionali di riferimento e •costituzione di una rete di presidi ospedalieri per la diagnosi ed il trattamento di tali malattie, con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità;avvio di un programma nazionale di ricerca per il •miglioramento delle modalità di prevenzione, dia-gnosi, assistenza e terapia;

sviluppo di interventi diretti al miglioramento della •qualità di vita dei pazienti;programma di informazione ai pazienti ed alle loro •famiglie;acquisizione di farmaci specifici, al fine di migliora-•re le prospettive terapeutiche di tali malattie.

Tuttavia l’atteggiamento delle famiglie, dei pazienti stessi e dei medici di famiglia o specialisti è quasi sempre quello di una inoperosa rassegnazione, dal momento che è opinione comune che una corretta diagnosi rimane un inutile eserci-zio accademico, poiché le terapie sono incapaci di risolvere le cause che portano alla neurodegenerazione. Sempre più numerose invece sono le malattie curabili, se diagnosticate precocente; per molte (soprattutto quelle genetiche) è pos-sibile una diagnosi molecolare ed una diagnosi prenatale; tutte rappresentano interessanti modelli per comprendere le normali funzioni del sistema nervoso e del muscolo.In Italia esiste una fiorente attività assistenziale e scientifica neurologica in tale settore. Centri all’avanguardia nelle varie patologie sono presenti in alcuni Istituti a carattere Scientifi-co, come l’Istituto Neurologico Besta a Milano, in molte Cli-niche Neurologiche Universitarie a Milano, Verona, Padova, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Siena, Roma, Napoli, Bari, Catanzaro, Messina, Palermo. Un Centro di Informazione sulle Malattie Neurologiche Rare è stato da tempo attivato a Siena all’interno di una unità diagnostica e terapeutica (UO Neurologia e Malattie Neurometaboliche, prof. Federico e Prof. Dotti tel 0577.585763 e-mail [email protected]; [email protected] ; [email protected].)

LE MALATTIE NEUROLOGICHE RAREun importante settore assistenziale per la Neurologia e un modello naturale per la compressione delle normali funzioni del sistema nervoso centrale, periferico e del muscolo

Prof. Antonio Federicoprofessore ordinario di Neurologia e Direttore UO

Neurologia e Malattie Neurometaboliche,Università degli studi di Siena

Tel 0577.585763-760 fax 0577.40327 )[email protected]

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una ma-lattia neurodegenerativa a decorso infausto, caratterizzata dalla compromissione del I° e II° neurone di moto che clinicamente si manifesta-no con iperreflessia, spasticità e talvolta segno di Babinski accompagnati da riduzione del tro-fismo e della forza muscolare, crampi e fascico-lazioni con progressivo interessamento in 3-5 anni di tutti i segmenti corporei fino a compro-mettere la respirazione e l’ alimentazione.La malattia progredisce verso la totale paralisi con risparmio protratto della motilità oculare. La SLA ha dettato nuove modalità di presa in carico del paziente neurologico dal momento della diagnosi, fungendo da esempio per altre patologie.La sua velocità e tragicità hanno imposto una franca rivelazione di malattia, la crescita di équi-pe multidisciplinari per rispondere alle esigen-ze del paziente e del coniuge, permettendo di affrontare in serenità le manovre più invasive volte a mantenere la nutrizione (PEG) e la respi-razione (ventilazione non invasiva e tracheosto-mia). Nuove forme di assistenza domiciliare con l’ ausilio della telemedicina sono state quindi sviluppate. La SLA è nel 10% circa dei casi ma-lattia familiare con trasmissione genetica men-deliana e nel rimanente 90% è sporadica a causa ignota. Nuovi geni sono stati identificati dopo la primitiva descrizione della SOD1 (1993). Alcuni come TDP-43 e FUS/TLS sono implicati anche nelle forme sporadiche come dimostrato anche per contributo del nostro Istituto.La SLA è stata considerata tradizionalmente una malattia neuromuscolare: oggi, al contrario, le evidenze sperimentali ci spingono a definire la SLA malattia sistemica con co-interessamento della corteccia fronto-temporale in un conti-nuum con le demenze fronto-temporali (FTD). Infatti, nel 2006 l’analisi autoptica in pazienti af-fetti da SLA e da FTD ha dimostrato la presenza di similari inclusioni intracitoplasmatiche della proteina patologica TDP-43.Ciò ha suggerito la ricerca di mutazioni nel gene

codificante per TDP-43 che sono state dimostra-te e confermate anche nei pazienti italiani. Tali evidenze hanno riaperto il problema del coin-volgimento cognitivo/comportamentale dei pa-zienti SLA. E’ oggi chiaro che accanto a forme di malattia a selettivo interessamento motoneuro-nale, esiste una percentuale variabile di pazienti con alterazioni cognitive e/o comportamentali fino all’ espressione conclamata di FTD. La valu-tazione neuropsicologica appare quindi d’ ob-bligo nella fase diagnostica e lungo il decorso di malattia. Le nuove conoscenze aprono fron-tiere inaspettate per la SLA che diviene quindi malattia sistemica, richiedendo una revisione delle basi biologiche che la vedevano confinata al sistema motorio.La terapia trarrà razionale per lo sviluppo di nuove strategie che non potranno prescindere dal concetto di sistemicità. Se le cure palliative hanno proposto una qualità di vita migliore al paziente, il processo neurodegenerativo rimane ad oggi senza rimedio efficace.

Sclerosi Laterale Amiotroficauna malattia sistemica

La Malattia di Fabry

Prof. Vincenzo SilaniProfessore Associato di Neurologia

DirettoreU.O. Neurologia e Lab. Neuroscienze

Direttore Sede DistaccataCentro “Dino Ferrari”

Università degli Studi di MilanoIRCCS Istituto Auxologico Italiano,

Milano

La Malattia di Fabry è una ma-lattia genetica, legata al cromo-soma X, che determina un difet-to nella produzione dell’enzima alfa-glattosidasi, responsabile della degradazione di un glico-sfingolipide (Gb3) a livello dei li-sosomi. Il deposito di Gb3 in ec-cesso avviene in diversi organi e tessuti, causando disfunzioni ingravescenti fino a sviluppo di danni irreversibili. L’incidenza della malattia di Fabry ripor-tata è da 1:40.000 a 1:117.000 nei maschi nati vivi, anche se è probabile una frequenza mag-giore. Contrariamente a quanto accade per le malattie legate al cromosoma X, nella malattia di Fabry la maggior parte delle donne può sviluppare la pato-logia con sintomi di intensità variabile. Le manifestazioni ce-rebrovascolari della malattia di Fabry sono in genere indicative di una prognosi peggiore, sia in termini di ricorrenza di stroke che di morte, che sono rispetti-vamente il 76% e il 55%. L’inci-denza delle manifestazioni ce-rebrovascolari è stata descritta con frequenza variabile dal 13 al 48%.Questi studi testimoniano che le malattie cerebrovascolari rappresentano una compli-canza significativa nella ma-lattia di Fabry, che per questo motivo andrebbe indagata in tutti i pazienti con TIA o stroke criptogenetico, soprattutto di giovane età, anche in assenza di altri segni e sintomi del feno-tipo classico di malattia. A que-sto proposito un recente studio prospettico su 721 giovani tra

i 18 e 55 anni con stroke crip-togenetico ha identificato una prevalenza di malattia di Fab-ry del 4.9% nei maschi e 2.4% nelle femmine. L’età media di insorgenza delle manifestazio-ni cerebrovascolari è di 33-46 anni per gli uomini e di 40-52 anni circa per le donne. La malattia di Fabry è carat-terizzata anche da un’elevata incidenza (fino all’80%) e dalla precoce comparsa di neuro-patia periferica con dolore alle estremità, riduzione della sensi-bilità termica e frequenti mani-festazioni autonomiche.Si tratta di una neuropatia sen-sitiva che si manifesta nell’in-fanzia e nell’adolescenza.Le manifestazioni dolorose ven-gono descritte come parestesie urenti lancinanti (acropareste-sie) localizzate alle mani e ai piedi e con successiva diffusio-ne prossimale ad altre parti del corpo. Le acroparestesie posso-no essere subcontinue o ma-nifestarsi in forma di attacchi episodici intensificati ad es. da sforzo, febbre e variazioni della temperatura esterna.Come conseguenza della cro-nicità della sintomatologia do-lorosa, i pazienti manifestano inevitabili ripercussioni psico-patologiche, caratterizzate da depressione fino ad arrivare anche a gesti estremi come il suicidio.

10 Neurologia Senza Confini

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L’idrocefalo normoteso, l’unica forma di demenza trattabile

Le distrofi e muscolari

Sergio Maria GainiPresidente della Società Italiana di

Neurochirurgia

Quale trattamento adottare per l’idro-cefalo normoteso?L’idrocefalo normoteso è una patologia che rientra nella sfera delle demenze e che si caratterizza per la potenziale reversibilità ottenibile mediante un intervento chirur-gico. Tale patologia non è di semplice dia-gnosi e va sospettata quando decadimento cognitivo, disturbi della marcia ed inconti-nenza urinaria si presentano in associazio-ne. Alcuni sintomi sono tipici anche di altre demenze e devono essere le caratteristiche alterazioni della marcia e l’incontinenza a porre il sospetto di idrocefalo normoteso. In presenza di questi sintomi e di una RMN dell’encefalo che mostri segni di idrocefalo, ma non di atrofi a cerebrale, è indicato ac-certare la diagnosi con metodiche invasive di registrazione della pressione liquorale e test di sottrazione liquorale. Solo qualora tali test siano signifi cativi per un disturbo della dinamica liquorale è indicato un trat-tamento chirurgico. L’intervento consiste nel posizionamento di una derivazione ventricolo-peritoneale ossia di un sistema protesico che permette l’eliminazione del liquor in eccesso all’interno del peritoneo. Tale intervento è tecnicamente semplice e gravato da una bassa morbilità. Tuttavia, considerando l’età media dei pazienti (> 60 anni), le co-morbilità spesso associate (es. cardiopatie, vasculopatie ecc.), occorre ri-servarlo solo ai quei pazienti che abbiano seguito un ben preciso iter diagnostico.

Qual è il percorso che deve seguire il pa-ziente con questa sintomatologia e qua-li sono i clinici coinvolti?La sintomatologia in genere esordisce con tre sintomi caratteristici consistenti nel di-sturbi della marcia, il decadimento men-tale, fi no ad avere incontinenza urinaria.

Dobbiamo tener presente che l’Idrocefalo Normoteso non è una malattia cosi fre-quente, infatti nell’ambito delle patologie del decadimento mentale ha una frequen-za che non supera il 6-7%. È quindi molto importante il ruolo del neurologo in grado di stabilire la diagnosi esatta adottando esami neuroradiologici in grado di indivi-duare questo tipo di patologia. Successi-vamente il Neurochirurgo, se la diagnosi risulterà corretta, la confermerà interve-nendo chirurgicamente.

Quali progressi si stanno facendo in neurochirurgia?La neurochirurgia è un disciplina relativa-mente giovane e conseguentemente in grande espansione dal punto di vista del-la ricerca di base e clinica. Non bisogna innanzittutto dimenticare che la stessa neurofi siologia cerebrale è particolarmen-te complessa e ancora incompletamente chiarita, soprattutto per quanto riguarde le funzioni neurologiche complesse come il linguaggio, l’aff ettività o la memoria. Lo studio intraoperatorio di tali funzioni e’ oggi possibile grazie alla cosiddetta awa-ke surgery o chirurgia a paziente sveglio che, in piena sicurezza e senza soff erenze per il paziente, permette di localizzare le sedi delle funzioni neurologiche di base (es. movimento) e complesse (es. linguag-gio) con la fi nalita’ di preservarle in corso di resezione di lesioni tumorali cerebrali o per la cura dell’epilessia. Oltre a preservare le funzioni neurologiche normali, la neu-rochirurgia sta imparando a modulare le funzioni neurologiche disturbate. A questo proposito, con la stimolazione elettrica ce-rebrale profonda, abbiamo imparato a trat-tare i sintomi dei pazienti aff etti da morbo di Parkinson e a controllare i movimenti

abnormi dei pazienti con distonia.Dove si sta orientando la ricerca neuro-chirurgica? L’ambito della neurochirurgia funzionale appare oggi particolarmente fl orido e sta cercando di aff rontare la sfi da posta da al-cuni disturbi psichiatrici ad alta prevalenza come la depressione e il disturbo ossessi-vo-compulsivo per il trattamento dei quali rigidi trials clinici con neurostimolazione cerebrale sono in corso. Vorrei infi ne ri-cordare la ricerca di base di ambito neuro-oncologico che sta cercando di chiarire la

biologia e modifi care la storia naturale di tumori altamente maligni come i gliomi cerebrali che spesso colpiscono persone giovani e senza fattori di rischio.

Nereo BresolinProfessore Ordinario

in Neurologia

11Neurologia Senza Confini

Distro� nopatieLe distrofi nopatie sono Distrofi e Muscolari (DM) causate da mutazioni del gene della di-strofi na, proteina citoscheletrica; codifi cata dal gene più grande dei mammiferi. Si distin-guono due forme pricipali di distrofi nopa-tia: DM di Duchenne (DMD) e DM di Becker (BMD). La DMD è una patologia a esordio infantile, con perdita della deambulazione prima dei 14 anni; la BMD è una forma meno grave, causata da esordio nell’adolescenza e lenta progressione.Le distrofi nopatie sono trasmesse come trat-to recessivo legato al cromosoma X, quasi tutti i pazienti sono maschi. Raramente don-ne eterozigoti manifestano segni della ma-lattia, come conseguenza dell’inattivazione del cromosoma X sano.L’incidenza della DMD è di 1/3.300 ma-schi nati vivi con un terzo delle mutazioni de novo, mentre quella della BMD è circa 1/18.500 maschi. L’incidenza di stato di por-tatrice nella popolazione femminile per DMD e BMD è di 40/100.000.Esiste un’estrema eterogeneità mutazionale nei DMD/BMD: 50-60% delle mutazioni della distrofi na deriva da delezioni intrageniche (65% DMD; 85% BMD), 10% da duplicazioni, 10-20% da mutazioni puntiformi e microde-lezioni/inserzioni. Secondo la regola del re-ading-frame, mutazioni più gravi out-of-fra-me, incompatibili con produzione di protei-na, determinano un fenotipo DMD, mentre mutazioni meno deleterie, che mantengono il frame di lettura del mRNA sono associate a un quadro BMD.L’esame diagnostico cardine è la biopsia mu-scolare che dimostra nella DM la presenza di fi bre necrotiche rigeneranti, centralizzazioni nucleari e sostituzione fi broadiposa. L’immu-noistochimica con anticorpi diretti contro di-versi domini della distrofi na documenta nei

DMD una marcata riduzione o assenza del segnale sarcolemmale, mentre nei BMD la distrofi na sarcolemmale presenta un minor grado di riduzione. L’esame diagnostico per BMD è spesso l’analisi di Western blot della distrofi na: nel 90% dei casi il peso molecolare della distrofi na è alterato (ridotto nei deleti, aumentato nei duplicati) e la quantità è ri-dotta. L’analisi genetica conferma le analisi proteiche con un tasso di positività del 97-99%.

Terapia farmacologicaGlucocorticoidiI glicorticoidi sono impiegati per rallentare il peggioramento del quadro clinico dei pa-zienti aff etti da DMD, in ragione in parte del-la loro azione sul sistema immunitario. Il loro utilizzo posticipa la perdita di deambulazio-ne di due anni, riduce la frequenza di cardio-miopatia dilatativa, rallenta il declino della capacità vitale posponendo la necessità di ventilazione meccanica e riduce la gravità di presentazione della scoliosi La prolunga-ta terapia steroidea è responsabile di eff etti collaterali quali incremento ponderale, bassa statura, riduzione della densità ossea con au-mentato rischio di frattura, ridotta tolleranza al glucosio, alterazioni elettrolitiche, iperten-sione, cataratta e disturbi gastrointestinali.

Modi� catori dell’espressione genica e tera-pia genicaPromozione del reading throught (PTC124)PTC124 (Ataluren) è una molecola che agisce a livello dei ribosomi, dove è in grado di ri-conoscere in modo selettivo i codoni di stop prematuri (premature termination codons PTCs) dovuti a mutazioni non senso, consen-tendo la prosecuzione della sintesi proteica. Sulla base di favorevoli dati preclinici e di

sicurezza,: è in corso un trial farmacologico internazionale (che include l’Italia) di fase II pacebo-controllo in un’ampia popolazione di pazienti DMD con mutazioni puntiformi.stop codon.

Utilizzo di vettori viraliLa terapia genica: si avvale del trasferimento a cellule somatiche del DNA della distrofi na tramite vettori virali. I principali approcci sperimentali proposti sono costituti da te-rapia ex-vivo (trasduzione ex-vivo di cellule dei pazienti e successivo reimpianto) e tera-pia in vivo, con la quale il materiale genico é trasmesso direttamente al paziente tramite l’utilizzo di vettori virali. Diversi costrutti di distrofi na sono stati inseriti in adenovirus, adeno-associati, lentivirus e retrovirus. Un trial con virus adeno-associati è in corso ne-gli USA.

Utilizzo di oligonucleotidi anti-sensoGli oligonucleotidi antisenso (AONs) nascon-dono specifi ci siti di splicing contigui a de-lezioni (o mutazioni) out-of-frame, causando exon skipping e ricostituzione in frame del mRNA. Attraverso questo meccanismo può essere indotta la produzione di una distro-fi na parzialmente funzionale. Sono in grado di agire in maniera transiente e i loro eff etti benefi ci possono durare per settimane o an-che permanentemente nel caso degli oligo-dessonucleotidi (ODNs).L’approccio è stato testato sull’uomo con iniezione intramuscolare diretta di AONs nel muscolo distrofi co e osservazione di un in-cremento signifi cativo delle fi bre distrofi no-positive (20%), sebbene l’eff etto rimanga localizzato. L’utilizzo dello skipping risulta applicabile nei pazienti portatori di una mu-tazione in regioni del gene che, se eliminate,

non comportano una severa compromissio-ne della funzionalità della distrofi na risultan-te. L’approccio dell’exon skipping è mutazio-ne-specifi co. Due diff erenti trials terapeutici con AONs sono in corso in Gran Bretagna e Olanda.

Cellule staminaliQuesto approccio prevede il trapianto di cel-lule geneticamente modifi cate del paziente stesso (autologo) o cellule di un donatore sano (eterologo) affi nché ripopolino il tessu-to distrofi co e ne migliorino la funzionalità. Hanno adeguate capacità diff erenziative, proliferative e migratorie le cellule stamina-li CD133+ derivate da tessuto muscolare, i mesangioblasti (cellule staminali associate ai vasi, in grado di diff erenziarsi in diversi tipi di cellule mesodermiche) e le cellule staminali adulte CD133+, estratte dal sangue. Ricerche in mammiferi diversi dall’uomo (topi mdx e cani golden retriever) confermano la capaci-tà di integrazione tessutale e di ricostituzione di fi bre che esprimono la distrofi na da parte queste cellule staminali, costituendo una va-lida premessa per lo sviluppo di una terapia sperimentale cellulo-mediata nell’uomo.

Page 12: Neurologia Senza Confinidoc.mediaplanet.com/all_projects/3736.pdfcervello è costituito infatti da oltre 100 miliardi di cellule specializzate, i neuroni, ognuna delle quali si connette

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